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I TRIBUTI

Nell’ordinamento italiano non esiste una definizione di tributo, per definirlo si possono considerare le sue caratteristiche:
• Comporta il sorgere di un’obbligazione o altra forma di decurtazione patrimoniale,
• Ha carattere coattivo, cioè è sempre imposto con atto dell’autorità pubblica impositrice (ha potere autoritativo),
• È destinato a finanziare spese di interesse generale, senza destinazione specifica, ma esistono comunque tributi di scopo,
• Può essere istituito per fini fiscali ed extrafiscali (tributi ambientali, dazi, ecc.).
In base al tipo di presupposto (atto o fatto espressivo della capacità economica), i tributi si classificano in:
1. Imposte: hanno come presupposto un fatto economico posto in essere dal soggetto passivo, come, ad esempio, il
conseguimento di un reddito o il possesso di un bene. Esse sono commisurate alla misura economica del presupposto e
sono destinate a finanziare spese pubbliche indivisibili.
2. Tasse: hanno come presupposto l’emanazione di un atto o di un’attività della P.A. come l’emanazione di un atto in favore
del soggetto o di un’attività pubblica in favore del soggetto o la fruizione di beni pubblici (occupazione spazi) o servizi
pubblici (rifiuti). Nella tassa non vi è un rapporto di corrispettività tra prestazione e pagamento (sinallagma), infatti certe
tasse sono dovute anche nei casi in cui il servizio non è utilizzato. Sono destinate a finanziare spese pubbliche divisibili.
3. Contributi: hanno come presupposto l’arricchimento che determinate categorie di soggetti ritraggono dall’esecuzione di
un’opera pubblica. Finanziano spese per il raggiungimento di un fine comune (contributo di bonifica).
4. Monopoli fiscali: se si considera la funzione dei tributi come scopo di procurare entrate, i monopoli fiscali possono essere
considerati tributi, nonostante il loro prezzo sia un normale corrispettivo.

LE FONTI
➢ La riserva di legge
Le fonti del diritto tributario sono tutti gli atti o fatti capaci di innovare e formare le leggi tributarie.
L’art. 23 Cost. dispone che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. La
norma racchiude una riserva di legge, in quanto una disposizione costituzionale prescrive che la disciplina di materia tributaria
sia riservata a una fonte legislativa, escludendo così le fonti subordinate. L’art. 23 introduce tre nozioni:
• Legge: l’art. si riferisce alla legge statale ordinaria (artt. 71-74 Cost.), agli atti aventi forza di legge (D.L. e D.lgs.), alle leggi
regionali (e provinciali per Trento e Bolzano), e alle fonti UE.
• Base legislativa: l’art. è una riserva di legge relativa (non assoluta): la legge deve dare solo una base legislativa, i cui
contenuti minimi sono il presupposto del tributo, il soggetto passivo, la base imponibile e l’aliquota massima, mentre la
normativa attuativa e integrativa devono essere fatte dalle fonti secondarie.
• Prestazione imposta: l’art. riguarda tutte le prestazioni personali e patrimoniali imposte coattivamente dalla legge,
caratteristica essenziale. Le prestazioni patrimoniali sono i tributi e le prestazioni personali sono i corrispettivi di fonte
contrattuale in materia di controprestazioni, il cui corrispettivo è fissato unilateralmente dalla legge e al privato spetta
solo la libertà di richiedere o meno la prestazione (tariffe, corrispettivi servizi pubblici essenziali).

➢ La legge
1. Leggi ordinarie statali: la formazione e l’approvazione delle leggi ordinarie statali in materia di imposizione tributaria non
presentano nessuna particolarità (si applicano artt. 71-74 Cost.). Esse non possono essere mai abrogate con referendum
popolare (art. 75 c. 2 Cost.) e se costituiscono aiuti di Stato devono essere autorizzate dalla Commissione Europea.
2. Lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 27/07/00 n. 212): legge ordinaria che attua gli articoli di materia tributaria della
Costituzione ed è portatore dei principi generali dell’ordinamento tributario. Esso ha valore per l’interpretazione delle
leggi tributarie e le sue norme sono criteri-guida vincolati per l’interprete. Le disposizioni dello Statuto possono essere
derogate o modificate solo espressamente (no abrogazione per incompatibilità tra le nuove precedenti disposizioni) e mai
da leggi speciali. Gli articoli dello Statuto vengono divisi in due gruppi: legge tributaria e rapporti fisco-contribuente.
3. Decreti con forza di legge: sono emanati dal Governo. I Decreti-legge sono provvedimenti provvisori con forza di legge,
che possono essere addottati in casi di necessità ed urgenza; hanno efficacia dal giorno della pubblicazione e perdono
efficacia se non convertiti in legge entro 60 gg dalla pubblicazione. In materia tributaria vi è un frequente uso quando
occorre far fronte ad esigenze finanziarie che richiedono di essere soddisfatte con urgenza. Tuttavia, secondo lo Statuto,
attraverso di essi non si possono istituire nuovi tributi e non si possono applicare tributi già esistenti ad altre categorie
di soggetti. I Decreti legislativi sono decreti delegati dal Parlamento al Governo per l’esercizio della funzione legislativa
con cui il Parlamento fissa i principi e i criteri direttivi per un tempo limitato e per oggetti definiti, mentre l’esecutivo
predispone il decreto. In materia tributaria vi è un frequente uso di essi, ad esempio la riforma tributaria del 1971, che ha
portato all’emanazione dei testi unici, è stata attuata appunto con un decreto legislativo.
4. Leggi regionali: le Regioni, godendo di potestà legislativa concorrente e residuale a quella dello Stato, possono legiferare
in materia di tributi regionali e locali nell’ambito segnato dai principi fondamentali fissati dallo Stato (art. 117 Cost.) e dei
principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dallo Stato (art. 119 Cost.). In pratica, le
leggi statali regolano completamente i tributi regionali o locali e le regioni fissano solo le aliquote entro i limiti prefissati
dalla legge statale. Questi tributi sono propri delle regioni solo perché le regioni ne ricevono il gettito.
5. Regolamenti: atti normativi emanati dal Governo, dai ministri o dalle Regioni e enti locali per disciplinare determinate
materie. Essi non possono essere in contrasto con la legge o con la Costituzione, pena nullità e disapplicazione.
I regolamenti governativi sono deliberati da Consiglio dei ministri, dopo aver sentito il parere del Consiglio di Stato, e sono
emanati dal Presidente della Repubblica. A seconda della disciplina si dividono in:

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• Esecutivi: disciplinano l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi,
• Attuativi e integrativi: disciplinano l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi di norme di principio,
• Indipendenti: disciplinano materie non disciplinate dalla legge (se non riservate alla legge),
• Organizzatori: disciplinano l’organizzazione e il funzionamento della P.A.
In materia di diritto tributario, il Governo può emanare regolamenti esecutivi anche senza apposita autorizzazione
legislativa, e regolamenti delegati solo con apposita norma espressa che detti la disciplina di base della materia.
6. Fonti Ue: l’ordinamento dell’Unione europea ha una posizione di primato rispetto all’ordinamento nazionale: nelle
materie appartenenti alla sfera di competenza dell’Ue valgono le norme dell’Ue, non quelle nazionali, e in caso di
incompatibilità, il giudice nazionale deve applicare quelle Ue.

➢ Efficacia nel tempo della norma tributaria


Le leggi e i regolamenti, dopo essere approvati, promulgati e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, entrano in vigore a partire dal
15esimo gg successivo alla pubblicazione. Vi è una netta distinzione tra entrata in vigore e efficacia nel tempo: la prima è il
momento a partire dal quale il testo normativo diventa legge, mentre la seconda è il momento a partire dal quale la legge ha
effetto. Spesso i due momenti non coincidono in quanto l’efficacia può essere sia retroattiva che differita.
L’art. 11 Preleggi stabilisce che la legge non ha effetto retroattivo. Inoltre, l’art. 3 dello Statuto del Contribuente stabilisce che,
per le leggi tributarie:
• Le nuove disposizioni non possono prevedere adempimenti per i 60 gg successivi alla loro entrata in vigore,
• Le modifiche dei tributi periodici si applicano dal periodo di imposta successivo a quello dell’entrata in vigore.
La regola generale è quindi quella dell’irretroattività delle leggi tributarie, ma questa può essere derogata dalle norme
procedimentali e processuali, che sono norme ad applicazione immediata e quindi norme che si applicano anche ai
procedimenti e a processi in corso di svolgimento al momento dell’entrata in vigore delle nuove norme.
La legge cessa di produrre effetti per:
• Abrogazione, può avvenire: per dichiarazione espressa del legislatore, per incompatibilità con una nuova legge o per
l’entrata in vigore di una legge che regola l’intera materia già regolata da una legge precedente. Con l’abrogazione,
l’efficacia cessa ex nunc: la legge abrogata continua a essere applicata ai fatti avvenuti prima della sua abrogazione.
• Dichiarata incostituzionalità, con essa cessa anche l’efficacia ex nunc: la legge illegittima viene considerata mai esistita e
i relativi effetti sono considerati mai avvenuti.
• Per scadenza del termine previsto, nel caso di leggi temporanee.

➢ Efficacia nello spazio della norma tributaria


Le leggi tributarie hanno effetto in tutto il territorio nazionale, dove sono uniche ed esclusive, salvo norme che ne limitano la
portata a determinati territori. Le norme non statali hanno effetto nel territorio su cui ha potestà l’ente emanatore.
Le leggi tributarie si applicano ai fatti che si verificano nel territorio dello Stato (principio di territorialità), ma certe imposte
prescindono dalla territorialità e tassano anche fatti accaduti all’estero, dando rilievo ad altri elementi (es. imposte personali
sui redditi del soggetti residenti, si tassano redditi anche prodotti all’estero).

INTERPRETAZIONE E ANALOGIA
➢ Peculiarità della legislazione tributaria
L’interpretazione delle leggi tributarie presenta difficolta per più ragioni:
• Legislazione frammentata: non vi è né un codice né un testo unico comprensivo di tutta la materia tributaria, infatti il
diritto tributario è definito polisistematico in quanto le normative non sono coordinate e sono spesso inquadrate in
microsistemi settoriali che rendono difficili l’individuazione dei principi generali.
• Iperlegificazione e instabilità dell’ordinamento tributario: il legislatore produce con continuità nuove norme, o modifica
e ritocca le esistenti, per motivi di gettito e per adeguare la legislazione alle nuove realtà economiche.
• Necessità di conoscere discipline non giuridiche, come quelle finanziare ed economiche.
• Tecnica legislativa complicata: le norme tributare non vengono mai emanate su terreni vergini, è infatti necessario tener
conto di testi normativi preesistenti, nei quali le nuove leggi si inseriscono con aggiunte, sostituzioni e cancellature.

➢ L’interpretazione delle leggi tributarie sostanziali


Secondo l’art. 12 Preleggi “Alla legge non si può attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole
e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si deve aver riguardo
alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali
dell’ordinamento giuridico dello Stato”. L’interpretazione delle leggi tributarie, si divide quindi in tre momenti:
1. Interpretazione letterale: l’interpretazione inizia dal testo della legge secondo il contenuto letterale delle parole, definite
dallo stesso legislatore o dal settore giuridico di provenienza.
2. Interpretazione sistematica: l’interpretazione deve tener conto della volontà del legislatore storico (lavori preparatori),
della volontà del legislatore in senso astratto (ratio legis) e del sistema normativo tributario (principi generali).
3. Interpretazione conforme: l’interpretazione deve tener conto della legislazione di rango superiore: le disposizioni
tributarie devono essere interpretate in conformità dello Statuto (perché attuativo dei principi costituzionali), lo Statuto
deve essere interpretato in conformità della Costituzione, poi delle norme Europee e internazionali.

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➢ Le leggi di interpretazione autentica
Le leggi di interpretazione autentica sono leggi che impongono una determinata interpretazione di un’altra legge di incerto
significato, la quale resta in vigore tale e quale: la legge interpretativa non sostituisce quella interpretata. Queste leggi vengono
adottate anche per modificare interpretazioni giurisprudenziali divergenti dalle finalità che si era posto il legislatore.
Esse sono retroattive e sono ammesse, in materia tributaria, solo in casi eccezionali e solo con legge ordinaria.
Nei casi in cui la norma precedente è sostituita o abrogata da una nuova norma, non si è in presenza di una disposizione
interpretativa. Se non retroattive, si è in presenza di norme innovative, il cui scopo è quello di modificare una data disciplina.

➢ Altre fonti di interpretazione tributaria


Le leggi solitamente sono interpretate dalla dottrina e dagli operatori pratici del diritto, come l’amministrazione finanziaria.
Quest’ultima svolge quotidianamente opere di interpretazione attraverso circolari per i propri uffici periferici e interpelli e
istruzioni di accompagnamento per i contribuenti.
Non essendo però fonti di diritto, gli atti della dottrina e dell’amministrazione finanziaria non sono vincolanti né per i
contribuenti, né per i giudici e né per la stessa amministrazione finanziaria.

➢ L’analogia
L’analogia è il procedimento con cui si interpreta per somiglianza una legge che presenta una lacuna, cioè un caso o una
materia non espressamente disciplinati.
L’art. 12 delle Preleggi indica due forme di analogia: l’analogia legis, con cui si applicano le norme previste per casi simili o
materie analoghe, e l’analogia juris, con cui si ricorre ai principi generali dell’ordinamento.
La legge tributaria, essendo per sua natura completa, non può essere interpretata analogicamente perché non presenta lacune
tecniche e l’interprete non ha nulla da completare o integrare: se una legge tributaria omette di tassare una fattispecie non
presenta alcuna lacuna tecnica, in quanto rappresenta tutti i casi esenti e agevolati che il legislatore ha voluto individuare.

I PRINCIPI COSTITUZIONALI
Le norme tributarie sono influenzate dai principi costituzionali in due diversi modi:
• Dovere di concorrere alle spese pubbliche e di adempiere agli obblighi di solidarietà,
• Diritti costituzionalmente garantiti al cittadino contribuente.
L’art. 2 recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Da cui si ricava che concorrere alle spese pubbliche è quindi obbligo
connesso ai doveri di solidarietà cui sono tenuti tutti i membri della società.
L’art. 3 recita “Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”. Da cui si ricavano due principi:
• Il principio di eguaglianza tributaria, secondo cui a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi
(tassazione uguale), e a situazioni diverse devono corrispondere diversi regimi impositivi (tassazione diversa).
• Il principio di funzione redistributiva dello Stato, secondo cui lo Stato, oltre a procurarsi risorse necessario al suo
funzionamento attraverso i tributi, deve redistribuire la ricchezza ottenuta in modo equo tra i cittadini attraverso il prelievo
fiscale e la spesa pubblica.
L’art. 23 recita “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Esso racchiude
una riserva di legge, in quanto una disposizione costituzionale prescrive che la disciplina tributaria sia riservata alla legge.
L’art. 24 recita “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. La difesa è diritto inviolabile. Sono assicurati ai
non abbienti i mezzi per agire e difendersi”. Da cui si ricava che anche in ambito tributario è garantito il diritto alla difesa e il
gratuito patrocinio per i non abbienti.
In questi articoli viene riconosciuta la costituzionalità delle agevolazioni fiscali: il legislatore non viola il principio di uguaglianza
se il trattamento differenziato trova giustificazione in una norma costituzionale. In particolare:
• Art. 31: “La Repubblica agevola con misure economiche la formazione della famiglia, in particolare delle famiglie
numerose”. Da cui si ricava che possono essere previste detrazioni specifiche per la famiglia (coniuge a cario, figli a carico).
• Art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Da cui si
ricava che possono essere previste detrazioni specifiche (spese mediche) e esenzioni da imposte (spese mediche esenti
da IVA) per la salute.
• Art. 45: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere mutualistico e ne promuove e favorisce
l’incremento”. Da cui si ricava che possono essere previste agevolazioni fiscali per le coop.
• Art. 47: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla
proprietà dell’abitazione”. Da cui si ricava che può essere prevista un’imposizione agevolata per il risparmio, anche diretto
alla proprietà dell’abitazione.
L’art. 36 recita “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso
sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libertà dignitosa”. Da cui si ricava che l’imposizione sui redditi da
lavoro deve garantire libertà e dignità al lavoratore, quindi devono essere posti limiti massimi di imposizione.
L’art. 41 recita “L’iniziativa economica privata è libera”. Da cui si ricava che il sistema tributario non deve impedire l’iniziativa
economica privata e deve concorrere a mantenere le condizioni di sicurezza (es. tributi ambientali).
L’art. 42 recita “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”. Da cui si ricava che il sistema tributario non deve
ostacolare la formazione della proprietà privata attraverso tributi eccessivi o simil-espropriativi.

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L’art. 53 recita “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema
tributario è informato a criteri di progressività”. Esso fissa i più importanti principi a cui si ispira il sistema tributario italiano:
• Il dovere e l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche: completa l’obbligo dell’art. 2 secondo cui concorrere alle spese
pubbliche è un dovere di solidarietà cui sono tenuti tutti. Viene ribadito quindi che il fondamento del dovere tributario
non è un rapporto sinallagmatico tra Stato e singolo: il singolo deve contribuire alle spese pubbliche, non in rapporto a
ciò che riceve dallo stato, ma in ragione della sua capacità contributiva.
• Il principio di capacità contributiva ed il cosiddetto minimo vitale: per capacità contributiva si intende la capacità e forza
economica di un soggetto. Questa forza viene espressa attraverso fatti di natura economica che il soggetto compie che
costituiscono il presupposto dell’obbligazione tributaria. Essi vengono individuati tramite indici di capacità contributiva,
classificabili in:
o Indici diretti, che esprimono direttamente la capacità, come il reddito, il patrimonio e i suoi incrementi.
o Indici indiretti, che esprimono indirettamente la capacità, come il consumo e gli affari.
Non tutti i fatti economici esprimono capacità contributiva: il minimo vitale deve sempre essere garantito e il tributo non
deve intaccare i mezzi economici necessari per i bisogni essenziali, di conseguenza un reddito minimo non è indice di
capacità. Questo implica che nell’imposta sul reddito deve essere previsto un minimo imponibile non tassato cosicché il
prelievo non metta in repentaglio la sopravvivenza della persona.
Importanti sono anche i requisiti di effettività e attualità: il primo richiede che il fatto tassato sia rivelatore di capacità
contributiva effettiva, non apparente o fittizia; il secondo richiede invece che il fatto tassato sia correlato a una capacità
contributiva in atto, non passata o futura.
• Il principio della progressività del sistema tributario: il sistema tributario deve prelevare in modo progressivo e non
proporzionale, cioè in modo tale che l’aliquota aumenti all’aumentare dell’imponibile. Questo principio riguarda solo il
sistema tributario e non i singoli tributi (anche non progressivi). Tramite la progressività del sistema viene assicurata la
copertura delle spese pubbliche e la funzione redistributiva dei tributi per il raggiungimento dei fini di giustizia sociale.
L’art. 97 recita “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento
e l’imparzialità dell’amministrazione”. Da cui si ricava che l’attività dell’Amministrazione finanziaria è regolata dalla legge per
tutelare il contribuente da comportamenti scorretti che questa potrebbe intraprendere.

L’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA E LE AGEVOLAZIONI


➢ Struttura del tributo
Ogni tributo si compone dei seguenti elementi:
• Soggetto attivo: il creditore, non sempre coincide con chi introita il tributo (Irap soggetto attivo è regione ma l’Agenzia
delle Entrate introita).
• Soggetto passivo: il debitore, non sempre coincide con chi subisce il prelievo (Iva grava sul consumatore ma soggetti
passivi sono operatori economici).
• Presupposto: il fatto o l’atto dal quale nasce l’obbligo tributario.
• Base imponibile: la traduzione monetaria del presupposto. Può essere costituita da una grandezza monetaria come un
importo netto o un corrispettivo, o da una grandezza non monetaria come il valore dell’oggetto dell’atto o le unità.
• Aliquota: la misura del tributo.

➢ L’obbligazione tributaria
L’obbligazione tributaria è di tipo legale. La sua origine e misura non derivavano esclusivamente dalla legge, possono infatti
derivare anche da atti e scelte del contribuente, che può scegliere il regime di imposizione (opzioni) con comportamento
concludente o con dichiarazione al fisco; può scegliere di rateizzare alcuni componenti attivi e passivi del reddito come
ammortamenti e plusvalenze; e può scegliere, nell’imposta di registro, la base imponibile con il sistema del prezzo-valore.

➢ Classificazione delle imposte


A seconda della manifestazione della capacità, le imposte si classificano in:
• Dirette: colpiscono una manifestazione diretta di capacità contributiva come il reddito o il patrimonio.
• Indirette: colpiscono una manifestazione indiretta di capacità contributiva come i consumi e i trasferimenti.
A seconda che abbia o non abbia rilievo la situazione personale del contribuente, le imposte si classificano in:
• Reali: non tengono conto della situazione personale del contribuente (IRAP).
• Personali: tengono conto della situazione personale del contribuente (IRPEF coniuge/figli a carico).
A seconda di quando si manifesta il presupposto dell’imposta, le imposte si classificano in:
• Istantanee: hanno per presupposto un fatto singolo, ad ogni fatto corrisponde una distinta obbligazione (imposta sulle
successioni che colpisce gli eredi al momento della morte del de cuius).
• Periodiche: hanno come presupposto un insieme di fatti che si sono verificati o che sono imputati in un certo arco
temporale detto periodo d’imposta (imposte sui redditi e IVA).
A seconda della loro misura, le imposte possono essere classificate in:
• Fisse: hanno misura e aliquota fissa (imposta di registro dovuta in misura fissa per ogni atto da registrare).
• Proporzionali: hanno aliquota fissa che non cambia al variare della base imponibile (IVA ha tre aliquote fisse per gruppi di
beni o servizi).

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• Progressive: l’aliquota aumenta più che proporzionalmente con l’aumento della base imponibile. Vi può essere una
progressività per classi, per scaglioni, per detrazioni o continua (IRPEF).
• Regressive: l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile.

➢ Esenzioni e agevolazioni
Le esenzioni sono deroghe alla disciplina ordinaria che sottraggono, in tutto o in parte, all’applicazione di un tributo fattispecie
che sono imponibili in base alla definizione generale del presupposto. La loro conseguenza è la non applicazione dell’imposta.
Le esenzioni non hanno sempre natura agevolativa: talvolta il legislatore esenta una fattispecie da un imposta perché prevede
l’applicazione di un’imposta alternativa sostitutiva, e solo se questa comporta un minor onere, l’esenzione è agevolativa.
Le esenzioni possono essere classificate in:
• Temporanee: sono introdotte per un periodo di tempo limitato (esenzioni concesse alle imprese per 10 anni).
• Permanenti: non sono introdotte per tempi limitati (esenzione IVA spese mediche).
• Soggettive: riguardano il soggetto passivo (esenzioni dall’IMU sulla prima casa). Non operano quando la proprietà del bene
è trasferita a un soggetto non esente.
• Oggettive: riguardano l’oggetto del tributo (esenzioni dall’IMU dei terreni agricoli). Continuano a operare anche quando
muta la proprietà del bene.
Le agevolazioni, dette anche misure di favore, sono deroghe alla disciplina ordinaria che riducono il quantum del tributo.
Possono essere concesse mediante:
• Detassazione parziale della base imponibile: parte della base imponibile non viene tassata,
• Deduzioni dalla base imponibile: viene ridotta la base imponibile,
• Detrazioni dall’imposta: viene ridotta l’imposta,
• Riduzioni dell’aliquota,
• Regimi fiscali sostitutivi: la fattispecie viene assoggettata ad un altro regime,
• Crediti d’imposta: il credito del contribuente verso il fisco viene detratto dall’ammontare del tributo.
Le esenzioni e le agevolazioni equivalgono a delle spese per lo Stato, per questo vengono anche definite tax expenditures.

I SOGGETTI PASSIVI
➢ Soggetto passivo
Il soggetto passivo o contribuente è colui che è tenuto al pagamento di un tributo, secondo la legge che regola il tributo stesso.
Non è necessariamente colui a carico del quale è posto il tributo (responsabile e sostituto d’imposta).
Possono essere soggetti passivi le persone fisiche, le persone giuridiche e anche soggetti senza personalità giuridica, come le
società di persone, i comitati e le associazioni non riconosciute.

➢ Solidarietà tributaria
L’obbligazione tributaria e gli obblighi formali, come la presentazione della dichiarazione, possono essere imposti a più
soggetti. Sono in solido quando più debitori sono obbligati per la medesima prestazione: ognuno di essi può essere costretto
all’adempimento totale dell’obbligo che libera gli altri. La solidarietà tributaria è stabilita caso per caso dalla legge.
Vi sono due tipi di solidarietà tributaria:
• Solidarietà paritaria: il presupposto del tributo è riferito indistintamente a più soggetti che diventano coobbligati. Per il
fisco tutti i soggetti sono coobbligati in solido, e nei rapporti interni il coobbligato che paga per intero ha diritto di regresso
pro quota (imposta di successione: gli eredi sono tenuti in solido ad assolvere i debiti d’imposta del de cuius).
• Solidarietà dipendente: il presupposto è riferito a un obbligato principale ma del debito è anche responsabile
solidalmente un obbligato dipendente, detto responsabile d’imposta, perché realizza una fattispecie collaterale. Il
responsabile d’imposta è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri per fatti esclusivamente riferibili a questi.
Per il fisco il responsabile d’imposta è coobbligato in solido, mentre nei rapporti interni, il responsabile d’imposta, se paga
il tributo, ha diritto di regresso e di rivalsa nei confronti dell’obbligato principale (imposta di registro: il notaio
(responsabile) è obbligato al pagamento dell’imposta insieme alle parti contraenti (obbligati principali); solidarietà
civilistica dei soci: i soci della SNC e SAS (responsabili) rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti , anche fiscali,
della società (obbligata principale)).

➢ Sostituzione tributaria e ritenute


Nella sostituzione tributaria, il sostituto d’imposta che eroga una somma al sostituito è obbligato ad operare una ritenuta
dalla somma e versarla all’Erario.
Secondo il D.P.R. 600 art 64, il sostituto è colui che, in forza di disposizione di legge, è obbligato al pagamento di imposte di
altri, per fatti a questi riferibili e anche a titolo di acconto. L’effettuazione della ritenuta ed il suo versamento all’Erario sono
dunque obblighi, stabiliti per legge, che vincolano il sostituto. Sul sostituito invece non vige alcun obbligo, egli è colui che
realizza il presupposto, ed è quindi il soggetto passivo, e colui che introita la somma ridotta dalla ritenuta.
In base al D.P.R. 600 art. 23, sono sostituti d’imposta: i soggetti passivi IRES, le società di persone, le associazioni, gli
imprenditori individuali, coloro che esercitano arti e professioni e i curatori fallimentari che devono effettuare le ritenute
quando corrispondono: somme che costituiscono reddito di lavoro dipendente; compensi di lavoro autonomo e altri redditi
diversi, provvigioni inerenti a rapporti di commissione, agenzia, mediazione e rappresentanza di commercio; interessi,
dividendi e altri redditi di capitale; premi e vincite.

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La sostituzione tributaria può operare:
• A titolo d’imposta: la ritenuta estingue l’obbligazione tributaria del sostituito. In questo caso le ritenute non vanno
dichiarate dal sostituito perché non concorrono alla formazione del reddito complessivo.
• A titolo d’acconto: la ritenuta costituisce un’anticipazione del tributo e non estingue l’obbligazione tributaria del
sostituito, che infatti deve indicare la ritenuta in dichiarazione. Le ritenute d’acconto, per il sostituito, costituiscono un
acconto dell’imposta che sarà dovuta sui redditi di quel periodo, che sarà indicato nella dichiarazione dove sarà detratto
dal debito d’imposta dell’anno (ritenuta su redditi di lavoro dipendente e autonomo).

➢ Rivalsa e accollo
La rivalsa è l’istituto giuridico in forza del quale un soggetto, sul quale grava l’obbligo di versare un tributo dovuto da un altro
soggetto, ha il diritto di rivalersi sul secondo soggetto. Il diritto di rivalsa è conferito:
• Al soggetto passivo che realizza il presupposto, come nel caso dell’IVA, in cui i soggetti passivi del tributo, cioè gli operatori
economici, hanno il diritto di addebitare l’imposta ad altri soggetti, cioè i clienti.
• Al soggetto passivo che non realizza il presupposto, come nei casi del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta,
in cui i soggetti passivi del tributo hanno il diritto di rivalsa sui soggetti che hanno realizzato il presupposto.
La rivalsa dell’imposta può essere facoltativa, obbligatoria (IVA e sostituto d’imposta) o vietata. Quando non vi sono norme
che la vietano, i privati sono liberi di stipulare patti di accollo dell’imposta, cioè patti di diritto civile con i quali un soggetto,
detto accollante, si assume il debito d’imposta di un altro soggetto, detto accollato.
L’unico limite posto ai patti di accollo è previsto dallo Statuto del contribuente, che prevede che l’accollo del debito è ammesso
solo senza liberazione del contribuente originario, cioè l’accollato.

LA DICHIARAZIONE
In Italia, l’attuazione dei tributi prevede la partecipazione attiva dei contribuenti. Ad essi, infatti, sono imposti l’obbligo di
tenere la contabilità, l’obbligo di effettuare i versamenti periodici e l’obbligo di effettuare la dichiarazione dei redditi, senza
interventi dell’Amministrazione finanziaria, a cui spetta il compito di verificare l’esatta esecuzione degli obblighi e di intervenire
nei casi di mancata esecuzione.

➢ Dichiarazione dei redditi


Ai contribuenti è imposto l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi all’Amministrazione finanziaria, nella quale
devono essere indicati il presupposto e l’ammontare dell’imposta. La dichiarazione può essere prevista:
• A scadenza annuale, per i tributi periodici il cui presupposto si realizza e varia anno per anno (IRPEF, IVA, IRAP),
• Al realizzarsi del presupposto, per i tributi ad applicazione istantanea (imposta di registro, presupposto è atto),
• All’inizio del verificarsi del presupposto, senza ulteriori dichiarazione se questo non si modifica (IMU).

➢ Soggetti
Secondo il D.P.R. 600 art.1, la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche deve essere presentata,
in generale, dai soggetti che abbiano posseduto redditi, anche se da tali redditi non deriva alcun debito d’imposta, e, in
particolare, anche dai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, anche se non hanno prodotto redditi.
La dichiarazione non deve essere presentata dai soggetti che possiedono: solo redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta a titolo
d’imposta, redditi fondiari minimi e non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, o redditi inferiori al minimo imponibile.
Secondo il D.P.R. 322 art. 1, la dichiarazione annuale ai fini IVA deve essere sempre presentata, anche se i contribuenti non
hanno effettuato operazioni imponibili.

➢ Contenuti
Il contenuto della dichiarazione dei redditi è dato dall’indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione
delle imponibili secondo le norme che disciplinano le imposte stesse. Devono inoltre essere indicati anche:
• I redditi soggetti a tassazione separata,
• I dati necessari a determinare l’imposta dovuta e la somma da versare, come gli oneri deducibili, l’imposta lorda, le
detrazioni, le ritenute, gli acconti e i crediti d’imposta,
• I dati necessari per l’effettuazione dei controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria,
• I dati relativi al monitoraggio fiscale, cioè i trasferimenti da e verso l’estero e la disponibilità di investimenti all’estero,
• Le opzioni esercitate dal contribuente, cioè la scelta del regime di contabilità, la scelta tra rimborso e riporto a nuovo dei
crediti d’imposta, ecc. Il quantum del tributo non dipende solo dalla legge, ma anche dalle scelte del contribuente. Se le
opzioni non sono esercitate nella dichiarazione possono essere anche desunte da comportamento concludente.

➢ Modelli e trasmissione
La dichiarazione deve essere redatta, a pena di nullità, utilizzando il modello approvato dall’AF. Per i lavoratori dipendenti e i
pensionati, se la loro situazione reddituale non è complessa, è previsto un modello semplificato (730) ed è messo a disposizione
un modello precompilato che può essere integrato.
Le dichiarazione devono essere trasmesse al fisco in via telematica direttamente dal contribuente o tramite intermediari
abilitati, salvo alcuni limitati casi nei quali è possibile la presentazione cartacea a uffici postali o banche abilitate. Il dichiarante
deve in ogni caso conservare l’originale cartaceo da esibire in caso di controlli.

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➢ Termini di presentazione
Le dichiarazioni delle persone fisiche devono essere presentate entro il 30 novembre dell’anno successivo al periodo di
imposta cui si riferisce (se in modalità cartacea tra il 1° maggio e il 30 giugno in banca o posta), mentre le dichiarazioni delle
persone giuridiche devono essere presentate entro l’undicesimo mese successivo al periodo di imposta cui si riferisce.
In caso di dichiarazione non sottoscritta, essa è nulla. La nullità può essere sanata solo se la sottoscrizione è apostata entro
trenta giorni da quando l’ufficio invita a sottoscrivere.
Le dichiarazioni presentate con ritardo inferiore a 90 giorni sono considerate valide ma ad esse si applica una sanzione
amministrativa. Le dichiarazioni presentate invece con ritardo superiore a 90 giorni sono considerate omesse, con la
conseguenza che verrà effettuato un accertamento d’ufficio.

➢ Dichiarazioni integrative
La dichiarazione, essendo una dichiarazione di scienza e giudizio, è integrabile e modificabile per porre rimedio a errori
commessi nella sua redazione. La modifica deve essere fatta entro la fine del quinto anno successivo a quello in cui è stata
presentata la dichiarazione da rettificare, presentando una nuova dichiarazione, che può essere:
• Dichiarazione integrativa in aumento: il contribuente pone rimedio ad errori indicando un maggiore imponibile, una
maggiore imposta o un minore credito. Alla dichiarazione integrativa segue sempre una sanzione e il contribuente può
però ridurla con il ravvedimento operoso, cioè presentando la nuova dichiarazione e versando l’imposta, gli interessi e la
sanzione ridotta. La dichiarazione con valore di ravvedimento operoso può essere presentata anche quando la violazione
sia stata già constata o siano già iniziati i controlli di accertamento.
• Dichiarazione integrativa in diminuzione: il contribuente pone rimedio ad errori indicando una minore imponibile, una
minore imposta o un maggiore credito d’imposta. Il credito derivante dalla dichiarazione può essere utilizzato in
compensazione. Decorso il termine di presentazione, il contribuente non può più presentare una dichiarazione correttiva,
ma può far valere, in sede amministrativa o processuale, gli errori commessi a suo danno.

➢ Vizi della dichiarazione


L’accertamento d’ufficio avviene qualora la dichiarazione sia omessa o nulla. La dichiarazione si considera:
• Omessa, quando non presentata o presentata oltre 90 giorni dal termine previsto,
• Nulla, quando non redatta sugli stampati conformi o non sottoscritta (nullità è sanabile con successiva sottoscrizione),
• Infedele, quando un reddito netto non è indicato nel suo reale ammontare,
• Incompleta, quando è omessa l’indicazione di una fonte di reddito.
Nel caso di dichiarazione infedele o incompleta si ha un sanzione pecuniaria da una a due volte l’imposta non dichiarata.

L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
➢ L’attività amministrativa
L’attività amministrativa è svolta dagli organi dell’Amministrazione Finanziaria, che sono:
• Agenzia delle entrate, che amministra i tributi statali,
• Agenzia delle dogane e dei monopoli, che amministra i tributi doganali e delle accise,
• Agenzia del demanio, che amministra il demanio pubblico.
Collabora inoltre la Guardia di Finanza, che ha però solo poteri di constatazione (no poteri accertativi).

➢ L’agenzia delle Entrate


All’Agenzia delle Entrate svolge le seguenti funzioni:
• Reperimento delle risorse finanziarie per il funzionamento dello Stato,
• Perseguimento del massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali, mediante l’utilizzo dell’attività di controllo,
• Svolgimento dei servizi relativi all’amministrazione, alla riscossione ed al contenzioso dei tributi,
• Conservazione dei registri immobiliari, gestione del mercato immobiliare ed erogazione dei servizi catastali.
La struttura organizzativa dell’Agenzia delle Entrate si articola su cinque livelli:
1. Direzioni Centrali (10): svolgono funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo.
2. Direzioni Regionali (21): svolgono funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo con le direzioni
centrali. Curano i controlli sui contribuenti di grandi dimensioni (volume d’affari, ricavi o compensi superiori a 100 mln).
3. Direzioni provinciali (108): svolgono funzioni prettamente operative come l’attività di contrasto all’evasione ed elusione,
di controllo, di verifica, di liquidazione, di accertamento e di contenzioso. Sono strutturate in:
▪ Uno o più uffici territoriali, che svolgono funzioni di assistenza ai contribuenti, gestione delle imposte dichiarate,
rimborsi e alcune attività di controllo. Se la Provincia è piccola può coincidere con l’ufficio provinciale.
▪ Un ufficio di controllo, che svolge attività di controllo e accertamento. Ne esiste uno per provincia, ma se essa è di
grandi dimensioni, l’ufficio viene articolato in aree a seconda della tipologia di contribuenti.
▪ Un ufficio legale, che svolge funzioni di contenzioso, reclamo e mediazione.
▪ Un ufficio provinciale-Territorio, che svolge attività come servizi all’utenza, gestione delle banche dati e servizi tecnici
di pubblicità immobiliare (ex-catasto).
▪ Un’area di staff, che svolge la funzione di gestione del personale e supporto della direzione provinciale.

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4. Centri di assistenza multicanale (7): forniscono servizi ai contribuenti tramite telefono e in via telematica, danno
informazioni su scadenze ed obblighi fiscali, annullano gli atti di cui accertano l’illegittimità e curano l’assistenza
specialistica all’utenza professionale. Non sono uffici.
5. Centri operativi (3): svolgono in modo accentrato attività specialistiche a carattere seriale, tra cui controlli e accertamenti
con modalità automatizzate. Si trovano a Venezia, Cagliari e Pescara.

➢ Natura vincolata e indisponibilità


L’Amministrazione Finanziaria si occupa solo dell’amministrazione dei tributi, non può disporre né del potere impositivo, né
dei suoi diritti di credito (indisponibilità dell’obbligazione tributaria).
Il rapporto tra l’Amministrazione Finanziaria e i contribuenti è regolato da norme che garantiscono la corretta esecuzione
dell’attività dell’AF: lo Statuto dei diritti del contribuente, il contradditorio endoprocedimentale, l’interpello e l’autotutela.

➢ Statuto dei diritti del contribuente


Lo Statuto dei diritti del contribuente, nel suo art. 1, dichiara che le disposizioni del suo testo normativo costituiscono principi
generali dell’ordinamento tributario perché con esso si attuano gli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione.
Nell’art. 10 viene richiamato l’art. 97 della Costituzione, che assicura il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione
e legittima la tutela del contribuente da comportamenti scorretti che l’AF. potrebbe intraprendere. L’art. prevede infatti che i
rapporti tra contribuente e A.F. siano improntati al principio della collaborazione e al principio della buona fede.
Nell’applicazione di questi principi, lo Statuto impone degli obblighi informativi all’AF., quali:
• Assumere iniziative volte a consentire la conoscenze delle disposizioni legislative e amministrative vigenti,
• Assumere iniziative di informazione elettronica, tale da consentire aggiornamenti in tempo reale ai contribuenti,
• Portare a conoscenza dei contribuenti le circolari, le risoluzioni, gli atti e i decreti da essa emanate,
• Garantire al contribuente l’effettiva conoscenza degli atti a lui destinati, senza violare il diritto alla riservatezza,
• Informare il contribuente di ogni fatto a sua conoscenza dal qual possa derivare un credito o una sanzione,
• Garantire che ogni comunicazione sia comprensibile anche ai contribuenti sforniti di conoscenze tributarie e che il
contribuente possa adempiere alle obbligazioni con il minor numero di incombenti e nelle forme meno costose,
• Assicurare al contribuente residente all’estero tutte le informazioni in materia tributaria.

➢ Contradditorio endoprocedimentale
Il contradditorio endoprocedimentale realizza la partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento fiscale e
consiste nel diritto del contribuente di poter addurre le proprie ragioni in ordine agli elementi che l’AF. intende porre a
fondamento dell’atto impositivo-lesivo. Esso è un diritto che trova fondamento nell’art. 10 dello Statuto e nell’art. 97 Cost.
Il contradditorio endoprocedimentale è previsto nei casi di:
• Esito del controllo automatizzato e formale della dichiarazione: l’ufficio è obbligato a comunicare al contribuente, tramite
avviso bonario, l’esito del controllo automatico e formale della dichiarazione quando emerge un risultato diverso da quello
dichiarato. La cartella di pagamento della sanzione emessa senza il preventivo avviso bonario è illegittima.
• Accertamento basato sull’abuso del diritto: l’ufficio, prima di emettere l’accertamento di una operazione considerata
elusiva, è obbligato a notificare al contribuente una richiesta di chiarimenti.
• Accertamento basato sul redditometro: l’ufficio, quando intende rettificare il reddito in via sintetica, ha l’obbligo di
invitare il contribuente a fornire dati rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di
accertamento con adesione.
• Accertamento relativo ai tributi armonizzati: l’ufficio è obbligato richiedere chiarimenti al contribuente, da fornire entro
60 gg, prima di procedere all’atto di accertamento che disconosce deduzioni, detrazioni o crediti, pena nullità.
• Accertamento basato sugli studi del settore: in caso di accertamento in base agli studi del settore, detto il contradditorio
è ritenuto necessario, perché solo a seguito di esso si può pervenire alla determinazione del reddito.
• Memorie difensive: al termine della verifica, l’ufficio è obbligato a redigere un processo verbale, da consegnare
all’indagato, il quale dispone di 60 gg per presentare osservazioni e richieste all’ufficio impositore.
• D.L. 34/2019 art. 4: sull’AF. incombe l’obbligo generalizzato di attivare sempre (anche nei casi non previsti) il
contradditorio endoprocedimentale rispetto all’adozione di un provvedimento che possa incidere negativamente sui
diritti e sugli interessi del contribuente. Nel caso in cui questo non venga fatto, il provvedimento è nullo.

➢ L’interpello
Lo Statuto attribuisce ai contribuenti il diritto di interpellare l’Agenzia delle Entrate per ottenere un parere preventivo, in
relazione ad una disposizione da applicare a una fattispecie concreta e personale. Si possono proporre cinque tipi di interpelli:
• Interpretativo: nel caso di condizioni di obiettiva incertezza riguardo le norme tributarie in generale.
• Qualificatorio: nel caso in cui occorra qualificare una fattispecie.
• Probatorio: nel caso in cui occorra verificare l’esistenza di condizioni che legittimano specifici regimi fiscali. Si può
presentare solo nei casi previsti (istanze relative al consolidato, alle imprese controllate e alle società non operative).
• Antiabuso: relativo all’applicazione della disciplina antielusiva.
• Disapplicativo: per ottenere un provvedimento che disponga la disapplicazione di norme antielusive (limitazione di
deduzioni, detrazioni, crediti) fornendo la dimostrazione che tali effetti elusivi non possono verificarsi.

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L’interpello si propone con dettagliata istanza all’AF. e deve riguardare una disposizione da interpretare ad un caso concreto
e personale. L’istanza deve essere preventiva, deve cioè riguardare una disposizione di significato incerto da applicare in una
dichiarazione dei redditi non ancora presentata, e deve contenere l’interpretazione del contribuente.
L’AF. deve rispondere per iscritto entro 90 giorni in caso di interpello interpretativo, ed entro 120 giorni in caso di altri interpelli.
Se non risponde entro i termini, si verifica il silenzio-accoglimento e la soluzione del contribuente si ritiene condivisa.
La risposta è vincolante per l’AF. ma non per il contribuente, infatti se:
• La risposta è positiva (il contribuente si attiene alla risposta scritta dell’AF o l’AF ha accolto l’istanza tacitamente): non
possono essere emessi accertamenti o contestazioni in relazione alla fattispecie oggetto dell’istanza;
• La risposta è negativa (l’Agenzia non ha accolto l’istanza): il contribuente che non si adegua può avere due comportamenti:
o Comportamento difforme: presenta una dichiarazione difforme al parere dell’AF. e impugna l’avviso di rettifica,
o Comportamento compliance: presenta una dichiarazione conforme al parere, versa l’imposta, e successivamente
presenta istanza di rimborso.
Nei casi in cui un numero elevato di contribuenti abbia presentato istanze aventi la stessa questione o il parere riguardi norme
per le quali non sono stati resi chiarimenti ufficiali o vi siano stati comportamenti difformi tra gli uffici o il chiarimento fornito
sia di interesse generale, l’AF. deve pubblicare mediante circolare la risoluzione delle risposte rese e deve comunque fornire
la risposta ai singoli interessati.

➢ L’autotutela
L’autotutela è il diritto-dovere dell’A.F. di intervenire, sia d’ufficio che su istanza di parte, al fine di revocare o annullare
provvedimenti precedentemente emessi, consentendo quindi alla stessa Amministrazione di autodifendersi dai propri errori.
Essa trova fondamento nell’art. 10 dello Statuto e nell’art. 97 della Costituzione. L’autotutela si configura come:
• Potere di annullamento, quando gli atti presentano vizi di legittimità, ossia vizi di forma o procedimentali,
• Potere di revoca, quado gli atti sono infondati, ossia viziati nel contenuto.
L’autotutela può essere esercitata per: errore di persona, evidente errore logico o di calcolo, errore sul presupposto
dell’imposta, doppia imposizione, mancata considerazione dei pagamenti di imposta eseguiti, mancanza di documentazione
successivamente sanata, sussistenza dei requisiti per fruire deduzioni o regimi agevolativi precedentemente negati, ed errore
materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’AF.
L’autotutela può essere esercitata sia a seguito di richiesta del contribuente o d’ufficio, sia in pendenza di giudizio, sia dopo
che l’atto è divenuto definitivo (non impugnato o impugnato senza successo).
L’unico limite previsto prevede che l’A.F. non possa annullare il suo atto per motivi sui quali sia già intervenuta sentenza passata
in giudicato favorevole alla stessa (sentenza inconvertibile, non più impugnabile). Per cui l’AF. può annullare l’atto solo per
motivi che non contraddicono il contenuto del giudicato.
L’autotutela è giustificata dal dovere di rispristinare la legalità in applicazione dei principi di collaborazione e buona fede. La
Corte costituzionale però, ha affermato che l’autotutela tributaria è discrezionale e non sindacabile, presupponendo quindi
che per la rimozione dell’atto sia necessario, oltre all’illegittimità dell’atto, anche un interesse pubblico attuale e concreto.

LA RISCOSSIONE
La riscossione trova fondamento nel DPR. 602/1973: l’ente impositore può riscuotere solo nei modi previsti da esso e il
contribuente può liberarsi solo nelle forme legali previste da esso.
Alla riscossione dei tributi provvede l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, le cui funzioni sono:
• Incassare le somme pagate mediante versamento diretto e quelle iscritte a ruolo,
• Gestire il conto fiscale e procedere ai rimborsi connessi a tale conto,
• Provvedere all’esecuzione forzata.
La riscossione può essere spontanea, se eseguita spontaneamente dai contribuenti attraverso l’autotassazione, e forzata, se
eseguita dai contribuenti non adempienti in seguito ad atti emessi dall’A.F.
La riscossione delle imposte sui redditi può avvenire mediante ritenuta diretta, versamenti diretti e iscrizione a ruolo.

➢ Ritenuta diretta
La ritenuta diretta è operata direttamente dalle amministrazioni pubbliche, che assumono verso i propri dipendenti il duplice
ruolo di datore di lavoro, che eroga la retribuzione, e di creditore per le imposte che ne derivano: le amministrazioni statali
devono quindi operare le ritenute dirette e trasferirne l’importo alla Tesoreria dello Stato. La ritenuta diretta può essere
operata a titolo d’imposta e a titolo di acconto. Ad essa sono soggetti: i redditi di lavoro dipendente e autonomo, i redditi i
capitale, i contributi ed i premi e le vincite.

➢ Versamenti diretti
Il versamento diretto corrisponde all’autoliquidazione versata autonomamente dal contribuente. I versamenti diretti sono
effettuati direttamente presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate o mediante delega irrevocabile a una banca o alle Poste o
per via telematica tramite intermediario delegato, in tutti i casi il destinatario è la Tesoreria provinciale dello Stato.
La riscossione sui redditi e sull’IVA è una riscossione anticipata perché avviene nel corso del periodo d’imposta in anticipo
rispetto al verificarsi del presupposto. Essa viene effettuata mediante i versamenti diretti, che si realizzano attraverso:
• Versamento delle ritenute d’acconto da parte dei sostituti: sono effettuate mensilmente e versate entro il 16 del mese
successivo alla ritenuta;

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• Versamento di acconti da parte del contribuente: i versamenti d’acconto hanno come parametro la misura pari al 99%
dell’imposta versata nell’anno precedente e valgono come acconti dell’imposta dovuta per l’anno in corso.
Per IRES e IRPEF devono essere eseguiti in due rate: una pari al 40% dell’intero acconto, corrisposta entro il 16 giugno; e
l’altra pari al restante, da versare nel mese di novembre. Per l’IVA i versamenti devono essere eseguiti entro il 16 di ogni
mese ed entro il 27 dicembre deve essere versato un acconto calcolato in base all’ultima liquidazione.
Dopo che il periodo d’imposta si è concluso deve essere eseguito il saldo che risulta dovuto in base alla dichiarazione, calcolato
scomputando dall’importo totale delle imposte dovute le ritenute operate da terzi e gli acconti versati.
I contribuenti, usando il modello F24, possono effettuare versamenti unitari delle imposte dirette e indirette, delle ritenute,
ecc. Essi consentono la compensazione tra partite attive e passive, coinvolgendo anche diversi enti locali e previdenziali.
La compensazione è prevista dallo Statuto ed è ammessa solo nei casi e nei modi previsti dalla legge. In sede di versamenti
unitari, è ammessa sia la compensazione verticale, in cui il debito e il credito a compensazione sono relativi alla stessa imposta;
sia la compensazione orizzontale, in cui il debito e il credito a compensazione sono relativi a imposte di diversa natura.
Se la dichiarazione dei redditi reca poi saldo attivo, il contribuente ha diritto mediante opzione di chiedere il rimborso o di
optare per il congelamento del credito, per usarlo in compensazione nel periodo d’imposta successivo.

➢ Riscossione mediante ruolo


Il ruolo è una modalità di riscossione impiegato per la riscossione coattiva: esso è un atto amministrativo predisposto
dall’Ufficio impositore che racchiude l’elenco delle somme da riscuotere (imposte, interessi, sanzioni) in base ad un titolo che
legittima la riscossione (la dichiarazione o l’avviso d’accertamento). Tale elenco viene inviato al Concessionario della
riscossione che forma per il contribuente un apposito atto, detto cartella di pagamento, che viene notificato al contribuente
stesso. Con la cartella di pagamento viene chiesto al contribuente il pagamento delle somme dovute risultanti dal ruolo entro
60 giorni, con l’avvertenza che in caso di mancato pagamento verrà attivata la procedura di riscossione forzata.

➢ Iscrizione a ruolo in base alla dichiarazione


L’iscrizione a ruolo in base alla dichiarazione può effettuarsi in tre ipotesi:
• Nel caso di mancato versamento di somme dovute risultanti dalla stessa dichiarazione,
• Nel caso in cui risulta riscuotibile una somma maggiore di quella versata a seguito dei controlli automatici e formali,
• Nel caso in cui vi siano da riscuotere imposte sui redditi soggetti a tassazione separata.
Nel secondo caso, le iscrizioni a ruolo devono essere precedute dal contradditorio endoprocedimentale con il contribuente,
attivato mediante avviso bonario. Infatti, lo Statuto impone all’AF. di invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari
entro un termine congruo, prima di procedere all’iscrizione a ruolo, pena nullità di quest’ultimo.

➢ Iscrizione a ruolo in base agli avvisi di accertamento


Gli avvisi di accertamento sono atti di riscossione. Essi diventano esecutivi quando non impugnati entro 60 gg dal ricevimento.
Le iscrizioni a ruolo in base agli avvisi di accertamento si distinguono in:
• Ruoli definitivi, vengono formati nei casi in cui vi sia una sostanziale certezza dell’esistenza del credito dell’AF, cosa che
accade quando il debito del contribuente risulta dalla dichiarazione o da un avviso di accertamento divenuto esecutivo.
L’iscrizione a ruolo è destinata all’intera riscossione delle somme definitivamente dovute, salvo che:
o Il dichiarante impugni con successo l’iscrizione definitiva facendo valere suoi errori commessi nella dichiarazione,
o Gli accertamenti definitivi siano rimossi dall’AF. in sede di autotutela,
o Venga esperita con successo l’azione di revocazione straordinaria.
• Ruoli provvisori, vengono formati nei casi in cui non vi è una sostanziale certezza dell’esistenza del credito dell’AF., cosa
che accade quando gli avvisi di accertamento sono impugnati dal contribuente e non sono ancora stati definiti con
sentenza passata in giudicato. L’Ufficio deve iscrivere a ruolo provvisorio solo il 50% delle imposte contestate negli avvisi
d’accertamento e i relativi interessi. Poi, le imposte e gli interessi devono essere pagati:
o Per i 2/3, se la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale respinge il ricorso,
o Non oltre i 2/3, se la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale accoglie parzialmente il ricorso,
o Per l’intera somma con sanzioni, se la sentenza della Commissione Tributaria Regionale respinge il ricorso.

➢ La cartella di pagamento
La cartella di pagamento è l’atto con cui l’iscrizione a ruolo viene notificata al contribuente. La cartella si riferisce a tutte le
iscrizioni a ruolo riferite ad un soggetto in un dato periodo, per cui il suo contenuto può essere eterogeneo.
Nella cartella deve essere indicato, a pena di nullità, il responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di emissione della
cartella. La cartella deve contenere l’intimazione a adempiere al pagamento entro il termine di 60 giorni dalla notificazione,
con l’avvertimento di esecuzione forzata, e la motivazione dell’iscrizione a ruolo.
La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da soggetti delegati in via telematica o tramite raccomandata con
avviso di ricevimento. L’agente della riscossione deve conservare per 5 anni la cartella con avvenuta notificazione.
A pena di decadenza, le cartelle di pagamento relative alle imposte sui redditi e all’IVA devono essere notificate:
• Entro il 31/12 del 3° anno successivo a quello della dichiarazione per le somme dovute a seguito di liquidazione automatica,
• Entro il 31/12 del 4° anno successivo a quello della dichiarazione per le somme dovute a seguito di controllo formale,
• Entro il 31/12 del 2° anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli
accertamenti.

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➢ Pagamento delle somme iscritte a ruolo
Il pagamento delle somme iscritte a ruolo deve essere eseguito entro 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento.
Decorso questo termine sono dovuti interessi di mora per ritardata iscrizione a ruolo fino alla data di consegna dei ruoli
all’agente della riscossione.
Gli oneri di riscossione posti a carco del contribuente, detti aggio, sono dovuti in misura pari al 3% del ruolo se il pagamento
avviene entro il termine e pari al 6% se il pagamento viene dopo.

➢ Effetti del ruolo e sospensione


Il ruolo ha un duplice effetto:
• Attualizza un obbligo di pagamento, rendendo esigibile l’obbligazione tributaria se a titolo di avviso d’accertamento o
sollecitandola se a titolo di dichiarazione,
• Legittima l’esecuzione forzata in caso di mancato adempimento dell’obbligo di pagamento.
Il ruolo esplica i suoi effetti nei confronti del soggetto o dei soggetti coobbligati in solido che sono iscritti nel ruolo. L’A.F. può
agire solo nei confronti dei soggetti ai quali abbia notificato l’avviso di accertamento. Il ruolo non è dunque efficaci verso terzi.
La sospensione del ruolo e la sospensione della riscossione sono determinate quando il contribuente fa ricorso contro il ruolo
e chiede espressamente all’Agenzia delle Entrate la sospensione del ruolo. L’AdE può accordare la sospensione fino alla
pubblicazione della sentenza e può revocarla qualora sopravvenga fondato pericolo per la riscossione.

I RIMBORSI
➢ Crediti verso il fisco e rimborso da indebito
Il contribuente può vantare tre tipi di crediti verso il fisco:
• Crediti per rimborsi da indebito,
• Crediti per rimborsi risultanti dalla dichiarazione dei redditi o IVA e per altre somme debitamente pagate,
• Crediti d’imposta in senso stretto.
I crediti per imborsi da indebito sono quei crediti che il contribuente vanta quando ha eseguito un pagamento non dovuto e
ha diritto di riavere ciò che ha versato. Le cause dell’indebito tributario sono molteplici:
• Mancanza ab origine di una norma di legge a cui si ricollega l’imposta, ad esempio quando la norma non esiste, quando
il decreto-legge non viene convertito, quando la norma viene abrogata retroattivamente (incostituzionali o incompatibili),
• Sentenza di incostituzionalità di una norma tributaria, per cui i pagamenti assumono ex post la qualificazione di non
dovuti e devono essere rimborsati. Il rimborso è però escluso quando il pagamento è stato effettuato in base ad un
rapporto esaurito (pagamento effettuato in esecuzione di atto definitivo o scadenza del termine di richiesta del rimborso),
• Sentenza di incompatibilità con il diritto UE, con cui la norma non viene applicata (stesse regole incostituzionalità),
• Dichiarazione erronea e inesatta a sfavore del contribuente,
• Annullamento dell’avviso d’accertamento,
• Errori vari sull’effettuazione di ritenute e versamenti e sulla riscossione delle imposte indirette,
• Vizio del ruolo.

➢ Regole generali del procedimento di rimborso


Il contribuente che ha diritto al rimborso ha l’onere di presentare istanza di rimborso entro i termini e con le modalità previste
dalla disciplina specifica di ogni imposta. In mancanza di indicazioni, la domanda deve essere presentata entro 2 anni dal
pagamento o, se posteriore, entro 2 anni dal giorno in cui giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione.
Ricevuta l’istanza di rimborso, l’AF. deve esaminarla e deve pronunciarsi:
• Se la domanda è esplicitamente respinta, l’atto di rifiuto è impugnabile entro 60 giorni dalla notifica,
• Se l’A.F. non si pronuncia entro 90 giorni, il rifiuto tacito è impugnabile dal 90o giorno fino al termine di prescrizione
civilistica (decennale).

➢ Rimborso di ritenute dirette e di versamenti diretti


Per il rimborso delle ritenute dirette e dei versamenti diretti, la legge stabilisce che l’istanza di rimborso deve essere
presentata entro 48 mesi dal versamento. Se il versamento riguarda le ritenute indebitamente operate e versate, l’istanza può
essere presentata sia dal sostituto dalla data in cui ha versato, sia dal sostituito da quando ha subito la ritenuta.
Il termine di 48 mesi decorre dalla data del versamento o della ritenuta solo se la ritenuta o il versamento sono indebiti ab
origine, se invece sono indebiti per un errore di riscossione il termine decorre dal versamento del saldo.
Il sostituito può tutelarsi in due modi: in sede di dichiarazione può esporre le ritenute subite indebitamente e computarle per
essere compensate o può presentare istanza di rimborso. Nel presentarla, il sostituito non può rivolgersi in giudizio contro il
sostituto, ma può agire solo dinanzi al giudice tributario chiedendo il rimborso prima all’AF. e poi alle commissioni tributarie.

➢ Rimborso di somme riscosse mediante ruolo


Quando vi è iscrizione a ruolo di una somma non dovuta, il contribuente può tutelarsi impugnando il ruolo e chiedendo sia
l’annullamento del ruolo sia la condanna dell'AF. a rimborsare l’indebito.
Secondo la giurisprudenza, quando la somma è stata riscossa mediante ruolo, se ne può ottenere la restituzione solo se prima
si chieda l’annullamento del ruolo. Tuttavia, dal ruolo non deriva l’esistenza dell’obbligazione tributaria, per cui la mancata
impugnazione del ruolo non impedisce il rimborso delle somme indebite.

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In generale, comunque, anche la giurisprudenza è concorde nel permettere il rimborso senza impugnazione del ruolo qualora:
• L’iscrizione a ruolo è a titolo provvisorio, perché la sorte di questa fattispecie di iscrizione dipende dall’esito del processo
riguardante l’avviso di accertamento: se il ricorso contro l’avviso viene respinto, la somma riscossa viene definitivamente
acquisita dal fisco; se invece il ricorso è accolto, la somma riscossa deve essere rimborsata.
• Emergano errori materiali o duplicazioni dovute all’ufficio delle imposte, perché, essendo il vizio imputabile all’ufficio,
quest’ultimo deve rimborsare le somme indebite (rimborso d’ufficio) a prescindere da qualsiasi impugnazione.

➢ Il rimborso d’ufficio
La legge prevede espressamente che il rimborso deve essere disposto d’ufficio (senza istanza di parte) in due casi:
• Nel caso in cui la sentenza della commissione tributaria provinciale dichiari indebite le somme riscosse in via provvisoria
nel corso del giudizio di primo grado,
• Nel caso in cui le somme indebite siano state riscosse a causa di errori materiali e duplicazioni imputabili all’ufficio.
Per il rimborso d’ufficio opera soltanto il termine di prescrizione del diritto.

➢ Rimborso dei crediti per rimborsi risultanti dalla dichiarazione


I crediti risultanti dalla dichiarazione sono crediti debitamente pagati di cui il contribuente può richiedere il rimborso. Sono:
• Crediti emergenti dalla dichiarazione dei redditi: sorgono quando l’imposta dovuta risulta inferiore alla somma dei
versamenti d’acconto, delle ritenute d’acconto e dei crediti d’imposta. Il contribuente può scegliere che il saldo creditorio
sia riportato all’anno successivo, rimborsato o ceduto. I rimborsi sono eseguiti d’ufficio.
• Crediti emergenti dalla dichiarazione IVA: sorgono quando l’IVA relativa agli acquisti risulta superiore all’IVA relative alle
operazioni imponibili alla chiusura del periodo d’imposta. Il contribuente puoi scegliere che il saldo creditorio sia riportato
a nuovo, compensato con debiti diversi dall’IVA o rimborsato. La compensazione è la regola. Il rimborso è riservato a
particolari soggetti, ma può essere chiesto da ogni contribuente quando la dichiarazione è a credito per 2 anni di seguito.
Per il rimborso di questi crediti, il contribuente non deve presentare istanza di rimborso: è sufficiente la mera esposizione del
credito d’imposta nella dichiarazione. Il diritto al rimborso si prescrive in 10 anni.

➢ Interessi per ritardato rimborso


In caso di ritardo nel rimborso di:
• Imposte sui redditi: il contribuente ha diritto agli interessi di mora per ognuno dei semestri (escluso il primo) compresi
tra la data del versamento e la data dell’ordinativo di rimborso nella misura del 6%.
• Tasse, imposte indirette e ritenute indebitamente pagate: il contribuente ha diritto agli interessi di mora per ogni
semestre nella misura del 3%.
• Crediti IVA: il contribuente ha diritto agli interessi di mora per ogni anno a partire dal 90o gg successivo alla presentazione
della dichiarazione nella misura del 2%.

L’IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE


➢ L’Irpef
L’Irpef è disciplinata dal DPR. 917 del 86, con cui è stato approvato il Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). È un’imposta:
• Personale: nella determinazione del reddito imponibile e dell’imposta netta si tiene conto della situazione personale del
contribuente, riconoscendo deduzioni e detrazioni, cioè elementi di carattere personale.
• Progressiva: l’ammontare dell’imposta aumenta in modo più che proporzionale rispetto all’imponibile. La progressività è
realizzata attraverso l’applicazione di aliquote crescenti su 5 diversi scaglioni di reddito. La progressività è però
imperfetta: alcuni redditi non vengono tassati in modo effettivo e altri non sono inclusi nel reddito complessivo.
• Periodica: colpisce l’insieme dei fatti che si verificano in un dato intervallo temporale, chiamato periodo d’imposta,
coincidente con l’anno solare e si riferisce ai fatti economici accaduti in tale periodo (obbligazione trib. autonoma).

➢ Il presupposto
Il presupposto dell’Irpef è il possesso di redditi in denaro o in natura che rientrano nelle categorie reddituali indicate: Redditi
fondiari,
• Redditi di capitale,
• Redditi di lavoro dipendente,
• Redditi di lavoro autonomo,
• Redditi di impresa,
• Redditi diversi.
Le categorie sono inclusive, sono infatti costruite in modo che in esse possa esser compresa tutta la materia imponibile.
Ogni categoria ha proprie regole di determinazione del relativo reddito: le diverse categorie sono infatti oggetto di regimi
giuridici diversi concernenti le regole di determinazione dell’imponibile e altre regole formali diverse.
Il presupposto è dato dal possesso o disponibilità di un reddito, ma al termine possesso non va attribuito il significato tecnico
uguale per tutte le categorie. I redditi possono essere infatti determinati:
• Per cassa/per competenza: possesso significa percezione/imputazione del reddito,
• Effettivi, forfettari, figurativi: possesso va riferito all’oggetto che produce reddito,
• Al loro/al netto delle spese sostenute per la produzione del reddito: il possesso va riferito alla fonte.
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➢ Le nozioni teoriche di reddito
Le nozioni teoriche di reddito tassabile sono tre:
• Reddito come prodotto: un’entrata ha natura di reddito solo se deriva da una fonte produttiva, quindi sono redditi
tassabili quelli prodotti sia in modo continuativo, sia in modo variabile o eventuale, sia quelli prodotti una tantum.
• Reddito come entrate: qualsiasi entrata e qualunque fonte abbia ha natura di reddito, sono quindi redditi tassabili sia i
frutti del patrimonio e dell’attività del soggetto, sia gli incrementi patrimoniali (anche quelli conseguititi a titolo gratuito
come le donazioni e le successioni), sia l’autoconsumo.
• Reddito come consumo: solo la ricchezza consumata ha natura di reddito, sono quindi redditi tassabili solo le ricchezze
consumate e non sono tassabili il reddito risparmiato o di capitale.
Il Tuir adotta la nozione di reddito come prodotto, infatti il reddito può essere definito come incremento di patrimonio
derivante da una fonte produttiva. Però in alcune categorie di reddito vi sono casi in cui i proventi tassati come reddito non
derivano da una fonte produttiva. Il vigente sistema d’imposizione dei redditi è quindi fondato sul concetto di reddito come
prodotto e mostra significative aperture verso il concetto di reddito come entrata (orientamento duale).

➢ Reddito e patrimonio e natura gratuita ed onerosa


Reddito e patrimonio sono concetti da tenere distinti:
• Il patrimonio è l’insieme delle situazioni giuridiche soggettive a contenuto economico di cui è titolare un soggetto in un
dato momento. Esso è quindi una realtà statica e indica ciò che si ha.
• Il reddito è il risultato delle variazioni incrementative di patrimonio. Esso è quindi una realtà dinamica e indica ciò che si
acquisisce.
Reddito sono soltanto le entrate o i proventi che derivano da una fonte produttiva che costituiscono un incremento del
patrimonio (per società sono redditi i correspettivi, non lo sono invece i conferimenti dai soci).
Il requisito della derivazione del reddito da una fonte produttiva implica che il provento abbia sia di natura onerosa.
Infatti, di regola, sono tassati solo i proventi acquisiti a titolo oneroso e sono esclusi dall’imposta i proventi acquisiti a titolo
gratuito. Per questo motivo, non sono soggetti a IRPEF né le donazioni né l’eredità.

➢ Redditi in natura e valore normale


I redditi non monetari, ovvero quelli in natura, sono costituiti solitamente da beni, servizi o titoli. Di essi si tassa il valore
normale. Secondo l’art. 9 del Tuir, per valore normale si intende il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per i beni
della stessa specie, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in
cui i beni sono stati acquistati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi.
Quindi per determinare il valore normale di un bene o di un servizio, si fa riferimento ai listini e alle tariffe del soggetto che li
ha forniti e, in mancanza, ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali. Invece, per le azioni, obbligazioni e
altri titoli negoziati in mercati regolamentati, si tiene conto della media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo mese.

➢ Periodo d’imposta e imputazione dei componenti di reddito


L’Irpef colpisce l’insieme dei fatti che si verificano in un dato intervallo temporale, chiamato periodo d’imposta. Esso, per le
persone fisiche coincide con l’anno solare e per le società coincide con l’esercizio sociale. Vi possono comunque essere
interruzioni: ad esempio in caso di morte della persona fisica, o in caso di trasformazione o liquidazione della società.
Ad ogni periodo d’imposta corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma: l’imposta si riferisce ai fatti economici accaduti
in tale periodo e ad esso si correlano una molteplicità d’obblighi formali e sostanziali (dichiarazioni, versamenti, ecc.).
Poiché i fatti da cui scaturisce il reddito possono interessare più periodi di imposta, il legislatore prevede che l’imputazione
temporale dei componenti reddituali sia fatta secondo due principi:
• Principio di cassa: i componenti di reddito vengono imputati nel momento in cui il reddito è percepito.
• Principio di competenza: i componenti di reddito vengono imputati al periodo di maturazione, a prescindere dal
pagamento o dall’incasso (per i redditi d’impresa).

➢ I soggetti passivi e la residenza fiscale


I soggetti passivi dell’Irpef sono tutte le persone fisiche residenti e non residenti nel territorio dello Stato.
Ai soggetti residenti si applica il principio della Worldwide taxation, in forza del quale sono tassati tutti i loro redditi, ovunque
prodotti, attraverso specifiche norme che evitano di pagare due volte l’imposta sullo stesso reddito.
I non residenti invece vengono tassati solo per i redditi prodotti in Italia.
L’art. 2 del Tuir, prevede che si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte
nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del C.c.
La condizione di residenza nel territorio si verifica al ricorre di una delle presunzioni elencate nei commi 2 e 2-bis dell’art. 2:
• Presunzione oggettiva assoluta: si presume che siano residenti, le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo:
o Sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente,
o Hanno il domicilio nel territorio, ossia il centro dei propri affari ed interessi economici e personali,
o Hanno la residenza nel territorio, ossia la dimora abituale.
• Presunzione soggettiva relativa: si presumono altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle
anagrafi della popolazione residente ed emigrati in paradisi fiscali. È onere del contribuente dimostrare che, dopo la
cancellazione dall’anagrafe, non ha conservato in Italia né la dimora abituale né il centro dei propri affari e interessi.

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➢ I redditi dei coniugi e dei figli minori
Quando fu introdotta l’Irpef, i redditi della moglie erano imputati al marito, ne conseguiva a causa della progressività, che la
tassazione dei redditi dei coniugi era più elevata rispetto a quella individuale. Tale sistema fu quindi dichiarato incostituzionale
perché penalizzava la famiglia.
Ora i redditi dei coniugi sono tassati separatamente. In materia di comunione legale e di fondo patrimoniale, la legge prevede
che i relativi redditi si imputano a ciascun coniuge per metà del loro ammontare netto, salva diversa pattuizione.
I redditi derivanti dai beni dei figli minori soggetti all’usufrutto legale dei genitori sono imputati per metà a ciascun genitore
e il minore è debitore d’imposta per i redditi degli altri beni e per i redditi da lavoro.

➢ I redditi delle imprese familiari


L’impresa familiare assume rilievo fiscale quando, prima dell’inizio del periodo d’imposta, sia redatto un atto pubblico o una
scrittura privata autenticata da cui risultano i nominativi dei familiari che prestano un’attività di lavoro che abbia carattere
continuativo e prevalente. Ai fini dell’Irpef, sono familiari il coniuge, i parenti entro il 3° grado e gli affini entro il 2° grado.
L a rilevanza fiscale dell’impresa familiare attiene alla distribuzione del reddito tra imprenditore e collaboratori:
• All’imprenditore è attribuito almeno il 51% del reddito complessivo dell’impresa, e solo tale quota viene considerata
reddito d’impresa e viene tassata come tale,
• Ai collaboratori è attribuito il reddito complessivo dell’impresa in misura non superiore al 49%, tale quota viene
considerata reddito di lavoro e viene tassata come tale, a prescindere dalla percezione.

➢ I redditi delle società commerciali di persone


Le società di persone godono di un trattamento fiscale diverso da quello delle società di capitali perché le società di persone
non possono essere soggetti passivi dell’imposta: in applicazione del principio di trasparenza, i redditi di queste società sono
imputati ai soci, a prescindere dalla distribuzione.
In applicazione di tale principio, i redditi delle SNC e delle SAS e di altri organismi equiparati sono considerati fiscalmente redditi
dei soci qualificati come redditi di partecipazione, sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi e
sono disciplinati sotto l’etichetta di redditi prodotti in forma associata. Per tali redditi, vigendo il principio di trasparenza:
• La società non è soggetta passivo dell’imposta: i redditi della società sono imputati a ciascun socio proporzionalmente
alla quota di partecipazione agli utili,
• Le perdite sono ripartite tra i soci nella stessa maniera degli utili, se l’ammontare delle perdite supera i redditi dell’anno,
la differenza può essere detratta negli anni successivi, ma non oltre il quinto,
• I redditi prodotti sono redditi di partecipazione imputati ai soci e sono assoggettati insieme agli altri redditi del socio,
• Il reddito è imputato al socio nello stesso periodo d’imposta in cui è prodotto dalla società e ha rilevanza la compagine
sociale risultante al termine del periodo d’imposta,
• Le ritenute operate sui redditi della società sono scomputate dall’imposta dovuta dai soci.

➢ I redditi delle società semplici


Pur non essendo società commerciali, anche per le SS vige il principio di trasparenza. Il reddito delle SS è imputato ai soci
proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili.
Le principali differenze di trattamento fiscale tra le SS e le altre società semplici sono le seguenti:
• Le SS non producono redditi d’impresa, ma singoli redditi (redditi fondiari, di capitale, di lavoro autonomo e diversi), sono
quindi tassate con le regole proprie di ciascuna categoria,
• Le perdite derivanti dal lavoro autonomo sono imputate ai soci e possono essere compensate con gli altri redditi che
concorrono a formare il reddito complessivo,
• Alcuni costi delle SS sono imputabili ai soci come oneri deducibili dal reddito o come oneri detraibili dell’imposta.

➢ I redditi delle associazioni tra professionisti


Ai fini fiscali, le associazioni professionali sono equiparate alle società semplici. Vale quindi, anche per esse, il principio di
trasparenza: i redditi delle associazioni sono tassati secondo il principio di cassa, ovvero quando sono percepiti
dall’associazione, e sono poi imputati agli associati, indipendentemente dalla distribuzione.
• Le associazioni non producono redditi d’impresa, ma singoli redditi di lavoro autonomo,
• Le perdite derivanti dal lavoro autonomo sono imputate ai soci in proporzione alla loro quota di partecipazione e possono
essere compensate con gli altri redditi che concorrono a formare il reddito complessivo,
• I compensi percepiti dall’associazione sono soggetti a ritenuta d’acconto, le ritenute sono poi attribuite agli associati in
proporzione alla loro quota di partecipazione.

➢ Reddito complessivo e perdite deducibili (art. 8)


L’iter con cui si perviene alla determinazione dell’imposta netta si svolge nel seguente modo:
1. Individuazione e determinazione dei singoli redditi, secondo le norme proprie delle categorie reddituali di appartenenza.
2. Calcolo del reddito complessivo, mediante somma algebrica dei redditi e delle perdite del periodo. Esso viene anche
detto base imponibile lorda, ed è appunto costituito, per i residenti, dal complesso dei redditi ovunque prodotti.
3. Calcolo del reddito imponibile (base imponibile netta) mediante deduzione degli oneri dal reddito complessivo.
4. Calcolo dell’imposta lorda mediante applicazione delle aliquote progressive per scaglioni al reddito imponibile.

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5. Calcolo dell’imposta netta mediante detrazione degli oneri dall’imposta lorda.
Poiché vi sono categorie reddituali il cui risultato può essere una perdita, nel calcolo del reddito complessivo viene operata la
compensazione orizzontale delle perdite: si sommano i redditi delle diverse categorie e si sottraggono le perdite derivanti
dall’esercizio di imprese commerciali in regime di contabilità semplificata e dall’esercizio di arti e professioni.

➢ Gli oneri deducibili dal reddito complessivo (art. 10)


La personalità dell’Irpef è realizzata mediante deduzioni dal reddito complessivo e detrazioni dall’imposta lorda.
Dal reddito sono dunque deducibili determinati oneri che permettono di detassare quella parte di reddito che viene impiegata
per spese personali, che incidono sulla capacità contributiva del contribuente.
Sono deducibili, tra gli altri, i seguenti oneri:
• Le spese mediche e quelle di assistenza specifica necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione,
• Gli assegni periodici corrisposti all’ex coniuge,
• I contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge,
• I contributi versati per le forme pensionistiche complementari,
• Alcune erogazioni liberali,
• Un importo pari alla rendita catastale della casa di abitazione principale.
Inoltre, il legislatore include, tra gli oneri deducibili spese che sono da classificare tra quelle di produzione del reddito. Esse
sono di regola deducibili in sede di calcolo dei singoli redditi netti di ciascuna categoria, ma alcune, non potendo essere dedotte
come spese di produzione, sono considerate oneri deducibili. A questa categoria appartengono:
• Gli oneri fondiari non contemplati dalle stime catastali,
• Le somme corrisposte ai dipendenti, chiamati a ricoprire incarichi elettorali,
• Le indennità corrisposte dal proprietario di un immobile locato al conduttore,
• Le somme che il contribuente deve restituire, dopo che hanno concorso a formare il reddito in un periodo d’imposta
precedente (sopravvenienza passive).

➢ Le aliquote e il calcolo dell’imposta lorda (art. 11)


Dopo aver dedotto gli oneri dal reddito complessivo, si applicano alla base imponibile netta o reddito imponibile le aliquote,
che sono crescenti per scaglioni di reddito. Secondo la disciplina in vigore dal 2007, gli scaglioni sono cinque:
1. Fino a 15mila euro, l’aliquota è del 23%,
2. Da 15mila a 28mila euro è del 27%,
3. Da 29mila a 55mila euro è del 38%,
4. Da 56mila a 75mila euro è del 41%,
5. Da 75mila euro in poi, è dl 43%.
Dalla somma degli importi corrispondenti ai diversi scaglioni di reddito si ottiene l’imposta lorda, su cui si operano le detrazioni.

➢ Le detrazioni dall’imposta lorda (artt. 12 a 16-bis)


Dall’imposta lorda si scomputano le detrazioni, che si possono classificare in tre tipi:
1. Le detrazioni per i carichi di famiglia: sono attribuite per la presenza di famigliari a carico, come il coniuge, i figli minorenni
e altri famigliari per i quali vi è l’obbligo di mantenimento. Il loro importo decresce al crescere del reddito complessivo.
2. Le detrazioni per lavoratori dipendenti e pensionati: sono attribuite ai lavoratori dipendenti e ai pensionati il cui reddito
complessivo non superi l’importo di 55mila euro. Il loro importo decresce al crescere del reddito complessivo.
3. Le detrazioni per oneri: sono previste nella misura del 19% della spesa sostenuta e sono attribuite a chi sostiene:
• Interessi passivi per mutui agrari,
• Interessi passivi su mutui ipotecari per l’acquisto o la costruzione della prima casa,
• Spese mediche, funebri e di istruzione,
• Spese per la manutenzione o restauro di immobili di interesse storico o artistico,
• Erogazioni liberali,
• Premi per assicurazione per il rischio di morte, invalidità o eventi calamitosi relativi ad unità immobiliari ad uso
abitativo.

➢ L’imposta netta dovuta e l’imposta da versare (art. 22)


Dallo scomputo delle detrazioni si ottiene l’imposta netta dovuta per il periodo d’imposta, da cui si scomputano:
• I crediti d’imposta: veri e propri crediti che il fisco riconosce al contribuente,
• I versamenti d’acconto: versamenti d’acconto pagati durante il periodo sui redditi prodotti,
• Le ritenute subite a titolo d’acconto: ritenute subite e versate dal sostituto,
• Le eccedenze a riporto del periodo precedente: crediti della dichiarazione del periodo precedente non rimborsati.
Se il saldo della dichiarazione è a debito, la differenza deve essere versata prima di presentare la dichiarazione.
Se il saldo della dichiarazione è a credito, l’eccedenza costituisce un credito per il contribuente, ed egli può decidere di
computarlo in diminuzione dell’imposta relativa al periodo d’imposta successivo o chiederne il rimborso nella dichiarazione.
All’imposta dovuta allo Stato devono essere aggiunte le addizionali regionali e comunali.

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➢ I redditi soggetti a tassazione separata
Secondo l’art. 17 del Tuir, sono soggetti a tassazione separata i redditi che sono maturati in anni precedenti rispetto a quello
in cui sono percepiti. La tassazione è separata perché questi redditi non concorrono a formare il reddito complessivo di ogni
anno, ma sono tassati a parte, con distinta aliquota, e determinati secondo speciali regole, stabilite in considerazione della
loro formazione pluriennale. Se così non fosse, si assisterebbe ad una tassazione che rischia di non corrispondere all’effettiva
capacità contributiva. Rientrano nel regime di tassazione separata, i seguenti redditi:
• Il TFR percepito dai lavoratori dipendenti e da altre categorie,
• Gli emolumenti arretrati per prestazioni riferibili ad anni precedenti, percepiti in ritardo per effetto di leggi, contratti,
• Le plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende possedute per più di cinque anni,
• Le indennità per perdita dall’avviamento spettanti al conduttore di esercizi commerciali alla cessazione della locazione,
• Il risarcimento attribuito a titolo di perdita di redditi pluriennali,
• I redditi a formazione pluriennale attribuiti ai soci in caso di recesso da società.
Il TFR è imponibile per un importo che si determina deducendo le rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostituiva. L’aliquota
è quella corrispondente all’importo che si ottiene dividendo l’imponibile per il numero degli anni di durata del rapporto e
moltiplicando il risultato per dodici.
Per gli altri redditi tassati, l’imposta è calcolata applicando alla somma percepita l’aliquota corrispondente alla meta del reddito
complessivo netto del biennio precedente.

I SINGOLI REDDITI
I singoli redditi sono classificati in:
• Redditi fondiari,
• Redditi di capitale,
• Redditi di lavoro dipendente,
• Redditi di lavoro autonomo,
• Redditi di impresa,
• Redditi diversi.
I proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella
perdita di redditi (esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o morte) costituiscono redditi della stessa categoria di
quelli sostituti o perduti. Analogamente, gli interessi moratori e per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa
categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati.

1. REDDITI FONDIARI
Secondo l’art. 25 del Tuir sono redditi fondiari i redditi inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono
o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni e nel catasto edilizio urbano. I redditi fondiari si
distinguono in redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei fabbricati.
Producono reddito fondiario solo i terreni atti alla produzione agricola che derivano da un immobile iscritto o iscrivibile nel
catasto situato nel territorio dello Stato. Sono imponibili indipendentemente dalla percezione o produzione del reddito
quindi vi è tassazione anche se un fabbricato non è abitato o se un terreno non è coltivato.
I redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti che sono titolari del diritto di proprietà o altro
diritto reale sugli immobili, e in caso di usufrutto l’imposta colpisce l’usufruttuario. In caso di comproprietà o multiproprietà,
a ciascun comproprietario è imputata una quota del reddito dell’immobile.
I redditi degli immobili non locati soggetti a Imu, i redditi di terreni che costituiscono pertinenze di fabbricati urbani, i redditi
di terreni dati in affitto per usi non agricoli e quelli che appartengono a società commerciali non sono produttivi di reddito
fondiario. Inoltre, i redditi degli immobili che non sono determinabili catastalmente e quelli degli immobili situati all’estero
fanno parte della categoria redditi diversi.

➢ Catasto dei terreni


Il catasto dei terreni descrive la proprietà terriera. Esso è diviso in particelle, ovvero porzioni continue e omogenee di terreno
appartenenti a uno stesso possessore che costituiscono l’unità elementare.
Il catasto indica per ciascuna particella l’appartenenza, la qualità (tipo di coltivazione), la classe (in base al grado di produttività)
e il relativo reddito medio ordinario risultante dalle tariffe d’estimo (indicano rendita attribuibile).
Ai fini fiscali, il catasto fornisce la misura del reddito imponibile da utilizzare ai fini Irpef.

➢ Redditi dei terreni


Il reddito dei terreni catastali è definito ordinario e medio. È ordinario in quanto ottenuto da un coltivatore di capacità
normale ed è medio perché calcolato per una media di più anni così da tenere conto del ciclo produttivo del terreno e delle
possibili vicende favorevoli o sfavorevoli che possono succedersi negli anni.
La legge prevede che in caso di perdita del prodotto per eventi naturali il reddito non sia imponibile e che in caso di mancata
coltivazione sia possibile una revisione delle tariffe d’esimo e la riduzione dell’imponibile. Il reddito dei terreni si distingue in:
• Reddito dominicale costituto dalla parte dominicale del reddito medio ordinario ritraibile dal terreno attraverso l’esercizio
delle attività agricole, che comprende il reddito che remunera la proprietà del fondo e i capitali stabilmente investiti. È
detto anche padronale in quanto remunera colui che ha la proprietà del terreno e lo dà in uso.
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• Reddito agrario costituito dalla parte di reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro
di organizzazione impiegati nell’esercizio di attività agricole.
Esso è quindi il reddito dell’impresa agraria, ovvero l’impresa che esercita la coltivazione del terreno, la silvicoltura,
l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno (reddito eccedente è reddito impresa
commerciale), l’attività diretta alla produzione di vegetali e le attività connesse alle precedenti.
La tassazione su base catastale si applica alle persone fisiche, alle società semplici e agli enti non commerciali che rivestono
la qualifica di società agricola (società di persone, Srl e società cooperative). Inoltre, sono imprenditori agricoli e producono
reddito agrario le società di persone e le Srl che sono costituite da imprenditori agricoli e che svolgono esclusivamente
attività di manipolazione, conservazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli ceduti dai soci.

➢ Catasto dei fabbricati


Il catasto dei fabbricati comprende i fabbricati urbani e fabbricati rurali. Le singole unità immobiliari sono contraddistinte per
zona censuaria (unità del territorio urbano), classe e categoria. Le categorie sono:
A. Abitazioni,
B. Edifici ad uso collettivo, come caserme e scuole,
C. Commerciali, come negozi,
D. Immobili industriali,
E. Immobili speciali.
Per tutti gli immobili la rendita catastale è data dalla tariffa, determinate in base a zona, classe e categoria, moltiplicata per la
grandezza dell’immobile, tranne che per i fabbricati speciali o particolari, la cui rendita è determinata mediante stima diretta.
L’accatastamento deve essere richiesto dal possessore con proposta di rendita. Ad esso provvede l’AE che può accettare o
modificare tale proposta.

➢ Il reddito dei fabbricati


Il reddito catastale dei fabbricati è medio e ordinario e determinato secondo le tariffe d’estimo catastali.
Il reddito castale della prima casa (non di lusso) non è tassato: la sua rendita catastale viene dedotta dal reddito complessivo.
Quello delle seconde case, se non locate ma tenute a disposizione, è invece maggiorato di un terzo.
Il reddito degli immobili locati, se il canone è superiore al reddito catastale, è determinato in base al canone di locazione. I
redditi delle locazioni vengono tassati anche se non percepiti.
Inoltre, i redditi derivanti da locazione di immobili ad uso abitativo possono essere assoggettati ad imposta sostitutiva, detta
cedolare secca sugli affitti che costituisce una deroga alla progressività in quanto i canoni di locazione non concorrono alla
determinazione del reddito complessivo.

➢ Le costruzione rurali e gli immobili strumentali


Non producono reddito fondiario gli immobili che non producono reddito autonomo: i fabbricati rurali, che concorrono alla
produzione del reddito dei terreni, e gli immobili strumentali utilizzati per l’esercizio di attività commerciali o di arti e
professioni, che concorrono alla produzione di reddito di impresa e di lavoro autonomo.
Gli immobili strumentali sono suddivisi in:
• Immobili strumentali per destinazione: sono quelli utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione o
impresa commerciale da parte del possessore. Si considerano strumentali per presunzione di legge a prescindere dalla
loro iscrizione nei registri aziendali.
• Immobili strumentali per natura: sono quelli relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non sono
suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni. Si considerano strumentali anche se non utilizzati o se
dati in locazione o comodato. Devono essere iscritti nei registri se il possessore è un imprenditore.

2. REDDITI DA CAPITALE
I redditi da capitale sono costituiti dall’ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d’imposta, senza
alcuna deduzione. Si distinguono quattro gruppi, ognuno tassato diversamente:
1. Dividendi e altri proventi derivanti dalla partecipazione in società (non sono incluse le plusvalenze che derivano dalla
cessione di azioni o obbligazioni, le quali appartengono ai redditi diversi),
2. Interessi e altri proventi che derivano da mutui e altre forma di impiego del capitale (non sono inclusi gli interessi
derivanti da crediti di lavoro o d’impresa),
3. Altri proventi finanziari di varia natura, tra cui le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue, i compensi per
prestazioni di fideiussioni e garanzie, i proventi derivanti dalla gestione di masse patrimoniali, i proventi derivanti da riporti
e pronti conto termine su valute, i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito e i redditi compresi nei capitali corrisposti
in pendenza di contratti di assicurazione e capitalizzazione,
4. Proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale (formula residuale).

➢ Dividendi e altri proventi


Sono redditi da capitale i dividendi e altri proventi derivanti dalla partecipazione al patrimonio o al capitale di società ed
enti soggetti a Ires (no redditi società di persone perché imputati ai soci).

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È prevista una tassazione ridotta a carico del socio per i dividendi derivanti dagli utili della società in quanto questi sono
previamente tassati prima della distribuzione, al fine di evitare una doppia imposizione economica.
Il regime fiscale dei dividendi si applica anche ai proventi dei titoli e strumenti finanziari similari alle azioni, ovvero quelli la cui
remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente. Di conseguenza per
il percettore la remunerazione è tassata come i dividendi, mentre per la società emittente essa è indeducibile.
In base alla natura del socio, i sistemi di tassazione dei dividendi sono distinti in:
• Tassazione sostitutiva: quando il socio è una persona fisica non in regime di impresa, i dividendi costituiscono reddito di
capitale soggetto a ritenute alla fonte a titolo d’imposta del 26% sull’intera base imponibile (nulla in dichiarazione dei
redditi perché società effettua e versa ritenuta d’acconto).
• Tassazione parziale: quando il socio è una persona fisica in regine di impresa o una società di persone, i dividendi
costituiscono reddito di impresa soggetto a Irpef su base imponibile del 58,14%. Quando il socio è una società di capitali,
i dividendi costituiscono reddito di impresa soggetto a Irpef su base imponibile del 5%.
• Tassazione integrale: per le società semplici (enti non commerciali) i dividendi percepiti costituiscono reddito di capitale
soggetto a tassazione integrale.

➢ Interessi e altri proventi


Sono redditi di capitale gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti e gli interessi e gli altri
proventi derivanti dalle obbligazioni e titoli similari (natura corrispettiva).
Le obbligazioni sono trattate diversamente dalle azioni in quanto costituiscono capitale di debito per la società. Esse vengono
remunerate con la corresponsione di interessi, che sono tassati all’obbligazionista e dedotti come costo dal reddito della
società, per cui non vi è doppia tassazione.
Non sono redditi di capitale gli interessi che non derivano dall’impiego di un capitale: gli interessi moratori e gli interessi per
dilazione di pagamento costituiscono infatti redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi
sono maturati, mente gli interessi compensativi, che rappresentano una reintegrazione del patrimonio, non sono reddito.
In materia di interessi vi sono due presunzioni legali relative:
1. Gli interessi derivanti da mutui si presumono percepiti alla scadenza e nella misura pattuite. Se nulla è pattuito, essi si
presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo di imposta e si computano al saggio salariale.
2. Le somme versate dai soci alle società ed enti commerciali soggetti a Ires si presumono date a mutuo se dal bilancio della
società risulta che il finanziamento è stato fatto a titolo di mutuo. Tra socio e società può esservi un rapporto di mutuo,
con diritto del socio a percepire interessi e restituzione del capitale, o un rapporto di versamenti a fondo perduto, in
seguito dei quali il socio non ha diritto né a interessi né alla restituzione del capitale ad una scadenza predeterminata. Nel
primo caso si applica la disciplina fiscale dei mutui, nel secondo si applica una disciplina simile a quella dei conferimenti.

➢ Determinazione dei redditi da capitale


L’art. 45 del Tuir prevede che il reddito di capitale è costituito dall’ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti
nel periodo dell’imposta senza alcuna deduzione. Nella determinazione le due regole generali sono quindi:
• La regola della tassazione al lordo, che impedisce la deduzione sia di spese di produzione che di perdite (es. non deducibili
le spese bancarie inerenti ad un reddito di capitale),
• Il principio di cassa, per cui si tassa la somma percepita nel periodo d’imposta mentre non si rileva il credito maturato.

➢ Regimi sostitutivi
Per ragioni connesse al favor verso il risparmio (Repubblica deve incoraggiare e tutelare il risparmio), alcuni redditi da capitale
sono oggetto di regimi fiscali di favore soggetti a tassazioni sostitutive ed agevolate. Tali tassazioni avvengono attraverso
imposta sostituiva non progressiva con aliquota del 26%, con eccezioni per alcune forme di investimento alle quali si applica
aliquota del 12,5 %.
I regimi di favore sono distinti in:
1. Regimi di ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, in cui l’imposta sostitutiva è applicata dagli intermediari mediante
ritenuta alla fonte o direttamente dallo stesso contribuente mediante autotassazione.
2. Regimi fiscali sostitutivi opzionali, in cui l’imposta sostituiva proporzionale è applicata da un sostituto d’imposta. Sono:
• Regime del risparmio amministrato: si applica alle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni e da alcuni
strumenti finanziari esclusi quelli relativi a società residenti in paradisi fiscali. Questa opzione è adottabile da chi abbia
depositato in amministrazione presso una banca titoli quote o certificazioni da cui derivando le plusvalenze imponibili.
La tassazione è a carico dell’intermediario, che in veste di sostituto d’imposta opera una ritenuta a titolo definitivo.
• Regime del risparmio gestito: si applica ai redditi di capitale relativi a partecipazioni e ad altri strumenti finanziari e
alle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni che sono redditi diversi esclusi quelli relativi a società residenti
in paradisi fiscali. Questa opzione è adottabile da chi affida il suo risparmio ad una banca incaricandola di gestirlo. A
questi redditi non viene applicato il principio di cassa, essi vengono infatti tassati al momento della percezione da
parte dell’investitore e non sono sottoposti a ritenute.
• Regime dei fondi comuni: per favorire il finanziamento delle imprese sono agevolati i piani individuali di risparmio
sottoscritti da persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa. È prevista l’esenzione dalle imposte sui redditi e di
successione dopo cinque anni.

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3. I REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE
L’art. 49 del Tuir definisce i redditi da lavoro dipendente come i redditi che derivano da rapporti aventi per oggetto la
prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenza e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando
è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro.
Rientrano in questa categoria anche i redditi equiparati, ovvero le pensioni di ogni tipo e gli assegni ad esse equiparati come
le pensioni derivanti da lavoro dipendente, le pensioni non derivanti da lavoro dipendente (lavoratori autonomi, artigiani,
imprenditori) e le pensioni di reversibilità e invalidità (no pensioni di natura risarcitoria).

➢ Base imponibile e principio di onnicomprensività


L’art. 51 prevede che il reddito sia costituito da tutte le somme e i valori a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta,
anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d’imposta
anche le somme corrisposte dai datori entro il 12 gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono.
Nella determinazione le regole generali sono:
• Il principio di cassa, per cui il reddito è imponibile quando è percepito (non quando matura).
• Il principio di onnicomprensività, per cui il reddito è costituito da tutti i compensi, monetari e in natura, percepiti in
relazione al rapporto di lavoro e di conseguenza è imponibile sia il reddito che remunera le prestazioni effettuate sia
quello che prescinde da prestazione svolte. È dunque reddito di lavoro dipendente la retribuzione, il tfr, gli scatti di
anzianità, i compensi per lavoro straordinario, gli interessi, il compenso per ferie non godute, ecc.
Secondo il principio di onnicomprensività sono inoltre tassabili:
• Le indennità integrative, di contingenze, di malattia, di maternità, di rischio, ecc.,
• Le somme di denaro che il datore è condannato a pagare per crediti di lavoro e interessi,
• I proventi conseguiti a titolo risarcitorio in sostituzione di redditi non percepiti,
• Le liberalità remuneratorie che il lavoratore riceve dal datore,
• Le indennità risarcitorie che hanno natura retributiva (no quelle che risarciscono perdita patrimoniale).
• Le indennità previdenziali dovute dall’Inps o dall’Inail.

➢ Rimborso delle spese di produzione e delle trasferte e fringe benefit


Nella deduzione delle spese sostenute dal lavoratore, si prevede una detrazione forfettaria dell’imposta lorda. Perciò le
somme che il datore corrisponde al lavoratore a titolo di rimborso delle spese sostenute sono comprese nella base imponibile
del reddito del lavoratore. Esse non sono quindi deducibili per il datore di lavoro.
Nella retribuzione imponibile sono compensi anche i compensi in natura, detti fringe benefit. Essi sono beni o servizi sorti per
incentivare la produttività dei dipendenti o per legarli all’impresa, ne sono un esempio le autovetture o cellulari aziendali, l’uso
di abitazioni di servizio e le mense scontate. Non vengono tassati quando sono di modico valore, ossia quando il valore
complessivo non supera nel periodo di imposta l’importo di 258,23 euro.

➢ Redditi non tassabili


A norma dell’art. 51, la regola della onnicomprensività è derogata, perciò non sono tassati:
• I contributi che il datore versa per l’assistenza, la previdenza e la sanità,
• Le prestazioni di vitto e di trasporto collettivo,
• Le somme erogate per frequenza di asili nido,
• Le azioni con funzioni retributiva nei limiti di 2.065,83 euro a condizione che non siano riacquistate dalla società o cedute
prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione. Se le azioni sono cedute prima del triennio, l’importo è
assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione.

➢ Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente


L’art. 50 elenca quelli che vengono definiti redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente:
• Compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative di produzione, di lavoro, di servizi, agricole e della pesca,
• Compensi percepiti a carico di terzi da prestatori di lavoro dipendente (es. free lancer),
• Somme corrisposte a titolo di borsa di studio o per fini di studio o addestramento professionale,
• Remunerazioni dei sacerdoti,
• Compensi per l’attività di libero professionale del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale,
• Indennità e i compensi corrisposti dallo Stato e dagli enti locali per l’esercizio di pubbliche funzioni,
• Indennità dei parlamentari, dei consiglieri degli enti pubblici, dei giudici della Corte costituzione e gli assegni vitalizi,
• Rendite vitalizie e le rendite a tempo determinato costituite a titolo oneroso,
• Assegni periodici alla cui produzione non concorrono né capitale né lavoro (assegni al coniuge),
• Compensi percepititi dai soggetti impegnati in lavoro socialmente utili.
L’assimilazione comporta l’applicazione delle regole previste per i redditi di lavoro dipendete con alcune particolarità:
• Per alcuni redditi, la base imponibile non è pari all’importo percepito perché accordati abbattimenti forfettari per le spesa,
• I redditi assimilati sono soggetti a ritenuta e il datore deve tenerne conto quando effettua il conguaglio annuale,
• Ad alcuni di questi redditi non si applicano le detrazioni dall’imposta previsti per i redditi di lavoro dipendente.

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➢ Redditi di collaborazione coordinata e continuativa
Sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente anche i redditi di collaborazione coordinata e continuativa, ossia i redditi
derivanti da rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione nel
quadro di un rapporto unitario e continuativo, senza l’impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.
Rientrano in questa categoria le cariche di amministratore, sindaco e revisore di società, la collaborazioni a giornali e riviste
e la partecipazione a collegi e commissioni. A questi si applicano tutte le regole dei redditi da lavoro dipendente.

4. REDDITI DI LAVORO AUTONOMO


L’art. 53 del Tuir definisce i redditi di lavoro autonomo come quei redditi che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per
esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale e non esclusivo di attività di lavoro autonomo diverse
da quelle considerate nella categoria di redditi di impresa, compreso l’esercizio in forma associata.
I redditi di lavoro autonomo sono quindi redditi derivanti da un’attività che ha tre caratteristiche:
• È svolta in modo autonomo, questa caratteristica distingue quindi questi redditi da quelli di lavoro dipendente,
• È abituale, quando l’attività è occasionale i redditi che ne derivano sono redditi diversi,
• È di natura non commerciale, questa caratteristica distingue questi redditi da quelli di impresa.
È importante la distinzione tra redditi di lavoro autonomo e redditi di impresa: in base all’oggetto dell’attività, i redditi di lavoro
autonomo sono quelli derivanti da attività artistiche, professionali e da prestazione di servizi, mentre invece i redditi di
impresa sono quelli derivanti dalle attività commerciali definite dall’art. 2195 C.c. sia che siano organizzate in forma di impresa
che non lo siano. Se però la prestazione di servizi è organizzata imprenditorialmente questa attività genera redditi di impresa.

➢ Base imponibile, compensi e plusvalenze


Il reddito di lavoro autonomo è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro, in natura o in forma di
partecipazione agli utili percepiti nel periodo di imposta e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio
dell’arte o della professione.
Tra i compensi sono comprese le somme ricevute a titolo di rimborso spese e gli interessi moratori o per dilazione di
pagamento. Sono invece esclusi i rimborsi delle spese sostenute in nome e per conto del cliente e i contributi previdenziali e
assistenziali. Tra i componenti positivi tassabili vi sono inoltre le plusvalenze dei beni strumentali realizzate in caso di cessione
a titolo oneroso, risarcimento per perdita, autoconsumo e destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’attività. La
plusvalenza tassabile è pari alla differenza tra il corrispettivo della cessione (o indennità o valore normale) e il costo non
ammortizzato. In modo analogo, sono deducibili le minusvalenze dei beni strumentali in caso di cessione e risarcimento, ma
non in caso di autoconsumo e destinazione a finalità estranee.

➢ Spese e costi pluriennali


Oltre alle minusvalenze, le spese deducibili sono quelle sostenute nell’esercizio dell’arte o della professione, quindi quelle
inerenti alla produzione del reddito. Generalmente le spese si deducono secondo il principio di cassa e integralmente, ma vi
sono casi particolari di costi deducibili per competenza e non integralmente. Si applica il principio di competenza per:
• I costi di acquisto dei beni mobili e beni immateriali che sono deducibili mediante quote di ammortamento annuali. La
deduzione integrale è ammessa nell’anno di acquisto solo se il costo non supera 516.46 euro.
• I canoni di leasing dei beni mobili strumentali che sono deducibili nell’anno in cui maturano,
• Le indennità di fine rapporto dovute ai dipendenti di cui è deducibile la quota maturata anno per anno.
Per quanto riguarda invece i beni immobili, non sono deducibili i loro costi di acquisto, mentre sono deducili i canoni di
locazione ordinaria e le spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione alla manutenzione straordinaria.
Per finalità antiabuso, sono poi dettate alcune regole che limitano la deducibilità di alcuni costi o li forfettizzano:
• Il costo dei beni ad uso promiscuo è deducibile per il 50%,
• Gli ammortamenti e le spese relative all’auto sono deducibili per il 20 %,
• Le spese relative ai telefoni sono deducibili per l’80%,
• Le spese per alberghi e ristoranti sono deducibili per il 75% (integralmente deducibili se sostenute dal committente),
• Le spese di rappresentanza sono deducibili nel limite dell’1% dei compensi percepiti,
• Le spese di partecipazione a convegni e corsi di aggiornamento sono deducibili nel limite annuo di 10.000 euro.
Inoltre, per impedire comportamenti elusivi detti splitting dei redditi, non sono deducibili i compensi per prestazione di lavoro
dipendente e per collaborazioni coordinate e continuative o occasioni corrisposti al coniuge, ai figli minorenni e agli ascendenti
per il lavoro prestato nei confronti del lavoratore autonomo, e non sono neanche tassabili a carico di chi li riceve.

➢ I redditi equiparati a quelli di lavoro autonomo


I redditi equiparati a quelli di lavoro autonomo sono:
• I redditi derivanti dai diritti d’autore e dai diritti consimili,
• I redditi spettanti ai promotori e soci fondatori di società di capitali,
• Le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia,
• I redditi derivanti dai contratti di associazione in partecipazione quando l’apporto sia costituito esclusivamente da
prestazioni di lavoro.
In materia di determinazione dell’imponibile, a parte i costi deducibili in misura del 25% dai diritti d’autore per le spese di
produzione, non sono ammesse altre deduzioni di costi.
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5. REDDITO DI IMPRESA
L’art. 55 del Tuir definisce il reddito di impresa come il reddito derivante dell’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di
imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale non esclusiva:
1. Delle attività indicate nell’art. 2195 C.c., ovvero attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi, attività
intermediaria nella circolazione di beni, attività di trasporto, attività bancaria o assicurativa, attività ausiliare.
2. Delle attività agrarie svolte da società o altri enti commerciali. A questa regola generale vi sono però due eccezioni, le
quali possono optare per l’imposizione dei redditi su base catastale (reddito fondiario):
o Società di persone, Srl e società cooperative che rivestono la qualifica di società agricola,
o Società di persone e Srl costituite da imprenditori agricoli che svolgono esclusivamente le attività di manipolazione
e distribuzione dei prodotti agricoli conferiti dai soci.
Tutte queste attività producono reddito di impresa anche se non organizzate in forma di impresa. Ad esempio, sono
considerati imprenditori i rappresentanti di commercio anche se non operano in forma organizzata.
Lo stesso articolo prevede poi che si considerano redditi d’impresa anche:
• I redditi derivanti dallo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne,
• I redditi dei terreni di Snc e Sas e di organizzazioni di persone fisiche non residenti che esercitano attività di impresa.
Sono inoltre redditi di impresa i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette prestazione
di servizi che non rientrano nell’art. 2195 del C.c. (es. scuola o clinica privata).
Di conseguenza, in materia di servizi, vi è la seguente ripartizione:
• Formano redditi di impresa, i redditi derivanti dalla produzione di servizi anche se non organizzata in forma di impresa e
dalla prestazione di servizi solo se organizzata in forma di impresa,
• Formano redditi di lavoro autonomo, i redditi derivanti dalla prestazione di servizi se non organizzati in forma di impresa.

➢ Regime ordinario (contabilità ordinaria)


Il regime ordinario viene applicato al reddito degli imprenditori individuali e delle società di persone commerciali nel caso in
cui esse conseguano ricavi annui superiori a 400.000 euro se prestano servizi, o ricavi annui superiori a 700.000 euro se
esercitano altre attività (in caso contrario si applicano i regimi speciali).
Il regime ordinario comporta la determinazione del reddito in base al bilancio e l’applicazione delle stesse regole fiscali delle
società di capitali dettate in ambito Ires.
Il Tuir prevede però alcune regole che valgono solo per il reddito d’impresa tassato con Irpef:
1. Autoconsumo: tra i ricavi, si comprende il valore normale dei beni-merce destinati al consumo personale o famigliare
dell’imprenditore (perché sono beni che escono dall’impresa senza corrispettivo),
2. Plusvalenze e dividendi distribuiti da società di capitali: per gli imprenditori individuali essi sono tassati nella misura del
58,14% (minusvalenze deducibili nella stessa misura); per le società di persone sono imponibili nella misura del 49,72%.
3. Cessione di azienda: le plusvalenze realizzate con la cessione possono essere tassate separatamente. Inoltre, il
trasferimento per causa di morte o atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze di azienda.
4. Compensi dell’imprenditore: essi e quelli percepiti dai suoi familiari non sono ammessi in deduzione.
5. Interessi passivi: sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi che concorrono a
formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi.
6. Beni mobili promiscui: le spese sostenute per l’acquisto o la locazione di beni mobili adibiti promiscuamente all’esercizio
dell’impresa e all’uso personale sono ammortizzabili nella misura del 50%.
7. Perdita: può essere portata in diminuzione del reddito complessivo al netto dei proventi esenti da imposta.
8. Beni relativi: per le imprese individuali si considerano beni relativi all’impresa le merci, i beni strumentali, i crediti e i beni
e immobili inventariati; per le società di persone si considerano relativi all’impresa le merci, i beni strumentali, i crediti
commerciali e i beni mobili e immobili iscritti nei pubblici registri e utilizzati in via esclusiva per l’impresa.

➢ Regime semplificato (contabilità semplificata)


Il Tuir prevede che le imprese minori, che non superano i limiti sopradetti, possano optare per il regime semplificato di
contabilità. Attraverso di esso, le imprese minori si limitano a tenere i registri Iva e i registri degli incassi e dei pagamenti, di
conseguenza, non essendo redatto il bilancio di esercizio, ad esse non si applica il regime di participation exemption.
La disciplina per la determinazione del reddito di queste imprese si basa sulle seguenti regole:
• Criterio di imputazione misto cassa-competenza: la maggior parte di ricavi e costi concorrono alla formazione del reddito
di impresa nel periodo di incasso e sostenimento, per alcuni componenti resta però fermo il principio di competenza
(plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, ammortamenti, canoni di leasing, ecc.).
• Determinazione del reddito: il reddito di impresa è costituito dalla differenza tra determinati componenti positivi, ovvero
ricavi, plusvalenze, sopravvenienze, dividendi e interessi attivi, e determinati componenti negativi, ovvero spese
documentate, perdite e minusvalenze.
• Accantonamenti: gli unici consentiti sono quelli di quiescenza e previdenza.
• Ammortamenti di beni strumentali e immateriali: sono consenti se è tenuto il registro dei cespiti ammortizzabili.
• Deducibilità delle spese: sono applicate le norme previste per il regime ordinario.

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➢ Regime forfettario
Il regime forfettario è riservato alle persone fisiche che esercitano attività di impresa o di lavoro autonomo se, nell’anno
precedente:
1. Hanno conseguito ricavi o percepito compensi non superiori a determinati importi correlati al tipo di attività,
2. Hanno sostenuto spese per lavoro dipendente non superiori a 5.000 euro lordi,
3. Il costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali a fine esercizio non supera 20.000 euro.
Le persone fisiche possono avvalersi di tale regime comunicando nella dichiarazione di inizio attività di presumere la
sussistenza dei requisiti previsti.
Attraverso il regime forfettario, il reddito imponibile è calcolato applicando all’ammontare dei ricavi o compensi un
coefficiente di redditività, diverso a seconda dell’attività svolta. Sul reddito imponibile così calcolato viene poi applicata
l’aliquota sostitutiva del 15% o del 5% per i primi 5 anni di imposta se si tratta di una nuova attività.
I contribuenti in regime forfettario sono esonerati dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili, non sono tenuti ad operare
ritenute alla fonte, non applicano l’Iva sulle operazioni attive e non hanno diritto alla detrazione sugli acquisti.

➢ Società di comodo
Per scoraggiare l’utilizzo strumentale dell’istituto societario, le società commerciali che hanno elementi attivi inferiori a
determinate percentuali (2% delle partecipazioni, 6% dei beni immobili, 15% delle altre immobilizzazioni) o che presentano
dichiarazione in perdita fiscale per cinque periodi di imposta consecutivi sono qualificate società non operative o di comodo.
Il legislatore, presumendo che queste società producano un reddito minimo, ad esse applica il regime antielusivo di comodo,
che prevede un’aliquota ordinaria maggiorata del 10,5% e il divieto di chiedere il rimborso dell’Iva a credito e di compensarla
con quella a debito. Le società di comodo possono comunque chiedere la disapplicazione della normativa che le riguarda.

6. REDDITI DIVERSI
La categoria dei redditi diversi raggruppa una serie di redditi eterogenei di natura residuale che sono caratterizzati dalla
mancanza di qualche tratto caratteristico dei redditi delle categorie tipiche.

➢ Le plusvalenze immobiliari e le plusvalenze da cessione di partecipazioni


Tra i redditi diversi rientrano tre ipotesi di plusvalenze, dette isolate, perché non realizzate nel contesto di un attività
economica di tipo continuativo. Esse sono:
• Plusvalenze derivanti dalla lottizzazione di terreni o dall’esecuzione di opere per renderli edificabili per la successiva
vendita: esse non sono riconducibili all’andamento del mercato, di conseguenza si assume come valore tassabile il prezzo
di acquisto o il prezzo normale dei terreni nel quinto anno anteriore alla lottizzazione.
• Plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque
anni (escluse plusv. da immobili acquisiti a titolo gratuito o usate come abitazione principale dal contribuente o familiari).
• Plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni edificabili.
Rientrano nei redditi diversi anche i capital gain, ovvero le plusvalenze realizzate, al difuori dell’attività di impresa, con la
cessione di azioni o altre partecipazioni sociali o titoli obbligazioni o strumenti finanziari a titolo oneroso.
➢ Altri redditi diversi
Rientrano nei redditi diversi varie ipotesi non sono ricomprese nella categoria tipica per mancanza di un elemento essenziale:
1. Redditi di natura fondiaria, redditi delle sublocazioni e redditi dei beni immobili situati all’estero non ricompresi nei
redditi fondiari perché non possono essere quantificati attraverso tassazione catastale,
2. Redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non abituale e redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere di
ingegno non ricompresi nei redditi di lavoro autonomo perché manca l’abitualità,
3. Redditi di coloro che sono proprietari di un’azienda ma la danno in affitto invece di esercitarla non ricompresi in redditi
di impresa perché non è svolta dallo stesso imprednitore.
Rientrano poi nei redditi diversi varie fattispecie di varia natura:
• Redditi derivanti dalla concessione in usufrutto e dalla sublocazione di beni immobili, dall’affitto, locazione, noleggio e
concessione in uso di veicoli, macchine e altri beni mobili e dall’affitto e concessione in usufrutto di aziende,
• Vincite delle lotterie, dei giochi, concorsi a premio, ecc.,
• Premi ricevuti come riconoscimento di meriti artistici, scientifici e sociali,
• Proventi illeciti.
Data la eterogeneità di questi redditi, le relative regole di determinazione non sono uniformi. Essi, con qualche eccezione,
sono tassati al momento del realizzo e al netto delle spese e degli oneri di produzione e non sono soggetti a ritenuta fiscale
alla fonte.

L’IMPOSTA SUL REDDITO DELLE SOCIETÀ


➢ Soggetti passivi e residenza fiscale
L’Ires colpisce il reddito complessivo netto delle società di capitali e dei soggetti collettivi in genere con aliquota del 24%.
L’art. 73 del Tuir suddivide i soggetti passivi dell’Ires in quattro categorie:
1. Società di capitali residenti: Spa, Sapa, Srl, cooperative, società di mutua assicurazione, società e coop europee,
2. Enti commerciali residenti: enti pubblici e privati, compresi i trust, che hanno per oggetto principale attività commerciale,
3. Enti non commerciali residenti: enti pubblici e privati che non hanno per oggetto principale un’attività commerciale,
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4. Società ed enti commerciali o non commerciali non residenti.
Tra i soggetti passivi sono da includere le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad
altri soggetti passivi nei confronti dei quali il presupposto si verifichi in modo unitario ed autonomo. Non sono soggetti passivi
Ires le società di persone e gli enti equiparati e alcuni soggetti esenti come gli organi e amministrazioni dello Stato.
Non sono residenti le società e gli enti, compresi i trust, che non hanno in Italia né la sede legale, né la sede
dell’amministrazione, né l’oggetto principale della propria attività.
Sono invece residenti le società e gli enti che, per la maggior parte del periodo di imposta, hanno la sede legale o la sede
dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato (basta una condizione).
Presunzione relativa di residenza (art. 73) si considera esistente nel territorio dello Sato la sede dell’amministrazione di società,
dette esterovestite, ed enti che detengono partecipazioni di controllo in società o enti commerciali, se (entrambe condizioni):
• Sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato,
• Sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente, composto in prevalenza di consiglieri
residenti nel territorio dello Stato.
Inoltre, lo stesso articolo prevede che si considerino residenti, salvo prova contraria, le società e gli enti il cui patrimonio sia
investito in misura prevalente in quote o azioni di investimento collettivo del risparmio immobiliari e siano controllati
direttamente o indirettamente da soggetti residenti in Italia. Infine, si presume che siano residenti in Italia i trust esteri istituiti
in Paesi a fiscalità privilegiata se almeno un disponente e un beneficiario sono residenti in Italia oppure se il disponente ha
trasferito in trust immobili o diritti reali immobiliari.
La base imponibile dell’Ires è disciplinata da tre gruppi:
1. Il primo si applica alle società di capitali e agli enti commerciali,
2. Il secondo si applica agli enti non commerciali,
3. Il terzo si applica alle società ed enti non residenti.

➢ Il reddito imponibile delle società di capitali e degli enti commerciali


Il reddito imponibile delle società di capitali e degli enti commerciali è sempre tutto reddito d’impresa.
L’art. 84 del Tuir prevede che per la base imponibile Ires vi sia il riporto delle perdite: siccome, in caso di perdite, queste
società devono ripristinare il patrimonio, occorre considerare che l’utile dell’anno successivo alla perdita non incrementa il
patrimonio se le perdita non è colmata.
È quindi previsto che la perdita di un periodo di imposta può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi
d’imposta successivi in misura non superiore all’80% del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova
capienza in tale ammontare. Il limite dell’80% comporta che il 20% del reddito di un periodo è tassato, anche se le perdite
pregresse superano il reddito stesso (no limiti temporali).
Il riporto delle perdite non è ammesso quando muta il profilo soggettivo o oggettivo della società, ovvero quando la
maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto viene trasferita o acquistata da terzi (anche a titolo temporaneo) o
quando viene modificata l’attività principale esercitata nei periodi d’imposta in cui le perdite sono state realizzate.
L’art. 84 stabilisce che i soggetti i cui utili sono esenti, come cooperative a mutualità prevalente, possono riportare la perdita
solo per l’ammontare che eccede l’utile non tassato negli esercizi precedenti al netto dei componenti negativi non deducibili
(in quanto si riferiscono ai proventi esenti). Inoltre, per le attività che fruiscono di regime di tassazione parziale, le perdite
fiscali assumono rilevanza in misura corrispondente al reddito tassabile e la perdita deve essere riportata nella misura
dell’esenzione.
Per il riconoscimento delle perdite pregresse è onere del contribuente chiederne il computo.

➢ La riduzione dell’imponibile in caso di incrementi del capitale proprio (ACE)


Al fine di incentivare gli incrementi del patrimonio delle imprese, è previsto il modello ACE, il quale permette di dedurre dal
reddito imponibile un importo pari ad una percentuale del nuovo capitale immesso nell’impresa sia che sia sotto forma di
nuovi conferimenti sia che sia sotto forma di utili imputati a riserva.
L’agevolazione si applica sia alle società di capitali, enti commerciali e stabili organizzazioni soggetti a Ires, sia a imprese
individuali, Snc e Sas in regime di contabilità ordinaria soggette a Irpef.

➢ Gli enti non commerciali


La categoria degli enti non commerciali è molto vasta ed eterogenea (enti pubblici ed ecclesiastici, fondazioni, consorzi, ecc.).
Gli enti non commerciali sono quelli che non svolgono un’attività commerciale o che non la svolgono ma non come attività
principale. A proposito di tal definizione, il Tuir prevede che:
• Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente lo scopo primario indicato dalla legge,
dall’atto costitutivo o dallo statuto. Nel caso in cui l’atto o lo statuto non vi siano o non siano redatti nelle forme richieste,
l’oggetto principale è determinato in base all’attività effettivamente esercitata.
• Il criterio in base al quale si stabilisce quale sia l’attività principale è quello dell’essenzialità: se l’attività in questione è
essenziale per realizzare direttamente lo scopo primario dell’impresa, allora è quella principale.
• La natura commerciale si determina in base alla nozione di reddito d’impresa. Di conseguenza gli enti perdono la qualifica
di enti non commerciali quando, per un intero periodo d’imposta, esercitano prevalentemente attività commerciali e
hanno prevalenza di immobilizzazioni, ricavi, redditi e costi inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti attività.

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➢ I redditi degli enti non commerciali
Il reddito complessivo imponibile degli enti non commerciali è formato dalla somma dei redditi, fondiari, di capitale,
d’impresa e diversi, ognuno determinato secondo le regole della propria categoria di appartenenza.
Gli utili degli enti non commerciali non sono integralmente tassati: il 22,26% del loro ammontare non concorre alla formazione
del reddito imponibile in quanto escluso.
Nel caso in cui l’ente svolga attività d’impresa è tenuto a istituire delle contabilità separate per distinguere ciò che è inerente
all’attività istituzionale a quello che è inerente all’attività d’impresa. I componenti positivi e negativi si determinano quindi
secondo le regole ordinarie in materia di reddito d’impresa, pertanto sono deducibili interamente le spese specificamente
inerenti all’attività commerciale e deducibili in parte quelle ad utilizzazione promiscua, e le perdite dell’attività commerciale
sono deducibili nei periodi successivi secondo le regole previste per gli imprenditori individuali.
Inoltre, gli enti ammessi al regime di contabilità semplificata possono optare per la determinazione forfettaria del reddito
d’impresa, in tal caso il reddito è determinato in misura pari a una percentuale della somma dei componenti positivi.
Particolari disposizioni sono poi previste per gli enti di tipo associativo, come associazioni e consorzi:
• Alcuni vengono considerati enti non commerciali solo se l’attività è interna e rivolta agli associati e ai partecipanti e se
non è retribuita con corrispettivi specifici. In caso contrario, si applicano le ordinarie regole fiscali d’impresa.
• Le associazioni politiche, sindacali, religiose, culturali, sportive dilettantistiche vengono considerate enti non commerciali
se sono svolte in attuazione degli scopi istituzionali anche se le attività sono retribuite con corrispettivi specifici.

➢ I trust
I trust possono essere di tue tipi:
• Trust trasparenti, sono quelli i cui beneficiari sono individuati, cioè titolari di un diritto attuale e incondizionato
all’assegnazione di una parte del reddito. Essi non sono soggetti passivi dell’Ires perché i redditi sono imputati ai
beneficiari come redditi di capitale soggetti a Iperf, a prescindere dalla percezione.
• Trust opachi, sono quelli i cui beneficiari non sono individuati. Essi sono soggetti passivi dell’Ires.
I trust opachi residenti sono collocati nella categoria di enti commerciali o in quella di enti non commerciali, e sono sottoposti
alle relative regole di determinazione del reddito. I trust non residenti sono tassati solo per i redditi prodotti nello Stato.

➢ Determinazione del reddito d’impresa: il bilancio d’esercizio e derivazione parziale


Il reddito d’impresa è calcolato in base al bilancio d’esercizio. Esso può essere redatto in forma ordinaria, applicando i principi
contabili internazionali IAS/IFRS o i principi contabili OIC, o può essere redatto in forma abbreviata.
Lo stato patrimoniale rappresenta la situazione patrimoniale e finanziarie della società raggruppata nelle classi dell’attivo e
del passivo definite dal Codice civile. Il conto economico contiene invece la rappresentazione delle spese e dei costi sostenuti,
anche presunti, e dei ricavi e proventi conseguiti, aggregandoli in cinque sezioni.
L’art. 83 del Tuir prevede che il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto
economico (risultato prima delle imposte), relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in
diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti dalle norme fiscali.
Questo sistema di determinazione del reddito è detto di derivazione parziale in quanto il reddito imponibile deriva in parte dal
risultato del conto economico e in parte dalle variazioni fiscali (divergenza tra le norme civilistiche e le norme fiscali).

➢ Le variazioni fiscali
Le variazioni in aumento aumentano il reddito imponibile. Esse possono derivare da norme che impongono di:
• Includere nel reddito imponibile componenti positivi non presenti nel ce: un esempio di norme di questo tipo sono quelle
che assimilano ai ricavi il valore normale dei beni-merce assegnati ai soci o destinati all’autoconsumo.
• Eliminare o ridurre dal reddito imponibile componenti negativi presenti nel ce: questo tipo di norme sono molto
frequenti in quanto tutte le norme in tema di costi pongono dei limiti alla deducibilità degli stessi secondo il principio di
inerenza o secondo il principio di competenza.
Inoltre, alcune norme regolano la deducibilità dei costi che, in sede civilistica, sono frutto di stima mentre in sede fiscale
sono frutto di criteri rigidi (es. in materia di ammortamenti, il C.c. impone una misura stimata, mentre le norme fiscali
prevedono che gli ammortamenti non sono ammessi in misura superiore a determinati coefficienti).
Le variazioni in diminuzione diminuiscono il reddito imponibile. Esse possono derivare da norme che impongono di:
• Eliminare o ridurre dal reddito imponibile componenti positivi presenti nel ce: la riduzione può dipendere dal fatto che
il ce contiene ricavi esenti (plusvalenze che beneficiano del participation exemption), ricavi esclusi (soggetti tassati con
imposta sostituiva), ricavi non soggetti al regime ordinario di tassazione (dividendi non tassati per il regime di trasparenza)
o ricavi la cui tassazione è rateizzata.
• Includere nel reddito imponibile componenti negativi non presenti nel ce: la diminuzione dipende dal fatto che alcuni
costi computati nel ce di un esercizio sono deducibili negli esercizi successivi, ad esempio i compensi degli amministratori
sono dedotti nell’esercizio in cui sono corrisposti, non in quello precedente in cui maturano.

➢ Beni relativi all’impresa e il valore fiscalmente riconosciuto


Per la determinazione del reddito occorre definire i beni relativi all’impresa: per le società sono relativi all’impresa tutti i beni
che appartengono ad esse. Nello stato patrimoniale, i beni relativi all’impresa sono classificati in:

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• Attivo circolante: beni-merce e titoli di partecipazioni in società di capitali o altri enti commerciali destinati a essere
rivenduti. La loro cessione genera ricavi.
• Immobilizzazioni: beni strumentali destinati a fornire il proprio contributo alla produzione del reddito di più esercizi, titoli
di partecipazioni in società di capitali o altri enti commerciali che costituiscono un investimento durevole e beni
patrimoniali. La loro cessione genera plusvalenze o nel caso di beni strumentali e patrimoniali anche minusvalenze.
Per stabilire la categoria di appartenenza di un bene, e dunque se genera ricavi o plusvalenze, le regole generali sono:
• Per le partecipazioni e i titoli bisogna prendere in considerazione il bilancio: essi costituiscono immobilizzazioni
finanziarie solo quando sono iscritte come tali nell’attivo di stato patrimoniale,
• Per i beni-merce vale il principio di correlazione: le rimanenze di magazzino, date dalla somma delle rimanenze iniziali con
i beni prodotti nell’esercizio meno i beni venduti nello stesso, hanno la funzione di trasferire il costo dei beni invenduti da
un esercizio all’altro affinché il costo sia imputato all’esercizio in cui i beni generano ricavi,
• Per i beni strumentali e patrimoniali vale la rilevazione al costo: essi sono rilevati al costo nello stato patrimoniale
dell’esercizio di acquisizione che viene poi ammortizzato a partire dall’esercizio in cui entrano in funzione.
La distinzione tra beni-merce e le immobilizzazioni è molto importante perché le rimanenze di magazzino concorrono sempre
a formare il reddito mentre le minusvalenze delle immobilizzazioni concorrono a formarlo solo quando sono realizzate.
Il valore fiscalmente riconosciuto di tutti questi beni è rappresentato dal costo di acquisto o di fabbricazione, comprendente
anche gli oneri di diretta imputazione connessi all’acquisto (esclusi interessi passivi e spese generali), subito delle relative
variazioni incrementative o riduttive, per effetto, ad esempio, degli ammortamenti.

➢ Il principio di competenza
Il principio di competenza si applica in via residuale quando le singole norme non stabiliscono la competenza di un
determinato elemento di reddito.
L’art. 109 prevede che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, se non disposto diversamente, concorrono a
formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia, i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di
competenza non sia ancora certa l'esistenza o non sia determinabile in modo obiettivo l'ammontare, concorrono a formarlo
nell'esercizio in cui essi divengono certi e quantificabili.
Secondo questo principio, ciò che è rilevante è il momento temporale in cui si verifica il fatto economico-gestionale: i ricavi
devono essere imputati nell’esercizio in cui sono conseguiti in senso economico, ossia quando avviene lo scambio con i terzi
o l’utilizzazione interna, e i costi devono essere imputati nell’esercizio in cui i relativi ricavi sono conseguiti, secondo il principio
di correlazione. Di conseguenza, i costi (anche pluriennali) non sono tutti deducibili nel periodo in cui sono sostenuti ma devono
essere dedotti nell’esercizio o negli esercizi in cui sono conseguiti i ricavi che concorrono a produrre.
L’art. 109 specifica poi la competenza temporale per alcuni specifici componenti del reddito. In particolare:
• I corrispettivi delle cessioni di beni mobili e il costo di acquisto degli stessi si considerano conseguiti e sostenuti alla data
della consegna o spedizione.
• I corrispettivi delle cessioni di beni immobili e il costo di acquisto degli stessi si considerano conseguiti e sostenuti alla
data di stipulazione dell’atto,
• I ricavi e i costi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti e sostenuti alla data di ultimazione.
Il principio di competenza determina variazioni in aumento o in diminuzione che possono essere:
• Variazioni temporanee: ad esempio, la norma che impone di differire un costo quando nell’esercizio di competenza non
è certo nell’esistenza e nell’ammontare, produce una variazione in aumento temporanea, perché destinata ad essere
controbilanciata quando il costo, divenuto certo e determinabile, sarà dedotto con una variazione in diminuzione.
• Variazioni permanenti: ad esempio, la presenza di proventi esenti comporta la definitiva indeducibilità dei relativi costi.
Le violazioni del principio di competenza possono comportare:
• Nel caso di costi non contabilizzati nell’esercizio di competenza, la perdita della possibilità di dedurre il costo,
• Nel caso di ricavi contabilizzati in un esercizio non di competenza, doppia tassazione. In tal caso, il contribuente può
chiedere la restituzione della maggior imposta, pagata per l’esercizio non di competenza, nel termine di prescrizione.

➢ Deroghe al principio di competenza


Le deroghe al principio di competenza sia concernono sia i componenti positivi sia i componenti negativi.
In materia di costi, il diritto tributario prevede che essi siano deducibili solo se certi e determinabili a differenza del diritto
civile che invece impone la rilevazione dei costi anche probabili, secondo il criterio di prudenza.
Di conseguenza, affinché nel reddito imponibile siano compresi solo i costi certi e determinabili, si applica il principio di cassa,
secondo cui ricavi e costi vengono imputati quando avvengono gli incassi e i pagamenti per i compensi dovuti agli
amministratori, per gli oneri fiscali e contributivi, per le erogazioni liberali e per gli interessi di mora, anche attivi.
In materia di ricavi, invece, diritto tributario e diritto civile non sono divergenti perché entrambi impongono la rilevazione dei
soli ricavi effettivamente conseguiti. Vi sono comunque delle deroghe al principio di competenza previste per:
• Gli utili derivanti dalla partecipazione in società ed enti soggetti a Ires, che concorrono a formare il reddito nell’esercizio
in cui sono percepiti (variazione in diminuzione anno di competenza, variazione in aumento anno di distribuzione),
• Le plusvalenze dei beni relativi all’impresa, la cui tassazione può avvenire in modo dilazionato,
• Le sopravvenienze attive conseguite a titolo di contributo o liberalità, che concorrono a formare il reddito nell’esercizio
in cui sono incassate o in quote costanti al massimo in cinque esercizi a partire da quello di incasso (scelta contribuente).

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➢ Il principio di iscrizione a conto economico dei costi
Le norme fiscali sul reddito di impresa non disciplinano tutti i componenti reddituali, ciò implica che possono essere dedotti
anche costi non specificamente previsti, a condizione che siano soddisfatte le prescrizioni generali sulla deducibilità dei costi:
1. Principio di competenza: sono deducibili solo i costi correlati ai ricavi conseguiti e solo se certi e determinabili,
2. Principio di iscrizione a conto economico: sono deducibili solo i costi iscritti nel conto economico dell’esercizio,
3. Principio di inerenza: sono deducibili solo i costi inerenti all’attività d’impresa.
Il principio di iscrizione a conto economico prevede che siano deducibili i soli costi iscritti nel conto economico dell’esercizio e
vale anche per i costi stimati, come gli ammortamenti. Se i costi stimati imputati a conto economico sono più elevati di quanto
fiscalmente deducibile, la parte eccedente non è deducibile e deve essere ripresa a tassazione.
Esistono però tre deroghe al principio di iscrizione a conto economico:
• Sono deducibili i costi iscritti nel conto economico di un esercizio precedente se la deduzione è stata rinviata in
conformità alle precedenti norme. Questa deroga è una conseguenza della regola che non consente di dedurre fiscalmente
un costo nell’esercizio in cui è stato computato ai fini civilistici, ad esempio perché non certo o determinabile.
• Sono deducibili i costi che, pur non essendo imputabili al conto economico, sono deducibili per disposizione di legge.
• Sono deducibili, nella misura in cui risultano certi e precisi, i costi correlati ai ricavi, che pur non risultando imputati al
conto economico, concorrono a formare il reddito. Sono quindi deducibili i costi correlati a ricavi tassabili che non
compaiono nel ce quando il contribuente ne fornisce una prova piena, indicando l’identità delle controparte.

➢ Il principio di inerenza
Secondo il principio di inerenza sono deducibili solo i costi inerenti all’attività di impresa. Esso recita che le spese e gli altri
componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi e altri proventi
che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.
Sono quindi deducibili i costi che si riferiscono ad attività e beni imponibili e a proventi esclusi da tassazione, come i dividendi.
Al contrario, non sono deducibili i costi che si riferiscono esclusivamente ad attività o beni esenti, come le plusvalenze esenti.
I costi come le spese generali, che si riferiscono indistintamente ad attività imponibili, esenti ed escluse sono deducibili per la
parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi imponibili ed esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi
e proventi.
Inoltre, il principio prevede che un costo sia ritenuto inerente nella misura in cui è congruo, non antieconomico. Ciò implica
che non sono deducibili i costi nella misura in cui siano di entità sproporzionata rispetto ai ricavi e all’oggetto d’impresa.
Nel principio di inerenza ha rilievo la natura giuridica del negozio da cui scaturisce il costo, quindi anche un atto a titolo gratuito
è deducibile: ad, esempio, per le società che fanno parte di un medesimo gruppo, i costi che una società sostiene nell’interesse
del gruppo sono ripartiti e deducibili da tutte le società.
L’unica deroga riguarda gli interessi passivi, che sono deducibili a prescindere dall’inerenza, ma nei limiti previsti dalle norme.

I REDDITI TRANSNAZIONALI
➢ Criteri di localizzazione dei redditi transnazionali
I criteri di localizzazione dei redditi transnazionali sono criteri utili a tassare in Italia i redditi dei non residenti prodotti in
Italia e i redditi dei residenti prodotti all’estero e a riconoscere il credito d’imposta spettante ai residenti che hanno pagato
imposte all’estero. I criteri di localizzazione sono:
• Criterio della localizzazione del pagatore: vale il luogo in cui è situata la fonte reddituale per i redditi di origine
patrimoniale, di conseguenza i redditi fondiari e i redditi di capitale si considerano prodotti in Italia se, rispettivamente,
l’immobile è locato in Italia e la sede del soggetto che corrisponde il reddito è locata in Italia.
• Criterio della localizzazione dell’attività: vale il luogo in cui è svolta l’attività per i redditi che derivano dallo svolgimento
di un’attività, di conseguenza i redditi di lavoro e i redditi d’impresa si considerano prodotti in Italia se derivano da attività
svolte in Italia mediante una stabile organizzazione.
I redditi diversi si considerano prodotti in Italia se derivano da beni situati nello Stato, se derivano da plusvalenze relative a
partecipazioni in società residenti e se derivano da società a cui si applica il principio di trasparenza che hanno sede in Italia.
Inoltre, si considerano prodotti in Italia, quando sono corrisposti da soggetti residenti: le pensioni e le indennità di fine
rapporto, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i compensi per l’utilizzazione di opere d’ingegno e simili, e i compensi
conseguiti da impresa, società ed enti non residenti per prestazioni artistiche e professionali effettuate in Italia.

➢ I redditi prodotti in Italia delle persone fisiche non residenti


Ai fini fiscali, una persona fisica non è residente in Italia se non è iscritta negli anagrafici della popolazione, non ha dimora
abituale e domicilio in Italia. Per essa, la tassazione è limitata ai redditi che sono prodotti nello Stato:
• I redditi di lavoro autonomo e di capitale sono tassati mediante ritenuta a titolo d’imposta,
• I redditi non tassati alla fonte devono essere dichiarati dai non residenti e sulla somma di questi si applica l’imposta.
Dal reddito complessivo prodotto in Italia, i non residenti possono dedurre soltanto alcuni oneri e possono scomputare solo
alcune detrazioni. Sono comunque sempre vietate le detrazione per carichi di famiglia e quelle di natura personale.

➢ I dividendi in uscita dall’Italia


I dividendi in uscita dall’Italia sono i dividendi distribuiti da società residenti a soggetti non residenti. Ad essi si applica una
disciplina specifica o generale a seconda che si tratti di:

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• Soggetti o società residenti in paesi extra-Ue, sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 26%. Tali soggetti
hanno diritto al rimborso di 11/16 della ritenuta se dimostrano di aver pagato sui dividendi le imposte nel proprio paese.
• Soggetti o società residenti in paesi Ue, sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta del 1,20% ai fini della parità di
trattamento tra società residenti in Italia e società residenti in altri paesi Ue.
I dividendi in uscita dall’Italia non sono tassati quando si applica la Direttiva madre-figlia che impedisce la tassazione dei
dividendi distribuiti tra società controllanti e controllata all’interno dell’Ue. Attraverso di esso la controllante non residente
può richiedere che non sia applicata la ritenuta o chiederne il rimborso. Il regime si applica ai soli dividendi percepiti dalle
controllanti che detengono una partecipazione non inferiore al 10% del capitale della controllata se:
• Le società rivestono una delle forme previste dalla Direttiva,
• Le società risiedono ai fini fiscali in uno Stato Ue,
• Le società sono soggette nello Stato di residenza ad una delle imposte previste nella Direttiva senza regimi di esonero,
• Le società detengono la partecipazione ininterrottamente per almeno un anno.
La non tassazione dei dividendi in uscita, o il rimborso, evitano la doppia tassazione giuridica internazionale, ma comunque
permettono la doppia tassazione economica, cioè la tassazione degli utili della controllata da parte dello Stato della fonte e la
tassazione dei dividendi nello Stato di residenza dei soci della controllante.

➢ I redditi prodotti in Italia da società ed enti non residenti


Ai fini fiscali, le società e gli enti non residenti sono quelli che, per la maggior parte del periodo di imposta, non hanno sede
legale o sede dell’amministrazione o oggetto principale dell’attività nel territorio dello Stato.
Per tali soggetti occorre individuare i redditi prodotti in Italia e poi considerare se la società o l’ente, commerciale o non
commerciale, abbia una stabile organizzazione in Italia:
• Se la società o l’ente non residente dispone di una stabile organizzazione in Italia, si applicano alla stabile organizzazione
le regole dell’Ires in materia di reddito d’impresa secondo il principio della forza di attrazione della stabile organizzazione
(tutte le singole categorie di reddito sono attratte nella categoria di reddito d’impresa),
• Se la società o l’ente non residente non dispone di una stabile organizzazione e se è commerciale, l’imponibile è dato
dalla somma dei singoli redditi determinati secondi le regole proprie di ciascuna categorie, secondo il principio del
trattamento isolato dei redditi (incluso il reddito d’impresa tassato con Irpef o Ires a seconda del tipo di società),
• Se la società o l’ente non residente non dispone di una stabile organizzazione e se è non commerciale, il reddito
complessivo si determina applicando le regole dettate dall’Irpef come stabilito per gli enti non commerciali residenti.

➢ La stabile organizzazione in Italia


Il Tuir prevede la nozione di stabile organizzazione distinguendo tra:
• Stabile organizzazione materiale: è la sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o
in parte la sua attività sul territorio dello Stato. Occorre dunque che vi sia: una sede di affari, che sia stabile, che sia
espressione dell’esercizio dell’impresa e che produca reddito. Può quindi essere considerata stabile organizzazione una
sede di direzione, una succursale, un ufficio, un’officina, un laboratorio, una miniera o un cantiere duraturo più di 3 mesi.
Inoltre, può essere una stabile organizzazione materiale anche una significativa e continuativa presenza economica nello
Stato che non ha una sua consistenza fisica, includendo anche le multinazionali dell’economia digitale.
Non sono quindi stabili organizzazioni le installazioni utilizzate ai fini di depositi, esposizione e consegna, e le sedi fisse
utilizzate ai fini di acquistare merci, di raccogliere informazioni e di svolgere di attività di carattere preparatorio e ausiliario.
• Stabile organizzazione personale: è una persona fisica o giuridica che, nel territorio dello Stato, conclude abitualmente, in
nome e per conto dell’impresa non residente, contratti diversi da quelli di acquisto di beni. Occorre quindi che vi sia
abitualità, che vi sia l’impegno dell’impresa non residente e che vi sia dipendenza giuridica ed economica tra il soggetto
e l’impresa non residente.
Si capisce quindi che la stabile organizzazione è un soggetto giuridico dipendente: è il centro di imputazione di situazioni
giuridiche che fanno capo al soggetto non residente.
Il reddito della stabile organizzazione è determinato secondo le disposizioni del reddito d’impresa, quindi la base imponibile è
determinata sulla base del bilancio redatto secondo i principi contabili previsti per i residenti. I componenti di reddito relativi
ai rapporti con la casa madre sono soggetti alla disciplina dei prezzi di trasferimento tra società dello stesso gruppo.

➢ Dividendi e plusvalenze provenienti da Stati a fiscalità ordinaria


I dividendi provenienti da Stati a fiscalità ordinaria sono tassati come dividendi distribuiti da società residenti, pertanto:
• Se percepiti da persone fisiche, si applica il regime sostitutivo del 26%, la tassazione del 58,14% o la tassazione integrale.
• Se percepiti da soggetti passivi Ires, sono componenti del reddito d’impresa.
Le plusvalenze da cessioni di partecipazioni provenienti da Stati a fiscalità ordinaria sono tassate come quelle derivanti da
società residenti, pertanto:
• Se realizzate da persone fisiche, sono considerate redditi diversi e sono tassate con imposta sostituiva del 26%.
• Se realizzate da soggetti passivi Ires, in presenza dei presupposti della partecipation exemption, sono esenti per il 95%.

➢ Dividendi e plusvalenze provenienti da Stati a fiscalità privilegiata


Gli Stati a fiscalità privilegiata, detti anche paradisi fiscali, sono quelli in cui sono presenti regimi fiscali privilegiati, il cui livello
di tassazione è inferiore al 50% di quello applicato in Italia.

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Ai dividendi e alle plusvalenze provenienti da Stati a fiscalità privilegiata si applica il regime di piena imponibilità:
• I dividendi sono tassati per intero sia quando sono redditi di capitale sia quando sono redditi d’impresa.
• Le plusvalenze realizzate da società di capitali, enti commerciali, società di persone, imprenditori individuali e persone
fisiche (se la partecipazione è qualificata) sono imponibili per intero, nel caso di cessione di partecipazioni.
Il regime di piena imponibilità dei dividendi e delle plusvalenze non si applica per i soggetti passivi Ires quando viene
dimostrato che non sia stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati a fiscalità privilegiati, deve quindi risultare che
i redditi siano stati ricevuti da stati a fiscalità ordinaria.
Inoltre, il Tuir prevede per le plusvalenze conseguite da soggetti passivi Ires, un regime di tassazione attenuata limitata al
50% con attribuzione del credito d’imposta indiretto, quando la società partecipata svolge in via principale un’attività
commerciale o industriale nel mercato del paradiso fiscale.

➢ Esenzione opzionale delle stabili organizzazioni estere


Le imprese residenti in Italia che posseggono una stabile organizzazione all’estero possono irrevocabilmente optare per
l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili alla stabile organizzazione.
L’opzione può essere esercitata sia per le stabili organizzazioni di nuova costituzione sia per quelle già esistenti. Nel secondo
caso, se l’attività della stabile organizzazione ha generato perdite dedotte dal reddito imponibile in Italia, gli utili prodotti dalla
stabile organizzazione continuano a essere tassati in Italia fino a concorrenza delle perdite dedotte nei precedenti esercizi.

➢ Il regime delle imprese controllate localizzate in paradisi fiscali


Il regime delle imprese controllate estere, detto CFC, è un regime di trasparenza che si applica alle società e persone fisiche
residenti in Italia che detengono direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o interposta persona, il
controllo di un’impresa, società o altro ente residente e localizzato in Stati a fiscalità privilegiata.
Il regime CFC ha funzione antielusiva e quindi è obbligatorio.
Di regola, i redditi derivanti da partecipazioni in società residenti all’estero sono soggetti ad imposta quando sono percepiti,
invece il regime CFC impone che i redditi delle controllate residenti in paradisi fiscali siano imputati al soggetto residente in
Italia nel periodo in cui sono prodotti a prescindere dalla percezione. Con il principio di trasparenza si vuole contrastare il tax
deferral, cioè il rinvio delle tassazione in Italia mediante rinvio della distribuzione dei redditi prodotti nei paradisi fiscali.
Il regime CFC non si applica:
• Quando il soggetto estero svolge un’effettiva principale attività industriale o commerciale nel mercato estero,
• Quando il soggetto residente controllante non fruisce del regime fiscale privilegiato, perché il soggetto estero controllato
riceve utili prodotti da una stabile organizzazione o partecipata i cui redditi sono tassati in uno Stato a fiscalità ordinaria.
Il CFC è esteso anche nei casi in cui i soggetti esteri controllati hanno sede in Stati a regime ordinario quando:
• Sono soggetti a una tassazione effettiva inferiore al 50% di quella a cui sarebbero soggetti se fossero residenti in Italia,
• Hanno conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, detenzione, investimento in titoli, partecipazioni,
crediti o altre attività finanziarie, o dalla cessione di diritti immateriali o dalla prestazione di servizi infragruppo.
Con questa estensione, si vuole contrastare la dislocazione dei profitti del soggetto controllante presso strutture artificiose
residenti in paradisi fiscali. Non si applica se il soggetto residente dimostra che l’insediamento all’estero non rappresenta una
costruzione artificiosa.
Per la determinazione del reddito, il Tuir prevede che i redditi del soggetto estero controllato siano imputati al soggetto
residente controllante in proporzione alla quota detenuta nella partecipazione agli utili. Questi sono poi soggetti a tassazione
separata con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore all’aliquota
ordinaria Ires. Dall’imposta così determinata sono ammesse in detrazione le imposte pagate all’estero a titolo definitivo.

➢ Il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero


Al fine di eliminare la doppia imposizione internazionale, al contribuente residente che paga imposte all’estero è attribuito
un credito d’imposta che si compensa con il debito per l’imposta dovuta dallo stesso attraverso detrazione. La detrazione non
può però essere superiore alla quota di imposta italiana proporzionalmente attribuita al reddito prodotto all’estero.
La detrazione può essere fatta valere solo se i redditi possono essere considerati prodotti all’estero secondo i criteri di
localizzazione e solo se i redditi esteri concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile.
Nel caso in cui il reddito prodotto all’estero sia tassato parzialmente, anche l’imposta estera detraibile e il credito d’imposta
sono ridotti in misura corrispondente.
Nel caso in cui concorrano alla formazione della base imponibile redditi prodotti in più Stati esteri, la detrazione si applica
separatamente per ciascuno Stato.

➢ La dichiarazione dei beni e dei redditi esteri


I soggetti fiscalmente residenti in Italia devono dichiarare i beni detenuti e i redditi prodotti all’estero.
Mentre per i soggetti passivi Ires, tali dichiarazioni risultano da bilancio; le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società
semplici devono indicare nella dichiarazione dei redditi gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria.
La violazione di tale obbligo è punita con sanzione amministrativa pecuniaria dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi
non dichiarati, raddoppiata nel caso di Stato a regime fiscale privilegiato. A ciò vanno aggiunte le imposte dovute sui redditi
prodotti all’estero dai capitali non dichiarati e le sanzioni connesse all’omessa o infedele dichiarazione dei redditi.

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L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
➢ Origine e natura dell’Iva
L’Iva è stata ideata in sede europea ed è stata introdotta in tutti gli Stati membri in base a un modello tracciato nel 1967 da
due direttive comunitarie. La disciplina europea è ora racchiusa principalmente nella Direttiva 112 del 2006, detta D. rifusione.
In Italia, l’Iva è stata istituita nel 1972 con il D.P.R. 633.
L’Iva è una delle risorse proprie dell’Ue, gli Stati membri sono infatti tenuti a devolvere all’Ue parte del gettito del tributo e
devono garantirne la corretta applicazione e l’effettiva riscossione. Perciò, in base al diritto europeo, l’Iva non può essere
oggetto di condono e può essere oggetto di falcidia nel concordato preventivo e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti solo
se un esperto indipendente attesti che l’Erario non otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento.
La principale ragione dell’adozione dell’Iva riguarda la neutralità dell’Iva rispetto agli scambi internazionali: con essa si
conosce esattamente il carico fiscale di un bene, per cui è possibile determinare l’ammontare di imposta sulle importazioni e
sulle esportazioni, senza attuare agevolazioni alle esportazioni e aggravi alle importazioni.
L’Iva appartiene alla categoria delle imposte sui consumi, le quali possono essere:
• Monofase, vengono applicate una sola volta (ad esempio sulle cessioni dal produttore al commerciante),
• Plurifase, vengono applicate nelle varie fasi del processo produttivo-distributivo. Queste possono poi essere:
o Cumulative o a cascata, in cui il tributo dovuto in ciascuna fase si somma agli altri,
o Sul valore aggiunto, in cui il tributo colpisce il maggior valore che ciascuna fase aggiunge al bene.
L’imposta cumulativa non è neutrale perché dipende dalla lunghezza del ciclo distributivo e influisce sull’organizzazione
produttiva in quanto colpisce quelle specializzate. L’Iva invece, gravando sul consumatore in proporzione al prezzo finale del
bene, è neutrale rispetto al numero dei passaggi e non influisce sull’organizzazione delle imprese.
Secondo la Corte di giustizia le caratteristiche essenziali dell’Iva sono quattro:
• Si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi,
• È proporzionale al corrispettivo dei beni e servizi forniti,
• È riscossa in ciascuna fase del processo produttivo-distributivo a prescindere dal numero di operazioni effettuate,
• È applicata al solo valore aggiunto e grava solo sul consumatore finale, grazie al meccanismo di detrazione dall’imposta
dovuta degli importi pagati nelle precedenti fase del processo.

➢ La neutralità dei soggetti passivi


L’Iva, dal punto di vista tecnico, ha come soggetti passivi gli imprenditori, i lavoratori autonomi e coloro che effettuano
importazioni, invece, dal punto di vista economico, grava solo sui consumatori finali.
Per i soggetti passivi l’Iva è neutrale: non rappresenta un costo in quanto possono detrarre l’imposta pagata a monte. Questo
perché lo Stato deve incassare, ad ogni fase del processo, la differenza tra Iva sugli acquisti e Iva sulle vendite, per cui i soggetti
passivi, vendendo beni sono debitori verso lo Stato per l’Iva commisurata rispetto ai corrispettivi e contemporaneamente
creditori per l’Iva di rivalsa verso i propri cessionari, mentre acquistando merci sono creditori verso lo Stato per l’Iva
commisurata rispetto ai corrispettivi e contemporaneamente debitori per l’Iva di rivalsa verso i propri fornitori.
Il consumatore finale, invece, effettua solo operazioni di acquisto, di conseguenza non ha diritto di detrarre l’imposta in
quanto è solo debitore per rivalsa verso il soggetto passivo che gli cede un bene o presta un servizio. La Corte di giustizia
prevede infatti che una volta che il bene è giunto al consumatore finale, questo resta gravato dall’Iva per un importo
proporzionale al prezzo del bene acquistato e, quindi, l’onere di pagare l’importo dell’Iva grava solo sul consumatore finale.
Si capisce quindi che l’Iva ha due peculiarità che la distingue dalle altre imposte:
• Il diritto di detrazione del contribuente, che crea un inversione di ruoli: il fisco è debitore e il contribuente è creditore,
• La convenienza per il soggetto passivo all’assoggettamento ad Iva, che gli produce un credito, e la relativa sconvenienza
per il soggetto passivo alle esenzioni Iva, che gli produce una non detraibilità dell’Iva sugli acquisti.

➢ Il fondamento costituzionale
L’Iva è un’imposta generale sul consumo. Il fondamento costituzionale dell’Iva è il consumo, fatto espressivo della capacità
contributiva del consumatore finale su cui grava il tributo.
Dal punto di vista giuridico-formale, i presupposti dell’Iva sono le operazioni di cessioni di beni e prestazioni di servizi posti in
essere dai soggetti passivi. Ciò spiega:
• La tassazione delle importazioni, la cui giustificazione è la destinazione al consumo interno di un bene di Paesi terzi,
• Il diritto di detrazione e il meccanismo di rivalsa, la cui giustificazione è la neutralità dell’imposta che rende il tributo
economicamente gravante solo sui consumatori finali.

➢ I soggetti passivi
I soggetti passivi dell’Iva sono gli imprenditori e gli esercenti di arti o professioni, essa si applica sulle cessioni di beni e sulle
prestazioni di servizi, oltre che sulle importazioni da chiunque effettuate.
Ai fini Iva, gli imprenditori sono coloro che esercitano per professione abituale, non esclusiva:
• Un’attività commerciale anche non organizzata in forma di impresa,
• Un’attività di prestazione di servizi organizzata in forma di impresa,
• Un’attività agricola anche non organizzata in forma di impresa.

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Di conseguenza, le operazioni effettuate da società o enti commerciali e società o enti agricoli e società sono sempre imponibili.
Invece, per gli enti non commerciali, sia pubblici che privati, sono imponibili soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di
servizi fatte nell’esercizio di imprese commerciali o agricole, quindi solo se sono rese a titolo oneroso.
È poi presente una deroga per gli enti pubblici, i quali non sono soggetti passivi per le attività che esercitano in quanto
pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. L’imposta
però si applica anche alle attività che esercitano in quanto pubbliche autorità quando il loro non assoggettamento
provocherebbe distorsioni di concorrenza rilevanti, cioè quando l’attività dell’ente pubblico può essere svolta anche da privati.
Ai fini Iva, gli esercenti di arti e professioni sono coloro che esercitano per professione abituale, non esclusiva, qualsiasi
attività di lavoro autonomo. Quindi possono essere sia persone fisiche, sia società semplici, che associazioni professioni, basta
che l’attività sia svolta in modo autonomo e che non vi siano connotati di imprenditorialità.

➢ Campo di applicazione e operazioni escluse


Una operazione economica è rilevante ai fini Iva se sussistono tre presupposti:
1. Presupposto soggettivo: l’operazione è realizzata da un imprenditore o un lavoratore autonomo,
2. Presupposto oggettivo: l’operazione rientra nel campo di applicazione del tributo (non è esclusa),
3. Presupposto territoriale: l’operazione è effettuata nel territorio dello Stato.
Le operazioni che rientrano nel campo di applicazione dell’Iva si distinguono in:
• Operazioni imponibili: comportano il sorgere del debito d’imposta e non limitano il diritto di detrazione. Sono la cessione
di beni nel territorio nazionale, la prestazione di servizi nel territorio nazionale, gli acquisiti intra-Ue e le importazioni da
Paesi extra-Ue.
• Operazioni non imponibili: non fanno sorgere il debito d’imposta e non limitano il diritto di detrazione (es. esportazioni),
• Operazioni esenti: non fanno sorgere il debito d’imposta e limitano il diritto di detrazione.
Le operazioni non imponibili ed esenti comportano comunque gli obblighi formali da parte dei soggetti coinvolti
nell’operazioni (fatturazione, registrazione, inclusione nel calcolo del volume d’affari, ecc.).
Le operazioni fuori campo Iva, (escluse) sono quelle che non hanno alcun rilievo ai fini Iva, di conseguenza non comportano
il sorgere del debito d’imposta, il diritto di detrazione, gli obblighi formali e non sono incluse nel calcolo del volume d’affari.

➢ La cessione di beni
Per cessioni di beni si intendono gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento delle proprietà o costituzione o
trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere. Nella cessione di beni si comprendono dunque i contratti e
tutti gli atti giuridici che determinano effetti traslativi o costitutivi di diritti reali (compresi i trasferimenti coattivi).
Nonostante non presentino uno dei requisiti delle cessioni, sono assimilate alle cessioni:
• Le vendite con riserva di proprietà,
• Le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti,
• Gli acquisti o le vendite di beni dal committente al commissionario e viceversa in esecuzione di contratti di commissione,
• Le cessioni gratuite di beni destinate al consumo personale o familiare dell’imprenditore o del lavoratore autonomo,
• Le assegnazioni delle società ai soci e le analoghe assegnazioni fatte da altri enti privati o pubblici, compresi i consorzi, le
associazioni e altre organizzazioni senza personalità giuridica.
Pur presentando tutti i requisiti delle cessioni, sono escluse dal campo di applicazione:
• Cessioni che appartengono alla gestione straordinaria dell’impresa, in quanto sottoposte a imposta di registro (cessioni o
conferimenti d’azienda o rami d’azienda e passaggi di beni dipendenti da fusioni, scissioni o trasformazioni di società),
• Cessioni soggette alla disciplina della tassa sulle lotterie, cessioni di danaro e di valori bollati o postali,
• Cessioni di terreni non edificabili,
• Cessioni gratuite di campioni di modico valore.

➢ Le prestazioni di servizi
Le prestazioni di servizi sono le prestazioni che danno esecuzioni ad obblighi di fare, non fare o permettere dietro corrispettivo.
Nonostante manchi un requisito, sono assimilate alle prestazioni di servizi:
• Le concessioni di beni in locazione, affitto, noleggio e simili,
• Le cessioni di diritti su beni immateriale,
• I prestiti in denaro e di titoli non rappresentativi di merci,
• Le somministrazioni di bevande e alimenti,
• Le cessioni di contratto.
Infine, le operazioni escluse dal campo di applicazione dell’Iva sono le cessioni di diritti d’autore, i prestiti obbligazionari e le
cessioni di contratti che hanno per oggetto beni la cui cessione è esclusa da imposta (denaro, terreni non edificabili, ecc.).

➢ Le esenzioni
Le operazioni esenti non comportano il sorgere del debito d’imposta e non consentono la detrazione dell’Iva, ma comunque
rientrano nel campo di applicazione dell’imposta e perciò comportano gli adempimenti formali richiesti.
Le operazioni esenti, rientrando nel campo di applicazione, incidono sul diritto di detrazione: il soggetto passivo che effettua
operazioni esenti, infatti, non può detrarre l’Iva sugli acquisti, la quale diventa quindi un costo economico (diff. escluse), che
non può essere trasferito sui ricavi. L’esenzione giova solo sul consumatore finale.

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L’elenco delle operazioni esenti comprende:
• Alcune operazioni di carattere finanziario (operazioni creditizie, assicurative, valutarie, ecc.),
• Le operazioni relative alla riscossione dei tributi,
• L’esercizio di giochi e scommesse e le operazioni in oro,
• Alcune operazioni immobiliari,
• Alcune operazioni socialmente rilevanti (servizi pubblica utilità, sanitari, culturali, ecc.),
• Le cessioni di beni acquistati senza detrazione dell’Iva.
Alcune operazioni sono esenti per ragioni sociali e altre per ragioni di tecnica tributaria (op. finanziarie soggette altri tributi).

➢ Il momento impositivo
Il momento impositivo è il momento in cui un’operazione si considera effettuata e l’Iva diviene esigibile.
L’esigibilità è il diritto che l’erario può far valere a norma di legge, a partire da un determinato momento, presso il debitore,
per il pagamento dell’imposta anche se il pagamento può essere differito. L’effettuazione dell’operazione ha quindi un doppio
effetto giuridico: per il venditore fa decorrere il termine dell’obbligo di fatturazione e registrazione, per il compratore segna
la nascita del diritto di detrazione. Un’operazione si considera effettuata a seconda del tipo di cessione o prestazione:
• Le cessioni di beni immobili si considerano effettuate nel momento della stipulazione, ma se gli effetti sono differiti si
considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti traslativi,
• Le cessioni di beni mobili si considerano effettuate nel momento della spedizione o consegna, ma se gli effetti sono
differiti si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti nel limite di un anno,
• Le prestazioni di servizi si considerano effettuate quando è pagato il corrispettivo. In questo caso quindi, prima del
pagamento non vi è obbligo di emettere fattura o di pagare l’imposta, anche se la prestazione è conclusa.
Per le cessioni, vi sono poi due fattispecie che anticipano il momento di effettuazione delle operazioni: l’emissione della
fattura e il pagamento del corrispettivo. Questi costituiscono effettuazione dell’operazione, di conseguenza, il pagamento di
acconti deve essere fatturato e sottoposto ad imposta.
Il momento in cui un’operazione di considera effettuata ai fini Iva può essere diverso da quello ai fini reddituali in quanto
secondo le norme del reddito d’impresa, un ricavo è da computare in base al principio di competenza. Di conseguenza è
normale che vi sia divario tra volume d’affari Iva e ammontare dei ricavi imponibili ai fini del reddito.

➢ La base imponibile e le aliquote


Di regola, la base imponibile è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al soggetto passivo secondo le
condizioni contrattuali. Sono compresi anche gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione, i debiti e gli oneri verso terzi accollati
al cessionario o al committente e le integrazioni dovute da altri soggetti.
Solo nel caso in cui non vi è un corrispettivo o il corrispettivo è in natura, la base imponibile è costituita dal valore normale
dell’oggetto del contratto, definito come l’importo che il cessionario o committente dovrebbe pagare, in condizioni di libera
concorrenza, per ottenere quel bene o servizio nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione.
Non concorrono a formare la base imponibile, in quanto escluse:
• Le somme dovute a titolo di interessi moratori o di interessi di penalità,
• Il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono se non soggetti all’aliquota più elevata,
• Le somme dovute a titolo di rimborso per anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte se documentate,
• L’importo degli imballaggi se espressamente pattuito il rimborso alla resa,
• Le somme dovute a titolo di rivalsa dell’Iva.
Le aliquote dell’Iva sono:
• Aliquota minima del 4%, viene applicata sui prodotti di prima necessità,
• Aliquota ridotta del 10%, viene applicata sui prodotti e servizi del settore turistico, ad alcuni prodotti alimentari e ad
alcuni casi di recupero edilizio,
• Aliquota ordinaria del 22%, viene applicata su tutti gli altri prodotti e servizi.
Le operazioni non imponibili possono essere considerate come operazione a tasso zero incidono sul diritto di detrazione.

➢ Il diritto di rivalsa
Il diritto di rivalsa è il diritto che permette di neutralizzare il debito tributario che il soggetto passivo ha nei confronti del fisco.
Il suo presupposto sostanziale è la vendita di beni o prestazione di servizi.
Il diritto di rivalsa è quindi il credito che il soggetto passivo, cedente o prestatore, ha nei confronti della controparte,
cessionario o committente, che si aggiunge al corrispettivo per effetto di legge.
La rivalsa rappresenta un diritto-obbligo sia per il soggetto passivo, che ha l’obbligo di emettere fattura comprendente di
imposta e ha il diritto di ricevere dal cessionario o committente l’Iva di rivalsa, sia per il cessionario o committente, che ha
l’obbligo di corrispondere l’Iva di rivalsa al soggetto passivo e ha il diritto di ricevere la fattura comprendente di imposta,
affinché possa registrarla nel registro degli acquisti e quindi esercitare il diritto alla detrazione.
La rivalsa è indisponibile: i patti che la escludono sono nulli. Inoltre, può essere esercitata anche dopo che è decorso il termine
per l’emissione della fattura e anche dopo che il cedente o prestatore ha ricevuto un avviso di accertamento.
Il rapporto di rivalsa è un rapporto tra privati, per cui le relativi liti appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario.

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➢ Il diritto di detrazione
Il diritto di detrazione ha per oggetto l’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in
relazione ai beni o servizi importati o acquistati nell’esercizio di impresa, arte o professione.
Gli acquisti e le importazioni danno diritto alla detrazione solo se sono inerenti all’attività esercitata dal soggetto passivo.
Per poter esercitare tale diritto non occorre che il soggetto passivo abbia pagato l’imposta, ma occorre che egli abbia ricevuto
la fattura o la bolletta doganale con addebito dell’Iva di rivalsa e che tali documenti siano annotati nel registro degli acquisti.
L’importo detraibile risulta dalla somma dell’Iva di rivalsa annotata nel registro dell’Iva a credito. La detrazione deve essere
esercitata nelle liquidazioni periodiche o in sede di dichiarazione annuale.
Il diritto di detrazione è soggetto a decadenza: può essere esercitato successivamente con la dichiarazione relativa all’anno in
cui il diritto è sorto e alle condizioni esistenti al momento in cui è sorto.
La detrazione, come la rivalsa, realizza la neutralità dell’Iva, per cui la legislazione nazionale non può sottoporla a limiti. Di
conseguenza, il diritto di detrazione deve essere sempre riconosciuto quando ne sussiste il presupposto sostanziale (acquisto
di beni e servizi) anche se il cessionario o committente ha omesso gli adempimenti formali, come l’integrazione della fattura,
l’autofatturazione o la registrazione di acquisiti intracomunitari.

➢ Indetraibilità
Vi sono tre tipi di indetraibilità:
• Indetraibilità analitica o per destinazione: concerne beni o servizi destinati ad operazioni che escludono direttamente la
detrazione: è indetraibile l’Iva relativa agli acquisti destinati al compimento di operazioni esenti, non soggette o escluse.
• Indetraibilità presunta: concerne beni o servizi per i quali si presume in modo assoluto o parziale la loro non inerenza: è
indetraibile l’Iva per l’acquisto di aerei o barche, è detraibile per il 40% l’iva per l’acquisto di auto, è indetraibile o detraibile
parzialmente l’Iva per l’acquisto dei carburanti e lubrificanti, ed è inoltre indetraibile l’Iva per le spese di trasporto delle
persone, le spese di rappresentanza, le spese per alimenti e per l’acquisto o la locazione di fabbricati per uso abitativo.
• Indetraibilità per gli enti non commerciali: essi possono detrarre l’Iva relativa agli acquisti fatti nell’esercizio di attività
agricole o commerciale soltanto se gestiscono queste attività con contabilità separata. È quindi indetraibile l’Iva relativa
agli acquisti non inerenti ad attività d’impresa.

➢ Il pro-rata
Il criterio del pro-rata si applica quando l’indetraibilità specifica non è applicabile, cioè quando il contribuente realizza
operazioni esenti in modo sistematico (esercita sia attività che danno diritto alla detrazione, sia attività che non lo danno).
In tal caso, la quota di Iva detraibile è calcolata in modo forfettario attraverso il calcolo della percentuale di detrazione, data
dal rapporto tra l’ammontare delle operazioni con diritto a detrazione effettuate nell’anno e la somma di tutte le operazioni
attive effettuate nello stesso periodo.
Le operazioni attive esenti limitano la detrazione. Al contrario, l’effettuazione di operazioni esenti in via occasionale o di
operazioni esenti (non relative all’attività) in aggiunta ad un’operazione imponibile non limitano la detrazione. In tal modo la
neutralità del tributo non è intaccata da operazioni sporadiche, non significative dell’attività d’impresa.

➢ La rettifica della detrazione


La rettifica della detrazione viene operata quando il bene o servizio oggetto di detrazione è utilizzato in modo difforme.
La detrazione può essere operata al momento dell’acquisto del bene ma se esso viene poi impiegato in modo difforme, la
detrazione deve essere rettificata, in aumento o in diminuzione, in base al concreto utilizzo che ne viene fatto.
Una particolare disciplina riguarda la rettifica della detrazione dell’Iva relativa all’acquisto di beni strumentali ammortizzabili:
la detrazione dell’imposta è ammessa in misura integrale nell’anno di acquisto, ma la detrazione può venir meno o essere
modificata se negli anni successivi aumenta la percentuale delle operazioni esenti secondo il sistema pro-rata temporis.
La percentuale di detraibilità può dunque variare di anno in anno a seconda del cambiamento del rapporto tra operazioni
esenti e volume d’affari: più precisamente, la rettifica deve essere fatta nei quattro anni successivi all’acquisto se si verifica
una variazione della percentuale di detrazione superiore a dieci punti.

➢ Numero di partita Iva, fattura e registri


Il primo adempimento imposto ai contribuenti è quello di identificarsi, cioè di presentare la dichiarazione di inizio dell’attività
(e in seguito di fine attività) affinché gli possa essere attribuito un numero di partita Iva.
Il secondo adempimento imposto è quello di emettere fattura per le operazioni attive che effettuano: l’obbligo riguarda tutte
le operazioni che rientrano nel campo di applicazione dell’Iva (imponibili, non imponibili ed esenti). L’emissione della fattura
vale come effettuazione dell’operazione e rende dovuta l’imposta indicata, dando vita al diritto di rivalsa e di detrazione.
La fattura deve essere emessa in forma elettronica, deve essere datata e numerata in modo progressivo e deve indicare:
• Gli identificativi e il numero di partita Iva dei soggetti fra cui è effettuata l’operazione,
• La natura, qualità e quantità dei beni ceduti e dei servizi prestati,
• Il valore dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono,
• L’imponibile, l’aliquota e l’imposta.
Il terzo adempimento imposto è quello di registrare le fatture emesse e ricevute negli appositi registri Iva: nel registro delle
vendite (Iva a debito) devono essere annotate, entro quindici giorni, le fatture attive, le autofatture e le note di variazione,

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affinché il soggetto possa conoscere il debito d’imposta, mentre nel registro degli acquisti (Iva a credito) devono essere
annotate le fatture passive, le autofatture e le bollette doganali, affinché il soggetto possa aver diritto alla detrazione.
In sede di liquidazione periodica mensile o trimestrale, deve essere poi liquidata la differenza tra Iva a debito e Iva a credito.
Inoltre, allo scopo di fornire all’AE. tutti i dati utili per contrastare l’evasione, i soggetti passivi devono comunicare
telematicamente, per ciascun cliente e fornitore, i dati di tutte le fatture emesse e ricevute nel trimestre.

➢ L’inversione contabile o reverse charge


Di norma, il soggetto passivo che cede un bene o presta un servizio deve emettere fattura con addebito dell’Iva.
Vi sono però dei casi, detti di inversione contabile o reverse charge, in cui è il cessionario o committente che ha l’obbligo di
applicare l’Iva attraverso l’emissione di fattura. Egli poi dovrà registrare tale documento sia nel registro delle vendite che nel
registro degli acquisti, con l’effetto che l’Iva a debito è neutralizzata dall’Iva detraibile.
Il reverse charge si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non
residenti nei confronti di soggetti passivi residenti. Però, non si applica se il soggetto non residente si è identificato in Italia,
ha nominato un rappresentante fiscale o opera per mezzo di una stabile organizzazione.
Il reverse charge si applica anche come strumento antievasione: quando si teme che il cedente o prestatore possa emettere
fattura, incassare il tributo e non versarlo al fisco, gli adempimenti sono posti a carico del cessionario o committente, ritenuto
maggiormente affidabile. L’inversione si applica nel settore dell’edilizia alle prestazioni di servizi rese da subappaltatori nei
confronti di imprese che svolgono attività di costruzione e ristrutturazione, alle cessioni di personal computer e cellulari, ecc.
Il reverse charge si applica inoltre quando il cessionario o prestatore omette di fatturare. In questo caso il cessionario o
committente ha l’obbligo di regolarizzare l’operazione in due modi:
• Se non riceve fattura entro 4 mesi dall’effettuazione dell’operazione, deve presentare all’ufficio un documento sostitutivo
della fattura e versare la relativa imposta (deve versare l’Iva che avrebbe dovuto versare per rivalsa al cedente),
• Se riceve una fattura irregolare, deve presentare all’AE. un documento che regolarizza la fattura ricevuta e versare
l’imposta o la maggior imposta eventualmente dovuta.
Se non regolarizza l’operazione, il cessionario è punito con sanzione amministrativa pari all’imposta non fatturata.

➢ Le note di variazione
Dopo che una fattura è stata emessa o registrata può risultare che debba essere apportata una rettifica, in aumento o in
diminuzione, all’ammontare dell’imponibile o dell’imposta a seguito di inesattezze, errori o eventi successivi.
Nel caso di rettifiche in aumento, il cedente o prestatore deve emettere una nota di variazione in aumento, detta fattura
integrativa, disciplinata dalle stesse norme delle fatture normali.
Nel caso di rettifiche in diminuzione, dovute all’eliminazione del contratto o riduzione del corrispettivo, il cedente o prestatore
deve emettere una nota di variazione in diminuzione, detta nota di credito, di contenuto uguale e di segno contrario a quello
della fattura originariamente emessa, così da neutralizzare l’imposta. A titolo esemplificativo:
• Il cedente, che con l’emissione della prima fattura aveva un debito d’imposta, emettendo la nota di credito e andandola a
registrare nel registro degli acquisti, ha ora il diritto di detrarre l’Iva a credito pari al debito d’imposta della prima fattura,
• Il cessionario, che con il ricevimento della prima fattura aveva il diritto di detrarre l’Iva, ricevendo la nota di credito e
andandola a registrare nel registro delle vendite, ha ora un debito Iva pari alla detrazione effettuata in precedenza.
Le note di credito non possono essere emesse dopo un anno dall’effettuazione dell’operazione quando la causa della
variazione derivi da un sopravvenuto accordo fra le parti.
Le note di credito possono essere emesse anche come rimedio all’inadempienza del cessionario o committente sottoposto ad
una procedura concorsuale, in quanto la neutralità del tributo si realizza solo se il soggetto passivo, debitore dell’Iva verso lo
Stato, recupera l’Iva esercitando la rivalsa.

➢ Volume d’affari, contribuenti minori e forfettari


Il regime degli adempimenti cui sono tenuti i soggetti passivi varia a seconda del volume d’affari, dato dalla somma di tutte
le operazioni effettuate in un anno solare che rientrano nel campo di applicazione Iva.
I contribuenti minori sono coloro il cui volume d’affari non supera 400.00 euro per le imprese che prestano servizi e per i
professionisti e 700.000 euro per le altre imprese. Essi possono adempiere agli obblighi di fatturazione e registrazione mediante
tenuta di un bollettario a madre e figlia e possono effettuare le liquidazioni periodiche con cadenza trimestrale.
I contribuenti forfettari sono invece le persone fisiche che esercitano attività d’impresa, arti o professioni, entro determinati
limiti. Essi non devono applicare l’Iva sulle vendite e non hanno diritto alla detrazione dell’Iva sugli acquisti.

➢ Versamenti, eccedenze e rimborsi


In tema di versamenti, i contribuenti soggetti al regime normale sono assoggetti ai seguenti adempimenti:
• Ogni mese, devono calcolare la differenza tra Iva a debito e Iva a credito: se è a debito devono poi versare la relativa
somma entro il 16 del mese successivo, se è a credito la riportano in avanti.
• Entro il 27 dicembre, devono poi versare un acconto Iva in misura pari a una percentuale della somma che doveva essere
versata per il mese di dicembre dell’anno precedente.
• Entro il 30 aprile dell'anno successivo, devono poi procedere alla redazione della dichiarazione annuale, che presenta il
riepilogo delle operazioni attive e passive effettuate nell'anno. L’autoliquidazione definitiva della somma dovuta deve
essere versata entro il 16 marzo.

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La dichiarazione annuale può riportare un debito, che deve essere versato salvo compensazioni, o una eccedenza a credito,
che si origina quando l’Iva detraibile e i versamenti effettuati superano il debito d’imposta. L’eccedenza può essere:
• Compensata con debiti d’imposta diversi dall’Iva,
• Riportata a nuovo per essere compensato con le successive situazioni debitorie,
• Chiesta a rimborso. Per effettuare questa opzione è necessario che l’eccedenza sia superiore a 2.582,28 euro e che:
o Il contribuente eserciti prevalentemente operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle degli acquisti,
o Il contribuente effettui operazioni non imponibili per più del 25% di tutte le operazioni effettuate (esportazioni),
o Il rimborso sia limitato all’imposta relativa all’acquisto o importazione di beni ammortizzabili.
o Il contribuente stia cessando l’attività,
o La dichiarazione annuale sia risultata a credito per tre anni di seguito.
Se l’esecuzione dei rimborsi viene effettuata prima del termine per la rettifica della dichiarazione, il contribuente deve prestare
una apposita garanzia al fine di garantire la restituzione nel caso in cui il rimborso si rivelasse indebito.
Alcuni contribuenti possono poi chiedere i rimborsi accelerati, ovvero i rimborsi dei crediti emergenti dalle liquidazioni infra-
annuali. Essi sono i contribuenti che effettuano prevalentemente operazioni attive con aliquote inferiori a quelle degli acquisti
o i contribuenti le cui operazioni attive sono costituite per almeno il 25% da operazioni non imponibili.

➢ Split payment
Lo split payment è un meccanismo fiscale di scissione dei pagamenti. Esso prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni
che non esercitano attività commerciali (non soggetti passivi), di versare l’Iva direttamente all’Erario quando effettuano
acquisti da imprenditori. Questi ultimi devono emettere fattura con l’annotazione di scissione dei pagamenti e devono
annotarla nel registro delle vendite, senza però computare l’Iva a debito nella liquidazione periodica (non devono versarla).
La norma vale solamente per gli imprenditori, non riguarda i professionisti.

➢ Dichiarazione annuale ed opzioni


La dichiarazione annuale deve essere presentata in via telematica tra il 1° febbraio e il 30 aprile di ogni anno da tutti i soggetti
passivi del tributo. Sono esonerati solo i contribuenti che nell’anno precedente hanno registrato solo operazioni esenti.
Nella dichiarazione devono essere riportati: l’ammontare delle operazioni attive e passive, l’ammontare dell’imposta dovuta e
delle detrazioni, i versamenti effettuati nel periodo d’imposta e l’imposta dovuta a conguaglio o l’eccedenza a credito.
La dichiarazione può contenere tre opzioni:
• I contribuenti che esercitano più attività possono optare per l’applicazione separata, Iva non viene applicata in modo
unitario e cumulativo a tutte le attività,
• I contribuenti a credito possono optare per il riporto del credito a nuovo o optare per il rimborso,
• I contribuenti, in certi casi, possono optare per l’applicazione del regime normale o per l’applicazione di un regime
speciale. L’opzione e la revoca dei regimi di determinazione dell’imposta si desumono da comportamenti concludenti del
contribuente o dalle modalità di tenute delle scritture contabili.
Infine, i contribuenti il cui esercizio sociale coincide con l’anno solare e che, come sostituti d’imposta, abbiano effettuate
ritenute nei confronti di non più di venti soggetti, sono obbligati alla presentazione della dichiarazione unificata annuale.

➢ Il principio di territorialità
Dal punto di vista spaziale, il campo di applicazione dell’Iva è il territorio dello Stato, dunque la territorialità è la condizione
senza la quale non si può verificare l’imponibilità e la rilevanza di un’operazione ai fini Iva.
Dal punto di vista della territorialità occorre distinguere tra: operazioni nazionali, imponibili, operazioni intra-Ue, soggette a
un particolare regime, e operazione extra-Ue, definite in senso tecnico come importazioni ed esportazioni.
I criteri di localizzazione delle operazioni soggette a Iva nel territorio dello Stato sono:
• Per le cessioni di beni si applica il criterio del luogo in cui si trovano i beni ceduti al momento della cessione,
• Per le prestazioni di servizi business-to-business si applica il criterio del luogo del committente,
• Per le prestazioni di servizi business-to-consumer si applica il criterio del domicilio o residenza del prestatore.

➢ Le operazioni intra-Ue
Gli scambi all’interno dell’Ue, detti acquisti intra-Ue e cessioni intra-Ue, tra soggetti passivi sono tassati nello Stato di
destinazione (a carico del cessionario):
• Gli acquisti intra-Ue sono operazioni imponibili in Italia. La procedura si articola in più fasi: il cessionario italiano deve
verificare che il cedente sia presente nell’archivio VIES e fornirgli il proprio numero di partita Iva, in seguito il cedente deve
verificare la presenza del cessionario nell’archivio VIES ed emettere fattura senza addebito di imposta. Il cessionario
italiano deve poi integrare la fattura ricevuta indicando in essa il corrispettivo, l’aliquota e l’imposta, e annotarla sia nel
registro degli acquisti che in quello delle vendite, così da neutralizzare l’Iva a debito con l’Iva a credito detraibile.
• Le cessioni intra-Ue sono operazioni non imponibili in Italia ma imponibili nel paese di destinazione. Di conseguenza, il
cedente italiano dopo aver verificato che il cessionario sia presente nel VIES, deve emettere fattura senza addebito di Iva.
I controlli fiscali sono fatti attraverso un sistema di scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali nazionali e attraverso
le dichiarazioni delle imprese, detti elenchi Intrastat, con cui presentano le transazioni effettuate con gli altri Stati membri.

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Gli scambi all’interno dell’Ue tra soggetto passivo e privato sono tassati nello Stato di origine (a carico del cedente). Di
conseguenza il bene acquistato, tassato con Iva nel paese in cui viene l’acquisto, è liberamente trasportabile in altri paesi
senza pagare l’Iva sulle importazioni, in quanto questa viene versata del debitore d’imposta nel paese di origine.
Gli acquisti degli enti non commerciali sono assoggettati alla disciplina business-to-consumer, ma al di sopra di una
determinata soglia, questi diventano acquisti intra-Ue.

➢ Le importazioni
Al fine di uniformare il trattamento fiscale dei beni provenienti dal territorio extra-comunitario a quello dei beni prodotti
all’interno dell’Ue, le importazioni sono tassate nello Stato di destinazione, e di conseguenza sono operazioni imponibili.
La base imponibile dell’Iva sulle importazioni è data dal valore della merce determinato secondo le disposizioni doganali, e,
non essendovi applicazioni dell’imposta sulle pregresse frasi produttive e distributive, l’Iva opera come imposta monofase.
L’Iva di confine è un tributo interno nonostante sia amministrata, accertata e riscossa dagli uffici e dalla legislazione doganale.

➢ I depositi Iva
Il diritto tributario prevede tre tipi di depositi Iva:
1. Il deposito doganale, per le merci extra-Ue soggette ai diritti doganali.
2. Il deposito Iva, per le merci nazionali e Ue soggette ad Iva,
3. Il deposito fiscale, per le merci nazionali e Ue soggette ad accisa.
I depositi Iva sono dei veri e propri luoghi fisici: l’immissione di un bene nel deposito consente la sospensione temporanea
dell’imposta. I beni extra-Ue sono immessi previo pagamento dei dazi doganali. In seguito alla sospensione dell’imposta:
• Per le merci intra-Ue, l’imposta è dovuta da chi estrae i beni dal deposito attraverso l’applicazione del reverse charge,
• Per le merci extra-Ue, l’imposta è dovuta da chi estrae i beni dal deposito ma deve essere versata dal gestore del deposito
in nome e per conto di colui che effettua l’estrazione (no possibilità di compensazione).

➢ Le esportazioni
Le esportazioni non sono soggette ad imposta, in quanto operazioni non imponibili. Sono suddivise in tre categorie:
• Cessioni all’esportazione,
• Operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione,
• Servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali.
Il regime di non imponibilità è applicato, oltre alle esportazioni, anche alle cessioni interne nelle operazioni triangolari e alle
cessioni ad esportatori abituali.

➢ Cessioni interne nelle operazioni triangolari


Le imprese esportatrici che vendono prevalentemente all’estero sono permanentemente in credito verso il fisco in quanto
sono costrette a versare al proprio fornitore l’Iva di rivalsa, per poi aspettare a lungo che il fisco rimborsi.
Per tale motivo, la legislazione prevede che l’esportare possa acquistare i beni dal proprio fornitore italiano in regime di non
imponibilità, con il vantaggio quindi di non dover versare al fornitore un’Iva di cui sarà creditore verso lo Stato.
Questo regime è previsto nelle operazioni triangolari, cioè nelle operazioni in cui il bene è ceduto da un soggetto residente
(fornitore) che lo esporta su incarico del cessionario residente (esportatore) all’acquirente estero.
L’operazione triangolare si realizza attraverso due passaggi non imponibili: il cedente emette la fattura senza Iva al cessionario
e poi il cessionario emette la fattura senza Iva all’acquirente straniero, e un solo passaggio fisico: dal cedente all’acquirente.
L’imposta, quindi, non è applicata né sull’esportazione né sulla cessione interna.

➢ Cessioni ad esportatori abituali


Gli esportatori abituali, ovvero i soggetti che, in un dato periodo di tempo, hanno effettuato esportazioni per almeno il 10%
del loro fatturato, hanno il diritto di acquistare nell’anno successivo la stessa quantità di beni senza pagamento di Iva ai
propri fornitori (operazione non imponibile).
Gli esportatori abituali che intendono acquistare o importare senza applicazione dell’Iva, devono trasmettere telematicamente
all’AE. la dichiarazione di intento, che, unitamente alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’AE., va poi consegnata al
fornitore, al prestatore o alla dogana.
L’obbligo di comunicare telematicamente la dichiarazione di intento si presta ad evitare operazioni fraudolente da parte di
chi, presentandosi come esportatore abituale ed esibendo al fornitore una dichiarazione d’intento falsa, acquista beni senza
Iva per poi rivenderli applicando l’Iva ma omettendo di versarla allo Stato.

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