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Nell’ordinamento italiano non esiste una definizione di tributo, per definirlo si possono considerare le sue caratteristiche:
• Comporta il sorgere di un’obbligazione o altra forma di decurtazione patrimoniale,
• Ha carattere coattivo, cioè è sempre imposto con atto dell’autorità pubblica impositrice (ha potere autoritativo),
• È destinato a finanziare spese di interesse generale, senza destinazione specifica, ma esistono comunque tributi di scopo,
• Può essere istituito per fini fiscali ed extrafiscali (tributi ambientali, dazi, ecc.).
In base al tipo di presupposto (atto o fatto espressivo della capacità economica), i tributi si classificano in:
1. Imposte: hanno come presupposto un fatto economico posto in essere dal soggetto passivo, come, ad esempio, il
conseguimento di un reddito o il possesso di un bene. Esse sono commisurate alla misura economica del presupposto e
sono destinate a finanziare spese pubbliche indivisibili.
2. Tasse: hanno come presupposto l’emanazione di un atto o di un’attività della P.A. come l’emanazione di un atto in favore
del soggetto o di un’attività pubblica in favore del soggetto o la fruizione di beni pubblici (occupazione spazi) o servizi
pubblici (rifiuti). Nella tassa non vi è un rapporto di corrispettività tra prestazione e pagamento (sinallagma), infatti certe
tasse sono dovute anche nei casi in cui il servizio non è utilizzato. Sono destinate a finanziare spese pubbliche divisibili.
3. Contributi: hanno come presupposto l’arricchimento che determinate categorie di soggetti ritraggono dall’esecuzione di
un’opera pubblica. Finanziano spese per il raggiungimento di un fine comune (contributo di bonifica).
4. Monopoli fiscali: se si considera la funzione dei tributi come scopo di procurare entrate, i monopoli fiscali possono essere
considerati tributi, nonostante il loro prezzo sia un normale corrispettivo.
LE FONTI
➢ La riserva di legge
Le fonti del diritto tributario sono tutti gli atti o fatti capaci di innovare e formare le leggi tributarie.
L’art. 23 Cost. dispone che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. La
norma racchiude una riserva di legge, in quanto una disposizione costituzionale prescrive che la disciplina di materia tributaria
sia riservata a una fonte legislativa, escludendo così le fonti subordinate. L’art. 23 introduce tre nozioni:
• Legge: l’art. si riferisce alla legge statale ordinaria (artt. 71-74 Cost.), agli atti aventi forza di legge (D.L. e D.lgs.), alle leggi
regionali (e provinciali per Trento e Bolzano), e alle fonti UE.
• Base legislativa: l’art. è una riserva di legge relativa (non assoluta): la legge deve dare solo una base legislativa, i cui
contenuti minimi sono il presupposto del tributo, il soggetto passivo, la base imponibile e l’aliquota massima, mentre la
normativa attuativa e integrativa devono essere fatte dalle fonti secondarie.
• Prestazione imposta: l’art. riguarda tutte le prestazioni personali e patrimoniali imposte coattivamente dalla legge,
caratteristica essenziale. Le prestazioni patrimoniali sono i tributi e le prestazioni personali sono i corrispettivi di fonte
contrattuale in materia di controprestazioni, il cui corrispettivo è fissato unilateralmente dalla legge e al privato spetta
solo la libertà di richiedere o meno la prestazione (tariffe, corrispettivi servizi pubblici essenziali).
➢ La legge
1. Leggi ordinarie statali: la formazione e l’approvazione delle leggi ordinarie statali in materia di imposizione tributaria non
presentano nessuna particolarità (si applicano artt. 71-74 Cost.). Esse non possono essere mai abrogate con referendum
popolare (art. 75 c. 2 Cost.) e se costituiscono aiuti di Stato devono essere autorizzate dalla Commissione Europea.
2. Lo Statuto dei diritti del contribuente (L. 27/07/00 n. 212): legge ordinaria che attua gli articoli di materia tributaria della
Costituzione ed è portatore dei principi generali dell’ordinamento tributario. Esso ha valore per l’interpretazione delle
leggi tributarie e le sue norme sono criteri-guida vincolati per l’interprete. Le disposizioni dello Statuto possono essere
derogate o modificate solo espressamente (no abrogazione per incompatibilità tra le nuove precedenti disposizioni) e mai
da leggi speciali. Gli articoli dello Statuto vengono divisi in due gruppi: legge tributaria e rapporti fisco-contribuente.
3. Decreti con forza di legge: sono emanati dal Governo. I Decreti-legge sono provvedimenti provvisori con forza di legge,
che possono essere addottati in casi di necessità ed urgenza; hanno efficacia dal giorno della pubblicazione e perdono
efficacia se non convertiti in legge entro 60 gg dalla pubblicazione. In materia tributaria vi è un frequente uso quando
occorre far fronte ad esigenze finanziarie che richiedono di essere soddisfatte con urgenza. Tuttavia, secondo lo Statuto,
attraverso di essi non si possono istituire nuovi tributi e non si possono applicare tributi già esistenti ad altre categorie
di soggetti. I Decreti legislativi sono decreti delegati dal Parlamento al Governo per l’esercizio della funzione legislativa
con cui il Parlamento fissa i principi e i criteri direttivi per un tempo limitato e per oggetti definiti, mentre l’esecutivo
predispone il decreto. In materia tributaria vi è un frequente uso di essi, ad esempio la riforma tributaria del 1971, che ha
portato all’emanazione dei testi unici, è stata attuata appunto con un decreto legislativo.
4. Leggi regionali: le Regioni, godendo di potestà legislativa concorrente e residuale a quella dello Stato, possono legiferare
in materia di tributi regionali e locali nell’ambito segnato dai principi fondamentali fissati dallo Stato (art. 117 Cost.) e dei
principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dallo Stato (art. 119 Cost.). In pratica, le
leggi statali regolano completamente i tributi regionali o locali e le regioni fissano solo le aliquote entro i limiti prefissati
dalla legge statale. Questi tributi sono propri delle regioni solo perché le regioni ne ricevono il gettito.
5. Regolamenti: atti normativi emanati dal Governo, dai ministri o dalle Regioni e enti locali per disciplinare determinate
materie. Essi non possono essere in contrasto con la legge o con la Costituzione, pena nullità e disapplicazione.
I regolamenti governativi sono deliberati da Consiglio dei ministri, dopo aver sentito il parere del Consiglio di Stato, e sono
emanati dal Presidente della Repubblica. A seconda della disciplina si dividono in:
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• Esecutivi: disciplinano l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi,
• Attuativi e integrativi: disciplinano l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei decreti legislativi di norme di principio,
• Indipendenti: disciplinano materie non disciplinate dalla legge (se non riservate alla legge),
• Organizzatori: disciplinano l’organizzazione e il funzionamento della P.A.
In materia di diritto tributario, il Governo può emanare regolamenti esecutivi anche senza apposita autorizzazione
legislativa, e regolamenti delegati solo con apposita norma espressa che detti la disciplina di base della materia.
6. Fonti Ue: l’ordinamento dell’Unione europea ha una posizione di primato rispetto all’ordinamento nazionale: nelle
materie appartenenti alla sfera di competenza dell’Ue valgono le norme dell’Ue, non quelle nazionali, e in caso di
incompatibilità, il giudice nazionale deve applicare quelle Ue.
INTERPRETAZIONE E ANALOGIA
➢ Peculiarità della legislazione tributaria
L’interpretazione delle leggi tributarie presenta difficolta per più ragioni:
• Legislazione frammentata: non vi è né un codice né un testo unico comprensivo di tutta la materia tributaria, infatti il
diritto tributario è definito polisistematico in quanto le normative non sono coordinate e sono spesso inquadrate in
microsistemi settoriali che rendono difficili l’individuazione dei principi generali.
• Iperlegificazione e instabilità dell’ordinamento tributario: il legislatore produce con continuità nuove norme, o modifica
e ritocca le esistenti, per motivi di gettito e per adeguare la legislazione alle nuove realtà economiche.
• Necessità di conoscere discipline non giuridiche, come quelle finanziare ed economiche.
• Tecnica legislativa complicata: le norme tributare non vengono mai emanate su terreni vergini, è infatti necessario tener
conto di testi normativi preesistenti, nei quali le nuove leggi si inseriscono con aggiunte, sostituzioni e cancellature.
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➢ Le leggi di interpretazione autentica
Le leggi di interpretazione autentica sono leggi che impongono una determinata interpretazione di un’altra legge di incerto
significato, la quale resta in vigore tale e quale: la legge interpretativa non sostituisce quella interpretata. Queste leggi vengono
adottate anche per modificare interpretazioni giurisprudenziali divergenti dalle finalità che si era posto il legislatore.
Esse sono retroattive e sono ammesse, in materia tributaria, solo in casi eccezionali e solo con legge ordinaria.
Nei casi in cui la norma precedente è sostituita o abrogata da una nuova norma, non si è in presenza di una disposizione
interpretativa. Se non retroattive, si è in presenza di norme innovative, il cui scopo è quello di modificare una data disciplina.
➢ L’analogia
L’analogia è il procedimento con cui si interpreta per somiglianza una legge che presenta una lacuna, cioè un caso o una
materia non espressamente disciplinati.
L’art. 12 delle Preleggi indica due forme di analogia: l’analogia legis, con cui si applicano le norme previste per casi simili o
materie analoghe, e l’analogia juris, con cui si ricorre ai principi generali dell’ordinamento.
La legge tributaria, essendo per sua natura completa, non può essere interpretata analogicamente perché non presenta lacune
tecniche e l’interprete non ha nulla da completare o integrare: se una legge tributaria omette di tassare una fattispecie non
presenta alcuna lacuna tecnica, in quanto rappresenta tutti i casi esenti e agevolati che il legislatore ha voluto individuare.
I PRINCIPI COSTITUZIONALI
Le norme tributarie sono influenzate dai principi costituzionali in due diversi modi:
• Dovere di concorrere alle spese pubbliche e di adempiere agli obblighi di solidarietà,
• Diritti costituzionalmente garantiti al cittadino contribuente.
L’art. 2 recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Da cui si ricava che concorrere alle spese pubbliche è quindi obbligo
connesso ai doveri di solidarietà cui sono tenuti tutti i membri della società.
L’art. 3 recita “Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”. Da cui si ricavano due principi:
• Il principio di eguaglianza tributaria, secondo cui a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi
(tassazione uguale), e a situazioni diverse devono corrispondere diversi regimi impositivi (tassazione diversa).
• Il principio di funzione redistributiva dello Stato, secondo cui lo Stato, oltre a procurarsi risorse necessario al suo
funzionamento attraverso i tributi, deve redistribuire la ricchezza ottenuta in modo equo tra i cittadini attraverso il prelievo
fiscale e la spesa pubblica.
L’art. 23 recita “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Esso racchiude
una riserva di legge, in quanto una disposizione costituzionale prescrive che la disciplina tributaria sia riservata alla legge.
L’art. 24 recita “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. La difesa è diritto inviolabile. Sono assicurati ai
non abbienti i mezzi per agire e difendersi”. Da cui si ricava che anche in ambito tributario è garantito il diritto alla difesa e il
gratuito patrocinio per i non abbienti.
In questi articoli viene riconosciuta la costituzionalità delle agevolazioni fiscali: il legislatore non viola il principio di uguaglianza
se il trattamento differenziato trova giustificazione in una norma costituzionale. In particolare:
• Art. 31: “La Repubblica agevola con misure economiche la formazione della famiglia, in particolare delle famiglie
numerose”. Da cui si ricava che possono essere previste detrazioni specifiche per la famiglia (coniuge a cario, figli a carico).
• Art. 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Da cui si
ricava che possono essere previste detrazioni specifiche (spese mediche) e esenzioni da imposte (spese mediche esenti
da IVA) per la salute.
• Art. 45: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere mutualistico e ne promuove e favorisce
l’incremento”. Da cui si ricava che possono essere previste agevolazioni fiscali per le coop.
• Art. 47: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla
proprietà dell’abitazione”. Da cui si ricava che può essere prevista un’imposizione agevolata per il risparmio, anche diretto
alla proprietà dell’abitazione.
L’art. 36 recita “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso
sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libertà dignitosa”. Da cui si ricava che l’imposizione sui redditi da
lavoro deve garantire libertà e dignità al lavoratore, quindi devono essere posti limiti massimi di imposizione.
L’art. 41 recita “L’iniziativa economica privata è libera”. Da cui si ricava che il sistema tributario non deve impedire l’iniziativa
economica privata e deve concorrere a mantenere le condizioni di sicurezza (es. tributi ambientali).
L’art. 42 recita “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”. Da cui si ricava che il sistema tributario non deve
ostacolare la formazione della proprietà privata attraverso tributi eccessivi o simil-espropriativi.
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L’art. 53 recita “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema
tributario è informato a criteri di progressività”. Esso fissa i più importanti principi a cui si ispira il sistema tributario italiano:
• Il dovere e l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche: completa l’obbligo dell’art. 2 secondo cui concorrere alle spese
pubbliche è un dovere di solidarietà cui sono tenuti tutti. Viene ribadito quindi che il fondamento del dovere tributario
non è un rapporto sinallagmatico tra Stato e singolo: il singolo deve contribuire alle spese pubbliche, non in rapporto a
ciò che riceve dallo stato, ma in ragione della sua capacità contributiva.
• Il principio di capacità contributiva ed il cosiddetto minimo vitale: per capacità contributiva si intende la capacità e forza
economica di un soggetto. Questa forza viene espressa attraverso fatti di natura economica che il soggetto compie che
costituiscono il presupposto dell’obbligazione tributaria. Essi vengono individuati tramite indici di capacità contributiva,
classificabili in:
o Indici diretti, che esprimono direttamente la capacità, come il reddito, il patrimonio e i suoi incrementi.
o Indici indiretti, che esprimono indirettamente la capacità, come il consumo e gli affari.
Non tutti i fatti economici esprimono capacità contributiva: il minimo vitale deve sempre essere garantito e il tributo non
deve intaccare i mezzi economici necessari per i bisogni essenziali, di conseguenza un reddito minimo non è indice di
capacità. Questo implica che nell’imposta sul reddito deve essere previsto un minimo imponibile non tassato cosicché il
prelievo non metta in repentaglio la sopravvivenza della persona.
Importanti sono anche i requisiti di effettività e attualità: il primo richiede che il fatto tassato sia rivelatore di capacità
contributiva effettiva, non apparente o fittizia; il secondo richiede invece che il fatto tassato sia correlato a una capacità
contributiva in atto, non passata o futura.
• Il principio della progressività del sistema tributario: il sistema tributario deve prelevare in modo progressivo e non
proporzionale, cioè in modo tale che l’aliquota aumenti all’aumentare dell’imponibile. Questo principio riguarda solo il
sistema tributario e non i singoli tributi (anche non progressivi). Tramite la progressività del sistema viene assicurata la
copertura delle spese pubbliche e la funzione redistributiva dei tributi per il raggiungimento dei fini di giustizia sociale.
L’art. 97 recita “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento
e l’imparzialità dell’amministrazione”. Da cui si ricava che l’attività dell’Amministrazione finanziaria è regolata dalla legge per
tutelare il contribuente da comportamenti scorretti che questa potrebbe intraprendere.
➢ L’obbligazione tributaria
L’obbligazione tributaria è di tipo legale. La sua origine e misura non derivavano esclusivamente dalla legge, possono infatti
derivare anche da atti e scelte del contribuente, che può scegliere il regime di imposizione (opzioni) con comportamento
concludente o con dichiarazione al fisco; può scegliere di rateizzare alcuni componenti attivi e passivi del reddito come
ammortamenti e plusvalenze; e può scegliere, nell’imposta di registro, la base imponibile con il sistema del prezzo-valore.
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• Progressive: l’aliquota aumenta più che proporzionalmente con l’aumento della base imponibile. Vi può essere una
progressività per classi, per scaglioni, per detrazioni o continua (IRPEF).
• Regressive: l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile.
➢ Esenzioni e agevolazioni
Le esenzioni sono deroghe alla disciplina ordinaria che sottraggono, in tutto o in parte, all’applicazione di un tributo fattispecie
che sono imponibili in base alla definizione generale del presupposto. La loro conseguenza è la non applicazione dell’imposta.
Le esenzioni non hanno sempre natura agevolativa: talvolta il legislatore esenta una fattispecie da un imposta perché prevede
l’applicazione di un’imposta alternativa sostitutiva, e solo se questa comporta un minor onere, l’esenzione è agevolativa.
Le esenzioni possono essere classificate in:
• Temporanee: sono introdotte per un periodo di tempo limitato (esenzioni concesse alle imprese per 10 anni).
• Permanenti: non sono introdotte per tempi limitati (esenzione IVA spese mediche).
• Soggettive: riguardano il soggetto passivo (esenzioni dall’IMU sulla prima casa). Non operano quando la proprietà del bene
è trasferita a un soggetto non esente.
• Oggettive: riguardano l’oggetto del tributo (esenzioni dall’IMU dei terreni agricoli). Continuano a operare anche quando
muta la proprietà del bene.
Le agevolazioni, dette anche misure di favore, sono deroghe alla disciplina ordinaria che riducono il quantum del tributo.
Possono essere concesse mediante:
• Detassazione parziale della base imponibile: parte della base imponibile non viene tassata,
• Deduzioni dalla base imponibile: viene ridotta la base imponibile,
• Detrazioni dall’imposta: viene ridotta l’imposta,
• Riduzioni dell’aliquota,
• Regimi fiscali sostitutivi: la fattispecie viene assoggettata ad un altro regime,
• Crediti d’imposta: il credito del contribuente verso il fisco viene detratto dall’ammontare del tributo.
Le esenzioni e le agevolazioni equivalgono a delle spese per lo Stato, per questo vengono anche definite tax expenditures.
I SOGGETTI PASSIVI
➢ Soggetto passivo
Il soggetto passivo o contribuente è colui che è tenuto al pagamento di un tributo, secondo la legge che regola il tributo stesso.
Non è necessariamente colui a carico del quale è posto il tributo (responsabile e sostituto d’imposta).
Possono essere soggetti passivi le persone fisiche, le persone giuridiche e anche soggetti senza personalità giuridica, come le
società di persone, i comitati e le associazioni non riconosciute.
➢ Solidarietà tributaria
L’obbligazione tributaria e gli obblighi formali, come la presentazione della dichiarazione, possono essere imposti a più
soggetti. Sono in solido quando più debitori sono obbligati per la medesima prestazione: ognuno di essi può essere costretto
all’adempimento totale dell’obbligo che libera gli altri. La solidarietà tributaria è stabilita caso per caso dalla legge.
Vi sono due tipi di solidarietà tributaria:
• Solidarietà paritaria: il presupposto del tributo è riferito indistintamente a più soggetti che diventano coobbligati. Per il
fisco tutti i soggetti sono coobbligati in solido, e nei rapporti interni il coobbligato che paga per intero ha diritto di regresso
pro quota (imposta di successione: gli eredi sono tenuti in solido ad assolvere i debiti d’imposta del de cuius).
• Solidarietà dipendente: il presupposto è riferito a un obbligato principale ma del debito è anche responsabile
solidalmente un obbligato dipendente, detto responsabile d’imposta, perché realizza una fattispecie collaterale. Il
responsabile d’imposta è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri per fatti esclusivamente riferibili a questi.
Per il fisco il responsabile d’imposta è coobbligato in solido, mentre nei rapporti interni, il responsabile d’imposta, se paga
il tributo, ha diritto di regresso e di rivalsa nei confronti dell’obbligato principale (imposta di registro: il notaio
(responsabile) è obbligato al pagamento dell’imposta insieme alle parti contraenti (obbligati principali); solidarietà
civilistica dei soci: i soci della SNC e SAS (responsabili) rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti , anche fiscali,
della società (obbligata principale)).
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La sostituzione tributaria può operare:
• A titolo d’imposta: la ritenuta estingue l’obbligazione tributaria del sostituito. In questo caso le ritenute non vanno
dichiarate dal sostituito perché non concorrono alla formazione del reddito complessivo.
• A titolo d’acconto: la ritenuta costituisce un’anticipazione del tributo e non estingue l’obbligazione tributaria del
sostituito, che infatti deve indicare la ritenuta in dichiarazione. Le ritenute d’acconto, per il sostituito, costituiscono un
acconto dell’imposta che sarà dovuta sui redditi di quel periodo, che sarà indicato nella dichiarazione dove sarà detratto
dal debito d’imposta dell’anno (ritenuta su redditi di lavoro dipendente e autonomo).
➢ Rivalsa e accollo
La rivalsa è l’istituto giuridico in forza del quale un soggetto, sul quale grava l’obbligo di versare un tributo dovuto da un altro
soggetto, ha il diritto di rivalersi sul secondo soggetto. Il diritto di rivalsa è conferito:
• Al soggetto passivo che realizza il presupposto, come nel caso dell’IVA, in cui i soggetti passivi del tributo, cioè gli operatori
economici, hanno il diritto di addebitare l’imposta ad altri soggetti, cioè i clienti.
• Al soggetto passivo che non realizza il presupposto, come nei casi del sostituto d’imposta e del responsabile d’imposta,
in cui i soggetti passivi del tributo hanno il diritto di rivalsa sui soggetti che hanno realizzato il presupposto.
La rivalsa dell’imposta può essere facoltativa, obbligatoria (IVA e sostituto d’imposta) o vietata. Quando non vi sono norme
che la vietano, i privati sono liberi di stipulare patti di accollo dell’imposta, cioè patti di diritto civile con i quali un soggetto,
detto accollante, si assume il debito d’imposta di un altro soggetto, detto accollato.
L’unico limite posto ai patti di accollo è previsto dallo Statuto del contribuente, che prevede che l’accollo del debito è ammesso
solo senza liberazione del contribuente originario, cioè l’accollato.
LA DICHIARAZIONE
In Italia, l’attuazione dei tributi prevede la partecipazione attiva dei contribuenti. Ad essi, infatti, sono imposti l’obbligo di
tenere la contabilità, l’obbligo di effettuare i versamenti periodici e l’obbligo di effettuare la dichiarazione dei redditi, senza
interventi dell’Amministrazione finanziaria, a cui spetta il compito di verificare l’esatta esecuzione degli obblighi e di intervenire
nei casi di mancata esecuzione.
➢ Soggetti
Secondo il D.P.R. 600 art.1, la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche deve essere presentata,
in generale, dai soggetti che abbiano posseduto redditi, anche se da tali redditi non deriva alcun debito d’imposta, e, in
particolare, anche dai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, anche se non hanno prodotto redditi.
La dichiarazione non deve essere presentata dai soggetti che possiedono: solo redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta a titolo
d’imposta, redditi fondiari minimi e non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, o redditi inferiori al minimo imponibile.
Secondo il D.P.R. 322 art. 1, la dichiarazione annuale ai fini IVA deve essere sempre presentata, anche se i contribuenti non
hanno effettuato operazioni imponibili.
➢ Contenuti
Il contenuto della dichiarazione dei redditi è dato dall’indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione
delle imponibili secondo le norme che disciplinano le imposte stesse. Devono inoltre essere indicati anche:
• I redditi soggetti a tassazione separata,
• I dati necessari a determinare l’imposta dovuta e la somma da versare, come gli oneri deducibili, l’imposta lorda, le
detrazioni, le ritenute, gli acconti e i crediti d’imposta,
• I dati necessari per l’effettuazione dei controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria,
• I dati relativi al monitoraggio fiscale, cioè i trasferimenti da e verso l’estero e la disponibilità di investimenti all’estero,
• Le opzioni esercitate dal contribuente, cioè la scelta del regime di contabilità, la scelta tra rimborso e riporto a nuovo dei
crediti d’imposta, ecc. Il quantum del tributo non dipende solo dalla legge, ma anche dalle scelte del contribuente. Se le
opzioni non sono esercitate nella dichiarazione possono essere anche desunte da comportamento concludente.
➢ Modelli e trasmissione
La dichiarazione deve essere redatta, a pena di nullità, utilizzando il modello approvato dall’AF. Per i lavoratori dipendenti e i
pensionati, se la loro situazione reddituale non è complessa, è previsto un modello semplificato (730) ed è messo a disposizione
un modello precompilato che può essere integrato.
Le dichiarazione devono essere trasmesse al fisco in via telematica direttamente dal contribuente o tramite intermediari
abilitati, salvo alcuni limitati casi nei quali è possibile la presentazione cartacea a uffici postali o banche abilitate. Il dichiarante
deve in ogni caso conservare l’originale cartaceo da esibire in caso di controlli.
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➢ Termini di presentazione
Le dichiarazioni delle persone fisiche devono essere presentate entro il 30 novembre dell’anno successivo al periodo di
imposta cui si riferisce (se in modalità cartacea tra il 1° maggio e il 30 giugno in banca o posta), mentre le dichiarazioni delle
persone giuridiche devono essere presentate entro l’undicesimo mese successivo al periodo di imposta cui si riferisce.
In caso di dichiarazione non sottoscritta, essa è nulla. La nullità può essere sanata solo se la sottoscrizione è apostata entro
trenta giorni da quando l’ufficio invita a sottoscrivere.
Le dichiarazioni presentate con ritardo inferiore a 90 giorni sono considerate valide ma ad esse si applica una sanzione
amministrativa. Le dichiarazioni presentate invece con ritardo superiore a 90 giorni sono considerate omesse, con la
conseguenza che verrà effettuato un accertamento d’ufficio.
➢ Dichiarazioni integrative
La dichiarazione, essendo una dichiarazione di scienza e giudizio, è integrabile e modificabile per porre rimedio a errori
commessi nella sua redazione. La modifica deve essere fatta entro la fine del quinto anno successivo a quello in cui è stata
presentata la dichiarazione da rettificare, presentando una nuova dichiarazione, che può essere:
• Dichiarazione integrativa in aumento: il contribuente pone rimedio ad errori indicando un maggiore imponibile, una
maggiore imposta o un minore credito. Alla dichiarazione integrativa segue sempre una sanzione e il contribuente può
però ridurla con il ravvedimento operoso, cioè presentando la nuova dichiarazione e versando l’imposta, gli interessi e la
sanzione ridotta. La dichiarazione con valore di ravvedimento operoso può essere presentata anche quando la violazione
sia stata già constata o siano già iniziati i controlli di accertamento.
• Dichiarazione integrativa in diminuzione: il contribuente pone rimedio ad errori indicando una minore imponibile, una
minore imposta o un maggiore credito d’imposta. Il credito derivante dalla dichiarazione può essere utilizzato in
compensazione. Decorso il termine di presentazione, il contribuente non può più presentare una dichiarazione correttiva,
ma può far valere, in sede amministrativa o processuale, gli errori commessi a suo danno.
L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
➢ L’attività amministrativa
L’attività amministrativa è svolta dagli organi dell’Amministrazione Finanziaria, che sono:
• Agenzia delle entrate, che amministra i tributi statali,
• Agenzia delle dogane e dei monopoli, che amministra i tributi doganali e delle accise,
• Agenzia del demanio, che amministra il demanio pubblico.
Collabora inoltre la Guardia di Finanza, che ha però solo poteri di constatazione (no poteri accertativi).
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4. Centri di assistenza multicanale (7): forniscono servizi ai contribuenti tramite telefono e in via telematica, danno
informazioni su scadenze ed obblighi fiscali, annullano gli atti di cui accertano l’illegittimità e curano l’assistenza
specialistica all’utenza professionale. Non sono uffici.
5. Centri operativi (3): svolgono in modo accentrato attività specialistiche a carattere seriale, tra cui controlli e accertamenti
con modalità automatizzate. Si trovano a Venezia, Cagliari e Pescara.
➢ Contradditorio endoprocedimentale
Il contradditorio endoprocedimentale realizza la partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento fiscale e
consiste nel diritto del contribuente di poter addurre le proprie ragioni in ordine agli elementi che l’AF. intende porre a
fondamento dell’atto impositivo-lesivo. Esso è un diritto che trova fondamento nell’art. 10 dello Statuto e nell’art. 97 Cost.
Il contradditorio endoprocedimentale è previsto nei casi di:
• Esito del controllo automatizzato e formale della dichiarazione: l’ufficio è obbligato a comunicare al contribuente, tramite
avviso bonario, l’esito del controllo automatico e formale della dichiarazione quando emerge un risultato diverso da quello
dichiarato. La cartella di pagamento della sanzione emessa senza il preventivo avviso bonario è illegittima.
• Accertamento basato sull’abuso del diritto: l’ufficio, prima di emettere l’accertamento di una operazione considerata
elusiva, è obbligato a notificare al contribuente una richiesta di chiarimenti.
• Accertamento basato sul redditometro: l’ufficio, quando intende rettificare il reddito in via sintetica, ha l’obbligo di
invitare il contribuente a fornire dati rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di
accertamento con adesione.
• Accertamento relativo ai tributi armonizzati: l’ufficio è obbligato richiedere chiarimenti al contribuente, da fornire entro
60 gg, prima di procedere all’atto di accertamento che disconosce deduzioni, detrazioni o crediti, pena nullità.
• Accertamento basato sugli studi del settore: in caso di accertamento in base agli studi del settore, detto il contradditorio
è ritenuto necessario, perché solo a seguito di esso si può pervenire alla determinazione del reddito.
• Memorie difensive: al termine della verifica, l’ufficio è obbligato a redigere un processo verbale, da consegnare
all’indagato, il quale dispone di 60 gg per presentare osservazioni e richieste all’ufficio impositore.
• D.L. 34/2019 art. 4: sull’AF. incombe l’obbligo generalizzato di attivare sempre (anche nei casi non previsti) il
contradditorio endoprocedimentale rispetto all’adozione di un provvedimento che possa incidere negativamente sui
diritti e sugli interessi del contribuente. Nel caso in cui questo non venga fatto, il provvedimento è nullo.
➢ L’interpello
Lo Statuto attribuisce ai contribuenti il diritto di interpellare l’Agenzia delle Entrate per ottenere un parere preventivo, in
relazione ad una disposizione da applicare a una fattispecie concreta e personale. Si possono proporre cinque tipi di interpelli:
• Interpretativo: nel caso di condizioni di obiettiva incertezza riguardo le norme tributarie in generale.
• Qualificatorio: nel caso in cui occorra qualificare una fattispecie.
• Probatorio: nel caso in cui occorra verificare l’esistenza di condizioni che legittimano specifici regimi fiscali. Si può
presentare solo nei casi previsti (istanze relative al consolidato, alle imprese controllate e alle società non operative).
• Antiabuso: relativo all’applicazione della disciplina antielusiva.
• Disapplicativo: per ottenere un provvedimento che disponga la disapplicazione di norme antielusive (limitazione di
deduzioni, detrazioni, crediti) fornendo la dimostrazione che tali effetti elusivi non possono verificarsi.
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L’interpello si propone con dettagliata istanza all’AF. e deve riguardare una disposizione da interpretare ad un caso concreto
e personale. L’istanza deve essere preventiva, deve cioè riguardare una disposizione di significato incerto da applicare in una
dichiarazione dei redditi non ancora presentata, e deve contenere l’interpretazione del contribuente.
L’AF. deve rispondere per iscritto entro 90 giorni in caso di interpello interpretativo, ed entro 120 giorni in caso di altri interpelli.
Se non risponde entro i termini, si verifica il silenzio-accoglimento e la soluzione del contribuente si ritiene condivisa.
La risposta è vincolante per l’AF. ma non per il contribuente, infatti se:
• La risposta è positiva (il contribuente si attiene alla risposta scritta dell’AF o l’AF ha accolto l’istanza tacitamente): non
possono essere emessi accertamenti o contestazioni in relazione alla fattispecie oggetto dell’istanza;
• La risposta è negativa (l’Agenzia non ha accolto l’istanza): il contribuente che non si adegua può avere due comportamenti:
o Comportamento difforme: presenta una dichiarazione difforme al parere dell’AF. e impugna l’avviso di rettifica,
o Comportamento compliance: presenta una dichiarazione conforme al parere, versa l’imposta, e successivamente
presenta istanza di rimborso.
Nei casi in cui un numero elevato di contribuenti abbia presentato istanze aventi la stessa questione o il parere riguardi norme
per le quali non sono stati resi chiarimenti ufficiali o vi siano stati comportamenti difformi tra gli uffici o il chiarimento fornito
sia di interesse generale, l’AF. deve pubblicare mediante circolare la risoluzione delle risposte rese e deve comunque fornire
la risposta ai singoli interessati.
➢ L’autotutela
L’autotutela è il diritto-dovere dell’A.F. di intervenire, sia d’ufficio che su istanza di parte, al fine di revocare o annullare
provvedimenti precedentemente emessi, consentendo quindi alla stessa Amministrazione di autodifendersi dai propri errori.
Essa trova fondamento nell’art. 10 dello Statuto e nell’art. 97 della Costituzione. L’autotutela si configura come:
• Potere di annullamento, quando gli atti presentano vizi di legittimità, ossia vizi di forma o procedimentali,
• Potere di revoca, quado gli atti sono infondati, ossia viziati nel contenuto.
L’autotutela può essere esercitata per: errore di persona, evidente errore logico o di calcolo, errore sul presupposto
dell’imposta, doppia imposizione, mancata considerazione dei pagamenti di imposta eseguiti, mancanza di documentazione
successivamente sanata, sussistenza dei requisiti per fruire deduzioni o regimi agevolativi precedentemente negati, ed errore
materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’AF.
L’autotutela può essere esercitata sia a seguito di richiesta del contribuente o d’ufficio, sia in pendenza di giudizio, sia dopo
che l’atto è divenuto definitivo (non impugnato o impugnato senza successo).
L’unico limite previsto prevede che l’A.F. non possa annullare il suo atto per motivi sui quali sia già intervenuta sentenza passata
in giudicato favorevole alla stessa (sentenza inconvertibile, non più impugnabile). Per cui l’AF. può annullare l’atto solo per
motivi che non contraddicono il contenuto del giudicato.
L’autotutela è giustificata dal dovere di rispristinare la legalità in applicazione dei principi di collaborazione e buona fede. La
Corte costituzionale però, ha affermato che l’autotutela tributaria è discrezionale e non sindacabile, presupponendo quindi
che per la rimozione dell’atto sia necessario, oltre all’illegittimità dell’atto, anche un interesse pubblico attuale e concreto.
LA RISCOSSIONE
La riscossione trova fondamento nel DPR. 602/1973: l’ente impositore può riscuotere solo nei modi previsti da esso e il
contribuente può liberarsi solo nelle forme legali previste da esso.
Alla riscossione dei tributi provvede l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, le cui funzioni sono:
• Incassare le somme pagate mediante versamento diretto e quelle iscritte a ruolo,
• Gestire il conto fiscale e procedere ai rimborsi connessi a tale conto,
• Provvedere all’esecuzione forzata.
La riscossione può essere spontanea, se eseguita spontaneamente dai contribuenti attraverso l’autotassazione, e forzata, se
eseguita dai contribuenti non adempienti in seguito ad atti emessi dall’A.F.
La riscossione delle imposte sui redditi può avvenire mediante ritenuta diretta, versamenti diretti e iscrizione a ruolo.
➢ Ritenuta diretta
La ritenuta diretta è operata direttamente dalle amministrazioni pubbliche, che assumono verso i propri dipendenti il duplice
ruolo di datore di lavoro, che eroga la retribuzione, e di creditore per le imposte che ne derivano: le amministrazioni statali
devono quindi operare le ritenute dirette e trasferirne l’importo alla Tesoreria dello Stato. La ritenuta diretta può essere
operata a titolo d’imposta e a titolo di acconto. Ad essa sono soggetti: i redditi di lavoro dipendente e autonomo, i redditi i
capitale, i contributi ed i premi e le vincite.
➢ Versamenti diretti
Il versamento diretto corrisponde all’autoliquidazione versata autonomamente dal contribuente. I versamenti diretti sono
effettuati direttamente presso gli uffici dell’Agenzia delle Entrate o mediante delega irrevocabile a una banca o alle Poste o
per via telematica tramite intermediario delegato, in tutti i casi il destinatario è la Tesoreria provinciale dello Stato.
La riscossione sui redditi e sull’IVA è una riscossione anticipata perché avviene nel corso del periodo d’imposta in anticipo
rispetto al verificarsi del presupposto. Essa viene effettuata mediante i versamenti diretti, che si realizzano attraverso:
• Versamento delle ritenute d’acconto da parte dei sostituti: sono effettuate mensilmente e versate entro il 16 del mese
successivo alla ritenuta;
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• Versamento di acconti da parte del contribuente: i versamenti d’acconto hanno come parametro la misura pari al 99%
dell’imposta versata nell’anno precedente e valgono come acconti dell’imposta dovuta per l’anno in corso.
Per IRES e IRPEF devono essere eseguiti in due rate: una pari al 40% dell’intero acconto, corrisposta entro il 16 giugno; e
l’altra pari al restante, da versare nel mese di novembre. Per l’IVA i versamenti devono essere eseguiti entro il 16 di ogni
mese ed entro il 27 dicembre deve essere versato un acconto calcolato in base all’ultima liquidazione.
Dopo che il periodo d’imposta si è concluso deve essere eseguito il saldo che risulta dovuto in base alla dichiarazione, calcolato
scomputando dall’importo totale delle imposte dovute le ritenute operate da terzi e gli acconti versati.
I contribuenti, usando il modello F24, possono effettuare versamenti unitari delle imposte dirette e indirette, delle ritenute,
ecc. Essi consentono la compensazione tra partite attive e passive, coinvolgendo anche diversi enti locali e previdenziali.
La compensazione è prevista dallo Statuto ed è ammessa solo nei casi e nei modi previsti dalla legge. In sede di versamenti
unitari, è ammessa sia la compensazione verticale, in cui il debito e il credito a compensazione sono relativi alla stessa imposta;
sia la compensazione orizzontale, in cui il debito e il credito a compensazione sono relativi a imposte di diversa natura.
Se la dichiarazione dei redditi reca poi saldo attivo, il contribuente ha diritto mediante opzione di chiedere il rimborso o di
optare per il congelamento del credito, per usarlo in compensazione nel periodo d’imposta successivo.
➢ La cartella di pagamento
La cartella di pagamento è l’atto con cui l’iscrizione a ruolo viene notificata al contribuente. La cartella si riferisce a tutte le
iscrizioni a ruolo riferite ad un soggetto in un dato periodo, per cui il suo contenuto può essere eterogeneo.
Nella cartella deve essere indicato, a pena di nullità, il responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di emissione della
cartella. La cartella deve contenere l’intimazione a adempiere al pagamento entro il termine di 60 giorni dalla notificazione,
con l’avvertimento di esecuzione forzata, e la motivazione dell’iscrizione a ruolo.
La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da soggetti delegati in via telematica o tramite raccomandata con
avviso di ricevimento. L’agente della riscossione deve conservare per 5 anni la cartella con avvenuta notificazione.
A pena di decadenza, le cartelle di pagamento relative alle imposte sui redditi e all’IVA devono essere notificate:
• Entro il 31/12 del 3° anno successivo a quello della dichiarazione per le somme dovute a seguito di liquidazione automatica,
• Entro il 31/12 del 4° anno successivo a quello della dichiarazione per le somme dovute a seguito di controllo formale,
• Entro il 31/12 del 2° anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli
accertamenti.
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➢ Pagamento delle somme iscritte a ruolo
Il pagamento delle somme iscritte a ruolo deve essere eseguito entro 60 giorni dalla notificazione della cartella di pagamento.
Decorso questo termine sono dovuti interessi di mora per ritardata iscrizione a ruolo fino alla data di consegna dei ruoli
all’agente della riscossione.
Gli oneri di riscossione posti a carco del contribuente, detti aggio, sono dovuti in misura pari al 3% del ruolo se il pagamento
avviene entro il termine e pari al 6% se il pagamento viene dopo.
I RIMBORSI
➢ Crediti verso il fisco e rimborso da indebito
Il contribuente può vantare tre tipi di crediti verso il fisco:
• Crediti per rimborsi da indebito,
• Crediti per rimborsi risultanti dalla dichiarazione dei redditi o IVA e per altre somme debitamente pagate,
• Crediti d’imposta in senso stretto.
I crediti per imborsi da indebito sono quei crediti che il contribuente vanta quando ha eseguito un pagamento non dovuto e
ha diritto di riavere ciò che ha versato. Le cause dell’indebito tributario sono molteplici:
• Mancanza ab origine di una norma di legge a cui si ricollega l’imposta, ad esempio quando la norma non esiste, quando
il decreto-legge non viene convertito, quando la norma viene abrogata retroattivamente (incostituzionali o incompatibili),
• Sentenza di incostituzionalità di una norma tributaria, per cui i pagamenti assumono ex post la qualificazione di non
dovuti e devono essere rimborsati. Il rimborso è però escluso quando il pagamento è stato effettuato in base ad un
rapporto esaurito (pagamento effettuato in esecuzione di atto definitivo o scadenza del termine di richiesta del rimborso),
• Sentenza di incompatibilità con il diritto UE, con cui la norma non viene applicata (stesse regole incostituzionalità),
• Dichiarazione erronea e inesatta a sfavore del contribuente,
• Annullamento dell’avviso d’accertamento,
• Errori vari sull’effettuazione di ritenute e versamenti e sulla riscossione delle imposte indirette,
• Vizio del ruolo.
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In generale, comunque, anche la giurisprudenza è concorde nel permettere il rimborso senza impugnazione del ruolo qualora:
• L’iscrizione a ruolo è a titolo provvisorio, perché la sorte di questa fattispecie di iscrizione dipende dall’esito del processo
riguardante l’avviso di accertamento: se il ricorso contro l’avviso viene respinto, la somma riscossa viene definitivamente
acquisita dal fisco; se invece il ricorso è accolto, la somma riscossa deve essere rimborsata.
• Emergano errori materiali o duplicazioni dovute all’ufficio delle imposte, perché, essendo il vizio imputabile all’ufficio,
quest’ultimo deve rimborsare le somme indebite (rimborso d’ufficio) a prescindere da qualsiasi impugnazione.
➢ Il rimborso d’ufficio
La legge prevede espressamente che il rimborso deve essere disposto d’ufficio (senza istanza di parte) in due casi:
• Nel caso in cui la sentenza della commissione tributaria provinciale dichiari indebite le somme riscosse in via provvisoria
nel corso del giudizio di primo grado,
• Nel caso in cui le somme indebite siano state riscosse a causa di errori materiali e duplicazioni imputabili all’ufficio.
Per il rimborso d’ufficio opera soltanto il termine di prescrizione del diritto.
➢ Il presupposto
Il presupposto dell’Irpef è il possesso di redditi in denaro o in natura che rientrano nelle categorie reddituali indicate: Redditi
fondiari,
• Redditi di capitale,
• Redditi di lavoro dipendente,
• Redditi di lavoro autonomo,
• Redditi di impresa,
• Redditi diversi.
Le categorie sono inclusive, sono infatti costruite in modo che in esse possa esser compresa tutta la materia imponibile.
Ogni categoria ha proprie regole di determinazione del relativo reddito: le diverse categorie sono infatti oggetto di regimi
giuridici diversi concernenti le regole di determinazione dell’imponibile e altre regole formali diverse.
Il presupposto è dato dal possesso o disponibilità di un reddito, ma al termine possesso non va attribuito il significato tecnico
uguale per tutte le categorie. I redditi possono essere infatti determinati:
• Per cassa/per competenza: possesso significa percezione/imputazione del reddito,
• Effettivi, forfettari, figurativi: possesso va riferito all’oggetto che produce reddito,
• Al loro/al netto delle spese sostenute per la produzione del reddito: il possesso va riferito alla fonte.
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➢ Le nozioni teoriche di reddito
Le nozioni teoriche di reddito tassabile sono tre:
• Reddito come prodotto: un’entrata ha natura di reddito solo se deriva da una fonte produttiva, quindi sono redditi
tassabili quelli prodotti sia in modo continuativo, sia in modo variabile o eventuale, sia quelli prodotti una tantum.
• Reddito come entrate: qualsiasi entrata e qualunque fonte abbia ha natura di reddito, sono quindi redditi tassabili sia i
frutti del patrimonio e dell’attività del soggetto, sia gli incrementi patrimoniali (anche quelli conseguititi a titolo gratuito
come le donazioni e le successioni), sia l’autoconsumo.
• Reddito come consumo: solo la ricchezza consumata ha natura di reddito, sono quindi redditi tassabili solo le ricchezze
consumate e non sono tassabili il reddito risparmiato o di capitale.
Il Tuir adotta la nozione di reddito come prodotto, infatti il reddito può essere definito come incremento di patrimonio
derivante da una fonte produttiva. Però in alcune categorie di reddito vi sono casi in cui i proventi tassati come reddito non
derivano da una fonte produttiva. Il vigente sistema d’imposizione dei redditi è quindi fondato sul concetto di reddito come
prodotto e mostra significative aperture verso il concetto di reddito come entrata (orientamento duale).
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➢ I redditi dei coniugi e dei figli minori
Quando fu introdotta l’Irpef, i redditi della moglie erano imputati al marito, ne conseguiva a causa della progressività, che la
tassazione dei redditi dei coniugi era più elevata rispetto a quella individuale. Tale sistema fu quindi dichiarato incostituzionale
perché penalizzava la famiglia.
Ora i redditi dei coniugi sono tassati separatamente. In materia di comunione legale e di fondo patrimoniale, la legge prevede
che i relativi redditi si imputano a ciascun coniuge per metà del loro ammontare netto, salva diversa pattuizione.
I redditi derivanti dai beni dei figli minori soggetti all’usufrutto legale dei genitori sono imputati per metà a ciascun genitore
e il minore è debitore d’imposta per i redditi degli altri beni e per i redditi da lavoro.
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5. Calcolo dell’imposta netta mediante detrazione degli oneri dall’imposta lorda.
Poiché vi sono categorie reddituali il cui risultato può essere una perdita, nel calcolo del reddito complessivo viene operata la
compensazione orizzontale delle perdite: si sommano i redditi delle diverse categorie e si sottraggono le perdite derivanti
dall’esercizio di imprese commerciali in regime di contabilità semplificata e dall’esercizio di arti e professioni.
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➢ I redditi soggetti a tassazione separata
Secondo l’art. 17 del Tuir, sono soggetti a tassazione separata i redditi che sono maturati in anni precedenti rispetto a quello
in cui sono percepiti. La tassazione è separata perché questi redditi non concorrono a formare il reddito complessivo di ogni
anno, ma sono tassati a parte, con distinta aliquota, e determinati secondo speciali regole, stabilite in considerazione della
loro formazione pluriennale. Se così non fosse, si assisterebbe ad una tassazione che rischia di non corrispondere all’effettiva
capacità contributiva. Rientrano nel regime di tassazione separata, i seguenti redditi:
• Il TFR percepito dai lavoratori dipendenti e da altre categorie,
• Gli emolumenti arretrati per prestazioni riferibili ad anni precedenti, percepiti in ritardo per effetto di leggi, contratti,
• Le plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende possedute per più di cinque anni,
• Le indennità per perdita dall’avviamento spettanti al conduttore di esercizi commerciali alla cessazione della locazione,
• Il risarcimento attribuito a titolo di perdita di redditi pluriennali,
• I redditi a formazione pluriennale attribuiti ai soci in caso di recesso da società.
Il TFR è imponibile per un importo che si determina deducendo le rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostituiva. L’aliquota
è quella corrispondente all’importo che si ottiene dividendo l’imponibile per il numero degli anni di durata del rapporto e
moltiplicando il risultato per dodici.
Per gli altri redditi tassati, l’imposta è calcolata applicando alla somma percepita l’aliquota corrispondente alla meta del reddito
complessivo netto del biennio precedente.
I SINGOLI REDDITI
I singoli redditi sono classificati in:
• Redditi fondiari,
• Redditi di capitale,
• Redditi di lavoro dipendente,
• Redditi di lavoro autonomo,
• Redditi di impresa,
• Redditi diversi.
I proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella
perdita di redditi (esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o morte) costituiscono redditi della stessa categoria di
quelli sostituti o perduti. Analogamente, gli interessi moratori e per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa
categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati.
1. REDDITI FONDIARI
Secondo l’art. 25 del Tuir sono redditi fondiari i redditi inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono
o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni e nel catasto edilizio urbano. I redditi fondiari si
distinguono in redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei fabbricati.
Producono reddito fondiario solo i terreni atti alla produzione agricola che derivano da un immobile iscritto o iscrivibile nel
catasto situato nel territorio dello Stato. Sono imponibili indipendentemente dalla percezione o produzione del reddito
quindi vi è tassazione anche se un fabbricato non è abitato o se un terreno non è coltivato.
I redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo dei soggetti che sono titolari del diritto di proprietà o altro
diritto reale sugli immobili, e in caso di usufrutto l’imposta colpisce l’usufruttuario. In caso di comproprietà o multiproprietà,
a ciascun comproprietario è imputata una quota del reddito dell’immobile.
I redditi degli immobili non locati soggetti a Imu, i redditi di terreni che costituiscono pertinenze di fabbricati urbani, i redditi
di terreni dati in affitto per usi non agricoli e quelli che appartengono a società commerciali non sono produttivi di reddito
fondiario. Inoltre, i redditi degli immobili che non sono determinabili catastalmente e quelli degli immobili situati all’estero
fanno parte della categoria redditi diversi.
2. REDDITI DA CAPITALE
I redditi da capitale sono costituiti dall’ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo d’imposta, senza
alcuna deduzione. Si distinguono quattro gruppi, ognuno tassato diversamente:
1. Dividendi e altri proventi derivanti dalla partecipazione in società (non sono incluse le plusvalenze che derivano dalla
cessione di azioni o obbligazioni, le quali appartengono ai redditi diversi),
2. Interessi e altri proventi che derivano da mutui e altre forma di impiego del capitale (non sono inclusi gli interessi
derivanti da crediti di lavoro o d’impresa),
3. Altri proventi finanziari di varia natura, tra cui le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue, i compensi per
prestazioni di fideiussioni e garanzie, i proventi derivanti dalla gestione di masse patrimoniali, i proventi derivanti da riporti
e pronti conto termine su valute, i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito e i redditi compresi nei capitali corrisposti
in pendenza di contratti di assicurazione e capitalizzazione,
4. Proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale (formula residuale).
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È prevista una tassazione ridotta a carico del socio per i dividendi derivanti dagli utili della società in quanto questi sono
previamente tassati prima della distribuzione, al fine di evitare una doppia imposizione economica.
Il regime fiscale dei dividendi si applica anche ai proventi dei titoli e strumenti finanziari similari alle azioni, ovvero quelli la cui
remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente. Di conseguenza per
il percettore la remunerazione è tassata come i dividendi, mentre per la società emittente essa è indeducibile.
In base alla natura del socio, i sistemi di tassazione dei dividendi sono distinti in:
• Tassazione sostitutiva: quando il socio è una persona fisica non in regime di impresa, i dividendi costituiscono reddito di
capitale soggetto a ritenute alla fonte a titolo d’imposta del 26% sull’intera base imponibile (nulla in dichiarazione dei
redditi perché società effettua e versa ritenuta d’acconto).
• Tassazione parziale: quando il socio è una persona fisica in regine di impresa o una società di persone, i dividendi
costituiscono reddito di impresa soggetto a Irpef su base imponibile del 58,14%. Quando il socio è una società di capitali,
i dividendi costituiscono reddito di impresa soggetto a Irpef su base imponibile del 5%.
• Tassazione integrale: per le società semplici (enti non commerciali) i dividendi percepiti costituiscono reddito di capitale
soggetto a tassazione integrale.
➢ Regimi sostitutivi
Per ragioni connesse al favor verso il risparmio (Repubblica deve incoraggiare e tutelare il risparmio), alcuni redditi da capitale
sono oggetto di regimi fiscali di favore soggetti a tassazioni sostitutive ed agevolate. Tali tassazioni avvengono attraverso
imposta sostituiva non progressiva con aliquota del 26%, con eccezioni per alcune forme di investimento alle quali si applica
aliquota del 12,5 %.
I regimi di favore sono distinti in:
1. Regimi di ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, in cui l’imposta sostitutiva è applicata dagli intermediari mediante
ritenuta alla fonte o direttamente dallo stesso contribuente mediante autotassazione.
2. Regimi fiscali sostitutivi opzionali, in cui l’imposta sostituiva proporzionale è applicata da un sostituto d’imposta. Sono:
• Regime del risparmio amministrato: si applica alle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni e da alcuni
strumenti finanziari esclusi quelli relativi a società residenti in paradisi fiscali. Questa opzione è adottabile da chi abbia
depositato in amministrazione presso una banca titoli quote o certificazioni da cui derivando le plusvalenze imponibili.
La tassazione è a carico dell’intermediario, che in veste di sostituto d’imposta opera una ritenuta a titolo definitivo.
• Regime del risparmio gestito: si applica ai redditi di capitale relativi a partecipazioni e ad altri strumenti finanziari e
alle plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni che sono redditi diversi esclusi quelli relativi a società residenti
in paradisi fiscali. Questa opzione è adottabile da chi affida il suo risparmio ad una banca incaricandola di gestirlo. A
questi redditi non viene applicato il principio di cassa, essi vengono infatti tassati al momento della percezione da
parte dell’investitore e non sono sottoposti a ritenute.
• Regime dei fondi comuni: per favorire il finanziamento delle imprese sono agevolati i piani individuali di risparmio
sottoscritti da persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa. È prevista l’esenzione dalle imposte sui redditi e di
successione dopo cinque anni.
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3. I REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE
L’art. 49 del Tuir definisce i redditi da lavoro dipendente come i redditi che derivano da rapporti aventi per oggetto la
prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenza e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando
è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro.
Rientrano in questa categoria anche i redditi equiparati, ovvero le pensioni di ogni tipo e gli assegni ad esse equiparati come
le pensioni derivanti da lavoro dipendente, le pensioni non derivanti da lavoro dipendente (lavoratori autonomi, artigiani,
imprenditori) e le pensioni di reversibilità e invalidità (no pensioni di natura risarcitoria).
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➢ Redditi di collaborazione coordinata e continuativa
Sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente anche i redditi di collaborazione coordinata e continuativa, ossia i redditi
derivanti da rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione nel
quadro di un rapporto unitario e continuativo, senza l’impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.
Rientrano in questa categoria le cariche di amministratore, sindaco e revisore di società, la collaborazioni a giornali e riviste
e la partecipazione a collegi e commissioni. A questi si applicano tutte le regole dei redditi da lavoro dipendente.
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➢ Regime forfettario
Il regime forfettario è riservato alle persone fisiche che esercitano attività di impresa o di lavoro autonomo se, nell’anno
precedente:
1. Hanno conseguito ricavi o percepito compensi non superiori a determinati importi correlati al tipo di attività,
2. Hanno sostenuto spese per lavoro dipendente non superiori a 5.000 euro lordi,
3. Il costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali a fine esercizio non supera 20.000 euro.
Le persone fisiche possono avvalersi di tale regime comunicando nella dichiarazione di inizio attività di presumere la
sussistenza dei requisiti previsti.
Attraverso il regime forfettario, il reddito imponibile è calcolato applicando all’ammontare dei ricavi o compensi un
coefficiente di redditività, diverso a seconda dell’attività svolta. Sul reddito imponibile così calcolato viene poi applicata
l’aliquota sostitutiva del 15% o del 5% per i primi 5 anni di imposta se si tratta di una nuova attività.
I contribuenti in regime forfettario sono esonerati dagli obblighi di tenuta delle scritture contabili, non sono tenuti ad operare
ritenute alla fonte, non applicano l’Iva sulle operazioni attive e non hanno diritto alla detrazione sugli acquisti.
➢ Società di comodo
Per scoraggiare l’utilizzo strumentale dell’istituto societario, le società commerciali che hanno elementi attivi inferiori a
determinate percentuali (2% delle partecipazioni, 6% dei beni immobili, 15% delle altre immobilizzazioni) o che presentano
dichiarazione in perdita fiscale per cinque periodi di imposta consecutivi sono qualificate società non operative o di comodo.
Il legislatore, presumendo che queste società producano un reddito minimo, ad esse applica il regime antielusivo di comodo,
che prevede un’aliquota ordinaria maggiorata del 10,5% e il divieto di chiedere il rimborso dell’Iva a credito e di compensarla
con quella a debito. Le società di comodo possono comunque chiedere la disapplicazione della normativa che le riguarda.
6. REDDITI DIVERSI
La categoria dei redditi diversi raggruppa una serie di redditi eterogenei di natura residuale che sono caratterizzati dalla
mancanza di qualche tratto caratteristico dei redditi delle categorie tipiche.
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➢ I redditi degli enti non commerciali
Il reddito complessivo imponibile degli enti non commerciali è formato dalla somma dei redditi, fondiari, di capitale,
d’impresa e diversi, ognuno determinato secondo le regole della propria categoria di appartenenza.
Gli utili degli enti non commerciali non sono integralmente tassati: il 22,26% del loro ammontare non concorre alla formazione
del reddito imponibile in quanto escluso.
Nel caso in cui l’ente svolga attività d’impresa è tenuto a istituire delle contabilità separate per distinguere ciò che è inerente
all’attività istituzionale a quello che è inerente all’attività d’impresa. I componenti positivi e negativi si determinano quindi
secondo le regole ordinarie in materia di reddito d’impresa, pertanto sono deducibili interamente le spese specificamente
inerenti all’attività commerciale e deducibili in parte quelle ad utilizzazione promiscua, e le perdite dell’attività commerciale
sono deducibili nei periodi successivi secondo le regole previste per gli imprenditori individuali.
Inoltre, gli enti ammessi al regime di contabilità semplificata possono optare per la determinazione forfettaria del reddito
d’impresa, in tal caso il reddito è determinato in misura pari a una percentuale della somma dei componenti positivi.
Particolari disposizioni sono poi previste per gli enti di tipo associativo, come associazioni e consorzi:
• Alcuni vengono considerati enti non commerciali solo se l’attività è interna e rivolta agli associati e ai partecipanti e se
non è retribuita con corrispettivi specifici. In caso contrario, si applicano le ordinarie regole fiscali d’impresa.
• Le associazioni politiche, sindacali, religiose, culturali, sportive dilettantistiche vengono considerate enti non commerciali
se sono svolte in attuazione degli scopi istituzionali anche se le attività sono retribuite con corrispettivi specifici.
➢ I trust
I trust possono essere di tue tipi:
• Trust trasparenti, sono quelli i cui beneficiari sono individuati, cioè titolari di un diritto attuale e incondizionato
all’assegnazione di una parte del reddito. Essi non sono soggetti passivi dell’Ires perché i redditi sono imputati ai
beneficiari come redditi di capitale soggetti a Iperf, a prescindere dalla percezione.
• Trust opachi, sono quelli i cui beneficiari non sono individuati. Essi sono soggetti passivi dell’Ires.
I trust opachi residenti sono collocati nella categoria di enti commerciali o in quella di enti non commerciali, e sono sottoposti
alle relative regole di determinazione del reddito. I trust non residenti sono tassati solo per i redditi prodotti nello Stato.
➢ Le variazioni fiscali
Le variazioni in aumento aumentano il reddito imponibile. Esse possono derivare da norme che impongono di:
• Includere nel reddito imponibile componenti positivi non presenti nel ce: un esempio di norme di questo tipo sono quelle
che assimilano ai ricavi il valore normale dei beni-merce assegnati ai soci o destinati all’autoconsumo.
• Eliminare o ridurre dal reddito imponibile componenti negativi presenti nel ce: questo tipo di norme sono molto
frequenti in quanto tutte le norme in tema di costi pongono dei limiti alla deducibilità degli stessi secondo il principio di
inerenza o secondo il principio di competenza.
Inoltre, alcune norme regolano la deducibilità dei costi che, in sede civilistica, sono frutto di stima mentre in sede fiscale
sono frutto di criteri rigidi (es. in materia di ammortamenti, il C.c. impone una misura stimata, mentre le norme fiscali
prevedono che gli ammortamenti non sono ammessi in misura superiore a determinati coefficienti).
Le variazioni in diminuzione diminuiscono il reddito imponibile. Esse possono derivare da norme che impongono di:
• Eliminare o ridurre dal reddito imponibile componenti positivi presenti nel ce: la riduzione può dipendere dal fatto che
il ce contiene ricavi esenti (plusvalenze che beneficiano del participation exemption), ricavi esclusi (soggetti tassati con
imposta sostituiva), ricavi non soggetti al regime ordinario di tassazione (dividendi non tassati per il regime di trasparenza)
o ricavi la cui tassazione è rateizzata.
• Includere nel reddito imponibile componenti negativi non presenti nel ce: la diminuzione dipende dal fatto che alcuni
costi computati nel ce di un esercizio sono deducibili negli esercizi successivi, ad esempio i compensi degli amministratori
sono dedotti nell’esercizio in cui sono corrisposti, non in quello precedente in cui maturano.
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• Attivo circolante: beni-merce e titoli di partecipazioni in società di capitali o altri enti commerciali destinati a essere
rivenduti. La loro cessione genera ricavi.
• Immobilizzazioni: beni strumentali destinati a fornire il proprio contributo alla produzione del reddito di più esercizi, titoli
di partecipazioni in società di capitali o altri enti commerciali che costituiscono un investimento durevole e beni
patrimoniali. La loro cessione genera plusvalenze o nel caso di beni strumentali e patrimoniali anche minusvalenze.
Per stabilire la categoria di appartenenza di un bene, e dunque se genera ricavi o plusvalenze, le regole generali sono:
• Per le partecipazioni e i titoli bisogna prendere in considerazione il bilancio: essi costituiscono immobilizzazioni
finanziarie solo quando sono iscritte come tali nell’attivo di stato patrimoniale,
• Per i beni-merce vale il principio di correlazione: le rimanenze di magazzino, date dalla somma delle rimanenze iniziali con
i beni prodotti nell’esercizio meno i beni venduti nello stesso, hanno la funzione di trasferire il costo dei beni invenduti da
un esercizio all’altro affinché il costo sia imputato all’esercizio in cui i beni generano ricavi,
• Per i beni strumentali e patrimoniali vale la rilevazione al costo: essi sono rilevati al costo nello stato patrimoniale
dell’esercizio di acquisizione che viene poi ammortizzato a partire dall’esercizio in cui entrano in funzione.
La distinzione tra beni-merce e le immobilizzazioni è molto importante perché le rimanenze di magazzino concorrono sempre
a formare il reddito mentre le minusvalenze delle immobilizzazioni concorrono a formarlo solo quando sono realizzate.
Il valore fiscalmente riconosciuto di tutti questi beni è rappresentato dal costo di acquisto o di fabbricazione, comprendente
anche gli oneri di diretta imputazione connessi all’acquisto (esclusi interessi passivi e spese generali), subito delle relative
variazioni incrementative o riduttive, per effetto, ad esempio, degli ammortamenti.
➢ Il principio di competenza
Il principio di competenza si applica in via residuale quando le singole norme non stabiliscono la competenza di un
determinato elemento di reddito.
L’art. 109 prevede che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, se non disposto diversamente, concorrono a
formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia, i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di
competenza non sia ancora certa l'esistenza o non sia determinabile in modo obiettivo l'ammontare, concorrono a formarlo
nell'esercizio in cui essi divengono certi e quantificabili.
Secondo questo principio, ciò che è rilevante è il momento temporale in cui si verifica il fatto economico-gestionale: i ricavi
devono essere imputati nell’esercizio in cui sono conseguiti in senso economico, ossia quando avviene lo scambio con i terzi
o l’utilizzazione interna, e i costi devono essere imputati nell’esercizio in cui i relativi ricavi sono conseguiti, secondo il principio
di correlazione. Di conseguenza, i costi (anche pluriennali) non sono tutti deducibili nel periodo in cui sono sostenuti ma devono
essere dedotti nell’esercizio o negli esercizi in cui sono conseguiti i ricavi che concorrono a produrre.
L’art. 109 specifica poi la competenza temporale per alcuni specifici componenti del reddito. In particolare:
• I corrispettivi delle cessioni di beni mobili e il costo di acquisto degli stessi si considerano conseguiti e sostenuti alla data
della consegna o spedizione.
• I corrispettivi delle cessioni di beni immobili e il costo di acquisto degli stessi si considerano conseguiti e sostenuti alla
data di stipulazione dell’atto,
• I ricavi e i costi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti e sostenuti alla data di ultimazione.
Il principio di competenza determina variazioni in aumento o in diminuzione che possono essere:
• Variazioni temporanee: ad esempio, la norma che impone di differire un costo quando nell’esercizio di competenza non
è certo nell’esistenza e nell’ammontare, produce una variazione in aumento temporanea, perché destinata ad essere
controbilanciata quando il costo, divenuto certo e determinabile, sarà dedotto con una variazione in diminuzione.
• Variazioni permanenti: ad esempio, la presenza di proventi esenti comporta la definitiva indeducibilità dei relativi costi.
Le violazioni del principio di competenza possono comportare:
• Nel caso di costi non contabilizzati nell’esercizio di competenza, la perdita della possibilità di dedurre il costo,
• Nel caso di ricavi contabilizzati in un esercizio non di competenza, doppia tassazione. In tal caso, il contribuente può
chiedere la restituzione della maggior imposta, pagata per l’esercizio non di competenza, nel termine di prescrizione.
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➢ Il principio di iscrizione a conto economico dei costi
Le norme fiscali sul reddito di impresa non disciplinano tutti i componenti reddituali, ciò implica che possono essere dedotti
anche costi non specificamente previsti, a condizione che siano soddisfatte le prescrizioni generali sulla deducibilità dei costi:
1. Principio di competenza: sono deducibili solo i costi correlati ai ricavi conseguiti e solo se certi e determinabili,
2. Principio di iscrizione a conto economico: sono deducibili solo i costi iscritti nel conto economico dell’esercizio,
3. Principio di inerenza: sono deducibili solo i costi inerenti all’attività d’impresa.
Il principio di iscrizione a conto economico prevede che siano deducibili i soli costi iscritti nel conto economico dell’esercizio e
vale anche per i costi stimati, come gli ammortamenti. Se i costi stimati imputati a conto economico sono più elevati di quanto
fiscalmente deducibile, la parte eccedente non è deducibile e deve essere ripresa a tassazione.
Esistono però tre deroghe al principio di iscrizione a conto economico:
• Sono deducibili i costi iscritti nel conto economico di un esercizio precedente se la deduzione è stata rinviata in
conformità alle precedenti norme. Questa deroga è una conseguenza della regola che non consente di dedurre fiscalmente
un costo nell’esercizio in cui è stato computato ai fini civilistici, ad esempio perché non certo o determinabile.
• Sono deducibili i costi che, pur non essendo imputabili al conto economico, sono deducibili per disposizione di legge.
• Sono deducibili, nella misura in cui risultano certi e precisi, i costi correlati ai ricavi, che pur non risultando imputati al
conto economico, concorrono a formare il reddito. Sono quindi deducibili i costi correlati a ricavi tassabili che non
compaiono nel ce quando il contribuente ne fornisce una prova piena, indicando l’identità delle controparte.
➢ Il principio di inerenza
Secondo il principio di inerenza sono deducibili solo i costi inerenti all’attività di impresa. Esso recita che le spese e gli altri
componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi e altri proventi
che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.
Sono quindi deducibili i costi che si riferiscono ad attività e beni imponibili e a proventi esclusi da tassazione, come i dividendi.
Al contrario, non sono deducibili i costi che si riferiscono esclusivamente ad attività o beni esenti, come le plusvalenze esenti.
I costi come le spese generali, che si riferiscono indistintamente ad attività imponibili, esenti ed escluse sono deducibili per la
parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi imponibili ed esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi
e proventi.
Inoltre, il principio prevede che un costo sia ritenuto inerente nella misura in cui è congruo, non antieconomico. Ciò implica
che non sono deducibili i costi nella misura in cui siano di entità sproporzionata rispetto ai ricavi e all’oggetto d’impresa.
Nel principio di inerenza ha rilievo la natura giuridica del negozio da cui scaturisce il costo, quindi anche un atto a titolo gratuito
è deducibile: ad, esempio, per le società che fanno parte di un medesimo gruppo, i costi che una società sostiene nell’interesse
del gruppo sono ripartiti e deducibili da tutte le società.
L’unica deroga riguarda gli interessi passivi, che sono deducibili a prescindere dall’inerenza, ma nei limiti previsti dalle norme.
I REDDITI TRANSNAZIONALI
➢ Criteri di localizzazione dei redditi transnazionali
I criteri di localizzazione dei redditi transnazionali sono criteri utili a tassare in Italia i redditi dei non residenti prodotti in
Italia e i redditi dei residenti prodotti all’estero e a riconoscere il credito d’imposta spettante ai residenti che hanno pagato
imposte all’estero. I criteri di localizzazione sono:
• Criterio della localizzazione del pagatore: vale il luogo in cui è situata la fonte reddituale per i redditi di origine
patrimoniale, di conseguenza i redditi fondiari e i redditi di capitale si considerano prodotti in Italia se, rispettivamente,
l’immobile è locato in Italia e la sede del soggetto che corrisponde il reddito è locata in Italia.
• Criterio della localizzazione dell’attività: vale il luogo in cui è svolta l’attività per i redditi che derivano dallo svolgimento
di un’attività, di conseguenza i redditi di lavoro e i redditi d’impresa si considerano prodotti in Italia se derivano da attività
svolte in Italia mediante una stabile organizzazione.
I redditi diversi si considerano prodotti in Italia se derivano da beni situati nello Stato, se derivano da plusvalenze relative a
partecipazioni in società residenti e se derivano da società a cui si applica il principio di trasparenza che hanno sede in Italia.
Inoltre, si considerano prodotti in Italia, quando sono corrisposti da soggetti residenti: le pensioni e le indennità di fine
rapporto, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i compensi per l’utilizzazione di opere d’ingegno e simili, e i compensi
conseguiti da impresa, società ed enti non residenti per prestazioni artistiche e professionali effettuate in Italia.
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• Soggetti o società residenti in paesi extra-Ue, sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 26%. Tali soggetti
hanno diritto al rimborso di 11/16 della ritenuta se dimostrano di aver pagato sui dividendi le imposte nel proprio paese.
• Soggetti o società residenti in paesi Ue, sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta del 1,20% ai fini della parità di
trattamento tra società residenti in Italia e società residenti in altri paesi Ue.
I dividendi in uscita dall’Italia non sono tassati quando si applica la Direttiva madre-figlia che impedisce la tassazione dei
dividendi distribuiti tra società controllanti e controllata all’interno dell’Ue. Attraverso di esso la controllante non residente
può richiedere che non sia applicata la ritenuta o chiederne il rimborso. Il regime si applica ai soli dividendi percepiti dalle
controllanti che detengono una partecipazione non inferiore al 10% del capitale della controllata se:
• Le società rivestono una delle forme previste dalla Direttiva,
• Le società risiedono ai fini fiscali in uno Stato Ue,
• Le società sono soggette nello Stato di residenza ad una delle imposte previste nella Direttiva senza regimi di esonero,
• Le società detengono la partecipazione ininterrottamente per almeno un anno.
La non tassazione dei dividendi in uscita, o il rimborso, evitano la doppia tassazione giuridica internazionale, ma comunque
permettono la doppia tassazione economica, cioè la tassazione degli utili della controllata da parte dello Stato della fonte e la
tassazione dei dividendi nello Stato di residenza dei soci della controllante.
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Ai dividendi e alle plusvalenze provenienti da Stati a fiscalità privilegiata si applica il regime di piena imponibilità:
• I dividendi sono tassati per intero sia quando sono redditi di capitale sia quando sono redditi d’impresa.
• Le plusvalenze realizzate da società di capitali, enti commerciali, società di persone, imprenditori individuali e persone
fisiche (se la partecipazione è qualificata) sono imponibili per intero, nel caso di cessione di partecipazioni.
Il regime di piena imponibilità dei dividendi e delle plusvalenze non si applica per i soggetti passivi Ires quando viene
dimostrato che non sia stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati a fiscalità privilegiati, deve quindi risultare che
i redditi siano stati ricevuti da stati a fiscalità ordinaria.
Inoltre, il Tuir prevede per le plusvalenze conseguite da soggetti passivi Ires, un regime di tassazione attenuata limitata al
50% con attribuzione del credito d’imposta indiretto, quando la società partecipata svolge in via principale un’attività
commerciale o industriale nel mercato del paradiso fiscale.
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L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
➢ Origine e natura dell’Iva
L’Iva è stata ideata in sede europea ed è stata introdotta in tutti gli Stati membri in base a un modello tracciato nel 1967 da
due direttive comunitarie. La disciplina europea è ora racchiusa principalmente nella Direttiva 112 del 2006, detta D. rifusione.
In Italia, l’Iva è stata istituita nel 1972 con il D.P.R. 633.
L’Iva è una delle risorse proprie dell’Ue, gli Stati membri sono infatti tenuti a devolvere all’Ue parte del gettito del tributo e
devono garantirne la corretta applicazione e l’effettiva riscossione. Perciò, in base al diritto europeo, l’Iva non può essere
oggetto di condono e può essere oggetto di falcidia nel concordato preventivo e nell’accordo di ristrutturazione dei debiti solo
se un esperto indipendente attesti che l’Erario non otterrebbe un pagamento maggiore in caso di fallimento.
La principale ragione dell’adozione dell’Iva riguarda la neutralità dell’Iva rispetto agli scambi internazionali: con essa si
conosce esattamente il carico fiscale di un bene, per cui è possibile determinare l’ammontare di imposta sulle importazioni e
sulle esportazioni, senza attuare agevolazioni alle esportazioni e aggravi alle importazioni.
L’Iva appartiene alla categoria delle imposte sui consumi, le quali possono essere:
• Monofase, vengono applicate una sola volta (ad esempio sulle cessioni dal produttore al commerciante),
• Plurifase, vengono applicate nelle varie fasi del processo produttivo-distributivo. Queste possono poi essere:
o Cumulative o a cascata, in cui il tributo dovuto in ciascuna fase si somma agli altri,
o Sul valore aggiunto, in cui il tributo colpisce il maggior valore che ciascuna fase aggiunge al bene.
L’imposta cumulativa non è neutrale perché dipende dalla lunghezza del ciclo distributivo e influisce sull’organizzazione
produttiva in quanto colpisce quelle specializzate. L’Iva invece, gravando sul consumatore in proporzione al prezzo finale del
bene, è neutrale rispetto al numero dei passaggi e non influisce sull’organizzazione delle imprese.
Secondo la Corte di giustizia le caratteristiche essenziali dell’Iva sono quattro:
• Si applica in modo generale alle operazioni aventi ad oggetto beni o servizi,
• È proporzionale al corrispettivo dei beni e servizi forniti,
• È riscossa in ciascuna fase del processo produttivo-distributivo a prescindere dal numero di operazioni effettuate,
• È applicata al solo valore aggiunto e grava solo sul consumatore finale, grazie al meccanismo di detrazione dall’imposta
dovuta degli importi pagati nelle precedenti fase del processo.
➢ Il fondamento costituzionale
L’Iva è un’imposta generale sul consumo. Il fondamento costituzionale dell’Iva è il consumo, fatto espressivo della capacità
contributiva del consumatore finale su cui grava il tributo.
Dal punto di vista giuridico-formale, i presupposti dell’Iva sono le operazioni di cessioni di beni e prestazioni di servizi posti in
essere dai soggetti passivi. Ciò spiega:
• La tassazione delle importazioni, la cui giustificazione è la destinazione al consumo interno di un bene di Paesi terzi,
• Il diritto di detrazione e il meccanismo di rivalsa, la cui giustificazione è la neutralità dell’imposta che rende il tributo
economicamente gravante solo sui consumatori finali.
➢ I soggetti passivi
I soggetti passivi dell’Iva sono gli imprenditori e gli esercenti di arti o professioni, essa si applica sulle cessioni di beni e sulle
prestazioni di servizi, oltre che sulle importazioni da chiunque effettuate.
Ai fini Iva, gli imprenditori sono coloro che esercitano per professione abituale, non esclusiva:
• Un’attività commerciale anche non organizzata in forma di impresa,
• Un’attività di prestazione di servizi organizzata in forma di impresa,
• Un’attività agricola anche non organizzata in forma di impresa.
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Di conseguenza, le operazioni effettuate da società o enti commerciali e società o enti agricoli e società sono sempre imponibili.
Invece, per gli enti non commerciali, sia pubblici che privati, sono imponibili soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di
servizi fatte nell’esercizio di imprese commerciali o agricole, quindi solo se sono rese a titolo oneroso.
È poi presente una deroga per gli enti pubblici, i quali non sono soggetti passivi per le attività che esercitano in quanto
pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. L’imposta
però si applica anche alle attività che esercitano in quanto pubbliche autorità quando il loro non assoggettamento
provocherebbe distorsioni di concorrenza rilevanti, cioè quando l’attività dell’ente pubblico può essere svolta anche da privati.
Ai fini Iva, gli esercenti di arti e professioni sono coloro che esercitano per professione abituale, non esclusiva, qualsiasi
attività di lavoro autonomo. Quindi possono essere sia persone fisiche, sia società semplici, che associazioni professioni, basta
che l’attività sia svolta in modo autonomo e che non vi siano connotati di imprenditorialità.
➢ La cessione di beni
Per cessioni di beni si intendono gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento delle proprietà o costituzione o
trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere. Nella cessione di beni si comprendono dunque i contratti e
tutti gli atti giuridici che determinano effetti traslativi o costitutivi di diritti reali (compresi i trasferimenti coattivi).
Nonostante non presentino uno dei requisiti delle cessioni, sono assimilate alle cessioni:
• Le vendite con riserva di proprietà,
• Le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti,
• Gli acquisti o le vendite di beni dal committente al commissionario e viceversa in esecuzione di contratti di commissione,
• Le cessioni gratuite di beni destinate al consumo personale o familiare dell’imprenditore o del lavoratore autonomo,
• Le assegnazioni delle società ai soci e le analoghe assegnazioni fatte da altri enti privati o pubblici, compresi i consorzi, le
associazioni e altre organizzazioni senza personalità giuridica.
Pur presentando tutti i requisiti delle cessioni, sono escluse dal campo di applicazione:
• Cessioni che appartengono alla gestione straordinaria dell’impresa, in quanto sottoposte a imposta di registro (cessioni o
conferimenti d’azienda o rami d’azienda e passaggi di beni dipendenti da fusioni, scissioni o trasformazioni di società),
• Cessioni soggette alla disciplina della tassa sulle lotterie, cessioni di danaro e di valori bollati o postali,
• Cessioni di terreni non edificabili,
• Cessioni gratuite di campioni di modico valore.
➢ Le prestazioni di servizi
Le prestazioni di servizi sono le prestazioni che danno esecuzioni ad obblighi di fare, non fare o permettere dietro corrispettivo.
Nonostante manchi un requisito, sono assimilate alle prestazioni di servizi:
• Le concessioni di beni in locazione, affitto, noleggio e simili,
• Le cessioni di diritti su beni immateriale,
• I prestiti in denaro e di titoli non rappresentativi di merci,
• Le somministrazioni di bevande e alimenti,
• Le cessioni di contratto.
Infine, le operazioni escluse dal campo di applicazione dell’Iva sono le cessioni di diritti d’autore, i prestiti obbligazionari e le
cessioni di contratti che hanno per oggetto beni la cui cessione è esclusa da imposta (denaro, terreni non edificabili, ecc.).
➢ Le esenzioni
Le operazioni esenti non comportano il sorgere del debito d’imposta e non consentono la detrazione dell’Iva, ma comunque
rientrano nel campo di applicazione dell’imposta e perciò comportano gli adempimenti formali richiesti.
Le operazioni esenti, rientrando nel campo di applicazione, incidono sul diritto di detrazione: il soggetto passivo che effettua
operazioni esenti, infatti, non può detrarre l’Iva sugli acquisti, la quale diventa quindi un costo economico (diff. escluse), che
non può essere trasferito sui ricavi. L’esenzione giova solo sul consumatore finale.
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L’elenco delle operazioni esenti comprende:
• Alcune operazioni di carattere finanziario (operazioni creditizie, assicurative, valutarie, ecc.),
• Le operazioni relative alla riscossione dei tributi,
• L’esercizio di giochi e scommesse e le operazioni in oro,
• Alcune operazioni immobiliari,
• Alcune operazioni socialmente rilevanti (servizi pubblica utilità, sanitari, culturali, ecc.),
• Le cessioni di beni acquistati senza detrazione dell’Iva.
Alcune operazioni sono esenti per ragioni sociali e altre per ragioni di tecnica tributaria (op. finanziarie soggette altri tributi).
➢ Il momento impositivo
Il momento impositivo è il momento in cui un’operazione si considera effettuata e l’Iva diviene esigibile.
L’esigibilità è il diritto che l’erario può far valere a norma di legge, a partire da un determinato momento, presso il debitore,
per il pagamento dell’imposta anche se il pagamento può essere differito. L’effettuazione dell’operazione ha quindi un doppio
effetto giuridico: per il venditore fa decorrere il termine dell’obbligo di fatturazione e registrazione, per il compratore segna
la nascita del diritto di detrazione. Un’operazione si considera effettuata a seconda del tipo di cessione o prestazione:
• Le cessioni di beni immobili si considerano effettuate nel momento della stipulazione, ma se gli effetti sono differiti si
considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti traslativi,
• Le cessioni di beni mobili si considerano effettuate nel momento della spedizione o consegna, ma se gli effetti sono
differiti si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti nel limite di un anno,
• Le prestazioni di servizi si considerano effettuate quando è pagato il corrispettivo. In questo caso quindi, prima del
pagamento non vi è obbligo di emettere fattura o di pagare l’imposta, anche se la prestazione è conclusa.
Per le cessioni, vi sono poi due fattispecie che anticipano il momento di effettuazione delle operazioni: l’emissione della
fattura e il pagamento del corrispettivo. Questi costituiscono effettuazione dell’operazione, di conseguenza, il pagamento di
acconti deve essere fatturato e sottoposto ad imposta.
Il momento in cui un’operazione di considera effettuata ai fini Iva può essere diverso da quello ai fini reddituali in quanto
secondo le norme del reddito d’impresa, un ricavo è da computare in base al principio di competenza. Di conseguenza è
normale che vi sia divario tra volume d’affari Iva e ammontare dei ricavi imponibili ai fini del reddito.
➢ Il diritto di rivalsa
Il diritto di rivalsa è il diritto che permette di neutralizzare il debito tributario che il soggetto passivo ha nei confronti del fisco.
Il suo presupposto sostanziale è la vendita di beni o prestazione di servizi.
Il diritto di rivalsa è quindi il credito che il soggetto passivo, cedente o prestatore, ha nei confronti della controparte,
cessionario o committente, che si aggiunge al corrispettivo per effetto di legge.
La rivalsa rappresenta un diritto-obbligo sia per il soggetto passivo, che ha l’obbligo di emettere fattura comprendente di
imposta e ha il diritto di ricevere dal cessionario o committente l’Iva di rivalsa, sia per il cessionario o committente, che ha
l’obbligo di corrispondere l’Iva di rivalsa al soggetto passivo e ha il diritto di ricevere la fattura comprendente di imposta,
affinché possa registrarla nel registro degli acquisti e quindi esercitare il diritto alla detrazione.
La rivalsa è indisponibile: i patti che la escludono sono nulli. Inoltre, può essere esercitata anche dopo che è decorso il termine
per l’emissione della fattura e anche dopo che il cedente o prestatore ha ricevuto un avviso di accertamento.
Il rapporto di rivalsa è un rapporto tra privati, per cui le relativi liti appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario.
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➢ Il diritto di detrazione
Il diritto di detrazione ha per oggetto l’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in
relazione ai beni o servizi importati o acquistati nell’esercizio di impresa, arte o professione.
Gli acquisti e le importazioni danno diritto alla detrazione solo se sono inerenti all’attività esercitata dal soggetto passivo.
Per poter esercitare tale diritto non occorre che il soggetto passivo abbia pagato l’imposta, ma occorre che egli abbia ricevuto
la fattura o la bolletta doganale con addebito dell’Iva di rivalsa e che tali documenti siano annotati nel registro degli acquisti.
L’importo detraibile risulta dalla somma dell’Iva di rivalsa annotata nel registro dell’Iva a credito. La detrazione deve essere
esercitata nelle liquidazioni periodiche o in sede di dichiarazione annuale.
Il diritto di detrazione è soggetto a decadenza: può essere esercitato successivamente con la dichiarazione relativa all’anno in
cui il diritto è sorto e alle condizioni esistenti al momento in cui è sorto.
La detrazione, come la rivalsa, realizza la neutralità dell’Iva, per cui la legislazione nazionale non può sottoporla a limiti. Di
conseguenza, il diritto di detrazione deve essere sempre riconosciuto quando ne sussiste il presupposto sostanziale (acquisto
di beni e servizi) anche se il cessionario o committente ha omesso gli adempimenti formali, come l’integrazione della fattura,
l’autofatturazione o la registrazione di acquisiti intracomunitari.
➢ Indetraibilità
Vi sono tre tipi di indetraibilità:
• Indetraibilità analitica o per destinazione: concerne beni o servizi destinati ad operazioni che escludono direttamente la
detrazione: è indetraibile l’Iva relativa agli acquisti destinati al compimento di operazioni esenti, non soggette o escluse.
• Indetraibilità presunta: concerne beni o servizi per i quali si presume in modo assoluto o parziale la loro non inerenza: è
indetraibile l’Iva per l’acquisto di aerei o barche, è detraibile per il 40% l’iva per l’acquisto di auto, è indetraibile o detraibile
parzialmente l’Iva per l’acquisto dei carburanti e lubrificanti, ed è inoltre indetraibile l’Iva per le spese di trasporto delle
persone, le spese di rappresentanza, le spese per alimenti e per l’acquisto o la locazione di fabbricati per uso abitativo.
• Indetraibilità per gli enti non commerciali: essi possono detrarre l’Iva relativa agli acquisti fatti nell’esercizio di attività
agricole o commerciale soltanto se gestiscono queste attività con contabilità separata. È quindi indetraibile l’Iva relativa
agli acquisti non inerenti ad attività d’impresa.
➢ Il pro-rata
Il criterio del pro-rata si applica quando l’indetraibilità specifica non è applicabile, cioè quando il contribuente realizza
operazioni esenti in modo sistematico (esercita sia attività che danno diritto alla detrazione, sia attività che non lo danno).
In tal caso, la quota di Iva detraibile è calcolata in modo forfettario attraverso il calcolo della percentuale di detrazione, data
dal rapporto tra l’ammontare delle operazioni con diritto a detrazione effettuate nell’anno e la somma di tutte le operazioni
attive effettuate nello stesso periodo.
Le operazioni attive esenti limitano la detrazione. Al contrario, l’effettuazione di operazioni esenti in via occasionale o di
operazioni esenti (non relative all’attività) in aggiunta ad un’operazione imponibile non limitano la detrazione. In tal modo la
neutralità del tributo non è intaccata da operazioni sporadiche, non significative dell’attività d’impresa.
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affinché il soggetto possa conoscere il debito d’imposta, mentre nel registro degli acquisti (Iva a credito) devono essere
annotate le fatture passive, le autofatture e le bollette doganali, affinché il soggetto possa aver diritto alla detrazione.
In sede di liquidazione periodica mensile o trimestrale, deve essere poi liquidata la differenza tra Iva a debito e Iva a credito.
Inoltre, allo scopo di fornire all’AE. tutti i dati utili per contrastare l’evasione, i soggetti passivi devono comunicare
telematicamente, per ciascun cliente e fornitore, i dati di tutte le fatture emesse e ricevute nel trimestre.
➢ Le note di variazione
Dopo che una fattura è stata emessa o registrata può risultare che debba essere apportata una rettifica, in aumento o in
diminuzione, all’ammontare dell’imponibile o dell’imposta a seguito di inesattezze, errori o eventi successivi.
Nel caso di rettifiche in aumento, il cedente o prestatore deve emettere una nota di variazione in aumento, detta fattura
integrativa, disciplinata dalle stesse norme delle fatture normali.
Nel caso di rettifiche in diminuzione, dovute all’eliminazione del contratto o riduzione del corrispettivo, il cedente o prestatore
deve emettere una nota di variazione in diminuzione, detta nota di credito, di contenuto uguale e di segno contrario a quello
della fattura originariamente emessa, così da neutralizzare l’imposta. A titolo esemplificativo:
• Il cedente, che con l’emissione della prima fattura aveva un debito d’imposta, emettendo la nota di credito e andandola a
registrare nel registro degli acquisti, ha ora il diritto di detrarre l’Iva a credito pari al debito d’imposta della prima fattura,
• Il cessionario, che con il ricevimento della prima fattura aveva il diritto di detrarre l’Iva, ricevendo la nota di credito e
andandola a registrare nel registro delle vendite, ha ora un debito Iva pari alla detrazione effettuata in precedenza.
Le note di credito non possono essere emesse dopo un anno dall’effettuazione dell’operazione quando la causa della
variazione derivi da un sopravvenuto accordo fra le parti.
Le note di credito possono essere emesse anche come rimedio all’inadempienza del cessionario o committente sottoposto ad
una procedura concorsuale, in quanto la neutralità del tributo si realizza solo se il soggetto passivo, debitore dell’Iva verso lo
Stato, recupera l’Iva esercitando la rivalsa.
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La dichiarazione annuale può riportare un debito, che deve essere versato salvo compensazioni, o una eccedenza a credito,
che si origina quando l’Iva detraibile e i versamenti effettuati superano il debito d’imposta. L’eccedenza può essere:
• Compensata con debiti d’imposta diversi dall’Iva,
• Riportata a nuovo per essere compensato con le successive situazioni debitorie,
• Chiesta a rimborso. Per effettuare questa opzione è necessario che l’eccedenza sia superiore a 2.582,28 euro e che:
o Il contribuente eserciti prevalentemente operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle degli acquisti,
o Il contribuente effettui operazioni non imponibili per più del 25% di tutte le operazioni effettuate (esportazioni),
o Il rimborso sia limitato all’imposta relativa all’acquisto o importazione di beni ammortizzabili.
o Il contribuente stia cessando l’attività,
o La dichiarazione annuale sia risultata a credito per tre anni di seguito.
Se l’esecuzione dei rimborsi viene effettuata prima del termine per la rettifica della dichiarazione, il contribuente deve prestare
una apposita garanzia al fine di garantire la restituzione nel caso in cui il rimborso si rivelasse indebito.
Alcuni contribuenti possono poi chiedere i rimborsi accelerati, ovvero i rimborsi dei crediti emergenti dalle liquidazioni infra-
annuali. Essi sono i contribuenti che effettuano prevalentemente operazioni attive con aliquote inferiori a quelle degli acquisti
o i contribuenti le cui operazioni attive sono costituite per almeno il 25% da operazioni non imponibili.
➢ Split payment
Lo split payment è un meccanismo fiscale di scissione dei pagamenti. Esso prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni
che non esercitano attività commerciali (non soggetti passivi), di versare l’Iva direttamente all’Erario quando effettuano
acquisti da imprenditori. Questi ultimi devono emettere fattura con l’annotazione di scissione dei pagamenti e devono
annotarla nel registro delle vendite, senza però computare l’Iva a debito nella liquidazione periodica (non devono versarla).
La norma vale solamente per gli imprenditori, non riguarda i professionisti.
➢ Il principio di territorialità
Dal punto di vista spaziale, il campo di applicazione dell’Iva è il territorio dello Stato, dunque la territorialità è la condizione
senza la quale non si può verificare l’imponibilità e la rilevanza di un’operazione ai fini Iva.
Dal punto di vista della territorialità occorre distinguere tra: operazioni nazionali, imponibili, operazioni intra-Ue, soggette a
un particolare regime, e operazione extra-Ue, definite in senso tecnico come importazioni ed esportazioni.
I criteri di localizzazione delle operazioni soggette a Iva nel territorio dello Stato sono:
• Per le cessioni di beni si applica il criterio del luogo in cui si trovano i beni ceduti al momento della cessione,
• Per le prestazioni di servizi business-to-business si applica il criterio del luogo del committente,
• Per le prestazioni di servizi business-to-consumer si applica il criterio del domicilio o residenza del prestatore.
➢ Le operazioni intra-Ue
Gli scambi all’interno dell’Ue, detti acquisti intra-Ue e cessioni intra-Ue, tra soggetti passivi sono tassati nello Stato di
destinazione (a carico del cessionario):
• Gli acquisti intra-Ue sono operazioni imponibili in Italia. La procedura si articola in più fasi: il cessionario italiano deve
verificare che il cedente sia presente nell’archivio VIES e fornirgli il proprio numero di partita Iva, in seguito il cedente deve
verificare la presenza del cessionario nell’archivio VIES ed emettere fattura senza addebito di imposta. Il cessionario
italiano deve poi integrare la fattura ricevuta indicando in essa il corrispettivo, l’aliquota e l’imposta, e annotarla sia nel
registro degli acquisti che in quello delle vendite, così da neutralizzare l’Iva a debito con l’Iva a credito detraibile.
• Le cessioni intra-Ue sono operazioni non imponibili in Italia ma imponibili nel paese di destinazione. Di conseguenza, il
cedente italiano dopo aver verificato che il cessionario sia presente nel VIES, deve emettere fattura senza addebito di Iva.
I controlli fiscali sono fatti attraverso un sistema di scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali nazionali e attraverso
le dichiarazioni delle imprese, detti elenchi Intrastat, con cui presentano le transazioni effettuate con gli altri Stati membri.
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Gli scambi all’interno dell’Ue tra soggetto passivo e privato sono tassati nello Stato di origine (a carico del cedente). Di
conseguenza il bene acquistato, tassato con Iva nel paese in cui viene l’acquisto, è liberamente trasportabile in altri paesi
senza pagare l’Iva sulle importazioni, in quanto questa viene versata del debitore d’imposta nel paese di origine.
Gli acquisti degli enti non commerciali sono assoggettati alla disciplina business-to-consumer, ma al di sopra di una
determinata soglia, questi diventano acquisti intra-Ue.
➢ Le importazioni
Al fine di uniformare il trattamento fiscale dei beni provenienti dal territorio extra-comunitario a quello dei beni prodotti
all’interno dell’Ue, le importazioni sono tassate nello Stato di destinazione, e di conseguenza sono operazioni imponibili.
La base imponibile dell’Iva sulle importazioni è data dal valore della merce determinato secondo le disposizioni doganali, e,
non essendovi applicazioni dell’imposta sulle pregresse frasi produttive e distributive, l’Iva opera come imposta monofase.
L’Iva di confine è un tributo interno nonostante sia amministrata, accertata e riscossa dagli uffici e dalla legislazione doganale.
➢ I depositi Iva
Il diritto tributario prevede tre tipi di depositi Iva:
1. Il deposito doganale, per le merci extra-Ue soggette ai diritti doganali.
2. Il deposito Iva, per le merci nazionali e Ue soggette ad Iva,
3. Il deposito fiscale, per le merci nazionali e Ue soggette ad accisa.
I depositi Iva sono dei veri e propri luoghi fisici: l’immissione di un bene nel deposito consente la sospensione temporanea
dell’imposta. I beni extra-Ue sono immessi previo pagamento dei dazi doganali. In seguito alla sospensione dell’imposta:
• Per le merci intra-Ue, l’imposta è dovuta da chi estrae i beni dal deposito attraverso l’applicazione del reverse charge,
• Per le merci extra-Ue, l’imposta è dovuta da chi estrae i beni dal deposito ma deve essere versata dal gestore del deposito
in nome e per conto di colui che effettua l’estrazione (no possibilità di compensazione).
➢ Le esportazioni
Le esportazioni non sono soggette ad imposta, in quanto operazioni non imponibili. Sono suddivise in tre categorie:
• Cessioni all’esportazione,
• Operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione,
• Servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali.
Il regime di non imponibilità è applicato, oltre alle esportazioni, anche alle cessioni interne nelle operazioni triangolari e alle
cessioni ad esportatori abituali.
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