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Buddha Shakyamuni nacque come Siddhartha Gautama, figlio del Re degli Shakya,
Shuddhodhana, in un piccolo regno situato vicino ai piedi dell'Himalaya in una zona che
oggi si trova nel Nepal. Il palazzo dei Shakya era situato a Kapilavastu. Shakyamuni
nacque nei giardini Lumbini in una zona dove oggi c'è il villaggio di Padeira nel sud di
Nepal. Secondo le Jataka, egli nacque dal fianco della madre Maya, sotto un albero nei
giardini Lumbini. Sette giorni dopo la nascita, però, la madre morì all'improvviso. E,
così, la sorella di Maya, Mahaprajapati, fece da matrigna al bambino.
Il Re, ritenendo che il suo figlio sarebbe potuto diventare il prossimo re, confinò
Siddhartha nel palazzo di Kapilavastu, fornendogli divertimenti, articoli di lusso e tutte le
altre necessità. Il Re contornò il giovane principe, inoltre, di tante giovani ragazze assai
belle ed altri giovani di compagnia, belli e piena di salute. Il Re temeva che se il principe
avesse scoperto la vera realtà del mondo, avrebbe cercato una soluzione alle sofferenze,
ed avrebbe rinunciato il trono.
Mentre viveva ancora nel palazzo, Siddhartha si sposò con una bellissima ragazza che si
chiamava Yashodhara, la quale generò un figlio che si chiamava Rahula. Anche se il
giovane Siddhartha aveva tutto che voleva o di cui avesse bisogno, man mano crebbe il
desiderio di avventurarsi fuori Abbandonando la vita da principe, Siddhartha lasciò il
palazzo di nuovo, per studiare e conoscere a fondo la meditazione yogica, ed altre
pratiche austere. Osservò queste pratiche per un periodo di 6 anni, e superò in questo
anche i suoi maestri . Però, alla fine, Siddhartha rifiutò tutte queste austerità. Si accorse
che queste pratiche erano inutili e non potevano portare una persona alla vera liberazione
o all'illuminazione. Ma che anzi lo rendevano debole; decise allora , a differenza di altri
ascetici, di accettare e mangiare una scodella di riso e latte, offerta dalla fanciulla Sujata.
Dopo aver mangiato si riprese,e con una determinazione rinnovata viaggiò verso la
cittadina di Gaya
Siddhàrtha ,durante il tragitto, si ricordò che, una volta, prima di lasciare il palazzo,
aveva sperimentato uno stato meditativo spontaneo alla vista di un contadino
intento ad arare un campo. Notando quanti fossero, nel solco dell'aratro, gli insetti e
i vermi uccisi e vedendo la fatica dell'uomo, egli era stato sommerso dalla
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compassione, e la sua mente aveva raggiunto il primo dhyàna che procura pace e
beatitudine; decise allora di ritrovare quello stato e di servirsene.
Vedendo davanti a sé un albero di pipalo, sistemò al suolo uno strato di erba kusha
offertagli da un contadino e fece voto di restare a meditare ai piedi di quell'albero fino
a raggiungere l'Illu-minazione. Sedutosi a gambe incrociate sul "trono di diamante"
(sans. vajràsana), rimase così, in meditazione, per quarantanove giorni, senza
muoversi né mangiare.
Poco prima di conseguire l'Illuminazione perfetta, il Beato subì i violenti attacchi di
Màra, "il Maligno", e condusse la sua ultima battaglia interiore contro l'attaccamento,
la collera, l'ignoranza e la moltitudine delle passioni simboleggiate dall'esercito di
Màra. Questi gli apparve inizialmente sotto l'aspetto di Kàma, il dio della sensualità,
armato di frecce e accompagnato da tre desiderabili giovinette. Ma il Siddhàrtha
restò imperturbabile.
Màra fece appello, allora, al senso del dovere del principe: «Alzati, o guerriero, segui il
Dharma della tua casta, rinuncia al Dharma della liberazione! Non si addice a un principe
vivere come un mendi cantei», ma in vano. Furioso, il Maligno scatenò contro il futuro
Buddha le sue orride truppe, composte da mostri deformi d'ogni genere: si levarono venti
di tempesta, gnomi grotteschi vestiti di serpenti e demoni dal volto butterato e dal ventre
enorme gli scagliarono addosso asce, frecce, massi e tizzoni ardenti grandi come
montagne. Ma questi proiettili si fermavano a mezz'aria, trasformati in una pioggia di
fiori grazie alla meditazione del Bodhisattva.
Alla fine Màra esclamò: «Siddhàrtha, alzati da quel trono, che mi appartiene!». Il
Bodhisattva rispose: «Màra, tu non hai agito né per la conoscenza, né per il bene del
mondo né per l'Illumina-zione. Questo trono non ti appartiene, è mio». «Ma chi potrà
essere testimone della tua Illumina-zione?» replicò Màra. Allora il Buddha toccò la terra,
dicendo: «La terra mi è testimone». Essa tremò, e apparve la dea della terra: «Ne sono
testimone!» disse. Màra fu sconfitto, e il suo esercito indietreggiò e scomparve.
Durante la prima veglia si ricordò di tutte le sue vite precedenti.Durante la seconda, vide
il karma degli esseri senzienti e il ciclico succedersi delle loro rinascite nella sofferenza.
Durante la terza, poco prima del levar del sole, realizzò la natura impermanente e
condizio nata di tutti i fenomeni e conseguì la piena Illuminazione, il perfetto Risveglio
di un buddha,che descrisse con queste semplici parole «Profondo, quieto, privo di
complessità, chiara
luce incomposta».Per una settimana il Buddha contemplò il senso della sua scoperta.
Scoppiò un gran temporale e Mucilinda, re dei nàga, emerse dalla terra con i suoi sudditi,
avvolse il corpo del Buddha fra le sue spire e, per proteggerlo, gli allargò sulla testa il
proprio cappuccio.
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Dopo raggiunto la liberazione dalle sofferenze del ciclo eterno di vita e morte,
Sakyamuni provò una gioia enorme. Nello stesso tempo, però, volle raccontare a tutti la
sua scoperta, così che anche loro potessero godere gli stessi benefici della sua
illuminazione. Comprese che sarebbe stato molto difficile spiegare questa scoperta alla
gente e renderla comprensibile, ma intuì che era sua la grande responsabilità d'indicare la
via per essere salvati da "duhkha" (sofferenza) ed entrare nel reame della Buddhità.
Il primo sermone del Buddha Sakyamuni fu quando predicò ai 5 ascetici con cui aveva
iniziato le varie austerità. Durante questo sermone, il Buddha insegnò loro le 4 Nobili
Verità seguite dalla Via Ottuplice sentiero
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transitorio, spinti dal desiderio (trsna, in pali: «tanha» o
«brama») per ciò che non è soddisfacente. Si manifesta
nelle tre forme di kamatrsna o «desiderio di oggetti
sensuali»; bhavatrsna o «desiderio di essere»; vibhavatrsna
o «desiderio di non essere».
1) Retto intendimento
(samma ditthi) cioè il
riconoscimento delle
"Quattro Nobili Verità"
attraverso la loro corretta
conoscenza e la
conseguente loro corretta
visione.
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3) Retta Parola (samma
vaca) cioè l'assunzione della
personale responsabilità delle
nostre parole, ponendo
attenzione nella loro scelta e
ponderandole in modo che
esse non producano effetti
nocivi agli altri e di
conseguenza a noi stessi; ciò
significa anche che il nostro
agire deve essere improntato
al nostro parlare e
corrispondere ad esso.
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5) Retta Condotta di vita
(samma ajiva) cioè vivere in
modo equilibrato evitando gli
eccessi, procurandosi un
sostentamento adeguato con
mezzi che non possano
arrecare danno o sofferenza
agli altri. Questo comporta
anche la corretta padronanza
delle proprie intenzioni, in
modo che esse siano sempre
orientate e dirette lungo la
linea mediana di condotta di
vita (majjhama patipada)
attraverso una corretta azione
(samma kammanta).
7) Retta Consapevolezza
(samma sati) cioè la capacità
di mantenere la mente priva
di confusione, non
influenzata dalla brama e
dall'attaccamento (trsna)
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8) Retta pratica della
meditazione (samma
samadhi) cioè la capacità di
mantenere il corretto
atteggiamento interiore che
porta alla corretta padronanza
di sé stessi durante la pratica
della meditazione (dhyāna).
Che Sakyàmuni sia un personaggio storico non pare possa dubitarsi, ma è altrettanto certo
che nella sua biografia sono concorsi, con l'andar del tempo, molti elementi leggendari,
echi e risonanze ed aspettazioni del mondo religioso che intorno ai fedeli a lui
contemporanei od a lui posteriori si agitava. L'età della sua morte, della sua definitiva
entrata nel nirvana, sembra debba fissarsi intorno al 478 a. C.
Egli non scrisse nulla, ma molto insegnò: i suoi discorsi vennero raccolti e tramandati dai
discepoli. Questa trasmissione orale ha naturalmente grandi svantaggi: è soggetta a
reticenze, aggiunte ed interpolazioni che non c'è modo di controllare. Tanto più che
dissensi e ostilità contro il maestro non mancarono neppure quando egli era vivente e più
accesi si fecero subito dopo la sua morte.
Ma anche grandi vantaggi.non vi sono infatti Papa Buddisti o professione di fede e
,sebbene durante i primi anni si siano tenuti alcuni concili ,non vi è mai stato un
tentativo di imporre un uniformità dottrinale all’intero mondo monastico per non parlare
di quello laico.
Due sono le correnti principali del Buddismo : dei Realizzatori Solitari e il Mahayana
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La Dottrina dei Realizzatori Solitari
L'insegnamento del Buddha, nelle sue linee generali, è semplicissimo. Tutte le cose interne
ed esterne, cioè il nostro insieme psicofisico e la realtà che ci circonda, sono impermanenti -
un susseguirsi di punti-istanti che danno l'illusione della continuità - e proprio perché
impermanenti, dolorose. Questi punti-istanti si condizionano l'un l'altro.
Non tutta la realtà si esaurisce tuttavia nel dolore. Il buddhismo non è pessimista e il
dolore, l'esistenza fenomenica, il samsara, può essere superato. Il superamento delle
cause essenziali che lo determinano, l'ignoranza e la brama, porta automaticamente con sé
la cessazione del loro effetto e la manifestazione di una nuova dimensione della realtà,
chiamata con un termine famoso, che significa «estinzione», nirvana. La produzione di
un nuovo karman e quindi la continuazione dell'esistenza, la serie delle nascite e delle
morti, dipende dalla brama (tanna, trsnà). L'estinzione della brama porta con sé la non
produzione di altro karman. La cessazione del dolore e la conseguente manifestazione del
nirvana rappresentano il fine supremo della dottrina buddhista. Il metodo, il cammino che
conduce a questa cessazione, Il metodo, il cammino che conduce a questa cessazione,
forma come vedremo l'oggetto della quarta nobile verità, la verità della via (magga,
marga,) che porta alla cessazione del dolore. Il nirvana è il piano del non condizionato,
del non coeffettuato (asamskrta,).
Dice il Beato:
“Due piani di realtà (dhatu) esistono, o Ananda, quello coeffettuato e quello non
coeffettuato. Questa è la cosa più alta, la cosa più eccellente, cioè a dire la
pacificazione di tutti i coefficienti, la liberazione da ogni forma di esistenza, la
distruzione, la soppressione, la cessazione della brama, il nirvana”
nirvana è l'unica cosa che non fa parte del meccanismo della coproduzione
condizionata.
“Esiste un non-nato, un non-prodotto, un non-fatto, un noncondizionato; se non
esistesse un non-nato non vi sarebbe via di uscita per ciò che è nato; ma, essendoci un
non-nato, v'è via d'uscita per ciò che è nato, prodotto, fatto, condizionato.”
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Nella misura che è di là da ogni esistere condizionato, il nirvana si sottrae, in realtà, a
ogni definizione. Di esso non si può dire né che è un annichilamelo né che è una forma di
esistenza. L'unico modo di indicarlo è quello di attribuirgli caratteri contrari a quelli
dell'esistenza fenomenica. Il nirvana, in questo senso, è immortale, permanente, stabile,
senza fine, incontaminato, è riposo, pace, sicurezza e via dicendo.
Il nirvana si presenta in due modi diversi, secondo che il Santo (arahant, arhant) che lo ha
raggiunto sia ancora in vita o sia morto. Nel primo caso, il Santo ha soppresso in sé ogni
forma di brama e quindi elimina ogni impulso karmico, fonte di future esistenze. Questa
eliminazione non cancella però gli elementi della sua esistenza attuale, cioè gli aggregati.
Questi sono determinati dalle azioni commesse in passato e ora in via di fruttificazione,
senza possibilità di arresto fino alla morte. Il corpo del Santo continua ad esistere e a
obbedire al meccanismo della coproduzione condizionata, nonostante la brama e l'igno-
ranza, fonte di nuovo karman, siano state recise alla radice. Questa forma di nirvana è
tecnicamente chiamata ti sopadhisesanirvàna, cioè nirvana fornito di resto. Dopo la morte
il Santo raggiunge il supremo nirvana, il nirvana.
Come abbiamo visto il Buddismo suppone che lo svolgimento della vita
corrisponda ad un processo Karmico, il cui centro e motore è la volontà umana: la
vita è divenire, il divenire per presupposto è dolore. Bisogna conoscere questo processo
per provocarne l'arresto. Come si vede questa legge ha valore soprattutto psicologico
ed etico.
L'individuo così come l’intero universo ,secondo il Buddismo, è risultano dei seguenti
elementi(dharma)
1) La terra,
2) L’acqua
3) Il fuoco
4) L’aria
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arrestate e il piano dell'assoluto (dharmadhàtu) è avverato. Il vijnanà dunque prende il
posto dell'anima (àtman o jiva): esso è il centro della personalità e della
responsabilità umana; sia pure rarefatto e sottile esso è una sostanza, ma non
un'essenza che trasmigra o di cui siamo partecipi, come l'atman: è legato ad un
particolare individuo, e capace, in virtù del carma di cui è carico, di proiettarsi come
centro di raccolta di nuovi aggregati in una futura esistenza.
La letteratura canonica specificherà ancor meglio che non esiste un io. La persona umana
è un composto di cinque costituenti (skandha): corporeità (rùpa), percezione (vedano),
sensazione (samino),
Il divenire continuo degli aggregati è regolato da un meccanismo rigoroso, che non patisce
eccezioni, basato sul karman (pali kamma), «azione» o «atto». Ogni azione, buona o
cattiva, fatta consapevolmente, produce un effetto o frutto, che maturerà fatalmente,
quando se ne presenteranno le condizioni favorevoli, in questa vita o in esistenze future,
non importa quanto distanti nel tempo e nello spazio. «Le nostre azioni non periscono
neanche in centinaia delle migliaia di ere cosmiche, ma giunto il momento e l'insieme delle
condizioni favorevoli, daranno un frutto per gli esseri corporei.»9 La sorte che mi è stata
data in questa vita, se sono uomo, pianta o animale, essere infernale, spirito o divinità è
dunque il frutto di azioni precedenti, cui nessuno può sfuggire. Il karman appartiene alla
natura delle cose (clharmatà,), la quale, come dicono i dottori indiani, è inquestionabile, è
una legge naturale, indipendente, nel suo svolgersi, dai nostri concetti di giustizia morale,
di ricompensa o punizione. Un'azione buona matura, per natura, in un frutto buono,
un'azione cattiva in un frutto cattivo. Il karman, l'azione, non è, secondo i buddhisti,
l'azione esterna, materiale, ma l'intenzione o volizione che determina l'azione stessa.
«L'atto, o monaci, io dico che è la volizione (cetana); infatti, poi che ha voluto, uno fa
l'azione col corpo, con la parola e con la mente.» L'azione porta dunque con sé un risultato,
un frutto di retribuzione (vipaka) soltanto se è stata prodotta volontariamente ed è quindi
qualificabile come buona o cattiva. Il frutto, da parte sua, è una conseguenza, per così dire,
automatica, involontaria, dell'azione cosciente, eticamente indifferente (avyakrta),
costituita necessariamente
Compresa la legge Karmika e le cause del dolore in quale modo è possibile superare
il dolore. ?
La via, il cammino che porta al superamento del dolore, è, tutto nel sermone di
Benares,: il Nobile ottuplice sentiero. Le otto parti che lo costituiscono sono, per
antica tradizione, divise in tre diversi gruppi, cioè conoscitivo o noetico, morale e
contemplativo. Il primo gruppo, quello conoscitivo, è costituito dai primi due membri,
cioè retta visione e retto pensiero. Il gruppo morale comprende la retta parola, la retta
azione ed il retto modo di vita. Gli ultimi tre membri, il retto sforzo, la retta
attenzione e il retto raccoglimento, formano il gruppo contemplativo. L'osservanza
delle prescrizioni di carattere etico costituisce il primo e indispensabile gradino della
vita religiosa (brah-macarya), ma essa, da sola, è di per sé insufficiente a mandare a
effetto la cessazione del dolore. Questa richiede, da parte del discepolo, la pratica dei
tre elementi contemplativi del cammino, i quali purificano la mente e la preparano
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alla comprensione della realtà delle cose, rappresentata dalla retta visione e dal retto
pensiero. In realtà le tre parti del cammino sono un tutto unico e indissolubile. Il buon
successo del percorso dipende dal perfetto equilibrio dei suoi vari componenti. Ma
accenniamo adesso brevemente alle pratiche contemplative del buddhismo antico, le
quali sono uno degli elementi più importanti della concezione buddhista.
Gli stadi iniziali della tecnica contemplativa buddhista cadono sotto il settimo
membro dell'ottuplice sentiero, cioè la retta attenzione. Il discepolo deve diventare
perfettamente consapevole di tutti gli atti e movimenti del corpo, delle sue sensazioni,
delle sue percezioni, dei vari moti
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La comprensione di queste quattro meditazioni richiede qualche accenno alla cosmologia
buddhista. I mondi sono infiniti in uno spazio infinito. In questa infinità che appartiene
sempre al divenire e che, come s'è visto, è senza principio, il buddhismo distingue tre piani,
sfere o regioni, via via superiori. Il piano esistenziale in cui noi ci troviamo è chiamato «la
regione del desiderio» Dharmadhatu , popolata da cinque specie di esseri o pseudoindivi-
dui: creature infernali, animali, spiriti famelici, uomini (in talune liste figurano anche
gitanti-dèi, asura), più i cosiddetti dèi del desiderio (kàmadeva), di cui sono sei categorie.
Alla seconda sfera, chiamata «regione della forma» (rùpadhàtu), danno accesso appunto le
quattro meditazioni di cui si è parlato. Questa regione è popolata da quattro specie di dèi,
divisi in diciassette categorìe. Più in là di essa, c'è la «sfera della non forma»
farùpadhàtu^ che si divide a sua volta in quattro parti. U accesso a essa si deve a quattro (o
cinque) specie di raccoglimenti (samà-patti), differenti e superiori alle meditazioni
anzidette, corrispondenti a quattro regioni chiamate Infinità dello spazio, Infinità della
coscienza, Infinità del niente e Assenza d'ogni nozione e non nozione, detta anche «som-
mità del divenire» (bhavagga, bhavagra) . Le diverse categorìe di dèi che popolano il piano
della Forma e della Non forma sono in una condizione di felicità. Anch'essi, tuttavia, fanno
parte del divenire e, esauritisi i meriti spirituali per cui sono diventati dèi, saranno di
nuovo travolti dal ciclo del divenire, di rinascita in rinascita, sicché il loro stato di felicità
è puramente transitorio.
Le Scritture Canoniche
1. Il Suttapitaka (sanscr. Sùtrapitaka) vale a dire i sùtra che contengono la parola del
Buddha, i suoi discorsi ed i suoi insegnamenti;
2. Il Vinayapitaka, il Vinaya, regole monastiche che prescrivono quello che un monaco
deve fare o deve evitare;
3. Abhidhammapitaka (sancr. Abhidharmapitaka), Abhi-dharma, la sezione dottrinale
probabilmente più tarda.
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Le Dottrina Mahayana
Introduzione
La seconda corrente presente nel Buddismo è il Mahayana . "Grande veicolo" sorta nel
primo secolo dopo cristo.
Questo termine designa l'insieme degli insegnamenti buddhisti fondati sui sutra che
proclamano il primato dell'ideale del bodhisattva e della compassione universale sulla
liberazione, la duplice vacuità del sé individuale e dei fenomeni esterni, la dottrina dei tre
corpi dei buddha (sans. trikàya) e la presenza di innumerevoli buddha e bodhisattva
pronti ad aiutare gli esseri senzienti immersi nella confusione e nelle sofferenze del
samsàra. Nella classificazione indo-tibetana questi sutra sono considerati provenienti dal
secondo e dal terzo avvio della ruota del Dharma, diversamente dai sutra dell'Hìnayana,
che costituiscono gli insegnamenti del primo avvio della ruota. In tal senso il Mahàyàna
si distingue nettamente dall'Hinayàna, o piccolo veicolo, che riconosce soltanto i sutra
detti del primo avvio della ruota ruota e confuta tutti i punti suddetti.
Riguardo alla disciplina monastica, il Mahayana adotta le regole del Vinaya proprie del
l'Hìnayàna, ma estende la possibilità dell'emancipazione spirituale non limitandola più
alla sola vita monastica e stabilisce un proprio codice etico, quello dei bodhisattva.
Ma a quale scopo ?
Il Buddha espone il proprio insegnamento spinto da una infinita compassione per gli
esseri senzienti, e tutti i suoi insegnamenti sono esattamente commisurati al livello di
coloro che sono destinati a riceverli: qualunque loro adattamento, a patto che sia
animato dalla compassione e dalla sapienza del Bodhisattva, e che sia adatto a chi lo
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deve ricevere, è dunque parte integrante della dottrina buddhista. Il Buddha, o un
Bodhisattva, è perfettamente capace di impartire anche insegnamenti non buddhisti, se
ciò assicurasse il bene degli esseri senzienti
Nel sutra del loto vi sono molte parabole che illustrano efficacemente la teoria dei
mezzi abili
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Oppure si racconta del Il figlio di un certo uomo, aveva lasciato la casa paterna,
aveva vagato per il mondo, e si era ridotto alla più nera miseria. Nel frattempo, per
contrasto, gli affari del padre si erano ben j avviati in un'altra città, e l'uomo era
divenuto molto ricco. Il figlio capita un giorno nella casa del padre, e mentre egli
non riconosce più né il padre né la nuova dimora, il padre lo riconosce
immediatamente e manda un servo ad accoglierlo con tutti gli onori. Ma il figlio,
ahimè, è terrorizzato. L'uomo capisce allora che deve abituare gradualmente il
giovane all'idea di essere suo figlio e l'erede di tutte le sue ricchezze. Così,
inizialmente, offre al giovane lavori molto umili e gravosi (il raggiungimento della
condizione di Arhat), e affinchè egli esegua bene i suoi compiti, lo promuove a gradi
sempre più elevati. Infine, comincia a comportarsi con lui come con un vero e proprio
figlio e quando sta per morire, annuncia a tutti che quell'uomo è in realtà suo figlio e
il suo erede naturale. Il figlio, ovviamente, è preso dalla più intensa gioia (capitolo 4).
Il senso della parabola è evidente, come nel caso di tutte le buone parabole. Altrove,
l'insegnamento del Buddha viene paragonato alla pioggia che scende imparzialmente
su tutte le piante: ciò nonostante, questa pioggia viene assorbita e impiegata da ogni
pianta secondo la sua specifica natura (capitolo 5). Tale parabola, famosa in tutta
l'Asia orientale, ispirò questa deliziosa poesia giapponese di Shunzei (1114-1204):
La delicata pioggia di primavera sia là in fondo sia qui vicino sia sugli alberi sia sulle
erbe tutto ugualmente tinge dovunque del suo fresco verde.
È questo, dunque, il messaggio fondamentale della prima metà del Sutra del Loto: la
proclamazione degli abili mezzi del Buddha, della dottrina dell'Unico Veicolo, e
della gioia assoluta con la quale i discepoli del Buddha scoprono che potranno, e in
effetti dovranno, raggiungere la Perfetta Buddhità. Le mete della condizione di Arhat o
di Pratyekabuddha in realtà non esistono. Già in questa prima metà del Sutra del Loto
cominciano a verificarsi eventi straordinari, che adombrano l'altrettanto stupefacente
messaggio della seconda parte del testo.
Tra lo stupore dei convenuti, il sùtra descrive infatti la comparsa di un altro Buddha:
un Buddha proveniente dal passato, di cui nulla si sapeva, denominato Prabhùtaratna
(capitolo 11). Egli si manifesta in ciclo, all'interno di uno stupa che fluttua nell'aria, e
dichiara di aver tanto ammirato il Sutra del Loto da aver fatto voto di essere presente
ovunque esso fosse predicato. In queste parole, possiamo scorgere il riflesso di nume-
rose asserzioni. Innanzitutto, con ciò si afferma implicitamente che il Sutra del Loto
non è nuovo, e che la sua predicazione fa parte del ministero di ogni Buddha. In
secondo luogo, veniamo a sapere che può esistere più di un Buddha nel medesimo
tempo e nel medesimo posto. In terzo luogo, ed è questa l'implicazione sicuramente
più radicale, con ciò si nega uno degli insegnamenti basilari delle scuole non-
Mahàyàna, vale a dire il fatto che il Buddha, dopo il suo parinirvàna (morte), o
dopo il suo apparente parinirvàna, trascenda completamente ogni possibilità di
richiamo e recida a tutti gli effetti ogni relazione con gli esseri che ha in tal modo
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abbandonato. Qui, invece, Prabhùtaratna, che pure dovrebbe essere morto, appare
radioso e possente.
Proprio l'affermazione che il Buddha permanga, che non abbandoni i suoi figli, ma
continui compassionevolmente a soccorrerli in infiniti modi, rappresenta il perno della
seconda metà del Sùtra del Loto. Il Buddha, in realtà, non è morto. Viene paragonato a
un grande medico, i cui figli sono stati avvelenati: egli prepara rapidamente
l'antidoto, ma la mente di alcuni dei suoi figli è tanto sconvolta che essi preferiscono
ignorare la medicina. Il padre, allora, finge di morire e si allontana da loro. Quando
quei figli, per la violenta emozione, tornano in sé e finalmente pren-
dono l'antidoto, il padre ricompare: la sua morte non era altro che un abile mezzo
(capitolo 16). Pertanto Il Buddha è tuttora con noi.
1. Il Kamadhatu o mondo del desiderio dove tutti gli esseri senzienti inclusi gli Dei
in sanscrito Deva sono dominati dal desiderio (kama)
2. Rupadhatu o mondo della forma dove dimorano quegli Dei che hanno uno
straordinario corpo sottile rupa ed gli organi di luce e che non sono più dominati
dai desideri grossolani (kama)
3. Arupadhatu o mondo senza forma dove gli uomini non hanno forma e esistono in
una dimensione di coscienza cosmica .
Per il Mahayana ,come abbiamo già visto,lo Stato di Arhat non è il raggiungimento
della meta finale ;per conseguirla bisogna rinascere nei pian superiori di esistenza .
Esistono dieci terre attraverso quali si purifica il proprio flusso di coscienza e si
acquisisce via via un corpo sempre meno grossolano e sempre più luminoso e sottile
fino a raggiungerel’illuminazione come Sambhogakaya nella terra pura di Akanistha
posta in cima al Rupadhatu
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Gli infiniti esseri del Kamadathu ,per via delle loro oscurazioni ,non possono percepire il
Sambhogakaya e allora per loro, il Buddha manifesta innumerevoli proiezioni o
emanazioni (nirmitas) della sua forma ,conosciuti come Nirmanakaya o corpi di
emanazione(sprul-sku).
I testi spesso paragonano il .Il Sambhogakaya al sole i cui raggi luminosi splendono
ovunque .
Benché vi sia unico sole nel cielo mille rivoli d’acqua sono in grado di riflettere
immagini di esse che sono il Nirmanakaya.Ma soltanto quando il praticante ha raggiunto
la via della visione (il darshana-marga il terzo tra i cinque sentieri) ha purificato
sufficientemente le sue oscurazioni.In questo modo può vedere il Sambhogakaya e
sentire direttamente i suoi insegnamenti.Gli esseri oscurati sono solo capaci di percepire
il Nirmanakaya.
Per i sutra Mahayana quindi non solo l’illuminazione non si acquisisce in questa terra
ma si devono sviluppare i tre kaya : Dharmakaya ,Sambhogakaya,Nirmanakaya
In origine nell Hinayana il Buddha oltre ad un corpo fisico aveva un chiamato 'corpo
fatto di mente', o 'corpo di emanazione',
Questo secondo corpo che usava per compiere miracoli come ad esempio la visita alla
madre morta. Venne sollevato anche il problema di chi precisamente dovessero onorare
i buddhisti quando veneravano il Buddha. Il corpo fisico, che morì di dissenteria, venne
cremato, e le ceneri distribuite tra i fedeli e chiuse negli stùpa? Oppure qualcosa di
meno corruttibile? Venne coniato un termine per indicare un corpo più metaforico, un
corpo inteso come una raccolta di tutte le qualità, o dharma, del Buddha: saggezza,
compassione, fermezza e pazienza. Questo insieme di qualità venne chiamato
dharmakàya, e identificato con il corpo del Buddha a cui ci si rivolge per rifugio.
E’ bene sottolineare che il Buddha non è mai stato considerato un essere umano e non è
descritto in questo modo da nessuna tradizione Buddhista .Egli infatti appare sempre
come l’incarnazione di tre dimensioni :quella fisica ,quella “spirituale”(la sua
esemplificazione della vera natura delle cose che dimostra la sua condizione di perfetta e
di piena illuminazione)e quella magica cioè la sua compassionevole abilità e
propensione ad intervenire magicamente per il bene degli altri esseri.
Queste tre dimensioni rivelano l'incarnazione della perfetta sapienza, vale a dire la
conoscenza della vera natura delle cose, e della compassione, vale a dire l'intervento
magico, che sono i due elementi costitutivi fondamentali della Buddhità, nel corpo
fisico del monaco che abbiamo la fortuna di incontrare. Noi, peraltro, possiamo
divenire illuminati non in virtù del semplice incontro con lui, ma seguendo i suoi
insegnamenti fino ad incarnarli nella nostra stessa presenza fisica. Il corpo del Bud-
dha, e i suoi interventi magici, non sono in effetti che strumenti funzionali alla
conoscenza della Verità da parte di altri esseri. In tal modo, con l'affilata spada
della nostra sapienza, 'uccidiamo' il Buddha fisico, con ciò trascendendo la
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dimensione fisica e pervenendo alla vera natura delle cose che egli incarna ed
esemplifica. Da questo punto di vista, ovviamente, la concreta morte fisica del Buddha,
dell'Illuminato, non appare una tragedia tanto grave.
Tutto questo venne ampliato nel Mahayana. Il corpo di emanazione non fu più il
corpo usato dal Buddha in occasioni particolari per compiere atti miracolosi, ma
divenne l'unico corpo apparso nel mondo, l'unico corpo visibile agli esseri umani. Fu il
corpo di emanazione a nascere come principe, e fu il corpo di emanazione che si recò in
città su un cocchio e che rinunciò alla vita principesca; e fu il corpo di emanazione che
raggiunse l'illumuiazione e insegnò il dharma al mondo. Ciò significa che il Buddha che
noi conosciamo è un'apparizione magica. Inoltre il Buddha, nelle sue emanazioni, non
era confinato nella forma splendente che ci è così familiare grazie all'iconografia
buddhista. Poteva apparire sotto forma di oggetto inanimato, di una frase o una parola
ispirante, di una brezza rinfrescante, di un ponte su un fiume altrimenti invalicabile.
Poteva manifestarsi in forma umana, soprattutto come musicista o pittore.
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ingiustificabile rigidità alla dimensione fisica del Buddha, anziché a quel dharmakaya
che, come tutti ammettevano, lo stesso Buddha aveva indicato come guida della
Comunità dopo la sua morte.
Per Nagarjuna Coloro che si preoccupano delle prove della autenticità storica, o
delle reliquie, quando ciò che conta è solo la realizzazione, non si possono definire
altro che stolti.
E’ significativo il fatto che il dharmakàya sia la base degli altri due corpi del
Buddha in quanto essi rappresentano la compassione del Buddha stesso. Essi, dunque,
non sono fondamentalmente veri, ma come l'illusione fenomenica di chi non è
illuminato si costruisce sulla base della coscienza, così gli altri due corpi del Buddha
si costruiscono, in virtù della compassione, sulla base della pura coscienza non duale
del Buddha,
Infatti ,l'idea della divinizzazione implica per i lettori occidentali una radicale
deumanizzazione (o sovraumanizzazione) che invece risulta fuorviante nel contesto
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indiano. La divinizzazione, vale a dire l'attribuzione a un determinato essere di qualità
divine, era infatti del tutto comune nell'India antica, e non aveva affatto quelle
implicazioni drammatiche che si attribuiscono a essa nell'ambito di una cultura
monoteistica: il fatto, cioè, che l'essere così divinizzato entri a far parte di una cate-
goria del tutto diversa da quella degli uomini comuni
Bisogna comprender che nell'India antica, la divinità era a buon mercato Il re, i
Bramini, i santi asceti, le stesse vacche venivano tutti chiamati dèi, o dèe; secondo
alcuni dei codici di leggi, anche l'oro e il burro purificato erano dèi. Inoltre, potevano
essere dèi gli alberi, e un dio dimorava comunque nell'intimità di ogni casa sotto
forma di Agni, il Fuoco. Era del tutto naturale, dunque, parlare del Buddha nei
termini che di solito venivano usati per gli dèi, e ciò non implicava molto di più che
un atteggiamento di profondo rispetto e umiltà da parte dei suoi seguaci. In un
mondo privo di una rigida dicotomia tra sacro e profano, tra Dio e creato, e nel
quale i confini fra il divino e l'umano sono mutevoli, non si poteva nemmeno
concepire che Siddhàrtha Gautama, una volta divenuto il Buddha, l'Illuminato, fosse
considerato come un qualunque essere umano. Il Buddha,infatti, aveva scoperto
verità sconosciute ai sacerdoti Bramini e agli stessi dèi. In un cosmo in cui, secondo
la concezione buddhista, gli esseri umani possono divenire dèi per i meriti acquisiti, e
gli dèi precipitare nei più profondi inferni.per l'esaurimento di quegli stessi meriti, il
Buddha aveva trasceso il ciclo stesso della rinascita, e quindi la condizione tanto di
uomo quanto di dio. Anche se, per rispetto, gli si possono attribuire particolari qualità
divine, il Buddha, in quanto essere illuminato, viene dunque preposto e contrapposto
sia agli uomini che agli dèi. Nella stessa tradizione Theravada, ove l'aspetto umano
del Buddha è particolarmente evidenziato, il Signore nega di essere un uomo o un dio:
egli, piuttosto, afferma di essere un Buddha, simile in ciò a tutti i Buddha che
l'avevano preceduto e a quelli che l'avrebbero seguito.
La Compassione
Secondo il Bodhipathapradtpa di Atisa, gli esseri, in relazione alle loro prospettive o
aspirazioni, possono essere divisi in tre categorie: gli inferiori, i mediani, e i superiori.
Coloro che hanno una prospettiva inferiore non mirano che a se stessi: sono egoisti, e
agiscono solo in funzione dei piaceri del samsàra, o nella vita presente o in una
futura rinascita. Altri testi specificano che una simile prospettiva o aspirazione non
può essere in alcun modo definita 'religiosa'. Coloro che appartengono alla seconda
categoria, che hanno, cioè, un'aspirazione mediana, rinunciano ai piaceri della vita e
si astengono dagli atti immorali. Essi agiscono al fine di raggiungere una pacificazione
personale: vale a dire, di pervenire all'illuminazione propria di un Arhat. Ma coloro che
hanno la prospettiva superiore, più elevata, cercano di dissolvere ogni forma di
sofferenza del loro prossimo, poiché il dolore del loro prossimo è in realtà il loro
stesso dolore. Atisa ha scritto il suo Bodhipathapradtpa proprio per quest'ultima
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categoria: per gli esseri superiori che seguono il sentiero del Bodhisattva delineato dal
Mahàyàna.
Abbiamo, dunque, i normali esseri di questo mondo; coloro che seguono il sentiero
del nirvana di un Arhat: e infine i Bodhisattva che aspirano a dissolvere il dolore di
tutti gli esseri senzienti.Solo gli ultimi possono essere considerati i veri seguaci del
Mahayana.
Esso è simile alla pietra filosofale, Poiché trasforma il corpo impuro che
abbiamo assunto Nell'inestimabile gioiello della Forma di Buddha.
Pertanto afferra saldamente questa Mente del Risveglio.
Come posso sondare gli abissi Dell'eccellenza di questo gioiello
della mente, La panacea che solleva il mondo dal dolore E che
è l'origine di tutta la sua gioia?
Il seguace Mahayana si propone di diventare un essere illuminato solo per liberare gli
esseri dal dolore e condurre anch’essi alla liberazione
Le Paramita
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Con lo sviluppo del bodhicitta, come afferma il Sùtra dei Diecimila Stadi, o Dasabhumika
Sùtra, il Bodhisattva raggiunge il primo degli stadi (bhùmi) del sentiero che conduce alla
Buddhità ma per proseguire nel sentiero bisogna sviluppare le Paramita
Sono dette trascendenze perché il loro momento e la loro natura sono puri, e perché per
mezzo loro si ottengono risultati supremi.
Senza lo sviluppo di prajnà mediante lo studio e la pratica congiunti, non si può quindi
parlare di pàramita, ma solo di azioni ordinarie. Le pàramita risultano infatti dalla Visione
della bodhicitta assoluto la vacuità applicata nell'azione
1. La generosità materiale
2. La generosità spirituale
3. La protezione dalla paura
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Con generosità spirituale nel dare insegnamento e con l’ultima(La protezione dalla
paura) si dà un aiuto diretto o indiretto, a seconda delle proprie capacità, a chi è nella
disperazione, ai perseguitati o a coloro la cui vita è in pericolo.
La quintaParamita è La concentrazione
essa non dipende più dal concetto di vacuità. Si tratta della concentrazione della realtà,
senza pensiero discorsivo.
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La sesta Paramita è La conoscenza trascendente o Prajna .
È detto anche che senza la conoscenza le altre cinque paramita sono come prive di occhi, e
non consentono di conseguire l'Illuminazione. Appena vengono animate dalla prajnà ecco
che hanno gli occhi, e si meritano d'essere chiamate "trascendenze".
Fra le sei paramita, le prime cinque hanno a che fare con i mezzi abili (SANS. upàya) e con
l'accumulazione, o sviluppo, dei meriti (SANS. punya-sambhàra), mentre la sesta riguarda
l'accumulazione della saggezza
Nel mahayana però l’aspetto assoluto della realtà assunse diversi significati .Esaminiamo
adesso le correnti più importanti del Mahayana
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La Madhyamaka
La Base o Visione del Màdhyamika consiste nell'unire le due verità o realtà: la realtà
relativa o convenzionaleche riguarda l'ambito delle apparenze fenomeniche, e la realtà
assoluta o ultima ,che è la vacuità dei fenomeni
Dapprima bisogna distinguere bene queste due realtà, che Candrakìrti definisce così:
«Tutti i fenomeni hanno due nature: quella trovata percependo la loro realtà e quella
trovata percependo il loro carattere ingannevole. L'oggetto della percezione corretta è la
realtà assoluta, quello della percezione ingannevole è la realtà convenzionale»
Sul piano relativo, i fenomeni appaiono ai nostri sensi e sembrano esistere veramente, ma
sul piano assoluto sono sprovvisti di un'esistenza intrinseca.
Prendiamo ad esempio una montagna ; vista dalla sua parte essa sembra possedere una
massa e una sostanza proprie, indipendenti da qualsiasi condizione. Eccola ergersi
davanti a noi: imponente, indipendente e concreta, ma se riflettiamo scopriremo
gradualmente che essa deve la sua esistenza a una varietà di cause e condizioni e a
innumerevoli particelle atomiche tanto piccole da non essere visibili. È solo l'unione di
tutte queste parti, che a loro volta dipendono l'una dall'altra, a formare la montagna. Essa
esiste solo in questo modo dipendente; non c'è un'entità 'montagna' esistente
indipendentemente, un qualcosa separato dalle cause e dalle parti componenti che sono la
base della sua esistenza.
Ciò è vero per tutti i fenomeni materiali, grandi o piccini che siano. Immaginate
di avere un chicco d'uva in mano. Perfino prendendo in considerazione questo
piccolo e relativamente insignificante oggetto, comincerete a notare il gran numero
di svariate condizioni responsabili della sua attuale esistenza. Pensate per esempio
al campo in cui
è cresciuto, alla vigna da cui proviene, agli sforzi del contadino, al sole e alla
pioggia che lo hanno aiutato a svilupparsi. In questo modo possiamo capire come
ogni fenomeno debba la sua esistenza a una miriade di fattori condizionanti.
Non si troverà niente che sia privo di esistenza dipendente. Anche le minuscole
particelle atomiche che sono i costituenti di base della materia sono eventi
dipendenti. Esse dipendono dalle loro parti direzionali così come dalle cause che
le hanno prodotte e dagli effetti a cui a loro volta danno luogo.
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Anche fenomeni meno concreti, come il tempo, sorgono in modo dipendente.
Prendete per esempio l'anno 2008 . A prima vista esso appare come un solido
pezzo di tempo dotato di una sua ben definita identità, mentre in realtà la sua
esistenza dipende da periodi di tempo più brevi: mesi, settimane, giorni, che a
loro volta dipendono da ore, minuti, secondi, millesimi di secondi e così via. Non
c'è anno o altro periodo di tempo che esista indipendentemente da periodi di tempo
più brevi e se si giungesse a togliere una qualsiasi parte componente l'insieme,
l'insieme stesso non potrebbe più esistere.
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Per esempio, potremmo trovarci a passeggiare in un giardino e notare un oggetto
piuttosto lungo, avvolto a spirale, seminascosto dall'erba alta. A questo punto,
indietreggiamo impauriti scambiandolo per un serpente, ma una volta avvicinatici
cautamente per osservarlo - meglio ci rendiamo conto che non si tratta di un serpente
ma della canna per innaffiare. La percezione iniziale ha designato un serpente ma,
poiché il suo oggetto non era in realtà un serpente, quella percezione era errata. In
un'altra circostanza potremmo. invece vedere un oggetto e riconoscerlo correttamente
come serpente. In questo caso la designazione di serpente corrisponde alla realtà e perciò
la mente che percepisce è corretta. Quindi, quando si afferma che tutti i fenomeni
esistenti sono delle designazioni della mente, deve essere chiaro che in questo caso
per 'mente' si intende una mente valida. Ciò non significa che un qualsiasi particolare
stato mentale possa inventarsi l'esistenza di un fenomeno.
Prendiamo per esempio un rosario. Esso dipende dalla designazione mentale. Perciò,
esso non esiste come un'entità autonoma, indipendente dalla designazione della mente.
Questa mancanza di esistenza propria, indipendente, del rosario, è la vacuità del
rosario. E questa vacuità è il moìdo di esistere ultimo e profondo del rosario. D'altra
parte, il rosario che esiste in modo convenzionale non è altro che il rosario designato
dalla mente. Vi sono perciò due aspetti nel modo di esistere del rosario: quello
ultimo e quello convenzionale. E per quanto si possa pensare che questi due aspetti
siano distinti, essi sono essenzialmente identici. In altre parole, possiamo pensare e
descrivere questi due modi di esistere del rosario, cioè il suo essere solo una desi-
gnazione mentale e il suo essere vuoto di esistenza indipendente dalla designazione della
mente, come distinti, ma in realtà essi sono una unica cosa.
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In conclusione, l'interdipendenza dei fenomeni implica la loro assenza d'essere in sé: essa ci
allontana dall'eternalismo, poiché se i fenomeni esistessero in sé non potrebbero esistere
dipendentemente da altri fenomeni e non vi sarebbe né produzione né distruzione possibile;
ci allontana anche da conclusioni nichiliste, poiché i fenomeni appaiono ed esistono
relativamente, per via della produzione interdipendente. I fenomeni sono dunque senza
essere in sé, ma non sono nemmeno inesistenti: questa è la via di mezzo.
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Il Cittamatra
Partendo dall'affermazione del Buddha «O figli dei Vittoriosi, i tre regni non sono altro
che mente», questa scuola è chiamata "idealista" perché dichiara che i fenomeni sono
della stessa natura della mente e non sono altro che semplici apparenze per essa. Non
accetta, dunque, l'esistenza reale di fenomeni esterni, ma afferma che, dal punto divista
della verità ultima, esiste solo la coscienza.In essa e soltanto in essa, sotto l'influenza
dell'ignoranza, nasce l'illusione di un soggetto prensore, "che coglie" (, TIB. 'dzin-pa)e di
di oggetti coglibili, che "vengono colti" (. gzung-ba).
Il carattere illusorio degli oggetti esterni viene illustrato tramite otto metafore
dell'illusione: si paragonano i fenomeni esterni a un'illusione creata dalla magia, a
un'illusione ottica, a un miraggio, a un sogno, al riflesso della luna sull'acqua, a un'eco, a
una città aerea, a un fantasma.
L'esempio del sogno è quello che colpisce di più. Il sognatore ne crede reale il contenuto
al punto di fuggire se si crede inseguito da una tigre affamata. E tuttavia chi corre e chi
insegue sono entrambi il prodotto della sua mente. Le apparizioni oniriche sono inoltre
irreali dal momento che al risveglio svaniscono.
Allo stesso modo, la comprensione della vacuità o talità fa svanire la dualità soggetto-
oggetto, mera proiezione della mente in preda all'illusione. I fenomeni che appaiono alla
coscienza sono il risultato del karma dell'individuo: nel passato, innumerevoli tracce
karmiche o impronte, letteralmente dette "impregnazioni" (SANS. vasanà, TIB. bag-
chags), sono state depositate nella coscienza; sono come semi (SANS. bìja, TIB. sa-bon)
che daranno luogo, quando le condizioni permetteranno loro di maturare, a fenomeni
psichici simili a quelli che li hanno originati.
Qual è dunque il supporto di questi semi? A parte "gli adepti della Madhyamaka
asseriscono l'esistenza delle sei coscienze e considerano la coscienza mentale quale
depositaria delle tracce karmiche, la maggior parte dei cittamatrin segue l'approccio di
Asahga e di Vasubandhu e i sutra come il Lankàvatàrasutra; sono gli "adepti delle
scritture", che accettano l'esistenza di otto coscienze (SANS. astavijnàna, TIB. rnam-shes
tshogs-brgyad): sei coscienze dei sensi, una coscienza mentale contaminata (SANS.
klistamanas, TIB. nyon-yid), tutte quante attive e volte verso i loro oggetti, e la coscienza
base-di-tutto (SANS. àlayavijnàna, TIB. kun-gzhi rnam-shes).
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maturazione dei semi karmici del passato depositati nell'àlayavijnàna, si manifestano
delle apparenze (forme, suoni, odori, gusti, consistenze, fenomeni mentali), le coscienze
dei sensi si limitano a percepirle, ma la coscienza mentale contaminata se ne appropria
come di oggetti del desiderio o dell'avversione. Ne deriva la produzione di nuovo karma e
un deposito di nuove impronte karmiche nell'àlayavijnàna.
Nel Cittamtra si parla di due aspetti della coscienza. Quando la coscienza percepisce un
oggetto, ha due aspetti: si volge verso l'oggetto per coglierlo, e nello stesso tempo
sperimenta all'interno la propria natura. Grazie a quest'ultimo aspetto, "la coscienza
interna che conosce se stessa e si auto-illumina", ci possiamo ricordare di un'esperienza
vissuta anche quando questa non è più presente.
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E sulla natura dipendente, contemporaneamente esistente per la sua efficienza causale e
vuota di sovrapposizioni immaginarie, che sono imperniate le due verità o due realtà: la
realtà convenzionale , ossia la natura dipendente contaminata da quanto è interamente
immaginario, e la realtà ultima , ossia la natura dipendente avulsa da quanto è
interamente immaginario.
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Tathàgatagarbha,
Gli insegnamenti del tahtagatarbha non hanno mai costituito una corrente indipendente
ma il contenuto di questi insegnamenti si discostano dal modo di vedere del Buddhismo
fin qui incontrato.
Nel Mahaparinirvana Sutra,uno dei sutra più importanti di questo ciclo si asserisce
che il tathàgatagarbha, la 'natura di Buddha', altro non è che il 'sé'(àtman). Ciò è in
esplicito contrasto con le posizioni di altri sutra, quali il Lankàvatàra Sutra, che si
dimostrano sempre molto attenti a evitare l'uso di termini come 'sé', e altri del genere,
in riferimento al tathàgatagarbha. Invece, secondo il Mahaparinirvana Sutra, "'sé' è il
significato di 'tathàgatagarbha'. L"elemento di Buddha' esiste certamente in tutti gli
esseri senzienti. Inoltre, esso è oscurato da varie contaminazioni e pertanto non può
essere percepito dagli esseri senzienti nel modo in cui esiste". Naturalmente, questo
'sé' non è un 'sé' inteso nel senso convenzionale, come insegnano i pensatori non-
buddhisti, o come ritiene il tanto bistrattato 'uomo della strada'. Il Buddha insegnò la
dottrina del 'non-sé' per smantellare quel 'sé' egoistico che è la base dell'attacca-
mento e della brama.
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2. concepire un 'non-sé' laddove c'è un 'sé';
3. meditare su un 'non-sé', sostenendo che per il mondo c'è un 'sé', mentre per
gli insegnamenti del Buddha non esiste nulla del genere e, ciò che è peggio,
che non esiste nemmeno il nome del tathàgatagarbha
Questo sùtra, invece, è piuttosto categorico nell'affermare che qui l'errore consiste
piuttosto nel guardare nella direzione sbagliata: che, cioè, si commette ugualmente
un errore nel vedere l'impermanenza dov'è la permanenza, il dolore dov'è la felicità, il
'non-sé' dov'è il 'sé', e la contaminazione dov'è la purezza, mancando, così, di
scorgere l'elemento positivo della Buddhità che si oppone al regno negativo della non-
illuminazione. . È senz'altro evidente che il 'sé' di cui parla Mahàparinirvàna Sùtra, è
in tutto e per tutto assimilabile al Brahman Advaita, ma si deve tener presente che
questi sùtra Tathagata garbha sono in ogni caso anteriori rispetto a Gaudapàda (vii
secolo), il fondatore della scuola Advaita hindu, il quale sembra a sua volta aver
subito un considerevole influsso buddhista: forse proprio da quella forma di
Buddhismo che venne sviluppata dai testi Tathagatagarbha..
Il testo, così come ci è pervenuto, pone in forte contrasto da un lato i santi non-Mahà-
yana e dall'altro la piena illumuiazione del Buddha. Gli Arhat e i Pra-tyekabuddha, vi si
afferma, non avendo esaurito il proprio karma, sono destinati a rinascere e sono
ancora ben lontani dal 'regno del nirvana
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Dharma' del Buddha, ciò che il Buddha è in sé, ciò che realmente egli è, o, in altri
termini, la realtà o lo stato delle cose definitivo, vero, fondamentale.
“senza inizio, non creato, non nato, imperituro, libero dalla morte; permanente,
fermo, calmo, eterno; intrinsecamente puro, libero dall'intero ricettacolo di
contaminazioni; e accompagnato da 'nature di Buddha' che sono più numerose
dei granelli di sabbia del Gange, non separate, dotate di una conoscenza da
liberate, e inconcepibili. Questo Dharmakàya del Tathagatagarbha, quando non è
libero dal ricettacolo di contaminazioni, viene chiamato Tathagatagarbha”
In questo sùtra, dunque, tathagatagarbha è il nome che viene dato al dharmakàya, che
in realtà è permanente, quando esso è, o meglio sembra, oscurato dalle
contaminazioni in una persona non illuminata. Inoltre, questo dharmakàya, lungi dal
corrispondere a un Assoluto non caratterizzato, possiede innumerevoli qualità positive.
Un brano fondamentale dello Snmàlà Sùtra spiega che il tathagatagarbha è vuoto,
privo, ma non nel senso Madhyamaka di privo di esistenza intrinseca. Al contrario,
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Dal momento che il tathàgatagarbha non è che il nome attribuito alla stessa 'cosa'
che dalla prospettiva dell'illuminazione è il dharmakàya, e che il dharmakàya possiede
la perfezione del 'sé', se ne deduce,che il tathàgatagarbha non è il 'sé' solo nella misura
in cui esso conserva una natura samsarica, egoistica. Dalla prospettiva
dell'illuminazione, in effetti, la stessa 'cosa' può essere definita come un Vero Sé, o un
Sé Trascendente. Questo stesso sostrato, dunque, che quando si manifesta in forma
contaminata da luogo al samsàra, e la comprensione della cui intrinseca purezza
rappresenta il nirvana, viene infine esplicitamente definito dallo Srimàlà Sutra come
coscienza radiante e intrinsecamente pura Tale coscienza è intrinsecamente pura, non
soggetta a contaminazioni, ma ciò nonostante proprio la sua apparente contaminazione
è la causa del nostro legame. Si tratta di un mistero comprensibile solo ai Buddha e
ai Bodhisattva più avanzati, al quale ci si può accostare solo attraverso la fede:
Nel descrivere la teoria tathagatagarbha esposta nei sutra , mi sono basato sull'ipotesi che
questi testi vogliano intendere ciò che dicono. Nei termini delle categorie
dell'ermeneutica buddhista ho parlato, cioè, come se i sutra Tathagatagarbha dovessero
essere presi alla lettera, o come opere di valore definitivo, e come se il loro significato
fosse assolutamente esplicito. L'insegnamento tathagatagarbha però, sembra piuttosto
diverso da quello del Madhyamaka Prasangika e se io fossi un tíbetano che considera la
dottrina della vacuità del Madhyamaka Prásangika come il più alto insegnamento del
Buddha, sarei costretto a sottoporre gli insegnamenti tathagatagarbha a un'opera di
interpretazione per disperdere ogni apparente contraddizione tra questi e quello. In Tibet
troviamo una profonda frattura dottrinale tra quei maestri e quelle tradizioni che presero
le dottrine tathagatagarbha alla lettera, giudicandole i più alti e completi insegnamenti
dottrinali del Buddha, e quei maestri e quelle scuole che invece affermarono recisamente
che quelle dottrine non erano, così come si presentavano, insegnamenti letterali, ma che il
Buddha le aveva esposte con un intento specifico,e cioè al fine di aiutare determinate
persone.
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compassione, egli lo concepiva come uno strumento per far accostare al Buddhismo i
nonbuddhisti Per giunta, quando il Buddha parla di tatbagatagarbba, quello cui egli si
riferisce, la verità che realmente si cela dietro il suo insegnamento non è altro che la
vacuità, la sunyata (v. trad. in Thurman 1984 347-50). Del resto, il tathagatagarbha viene
definitocome ciò che è presente negli esseri senzienti e consente loro di pervenire alla
Buddhità. Ed è proprio la vacuità, l'assenza di esistenza intrinseca, che permette agli
esseri senzienti di trasformarsi in Buddha, Se i testi Tatbagatagarbha vengono intesicosì,
nella retta maniera, non si ha poi alcun problema nel considerarli testi che espongono la
verità ultima.
Il tathagatagarbha peraltro, non è una qualunque vacuità: si tratta, invece, della specifica
vacuità di esistenza intrinseca riferita alla mente di un essere senziente alla sua continuità
mentale. La vacuità,dunque, vuol dire qui mancanza di esistenza intrinseca della
mente,cosa che implica l'esistenza di una mente in continuo cambiamento, o di un flusso
mentale che dir si voglia (si rammenti, a questo proposito, che essere vuoto ed essere
causato hanno lo stesso significato, e dunque, se la mente cambia, vuol dire che è priva di
esistenza intrinseca). In tal modo, quando si afferma che tutti gliesseri senzienti hanno in
sé l'essenza di Buddha' o la 'natura di Buddha', si intende che tutti gli esseri senzienti
hanno una mente capace di cambiare e di diventare la mente stessa del Buddha. Poiché
nell'ambito del Buddhismo tibetano il flusso mentale viene in genere considerato eterno,
privo di un inizio e di una fine, possiamo affermare che anche la mente, assieme alla sua
vacuità e eterna (v.Hopkins 1983: 382). Inoltre, è proprio di questa vacuità che si
parlaquando si fa riferimento alla 'intrinseca purezza' della mente: quando la mente è
contaminata, nello stato di non-illuminazíone, questa vacuità viene chiamata
tathagatagarbha quando invece la mente si è purificata, seguendo il retto cammino e
raggiungendo la Buddhità, lo vacuità viene definita dalla tradizione dGe lugs come il
'Corpo dell'Essenza del Buddha' (svabbavikakaya). La pura mente del Buddha è allora il
suo 'Corpo di gnosi o di 'Sapienza' (jnanakaya), mentre i due aspetti considerati nel loro
complesso, vale a dire la mente del Buddha intesa come un flusso privo di esistenza
intrinseca, sono ciò che la tradizione chiama il Dharmakaya Da questo schema delineato
dalla scuola dGe lugs, che rappresenta un chiaro tentativo di rendere coerenti tra loro gli
insegnamenti del Madhyamaka Prásafigika e quelli della tradizione Tathágatagarbha,
scaturiscono due questioni particolarmente importanti. La prima consiste nel fatto che è
assolutamente sbagliato prendere alla lettera l'affermazione della giàavvenuta
illuminazione di tutti gli esseri senzíenti contenuta in alcuni testi Tathagatagarbha: se ciò,
infatti, fosse vero, non vi sarebbe bisogno di praticare la religione buddhista. Tutto ciò
vuol dire anche che lo stesso tatbagatagarbha è, in senso stretto, la causa fondamentale
della Buddhità, e che non è affatto identico al suo effetto, il dharmakaya o il 'Corpo di
Essenza' a seconda dei casi, tranne che per il fatto che tanto la mente contaminata quanto
la 'mente di Buddha' sono prive di esistenza intrinseca. Ciò introduceanche la seconda
questione. Il sistema di pensiero rappresentato dalla tradizione dGe lugs è noto in Tibet
come rang stong (da pronunciare: rang tong), letteralmente 'vuoto di sé', cosa che sta a
significare che anche il dbarmakaya, oltre che, naturalmente, la stessa vacuità, èvuoto di
esistenza intrinseca. Essi, dunque, non sono 'veramente fondati', non c'è nessun Assoluto
nel senso di un'entità fondamentale realmente esistente (mKhas grub rje 1968: 53).
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Abbiamo già visto che anche per il pensiero Madhyamaka Prásangika non esiste alcuna
cosa del genere.
La concezione opposta è nota in Tíbet come gzhan stong (da pronuncíare: zhen tong),
vuoto d'altro', ed è associata in modo particolare, seppure non esclusivamente, con la
scuola jo nang pa. La tradizione jo nang, dunque, sembra intendere gli insegnamenti
tatbagatagarbba in modo del tutto letterale. Esiste una realtà ultima, un Assoluto,
qualcosa che possiede realmente un'esistenza intrinseca. Essa è eterna, immutabile, un
elemento che è presente in tutti gli esseri senzienti e che rimane il medesimo,
assolutamente il medesimo, nell'oscuramento come nell'illuminazione. Tutti gli esseri
hanno in séla coscienza (o consapevolezza/sapienza/gnosí, jnana) pura, radiante enon
duale propria di un Buddha pienamente illuminato. Questa coscienza viene oscurata da
contaminazioni accidentali che in realtà non esistono. Nel suo stato di oscuramento, essa
viene chiamata tatbagatagarbha; nello stato di illuminazione, essa è il dbarmakaya, o il
'Corpo di Essenza': ma in realtà l'uno e l'altro sono esattamente la stessa cosa, e pertanto
anche gli esseri non illuminati hanno in se la coscienza non duale di un Buddba, completa
di tutte le eminenti qualità proprie della coscienza di un Buddha. Tale tradizione è nota
sotto il nome di gzban stong, 'vuoto d'altro', poiché, sulla base delle affermazioni dello
Srimala Sutrtra, insegna che questa Realtà Fondamentale è priva di contaminazioni
accidentali che sono intrinsecamente distinte da essa, ma non è priva della propria
esistenza intrinseca, né delle qualità di Buddha che fanno parte della sua stessa natura.
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Le differenze fra gli insegnamenti sul 'vuoto di sé' e sul 'vuoto d'altro' hanno confini ben
precisi e furono soggette a un vigoroso dibattito che nel XVI portarono alla scomparsa
della scuola jo nang pa, nei territori del Tibet Centrale sotto il controllo politico della
scuola Ghelupa .
Però. nell'ambito le dottrine stesso tibetano le dottrine del 'vuoto d'altro' sono state
largamente accolte dagli studiosi non-dGe lugs, tanto che molti maestricontemporanei
delle scuole rNying ma (da pronunciare: Nying ma) e bKa' brgyud in particolare
considerano apertamente alcune forme di questo insegnamento come le più elevate
affermazioni dottrinali del Buddhísmo.
Inoltre , verso l'inizio del xix secolo, si è affermata una tradizione ancor’oggi molto
influente, nota come Ris med (da pronunciare: Ri me), omovimento della non-parzialità'.
Questo movimento cercò di smussare le dispute settarie allora esistenti e di armonizzare i
contrasti, a tal fine spesso enfatizzando la Realtà Assoluta dello gzhan stong sotto
l'aspetto di ciò che trascende il ragionamento e la disputa, e in tal modo sottolineando il
ruolo terapeutíco, puramente funzionale, delle elaborazioni del Madhyamaka Prásafigika
e la superiorità (ovviamente) degli insegnamenti del Ratnagotravíbkjga, considerato il
testo che rivela e stimola la fede in una 'natura di Buddha' onnipervadente.
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TANTRA
Introduzione
Il sistema dei Sutra Mahayana richiedono eoni di pratica e la necessità di rinascere nelle
dieci terre pure.
In questo caso durante la nostra vita qui sulla terra ,noi facciamo una pratica detta
Dzogrim(rdzogs-rim) in cui si crea al centro del proprio cuore un corpo energetico
frutto,l’unione di un energia molto sottile detta prana e una mente ancora più sottile .
Questo Gyulu o corpo illusorio fornisce una base sottile per la manifestazione del
Sambhogakaya è così non è necessario cercare questa condizione in un'altra dimensione
dell’esistenza .
Noi abbiamo creato questo Gyulu durante la nostra vita sulla terra e attraverso la nostra
pratica e quando sopraggiungerà la nostra morte noi trasferiremo la nostra Namshe o
coscienza in esso e allora diventa il veicolo per raggiungere il nostro Sambhogakaya.
Ci sono comunque due tipi di Gyulu il puro e l’impuro .Se al tempo della nostra morte
noi non abbiamo raggiunto la perfetta realizzazione e purificato tutte le nostre sottili
oscurazioni sia emozionali che intellettuali allora questo sottile corpo nato
dall’unificazione di prana e mente è conosciuto come un impuro corpo illusorio.In quel
caso noi dobbiamo fare ulteriori pratiche di purificazione in quel corpo per realizzare la
perfetta illuminazione.Soltanto quando raggiungiamo quello stato possiamo parlare del
puro corpo illusorio.
Lo Dzogrim la tecnica con cui so costruisce questo corpo sottile sono le pratiche più
esoteriche del Tanta.
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Origini
Nessun ricercatore storico è riuscito a risalire in modo indiscutibile all'origine e alla propagazione di
quel sistema esoterico, articolato in complesse simbologie e profondi significati, che viene chiamato
Tantra e che nasce in seno al «Grande veicolo» del Buddismo e all’induismo.
Infatti sia il Tantra buddista, che quello induista, in virtù della loro natura esoterica, si
autoinseriscono in un contesto antistorico presentando la loro origine in termini metafisici.
L'essenza degli elementi è la luce, il colore, ma non si tratta di colori materiali, visibili
a tutti. Noi percepiamo soltanto i colori legati alla visione karmica. Quando essi si
riassorbono nella dimensione sottile della luce per noi è come se sparissero. Un
illuminato, che ha purificato il karma e ha reintegrato la manifestazione materiale nella di-
mensione pura degli elementi, manifesta spontaneamente la sua saggezza attraverso il
colore e la luce. Per avere contatto con questa pura dimensione bisogna sviluppare al
massimo la chiarezza innata, purificando gli impedimenti del karma e dell'ignoranza.
Sempre secondo i testi buddisti relativi all'origine del Tantra, gli insegnamenti tantrici
vennero richiesti dai Bodhisattva quali Manjusri, Samantabhadra, Vajra-pàni ed altri, a cui
Buddha, in disparte dai suoi discepoli ordinari, in luoghi e condizioni particolari, espose i
diversi Tantra.
Questi insegnamenti si diffusero tra gli uomini grazie ad alcuni centri Spirituali dove si
recarono alcuni praticanti avanzati chiamati Mahasiddha.
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A volte è chiamato " il paese delle Dakini .', espressione usata per definire la
concentrazione in un luogo specifico di queste manifestazioni dell'energia dell'universo.
I Siddha si applicavano ad innumerevoli tecniche yoga, sia fisico che mentale, ripetevano i
mantra e si assorbivano nella concentrazióne meditativa con lo scopo di sperimentare lo
«stato naturale dell'essere».
Sebbene tra i Siddha vi siano i più grandi tra gli eruditi del Mahàyàna quali Nàgàrjuna,
Sàntideva, Nàropa, Sàntipa ecc., sembrerebbe che tra i praticanti del Tantra vi fosse un
atteggiamento di dissociazione dall'eccessivo scolasticismo ed intellettualismo
caratteristico degli studi monastici.
Tilopa disse al suo discepolo: «Nàropa, i libri riportano solo parole, che sono come il latte
annacquato che si compra al mercato».
La comprova di questa loro condotta è data dal fatto che alcuni Siddha sono considerati delle
autorità indiscusse da tutte le scuole tantriche sviluppatesi in seguito in Tibet
Letteralmente Tantra significa "continuità", nel senso della continuità dell'individuo, non
nel senso di identità immutabile nell'individuo; qui continuazione ', si riferisce alla
condizione dell'energia dello stato primordiale, che si manifesta senza interruzione
Tale "continuità" ha, quindi, la sua origine nella potenzialità di esser Buddha presente in
ogni individuo, che, tramite il processo del suo "risveglio", conduce alla Buddhità.
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Il Sentiero del Tantra viene anche chiamato Sentiero del Mantra segreto in cui il
termine "man" sta per mente e "tra" significa proteggere; dunque il mantra è la protezione
della mente dalle apparenze e dalle concezioni ordinarie.
Specificatamente nel Mahànuttarayogatantra (la più alta delle quattro classi del Tantra,
buddista), "mantra" assume il significato di consapevolezza primordiale della vacuità
simultanea con la grande beatitudine.
La beatitudine nel Tantra, poiché costituisce un'aspetto molto potente della mente,
viene utilizzata per comprendere la vacuità; per questo il Tantra è anche chiamato il
Sentiero del desiderio. L'analogia che viene usata per descrivere ciò, è quella della larva
che nasce dal legno e che poi lo divora. Il legno è allegorico del desiderio e la larva della
beatitudine; il divorare il legno è allegorico dell'estinzione del desiderio. Dunque, sebbene
il Tantra venga chiamato Sentiero del desiderio, non è il desiderio vero e proprio che
viene utilizzato, ma la sensazione di piacere conseguente al desiderio. Lo stato mentale di
beatitudine è diretto alla comprensione della mancanza di natura propria nei fenomeni
dove il desiderio
Ci sono vari modi di classificare i tantra il più diffuso è quello delle quattro classi del
Tantra sono:
Tale suddivisione è stata fatta in base alle diverse capacità del discepolo di usare il
desiderio che nasce guardare, sorridere, abbracciare, entrare in unione con la consorte,
quale mezzo per comprendere la vacuità.
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Nell'HInayàna, come del resto in ogni aspetto del buddismo, il confronto con le
emozioni, causa dell'«inautenticità dell'essere» e della sofferenza, svolge un ruolo
centrale nella pratica del Dharma.
La via dell'Hinayàna è quindi quella della disciplina nella rinuncia; non viene insegnato
alcun metodo per l'utilizzo delle emozioni che devono essere in ogni caso sempre evitate,
non vi è «via di trasformazione» vera e propria, tuttavia nella tecnica meditativa,
caratteristica dell'Hinayàna, in cui si applica «la consapevolezza ai contenuti della
coscienza», le emozioni vengono osservate con attenzione ed immobilità, non ci si fa
coinvolgere da esse né si devono reprimere; le emozioni vengono fatte dissolvere nella
sfera della mente, dunque, in qualche modo, la loro energia viene «trasformata»
contribuendo allo sviluppo della consapevolezza. Solo nel sentiero Mahàyàna comincia a
delinearsi l'idea di «via di trasformazione» che trova la sua completa affermazione nel
sentiero Vajarayàna. Nel «Grande Veicolo», il Bodhisattva, colui che agisce per il bene
altrui, non è strettamente vincolato alla «disciplina nella rinuncia», ma l'altruismo può
condurlo a compiere anche le azioni che vengono generalmente considerate negative,
purché la motivazione sia rivolta al benessere degli altri; dunque per il Bodhisattva le
«emozioni negative» non sono più il principale ostacolo da abbandonare, anzi possono
essergli utili nella sua opera per il beneficio altrui.
L'immagine del pavone, che si nutre di erbe velenose senza morire, è un'allegoria
ricorrente nei testi Mahàyàna per indicare il Bodhisattva che, grazie alla sua intelligenza, fa
uso delle emozioni, quale l'attaccamento, senza essere macchiato dai loro difetti.
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mai di tipo conflittuale o repressivo, ma di trasformazione ed elaborazione delle emozioni
che vengono rivissute durante la fase meditativa al fine di mantenere la consapevolezza
anche con una «mente perturbata».
D'altro canto però sarebbe distruttivo lasciar campo libero alle emozioni senza averne
consapevolezza. Dunque nel sentiero tantrico le emozioni e le energie psicofisiche ad esse
collegate, vengono incanalate, tramite le tecniche meditative di trasformazione che
mirano ad integrare i vari aspetti dell'essere.
Questo non vuoi dire che il tantrika, trasformando la «realtà ordinaria», perde il
contatto con essa o che "sfasando" l'ordinarietà, vive in un «suo mondo» di immagini
tantoché, poiché lo scopo del praticante tantrico è quello di arrivare a percepire la realtà
«così com'è».
Per praticare il Sentiero tantrico sono richiesti particolari requisiti. Il tantrika deve aspirare
al supremo Stato di Buddha, deve aver fede nell'insegnamento del Tantra e nella comunità
degli esseri che vivono e comunicano l'esperienza tantrica. Inoltre dovrebbe avere una
formazione spirituale fondata sui metodi insegnati nel sentiero dei Sutra o raccolta dei
discorsi di Buddha.
Questi sono due prerequisiti importanti per il Tantra ma ve né un terzo ed è il più importante.
L’iniziazione
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L'INIZIAZIONE
L'iniziazione è la porta d'ingresso al sentiero del Tantra. Senza iniziazione non è permesso
praticare le tecniche tantriche né studiarle. In sanscrito l'iniziazione è Abhiseka che può
avere diversi significati tra cui quelli di purificare, autorizzare, trasmettere potere o meglio
un’influenza spirituale.
L’obbiettivo quindi è restaurazione dello Stato Primordiale, ricondurre cioè l’uomo, dalla
condizione « decentrata » che è proprio la sua, alla situazione centrale che deve
normalmente appartenergli.
L'iniziazione è effettiva se c'è l'incontro tra il cuore della tradizione(che nel Buddismo
tantrico è incarnato dal Guru) e quello del discepolo in un rapporto di reciproca fiducia e
consolidato dalle «sacre promesse» che il discepolo fa durante la parte preliminare
dell'iniziazione.
Nella tradizione Tantrica è centrale la figura del maestro esterno anche se il suo vero
scopo è quello di indirizzarci verso il nostro vero Maestro che il nostro Stato primordiale
noto come Guru interiore.
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L’iniziazione tantrica presenta tre aspetti fondamentali:
Il Mandala
L'ambiente in cui viene conferita l'iniziazione non è un luogo ordinario, che rafforzerebbe
le predisposizioni abitudinali nel discepolo, ma il Mandala della divinità, in particolare il
«palazzo divino», dimora ambiente della divinità. , il mandala rappresenta la quintessenza
di tutte le percezioni fenomeniche
Il supporto simbolico del mandala è dunque quanto permette al praticante di accedere alla
quintessenza delle percezioni fenomeniche, al loro "centro", che non è altro che la mente di
saggezza dei buddha. I fenomeni sono quindi visti come il puro dispiegarsi di tale saggezza,
la percezione pura e luminosa del dharmadhatu, lo spazio della realtà quale è percepita
dagli esseri illuminati. Sul piano dell'assoluto, il mandala. ordinario dell'universo e il
mandala della percezione pura non sono due cose distinte, poiché l'essenza delle percezioni
ordinarie è vacuità-luminosità. È perché gli esseri senzienti hanno un karma impuro, che
percepiscono le apparenze fenomeni-che sotto la forma di mondo ordinario. Il mandala è
perciò un mezzo abile per purificare e trasmutare tale percezione oscurata in percezione
illuminata. Si distinguono tre modi di considerare il mandala:
(1)Il mandala della Base è il mandala naturale della Visione, la purezza fondamentale di tutti
i fenomeni.
(2)Il mandala della Via è il mezzo per integrare la Visione nella pratica meditativa del
sadhana. Ha due aspetti:
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interne e il mandala segreto delle esperienze meditative che rivelano la mente di
saggezza. Si parla anche dei mandala del corpo, della parola e della mente della deità
sotto le cui parvenze lo yogi si visualizza nel samadhi: tutte le percezioni esterne e
tutti gli esseri sono considerati come espressione del corpo della deità e del suo
seguito tutti i suoni sono la vibrazione del mantra, la parola della deità, e tutti i
pensieri discorsivi sono la manifestazione della mente di saggezza della deità.
(3)Il mandala del Frutto o mandala risultante è realizzato quando si ottiene il frutto della Via,
ossia l'Illuminazione perfetta di un buddha in tre corpi e cinque saggezze.La parola mandala
può infine designare anche il maestro del Vajrayana circondato dai propri discepoli.
Il mandala quindi può assumere diversi significati in differenti diversi contesti ma nel
contesto dell’iniziazione è la "manifestazione ambientale" della beatitudine simultanea
alla consapevolezza della vacuità della mente Vajra della divinità tantrica. Generalmente il
Mandala è suddiviso in «Mandala residenza divina» e «Mandala divinità che risiedono». Il
primo dev'essere immaginato come un'edifìcio di luce, quadrato, con quattro porte, che
poggia su di un enorme «doppio Vajra» o «Vajra incrociato». L'edificio è caratterizzato da
numerosissime simbologie che rappresentano diversi aspetti del sentiero buddista come ad
esempio: le quattro porte simboleggiano le «quattro nobili verità», i quattro lati uguali
della base del Mandala rappresentano l'amore imparziale ed equanime dei Buddha verso
le creature ecc. Il palazzo si trova all'interno di una barriera protettiva formato da una rete
fittissima di Vajra attraverso cui non può penetrare nemmeno l'aria. A sua volta questa
«casa protettiva» è avvolta in una sfera del «fuoco della saggezza» dei cinque colori.
All'interno o all'esterno del globo di fuoco, a seconda dei diversi Tantra, sono disposti in
circolo otto grandi cimiteri, abitati da esseri terribili che vagano tra cadaveri di impiccati e
di impalati e che pullulano d'ogni genere d'orrore, questo è simbolico della comprensione
iella vacuità che va oltre le concezioni del puro e dell'impuro in cui i cadaveri, ad esempio,
rappresentano la mancanza di identità inerente della persona. Le tre barriere protettive: gli
otto cimiteri, l'edificio di Vajra ed il globo di fuoco, sono simboliche del fatto che per poter
accedere al palazzo della divinità ed alla pratica del Tantra sono necessari tre requisiti
indispensabili e cioè: l'attitudine ad abbandonare il Samsàra («attitudine emergente»),
l'aspirazione altruistica (l'intenzione di divenir Buddha per il beneficio altrui) e la
comprensione della vacuità.
Il «Mandala delle divinità che vi risiedono» è costituito dall'insieme delle divinità, quella
principale ed il suo seguito. Entrambi i Mandala indicano che ogni realizzazione tantrica
nasce dalla consapevolezza di simultanea vacuità e beatitudine.
Al centro del Mandala è situata la divinità principale, attorno a cui è generato il Mandala. In
tibetano, il termine sanscrito Mandala viene tradotto con Kyil'kor, che letteralmente significa
"cerchio attorno al centro", dove per centro vi è la divinità principale.
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Il termine sanscrito "manda" significa essenza, "la" sta per includere. Mandala è dunque il
luogo psicofisico in cui è inclusa la forza spirituale o «l'essenza» della divinità. Mandala è il
luogo sacro permeato dell'intensa energia della divinità in cui vi è il potere di trasformare del
discepolo.
La rappresentazione del Mandala viene fatta generalmente su tela o con sabbie colorate e
diviene «l'elemento esterno» indispensabile durante la cerimonia dell'iniziazione, tuttavia, il
vero mandala è quello che viene creato mentalmente dalla concentrazione del maestro
tantrico
L'iniziazione si svolge all'interno del «Puro Mandala», riflesso della saggezza della divinità,
dunque il discepolo, per poter accedervi, deve liberarsi dai suoi «mandala ordinari» pertanto
prima di ricevere l’iniziazione effettiva vi sono 14 preparativi da effettuare
1. Sviluppo della corretta motivazione per prendere l'iniziazione (bsam pa bcos pa).
2. Iniziazione intcriore (nang dbang bskur ba).In questa fase le fasi preparatorie
all'iniziazione, il discepolo viene risucchiato dai raggi di luce provengono dal cuore del
maestro, detto maestro Vajra, entra nella sua bocca, discende lungo il canale centrale del
maestro ed, attravèrso il sentiero segreto del padre, entra nel loto della consorte per
assumere la stessa forma della divinità di cui sta ricevendo l'iniziazione. Nel ventre della
consorte del Guru, visto come la divinità stessa, per la prima volta riceve l'iniziazione che
lo purifica, poi, dopo la sua nuova nascita dal loto della consorte, viene a trovarsi davanti
l'ingresso di una delle quattro porte del Mandala(solitamente ad Est).
3. Richiesta per l'iniziazione (gsol btab bsngags). Essa è seguita dalla conferma del
conferimento da parte del maestro.
4. Prendere i voti comuni (thun mong gi sdom bzung). Consiste dell'impegno a
rifugiarsi e allosviluppo dell'attitudine illuminata.
5. Prendere i voti non comuni del mantra (thun mong ma yin pa sngags kyi sdom pa
bzung ba).Consiste di tre voti della disciplina, voti associati con ognuno dei cinque
tipi e i quattordici voti
basilari.
6. Protezione (srung ba). Qui gli studenti immaginano, in sei punti del corpo, le
sillabe-seme dei sei tipi di Buddha:
fronte u sul disco della luna (bianco)
cuore T sul disco di Rahu (nero)
capo a sul disco di spazio (verde)
ombelico ki sul disco di Kalagni (giallo)
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gola pi sul disco del sole (rosso)
genitali ah sul disco di
consapevolezza (blu).
7. Suprema Consacrazione dei tre luoghi (gnas gsum byin rlabs mchog). Gli studenti
immaginano le sillabe "hum", "ah" e "om" al loro cuore, gola e capo, al fine di
consacrare rispettivamente la loro mente, la loro parola e il loro corpo come tre vajra.
8. Lancio del bastoncino dentale (so shing dor ba). Lungo dodici dita, il largo bastoncino
rituale è fatto con un legno dolce, ed è lanciato dallo studente in un mandala
(colorato)al fine di determinare il tipo di conseguimento (in particolare l'attività)
per la quale lo studente è maggiormente adatto. Vi sono quattro attività dette le
quattro azioni della saggezza sono che sotto riportiamo insieme alla generica
disposizione delle direzioni:
• l'azione pacifica, per la purificazione, corrispondente all'elemento
acqua, alla direzione est e al colore bianco;
• l'azione feroce, per la sottomissione delle forze negative,
corrispondente all'elemento aria, alla direzione nord e al colore verde;
• l'azione del potere, per conquistare, corrispondente all'elemento
fuoco, alla direzione ovest e al colore rosso;
• l'azione della crescita, per la prosperità, corrispondente all'elemento
terra, alla direzione sud e al colore giallo.
Queste propensione è indicato dalla direzione all'interno del mandala in
cui la parte superiore del legnerto cade.
9. Il maestro versa dell'acqua nei palmi delle mani (khyor chu sbyin pa)
dell'iniziato. Serve a purificare le tre porte di corpo, parola e mente al fine di
chiarire i sogni (sogni che potrebbero verificarsi prima della iniziazione principale e
che potrebbero fornire indicazioni circa la propria pratica futura).
10. Il maestro dona l'erba kusa (ku sha sbyin pa). Il praticante pone quest'erba sotto il suo
letto la notte per evitare sogni disturbati o contusi.
11. Il maestro dona un cordoncino di protezione (srung skud sbyin pa). Serve a proteggere
dagli ostacoli nei sogni.
12. Supplica a Vajrasattva (rdor sems bskul ba). Serve a purificare la consapevolezza degli
studenti.
13. Spiegazione del dharma profondo (zab mo'i chos bshad). Serve a far sì che gli studenti
non si allontanino dal sentiero corretto.
14. Esame dei sogni (rmi lam brtag pa). Questa è un'istruzione su cosa fare dell'erba
kusa e su quando osservare i sogni. Il testo fornisce alcuni dettagli circa la natura dei
sogni propizi e su cosa fare quando i segni che sorgono non lo sono.
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L’Iniziazione effettiva
In questa fase al praticanti vengono coperti gli occhi da una benda che gli impedisce di vedere
il Mandala.
In questo momento dal palazzo della divinità viene verso l'aiutante Vajra, che ha lo scopo di
condurci al cospetto della divinità da cui riceverà l'iniziazione.
L’aiutante Vajra detto Lama Karma Vajra pone per prima cosa un vajra nella mano destra
del candidato che prende l’impegno solenne di non rivelare per nessun motivo, a coloro
che non hanno fede o non sono stati iniziati, i segreti del Mandala
Dopo avere recitato per tre o più volte il solenne impegno il karma vajra conduce il
discepolo all’interno del Palazzo l’iniziando .Mentre il Maestro recita un mantra, il
candidato circumambula il mandala per tre volte tenendo la destra e tornando al termine
ad Est. Durante queste circumambulazioni tutte le porte del Mandala si apriranno sia quelle
esterne sia interne e tutte le pareti si fanno trasparenti..
Ritornato alla porta dell’Est il discepolo ripete dei Mantra assumendo il colore associato a
quella direzione (di solito il bianco).Poi si sposta in ognuno dei punti cardinali del Mandala
ripetendo i Mantra e assumendo dei colori specifici(di solito giallo a Sud,rosso ad Ovest,
nord verde o Blue scuro,bianco est )Pur che variano da Tantra a Tantra
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precedentemente donato dal maestro . A seconda di dove andrà a cadere gli verrà
assegnata una famiglia Tantrica e conferito il suo nome tantrico segreto.
Ora il Maestro effettuerà una specifica pratica di purificazione specifica per la vista che
darà al candidato la capacità di contemplare il Mandala.
La cerimonia fin qui svolta è la parte più lunga e complicata ma non rappresenta in
realtà che una fase preparatoria e purificatoria .Adesso seguiranno le iniziazioni effettive
Le Iniziazioni effettive
2. “l'iniziazione segreta”,
La prima è «l'iniziazione del vaso» che è associata ai cinque Dhyani Buddha in cui
vengono usati, quali oggetti iniziatici, l'acqua, la corona, il Vajra, la campana ed il nome
segreto. «L'iniziazione del vaso» consiste nel trasformare le attività ordinarie e purificarle
insieme ai nostri aggregati
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Quando la corona, associata a Buddha Ratnasambhava giallo, tocca il suo capo, il
discepolo, purificato, sperimenta la beatitudine e la vacuità, con il senso della «sicurezza
regale» che gli permette di eliminare l'avarizia e l'orgoglio ordinario. In questa fase
dell'iniziazione, l'aggregato di sensazione viene trasformato nell'intelligenza che
riconosce la fondamentale uguaglianza dei fenomeni.
Il Vajra è lo scettro indistruttibile, associato a Buddha Amithàba rosso, che, quando tocca
le mani del discepolo, gli conferisce la qualità di purificarsi dall'attaccamento e dalla
bramosia permettendogli di sperimentare la beatitudine inseparabile dalla comprensione
della vacuità. In questo modo viene trasformato l'aggregato (skanda) della
discriminazione.
Nell'ultima fase dell'«iniziazione del vaso», quella detta del «nome», il maestro
pronuncerà conferirà in modo solenne al discepolo il nome tantrico in precedenza
ottenuto attraverso la cerimonia del fiore . che questi deve portare con dignità divina. In
questa parte dell'iniziazione non viene usato alcun strumento rituale ad indicare che non
occorre nulla d'esterno all'essere per completarlo. Udendo quel nome, il discepolo
purifica il suo aspetto fisico, generando la beatitudine simulta¬nea alla vacuità e rimuove
la confusione sviluppando l'intelligenza chiara come lo specchio. «L'iniziazione del
nome» è associata a Buddha Vairocana bianco, tra¬mite essa il tantrika giunge
gradualmente al riconoscimento del proprio potere dovuto alle qualità innate della
mente..
«L'iniziazione del vaso», che comprende le cinque iniziazioni sopra citate, ha la funzione
di purificare le azioni negative del discepolo quali uccidere ,rubare avere una condotta
sessuale scorretta e conferirci la potenzialità per l'ottenimento del Nirmanakàya o l'essere
visibile nel mondo caratteristico di un Buddha .Con l’iniziazione del vaso otteniamo
l’autorizzazione alla pratica di generazione grossolana e sottile e tutti i rituali magici
legati a questo ciclo Tantrico
Seguono poi le iniziazioni superiori .Poichè i Tanta in Tibet sono conferiti normalmente
in ambito monastico tutto quello che viene descritto viene fatto solo tramite
l’immaginazione
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L’iniziazione segreta
La giovinetta dovrà essere già esperta nei quattro stadi del Tantra del completamento.
Al discepolo verrà posta una benda in modo da non vedere l’unione tra il Guru e la
giovinetta.
Questa unione(ricordiamo che tutto questo nel contesto monastico viene solo
immaginato) avviene rispettando due condizioni. La prima è che sia il Maestro sia la
Consorte siano inseparabili con la Divinità e la seconda è che l’unione avvenga nella
posizione detta la posizione del Vajra dei canali di Energia.
Gioia
Gioia Immensa
Gioia Eminente
Gioia innata o simultanea
Al fine le due gocce s’incontrano sulla cima del gioiello del guru e la posizione prende il
nome “ la posizione del vajra delle gocce di energia.”
Seguono alcune preghiere al termine delle quali al discepolo viene offerto la sostanza
rossa(un altro tipo di Kundalini) della consorte di saggezza (alcol o te rosso) anche in
questo caso il discepolo proverà la grande estasi di beatitudine e Vacuità.
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Al termine il Guru mostrerà il loto della consorte (la vulva) .E con ciò viene compiuta
l'iniziazione delle parti segrete, appunto con queste due cose, cioè la gustazione
bodhicitta bianca e rossa e lo sguardo
Questa iniziazione è chiamata segreta perché viene data con le sostanze segrete e purifica
l’attaccamento all’illusione e getta i semi della realizzazione del Sambhogakaya
Anche in questo caso il discepolo offrirà una mandala preliminare .Al termine il maestro
offrirà la mudrà al discepolo .Istruirà il discepolo sulla posizione da tenere e su come
esperire le quattro gioie .
Attraverso questa iniziazione il discepolo vedrà chiaramente come tutto sorga da questa
beatitudine e vacuità e attraverso questo otterrà i semi per realizzare il Dharmakayail
Dharmakaya
Le prime tre iniziazioni sono considerate mondane perché pur elevendo il discepolo
verso stati spirituali superiori quest’ultimi non sono ancora la meta finale ma aspetti puri
della realtà manifesta.
Nella quarta iniziazione non ci sono sostanze segrete da assaggiare o consorti con le
quali unirsi .Ma vi è una spiegazione sulla Beatitudine e vacuità e sulla natura della
mente .
Ogni scuola ha un modo di diverso di spiegare a seconda della scuola filosofica a cui
aderisce.
Nelle scuole Bon e Nyngmapa in questa fase dell’ iniziazione vi è la trasmissione della
natura della mente secondo lo Dzogchen(Questo metodo rituali è solo uno dei tanti modi
di trasmettere lo Dzogchen)
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purificando simultanea mente corpo, parola e mente, crea la potenzialità per l'ottenimento
dello Svabha-vikakàya o natura ultima sostegno del Dharmakàya.
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La Pratica Tantrica
a) // processo di identificazione
II Tantra dello Yoga supremo (Mahànuttarayogatantra), viene suddiviso in due fasi: quella
detta di Generazione e quella di Completamento.
Le condizioni favorevoli alla trasformazione psicofisica dello Yoghi vengono stabilite nel
corso della fase di Generazione e nella successiva fase, quella del Completamento, si attua la
trasformazione vera e propria culminante nello Stato della Grande Unione.
La consapevolezza della non esistenza reale del proprio «io» funge da base necessaria
all'intraprendere i due stadi del Tantra.
Una forte identificazione col «sé», rende impossibile ogni successo nella pratica tantrica che
porterebbe ad ingigantire la concezione egoica della personalità al momento dell'identificazione
dell'aspirante Yoghi con la divinità visualizzata.
Il vuoto diviene l'ambiente in cui la consapevolezza del tantrika si trasforma nella divinità
avente corpo, voce e mente divini.
La divinità non viene intesa come un'immagine statica, in qualche modo diversa da colui che
medita, ma come la manifestazione dello stato più puro della mente del tantrika.
Tuttavia nel Tantra viene affermato che la divinità non è una semplice immagine simbolica,
ma possiede un'«esistenza esterna» ben definita. È lo «stato di fede» totale nell'esistenza
psicofìsica della divinità che funge da vero catalizzatore del potere di trasformazione
psicofisica.
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Senza la convinzione dell'esistenza della divinità, verrebbe a mancare la componente
emozionale che contribuisce ad una efficace identificazione con la divinità e la trasformazione
intcriore sarebbe ridotta a superficiale immaginazione.
Tuttavia, pur consapevoli che la divinità ha una sua esistenza esterna, ad essa non devono
venire attribuiti valori oggettivi, poiché anche la divinità dev'essere riconosciuta priva di
natura assoluta e non vista come entità separata dalla mente del tantrika che la percepisce.
Esterna od interna che sia, la divinità ha la stessa natura onnipervasiva di ogni fenomeno, cioè
è priva di un'esistenza propria o a sé stante e non possiede valore assoluto.
Lo scopo del processo d'identificazione con la divinità è il superamento del dualismo tra sé e
gli altri e l'afferrarsi all'«esistenza reale» della divinità andrebbe nel senso opposto allo scopo
desiderato. La visualizzazione di sé come divinità non poggia sulla ricerca di una "parte
completante", come potrebbe verificarsi ad esempio nel rapporto tra patner di sesso opposto
che cercano il completamento nell'unione sessuale e che possono trovare solo
temporaneamente tale completezza, poiché fondata su un supporto esterno, ma l'essere è già
completo e tramite il processo d'identificazione del Tantra, l'individuo fa emergere la
«completezza innata» detta anche natura vajra o natura indistruttibile della persona che è lo
stato sempre presente, spontaneo e autorealizzato dell'essere.
Gli elementi fondamentali della fase di Generazione sono la chiarezza e la dignità divina.
Per chiarezza s'intende la visione limpida e vivida della divinità visualizzata all'interno della sua
dimora divina o Mandala. Questa è la prima fase dello stadio di Generazione, in cui il tantrika
crea in modo più grossolano la divinità nel suo ambiente, subentra poi una fase più «sottile» in
cui il meditatore riesce a visualizzare in modo perfetto e particolareggiato la divinità ed il suo
Mandala in una piecola goccia di luce, della grandezza di un seme di senape, situata all'interno
delle proprie narici od in altri luoghi del corpo.
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«Oh Nàropa, non sono le apparenze che ti condizionano, ma l'aggrapparti ad esse».
Lo stadio di Generazione del «Tantra dello Yoga supremo» può essere definito come: lo Yoga
(mente) del tantrika che si armonizza con la morte, lo stato intermedio, e la rinascita, in
un'esperienza che, pur non essendo ancora il risultato del convogliare, fermare e dissolvere le
energie nel canale centrale, proprietà dello Stato del completamento, è la causa di tale Stadio
di Completamento.
II Dharmakàya che nel Tantra , potrebbe essere definito la matrice di tutta la situazionalità au
tentica dell'essere Illuminato costituendone il suo aspetto della saggezza . Il Sambogha-
kàya è la dimensione del comunicabile nel suo aspetto più sottile. Il Nirmanakàya è il mondo
finale e autentico di essere nel mondo tra gli esseri: è l'apparire del uddha in modo visibile.
Nella fase di Generazione, il tantrika, tramite la sua meditazione, armonizza l'essere con i
tre Kaya di base, affinchè tale armonizzazione possa divenire la causa effettiva dei tre
Kaya di Buddha.
Dunque la mente viene armonizzata alla mente di Buddha durante il ricreare le diverse fasi
della morte nella meditazione. Tramite l'azione mentale della trasformazione dello Stato
intermedio, la mente del tantrika si armonizza con la qualità comunicativa di Buddha. Ed
infine il tantrika si armonizza, tramite l'esperienza meditativa rielaborante la nascita, al
modo proprio di Buddha di porsi nel mondo. Le tecniche tantriche dello Yoga supremo
variano nei differenti yoga delle divinità scelti dal tantrica, ma mantengono come
denominatore comune questa trasformazione dei tre Kaya.
Volendo descrivere il metodo meditativo dello stadio generazionale del Tantra possiamo
schematizzare nel modo seguente:
a) dal riflesso della comprensione della vacuità, il tantrika manifesta se stesso nella forma
della divinità; seguono preliminari d'offerta alla guida spirituale e la visualizzazione del
dissolversi degli universi in luce nel corpo divino del tantrika; lo stesso corpo del tantrika-
divinità si dissolve, partendo dalle estremità di testa e piedi, nella sillaba seme situata nel
ciackra cardiaco. Vengono sperimentati i diversi segni della morte durante le varie fasi
dell'assorbimento della sillaba seme nella vacuità.
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Giunto all'esperienza del vuoto, il tantrika sperimenta immaginativamente il Dharmakàya
trasformando così l'esperienza della morte nel mezzo per manifestare il Dharmakàya.
b) Dalla sfera di luce chiara-vacuità, il tantrika fa sorgere la sua mente nella forma della
sìllaba seme associata alla divinità. Questa viene vista come una sottilissima lettera di luce
o lettera-mente che simbolizza lo stato di autentica comunicazione. In questo modo il
meditante sperimenta lo stato del Samboghakàya; ha trasformato l'esperienza del Bardo
(stato intermedio) nel Sentiero per manifestare l'effettivo Samboghakàya finale, e) La
lettera-mente del tantrika assume ora la forma completa della divinità dimorante nel suo
ambiente-Mandàla. Il tantrika, assumendo l'aspetto della divinità in tutti i suoi dettagli,
immagina di trasformare l'esperienza della nascita nel Nirmanakàya di Buddha.
Queste fasi della meditazione tantrica relative all'armonizzazione dei tre Kaya, ora
descritte in modo estremamente succinto, possono presentarsi in termini molto elaborati,
ricche di visualizzazioni e di simboli carichi di profondi significati.
L'armonizzazione della morte, dello stato intermedio e della nascita con i tre Kaya,
invece è una pratica meditativa che si ritrova unicamente nel T a nt r a dello Yoga
supremo».
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La fase di Completamento del Supremo Yoga
a) // corpo sottile
II corpo umano viene considerato nel Tantra il miglior veicolo per l'ottenimento della
Liberazione, dunque viene posta molta enfasi sulla sua preziosità ed i suoi «aspetti sottili»
vengono descritti con grande minuziosità.
Nel Tantra, mente ed energia sono legate indissolubilmente e possiedono un'unica natura,
perciò l'energia che sostiene la concezione della reale esistenza di sé e dei fenomeni è la
responsabile dello stato di sofferenza del Samsàra.
Le tecniche di meditazione della fase di Completamento del Tantra vertono sull'uso delle
energie interne, sui canali e sulle gocce di costituente essenziale che formano il «corpo
sottile» o «corpo Vajra». Lo scopo di tali tecniche meditative e quello di coinvogliare le
energie all'interno del canale centrale (Avadhuti), evento che ordinariamente si verifica
esclusivamente al momento della morte, al fine di sperimentare la Luce chiara
simultaneamente allo stato di Grande Beatitudine
• I Canali Sottili
• I Chakra
• I Venti sottili
• Le gocce essenziali
I Canali Sottili
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I Chakra
I Chakra sono altrettanto numerosi ma vengono presi in considerazione solo quelle disposte
lungo il canale Centrale.
Abbiamo sei Chakra (Non cinque come normalmente presentati negli insegnamenti
pubblici)
• Il Chakra della Grande Beatitutidine alla sommità del Capo con trentadue
raggi diretti verso il basso .E’ Considerato il Chakra del Corpo
• Il Chakra della realtà di fruizione Situata alla gola con sedici raggi diretti
verso l’alto e questo Chakra della parola
• Il Chakra della realtà assoluta E’ al livello del cuore ha otto raggi verso il
basso ed è connesso con la mente
Le ultime due di norma sono utilizzate soltanto con le pratiche della karmamudra
I cinque venti o pneuma sono energie mobili che circolano nei canali sottili.
1. Il Prana Ascendente
2. Il Prana della forza vitale
3. Il Prana simile al fuoco
4. Il Prana Pervadente
5. Il Prana Discendente
Vi sono poi altri cinque venti secondari generati dal Prana della forza vitale situata nel
cuore
Che permettono alle coscienze dei sensi di dirigersi verso il loro oggetto
I Venti sottili mobili sono considerati la cavalcatura
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• Il Vento sottile mobile rosso legato alla coscienza visiva
• Il Vento sottile mobile blue legato alla coscienza uditiva
• Il Vento sottile mobile giallo legato alla coscienza olfattiva
• Il Vento sottile mobile bianco legato alla coscienza del gusto
• Il Vento sottile mobile verde legato alla coscienza tattile
Rappresenta l’essenza dello sperma e del sangue accompagnate dal vento e dalla mente
sottilissima impregnano l’insieme del Corpo .
Ce ne sono di due tipi chiamati Bodhicitta Rossa e Bianca che una volta purificate
permettano di conseguire l’illuminazione e il corpo vajra.
Una volta che il corpo si è formato le gocce bianche sono localizzate nella parte superiore
del corpo quelle rosse nel tronco
Nel Corpo ci sono molte gocce costituite da una parte bianca e una rossa.Ad esempio la
goccia che provoca il sonno situato nel cuore e nel centro del gioiello,la goccia che produce
i sogni situata nella gola e nel luogo segreto
La goccia che produce lo Stato di Veglia situata all’ ombellico e al Chakra del capo
La goccia che produce l’equanime contemplazione situata nel luogo segreto e alla sommità
del capo
E la goccia indistruttibile al livello del cuore che contiene la mente e il vento estremamente
sottili( Il segreto del tantra)
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Le gocce sono connesse alla mente e alla vitalità e si rinnovano durante l’infanzia e la
giovinezza
Con certe pratiche come le Sadhane di Lunga Vita e i Chulen hanno il potere di restaurale
anche se parzialmente.
Le gocce in molte pratiche vengono visualizzate come Divinità. La goccia più importante è
la goccia indistruttibile
La Goccia Indistruttibile
Nel Canale Centrale vi è un nodo e una piccola cavità all’interno della quale risiede un
piccolo Tigle ,chiamato la Goccia indistruttibile, la cui metà superiore è bianca e la metà
inferiore rossa .
Secondo il Tantra questo piccolo Tigle è l’origine di tutte le gocce presenti nel corpo .
E’ chiamata Goccia indistruttibile perché le due metà non si separano mai se non al
momento della morte.
Al momento della morte infatti i venti interni si dissolvono nella goccia indistruttibile e
questo porta la goccia ad aprirsi.
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allo Stadio del Completamento .
Il Corpo Illusorio è il corpo di Saggezza adorno dei 32 segni maggiori e degli ottanta segni
minori di un essere illuminato e avrà l’apparenza della deità di meditazione
Questa Vento indistruttibile è il segreto dei Tantra Buddisti e non è segreto tanto per motivi
metafisici quanto perché in piena contraddizione con la Madhyamka Prasangika .
Ma poichè questa mente e questo corpo indistruttibili esistono da tempo senza inizio ne
deriva che questo Io è immortale e mai nato ed è che questo Io che otterrà l’illuminazione .
Attraverso la pratica dello Dzogrim si impara a dirigere i venti karmici dai canali laterali al
canale Centrale per dissolverli nei venti di saggezza.
In questo modo potrà causare l’apertura dei nodi dei Canali e fondere le gocce rossa e
bianca generando l’esperienza della grande Beatitudine unità a quella della vacuità che si
conclude con l’esperienza della chiara Luce.L’insieme del processo comprende otto
dissoluzioni l’ultima delle quali svela la chiara luce
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Le otto dissoluzioni si producono completamente soltanto durante il processo della morte
ma si manifestano parzialmente in ogni mutamento di coscienza come nel passaggio di
veglia al sonno dal sonno profondo al sogno e cosia via
Queste dissoluzioni riguardano sette venti i primi quattro agli elementi gli ultimi tre alla
coscienza
Ogni fase è accopmpagnata da dei segni sottili
8) La Luce chiara sorge quando riappare una presenza sottile non duale
che si manifesta come un’alba purissima in un cielo autunnale vuoto
Nel processo della morte le fasi 5-6-7 corrispondo rispettivamente alla discesa della goccia
bianca alla sommità del capo verso il cuore alla risalita della goccia rossa dall’ombelico
verso il cuore e alla loro unione nel cuore che racchiude la coscienza.
L’emergere della chiara luce avviene dopo la dissoluzione delle gocce bianca e rossa nella
goccia bianca e rossa indistruttibile al centro del cuore
Queste ultime quattro menti sono note anche come i quattro vuoti
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La Chiara Luce
La chiara luce che è la vacuità -luminosità indistruttibile della natura della mente il
thatgatagharba.Ha molte interpretazioni a seconda della scuola.Nel Tantrismo Sarma ad
esclusione della scuola Jonagpa essa è consideratata una mente molto sottile e pura .Nello
Dzogchen invece indica la consapevolezza dello Stato Naturale
Le Cinque fasi dello Dzogrim
• Gioia
• Gioia Immensa
• Gioia Eminente
• Gioia innata o simultanea
Poi attraversa le quattro tappe inverse e i venti sottili e le energie si diffondono di nuovo
dal canale centrale in tutto il corpo
Consiste nell ‘unire venti sottili e mantra allo scopo di dissociarsi dal flusso ordinario della
parola e sciogliere i nodi al Chakra del cuore.
La pratica utilizza la recitazione vajra unendo i venti sottili e il respiro alla vibrazione delle
tre sillabe Om A Hum le sillabe seme dei tre vajra che includono il potere di tutti i Mantra .
In questa pratica si utilizza la respirazione detta del vaso ..
In questa fase il meditante sperimenta le otto dissoluzioni e poi le quattro gioie di
beatitudine -vacuità.quando le energie e i venti sottili penetrano nella cavità del cuore
Quando avviene la dissoluzione delle gocce bianca e rossa nella goccia indistruttibile si
ottiene l’isolamento della mente con l’esperienza successiva delle quattro vacuità( 5-6-7-8
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menti della fase di dissoluzione)
3 )L’isolamento dell’autoconsacrazione
Il Corpo illusorio è come è come un corpo sognato che emerge dal Corpo grossolano e torna
a dissolversi
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4) La Chiara Luce
In questa fase il praticante approfondisce la sua esperienza di chiara luce con le otto
dissoluzioni uscendo e rientrando nel corpo grossolano per insegnare agli altri fino a
conseguire la chiara luce oggettiva e del significato.
Il Corpo illusorio della terza fase scompare allora come un arcobaleno mentre le visioni
spariscono e si sperimentano le quattro gioie e le quattro vacuità nell’ordine progressivo e
poi nell’ordine inverso ottenendo il corpo illusorio puro(il vento indistruttibile che risiede
nella goccia indistruttibile emerge).
Questa fase viene chiamata integrazione o unione del principiante
5) L’integrazione o Unione
Nel momento in cui viene conseguita l’unione del principiante la chiara luce del
significato cessa e il praticante si immerge nella chiara luce così a poco a poco gli ultimi
residui di oscuramenti intellettuali e consegue lo Stato di onniscienza realizzando il
Dharmakaya.
E’ il conseguimento dell’unione di colui che non è più discepolo dove lo Yogi unisce il
corpo illusorio puro espressione della compassione e dei mezzi abili con la chiara luce
ultima perfezione della conoscenza suprema della vacuità.In lui sono integrati assoluto e
relativo
E’ il raggiungimento dell’Essenza della Mahamudra
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La Via dell’AutoLiberazione
Introduzione
Nel Buddismo tibetano esiste un’altra via chiamata la via dell’autoliberazione lo Dzogchen.
si trova sia nella tradizione pre Buddista,il Bon, del Tibet sia nella scuola Nyngmapa.
L'insegnamento Dzog-chen è conosciuto anche come lo ' yoga primordiale '. Yoga
nell'accezione del termine tibetano naljor (rnal.'byor)che significa possedere la condizione
autentica ': la conoscenza dello stato primordiale dell'individuo. Un altro nome usato per
designare lo Dzog-chen è: l'insegnamento dello stato della mente di Samantabhadra, cioè
dell'illuminazione primordiale.
Il metodo della via è conosciuto come autoliberazione perché è basato sulla conoscenza,
sulla comprensione. Ma non c'è un oggetto da conoscere, si tratta di fare esperienza di uno
stato al di là della mente: la contemplazione
Secondo le tradizioni più recenti del buddismo tibetano, collettivamente chiamate scuole
"Sarma del veicolo del Mantra segreto", per rendere pienamente manifesta la chiara luce è
in primo luogo necessario che i concetti, siano imbrigliati con yoga quali quello dei venti o
energie vitali, il prànayoga, o quello del calore interno, il tummo. Sulla base di tali pratiche
yogiche, e nel processo di imbrigliamento e purificazione degli schemi di pensiero avventizi
della mente ordinaria, la mente innata e fondamentale della chiara luce (la "mente" in questo
senso), diventa pienamente evidente.E' chiaro quindi che il mantrayana La chiara Luce è
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inattiva ed inconoscibile quando le menti grossolane sottili sono in funzione. Non a caso
,infatti ,alla persona ordinaria , secondo il Tantra ,la chiara Luce si manifesti solo durante il
sonno o al momento della morte quando tutte le menti grossolane e sottili si dissolvono,
assieme alle energie a loro associate,.
Nella «via di autoliberazione» invece, lo «stato naturale della mente» viene manifestato
senza l'interruzione delle coscienze ordinarie.
Nello «stato naturale della mente», le emozioni sorgono e svaniscono senza cristallizzarsi ne
creare agitazione. La «dissoluzione» dei pensieri buoni o cattivi, come neve in acqua, nello
«stato naturale della mente» è «l'autoliberazione» dallo stato «artificioso dell'essere».
La natura della mente detta anche Base primordiale. Questa (TIB. ye-gzhi) non è né una
cosa in sé né la sostanza reale della mente: è incomposta, senza caratteristiche, vuota e
insieme luminosa. La vacuità è la sua dimensione primordialmente pura (TIB. ka-dag), e la
luminosità (TIB. 'od-gsal) è contemporaneamente la sua facoltà cognitiva(rigpa) e la sua
capacità di manifestazione è spontaneamente presente (tib. Ihun-grub). Vacuità e chiara
luce sono qui indifferenziate come l'acqua e l'umidità.
La natura della mente ha tre aspetti: un'essenza che è vacuità (tib. ngo-ba stong-pa), una
natura luminosa (tib. rang-bzhin gsal-ba) e una compassione incessante (tib. thugs-rje
ma-'gags-pa) che si esprime attraverso la varietà delle apparenze; i due ultimi aspetti
corrispondono alla luminosità e alla radianza dello Stato Naturale .
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qualità pura dei pensieri e di tutti i fenomeni percepiti, non contaminata dal giudizio
della mente.
La Base primordiale viene anche chiamata Rigpa. Più precisamente è la capacità dello
Stato naturale di essere consapevole di se stesso .E’ lo Stato che conosce se stesso .Non
è una mente non è un pensiero. Viene chiamata anche consapevolezza primordiale.
Nello Dzogchen .si dice che il Rigpa :non dipende dall'essere riconosciuto o meno o dal
fatto che si mediti o meno .Poichè sorge primordialmente(ye-shar), è chiamato
Consapevolezza Primordiale Questo significa che la Consapevolezza non dipende da
alcuna coscienza nè da alcuna sensazione mentale come la presenza (shes-bzhin) o
l'attenzione (dran-pa) attraverso i quali si può solo raggiungere un particolare Stato
Meditativo che non va confuso con il Rigpa.Il Rigpa è auto discernimento(rang-rig),ma
come più volte affermato da Lopon Rinpoche
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o impura, materiale o sottile, è una manifestazione o un aspetto dell'energia dello Stato
naturale
Il termine "Visione" non significa in questo contesto "opinione", "punto di vista" o "teoria
filosofica" elaborata dalla coscienza discorsiva. Nello Dzogchen, la Visione deriva da
un'esperienza diretta: è mostrata dal maestro al discepolo nel corso di una "presentazione
diretta di rigpa" (tib. rig-pa'i ngo-sprod) o trasmissione .
E’ bene capire che in realtà un essere umano non può istruire un altro essere umano su
come coltivare lo Stato Naturale.Non ci sono neppure istruzioni da impartire perchè in
realtà non c'è nulla da fare .
Il Maestro attraverso l’introduzione fornisce delle benedizioni e dei consigli che possono
aiutare Il discepolo ad esperisce, anche fuggevolmente, il proprio stato naturale ma non
infonde nessuna conoscenza
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