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AMBIENTE OSPEDALIERO
L’ambiente ospedaliero è un sistema sanitario molto complesso in cui interagiscono molteplici fattori che
non sono sempre gli stessi (eterogenei), sono flessibili e dinamici. Questi fattori comprendono sia la
pluralità delle prestazioni sanitarie che vengono fornite dai singoli operatori, ognuno con la propria
professione, sia tutti i processi di organizzazione, tecnico-sanitari ed economico-amministrativi.
Tutti gli elementi del sistema devono integrarsi e coordinarsi, in modo tale che tutti lavorino per un fine
comune ossia fornire al paziente la miglior cura possibile rispettando i bisogni assistenziali; È proprio
questo l’obiettivo dell’igiene ospedaliera (mentre nell’igiene generale l’obiettivo era fare prevenzione
primaria).
Come in altri sistemi, più questi sono complessi, più aumenta la possibilità che si possano verificare
incidenti ed errori.
Una cosa importante da capire che all’interno di un ambiento ospedaliero (così come tutti i posti in cui si
assistono i pazienti) troviamo da una parte il paziente e dall’altra l’operatore sanitario.
La probabilità che un paziente o un operatore sanitario siano vittima di un evento avverso viene definita
rischio clinico, accade soprattutto in ospedale.
Con il termine Risk management si intende l’insieme di varie azioni complesse messe in atto per
migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie fornite, limitare il rischio clinico e garantire quindi la
sicurezza massima del paziente, sicurezza basata sull’apprendere dall’errore. Il termine deriva da:
– Risk→ Rischio considerato, è riconducibile ad una potenziale perdita legata ad un evento avverso;
– Management→ Gli aspetti gestionali riguardano il rapporto ipotizzabile tra il rischio e l’eventuale perdita.
In ospedale vi sono varie politiche di gestione del rischio, volte sia alla prevenzione degli errori evitabili che
al contenimento dei loro possibili effetti dannosi, quindi il fine ultimo è sempre quello di garantire la
sicurezza del paziente in maniera tale di abbattere al minimo tutti gli errori e quindi la possibile insorgenza
del rischio clinico.
Nel tempo è cambiato il concetto di “errore”, all’inizio era considerato come una colpa individuale dunque
chi lo commetteva cercava di nascondere questa colpa perché era come se ammettesse, a sé stesso e agli
altri, una sua incapacità lavorativa. Nel tempo ci si è resi conto che l’idea dell’infallibilità è meschina (scrive
Popper), infatti, se ci confrontiamo con un problema difficile, è probabile che sbaglieremo. Dunque essendo
il sistema ospedaliero molto complesso è probabile che si commettano degli errori; però questo non
significa che io devo commettere continuamente lo stesso errore perché errare è umano perseverare è
Malasanità. L'importante è apprendere dai nostri errori infatti, l'errore individuato ed eliminato costituisce il
debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna dell’ignoranza. Cosa vuol dire? sbaglio,
individuo l’errore ma non devo nasconderlo, anzi devo valorizzarlo chiedendo aiuto al collega più esperto (o
altri) che mi spiegherà come risolverlo o evitarlo, dunque ho imparato qualcosa in più venendo fuori dalla
caverna dell’ignoranza.
Il cambiamento culturale circa l’errore ha fatto si che ad oggi non venga considerato come una colpa
individuale, infatti è anche possibile che questo sia stato commesso per una non corretta organizzazione
generale dunque questo deve essere comunicato e risolto insieme.
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L’errore è una componente ineliminabile, ma contenibile della realtà lavorativa e umana dunque è
importante considerare “l’errore” come fonte di conoscenza e miglioramento personale e professionale per
evitare il ripetersi delle circostanze che lo hanno generato e mettere in atto iniziative capaci di presidiare la
sicurezza dell’assistenza sanitaria. Successivamente analizzo le varie fasi che mi hanno portato a
commettere l’errore; la prima domanda da porsi è “perché l’ho commesso?” “cosa mi ha portato a
commetterlo?”.
Evoluzione culturale→ errore → imparare→ non fare più l’errore.
In quest’ottica, la Gestione del Rischio Clinico, che è una delle dimensioni della Clinical Governance,
richiede che le Aziende Sanitarie sviluppino una visione strategica del rischio anche in risposta
all’evoluzione della medicina difensiva e quindi dei costi assicurativi che impattano in misura sempre più
importante sui bilanci delle Aziende e della Regione perché l’errore spesso può determinare una denunzia
che va ad impattare sia a livello personale che economico.
Rischi clinici
L’ambito sanitario, essendo un ambiente complesso, presenta rischi di varia natura, come: Fisico,
Biologico, allergologico (dermatiti da contatto, asma), Ergonomico (patologie del rachide, del polso, della
spalla), Stress (sindrome del Burn out, mobbing, lavoro a turni, organizzazione del lavoro), Chimico.
I principali rischi clinici cui sono esposti i pazienti e gli operatori sanitari sono insiti nell’ambiente
ospedaliero e comprendono a seconda della natura:
• Rischio chimico
• Rischio fisico
• Rischio biologico
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Rischio chimico, è principalmente correlato all’utilizzo di sostanze chimiche quali: detergenti, disinfettanti,
soprattutto prodotti di laboratorio, gas anestetici e farmaci antiblastici. È importante che gli operatori prima
di adoperare qualsiasi sostanza leggano l’etichetta, valutando e quantificando la sostanza utilizzata, la sua
concentrazione e il tempo di esposizione e che questi utilizzino i DPI necessari al fine di evitare problemi.
Il rischio clinico viene inteso come la probabilità che l’operatore possa ricevere un danno e per riceverlo è
importante la valutazione del valore soglia, ossia valutare la quantità di sostanza in termini di
concentrazione o tempo di esposizione necessaria per avere un danno (mi devo mantenere al di sotto).
L’interazione tra le sostanze chimiche e organismo può avvenire per:
• Inalazione
• Ingestione
• Contatto (es. eczema chimico dovuto all’irritazione della cute)
Il rischio chimico si realizza quando concorrono contemporaneamente due fattori di rischio (l’uno in
relazione all’altro):
1) Fattore rischio rappresentato dalla sostanza chimica (presenza di un agente chimico pericoloso)
2) Fattore rischio rappresentato dal tempo espositivo (condizioni di esposizione)
Bisogna quindi considerare il valore limite soglia. Al di sotto di questo valore l’agente chimico non mi fa
nessun effetto, al di sopra mi provoca il danno quindi è importante conoscere la sostanza che sto
maneggiando.
Rischio biologico, l’attività lavorativa espone l’operatore sanitario al rischio di contrarre infezioni, in
quanto l’operatore sanitario è a stretto contatto con persone malate che molto spesso hanno un’infezione
(Epatite, Aids, Tbc, Morbillo, parotide, rosolia, Scabbia, Streptococco, Herpes, ecc.).
Il rischio biologico è un tipico rischio intrinsecamente connesso con l’attività sanitaria svolta quindi sia in
ambito ospedaliero ma anche negli ambulatori, laboratori analisi o in altre strutture sanitarie.
INFEZIONI OSPEDALIERE
Nel corso degli anni, in particolare negli ultimi decenni, l’assistenza sanitaria ha subito profondi
cambiamenti. Mentre prima gli ospedali erano il luogo dove si svolgeva la maggior parte degli interventi
assistenziali, a partire dagli anni ’90 sono aumentati i luoghi di cura extra-ospedalieri (RSA, assistenza
domiciliare, assistenza ambulatoriale). Da qui la necessità di ampliare il concetto di infezioni ospedaliere
(HAI) a quello di infezioni correlate alle pratiche assistenziali (ICPA) o infezioni correlate
all’assistenza (ICA).
Infatti, quando parliamo di igiene ospedaliera ci riferiamo all’ambito ospedaliero ma il tutto si può applicare
a tutti i contesti in cui vengono curati i pazienti e non solo agli ospedali, ad esempio:
• RSA, Case protette, Nursing Home;
• Assistenza Ambulatoriale, Day service, Day hospital;
• Post acuti, riabilitazione estensiva, Lungo degenze;
• Assistenza domiciliare
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rischio biologico per il personale sanitario (infezioni che il personale può contrarre nell’assistenza ai
malati). Distinguiamo:
• Le infezioni ospedaliere occupazionali→ Si intende un’infezione sicuramente acquisita sul
luogo di lavoro (corsia, S. operatoria) o che sia la risultante dell’attività lavorativa stessa, il cui
periodo di incubazione sia compatibile con intervallo di tempo intercorso tra l’esposizione
all’agente responsabile e la comparsa della malattia. Rappresentano un indicatore d’efficienza
e d’efficacia delle misure di prevenzione adottate in ospedale nei confronti di qualsiasi I.O.
Questi indicatori sono importanti perché dimostrano quanto effettivamente quell’ospedale ha
un ottimo sistema di organizzazione per la prevenzione di questo rischio.
• Infezioni acquisite nelle strutture sanitarie→ quando il paziente ha l’infezione.
❖ Le infezioni comunitarie sono tutte le infezioni già presenti al momento del ricovero con quadro clinico
manifesto o in incubazione.
Le infezioni ospedaliere (IO) o correlate all'assistenza (ICA) sono un insieme piuttosto eterogeneo di
condizioni diverse sotto il profilo microbiologico, fisiologico ed epidemiologico che hanno un elevato impatto
sui costi sanitari e sono indicatori della qualità del servizio offerto ai pazienti ricoverati.
Infezioni=costi
Epidemiologia
Nella maggior parte dei Paesi europei, compresa l’Italia, è emerso che la prevalenza di pazienti infetti
prima del ricovero varia dal 6,8% al 9,3% e quella di pazienti che si infettano in ambito ospedaliero va dal
7,6% al 10,3%. In media, quindi, dal 5 al 10% dei pz ospedalizzati contraggono un’infezione durante il
ricovero.
In Italia, nel 1983, fu effettuato uno studio generalizzato, chiamato Studio Italiano Prevalenza Infezioni
Ospedaliere (SIPIO) che coinvolse 142 ospedali (36000 letti) ed evidenziò:
– Una prevalenza di I.O. del 6,8%.
– 12,3% dei pazienti entra in ospedale già infetto.
Tali dati sono stati ulteriormente confermati da successivi studi d’incidenza condotti in alcuni ospedali infatti
questi dati sono ancora validi e ciò ci fa riflettere. Cos’è che non ci fa abbassare questa percentuale?
La stima numerica annua d’infezioni ospedaliere oltrepassa le 600 mila unità l’anno; tali infezioni
prolungano ovviamente la degenza ospedaliera, con un aggravio di costi che oltrepassa i 1000
miliardi/anno.
Dalla Gazzetta Ufficiale Regione Siciliana 2001 incidenza I.O. è 5-10%, riconducibile a pratiche
diagnostiche e terapeutiche ed applicazione programma di controllo. Siamo in media alla percentuale
europea ed Italiana. Nel 2000 uno studio di prevalenza condotto in Italia fornì i seguenti dati:
– Prevalenza: 5-8% dei ricoverati
– 400.000-700.000 infezioni di cui 30% prevenibile=135.000-210.000
Noi dobbiamo lavorare su questo 30% prevenibile infatti le epidemie di I.O. sono per lo più attribuibili ad
errori nelle pratiche assistenziali e, pertanto, EVITABILI!!!
L’incidenza di infezioni ospedaliere, varia molto a seconda delle dimensioni dell’ospedale, del tipo di
reparto (es. rianimazione si ha un maggiore rischio rispetto ad una ginecologia), della durata della degenza
(maggiore sarà, maggiore è il rischio) e delle misure di controllo adottate (cosa si fa per controllare le
infezioni ospedaliere?). Infatti le ICA:
– Si manifestano 5-10% dei pazienti ricoverati in ospedale;
– 5% pazienti strutture per anziani;
– 1% pazienti assistiti a domicilio
Quando scendiamo da ospedali a strutture meno complesse la percentuale diminuisce. Questo perché,
come già detto precedentemente, le ICA aumentano in base a diversi fattori, tra cui le dimensioni della
struttura. In ospedale la percentuale è maggiore anche perché permangono pazienti che sono ad alto
rischio o presentano patologie più complesse rispetto a quelle che vengono trattate a domicilio.
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Le ICA si manifestano:
– 5-10% in forma epidemica (se si manifesta contemporaneamente in più persone la causa sarà
comune, es. un ferro, un macchinario ecc, al contrario se si manifesta dopo qualche giorno la causa
sarà di difficile riscontro);
– Più del 15 % dei microrganismi sono resistenti (l’antibiotico-resistenza aumenta la mortalità del pz);
– 20-30% mortalità
– 10-70% prevenibile
Le ICA non rappresentano solo un indicatore di efficienza ed efficacia della struttura ospedaliera.
Esse hanno un costo elevato, sia in termini di salute sia in termini economici, tanto per il paziente quanto
per la struttura in quanto non è stata capace di curare il paziente, anzi l’ha ammalato e purtroppo, esse
rappresentano una delle principali cause di morte in ambito ospedaliero.
Le ICA sono responsabili dell’aumento dei costi del servizio sanitario, costi che possono essere:
➢ Diretti→ determinati dalle spese per le cure mediche (quindi per curare il pz) che aggravano sulla
struttura sanitaria ma anche sul paziente e sulla società (con le tasse).
➢ Indiretti→ perdite conseguenti alla riduzione della produzione. Se il paziente acquisisce un’infezione
ospedaliera, non solo aumenteranno i costi diretti ma si ha un costo indiretto perché il paziente non
andrà a lavorare (in quanto malato) e ridurrà la sua produzione nella società.
➢ Costi intangibili→ intangibile in italiano significa «indefinibile» dunque comprendono le sofferenze
fisiche e morali conseguenti alla malattia che non si possono quantificare.
Le infezioni ospedaliere hanno enormi conseguenze sul paziente che la contrae, una delle più evidenti è
l'aumento della degenza (in media 7 g). Per valutare se i pz sono ricoverati a causa della malattia o perché
hanno contratto un’I.O. si studiano i pazienti che sono ricoverati per più di 3 gg. Oltre all’aumento della
degenza possiamo riscontrare un all'allungamento del periodo di convalescenza e la necessità di
successivi controlli ambulatoriali (es. infezione ferita chirurgica dopo le dimissioni=maggiori costi).
Secondo le stime dell'ISS, per le 533.000 infezioni ospedaliere che ogni anno si contraggono negli ospedali
italiani, vengono "spese" 3.730.000 giornate di degenza aggiuntive.
Circolari Ministeriali
L’infezione ospedaliera è un indicatore di efficacia, efficienza e qualità di qualunque struttura sanitaria, in
quanto una struttura non può essere definita di eccellenza se prima non ha un tasso di infezioni
ospedaliere abbastanza basse, anche se negli anni il minimo che si è ottenuti ad ottenere è un tasso di
infezioni ospedaliere del 5,10% rispetto al numero di pazienti ricoverati nella struttura.
Per riuscire ad abbassare il tasso d’infezioni ospedaliere ci riferiamo ad una vera e propria “lotta alle
infezioni ospedaliere”, cercando quindi di abbassare e abbattere questo tipo di infezioni. Allo scopo di ciò il
ministero della sanità ha emanato delle circolari che sono:
➢ Circolare ministeriale n. 95/1985 che afferma la lotta alle infezioni ospedaliere nelle quali viene
raccomandato l’avvio di un programma di controllo delle infezioni in ciascun presidio ospedaliero.
Ciascuna azienda ospedaliera è quindi tenuta ad organizzare un programma di controllo e prevenzione
delle infezioni ospedaliere. Questa circolare, inoltre, prevede la costituzione di un comitato (CIO)
multidisciplinare a cui appartiene quindi un gruppo operativo, personale infermieristico, igienista,
medico microbiologo. Quindi tutte figure di diversa professionalità, che nel loro complesso costituiscono
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questo comitato multidisciplinare. Viene affidato questo compito alle regioni, che hanno il compito di
coordinare le attività e di rinforzare i programmi di formazione professionale.
In questa circolare non solo si prevede la lotta alle infezioni ospedaliere, la formazione di un comitato
(CIO), ma si prevede anche che ci siano dei programmi di formazione e aggiornamento professionale
per avere sempre nuove conoscenze.
➢ Circolare ministeriale 8/1988 si evidenzia che nella lotta alle infezioni ospedaliere è importante la
sorveglianza in cui vengono definiti i criteri standardizzati per la definizione e la diagnosi dei diversi siti
di infezione ospedaliera e i metodi di sorveglianza. Ci si è resi conto che per avere un’efficacia sul
controllo e prevenzione di queste infezioni ospedaliere è fondamentale la sorveglianza. Non solo la
vigilanza passiva, cioè andare ad analizzare dati di laboratorio, ma anche un sistema di vigilanza attiva.
Nel tempo sono stati emanati dal ministero della salute ulteriori misure e documenti riguardanti il controllo
delle ICA, in particolare:
• Compendio sul controllo delle ICA
• Raccomandazioni sul controllo della diffusone nosocomiale dello stafilococco aereus resistente alla
meticillina
• Prevenzione di alcune malattie infettive che possono avere un impatto significativo per quanto
riguarda l’assistenza come morbillo, rosolia, HIV, TBC e tutte le malattie trasmesse da vettori.
Successivamente nel 2014-2018 è stato emanato un nuovo piano nazionale della prevenzione e poi nel
2017-2020 un nuovo piano di contrasto dell’antimicrobico resistenza, il piano di prevenzione in atto. In
questi piani nazionali della prevenzione si raccomandava ancora una volta:
• La prevenzione e il controllo delle malattie infettive
• L’antibiotico resistenza
In conclusione, dal 1985 ad oggi si è acquisita la consapevolezza, la conoscenza, la responsabilità di
quanto sia grave il problema delle infezioni ospedaliere. Si inizia quindi a pensare che dobbiamo
controllarle e iniziare a fare qualcosa. (si istituisce il ciò, si istituisce un sistema di vigilanza attiva e passiva,
sorveglianza dei germi allert, e soprattutto favorendo la prevenzione, prima ancora del controllo. Infatti, se
riusciamo, tramite la prevenzione a non fare ammalare il paziente, il controllo passa in secondo piano, se
viene effettuata la prevenzione a monte.)
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LA CATENA DI INFEZIONE IN OSPEDALE
Come tutte le malattie infettive anche le infezioni ospedaliere sono il risultato di 3 elementi che
interagiscono:
1. I microrganismi, sono gli agenti eziologici delle ICA:
• Qualsiasi microrganismo puo essere responsabile (patogeno,
opportunista)
• Molte infezioni sono polimicrobiche
• Più del 15% delle ICA sono dovute a microrganismo antibiotico-
resistenti
I protagonisti delle ICA sono:
• 95% batteri
• 3% miceti
• 1% virus
• Rari protozoi
2. Ambiente → l’ospedale
3. Ospite recettivo → il paziente con le peculiari caratteristiche proprie, con patologie proprie e con un
sistema immunitario debilitato. Caratteristiche del paziente saranno quindi: età, il sesso, le patologie di
base e associate, le procedure adottate nel processo di cura (procedure invasive e non), farmaci usati,
quanto dura la degenza e la gravità delle condizioni cliniche.
A fine 2016 uscì uno studio per quanto riguarda l’impatto che hanno le infezioni nosocomiali rispetto ad
altre malattie infettive, prima del covid infatti, le malattie infettive erano state in parte debellate da vaccini e
antibiotici. Infatti causa primaria di morte per infezione erano le infezioni ospedaliere.
Da questo studio venne fuori che addirittura 6 malattie infettive nel complesso, avevano un tasso di
morbosità e di mortalità e incidenza inferiore ad una singola infezione nosocomiale. Proprio per questo
motivo le infezioni nosocomiali erano un problema di notevole rilevanza.
L’ECDC (european centre for desease control) effettuò uno studio di prevalenza europeo (2011-2012) a cui
parteciparono tutti i paesi europei (29 paesi, 947 ospedali, per un totale di 231.459 pazienti.) anche l’Italia
ha partecipato, in particolare 49 ospedali, selezionati in modo proporzionale rispetto alla distribuzione degli
ospedali per acuti. Solo due regioni non hanno partecipato. Da questo studio è emerso che, date le
dimensioni del rischio, l’assoluta centralità del problema “infezioni correlate all’assistenza” per la sicurezza
dei pazienti.
Nello studio si è valutato anche i vari microrganismi presenti, le differenze tra i vari paesi e anche il
confronto con gli stati uniti. Se vi sono paesi con tassi di incidenza differenti e tutto con lo scopo di cercare
una soluzione a questo grave problema di sanità pubblica.
Tra l’Italia e l’Europa, come tasso di prevalenza delle ICA noi siamo identici alla media europea; la nostra
percentuale oscilla sempre tra il 5 e 10% nelle varie regioni. In generale quindi la prevalenza in Italia è del
6.6% mentre in Europa la prevalenza è del 6%. In Italia però sono molto più frequenti le infezioni date dal
catetere intravascolare. Oggi per evitare questo problema mettiamo il catetere intravascolare solo in
situazioni di emergenza o comunque in tutte quelle situazioni in cui è veramente necessario. Prima invece
era una prassi ospedaliera.
Altra differenza tra itali e Europa è la prevalenza italiana di microbi multi resistenti, quindi con maggiore
letalità (la morbilità è invece uguale 6.6%). Infatti il microrganismo multi resistente fa aumentare le
probabilità di decesso del paziente e anche i giorni di degenza.
Il problema dell’antibiotico resistenza è infatti determinato dall’abuso di antibiotici.
Oggi, per ridurre l’utilizzo di antibiotici, si effettua una profilassi antibiotica di un solo giorno in caso di
intervento chirurgico, durante l’intervento stesso e non una profilassi di 4 giorni come avveniva in passato.
Infatti l’antibiotico somministrato durante l’intervento chirurgico ha la sua massima azione in quelle ore e di
conseguenza protegge il paziente durante l’incisione chirurgica.
In generale, in Italia rispetto all’Europa, presenta un tasso di pazienti che effettuano un trattamento
antibiotico del 44%, rispetto al resto dei paesi europei con una media del 35%. Altro dato italiano è la
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mancanza delle indicazioni della profilassi antibiotica che il paziente ha eseguito in cartella. La terapia
antibiotica infatti non sempre viene documentata sulla cartella.
Un’altra criticità che emerge da questo studio di prevalenza europeo è relativa all’igiene delle mani.
• In Italia il consumo di prodotti idroalcolici per l’igiene delle mani è inferiore a 10litri per 1000 giornate
di degenza (la categoria più bassa in Europa) (ovviamente questi dati si riferiscono alla media
precedente alla pandemia di covid)
• Contro la media europea di 18.7 litri/ 1000 giorni di degenza e nei paesi scandiva 40 litri per mille
giornate di degenza.
Riassumendo quindi: le tre cattive abitudini italiane precedenti a questi studi erano
• Abuso di antibiotici
• Uso eccessivo di cateterismo venoso
• Ridotto consumo di gel idroalcolici
Queste tre abitudini si sono modificate.
1.MICRORGANISMI
Tra gli agenti microbici più frequenti responsabili delle ICA vi sono secondo la CDC (organismo di controllo
delle infezioni in America):
– Stafilococchi caugulasi negativi (definiti SAPROFITI, epidermis, carmis ecc. in un soggetto sano con
un buon sistema immunitario in realtà sono innocui) 15%
– Stafilococchi caugulasi positivi
– Klebsiella pneumonia (oggi particolarmente antibiotico-resistente) (germe allert)
– Klebsiella oxytoca (entrambe le klebsiella sono batteri gram negativi)
– Acinetobacter baumanii (antibiotico resistente, viene considerato un batterio sentinella o germe allert)
– Entero batteri 11%
– Escherichia coli 8%
– Enterococcus 12% (antibiotico-resistente)
– Pseudomonas aeuriginosa (6% è un antibiotico resistente molto forte)
– Candida 10% (fa parte della nostra flora batterica, ma molto spesso diventa responsabile delle ICA)
– Clostridium difficile (?)
Questi microbi sono presenti a livello globale e sono per il 90% i responsabili delle ICA in tutto il mondo.
Tutto il resto dei microbi rappresenta una minoranza che rappresentano il 10% circa.
Inoltre, la maggior parte di questi microbi sono antibiotico resistenti. Essi si possono trovare, oltre che sul
paziente:
• Sulle mani del personale sanitario (motivo per cui viene fatta sempre la campagna a favore del
lavaggio delle mani);
• Sugli abiti (bisognerebbe utilizzare i camici);
• Sui tasti del pc;
• Sullo strumentario (laccio emostatico, sfigmomanometro, ecc.) bisogna disinfettarlo correttamente
dopo averlo utilizzato;
• Sulle superfici inanimate (cartelle, mobili, oggetti) fondamentale è la pulizia ambientale.
Antibiotico-resistenza
Negli ultimi anni non abbiamo avuto più ricordo delle malattie infettive perché abbiamo avuto due grandi
alleati: i vaccini e gli antibiotici. Con l’evento dell’antibiotico resistenza però viene meno una cura.
Le infezioni ospedaliere infatti, nel 95% dei casi sono determinate da batteri. Fino a questo punto siamo
riusciti a controllarle con gli antibiotici, che sono biocidi, significa che uccidono i batteri. Molte volte pero, se
è presente antibiotico resistenza (15% dei casi), l’antibiotico non riesce ad espletare l’attività biocida, di
conseguenza il batterio di riproduce in maniera incontrollata fino ad arrivare a causare la setticemia e può
creare morte.
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L’antibiotico resistenza non è un problema solo italiano. Da noi infatti è più presente rispetto agli altri paesi,
ma rimane comunque presente e quindi è un problema globale. Tanto che l’OMS si è preso cura di
emanare delle linee guida e slogan. Se non facciamo niente oggi, può capitare infatti di non avere una cura
contro i batteri domani.
La resistenza agli antibiotici rappresenta oggi la piu’ grande minaccia nell’ambito delle malattie infettive a
causa dell’impatto epidemiologico ed economico del fenomeno.
• Causa 700mila decessi annui (nel mondo)
• In assenza d’interventi efficaci: a livello globale nel 2050 si potrebbe arrivare a 10milioni di morti
annui.
In Europa:
• 25 mila decessi annui
• 1 miliardo e mezzo annui di perdite economiche dirette (costi sanitari) e indirette (perdite di
produttivita’)
Causa antibiotico resistenza: dovuto soprattutto alla selezione di ceppi batterici resistenti in seguito
all’esposizione al farmaco. Noi siamo macrorganismi e loro microrganismi. Caratteristiche comuni è che
vogliamo sopravvivere entrambi. Ogni volta che somministriamo antibiotici si formano dei piccoli ceppi
resistenti, che hanno la caratteristica di estendere la mutazione genetica che porta alla resistenza alle
cellule figlie. Si crea cosi la resistenza.
Per cui la resistenza per specie che prima erano sensibili a un determinato farmaco, ma poi diventano
resistenti grazie alla trasmissione genetica di geni resistenti all’antibiotico. Che non solo si può trasmettere
alla cellula figlia, ma addirittura ad altri microbi che erano sensibili grazie a un processo di coniugazione. E
quindi un trasferimento genetico di questi geni.
Questa trasmissione viene favorita dall’uso esteso e spesso improprio degli antibiotici. Soprattutto quelli a
largo spettro, che aumenta la pressione selettiva in grado di far emergere e diffondere i ceppi resistenti.
E’ importante che ognuno di noi contribuisca a ridurre l’incidenza dell’antibiotico resistenza. Importante
quindi non autosomministrarsi antibiotici. Se abbiamo sintomi di infezioni batteriche effettuare
l’antibiogramma, di contro gli allevamenti dovrebbero ritornare ad un tipo di allevamento naturale, evitando
quelli intensivi. Ovviamente la soluzione sarebbe mangiare meno prodotti di origine animale, ma soprattutto
seguire un’alimentazione completamente vegetale. Nei programmi d’igiene e prevenzione ambientale, è
previsto il consumo di carne esclusivamente 1 volta al mese!
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I rischi correlati alla presenza di questi microrganismi in ospedale sono:
1) Aumento della probabilità del fallimento terapeutico, che significa:
2) Aumento del rischio di morbilità e mortalità, che implica quindi:
3) Aumento della durata della degenza ospedaliera
4) Aumento dei costi sanitari
5) Aumento del contenzioso (se il soggetto muore)
6) MULTI-DRUG RESISTENZA= resistenza agli antibiotici
In generale i microrganismi muti resistenti, per essere definiti tali devono essere sensibili a almeno 1 o 2
antibiotici. Ovviamente le percentuali variano in base alla struttura, ma anche da reparto a reparto (Ad
esempio le terapie intensive sono reparti più esposti a microrganismi multi resistenti.
E’ importante conoscere i dati epidemiologici, infatti nei paesi meridionali, anche a causa delle alte
temperature, vi sono più microrganismi multi resistenti. Dunque conoscendo i dati, posso attuare la
prevenzione in quanto se conosco i microrganismi presenti possono prevenirli e combatterli.
L’OMS afferma che è importante individuare i batteri resistenti a livello mondiale ed urge dei sistemi per
marginare questo fenomeno dell’antibiotico resistenza. E’ importante l’attività di sorveglianza, l’attività di
controllo, ricerca e sviluppo nazionale. Ogni paese deve fare in modo di controllare e fare ricerca in modo
tale da sviluppare piani nazionali propri per controllare e marginare le infezioni antibiotico resistenti.
L’OMS ha emanato una lista di 3 livelli di allerta a livello globale (germi allert):
Criticità media: (priorità)
• Batteri di streptococco pneumonas, che ha una resistenza alla pennicillina,
• Hemofilus influenza che ha una resistenza all’ampicillina
• Scighella resistente ai fluorochilomici
Criticità alta: (priorità)
• Enterococco fecius resistente alla vancomicina
• Stafilococco aerus resistente alla medicillina e vancomicina
• Elicobatteri pilori resitente a claritromicina
• Salmonelle resistenti ai fluorochilomi
• Neisserie resistenti alle cefalosporine di terza generazione
Priorità critica:
• Acinetobacter baumanii
• Pseudomonas aeruginosa (sono tutti resistenti ai CARBAPENEMICI)
• Enterobacteraceae
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2.AMBIENTE
L’ambiente ospedaliero non è un ambiente comune ma è un ambiente circoscritto, molto complesso dal
punto di vista delle infezioni in quanto è un luogo in cui vi sono pazienti, operatori sanitari, tutte le macchine
o gli oggetti difficilmente sterilizzabili che aumento il rischio di infezione e di contaminazione.
Le U.O sono molto diverse tra loro, alcune ad alto rischio d’infezione, altre dove il rischio è minore.
In generale possiamo dire che come ambiente intendiamo tutto ciò che rappresenta una sorgente
d’infezione. Per sorgenti di infezioni si intendono quei substrati in cui i batteri sfuggiti alle norme di igiene
e antisepsi, possono moltiplicarsi.
Consideriamo ambiente tutto ciò che circonda il malato e che può venire a contatto con esso o con
l’operatore sanitario, fungendo da veicolo d’infezione.
Ogni luogo di cura ospita una sua flora peculiare → flora nosocomiale: sia per composizione sia per lo
spettro di sensibilità agli antibiotici (stipiti sempre più resistenti).
Se si riesce a contenere la sorgente d’infezione è chiaro che si avranno meno probabilità di trasmettere le
infezioni che poi diventano nosocomiali.
Tutto ciò che è attorno al malato (anche le superfici), può diventare sorgente di infezione e arrivare al pz o
all’operatore sanitario. Quindi attorno al malato bisogna sanificare correttamente. In più hanno
scientificamente dimostrato che ogni ospedale ha una sua nicchia, una flora batterica (nosocomiale)
persistente.
Le principali sedi di colonizzazione sono:
• Locali umidi e di difficile pulizia;
• Apparecchiature con parti mal sterilizzabili (respiratori, macchine per dialisi, ecc.);
• Microrganismi che sopravvivono in soluzioni disinfettanti troppo vecchie o diluite
• Strumentario (che deve essere sterilizzato correttamente).
Nel mio ambiente qual è la sorgente d’infezione? Può essere rappresentata da molti elementi, per esempio
l’ambiente umido che è difficilmente santificabile, apparecchi che non sono sterilizzabili in tutte le loro parti
come per esempio strumenti a fibre ottiche che non possiamo trovare monouso e per di più con la
sterilizzazione si rovinano quindi si deve utilizzare una disinfezione ad alto livello.
Anche i disinfettanti devono essere attenzionati in quanto hanno una vita di 7, massimo 10 giorni dopo il
quale non possono più essere utilizzati, per questo va sempre scritto sul flacone la data di apertura del
prodotto, in più devono essere conservati in ambienti idonei.
Per quanto riguarda lo strumentario, che ovviamente è sterilizzabile, dobbiamo tenere conto da quanto
tempo è confezionato e da quanto tempo è in reparto.
Altri aspetti di cui bisogna tener conto quando si parla di ambiente sono:
➢ Aspetti strutturali: inadeguatezza delle strutture architettoniche e dei servizi (ad esempio trovare
un’inadeguatezza che riguarda il percorso del pulito e dello sporco);
➢ Aspetti gestionali e funzionali dell’assistenza:
• Durata degenza, numero di persone che assistono lo stesso paziente;
• Procedure diagnostiche e terapeutiche invasive;
• interventi chirurgici;
• protocollo d’uso di antibiotici e disinfettanti;
Quando in ospedale si fa un errore, ci siamo chiesti perché succede? Magari perché il numero degli
operatori non è sufficiente; inoltre ogni reparto ha delle esigenze diverse quindi devo fare in modo che gli
operatori di quel reparto abbiano la “work ability” (un soggetto deve essere capace di lavorare in quel
determinato reparto e quindi formato in modo adeguato) ed essere numericamente proporzionati.
Anche la durata delle degenze e il contatto con operatori sanitari diversi rappresenta un fattore di rischio,
così come il difetto di comunicazione soprattutto nel cambio turno.
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Tutti questi aspetti mancano nella vita comunitaria ed ecco perché le infezioni, le vie di trasmissione e i
rischi a cui si è esposti sono diversi a seconda di dove ci troviamo.
Modalità di trasmissione
Le infezioni ospedaliere all’interno dell’ospedale si trasmettono come tutte le altre malattie infettive. Da una
parte vi è una sorgente di infezione (es: l’ambiente) e dall’altra un ospite recettivo (paziente), la
trasmissione può essere diretta o indiretta.
Sorgente di infezione → trasmissione (diretta o indiretta) → ospite (paziente, ecc.)
La sorgente di infezione rappresenta il sito in cui è contenuto l’agente eziologico vivo e virulento.
Si parla di agente eziologico e non solo di micropatogeno perché in ospedale purtroppo si trovano microbi
che normalmente in comunità non sono patogeni, ma che in ospedale diventano opportunisti causando
ugualmente la malattia. Quindi agente eziologico sta per microrganismo sia patogeno che opportunista).
Definiamo sorgente d’infezione quel soggetto che elimina all’esterno il microrganismo patogeno con la via
di eliminazione, questo entrerà nel soggetto sano tramite la via di penetrazione.
Le sorgenti d’infezione sono:
• Pazienti
• Personale
• Occasionalmente visitatori
• Ambiente
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Studi epidemiologici hanno dimostrato come la probabilità che il visitatore possa trasmettere l’infezione sia
rara ma possono comunque essere fonte di infezioni nosocomiali, specialmente se affetti da patologia
infettiva i cui agenti eziologici si trasmettono per via aerea.
Ma i veri responsabili dell’I.O. sono i pazienti e il personale (es: la presenza, tra il personale addetto alla
preparazione degli alimenti, di portatori di Staphylococcus aureus, di Clostridium perfringens, di Salmonella
spp. può determinare episodi epidemici di intossicazioni, tossinfezioni e I.O.)
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– Perché l’età è un fattore di rischio? Perché le due fasce estreme hanno una riduzione del
sistema immunitario, nel neonato è in formazione, nell’anziano non funziona più molto bene.
Per quando riguarda gli anziani, non è solo una questione di sistema immunitario, ma anche
per la presenza di malattie cronico degenerative.
• Sesso (scarsamente modificabile): Le donne sono più a rischio di sviluppare infezioni delle vie
urinarie (per via della loro fisiologia); gli uomini polmoniti.
• Stato nutrizionale (modificabile): è un fattore di rischio sia per eccesso (obesità) che per difetto
(Denutrizione: carenza di proteine, immunoglobuline, complemento). Aumentano il rischio infettivo
di 2-3 volte e determinano un ritardo nella guarigione delle ferite, con conseguente aumento
dell’ospedalizzazione e incremento delle complicanze chirurgiche.
• Gravi malattie di base (parzialmente modificabile): Le gravi malattie non sono un fattore di rischio
solo perché il paziente ha una compromissione del sistema immunitario, ma anche perché sarà un
soggetto che utilizza molti farmaci che spesso vengono prescritti in maniera errata (antibiotici,
chemioterapici e immunosoppressori). Tali farmaci possono causare dei dismocrobismi, cioè
un’alterazione dei commensali/microbi che appartengono alla flora personale.
Malattie di base: diabete, endocrinopatie, neoplasie, ustioni, deficit immunitario, splenectomizzate,
insufficienza epatica, poli-traumatismi.
• Stato di portatore nasale di staphylococcus aereus: questo patogeno è presente nelle narici del
20-30% degli individui sani. Di quasi il 60,7% colonizzato da ceppi MRSA.
Molti studi sottolineano l’associazione tra la presenza di questo microrganismo nel naso dei
pazienti prima dell’intervento e la susseguente comparsa di infezione (un pz ricoverato che è
portatore di STAPHYLOCOCCUS AEREUS senza saperlo, nel momento in cui subisce
un’operazione, si infetta in maniera endogena, quindi insorge un’infezione nosocomiale).
È molto importante questa problematica e infatti le nuove linee guida della CDC del 1999 dicono
che bisogna eradicare questi soggetti infatti ai nuovi operatori sanitari si fa il tampone. La profilassi
antibiotica perioperatoria con cefalosporine riduce soltanto la carica batterica ed è inefficace nei
confronti dei Meticillino-Resistenti (MRSA). Pertanto oltre alle misure igieniche preventive è
necessario, nei reparti a rischio, un protocollo mirato alla bonifica dei portatori nasali.
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come per esempio un catetere. Essendo fattori estranei innanzitutto innescano quel meccanismo di
autodifesa del sistema immunitario e in più danno la possibilità ai microrganismi di aderire e,
aderendo, di creare un biofilm e quindi l’infezione, per questo rappresentano un ottimale substrato per
la colonizzazione microbica.
• A causa del materiale di cui sono composti. Abbiamo:
– Cateteri in polietilene (possono causare flebite purulenta e flogosi del sito di inserzione:
eritema, edema, dolore e vena palpabile).
– Cateteri in poliuretano che oggi vengono maggiormente utilizzati in quanto hanno >
biocompatibilità, < colonizzazione microbica e <trombogenicità.
Dove possono proliferare questi microrganismi? Nel sito di infezione oppure dal sito di infezione i
microrganismi salgono lungo il lume e vanno a contaminare tutto quello che è il catetere fino a
causare una flogosi di tipo centrale. Oggi i cateteri che vengono maggiormente utilizzati sono in
poliuretano perché degli studi hanno dimostrato che il poliuretano rallenta la proliferazione microbica.
In più è stato dimostrato che è bio compatibile e cioè non stimola eccessivamente la reazione
dell’organismo e quindi diminuisce la patogenicità.
• Manipolazione e tempo di permanenza in sede: è importante che il catetere venga manipolato meno
tempo possibile e quindi solo nel tempo strettamente necessario al suo inserimento, che deve essere
effettuato con determinate condizioni di sterilità assoluta, rispettate in tutte le fasi.
Le ultime linee guida, raccomandano di tenerlo in sito meno di 3 giorni perché è stato dimostrato che
un catetere in terza giornata sviluppa batteiuria e cioè la colonizzazione.
Tenendolo meno di 3 giorni, nonostante il microbo sia presente, non raggiunge quella carica di
moltiplicazione necessaria a creare un’infezione.
Dunque: il rischio di infezione è basso se il catetere subisce poche manipolazioni ed è tenuto in situ
meno di tre giorni.
• Altri fattori di rischio estrinseci sono la respirazione assistita con intubazione endo- tracheale, (VAM) e
indagini invasive a scopo diagnostico (es. broncoscopie, biopsie etc.) e la tricotomia.
Inoltre ci sono reparti in cui la possibilità di contrarre una infezione ospedaliera è più elevata sia per la
qualità dei malati ricoverati, sia per le pratiche diagnostiche e terapeutiche che vi vengono effettuate.
Sono classificate come reparti ad alto rischio:
• Sale operatorie
• Reparti di T.I
• Centri per immaturi
• Centri per immunodepressi
• Centri per ustionati
• Centri per trapianto midollo osseo
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AMBIENTE OPERATORIO
La sala operatoria è un ambiente complesso, storicamente considerata “ad alto rischio infettivo” in quanto
in essa si registrano elevate valori di incidenza di infezione ospedaliera. La contaminazione batterica è
prevalentemente riconducibile a batteri aero dispersi (che poi sedimentano) la cui fonte può essere
rappresentata:
• Personale (equipe operatoria)
• Pazienti
• Carente funzionamento dell’impianto di VCCC (ventilazione e condizionamento a contaminazione
controllata che serve a mantenere sterile e costante l’aria dell’ambiente operatorio).
Il livello di contaminazione microbica nell’aria delle sale è direttamente proporzionale al numero di persone
che si muovono nella stanza (Quindi è legato anche alla presenza eccessiva di personale all’interno della
sala operatoria, dentro la quale può stare colo un certo numero di persone).
Per capire la qualità di quell’ambiente, e quindi se questi tre parametri si stanno correttamente applicando
necessitano dei campionamenti, che vengono svolti 1 volta al mese, per monitorare se quell’ambiente
mantiene le condizioni secondo le linee guida o meno.
I metodi adottati per il controllo microbiologico dell’aria ambientale si basano sui seguenti campionamenti:
• Campionamento Passivo:
– Impiego di piastre Petri di sedimentazione. Viene tolto il coperchio della capsula Petri
contenente il terreno di coltura agarizzato sterile, in modo che la superficie dell’agar rimanga
esposta all’aria per un tempo definite. Al termine si richiude la piastra e si procede
all’incubazione a 37 gradi per 48 ore e a 25 gradi per altre 24 ore (per I lieviti e muffe).
– Dopodiché’, Si conta il numero di colonie cresciute (se sono cresciute), ciascuna delle quali
rappresenta una particella trasportante microrganismi caduta sulla superficie di agar.
– I risultati vengono espressi nell’unità di misura: UFC (= unità formante colonia)/m2/ora (oppure
anche UFC/dm2/ora)
• Campionamento Attivo
– Attraverso l’uso di una apparecchiatura “SAS surface air system” portatile dove una quantità
misurata di aria è aspirata in un coperchio sotto il quale è collocata una capsula Petri
contenente terreno agarizzato.
– Le piastre petri vengono incubate a 37 gradi per 48 ore e a 25 gradi per altre 24 ore in
laboratorio (a seconda del terreno perché’ ci sono diversi: alcuni dove fa crescere tutti I
microrganismi ed invece ci sono quelli specifici (enterobatteri, lieviti e muffe)
– Le colonie cresciute sulla superficie dell’agar vengono contate e I risultati espresso in UFC/ m3
in rapporto al volume d’aria aspirato ed analizzato.
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Il campionamento (passivo/attivo) deve essere effettuato in 2 tempi nella stessa giornata per ciascuna sala
operatoria:
1. Sala operatoria vuota, pronta ad essere utilizzata per gli interventi (At-Rest). (dove è stata
sanificata, e dove ci troviamo con un impianto di ventilazione che viene ad essere accesso la sera
prima dell’intervento)
2. Sala operatoria in attività (operational), nelle immediate vicinanze del letto operatorio. (si deve
mettere l’apparecchio ad 1,5 m dal pz e di altezza)
Quindi confronto quello che prima ho (sala operatoria vuota) e poi faccio lo stesso prelievo nella stessa
giornata nel momento in cui inizia l’operazione.
Questo è quello che si osserva dentro l’apparecchio: una piastra petri + agar
(terreno di coltura) composto da 3 parti, Il terreno selettivo sarà sempre su
agar, il flusso è di 180 l/min e poi mettiamo l’apparecchio per 1,5 m di
altezza e dal pz.
All’interno del terreno di coltura mettiamo la piastra, chiudiamo il tutto, si
accende l’apparecchio e si lascia in Sala (In attività o meno) e usciamo.
Si aspetta che ci dia il segnale di aver aspirato l’aria, ed una volta che si è
chiuso lo prendiamo, togliamo la piastra, mettiamo il coperchio e la mettiamo
nella borsa frigorifica e continuiamo ad analizzare (aspettiamo 15 min).
Poi aspettiamo che inizi l’intervento e rifacciamo il tutto: mettiamo una nuova piastra sterile e attiviamo di
nuovo l’apparecchiatura, aspettiamo la rispettiva tempistica e poi ci prendiamo la piastra in laboratorio.
Ci sono dei valori di riferimento dove possiamo avere un flusso laminale o turbolento. Quindi:
• durante “at rest” (a vuoto) le colonie devono essere <35 unità formanti colonie u m3
• durante l’operazione= a 180 con flusso turbolento e con il flusso laminare < 20.
Questi parametri sono riferiti alla conta totale, quindi posso accettare questi valori, ma se esiste anche un
solo patogeno questi valori vengono alterati e non sono più considerati nella norma.
Cosa si fa nel momento in cui questi valori vengono superati? Si comunica e si danno I risultati sia al
reparto sia alla direzione sanitaria, essa andrà a controllare il perché’ non sono idonei mentre l’igiene
ospedaliera danno le prescrizioni, molte volte si nota che durante le operazioni ci sono le porte aperte della
sala operatoria, è chiaro che devono essere chiuse perché’ diventa uno scambio d’aria fra corridoio (che
presenta dei microbi) e S.O (sterile) oppure la contaminazione può venire perché’ l’impianto di ventilazione
non funziona quindi si controllano (generalmente sono I filtri che tendono ad essere sporchi). Quindi si
vanno a fare delle indagini per capire quale sia il problema cosi da poter risolverlo. Sennò ci sarà un alto
rischio di contaminazione dell’intervento.
Esiste un rapporto diretto tra durata dell’intervento e incidenza di infezione post-operatoria. Tra i vari
meccanismi, ipotizzati, responsabili, ricordiamo:
• Progressiva riduzione della resistenza locale dei tessuti a causa
- delle manipolazioni chirurgiche;
- dell’essiccamento e dell’esposizione all’aria;
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• Complicanze (anemia, shock) dirette responsabili della maggiore durata dell’intervento in grado di
compromettere i meccanismi di resistenza generali.
Più dura l’intervento più aumenta il rischio perché un pz durante l’operazione va ad esporre la cute aperta
all’aria, quindi è importante lo stato aereo, infatti in sala operatoria dovrebbero essere sempre cambiati i
filtri dell’aria in modo tale che essa non sia contaminata.
Non solo, l’organo da operare è soggetto a manipolazioni chirurgiche che causano l’essiccamento del
tessuto. Gli interventi, infatti, possono essere puliti, contaminati e sporchi. Anche le condizioni fisiche del pz
sono strettamente correlate ai fattori di rischio.
La tricotomia rappresenta una fonte d’infezione in quanto durante la procedura si possono creare delle
microlesioni che possono fungere da ingresso per i microrganismi. Dunque bisognerebbe:
– Eseguire la procedura con strumenti monouso evitando di lesionare la cute;
– Effettuarla solo nell’area strettamente necessaria;
– Effettuarla 2-4 ore prima dall’inizio della procedura chirurgica.
A causa della durata sempre più breve del ricovero (si è visto che il tempo di ricovero era fattore di rischio
per le infezioni ospedaliere) Infatti un ricovero in ospedale dura in media 3 giorni, sia perché in questo
modo si riduce la possibilità di contrarre infezioni sia perché un giorno di degenza a livello economico è
impegnativo e anche perché quando il pz torna a casa ha un confort maggiore.
Però è in aumento il numero delle infezioni ospedaliere che si manifestano dopo la degenza (l’ICA è una
infezione che avviene dopo 48 ore ma molte volte avviene anche dopo 72 h in relazione al periodo di
incubazione del microbo, ed il pz ritorna in ospedale e la dobbiamo considerare come infezione ospedaliera
no come una comunitaria). Infatti è stato segnalato che una percentuale variabile dal 19 al 66% delle
infezioni delle ferite chirurgiche si manifesta dopo la dimissione.
Le più mortali sono le batteriemie e le polmoniti, mentre le più morbose e frequenti sono le infezioni
urinarie e da ferita chirurgica.
Tuttavia, negli ultimi 15 anni si sta assistendo a un calo di infezioni urinarie insieme a quelle della ferita
chirurgica e a un aumento delle batteriemie e delle polmoniti.
L’aumento delle infezioni sistemiche è la consegna di un graduale aumento dei fattori di rischio specifici, in
particolare l’uso abbondante di antibiotici e di cateterismi vascolari. Questo perché purtroppo si abusa
dell’antibiotico e si verifica il fenomeno della resistenza antibiotica che alla sua volta portano a verificarsi
delle setticemie ma anche perché sono aumentate le procedure invasive, esempio: l’allungamento della
vita e questo significa avere soggetti anziani vivi ma con pessime condizioni di vita, magari attaccati ad una
macchina e con accessi vascolari che vanno ad aumentare la possibilità di polmoniti e setticemie.
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Il calo delle infezioni urinarie è dovuto anche al fatto che noi oggi non mettiamo il catetere a tutti, ma solo a
necessità (le nuove linee guida, indicano di metterlo soltanto al bisogno e qualora fosse inserito, di tenerlo
non più di tre giorni, ovviamente quando questo è possibile)
Le UTI sono delle infezioni endemica ossia che sono sempre presenti in ospedale. Questo perché in tutti gli
ospedali quasi a tutti i pz viene messo un catetere.
Epidemico significa che io ho più casi contemporaneamente in un piccolo lasso di tempo.
Il veicolo comune quale può essere? Strumenti, soluzioni disinfettanti contaminate, oppure tutto cio’ che
viene contaminato dalle mani degli operatori (che non mette in atto le regole igieniche).
Il catetere urinario viene considerato una procedura invasiva, giacche’ si introduce nell’organismo un corpo
estraneo (non self) che può essere attaccato dal proprio sistema immunitario come può essere colonizzato
da microbi e creare sulla faccia del catetere una matrice extracellulare (BIOFILM).
Infatti nel 80% dei casi le infezioni del tratto urinario avvengono per l’inserimento del catetere vescicale, il
restante 20% è dovuto agli strumenti urologici che si utilizzano (questi strumenti devono essere sempre
sterili; ciò significa che anche l’operatore deve essere sterile).
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Fattori di rischio non modificabili:
✓ Sesso femminile
✓ Età avanzata
✓ Gravi malattie
Fattori di rischio modificabili:
• Tipo e durata del cateterismo: mantenere il catetere altri giorni in più aumenta la % di probabilità di
infezione ospedaliera
• Procedure inserzione
• Mantenimento del catetere (rischio giornaliero varia dal 3% al 7% se il c. rimane in situ)
• Nel Sistema aperto il 100% dei casi dopo il 4 giorno c’è rischio di batteriuria
• S.a drenaggio chiuso (unico circuito che non può essere disconnesso nelle sue parti) non appare
nella 4ta giornata ma entro 30 gg (10-25% dei casi)
Vie urinarie: secondo uno sei criteri del CDC 1988, USA per parlare di infezioni delle vie urinarie
sintomatologiche è necessario che vi sia la presenza di almeno uno dei seguenti sintomi/segni, in assenza
di altri possibili cause:
- Febbre (+ 38 C)
- Urgenza a urinare
- Pollachiuria
- Disuria
- Tensione sovra pubica
La diagnosi viene effettuata tramite uricoltura, dove appunto ci rendiamo conto che microrganismo è
presente nella urina, di conseguenza facciamo anche fare l’antibiogramma e si tratta con gli antibiotici
specifici per quel microbo.
Come arrivano questi microrganismi nel tratto urinario? Essi possono avere accesso alla vescica:
1) Al momento dell’inserzione del catetere: l’uretra è, infatti, normalmente colonizzata, soprattutto
nella parte distale. L’inserzione del catetere può provocare la risalita di germi in vescica.
2) Attraverso il lume del catetere: il catetere a permanenza può essere manipolato e aperto in modo
scorretto, con conseguente possibile ingresso di microrganismi. Ciò si verifica se: il catetere viene
disconnesso dalla sacca, il prelievo di urine dal catetere viene fatto non in asepsi, il rubinetto di
svuotamento della sacca di drenaggio viene effettuato non in asepsi. Sempre si deve manipolare in
condizioni di sterilità!
3) Sulla superficie esterna del catetere: Microrganismi presenti a livello del meato uretrale possono
risalire lungo lo spazio tra catetere e mucosa uretrale.
4) Dopo la rimozione del catetere: microrganismi che hanno colonizzato l’uretra durante la
cateterizzazione, possono risalire in vescica successivamente alla rimozione del catetere.
Misure preventive
✓ Il lavaggio delle mani o frizione con soluzione alcoliche prima e dopo la manipolazione del catetere;
✓ Utilizzare una tecnica asettica durante la manipolazione e disinfettare il catetere prima della
disconnessione.
La prevenzione delle IVU può essere realizzata in tre diverse fasi:
1) Prevenzione della cateterizzazione: oggi il catetere si deve mettere esclusivamente al bisogno e si
deve togliere il prima possibile
2) Una volta che il catetere sia stato posizionato, prevenzione della batteriuria: dal momento in cui lo
devo mettere, faccio in modo che non si infetti quindi presto attenzione a tutte e 4 le fasi, utilizzando
per di più un catetere in poliuretano e uso il ciclo chiuso.
3) Una volta che si verifichi la batteriuria, prevenzione delle complicanze: quindi tramite la diagnosi, si
effettua una urino cultura, si realizza un antibiogramma e si somministrano gli antibiotici specifici.
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Tra i principali fattori che favoriscono lo sviluppo di I.U.V. associate a cateterismo vi è la suscettibilità
intrinseca del catetere alla contaminazione.
Negli ultimi anni, inoltre, è stato messo in evidenza come alcuni patogeni urinari, quali Pseudomonas e
Proteus, abbiano la capacità di produrre una matrice extracellulare di glicocalice batterico che consente
loro di aderire alla superficie plastica del catetere.
nota: le infezioni del tratto urinario sono morbose (le più frequenti) e le meno mortali a meno che si
trasformino in setticemie!
Le infezioni del sito chirurgico, avvengono in seguito ad un intervento chirurgico e quindi dipende
esclusivamente da quello che si fa durante l’operazione stessa, se non c’è l’operazione chirurgica non può
esserci l’infezione. Tutti gli operatori sanitari eseguire manovre sterili per non far infettare la ferita.
La maggior parte delle infezioni della ferita chirurgica viene acquisita durante l’intervento, ed è proprio per
questo che sono prevenibili perché il tutto dipenderà dal nostro operato e dipenderà anche dalla tipologia di
intervento eseguita.
Infatti, a seconda del tipo di intervento, la percentuale di presenza di questa infezione del sito chirurgico
cambia, e dipende anche dalla tipologia di questo tipo di intervento (pulito-contaminato-sporco).
Infatti in questa slide possiamo vedere come le % di infezioni cambiano in relazione alla tipologia di
intervento che eseguiamo, passando da una % bassa ad una + alta a seconda della tipologia di intervento
stesso.
LINEE GUIDA
Facciamo riferimento alle linee guida per la prevenzione del sito chirurgico della CDC (centers for disease
and prevention) e vengono definite anche con la sigla SSI (Surgical Site Infection) in relazione all’acronimo
in inglese.
Le infezioni del sito chirurgico possono essere: superficiali, profonde, da organo/area.
1. SSI incisionali superficiali: infezioni che si verificano entro i 30 gg successivi all’intervento e riguarda
solo il tessuto cutaneo o sottocutaneo dell’incisione;
Questo aggiunto alla presenza di una delle seguenti caratteristiche:
• Drenaggio purulento dalla superficie dell’incisione con o senza conferma di laboratorio.
• Microorganismi isolati da una coltura praticata in modo asettico, ottenuta o dal liquido o dal
tessuto o dal pus derivati dall’incisione superficiale;
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• Presenza di almeno uno di questi segni o sintomi di infezione: dolore o tensione, gonfiore
localizzato, arrossamento, calore e l’incisione superficiale è deliberatamente aperta dal chirurgo
a meno che l’incisione non presenti un culturale negativo.
• Diagnosi di SSI superficiale incisionale eseguita da un chirurgo o da un medico curante. (perché
molte di queste ferite si notano a casa, per cui il medico andrà ad indicare una ricerca culturale
ed eventualmente rimanderà il pz in ospedale).
Invece, le seguenti condizioni non depongono per una SSI:
• Sutura con ascesso (infiammazione minima e suppurazione confinata al punto di penetrazione)
• Infezione di una episiotomia o di un sito di circoncisione di un neonato.
• Infezione di un’ustione.
• SSI incisionale che si estende alle fasce e agli strumenti muscolari (SSI incisionali profonde).
2. SSI incisionali profonde: infezione che si verifica entro 30 giorni dall’intervento (se non viene lasciata
in situ una protesi) o entro un anno (se è stata posizionata una protesi e l’infezione appare correlata
con l’intervento) E coinvolge i tessuti molli sottostanti l’incisione (es. fasce e piani muscolari);
Questo aggiunto alla presenza di almeno uno delle seguenti condizioni:
• Drenaggio purulento di un’incisione profonda ma non da un organo/area facente parte del sito ch.
• Un’incisione profonda spontaneamente dei scendente o aperta deliberatamente dal chirurgo
quando il paziente manifesta almeno uno dei seguenti segni o sintomi: febbre maggiore a 38°,
dolore localizzato, tensione, a meno che il sito abbia un culturale negativo.
• Ascesso o altra evidenza di infezione coinvolgente il piano profondo dell’incisione, individuati
all’osservazione diretta, durante un reintervento, o un esame istopatologico o radiologico (ad es.
nel momento in cui abbiamo un ascesso a distanza di tempo incapsulato nel tessuto profondo.
Può vedersi attraverso l’esame radiologico o istopatologico.)
• Diagnosi SSI incisionale profonda posta da un chirurgo o da un medico curante.
Note:
considerare come SSI incisionale profonda un’infezione che coinvolge sia la superficie profonda che
dell’incisione; considerare come SSI incisionale profonda un’infezione di un organo/Area che drena
attraverso l’incisione.
3. SSI di organo/area: infezione che si manifesta entro 30 giorni dall’intervento (se nessuna protesi è
stata posizionata) o entro un anno (se è stata posizionata una protesi e l’infezione appare correlata con
l’intervento) e interessa la regione anatomica (es. organi o aree) al di fuori dell’incisione, che è stata
aperta o manipolata durante l’intervento;
Questo più presenza di almeno una delle seguenti caratteristiche:
• Secrezione purulenta di un drenaggio posto nella regione anatomica dell’intervento. (se l’area
intorno all’incisione per cui passa il drenaggio diviene infetta, non si parla di SSI. Viene considerata
un’infezione della cute o dei tessuti molli, originata in profondità.)
• Isolamento di microrganismi da una cultura fatta asetticamente o da un liquidò o da un tessuto
nell’area o nell’organo.
• Un ascesso o altra evidenza di infezione coinvolgente l’organo o area che è individuata all’esame
diretto, durante il reintervento o durante un esame istopatologico o radiologico.
• Diagnosi di SSI di un organo o area posta da un chirurgo o da un medico curante.
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CLASSIFICAZIONI DELLE FERITE IN RELAZIONE ALL’ORGANO
Ci sono vari tipi di classificazioni del sito chirurgico quelle prima elencate vanno a seconda della profondità
dove appunto questa infezione viene trovata, ma possiamo anche dividerla come classificazione specifica
per organo o per area. Quindi noi diremo che abbiamo:
- Un’infezione arteriosa o venosa.
- Ascesso mammario o mastite.
- Spazi discali.
- Orecchio, mastoide.
- Endocardite.
- Endometrite.
- Occhio, oltre a congiuntiviti.
- Tratto gastrointestinale.
- Intra addominale, non altrimenti specificato.
- Intracranico, ascesso celebrale o della dura madre.
- Articolazioni e borse.
- Mediastiniti.
- Meningiti o ventricoliti.
- Miocarditi o pericarditi.
- Cavità orale (bocca, lingua, gengiva).
- Osteomielite.
- Altre infezioni delle basse vie respiratorie.
- Altre dell’apparato genitale maschile o femminile.
- Sinusiti.
- Ascessi spinali senza meningite.
- Tratto respiratorio superiore.
- Vagina.
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MICROORGANISMI PIÙ FREQUENTEMENTE PRESENTI
Per ogni localizzazione è anche importante sapere i microorganismi più frequentemente presenti nel tipo di
intervento che andiamo ad eseguire.
Quando si parla di interventi di posizionamento protesi o impianti, i patogeni che più frequentemente
troviamo sono gli Stafilococchi (sia l’Areus sia Coagulasi negativi). Stessa cosa vado a trovare nella
Cardiochirurgia, Neurochirurgia, Chirurgia della mammella.
Invece, in ortopedia, accanto alla presenza degli Stafilococchi noi abbiamo la presenza dei Gram -; (gli
stafilococchi sono sempre presenti perché la loro presenza dipende dalle manipolazioni e come sappiamo
un intervento chirurgico non può essere eseguito senza manipolazione).
Nelle chirurgie oftalmiche oltre agli stafilococchi (aures coagulasi -) trovo gli Streptococchi ed i Gram -.
Nella chirurgia toracica non cardiaca, troviamo sempre gli stafilococchi, lo streptococco Pneumoniae, ed
i Gram-.
Nella chirurgia vascolare trovo gli Stafilococchi.
Nelle vie biliari, nel colon posso trovare non solo tutta la serie di Gram -, ma anche gli Anaerobi
(enterobatteri/pseudomonas).
Nella chirurgia del tratto gastroduodenale trovo gli Gram -, Streptococco, Anaerobi.
Nella chirurgia di capo e collo trovo gli Stafilococchi, Streptococco ed Anaerobi.
Per cui molto frequentemente nelle infezioni del sito chirurgico trovo gli Stafilococchi, ed a seconda della
zona e del tipo di intervento possiamo trovare anche i Gram -, gli streptococchi e gli anaerobi, e sarà
importante capirne le differenze. Tra questi ci sono anche quei germi che sono antibiotico resistenti,
quando vi è la presenza di Gram – multiresistente o SDL ovvero resistente a tutte le beta-lattamasi la cosa
diventa più seria, perché da 1 infezione del sito chirurgico (che è abbastanza frequenza come infezioni
nosocomiali) si può passare alla setticemia perché essendo resistente va in circolo diventa un’infezione
sistemica ed aumenta il tasso di mortalità.
ANTIBIOTICO PROFILASSI
L’antibiotico si divide in
• chemio profilassi/antibiotico profilassi (prevenzione primaria);
• Antibiotico come cura (prevenzione terziaria).
L’antibiotico profilassi rappresenta il 25% del consumo totale ospedaliero di antibiotici. Con questo
termine si intende la somministrazione dell’antibiotico nell’immediato preoperatorio solo se il paziente non
presenta infezioni in atto.
Lo scopo principale è la prevenzione delle complicanze infettive, facendo in modo che, sia durante
l’incisione sia durante tutta la durata dell’operazione, l’antibiotico possa evitare la proliferazione di
microrganismi patogeni. Esso viene somministrato per via endovenosa e l’infusione della dose iniziale
viene generalmente effettuata quando si induce l’anestesia in modo che sia raggiunta la concentrazione
battericida del farmaco nel siero e nei tessuti nel momento dell’incisione cutanea. La sospensione
dell’antibiotico deve avvenire entro le 24h.
A questa pratica è correlata anche l’antibiotico resistenza, data quasi sempre dall’abuso di tali farmaci.
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Profilassi antibiotica in chirurgia
• Questa profilassi è diretta verso i più probabili microorganismi infettanti. Ecco perché è necessario
capire quali sono i microorganismi più frequenti durante l’intervento, ma anche quelli maggiormente
presenti all’interno della propria azienda dunque parliamo di epidemiologia locale;
• La profilassi dev’essere fatta strettamente nel peri-operatorio: viene eseguita nel pre-intervento (inclusa
l’anestesia), la sua azione deve perdurare per tutto l’intervento, ed è importante eseguirne la
sospensione entro le 24h.
• Inoltre la profilassi dev’essere eseguita valutandone rischi/benefici: (rischio di infezione, effetti
indesiderati dei farmaci, sviluppo delle resistenze batteriche).
Strategie di prevenzione
Il primo passo è l’AUTOVALUTAZIONE. L’operatore deve porsi 3 domande:
• “Cosa sto facendo?”: preparo il paziente per l’intervento chirurgico.
• “Quali sono i rischi?”: Posso scambiare il paziente, posso scambiare lato (braccio dx invece che il
sx), eseguire una procedura non corretta, malfunzionamento attrezzature, dispositivi medici non
presenti, protesi non corrette.
• “Come controllo i rischi?”: rispetto le procedure di sicurezza, svolgo i test di verifica, utilizzo la check
list chirurgica (tutte le domande prima e dopo dell’intervento).
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In fase post operatoria, le infezioni possono essere acquisite attraverso i drenaggi chirurgici o, nel caso di
infezioni non ancora rimarginate al momento della medicazione, quindi dovute soprattutto in caso di
manipolazione attraverso le mani dell’operatore.
Quindi le più comuni fonti per l’infezione chirurgica sono:
• Flora cutanea del paziente.
• Tessuti dell’ospite infetti o contaminati nel corso di interventi.
• Mani del personale.
• Drenaggi chirurgici.
Quindi tutto dev’essere fatto (soprattutto la manipolazione) in maniera sterile.
POLMONITE NOSOCOMIALE
La polmonite nosocomiale (HAP: Hospital-Acquired-Pneumonia) è un’infezione del parenchima polmonare
che insorge dopo 48 ore dal ricovero, nei pazienti non intubati. Le HAP includono sia le polmoniti contratte
in terapia intensiva (ICUAP) sia quelle contratte nei reparti per acuti (NIAP), anche se la maggior parte di
tali infezioni risultano acquisite in terapia intensiva.
Fattori di rischio per NIAP:
• Età
• Comorbidità
• Insufficienza Renale cronica
• Anemia
• Neoplasia
• Mal nutrizione
• Alterazione dello stato di coscienza
• Ospedalizzazione ripetute
• Chirurgia toracica
• Inibitori di pompa protonica
Fra le polmoniti nosocomiali abbiamo anche la polmonite causata dalla ventilazione assistita (VAP:
Ventilator- Associated Pneumonia) che insorge dopo 48-72 ore dall’intubazione endotracheale. I pazienti
che vengono intubati a causa di una HAP devono essere considerati come affetti da VAP.
La HAP e VAP rappresentano una causa frequente di infezione nosocomiale, rispettivamente del 20% e
del 25%, e sono associate ad un’elevata percentuale di mortalità, soprattutto in presenza di patogeni multi
resistenti (nella maggior parte dei casi sono di origine batterica).
Essendo patogeni multi resistenti o non abbiamo la cura o la troviamo in ritardo quindi aumentano i giorni
delle degenze e le condizioni dei pazienti.
Nel 2016 sono state redatte le nuove linee guida di HAP e VAP, implemntate congiuamnet da IDSA (the
Infectious Diseases Society of America) e ATS (American Thoracic Society), pubblicate sulla rivista
Clinical Infectious Diseases.
Tutte le raccomandazioni presenti nelle linee guida, rappresentano un compromesso tra due esigenze:
• quella di assicurare una copertura antibiotica efficace in tempi precoci, evitando trattamenti superflui
che porterebbero alle infezioni da C. difficile, all’emergere del fenomeno dell’antibiotico-resistenza
• L’aumento dei costi associati al trattamento.
Le nuove linee guida del 2016 raccomandano cicli di antibiotico-terapia non superiore ad una
settimana, indipendentemente dall'agente eziologico, ovviamente nei pazienti che beneficiano di un
miglioramento clinico con il trattamento impostato. Questa raccomandazione si basa su due meta-analisi
che dimostrano che non ci sono differenze in termini di mortalità, fallimento terapeutico, polmoniti ricorrenti
o durata della ventilazione meccanica, tra regimi di terapia antibiotica di breve durata (7-8 giorni) e di lunga
durata (10-15 giorni).
Che ciascuna struttura ospedaliera possa fornire un antibiogramma locale, ovvero che si venga a
conoscenza delle resistenze che si sviluppano nei vari nosocomi e che ci si basi sull’epidemiologia locale
delle infezioni. L’antibiogramma dovrebbe essere specifico per i pazienti ricoverati nelle terapie intensive, e
dovrebbe essere aggiornato regolarmente. Lo scopo è quello di individuare i patogeni specificamente
associati a HAP e VAP per assicurare tempestivamente un adeguato trattamento, cercando di minimizzare
gli abusi di terapia antibiotica e gli effetti collaterali.
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La terapia empirica dovrebbe essere basata sull’epidemiologia locale delle infezioni, sulla presenza o
meno di fattori di rischio per lo sviluppo di HAP/ VAP da MDR e dalla presenza di shock settico o necessità
di supporto ventilatorio per la polmonite, che aumentano a loro volta il rischio di mortalità.
In ambito medico la terapia empirica è un trattamento basato sull’esperienza e, più in particolare, una
terapia iniziata sulla base di un’ipotesi clinica in assenza di informazioni complete o esaustive.
I batteri possono invadere il tratto respiratorio inferiore attraverso quattro meccanismi fondamentali:
– Aspirazione di batteri colonizzanti il tratto orofaringeo o gastrico: sappiamo che il tratto orofaringeo, cosi
come quello gastrico è colonizzato da tantissimi microrganismi, magari commensali, che per
aspirazione vanno in un’altra sede e mi vanno a determinare un’infezione. Come nel caso dell’auto
infezione che proviene da un altro tratto del corpo del paziente stesso;
– Inalazione di aerosol contenente batteri.
– Diffusione ematogena di batteri da una localizzazione remota. I batteri presenti in un determinato
distretto arrivano al sangue, che poi arriva ai polmoni causando polmonite. Caso meno frequente
rispetto ad altri.
– Traslocazione batterica dal tratto gastrointestinale: Ipotesi più recente e caso più frequente; dal tratto
gastrointestinale risalgono microrganismi ai polmoni determinando polmonite nocosomiale.
La maggior parte dei casi di HAP e VAP sono di origine batterica. Le infezioni polmonari nosocomiali
vengono comunemente causate da batteri aerobi Gram- o da cocchi Gram. L’incidenza di infezioni da L.
pneumophila varia notevolmente nelle diverse casistiche. L’eziologia poli microbica è frequente nelle
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VAP. Il 15% di tutti i decessi per infezione ospedaliera è riconducibile alla polmonite ospedaliera. I
microrganismi responsabili sono:
• Pseudomonas;
• Enterobatteriacea;
• K. Pneumoniae;
• E.Coli, S. marcescens, enterobacter spp (60%);
• S. aereus (13-40%);
• Batteri anaerobi (35%).
Il 15% di tutti i decessi per IO e’ direttamente riconducibile ad una Polmonite ospedaliera. La frequenza
maggiore delle infezioni è causata dagli enterobatteri, ecco perché oggi si pensa che la causa principale
della polmonite sia la traslocazione batterica dal tratto gastrointestinale, perché gli enterobatteri, come noi
sappiamo sono commensali nel tratto gastrointestinale, ma poi vi è una risalita. È chiaro che la causa può
essere rappresentata dagli altri microrganismi, ma quella più frequente è rappresentata dagli enterobatteri.
I “big killers”, I batteri resistenti e letali in questo setting di criticità sono da ricercarsi:
• Stafilococco aureo meticillino-resistente (MRSA)
• Produttori di beta lattamasi ad ampio spettro (ESBL, in particolari ceppi di Escherichia coli) e
Pseudomonas aeruginosa.
Questi batteri sono tipicamente associati alla permanenza in strutture ospedaliere e/o alle pregresse
terapie antibiotiche.
Polmoniti post-operatorie
Per prevenire:
• Mobilizzare precocemente il paziente se le condizioni cliniche lo permettono. Se le condizioni
cliniche lo permettono, il paziente deve essere mobilizzato prima possibile perché, mobilizzandolo si
mettono in attivo una serie di movimenti che non permettono il ristagno nei polmoni;
• Educare il paziente a tossire, per evitare risalite di microrganismi dal tratto gastroenterico;
• Controllare il dolore post-operatorio, quindi effettuare la terapia del dolore. Principalmente viene
effettuata per due motivi:
1) Per etica, non far soffrire il paziente;
2) Per prevenzione, quando il paziente ha dolore fa dei movimenti sbagliati che possono creare un
danno ai polmoni.
Misure preventive:
• Sterilizzazione o disinfezione ad altro livello di attrezzature e dispositivi;
• Corretta gestione dei circuiti ventilatori; es: lavare le mani prima e dopo le procedure di manipolazione
dei circuiti, utilizzo di acqua sterile per risciacquare i dispositivi semicritici (es. maschere per ossigeno)
• Sondini sterili monouso;
• Eliminare la condensa dai circuiti dei ventilatori facendo attenzione che non defluisca verso il paziente,
perché dentro questa condensa ci potrebbe essere un microbo, quindi è un rischio, in quanto se
defluisce mi torna ai polmoni creando polmonite nocosomiale.
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Caratteristiche:
• La polmonite nosocomiale è comune anche nei reparti non intensivi, ed è gravata di una considerevole
mortalità e morbilità.
• La diagnosi di polmonite nosocomiale può essere difficoltosa a causa di presentazioni atipiche
• Esistono fattori di rischio modificabili che andrebbero presi in considerazione al fine di ridurre il rischio
di polmonite nosocomiale
• Come per le altre polmoniti nosocomiali (VAP, ICUAP), le polmoniti nosocomiali acquisite in reparti non
intensivi sono spesso causate da germi resistenti, per cui è opportuna una gestione multidisciplinare
SETTICEMIE
L'Italia conta il 30% di tutte le morti per sepsi nei 28 paesi UE. Con setticemia o sepsi identifica un’infezione
batterica che, partendo da un'infezione localizzata, come per esempio da catetere vescicale o venoso, o da
una ferita chirurgica- si dissemina nel Circolo sanguigno e da qui colpisce i vari organi. Attraverso il torrente
circolatorio, quindi, il batterio che ha generato l'infezione dà luogo a un’infezione chiamata sistemica perché
coinvolge tutto l'organismo.
– È una risposta Anomala ed esagerata del nostro corpo ad un’infezione (anche banale) che può
provocare danni ad uno o più organi (setticemia).
– È una patologia che ogni anno fa più vittime dell'infarto e per riuscire a ottenere un miglioramento
della mortalità c'è bisogno di una collaborazione multidisciplinare all'insegna della tempestività
– Da qui l'esigenza di una formazione mirata e stratificata sui diversi specialisti, dal medico
all’infermiere, per avere un occhio allenato nel riconoscimento dei segnali sentinella, non sempre
facile individuare.
– Le figure di regia rimangono il medico d’urgenza, quelli dei differenti reparti degenza (internisti o
chirurghi), e gli specialisti della rianimazione, dove vengono curati i casi più gravi.
Le setticemie sono soprattutto causate all'inserzione di cateteri intravascolari (periferici, centrali, arteriosi).
Rappresentano il 5% delle infezioni ospedaliere e il 75% dei casi si verificano in unità di terapia intensiva.
La trasmissione più frequente sono le mani.
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Le infezioni associate al cateterismo vengono definite CRBSI
L’utilizzo di ognuno di questi dispositivi può essere potenzialmente complicato da un'infezione batteriemica.
Le infezioni batteriemiche correlate al catetere (CRBSI), associate all'impianto dalla gestione dei cateteri
venosi centrali, sono tra le complicanze iatrogene potenzialmente più pericolose. I pz più a rischio sono:
• Quelli in terapia intensiva, data la frequente inserzione di cateteri multipli (urinario, ventilazione
assistita) e la frequenza di inserzioni di tale tipo di dispositivo in condizioni di emergenza, ma dato
che la maggior parte dei pazienti con catetere venoso centrale sono ricoverati in reparti diversi dalla
terapia intensiva, il numero di batteriemie attribuibile al catetere in pazienti non critici è aumentato
• I pazienti con un profilo di rischio più alto, come i malati cronici e quelli più fragili con un sistema
immunitario indebolito
• I pazienti con insufficienza renale o epatica, i pazienti, quelli immunodepressi o patologie
oncologiche, sono questi casi a cui dobbiamo prestare particolarmente attenzione.
Fattori di rischio
• La durata prolungata del Ricovero prima ed inserzione del catetere
• La somministrazione terapia endovenosa
• La durata prolungata del credere stesso
• La colonizzazione del sito di inserzione e del raccordo (hub), l'inserzione nella giugulare interna e
nella succlavia
• La neutropenia, la piastrinopenia, la somm. di nutrizione parenterale totale ad elevata osmolarità
• Pratiche di inserzione gestione del catetere non aderenti agli standard su pazienti già critici con
impoverimento del patrimonio venoso stesso
• L’inserzione in determinati siti a maggior rischio di infezione
• Cute non correttamente detersa o esecuzione scorretta del lavaggio delle mani da parte degli
operatori
• Materiale del catetere
• Presenza di microrganismi multi-resistenti (non c’è cura, il pz muore)
Prevenzione
• Con i vaccini, in base alle raccomandazioni del Ministero della Salute
• Giusta attenzione all'igiene delle mani ed eventuali ferite
• Uso corretto (e non abuso) degli antibiotici
• Attenzione ai pazienti a rischio
• Controllare le epidemie
I sintomi che devono allertare sono malessere generale, difficoltà respiratoria, pressione bassa, svenimenti,
riduzione della diuresi, gonfio, confusione e disorientamento, in questi casi Bisogna contattare
tempestivamente il medico curante o recarsi in ospedale.
I microrganismi in presenza di superfici umide aderiscono e si organizzano tra di loro in biofilm grazie alla
presenza di nutrienti su queste superfici. Dunque non solo il microrganismo presente sul catetere viene
riconosciuto come not-self ma addirittura l’umidità fa in modo che le cellule batteriche aderiscano alla
parete del catetere e vadano a proliferare in modo irreversibile. Una volta che i microrganismi iniziano a
proliferare inizieranno a comunicare tra di loro all’interno del biofilm attraverso un segnale chimico
chiamato “QUORUM SENSING”. I batteri che non producono tali segnali non sono in grado di formare
biofilm e quindi diventano più facilmente attaccabili e dunque facilmente disgregabili.
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Il biofilm ha una matrice di natura proteica e polisaccaridica che prende il nome di slime o glicocalice, che
ne costituisce 2/3, mentre il restante terzo è formato da una singola o diverse specie batteriche.
All’interno del biofilm esiste una fitta rete di canali attraverso cui vengono veicolati di nutrimenti e asportati i
prodotti di scarto quali scorie e metaboliti, in quanto i batteri per proliferare hanno bisogno di nutrienti e di
conseguenza attuano un processo di eliminazione delle scorie.
I batteri una volta che aderiscono si moltiplicano e man mano che si moltiplicano vengono selezionati
dentro il biofilm e da li può iniziare uno stato di sepsi. I microrganismi che sono produttori di slime sono solo
alcuni, come gli Stafiloccochi coagulasi+ e coagulasi-, Enterococchi fecali, Glebsiella penumoni,
Pseudomonas aeruginosa, Candica albicans; I batteri che non sono in gradi di aderire e colonizzare la
superficie batterica prendono il nome di planctonici e restano nell’ambiente.
Una volta inserito il catetere esso può essere infettato varie fasi: iniziazione, durante il mantenimento,
eliminazione. Ecco perché le ultime linee guida e i protocolli consigliano che i cateteri di qualunque natura
si devono mettere esclusivamente se NECESSARI, soprattutto quando si parla di cateterismo delle vie
urinarie.
Nel momento in cui si crea un’infezione, ad oggi, non si da solo importanza all’antibiogramma ma viene
effettuata un’analisi genotipica dei microrganismi che ci permette di fare prevenzione su quelle che sono
le probabili epidemie. Dunque si attenziona un microrganismo e si valuta se esso si ritrova in un altro
paziente: in questo caso vuol dire che c’è stata una trasmissione di tipo nosocomiale.
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STRATEGIE DI PREVENZIONE E CONTROLLO DELLE INFEZIONI CORRELATE ALL’ASSISTENZA.
La prevenzione è un elemento fondamentale che permette di ottenere la sicurezza del paziente.
Non si può riconoscere un ospedale di eccellenza dove vengono garantiti degli accreditamenti se ha un
alto tasso di infezioni ospedaliere, perché la sicurezza del paziente è una componente strutturale dei LEA
(livelli essenziali di assistenza-obiettivo 5) in quanto il mantenimento della salute è un concetto essenziale
della nostra costituzione. Quindi è un aspetto fondamentale del governo clinico nell’ottica del miglioramento
della qualità dei servizi offerti, è fondamentale il continuo miglioramento della qualità dei servizi offerti al
paziente secondo le ultime evidenze scientifiche, cioè tutto ciò che noi facciamo lo dobbiamo fare in
funzione delle ultime evidenze scientifiche alla base anche dell’aggiornamento degli ultimi protocolli, le
ultime linee guida e le ultime procedure.
Non tutte le infezioni correlate all’assistenza sono prevenibili ma noi dobbiamo sorvegliare selettivamente
quelle che sono attribuibili a problemi della qualità dell’assistenza. Si possono prevenire le infezioni
associate a determinate procedure attraverso:
• La sorveglianza delle ICA è una strategia che deve essere fatta sia a livello locale che nazionale,
ogni singola azienda deve avere una propria sorveglianza che permetta di valutare la qualità
dell’assistenza erogata.
• Riduzione delle procedure non necessarie ad esempio il cateterismo vescicale una volta era una
procedura che si faceva come prassi per tutti i pazienti che entravano in ospedale adesso non è più
così e si avvia il cateterismo solo in presenza di reale necessità
• Scelta di presidi più sicuri se ritorniamo al cateterismo il materiale del catetere rappresenta la scelta
più sicura, ad oggi si usa il poliuretano
• Procedure igienico-sanitarie: La possibilità di prevenire il 70% queste ICA è fortemente correlata a
procedure igienico-sanitarie di ampia diffusione, ossia:
– Lavaggio delle mani
– Rispetto asepsi nelle procedure invasive, tutte le procedure invasive devono essere condotte
in assoluta sterilità dall’inizio alla fine e ovviamente durante il mantenimento.
– Disinfezione e sterilizzazione dei presidi sanitari
• Elemento essenziale è anche la promozione della work ability, la scienza è sempre in evoluzione e
tutti gli operatori dovrebbero fare dei corsi di formazione che illustrassero le ultime evidenze
scientifiche e i comportamenti da attuare. Bisognerebbe:
– Promuovere comportamenti adeguati nel personale, in particolare promuovere il lavaggio
delle mani, il vestiario, l’assunzione di cibi e bevande, l’igiene personale.
– Promuovere comportamenti adeguati nei degenti e nei pazienti ambulatoriali, sia in camera
che negli ambienti comuni.
– Promuovere comportamenti adeguati nei visitatori, con particolare riferimento ai percorsi, agli
orari e ai contatti con i ricoverati.
– Formazione ed informazione permanente di tutto il personale, in particolare di quello che
opera a contatto con i pazienti a rischio.
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➢ Uso prudente e razionale degli antibiotici
1.SORVEGLIANZA
Un elemento fondamentale che dobbiamo riconoscere è che per fare prevenzione dobbiamo attuare degli
interventi concernenti alla nostra pratica clinica quotidiana tra cui:
• I protocolli e le linee guida ci indicano come operare ogni giorno nei singoli reparti quindi diventa
essenziale stilare protocolli terapeutici e assistenziali secondo quanto previsto da linee guida nazionali
e internazionali. L’obiettivo è assicurare al paziente la migliore salute possibile secondo le evidenze
scientifiche e basata su una rete europea a cui dobbiamo fare riferimento perché è una piramide a cui
ci si aggancia, ogni azienda si aggancia alla ASP provinciale, essa si aggancia alla regione che
comunica con il ministero della salute italiano e poi esso comunica a livello europeo per aiutarsi a
vicenda a stilare dei protocolli secondo le ultime evidenze scientifiche.
• Controllare l’utilizzo degli antibiotici e di tutte le sostanze antimicrobiche secondo un protocollo
razionale, è un protocollo che mira a ridurre al minimo la somministrazione di antibiotico al paziente.
• Razionalizzare l’uso di sangue ed emoderivati, favorendo le tecniche di recupero intra-operatorio e
di autotrasfusione. Nell’ultimo periodo sì cerca di fare in modo che il paziente venga trasfuso con
sangue proprio (autologo); es. se si sa che il paziente dovrà essere operato il mese successivo verrà
sottoposto a un prelievo di sangue che gli verrà risomministrato il giorno dell’intervento. Così si è
razionalizzato l’utilizzo di sangue e inoltre non ci saranno reazioni di non self collegate alla pratica
delle trasfusioni, si diminuiscono così i rischi che sono alla base di una buona pratica clinica, di una
buona sanità.
Per garantire la buona sanità negli ultimi periodi la pratica clinica è basata su protocolli terapeutici sempre
più in linea con le linee guida internazionali, utilizzo di antibiotici mirati e razionali e autotrasfusioni,
elemento nuovo rispetto a prima.
Un altro elemento importante per la strategia di controllo delle infezioni correlate all’assistenza sono la
verifica e il controllo dell’attuazione di protocolli che tutti gli operatori sanitari devono conoscere e
applicare in maniera corretta. I protocolli riguardano:
• Disinfezione, disinfestazione, sterilizzazione di ambienti e materiali, e questo è fondamentale
perché l’importanza di un ambiente (per ambiente si intende nel caso di un ospedale tutto ciò che
sta attorno al paziente) perché l’ambiente non deve mai essere colonizzato da microbi sennò lo
potrebbe trasmettere al paziente e poi egli ad altri pazienti.
• Modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria
• Sistema di smaltimento dei rifiuti sanitari solidi
• Smaltimento dei liquami e pulizia delle padelle e simili
• Mensa, bar e sistemi di distribuzione di cibi e bevande
• Modalità di preparazione, conservazione e uso di disinfettanti e antisettici. Se abbiamo dei materiali
pronti all’uso è fondamentale sapere come si conservano, è importante usarlo secondo la data di
scadenza ci sono tanti momenti a cui prestare attenzione per avere un controllo delle infezioni
correlate all’assistenza, ci sono vari elementi che rappresentano le strategie di prevenzione.
• Qualità dell’aria, degli impianti di condizionamento e di distribuzione dell’acqua sanitaria. La qualità
dell’aria ad esempio nelle sale operatorie, è gestita da un sistema di ventilazione forzato perchè
questo impianto di condizionamento permetteva che l’aria si manteneva nelle sua condizioni di
conformità in modo tale che per la forza di gravità non andava a contaminare tutto ciò che ruotava
attorno al paziente ma soprattutto la cute del paziente.
Ci sono tanti elementi che dobbiamo andare a controllare secondo dei protocolli perché di tutto ciò che
abbiamo elencato esistono protocolli e procedure che dobbiamo conoscere e applicare correttamente.
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Un altro elemento di base a cui dobbiamo prestare attenzione sono tutti gli interventi di tipo
organizzativo:
- Istituire un sistema di sorveglianza e in particolare una procedura di notifica delle infezioni correlate
all’assistenza, cioè ogni singolo ospedale deve istituire all’interno un sistema di sorveglianza e
soprattutto se dovesse succedere si deve avere la notifica di queste infezioni, ogni ospedale deve
sapere quali sono le infezioni ospedaliere più ricorrenti e dal momento in cui le conosce le può e le
deve eliminare.
- Costituire un comitato per la lotta alle infezioni correlate all’assistenza (CIO)
- Ridurre la durata delle degenze, eliminare le degenze ingiustificate, controllare e limitare l’accesso dei
visitatori.
- Controllare infortuni e malattie del personale, praticare le vaccinazioni perché le vaccinazioni per tutte
le malattie prevenibili sono essenziali e servono per abbatterle. Argomento attuale più che mai a livello
mondiale ad oggi è in atto una campagna vaccinale contro il Covid-19, ma ci sono anche altre
campagne vaccinali come per l’influenza e tutto questo serve per controllare tutte le infezioni perché
l’operatore sanitario è sempre una persona che può trasmettere, è quindi una sorgente di infezione nel
momento in cui è malato o portatore di una determinata malattia e può trasmetterla al paziente, malattia
che per l’operatore non è mortale ma per il paziente ricoverato potrebbe esserlo.
Queste sono solo alcune delle strategie per il controllo delle infezioni correlate all’assistenza. Ma tra di
esse vi sono le misure generali. Andiamo ad analizzare le misure generali di prevenzione che si dividono a
loro volta in precauzioni standard e precauzioni aggiuntive.
Le precauzioni standard
Sono misure precauzionali da mettere in atto durante l’assistenza a qualsiasi paziente in tutte le strutture
sanitarie e sociosanitarie, a prescindere dalla presenza sospetta o confermata di un agente infettivo.
Significa che le precauzioni standard sono tutte quelle precauzioni che si devono attuare SEMPRE, ogni
giorno, ogni momento della mia vita lavorativa indipendentemente dal reparto, l’ospedale in cui lavoro e
indipendentemente dalla presenza o meno di un paziente colonizzato le precauzioni standard sono
qualcosa che io come lavoratore devo conoscere e ogni giorno devo mettere in atto durante l’assistenza.
Tutto ciò che viene detto per le precauzioni standard non solo dobbiamo conoscerlo ma dobbiamo
soprattutto applicarlo.
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Precauzioni standard:
• Corretta igiene delle mani
• Utilizzo corretto dei dispositivi di protezione individuale (guanti, maschera, occhiali protettivi,
schermo facciale/ visiera, camice/sovra camice, copricapo).
• Igiene respiratoria/etichetta per la tosse.
• Gestione di attrezzature e dispositivi per l’assistenza.
• Adeguata pulizia e disinfezione ambientale.
• Gestione della biancheria.
• Sicurezza terapia iniettiva.
• Manipolazione pungenti/taglienti.
• Ricovero/ collocazione del paziente.
Un’altra precauzione standard è data dall’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI).
• Per dispositivo di protezione individuale s'intende qualsiasi attrezzatura destinata ad essere
indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggere contro uno o più rischi presenti nell'attività
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lavorativa, suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni
complemento o accessorio destinato a tale scopo. Il dpi viene indossato per ridurre il rischio e per
proteggere se stessi ma anche gli altri.
• Il lavoratore è obbligato a utilizzare tali dispositivi, ad averne cura ed a non apportarvi modifiche,
segnalando difetti o inconvenienti specifichi. Per alcuni dpi per gli operatori sanitari è obbligatorio
sottoporsi a programmi di formazione e addestramento.
• L'articolo 76 del decreto legislativo numero 81/08 indica le caratteristiche che devono avere i DPI
per poter essere utilizzati.
I DP utilizzati in ambito sanitario sono dispositivi individuali che possono essere utilizzati da soli o in
combinazione per proteggere quote, mucose, vie respiratorie ed indumenti dal contatto con agenti infettivi.
Questi dpi sono: mascherina, guanti, visiera, occhiali protettivi, camice monouso.
è importante non soltanto conoscere che cosa serve è importante anche saperli utilizzare nella maniera
corretta ma soprattutto una delle maniere corretti e sapere anche come si devono indossare e come si
devono rimuovere c'è infatti una sequenza per indossare e rimuovere questi dpi.
INDOSSARE → Prima il camice dopodiché si indossa la mascherina si esegue il lavaggio delle mani o la
frizione e si indossano i guanti.
RIMOZIONE → si rimuovono i guanti e il camice si esegue il lavaggio delle mani si rimuove la maschera la
visiera e la cuffia e si esegue nuovamente il lavaggio delle mani o il frizionamento.
Precauzioni aggiuntive
Sono quelle basate sulla modalità di trasmissione.
• Precauzioni da contatto (diretto/indiretto)
• precauzioni del contagio via droplets (maggiore o uguale a 5 micron)
• precauzioni del contagio per via aerea (minore a 5 micron).
La differenza sta nel fatto che nella fonazione vengono rilasciate delle particelle che possono essere > a 5
micron o inferiori, quelle più grandi possono arrivare al soggetto mentre le altre rimangono nell’aria e
respirando il soggetto si può contagiare. Per alcune malattie può essere necessario utilizzare più di un tipo
di tali precauzioni.
In ogni caso o che vengano usate singolarmente o in combinazione, sono sempre comunque utilizzate
oltre alle precauzioni standard.
MISURE DA ADOTTARE PER PREVENIRE LA TRASMISSIONE PER CONTATTO E PER DROPLET
➢ Stanza singola : Ridurre il tempo di permanenza del paziente fuori dalla stanza e quando ciò il
necessario fargli indossare una maschera.
➢ Trasporto del paziente : Limitato all'effettiva necessità e solo con maschera chirurgica .
➢ Guanti: In aggiunta alle precauzioni standard, utilizzare i guanti prima di entrare nella stanza e
nell'assistenza al paziente.
➢ Maschera: in aggiunta alle precauzioni standard e virgola utilizzare la maschera (FFP2-FFP3)
quando si è a meno di 1 m di distanza dal paziente per le malattie aereo diffuse.
Le mascherina chirurgiche sono monouso in tessuto non tessuto, sono formate da quattro strati,
l'esterno e filtrante, centrale impermeabile ai liquidi all'aria, strato interno a contatto con la pelle
ipoallergenico, con barretta intera deformabile stringinaso per conformare perfettamente la
mascherina al volto.
Sistema di fissaggio a legacci o elastici.
Proteggono naso e bocca dalla contaminazione con particelle di diametro medio di 4,5 u.
Pur originate dall' esigenza di proteggere il paziente (interventi chirurgici, manovra asettiche),
costituiscono un'efficace sistema di barriera anche per l'operatore sanitario per la resistenza ai
fluidi e l'elevato potere filtrante che va dal 95 ad oltre il 99% .
Sono fatte indossare dal paziente con sospetta o accertata patologia trasmissibile per droplet o per
via aerea (sindrome influenzale, meningite, Sars, eccetera ) e proteggono l'operatore dalla
trasmissione. (proteggono gli altri a differenza delle ffp2 ffp3 che proteggono anche chi le indossa).
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➢ Occhiali protettivi/visiera : utilizzare gli occhiali protettivi quando si è a meno di 1 m di distanza
dal paziente da aggiungere alla mascherina.
Nel caso della trasmissione per via aerea non ‘’basta’’ la mascherina chirurgica ma abbiamo bisogno di una
maschera filtrante
Indossare correttamente la maschera prima di entrare nella stanza, indossare un respiratore con requisiti
minimi:
• efficienza filtrante 95%;
• efficienza di tenuta 90%;
ovvero N95 o FFP2.
Sappiamo che ci sono quelle con valvola e quelle senza valvola di espirazione, Il paziente dovrà sempre
indossare quella senza valvola Perché abbatte notevolmente quella che è l'emissione all'esterno.
• Devono coprire il naso bocca e mento ed aderire al volto; dotate di doppio elastico stringinaso con
guarnizione di tenuta.
• Proteggono dalla contaminazione di naso e bocca e dall'inalazione di particelle di dimensioni
inferiori al micron aereo disperse. (bacillo di koch).
• Indicate per la protezione dell'operatore nelle attività che possono comportare l'esposizione ad
agenti di media tossicità in concentrazione non elevata (circa 10 volte il limite soglia).
quelle con valvola espiratoria non vanno indossate dal paziente infetto o sospetto tale.
39
Le linee guida non vengono concepite come uno schema di sequenze comportamentali da applicare in
modo rigido, ma come una sintesi ragionata delle migliori informazioni scientifiche disponibili circa le
modalità di diagnosi, cura e assistenza secondo il criterio di appropriatezza.
Procedure: Forma di standardizzazione più elementare di una sequenza di azioni definite.
• Documento scritto che descrive l'insieme di azioni professionali finalizzate ad un obiettivo.
• Definisce chi fa che cosa, come, dove, quando, perché e chi è responsabile.
• Può essere contenuta nel protocollo.
Ogni reparto avrà le sue procedure, dentro quest’ultime ci possono essere delle bibliografie a cui fa
riferimento la linea guida. Quindi comprende tutte quelle azioni standardizzata che rappresentano il modo
di lavorare.
SCOPO → Descrive la modalità ottimale di esecuzione di una tecnica infermieristica semplice o complessa
che sia.
OBIETTIVO → Riduzione della variabilità di comportamento e perseguimento di una relativa uniformità
delle azioni.
Le procedure possono riguardare anche azioni elementari di un determinato processo assistenziale. È
possibile ed auspicabile una loro trasversalità di utilizzo tra differenti unità operative e il loro inserimento
all'interno di specifici percorsi clinico assistenziali. Non esiste un'unica modalità di stesura di una
procedura. È fondamentale che alla sua redazione concorrano coloro che svolgono una determinata
funzione clinica e descrivendo i vari step con semplicità.
Affinché la procedura abbia senso sono necessari:
• Massima condivisione da parte di tutti gli utilizzatori.
• Revisione ed aggiornamento continuo.
Percorso metodologico:
1. Definizione caratteristiche cliniche del paziente.
2. Specificazione azioni diagnostiche, terapeutiche, assistenziali e loro sequenza.
3. Definizione risultati attesi.
Molte volte la procedura fa fede al protocollo. Il protocollo è un esercizio logico attraverso il quale ci si
appropria in modo razionale della propria pratica, la si scompone in elementi più o meno importanti virgola
in cose note o meno conosciute virgola in momenti tecnici ed in atteggiamenti più soggettivi e
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personalizzati la si valuta e la si modifica per renderla sempre più consona alle proprie esigenze
professionali ed ai bisogni degli assistiti.
Schema di costruzione del protocollo:
Fase elaborativa
1. Identificazione della situazione
2. Analisi della situazione
3. Identificazione della popolazione interessata
4. Stabilire obiettivi assistenziali
5. Definire le fasi operative
Fase operativa
1. Titolo e l'obiettivo
2. risorse umane e materiali
3. Procedura e tempi
4. Verificare l'efficienza e l'efficacia
5. Valutazione
6. Eventuale rielaborazione
Lezione 9
SORVEGLIANZA
La sorveglianza riguarda la prevenzione e il controllo delle infezioni. Il programma per la sorveglianza, in
ogni presidio ospedaliero deve prevedere:
• Comitato di controllo
• Personale qualificato e adeguatamente formato
• Politiche di intervento e protocolli scritti che guidano agli operatori
La sorveglianza delle infezioni correlate all’assistenza (ICA)
L’obiettivo è di rilevare i casi di infezione allo scopo di mettere in atto adeguati interventi finalizzati ed
evitare ulteriori casi; è una componente essenziale dei programmi mirati a promuovere la qualità
dell'assistenza, riducendo così rischio di infezioni per i pz, visitatori e gli operatori sanitari. si è visto che in
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italia e in altri paesi è stato dimostrato empiricamente che la partecipazione a sistemi di sorveglianza attiva
delle infezioni correlate all’assistenza si associa, nel tempo, alla riduzione di incidenza delle infezioni.
La disponibilità di sistemi di sorveglianza e di monitoraggio del fenomeno, di elevate qualità e accuratezza
e supportati da sistemi informative integrati, e’ di essenziale importanza per:
• Mantenere alto il livello di attenzione
• Definire dimensioni e caratteristiche del problema
• Indirizzare gli interventi
• Monitorare I progressi mediante l’utilizzo di indicatori specifici
• Individuare tempestivamente eventi sentinella per prevenire le probabili epidemie.
Esempio: mi ritrovo ad avere un caso di infezione, raccolgo tutti dati su questo caso. a questo punto, tutto
quello che so, che interpreto, perché ho le capacità di interpretarlo, una volta capito il problema, devo
ridarlo all’unità operativa, che mi ha segnalato il caso dicono “questo è successo per questo motivo; avete
questo problema, risolvetelo”, ma anche alla direzione sanitaria che deve comunque prendere
provvedimenti.
Quindi io, per fare una corretta sorveglianza devo raccogliere, archiviare, analizzare e interpretare i dati.
Una volta fatto ciò li devo portare a conoscenza a tutte quelle persone che mi hanno fornito i dati, ma non
solo, anche alla direzione sanitaria, a coloro che rappresentano la direzione sanitaria, in maniera tale da
decidere che cosa devo.
Il sistema di sorveglianza deve essere un sistema di sorveglianza attivo in ogni ospedale, in maniera tale
che mi permetta di tener sotto controllo le infezioni e in più, a fine anno mi fa capire cosa abbiamo avuto
durante l’anno, in maniera tale che si può fare qualcosa per prevenire. Perché l’obiettivo principale
dell’igienista è sempre tenere sotto controllo le malattie e di fare prevenzione in maniera tale che non si
manifestino. Quindi, prevenzione primaria e secondaria. la primaria mi permette di controllare che tutto
quello che ho non si sviluppi e diventi non controllabile.
Una volta che abbiamo capito qual è l’obiettivo della sorveglianza, vediamo che ci sono due metodi per
condurla:
• sorveglianza orientata sul paziente (attiva = sul pz quando ancora non c’è la infezione)
• sorveglianza basata su dati di laboratorio (passiva = raccolta retrospettiva ovvero di tutto ciò che è
avvenuto)
Quindi la sorveglianza serve a sorvegliare la salute della popolazione e quindi le probabili infezioni
ospedaliere in modo tale che non ci siano, ma significa anche “raccolta sistematica di dati” quindi questa
raccolta che permette di capire quali sono stati gli errori in modo tale da correggerli.
Nota: il 30% delle infezioni sono prevenibili grazie alla sorveglianza (tanto passive come attiva, esse danno
sempre esiti positivi)
Quindi Le metodiche principali che vengono usate per la sorveglianza sono:
SORVEGLIANZA ATTIVA (orientata sul pz): dati ottenuti continuamente e si possono fare per struttura o
per tipologia di infezione.
Viene svolta in reparto (dove è ricoverato il pz) attraverso:
• Revisione di documenti sanitari oppure
• Colloquio con il personale del reparto
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Nel momento in cui si decide di effettuare la sorveglianza attiva si deve capire dove far estende la
sorveglianza.
• Per obiettivi
• A tutto l’ospedale: se vogliamo sapere quante infezioni di staphilococus aereus (esempio)ci sono
nel ospedale, e si può controllare tramite un obiettivo di 6 mesi o un anno, cioè un determinato
tempo/obiettivo e valutare se ci sono delle antibiotico resistenze, cc.
• Solo reparti a rischio: ad esempio qual è la percentuale, che microbo è stato individuate nel
reparto di terapia intensive
Tipo di eventi sotto sorveglianza
• Tutte le infezioni
• Infezioni selezionate
• Variabili di processo
Frequenza temporale
• Continuativa
• Periodica
Le domande che mi pongo quando faccio sorveglianza attiva è “qual è il mio obiettivo principale? Cosa
voglio sorvegliare? Voglio sorvegliare le infezioni ospedaliere in tutto l’ospedale o voglio sorvegliare le
infezioni ospedaliere in un reparto a rischio (come terapia intensiva)? Voglio sorvegliare tutte le malattie o
voglio sorvegliare quanti casi di infezione ospedaliera ho avuto di Epatite B (esempio)?”. Quindi vedere che
la sorveglianza attiva viene sempre da obiettivi che poi applichiamo.
Vantaggi
• Identifica l’85-100% delle infezioni ospedaliere
• Tempestiva
• Qualitativa (perche’ e’ completa e affidabile)
• controllabile
Svantaggi
• Maggiore costo
• Maggiore tempo (abbiamo bisogno di risorse umane → disponibilita’ del personale: perché se io
decido di fare una sorveglianza attiva con studi di incidenza per un anno, significa che io per un
anno ho bisogno di personale che mi faccia questa sorveglianza, quindi diventa costoso,
impegnativo e ci vuole personale dedicato
• Maggiore dispendio energetico
SORVEGLIANZA PASSIVA: basata sulla raccolta dati di laboratorio, estrazione delle cartelle cliniche di
dimissione, notifica delle infezioni da parte del personale sanitario, raccogliendo tutto ciò che è già
avvenuto.
• Questa mi consente di descrive accuratamente le infezioni in termini qualitativi, cioè mi fa capire
cosa c’è stato in quel periodo perché abbiamo detto che “in laboratorio” significa che considero dati
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che già sono stati richiesti e mi da soltanto l’idea di quello che ho, una qualità, cioè il tipo di
microrganismo più frequente, ma non mi da la quantità e l’esposizione.
• Non è un strumento per la rilevazione quantitativa di indicatori specifici indirizzati a gruppi di
pazienti e alla esposizione alle procedure a rischio → esigenza che tutte le cartelle siano compilate
in modo corretto.
Perché’ è importante che ci sia tutto scritto nelle cartelle cliniche? Perché’ serve a fare un quadro della
situazione dell’ospedale, serve perché’ riesco a valorizzare I fattori di rischio del dato elemento e facciamo
modo che non accada più.
Obiettivi:
1) Identificare I microrganismi “pericolosi” (alert microrganismi)
2) Identificare epidemie sostenute da un unico microrganismo
3) Monitorare le resistenze
Vantaggi
• Fornisce un andamento periodico degli isolamenti e delle resistenze;
• Permette di avere delle soglie di riferimento rispetto agli isolamenti;
• Se disponibili alcune tecniche di biologia molecolare identificano le vie di trasmissione;
• retrospettiva
• i dati possono mostrare il trend delle IO
• è economica come modalità
• richiede costanza nell’analisi dei dati
• richiede meno tempo nell’analisi
Svantaggi
• riusciamo a controllare solo il 30% delle infezioni infezioni che ci sono state
• Non può essere utilizzata da sola per monitorare l’andamento delle infezioni;
• Identifica solo i casi per i quali sia stato chiesto l’esame culturale;
• Identifica le IO solo se nella richiesta è specificato il sospetto.
• identifica il 14-34% delle infezioni ospedaliere
• è legata alla sensibilità culturale
• è poco controllabile
• può non essere in grado di evidenziare possibili epidemie
• Ci da delle informazioni limitate e difficili da interpretare.
• Può non essere rappresentativa (ma ci fa capire I rischi e le vie di trasmissione piu’ frequenti che
sono state evidenziate)
Procedure da standardizzazione
• Protocolli di prelievo e traporto dei campioni
• Protocolli di indagine microbiologica, da richiedere in presenza di segni/sintomi di infezione
• Moduli di richiesta esami che contengano alcuni dati di base (data del ricovero, data di insorgenza
dei sintomi)
• Controlli di qualità degli esami di laboratorio
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• SDO,DRG, referti ambulatoriali, ecc
• Denunce obbligatorie
• Dati amministrativi
• Registri interni
• Medico competente
• Consumo di farmacia (farmaci e presidi): Quindi raccolgo i dati da tutte le fonti e ci può essere un
confronto incrociato fra quello che è stato scritto e quello che è reale dal consumo della farmacia.
• notifiche di eventuali malattie infettive
In questo caso bisogna aspettare i dati, le notifiche, le informazioni, arrivino senza sollecitazioni dirette. i
dati vengono ottenuti normalmente tramite segnalazione a chi gestione la sorveglianza da parte degli
addetti all'assistenza.
Nota: la sorveglianza passiva comunica un trend, dimostra qual è il trend dell’ospedale e la localizzazione
più frequente e quali sono I microbi e quindi so qual è la parte fragile di quell’ospedale e di conseguenza mi
comporto perché’ cerchiamo di eliminare I fattori di rischio, e
Insieme alla sorveglianza attiva riusciamo a capire se è possibile. Quindi sono integrate I due tipi di
sorveglianza. Per questo si fanno entrambi. La attiva perché’ attivamente evidenzio, mentre la passive ti fa
capire tutto quello che è esistito quindi l’esperienza ti fa capire quello che devi o non fare.
Studi di prevalenza delle ica:
• Permettono di valutare la frequenza delle ica
• Sono studi semplici da effettuare economici
• I risultati sono spesso imprecisi e poco accurati
PREVALENZA
Si ottiene esaminando i pz ricoverati ad un dato momento e rilevando infezioni presenti (come se si
facesse la foto del reparto in quel momento).
Quindi andando nel reparto e visitando quei pz che a quell’ora, e data sono ricoverati, ciedeno tutte le
informazioni del pz, chiediamo delle cartelle cliniche e se ci sono delle infezioni (ovvero se qualche pz dopo
le 48h ha manifestato una infezione), chiediamo se e’ stata fatta una richiesta al laboratorio proprio per
sospetto di infezione.
La popolazione esaminata è rappresentata dai ricoverati presenti ad un dato momento in ospedale.
Vantaggi:
• Facile sul piano organizzativo
• Rapida ed economica
• Identifica le aree di maggiore rischio
Svantaggi:
• Ridotti periodici di osservazione
• Le stime ottenute non rappresentano indicatori clinici che consentano il confronto fra
ospedali/reparti nel tempo
• Rischi di offrire una immagine distorta
Studi di incidenza delle ICA (studi che ci permettono di valorizzare gli studi)
• Essi richiedono il monitoraggio dei soggetti esposti al rischio per un certo periodo di tempo (durante
il ricovero e anche a casa, perche’ deve rispecchiare il periodo di incubazione della singola IO)
• Permettono di misurare l’incidenza (nuovi casi) e la frequenza della IO
• Richiedono molto impegno
• Costi elevati
• Risultati di maggior qualità scientifica
INCIDENZA
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Si ottiene seguendo i pz nel corso del ricovero ospedaliero e in alcuni casi, anche dopo la dimissione. si
registra tutti i nuovi casi di infezione insorti e la popolazione esaminata è rappresentata dai pz che si
ricoverano in un determinato periodo di tempo (es: 6 mesi).
Vantaggi:
• Più accurata
• Possibile stima delle frequenze di infezioni in pz esposti a procedure invasive
• Utile ad effettuare confronti nello spazio e nel tempo tra i vari reparti/ ospedali
Svantaggi:
• Tempo
• Risorse umane
• Costi
Però c’è un altro tipo di sorveglianza: una sorveglianza in seguito ad un evento.
Ovvero il medico rilevatore, rileva che nel suo reparto c’è un soggetto che ha manifestato dopo 48h una IO,
e quindi questo noi lo chiamiamo “EVENTO” di probabile IO, a questo punto il medico invia in laboratorio la
richiesta, (invia un tampone faringeo, o effettua un prelievo di sangue) e specifica che la richiesta e’ fatta in
seguito a sospetto di IO, in seguito il medico rilevatore Comunica alla direzione sanitaria di un sospetto di
IO, una volta che ha comunicato, o ha mandato in lab la richiesta della indagine con l’antibiogramma
specifico, ecc.
I risultati una volta pronti si mandano all’azienda sanitaria e al medico rilevatore del reparto, il medico
continuerà a curare il pz e la direzione sanitaria valuta tutto quello che è successo ed agisce sulla causa (il
CIO va nel reparto e controlla la situazione, per capire qual è la fonte di quella infezione, si agisce sulla
causa e si farà tutto il possibile perché’ ci sia solo quell’evento ovvero che non si presentino altri).
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• Sviluppare metodi di valutazione
• Sviluppare analisi di dati
• Determinare il feed-back dei dati
• Determinare i metodi per la valutazione del sistema
CONCLUSIONI
Lo studio SENIC ha dimostrato come una frazione pari al 30% di tutte le IO sia prevenibile in presenza di
alcuni requisiti organizzativi come un buon sistema di sorveglianza.
Sorveglianza delle ICA a livello nazionale ed Europeo
In Italia il ministero della salute ha coinvolto tutte le regioni per creare un unico archivio nazionale dei dati di
sorveglianza delle regioni:
• Il centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM)
• Gruppo Italiano Studio Igiene Ospedaliera (GISIO)
• Comitato infezioni Ospedaliere (CIO)
In Europa l’attività di coordinamento e sviluppo della sorveglianza delle ICA è affidata all’ECDC, che opera
attraverso la rete HAI-net.
Il singolo ospedale comunica al proprio comune –ASL di appartenenza, che a sua volta lo comunicherà alla
regione, che alla sua volta comunica al ministero nazionale, quindi tutti questi dati di sorveglianza: quali
sono I germi più frequenti, fattori di rischio più frequenti e le vie di trasmissione più frequenti, ecc.
Conoscendo le cause si può fare prevenzione, ed è questo l’obiettivo primario, ma nel momento in cui tutti
questi dati vengono messi nei dati di ECDC, significa ce ci si può comunicare in rete e capire quello che ha
fatto quella nazione/ospedale per migliorare le IO rispetto all’altra, e quella che ha più tassa di IO, cerca di
imitare quella che ne ha di meno. Quindi si migliora di conseguenza le percentuali di trasmissioni di IO.
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RISCHIO BIOLOGICO
Ai sensi del decreto legislativo 81 del 2008 il datore di lavoro ha l’obbligo di:
- Valutare il rischio biologico (alla base ci sta la conoscenza di quel rischio, la modalita’ di
trasmissione, e bisogna valutare le misure necessarie per evitare il contatto)
- Nei casi in cui la valutazione del rischio evidenzia un rischio per la salute nominare il medico
competente e far sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori
- Su conforme parere del medico competente adottare misure preventive particolare fra le quali la
messa a disposizione dei lavoratori non immuni di vaccini efficaci da somministrarsi a cura dello
stesso.
- Qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità i lavoratori esposti ad agenti
biologici sono sottoposti a sorveglianza sanitaria, e sarà obbligatoria nel caso di utilizzo di taglienti e
pungenti
La trasmissione delle malattie infettive può avvenire attraverso diverse vie:
● Per via parenterale: epatite b, c, hiv (per puntura di ago omateriale tagliente)
● Per via aerea: morbillo, varicella, rosolia
● Per contatto: scabbia
● Per contatto di cute lesa con materiale contaminato: brucellosi, tetano
● Per via oro-fecale: salmonellosi, epatite a
Il rischio biologico in ambito sanitario ricade principalmente alla via ematica: HBV, HCV, HIV; e per via
aerea: tubercolosi, morbillo, parotite,rosolia e varicella.
Sorveglianza Sanitaria
Prevista dall’articolo 279 c1 del D.lgs 81/08:
Qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità I lavoratori esposti ad agenti biologici sono
sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’art.41
Obbligatoria, in ambito sanitario, quando vengono usati dispositive medici taglienti (art286 sexies c. 1 lett e
del Dlgs. 81/08.
LE MALATTIE A TRASMISSIONE PARENTERALE necessitano di un protocollo di sorveglianza sanitaria
(“visita preventiva”):
- La visita preventiva: si valuta lo stato generale della salute dell’operatore compreso alcuni markers
di alcune malattie infettive: Epatite B, Ac anti HCV, HIV (se consenso)
- Proporre vaccinazioni anti epatite B ai non protetti
- Visita Periodica: se soggetto protetto nei riguardi dell’epatite B non ripete markers, ne HCV ne HIV
- In caso di infortunio sul lavoro: applicare protocollo specifico che deve essere predisposto dal
medico competente oppure fa parte della procedura Aziendale.
Per quanto riguarda le vaccinazioni nel d.lgs 81/08 il datore, su conforme parere del medico, adotta delle
misure preventive particolari per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di
protezione, fra le quali la messa a disposizione di vaccini efficaci per la protezione dei lavoratori che non
sono immuni ad un avente biologico.
La necessità di sottoporsi alle vaccinazioni viene stabilita dal medico competente sulla base della
valutazione del rischio e indicata nel protocollo di sorveglianza sanitaria (quali vaccinazioni? Su base
volontaria oppure obbligatoria → antiinfluenzale, anticovid, e tutte le malattie prevenibili come epatite B).
Nel caso in cui un lavoratore rifiuti di sottoporsi a vaccinazioni necessarie o in caso di assenza di
protezione il medico competente può esprimere un giudizio di non idoneità del soggetto nello svolgere la
sua mansione, al fine di garantire quella che la protezione collettiva e individuale-> anche per legge (art 20
del Dlgs 81/08) un operatore sanitario deve sottoporsi a tali richieste, essendo un obbligo per garantire
sicurezza (giacche l’operatore sanitario può diventare una sorgente di infezione per il pz).
Per gli operatori sanitari che eseguono manovre che comportino rischio di esposizione a sangue e/o liquidi
biologici, sarà necessario dimostrare di avere una protezione per l’HBV; se non presentano tale vaccino
saranno considerati non idonei per le procedure a rischio (sotto il 10 UI si effettuera’ la dose di richiamo).
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Per quelli che lavorano in reparti come oncologia, ematologia, centro trapianti, neonatologia ostetricia,
pediatria, malattie infettive, Pronto soccorso, ecc è necessario dimostrare la protezione nei riguardi di
morbillo, varicella, rosolia, parotite (malattie esantematiche); coloro che non risulteranno protetti da
quest’ultimi che lavorano in tali reparti andranno considerati non idonei sia per loro tutela che per quella di
altri (quindi si dovra’ sempre proseguire al richiamo della quadrivalente MVRP).
Molte infezioni possono essere Contratte In seguito a ferite casuali con aghi e strumenti taglienti
contaminati con materiale biologico infetto e/o per contatto di materiale infetto con mucose o pelle non
integra, dal rapporto continuativo tra personale sanitario e i malati, dalla presenza di materiale biologico
potenzialmente infetto, dall'uso di strumenti e apparecchi di diagnosi e cura, dall'eventuale inquinamento
ambientale dei settori di degenza, ecc.
Sono da considerarsi “attività potenzialmente a rischio tutte quelle manovre compiute quotidianamente dal
personale infermieristico e ausiliario che comportano la manipolazione di strumenti, oggetti, materiali
eventualmente contaminati come ad esempio padelle, pappagalli e strumentazione chirurgica”...
Riguardo al rischio di ferirsi o pungersi, non bisogna dimenticare che “la puntura d’ago o il taglio con
strumenti chirurgici contaminati con materiale biologico proveniente da pazienti potenzialmente infetti,
costituisce la principale causa di trasmissione di malattie infettive per via parenterale quali l’epatite B,C e
HIV. (un'esposizione accidentale a sangue o ad altri fluidi biologici può cambiare la vita, con il rischio di
trasmissione di tali malattie)
• Trasmissione per via Percutanea (pericolosa): punture d’ago o tagli con oggetti taglienti, morsi,
graffi ecc ;
• Mucocutanea invece si intende l’esposizione di cute lesa e di mucosa (congiuntivale, nasale, orale)
a sangue o altri liquidi biologici.
Le mucose coinvolte in seguito a schizzi accidentali sono congiuntivale, nasale e orale.
In seguito a degli studi si è visto che la percentuale maggiore di infezione avviene tra infermieri dopo
punture accidentali, durante prelievi ematici, e in caso di posizionamento di cvp.
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• Profondità delle punture accidentale
• Stadio della malattia del pz-sorgente
• Carica vitale del pz-sorgente
• Freschezza del campione biologico responsabile dell’esposizione (piu’ fresco piu’ pericoloso)
• Stato di salute dell’operatore esposto
EPATITE B
L’HBV è una particella virale detta “di Done” di 42nm, appartenente alla famiglia degli Hepadnaviridae,
costituita da:
• Involucro esterno: che contiene l’antigene di superficie (HBsAg)
• Nucleocapside: che contiene il DNA virale, la DNA-polimerasi e le proteine del core ovvero
antigene C (HBcAg) ed antigene E (HbeAg).
L’unico serbatoio è l’uomo.
Trasmissione: per via perinatale, parenterale apparente quindi con sangue, essudati e altri liquidi biologici,
parenterale inapparente come strumenti medici non sterili ad esempio dentista, strumenti non sterilizzati
come rasoi, estetista, piercing, tatuaggi, barbiere, spazzolini da denti...via sessuale non intesa per forza
come rapporto completo ma basta contatto con cute e mucose.
La trasmissione con sangue ed essudato ha pari grado di gravità.
Invece avremo:
• Gravità bassa con: urine, feci, latte materno, lacrime
• Gravità intermedia con: liquido seminale, secreto vaginale, saliva.
Il virus non è facilmente eliminabile:
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• A T ambiente, 21°C circa, si inattiva dopo 6 mesi − a -20°C si inattiva dopo 15 anni
• A 60° si inattiva dopo 4 ore.
• Il periodo di incubazione va fino a 6 mesi
Epidemiologia: Genotipi dell’HBV: sono 8, il B è il più diffuso in Italia. E’ diffuso in tutto il mondo ma
l’incidenza elevata superiore all’8% è in molti paesi (2-7% intermedia, <2% bassa) Italia ha prevalenza
intermedia. Grazie all’incidenza dei vaccini, e altri fattori sono cambiati come ad esempio la trasmissione
non più familiare ma sessuale, e la non cronicizzazione di epatite attraverso la profilassi.
Marcatori importanti: antigene S (superficie) è il marcatore principale che ci comunica che quella
persona è portatrice/infetta e può trasmettere epatite, poi abbiamo antigene E (envelope) e antigene C
(core).
Interpretazione degli esami di laboratorio:
• Se abbiamo la presenza di HBsAG → periodo di incubazione (Compare poco prima dell’aumento
delle transaminasi, persiste durante la fase acuta e scompare, nei casi ad evoluzione favorevole)
• Se abbiamo la presenza di HBsAG + Antigene C → periodo di incubazione ma inoltre ci indica che il
virus è nella sua forma più alta di replicazione
• Se oltre questi due troviamo la presenza di anticorpi IgM → siamo in epatite acuta, perché’ significa
che è avvenuto il contagio, si sta replicando e l’organismo sta producendo gli anticorpi, infatti I primi
anticorpi saranno gli IgM attraverso l’antigene C.
• Se troviamo HBsAG + anticorpi di classe C IgG → Significa che quella epatite si è cronicizzata e
che eliminerà per sempre gli antigeni.
• Quando si è guariti? HbsAg impenna e poi scompare e abbiamo la presenza degli anticorpi (Anti-
HBsAB)
• Quando si trova esclusivamente l’anticorpo di tipo S ma non ho altri anticorpi/antigeni, vuol dire che
siamo stati vaccinati → stato di immunità (possiamo contrarre la malattia ma non ammalarci)
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Strategia di Prevenzione
Prevenzione Primaria:
• Evitare che si verifichi l’evento infettivo: adeguato controllo dei donatori di sangue, sterilizzazione
dei presidi medico-chirurgici, evitare pratiche (piercing, tatuaggi, agopuntura) eseguite da personale
non preparato; evitare la condivisione di strumenti taglienti o abrasivi (forbici, rasoi, spazzolini da
denti, aghi, siringhe)
• Istituire e sviluppare programmi di “Educazione Sanitaria”
• VACCINAZIONE
Trattamento: La forma acuta di epatite B rappresenta il 50-70% dei casi nell’adulto e viene trattata con
terapia di interferone. In forma cronica invece la terapia è fatta con molecole usate anche per HIV, tuttavia
per HBV non abbiamo farmaci eradicanti. Si può avere anche co-infezione, da HBV e HIV.
EPATITE DELTA
L’infezione del virus è sostenuta dal virus dell’epatite D (HDV), definito difettivo cioè richiede la
contemporanea presenza dell’infezione dell’epatite B per permetterne la produzione.
Tale infezione si presenta solo nei soggetti positivi dell'HBsAG, e le modalità di infezione sono uaguali a
quella dell’HBV.
Il personale sanitario non dovrebbe attualmente essere esposto al rischio d’infezione Delta durante
l’attivita’ lavorativa, poiche’, per lo piu’, e’ vaccinato contro l’epatite B.
La vaccinazione protegge sia nei confronti dell’epatite B che della coinfezione B-Delta.
Il personale portatore di HbsAg puo’ sovrainfettarsi durante l’assistenza ad un pz HDV + (sono colpiti in
modo particolare dalla dulice infezione i tossicodipendenti e gli omosessuali).
Nel caso in cui un operatore snitario portatore di HbsAg debba assistere un pz HbsAg +, qest’ultimo dovra’
essere immediatamente sottoposto a determinazione dei marker Delta.
Nel caso in cui tali marker risultino +, dovra’ essere considerata la possibilita’ di sostituire l’operatore
sanitario con colleghi immunizzati contro il virus B (e quindi anche contro il Delta), comunque gia al prmo
approccio con un soggetto HbsAg + e’ bene che l’operatore sanitario lo consideri come probabile portatore
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EPATITE C
L’agente eziologico è un virus a RNA da 30/60 nm di dimensioni, appartiene al genere del Hepacivirus, e
come tutti i virus ad RNA ha un elevato grado di variabilità, perché è un meccanismo tramite il quale questo
virus elude la risposta immunitaria dell’ospite e quindi favorisce la persistenza dell’infezione. Prima ancora
che fosse tipizzato questo virus avevamo il virus A e il virus B, con aumento delle transaminasi, ittero, e se
cronicizzava anche lo sviluppo dell’epatite cronica, infatti esso veniva anche definito epatiti non A e non B,
ed il 50/70% di quelle epatiti sporadiche.
Il virus penetra nella cellula attraverso dei recettori (glicoproteine), infetta la cellula e dopodiche’ sarà
espulso dalla cellula con caratteristiche uguali al momento in cui era penetrato nella cellula (si comporta in
maniera uguale al virus dell’HIV). E’ inattivato dalla formalina, cloroformio, solventi organici, calore secco a
60°C. Il virus non è molto resistente all’ambiente esterno (campioni di siero contenenti elevate
concentrazioni di virus dopo essere stati tenuti per cinque giorni a temperatura ambiente divengono HCV-
RNA negativi). ha un periodo di incubazione che va da 2 settimane a 6 mesi dove l’unica sorgente naturale
è l’uomo. il rischio di infezione dipende dal grado di viremia, dalla durata dell’esposizione, modalità e entità
inoculo, via di trasmissione, stato immunitario del soggetto esposto.
Per il virus dell’epatite C non c’è un vaccino, e non essendoci un vaccino, quindi dovremmo applicare
quelle strategie standard e specifiche per prevenire la trasmissione parenterale quindi prestare ancora più
attenzione a quelli che sono i liquidi biologici (sangue, sperma, ecc), infatti le misure di prevenzione sono
quelle espresse per l’epatite B, con particolare riferimento ai controlli sul sangue e emoderivati.
E’ un virus anitterico, purtroppo il 40% dei pazienti va verso la cronicizzazione, e questa con lo sviluppo
della cirrosi si sviluppa dopo 2/12 anni
Presenta 6 genotipi virali (1-6) secondo provenienza geografica (In Italia sostanzialmente vi sono 1a, 1b
e 2, quest’ultimo soprattutto diffuso tra i tossicodipendenti e rispondeva meno alla terapia. Tuttavia oggi a
causa del turismo è più difficile identificare le zone di maggiore diffusione dei diversi genotipi.
Diagnosi: Viene identificata tramite un prelievo di sangue quindi in laboratorio, con due tipologie di analisi:
● Test rapidi su saliva o su sangue (goccia di sangue capillare). Dà i risultati dopo 20 min per la
rilevazione di IgG antiHCV in pazienti pari o superiori a 11 anni. Questo test rapido è di semplice
esecuzione ma ha un un limite in quanto ha un periodo finestra più lungo rispetto al prelievo
ematico (3- 6 mesi). Avremo sempre la C presente che indica il corretto funzionamento del test,
mentre la T se presente indica la presenza di anticorpi e quindi l’infezione. La positività al test
rapido necessita dunque la conferma di diagnosi attravero il test ematico ELISA Anti-HCV che deve
essere confermato da un test di conferma RIBA che può anche smentire le precedenti diagnosi. Il
test di conferma può dare quindi 3 esiti: negativo, positivo, indeterminato. Negli ultimi due casi
bisogna eseguire il NAT HCV RNA che è la metodica che ci permette di ricercare direttamente il
virus.
● Metodo della PCR, quindi per vedere se c’è la presenza dell’antigene.
Epidemiologia
La modalità di trasmissione nel 50% dei casi avviene per:
● Trasfusione di sangue infetto
● Emoderivati infetti
● Trapianto d’organo
● Aghi contaminati.
Per gli operatori sanitari avviene principalmente tramite ago contaminato. Così come abbiamo visto che ci
sono delle variabili per l’epatite B che la trasmissione di questa malattia avviene per sieroconversione,
anche qui per quanto riguarda il virus dell’epatite C è fondamentale il grado di viremia, cioè la presenza di
questo sangue fonte, la durata dell’esposizione a questo sangue fonte, la montatura ed entità di inoculo, la
via di trasmissione e lo stato immunitario del soggetto esposto. Più o meno è la stessa cosa dell’epatite B
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per quanto riguarda il rischio di trasformarsi, cambia solo il fatto che li avevamo la presenza o la non
presenza di antigene E, e quindi quando c’è la presenza dell’antigene E, aumenta il rischio di
sieroconversione, qui invece non c’è la differenza tra antigene E e antigene S perché abbiamo
semplicemente l’antigene del virus. Però in relazione con la fonte del sangue infetto, con la quantità di
questo virus presente, la freschezza del campione ma anche il grado di esposizione, e la modalità di
inoculo cioè se è percutaneo o mucocutaneo ecc, le stesse cose che abbiamo detto per il virus dell’epatite
B.
Prevenzione
Questa si fa tramite la notifica che è obbligatoria, quindi la notifica dei casi da parte del medico che ne è a
conoscenza, il medico deve notificare in maniera obbligatoria. Le misure di prevenzione sono tutte quelle
che abbiamo detto per l’epatite B tranne la vaccinazione perché questa nel caso dell’epatite C non c’è, noi
possiamo solo difenderci.
HIV
È sempre un virus a RNA e quindi essendo a RNA non c’è stata la possibilità di creare un vaccino, anche
perché dobbiamo sapere che per tutti i virus a RNA è più difficile fare il vaccino. L’unica sorgente naturale è
l’uomo, ma lo scimpanzé può fungere da serbatoio sperimentale. Il virus attacca e distrugge soprattutto i
linfociti T-helper, infatti l’infezione da hiv è stata definita anche come infezione da immunodeficienza
acquisita, cioè che va ad agire sul sistema immunitario, portando il soggetto ad essere immunodepresso
ovvero sensibile alle infezioni (fase dell’AIDS conclamata). È stato dimostrato la capacità di infettare anche
i linfociti B quindi tutta la classe del sistema immunitario. La malattia si distingue in 4 fasi, il virus quindi si
chiama Hiv, la malattia AIDS. Le fasi sono:
• Prima fase - Infezione acuta da HIV, quindi la replicazione di questo virus: si manifesta con
sintomatologia simil-mononucleosica → un rigonfiamento delle ghiandole, stato febbrile, malessere
generale. A quel punto si deve fare una diagnosi differenziale cioè andare dal medico e fare una
ricerca di quelli che sono gli antigeni e la presenza virale per differenziarla da tutte le altre malattie,
quindi i va a ricercare l'antigene dell’HIV.
• Seconda fase - Stato di infezione asintomatica da HIV: abbiamo un benessere sul piano clinico
come se la malattia fosse scomparsa, e c’è una scarsa replicazione virale con presenza della
risposta immune. Fortunatamente oggi c’è la cura anche per l’HIV e si prolunga questo stato di
infezione asintomatica quindi c’è questa convivenza virale con l’HIV.
● Linfoadenopatia sistemica (LAS): abbiamo rigonfiamento delle ghiandole, febbre intermittente,
sudorazione profusa, diarrea, dimagrimento, astenia e splenomegalia.
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● Fase conclamata da AIDS: in cui abbiamo peggioramento della sintomatologia con peggioramento
delle sudorazioni notturne ed un calo del peso corporeo, diarrea cronica, deficit dell’immunità cellulo
mediata, in questa fase c’è una compromissione completa delle difese immunitarie con tutte quelle
infezioni opportunistiche (date da virus, batteri, miceti, protozoi, sarcoma di Kaposi) che porteranno
alla morte del paziente.
Modalità di trasmissione
Scambio di sangue e contatti sessuali. Ci sono inoltre dei gruppi a rischio che sono:
• Tossicodipendenti
• Omosessuali (maschi)
• Eterosessuali
Una cosa da attenzionare è la quantità di particelle virali presente nei liquidi biologici:
• Sangue (100%), liquido vaginale/ seminale, latte materno, liquido cerebrale
• < 1% feci, saliva, urine, lacrime
In 1 ml di sangue si ha la presenza di 10.000 virioni per quanto riguarda l’HIV, mentre per quanto riguarda
l’epatite B in 1ml di sangue ci sono 10 mila miliardi di virioni. Ed ecco perché noi definiamo il virus dell’HIV
non molto contagioso rispetto al virus dell’epatite B che è uno dei virus altamente contagioso.
Prevenzione efficace
Affidata ad una serie di atti impositivi e di suggerimenti comportamentali. Anche qui la denuncia è
obbligatoria e poi bisogna lavorare tanto su quella che è l’informazione e l’educazione sanitaria.
L’accertamento diagnostico può essere fatto con più metodologie a seconda se noi andiamo a ricercare
l’antigene o l’anticorpo. Abbiamo:
• Tecnica EIA o ELISA, che in ogni caso non è sufficiente perché deve essere poi confermato il
test con un western blot
• PCR, che va a vedere la presenza o no del genoma virale presente
• Ricerca dell'antigene circolare P24, che quando è presente significa che c’è una replicazione
virale e quindi dobbiamo attenzionare che è molto più infettivo rispetto a quando questo P24
non c’è.
In Italia ci sono ogni anno 4000 nuovi casi, uno ogni due ore. Attualmente l'infezione interessa tutte le fasce
d’età dai ragazzi alle persone di 60/70 anni. Oggi è in aumento la percentuale delle donne. In Italia
attualmente il 65% dei maschi contrae il virus tramite rapporti occasionali con amiche, o prostituite e
purtroppo il 70% delle donne si infetta attraverso il partner fisso (A questo punto la fedeltà diventa un
fattore aggiuntivo, perché i rapporti occasionali aumentano il rischio di infettarsi).
Nel mondo 35,5 milioni di persone sono sieropositive. Soprattutto l’Africa Sub-Sahariana continua ad
essere la regione più colpita con 25 milioni di persone che convivono con il virus, di cui 2,9 milioni di
bambini. Solo nel 2012 il numero delle nuove infezioni e di 1,6 milioni di cui 230.000 minori. L’Italia nel
2012 ha conquistato un triste primato. Quello di paese europeo con più morti per HIV. Nel 2001 i morti
sono stati 1400.
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Tra le principali cause emergono: scarsa prevenzione, ignoranza, abbassamento della guardia per quanto
riguarda i test del sangue che individuano la presenza del virus. Il test chiaramente è su base volontaria.
L’istituto superiore di sanità per il 2012 registra 3800 nuovi casi di persone infette. Complessivamente il
numero di italiani sieropositivi tocca quasi i 140 mila. Con un pericoloso aumento dei casi fra i giovanissimi
e il picco di infezioni del 36,1% dei casi totali. Nel 2012, la maggioranza delle nuove diagnosi di infezioni da
hiv è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’80,7% di tutte le nuove diagnosi. Cresce
anche il numero di donne italiane sieropositive, 3000 nuovi casi dal 2001.
È chiaro che è importante che l’infortunato arrivi al pronto soccorso il prima possibile e poi verrà fatto un
prelievo al paziente fonte sempre dopo che quest’ultimo avrà dato il suo consenso, per esecuzione di
accertamenti sierologici quali markers per epatite B e C, HIV. Quindi abbiamo bisogno del consenso
informato per fare un indagine diagnostica per l’HIV, sia soggettivo che per gli altri. Nel momento in cui ci
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infettiamo tramite il paziente fonte, quest'ultimo dovrà dare il suo consenso per effettuare il prelievo del
sangue e per fare questi accertamenti sierologici. Al lavoratore devono essere fatti gli stessi accertamenti
sierologici sempre per epatite B e C e per hiv. Tutto questo deve essere fatto nel famoso tempo 0, cioè nel
momento in cui io mi pungo, devo andare al pronto soccorso e fare questo prelievo e capire qual’è la mia
situazione sierologica al tempo 0. Sulla base dei risultati il medico di pronto soccorso valuta la necessità di
proporre la somministrazione di profilassi post esposizione per HIV, siero anti-HBV, vaccino per epatite B. Il
lavoratore viene inviato al medico competente per il follow-up. Ciò consiste in esami sierologici da eseguirsi
dopo 3 mesi, 6 mesi ma in ogni caso il protocollo sarà poi diverso da caso a caso, dipende poi la fonte di
cui mi sono contaminato. Come abbiamo visto quindi abbiamo l’infortunio, come per esempio una puntura
d’ago e io nell’immediatezza cosa devo fare? Devo lavare le mani con la saponetta o col sapone liquido,
fare uscire il sangue e poi andare a comunicare al responsabile del reparto che mi invierà al pronto
soccorso e contemporaneamente mi chiederà “ti sei punto con l'ago di chi?”. A quel punto al paziente x si
chiederà il consenso informato, si farà il prelievo, si manderà al laboratorio, si farà l’accertamento
diagnostico dei markers dell’epatite B, C e anche dell’HIV e contemporaneamente io al pronto soccorso mi
farò un prelievo, e poi a seconda di quello che c’è nel paziente si eseguirà un protocollo caso per caso, e in
ogni caso io ripeterò questi esami a distanza di 3,6 mesi, ma sarà il medico competente a valutare il
protocollo da seguire di volta in volta.
• Infortunio in itinere: Infortunio occorso al dipendente durante il normale percorso di andata e ritorno
dal luogo di abitazione a quello di lavoro e viceversa. (Non rientrano in questa particolare fattispecie
di infortunio sul lavoro le interruzioni e le deviazioni del normale percorso, a meno che vengano
effettuate in attuazione di una direttiva del datore di lavoro o per causa di forza maggiore o per
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esigenze essenziali e improrogabili o nell’adempimento di obblighi penalmente rilevanti, esempio:
prestare soccorso a vittime di incidente stradale).
• Infortunio con rischio biologico: Tipologia di infortunio che abbia comportato il contatto fisico con
sangue o altro materiale biologico (saliva, urine, liquido amniotico, liquido asfittico, ecc) soprattutto
se contenente sangue.
Infortunato: è quella persona che abbia subito un infortunio nel corso della propria attività lavorativa
all’interno dell’A.O.U o in “itinere” in qualità di:
• Dipendente con rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato;
• Medico in formazione specialistica
• Personale universitario in equiparazione ospedaliera
• Studenti dei vari corsi di studio (medicina, infermieristica, ostetricia, ecc);
N.C. - non conformità
Paziente fonte: Si definisce così il paziente da cui proviene il materiale biologico (sangue, liquor, liquido
amniotico, saliva, urine, ecc) con il quale l'infortunato è venuto in contatto a seguito dell’evento
infortunistico.
Andiamo ad attenzionare adesso quali sono le responsabilità della corretta applicazione della presente
procedura nella qualità di datore di lavoro dell’AOU.
LA DIREZIONE SANITARIA
È responsabile:
• Della corretta applicazione della presente procedura
• Monitoraggio degli eventi infortunistici
• Valuta, ai fini preventivi, lo stato sierologico dell’infortunato
• Gestione dell’iter diagnostico (follow up) nei casi di infortunio con rischio biologico
ATTENZIONE
In caso di studente, di personale universitario o di altra figura universitaria equiparata al personale
aziendale, la documentazione prevista per la segnalazione, deve essere trasmessa anche al direttore
generale dell’Università degli studi di Messina all’indirizzo di posta elettronica certificata.
Andiamo a vedere cosa è previsto nel caso in cui l’infortunio sia con rischio biologico.
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In caso di infortunio con rischio biologico, dell’acquisizione e della trasmissione alla direzione sanitaria,
previa somministrazione di consenso informato (utilizzando il modulo 3), degli esiti relativi allo stato
sierologico per HBV, HCV, HIV ed delle transaminasi del “paziente fante“.
Una copia del “consenso” o del “non consenso” del “paziente fonte“ deve essere trasmesso alla direzione
sanitaria con DMPO attraverso la posta elettronica certificata impiegando l’indirizzo e-mail.
L’infortunato è responsabile: Del puntuale e corretto adempimento delle disposizioni all’ lui riferite nella
presente procedura. Il ritardo ingiustificato comporta, da un lato la non corretta attivazione dell’eventuale
follow-up diagnostico post-infortunio e dall’altro le regolare attivazione dell’iter amministrativo-burocratico
necessario al riconoscimento.
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determinazioni sotto indicate (a carico del centro di costo della unità operativa in cui è avvenuto
l’infortunio utilizzando l’apposito profilo informatico opportunamente predisposto):
a. Determinazione HIV-Ab p24
b. Determinazione di HCV-Ab
c. Determinazione di HBsAg, HBsAb e HBcAb;
d. Dosaggio di ALT
e. Consulenza infettivologica presso la UOC di malattie infettive;
In caso di infortunio con rischio biologico, è tenuto a fornire alla direzione sanitaria, nel più breve tempo
possibile (via posta elettronica certificata) le informazioni sierologiche (HBV, HCV, HIV ed ALT) ricavate sul
“paziente fonte“, dopo averne acquisito il consenso informato utilizzando il modello dell’allegato 3 , copia
del quale dovrà essere trasmesso anche alla direzione sanitaria.
La direzione sanitaria:
● Acquisisce verificando la congruità della stessa secondo quanto previsto dalla presente procedura.
● Gestisce i dati relativi agli eventi opportunistici utilizzando il sistema informatico opportunamente
predisposto.
● Indicazione del direttore dell’unità operativa in cui è avvenuto l’infortunio riguardo allo stato
sierologico del “paziente fonte“ ed al “consenso“ o “non consenso“ dallo stesso paziente prestato.
● Sulla base di quanto posto in rilievo dalle evidenze scientifiche internazionali di maggiore rilievo ed
ormai nel tempo consolidate e sulla scorta delle linee guida fornite dal direttore della unità operativa
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di virologia dell’azienda, richiederà l’eventuale follow-up sull’infortunato a distanza di un mese, tre
mesi o sei mesi dal “tempo zero“ dall’evento infortunistico.
Questo si fa perché è necessario valutare a distanza se c’è una sieroconversione o no dell'infortunato.
Secondo alcune indicazioni operative:
● là dove il “paziente fonte”, Al momento dell’evento infortunistico, fosse risultato positivo per HBsAg
e/o HBcAb e/o HIV-Ab/p24 e/o HCV-Ab, richiederà sull’infortunato, ad uno, tre o sei mesi
dall’evento infortunistico stesso, la determinazione dei markers sierologici risultati positivi sulle
“paziente fante“, per la verifica di una eventuale positivizzazione.
● Laddove il “paziente fante”, al momento dell’evento infortunistico, fosse risultato negativo per
HBsAg e/o HBcAb, per HIV-Ab/p24 e per HCV-Ab, non richiederà alcun ulteriore esame sierologico
sull’infortunato.
● La valutazione dei valori dell’ALT sarà Effettuata sempre a tempo zero sul paziente fonte e
sull’infortunato, mentre in corso di follow-up post esposizione essa seguirà la verifica del markers
per epatite B e/o C Sul paziente fonte e/o sull’infortunato, secondo le presenti indicazioni.
● Verifica lo stato vaccinale dellinfortunato per HBV:
○ In caso di negatività del marcatore HBsAb e HBcAb, consiglia l’infortunato stesso la
vaccinazione od il richiamo vaccinale per HBV, previa la sottoscrizione del consenso
informato.
● Emana le note di “non conformità“ laddove si ravvisino violazioni della presente procedura,
inoltrandole alla UOS Qualità, rischio clinico ed accreditamento.
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