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Introduzione

Questa corrente religiosa Indiana si denomina buddhismo dall'epiteto attribuito al suo


fondatore: il Buddha, « lo Svegliato ». Questi, secondo la tradizione, si chiamava S
iddhàrta ma dal nome del clan viene detto altresì Sàkyamuni, «l'asceta della famiglia Sà-
kya ». Nacque a Kapilavastu nel Tarai e si spense a Kusinagara nel 478 a. C.; a Banaras
predicò ai primi discepoli.

Buddha Shakyamuni nacque come Siddhartha Gautama, figlio del Re degli Shakya,
Shuddhodhana, in un piccolo regno situato vicino ai piedi dell'Himalaya in una zona che
oggi si trova nel Nepal. Il palazzo dei Shakya era situato a Kapilavastu. Shakyamuni
nacque nei giardini Lumbini in una zona dove oggi c'è il villaggio di Padeira nel sud di
Nepal. Secondo le Jataka, egli nacque dal fianco della madre Maya, sotto un albero nei
giardini Lumbini. Sette giorni dopo la nascita, però, la madre morì all'improvviso. E,
così, la sorella di Maya, Mahaprajapati, fece da matrigna al bambino.

Dopo la nascita di Siddhartha, il Re Shuddhodhana convocò un saggio-veggente al suo


palazzo, come riferito da Ashvahogosha nella Buddhacàrita, dal nome Asita. Il Re chiese
ad Asita di osservare il bambino appena nato. Visto il bambino, Asita disse al Rè che il
bambino sarebbe diventato un grande guerriero o un re, oppure un uomo che avrebbe
rinunziato al mondo e sarebbe diventato un Buddha.

Il Re, ritenendo che il suo figlio sarebbe potuto diventare il prossimo re, confinò
Siddhartha nel palazzo di Kapilavastu, fornendogli divertimenti, articoli di lusso e tutte le
altre necessità. Il Re contornò il giovane principe, inoltre, di tante giovani ragazze assai
belle ed altri giovani di compagnia, belli e piena di salute. Il Re temeva che se il principe
avesse scoperto la vera realtà del mondo, avrebbe cercato una soluzione alle sofferenze,
ed avrebbe rinunciato il trono.

Mentre viveva ancora nel palazzo, Siddhartha si sposò con una bellissima ragazza che si
chiamava Yashodhara, la quale generò un figlio che si chiamava Rahula. Anche se il
giovane Siddhartha aveva tutto che voleva o di cui avesse bisogno, man mano crebbe il
desiderio di avventurarsi fuori Abbandonando la vita da principe, Siddhartha lasciò il
palazzo di nuovo, per studiare e conoscere a fondo la meditazione yogica, ed altre
pratiche austere. Osservò queste pratiche per un periodo di 6 anni, e superò in questo
anche i suoi maestri . Però, alla fine, Siddhartha rifiutò tutte queste austerità. Si accorse
che queste pratiche erano inutili e non potevano portare una persona alla vera liberazione
o all'illuminazione. Ma che anzi lo rendevano debole; decise allora , a differenza di altri
ascetici, di accettare e mangiare una scodella di riso e latte, offerta dalla fanciulla Sujata.
Dopo aver mangiato si riprese,e con una determinazione rinnovata viaggiò verso la
cittadina di Gaya

Siddhàrtha ,durante il tragitto, si ricordò che, una volta, prima di lasciare il palazzo,
aveva sperimentato uno stato meditativo spontaneo alla vista di un contadino
intento ad arare un campo. Notando quanti fossero, nel solco dell'aratro, gli insetti e
i vermi uccisi e vedendo la fatica dell'uomo, egli era stato sommerso dalla

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compassione, e la sua mente aveva raggiunto il primo dhyàna che procura pace e
beatitudine; decise allora di ritrovare quello stato e di servirsene.

Vedendo davanti a sé un albero di pipalo, sistemò al suolo uno strato di erba kusha
offertagli da un contadino e fece voto di restare a meditare ai piedi di quell'albero fino
a raggiungere l'Illu-minazione. Sedutosi a gambe incrociate sul "trono di diamante"
(sans. vajràsana), rimase così, in meditazione, per quarantanove giorni, senza
muoversi né mangiare.
Poco prima di conseguire l'Illuminazione perfetta, il Beato subì i violenti attacchi di
Màra, "il Maligno", e condusse la sua ultima battaglia interiore contro l'attaccamento,
la collera, l'ignoranza e la moltitudine delle passioni simboleggiate dall'esercito di
Màra. Questi gli apparve inizialmente sotto l'aspetto di Kàma, il dio della sensualità,
armato di frecce e accompagnato da tre desiderabili giovinette. Ma il Siddhàrtha
restò imperturbabile.
Màra fece appello, allora, al senso del dovere del principe: «Alzati, o guerriero, segui il
Dharma della tua casta, rinuncia al Dharma della liberazione! Non si addice a un principe
vivere come un mendi cantei», ma in vano. Furioso, il Maligno scatenò contro il futuro
Buddha le sue orride truppe, composte da mostri deformi d'ogni genere: si levarono venti
di tempesta, gnomi grotteschi vestiti di serpenti e demoni dal volto butterato e dal ventre
enorme gli scagliarono addosso asce, frecce, massi e tizzoni ardenti grandi come
montagne. Ma questi proiettili si fermavano a mezz'aria, trasformati in una pioggia di
fiori grazie alla meditazione del Bodhisattva.
Alla fine Màra esclamò: «Siddhàrtha, alzati da quel trono, che mi appartiene!». Il
Bodhisattva rispose: «Màra, tu non hai agito né per la conoscenza, né per il bene del
mondo né per l'Illumina-zione. Questo trono non ti appartiene, è mio». «Ma chi potrà
essere testimone della tua Illumina-zione?» replicò Màra. Allora il Buddha toccò la terra,
dicendo: «La terra mi è testimone». Essa tremò, e apparve la dea della terra: «Ne sono
testimone!» disse. Màra fu sconfitto, e il suo esercito indietreggiò e scomparve.

Il conseguimento della piena Illuminazione.Dopo la vittoria su Màra, il Bodhisattva


ritornò in quello stato meditativo del primo dhyàna provato in passato, poi, gradualmente,
raggiunse il quarto
dhyàna, uno stato di chiara e pura equanimità. In tre notti di veglia, sviluppò i tre tipi di
cono
scenza sovramondana:

Durante la prima veglia si ricordò di tutte le sue vite precedenti.Durante la seconda, vide
il karma degli esseri senzienti e il ciclico succedersi delle loro rinascite nella sofferenza.
Durante la terza, poco prima del levar del sole, realizzò la natura impermanente e
condizio nata di tutti i fenomeni e conseguì la piena Illuminazione, il perfetto Risveglio
di un buddha,che descrisse con queste semplici parole «Profondo, quieto, privo di
complessità, chiara
luce incomposta».Per una settimana il Buddha contemplò il senso della sua scoperta.
Scoppiò un gran temporale e Mucilinda, re dei nàga, emerse dalla terra con i suoi sudditi,
avvolse il corpo del Buddha fra le sue spire e, per proteggerlo, gli allargò sulla testa il
proprio cappuccio.

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Dopo raggiunto la liberazione dalle sofferenze del ciclo eterno di vita e morte,
Sakyamuni provò una gioia enorme. Nello stesso tempo, però, volle raccontare a tutti la
sua scoperta, così che anche loro potessero godere gli stessi benefici della sua
illuminazione. Comprese che sarebbe stato molto difficile spiegare questa scoperta alla
gente e renderla comprensibile, ma intuì che era sua la grande responsabilità d'indicare la
via per essere salvati da "duhkha" (sofferenza) ed entrare nel reame della Buddhità.

Il primo sermone del Buddha Sakyamuni fu quando predicò ai 5 ascetici con cui aveva
iniziato le varie austerità. Durante questo sermone, il Buddha insegnò loro le 4 Nobili
Verità seguite dalla Via Ottuplice sentiero

1) Duhkha: "esiste la sofferenza esistenziale".


Nella vita dell'Uomo è insita una sofferenza di tipo
esistenziale: essa affligge l'Uomo a motivo
dell'impermanenza della situazione esistenziale che lo
accompagna dalla nascita e per effetto della sua nascita
immersa nel "samsara".
Questa sofferenza esistenziale si rivela ed è percepita non
solo quando si constata l'ineluttabilità di malattia, vecchiaia
e morte, ma anche quando si è costretti al contatto con ciò
che non si ama come, ad esempio, contatti, connessioni,
relazioni, interazioni con persone, cose od eventi che ci
dispiacciono.
Ma non solo in questi casi: la sofferenza esistenziale si
rivela ed è percepita anche quando si è costretti alla
separazione da ciò che si ama, come quando uno è privato
di visioni, suoni, odori, sapori o sensazioni tattili
desiderabili, gradevoli, attraenti, oppure come quando uno
non riesce ad ottenere contatti, connessioni, relazioni,
interazioni con persone, cose od eventi che producono il
suo bene, il suo benessere, il suo agio, la sua libertà dalla
schiavitù, od infine quando uno debba subire la forzata
separazione da madre, padre, fratelli, sorelle o da amici,
compagni, parenti amati. La frustrazione dei desideri è una
delle più usuali percezioni del "duhkha", della cosiddetta
"sofferenza esistenziale".
Più in generale, la constatazione che viene fatta nella
"Prima Nobile Verità" è che esiste nella vita dell'Uomo una
sofferenza esistenziale associata all'impermanenza di tutte
le cose, al fatto che ogni cosa è destinata a finire.

2)Samudaya: "esiste un'origine della sofferenza


esistenziale"
La sofferenza esistenziale non è colpa del mondo, né del
fato o di una divinità; né avviene per caso. Ha origine
dentro di noi, dalla ricerca della felicità in ciò che è

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transitorio, spinti dal desiderio (trsna, in pali: «tanha» o
«brama») per ciò che non è soddisfacente. Si manifesta
nelle tre forme di kamatrsna o «desiderio di oggetti
sensuali»; bhavatrsna o «desiderio di essere»; vibhavatrsna
o «desiderio di non essere».

3)Nirodha: "esiste l'emancipazione dalla sofferenza


esistenziale"
Per sperimentare l'emancipazione dalla sofferenza
esistenziale, occorre lasciare andare trsna, l'attaccamento
alle cose e alle persone, alla scala di valori ingannevoli per
cui ciò che è provvisorio è maggiormente desiderabile.

4) La Nobile Verità della Via che ci guida all'estinzione


della sofferenza, la quale è la Via Ottuplice di:

1) Retto intendimento
(samma ditthi) cioè il
riconoscimento delle
"Quattro Nobili Verità"
attraverso la loro corretta
conoscenza e la
conseguente loro corretta
visione.

2) Retta risoluzione (samma


sankappa) cioè il corretto
impegno sostenuto dalla
corretta intenzione nel
padroneggiare il trsna
(l'attaccamento al desiderio di
vivere, alla brama ed
all'avidità di esistere, di
divenire o di liberarsi, al
desiderio di affermare il
proprio «sé esistente») in
modo da manterene la
corretta aspirazione che
consegue alla corretta
motivazione, al fine di non
lasciarsi condizionare dalla
«sete di esistere»,

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3) Retta Parola (samma
vaca) cioè l'assunzione della
personale responsabilità delle
nostre parole, ponendo
attenzione nella loro scelta e
ponderandole in modo che
esse non producano effetti
nocivi agli altri e di
conseguenza a noi stessi; ciò
significa anche che il nostro
agire deve essere improntato
al nostro parlare e
corrispondere ad esso.

4) Retta Azione (samma


kammanta) cioè l'azione non
motivata dalla ricerca di
egoistici vantaggi, svolta
senza attaccamento verso i
suoi frutti. È anche "l'azione
che si conforma
correttamente alla
situazione", nel senso in cui
non c'è più distinzione fra
l'azione individuale e
personale e l'azione del
karma cosmico in relazione
all'evento in cui l'agire
individuale e personale si
determina. In questo caso il
corretto agire individuale
armonizza in modo talmente
perfetto il karma specifico
prodotto dall'azione
individuale al karma
cosmico, da non consentire
più che il karma individuale
si distingua da quello
universale e di esso viene
quindi a costituire una sua
intima ed indistinguibile
componente. Per questo
motivo la "retta azione" è
anche considerata un "agire
senza agire".

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5) Retta Condotta di vita
(samma ajiva) cioè vivere in
modo equilibrato evitando gli
eccessi, procurandosi un
sostentamento adeguato con
mezzi che non possano
arrecare danno o sofferenza
agli altri. Questo comporta
anche la corretta padronanza
delle proprie intenzioni, in
modo che esse siano sempre
orientate e dirette lungo la
linea mediana di condotta di
vita (majjhama patipada)
attraverso una corretta azione
(samma kammanta).

6) Retto Sforzo (samma


vayama) cioè lasciare andare
gli stati non salutari e
coltivare quelli salutari.
Significa anche confidare
nella bontà della propria
pratica buddhista
perseverando con un corretto
ed equilibrato impegno nello
sforzo, motivato dalla fede
(saddhâ) che al buddhista
praticante proviene dai
risultati ottenuti
nell'avanzamento lungo il
persorso della propria
personale realizzazione
spirituale e nell'avanzamento
verso una sempre maggiore
capacità di esercitare una
corretta azione (samma
kammanta) nella propria
pratica buddhista.;

7) Retta Consapevolezza
(samma sati) cioè la capacità
di mantenere la mente priva
di confusione, non
influenzata dalla brama e
dall'attaccamento (trsna)

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8) Retta pratica della
meditazione (samma
samadhi) cioè la capacità di
mantenere il corretto
atteggiamento interiore che
porta alla corretta padronanza
di sé stessi durante la pratica
della meditazione (dhyāna).

Che Sakyàmuni sia un personaggio storico non pare possa dubitarsi, ma è altrettanto certo
che nella sua biografia sono concorsi, con l'andar del tempo, molti elementi leggendari,
echi e risonanze ed aspettazioni del mondo religioso che intorno ai fedeli a lui
contemporanei od a lui posteriori si agitava. L'età della sua morte, della sua definitiva
entrata nel nirvana, sembra debba fissarsi intorno al 478 a. C.
Egli non scrisse nulla, ma molto insegnò: i suoi discorsi vennero raccolti e tramandati dai
discepoli. Questa trasmissione orale ha naturalmente grandi svantaggi: è soggetta a
reticenze, aggiunte ed interpolazioni che non c'è modo di controllare. Tanto più che
dissensi e ostilità contro il maestro non mancarono neppure quando egli era vivente e più
accesi si fecero subito dopo la sua morte.
Ma anche grandi vantaggi.non vi sono infatti Papa Buddisti o professione di fede e
,sebbene durante i primi anni si siano tenuti alcuni concili ,non vi è mai stato un
tentativo di imporre un uniformità dottrinale all’intero mondo monastico per non parlare
di quello laico.

Nella sua secolare vitalità il buddhismo quindi si evolve e modifica: si moltiplica in


indirizzi che assumono il carattere di sistemi indipendenti: restano inalterati certi schemi,
ma il senso che ad essi si attribuisce è diverso da scuola a scuola, da tempo a tempo.

Due sono le correnti principali del Buddismo : dei Realizzatori Solitari e il Mahayana

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La Dottrina dei Realizzatori Solitari

L'insegnamento del Buddha, nelle sue linee generali, è semplicissimo. Tutte le cose interne
ed esterne, cioè il nostro insieme psicofisico e la realtà che ci circonda, sono impermanenti -
un susseguirsi di punti-istanti che danno l'illusione della continuità - e proprio perché
impermanenti, dolorose. Questi punti-istanti si condizionano l'un l'altro.

Il buddhismo, nella sua primitiva formulazione, aveva sostenuto, a differenza delle


Upanisad, del sàmkhya, del jainismo, che non esiste un io permanente, un atman, un jiva,
un purusa; ma non per questo sottraeva l'uomo alla responsabilità del karma, al peso delle
proprie azioni. Ciò che noi compiamo fruttifica; ogni pensiero, primo motore dell'azione,
racchiude in sé l'esperienza passata e si proietta, così carico, nel pensiero seguente; la
nostra personalità si riduce ad un fluire perenne di elementi (dharma) in continuo moto
condizionato; questo moto è dolore;

Non tutta la realtà si esaurisce tuttavia nel dolore. Il buddhismo non è pessimista e il
dolore, l'esistenza fenomenica, il samsara, può essere superato. Il superamento delle
cause essenziali che lo determinano, l'ignoranza e la brama, porta automaticamente con sé
la cessazione del loro effetto e la manifestazione di una nuova dimensione della realtà,
chiamata con un termine famoso, che significa «estinzione», nirvana. La produzione di
un nuovo karman e quindi la continuazione dell'esistenza, la serie delle nascite e delle
morti, dipende dalla brama (tanna, trsnà). L'estinzione della brama porta con sé la non
produzione di altro karman. La cessazione del dolore e la conseguente manifestazione del
nirvana rappresentano il fine supremo della dottrina buddhista. Il metodo, il cammino che
conduce a questa cessazione, Il metodo, il cammino che conduce a questa cessazione,
forma come vedremo l'oggetto della quarta nobile verità, la verità della via (magga,
marga,) che porta alla cessazione del dolore. Il nirvana è il piano del non condizionato,
del non coeffettuato (asamskrta,).
Dice il Beato:

“Due piani di realtà (dhatu) esistono, o Ananda, quello coeffettuato e quello non
coeffettuato. Questa è la cosa più alta, la cosa più eccellente, cioè a dire la
pacificazione di tutti i coefficienti, la liberazione da ogni forma di esistenza, la
distruzione, la soppressione, la cessazione della brama, il nirvana”

nirvana è l'unica cosa che non fa parte del meccanismo della coproduzione
condizionata.
“Esiste un non-nato, un non-prodotto, un non-fatto, un noncondizionato; se non
esistesse un non-nato non vi sarebbe via di uscita per ciò che è nato; ma, essendoci un
non-nato, v'è via d'uscita per ciò che è nato, prodotto, fatto, condizionato.”

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Nella misura che è di là da ogni esistere condizionato, il nirvana si sottrae, in realtà, a
ogni definizione. Di esso non si può dire né che è un annichilamelo né che è una forma di
esistenza. L'unico modo di indicarlo è quello di attribuirgli caratteri contrari a quelli
dell'esistenza fenomenica. Il nirvana, in questo senso, è immortale, permanente, stabile,
senza fine, incontaminato, è riposo, pace, sicurezza e via dicendo.
Il nirvana si presenta in due modi diversi, secondo che il Santo (arahant, arhant) che lo ha
raggiunto sia ancora in vita o sia morto. Nel primo caso, il Santo ha soppresso in sé ogni
forma di brama e quindi elimina ogni impulso karmico, fonte di future esistenze. Questa
eliminazione non cancella però gli elementi della sua esistenza attuale, cioè gli aggregati.
Questi sono determinati dalle azioni commesse in passato e ora in via di fruttificazione,
senza possibilità di arresto fino alla morte. Il corpo del Santo continua ad esistere e a
obbedire al meccanismo della coproduzione condizionata, nonostante la brama e l'igno-
ranza, fonte di nuovo karman, siano state recise alla radice. Questa forma di nirvana è
tecnicamente chiamata ti sopadhisesanirvàna, cioè nirvana fornito di resto. Dopo la morte
il Santo raggiunge il supremo nirvana, il nirvana.
Come abbiamo visto il Buddismo suppone che lo svolgimento della vita
corrisponda ad un processo Karmico, il cui centro e motore è la volontà umana: la
vita è divenire, il divenire per presupposto è dolore. Bisogna conoscere questo processo
per provocarne l'arresto. Come si vede questa legge ha valore soprattutto psicologico
ed etico.

Per il Buddismo il vero problema è l’attaccamento al se dell’individuo . Pertanto uno


dei principali insegnamenti del Buddha fu appunto l’assenza di un se.

L'individuo così come l’intero universo ,secondo il Buddismo, è risultano dei seguenti
elementi(dharma)

1) La terra,

2) L’acqua

3) Il fuoco

4) L’aria

5) Il vijnanà (la mente )

, il più sottile di tutti è l'elemento cosciente (vijnanà) correlato dell'etere: Il


meccanismo della liberazione si incentra tutto in questo elemento intelligente e volitivo
(vijnanà), il motore responsabile; le azioni umane impure toccano il principio cosciente,
lo rendono impuro e perciò sono chiamate « infezioni » (klesa), la mente impura suscita e
stimola nuovo karma, onde si svolge il ciclo samsarico. Le azioni pure rendono il
vijnanà immoto; le forze di proiezione karmica che ne derivano vengono ad essere

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arrestate e il piano dell'assoluto (dharmadhàtu) è avverato. Il vijnanà dunque prende il
posto dell'anima (àtman o jiva): esso è il centro della personalità e della
responsabilità umana; sia pure rarefatto e sottile esso è una sostanza, ma non
un'essenza che trasmigra o di cui siamo partecipi, come l'atman: è legato ad un
particolare individuo, e capace, in virtù del carma di cui è carico, di proiettarsi come
centro di raccolta di nuovi aggregati in una futura esistenza.

La letteratura canonica specificherà ancor meglio che non esiste un io. La persona umana
è un composto di cinque costituenti (skandha): corporeità (rùpa), percezione (vedano),
sensazione (samino),

Il divenire continuo degli aggregati è regolato da un meccanismo rigoroso, che non patisce
eccezioni, basato sul karman (pali kamma), «azione» o «atto». Ogni azione, buona o
cattiva, fatta consapevolmente, produce un effetto o frutto, che maturerà fatalmente,
quando se ne presenteranno le condizioni favorevoli, in questa vita o in esistenze future,
non importa quanto distanti nel tempo e nello spazio. «Le nostre azioni non periscono
neanche in centinaia delle migliaia di ere cosmiche, ma giunto il momento e l'insieme delle
condizioni favorevoli, daranno un frutto per gli esseri corporei.»9 La sorte che mi è stata
data in questa vita, se sono uomo, pianta o animale, essere infernale, spirito o divinità è
dunque il frutto di azioni precedenti, cui nessuno può sfuggire. Il karman appartiene alla
natura delle cose (clharmatà,), la quale, come dicono i dottori indiani, è inquestionabile, è
una legge naturale, indipendente, nel suo svolgersi, dai nostri concetti di giustizia morale,
di ricompensa o punizione. Un'azione buona matura, per natura, in un frutto buono,
un'azione cattiva in un frutto cattivo. Il karman, l'azione, non è, secondo i buddhisti,
l'azione esterna, materiale, ma l'intenzione o volizione che determina l'azione stessa.
«L'atto, o monaci, io dico che è la volizione (cetana); infatti, poi che ha voluto, uno fa
l'azione col corpo, con la parola e con la mente.» L'azione porta dunque con sé un risultato,
un frutto di retribuzione (vipaka) soltanto se è stata prodotta volontariamente ed è quindi
qualificabile come buona o cattiva. Il frutto, da parte sua, è una conseguenza, per così dire,
automatica, involontaria, dell'azione cosciente, eticamente indifferente (avyakrta),
costituita necessariamente

Compresa la legge Karmika e le cause del dolore in quale modo è possibile superare
il dolore. ?

La via, il cammino che porta al superamento del dolore, è, tutto nel sermone di
Benares,: il Nobile ottuplice sentiero. Le otto parti che lo costituiscono sono, per
antica tradizione, divise in tre diversi gruppi, cioè conoscitivo o noetico, morale e
contemplativo. Il primo gruppo, quello conoscitivo, è costituito dai primi due membri,
cioè retta visione e retto pensiero. Il gruppo morale comprende la retta parola, la retta
azione ed il retto modo di vita. Gli ultimi tre membri, il retto sforzo, la retta
attenzione e il retto raccoglimento, formano il gruppo contemplativo. L'osservanza
delle prescrizioni di carattere etico costituisce il primo e indispensabile gradino della
vita religiosa (brah-macarya), ma essa, da sola, è di per sé insufficiente a mandare a
effetto la cessazione del dolore. Questa richiede, da parte del discepolo, la pratica dei
tre elementi contemplativi del cammino, i quali purificano la mente e la preparano

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alla comprensione della realtà delle cose, rappresentata dalla retta visione e dal retto
pensiero. In realtà le tre parti del cammino sono un tutto unico e indissolubile. Il buon
successo del percorso dipende dal perfetto equilibrio dei suoi vari componenti. Ma
accenniamo adesso brevemente alle pratiche contemplative del buddhismo antico, le
quali sono uno degli elementi più importanti della concezione buddhista.

Gli stadi iniziali della tecnica contemplativa buddhista cadono sotto il settimo
membro dell'ottuplice sentiero, cioè la retta attenzione. Il discepolo deve diventare
perfettamente consapevole di tutti gli atti e movimenti del corpo, delle sue sensazioni,
delle sue percezioni, dei vari moti

dell'animo, buoni o cattivi. Questa attenzione, vigilanza e consapevolezza, dev'essere


insomma sempre presente e attiva circa ogni cosa del mondo esterno o inferiore. «Il Beato ha
dichiarato che la consapevolezza è sempre utile. Perché? Ma perché la mente ha, per rifugio,
la consapevolezza, la quale le da protezione. Senza consapevolezza, la mente non può essere
né favorita né repressa.» Questa meditazione preliminare, basata sulla consapevolezza, si
accompagna, secondo uno dei testi più antichi e importanti delle pratiche contemplative del
buddhismo, il «Discorso del metodo della presenza mentale» (Satipatthànasutta,), alla
riflessione sul carattere impermanente del corpo e sulle sue varie impurità, sugli elementi
materiali che lo compongono e sui vari stati di decomposizione ecc., che lo aspettano dopo
la morte. La presa di possesso del meccanismo che regola il corpo, le sensazioni e il
pensiero, analizzati e penetrati nei loro più minuti particolari, nel loro nascere e perire, dal di-
scepolo sempre vigile ed attento, è presupposto essenziale alla pratica delle cosiddette
quattro contemplazioni (jhàna, dhyàna) o stati di trance, che fanno parte dell'ottavo ele-
mento del nobile cammino, vale a dire il samàdhi, raccoglimento o concentrazione,
fissazione del pensiero in un punto, di là da ogni distrazione (viksepa).

Per riassumere i quattro Dhyana

1. Il primo dhyāna è una condizione di soddisfazione dovuta alla riflessione e


all'investigazione.
2. Il secondo stadio è la tranquillità senza riflessione nell'investigazione.
3. Il terzo porta all'assenza di ogni condizionamento proveniente dal desiderio che
sta alla base della sofferenza, premessa questa indispensabile al conseguimento
del successivo stadio.
4. Il quarto consiste nel nirvana, cioè nel superamento della sofferenza esistenziale
attraverso il "pensiero-senza-pensiero" e l' «agire-senza-agire» conseguenti alla
realizzazione del perfetto «risveglio spirituale buddhista», la cosiddetta
"buddhità", vale a dire la «qualità di Buddha» presente in ogni essere umano,
talvolta anche definita con il termine «vacuità».

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La comprensione di queste quattro meditazioni richiede qualche accenno alla cosmologia
buddhista. I mondi sono infiniti in uno spazio infinito. In questa infinità che appartiene
sempre al divenire e che, come s'è visto, è senza principio, il buddhismo distingue tre piani,
sfere o regioni, via via superiori. Il piano esistenziale in cui noi ci troviamo è chiamato «la
regione del desiderio» Dharmadhatu , popolata da cinque specie di esseri o pseudoindivi-
dui: creature infernali, animali, spiriti famelici, uomini (in talune liste figurano anche
gitanti-dèi, asura), più i cosiddetti dèi del desiderio (kàmadeva), di cui sono sei categorie.
Alla seconda sfera, chiamata «regione della forma» (rùpadhàtu), danno accesso appunto le
quattro meditazioni di cui si è parlato. Questa regione è popolata da quattro specie di dèi,
divisi in diciassette categorìe. Più in là di essa, c'è la «sfera della non forma»
farùpadhàtu^ che si divide a sua volta in quattro parti. U accesso a essa si deve a quattro (o
cinque) specie di raccoglimenti (samà-patti), differenti e superiori alle meditazioni
anzidette, corrispondenti a quattro regioni chiamate Infinità dello spazio, Infinità della
coscienza, Infinità del niente e Assenza d'ogni nozione e non nozione, detta anche «som-
mità del divenire» (bhavagga, bhavagra) . Le diverse categorìe di dèi che popolano il piano
della Forma e della Non forma sono in una condizione di felicità. Anch'essi, tuttavia, fanno
parte del divenire e, esauritisi i meriti spirituali per cui sono diventati dèi, saranno di
nuovo travolti dal ciclo del divenire, di rinascita in rinascita, sicché il loro stato di felicità
è puramente transitorio.

Le Scritture Canoniche

Le scritture del veicolo Hinayana sono

1. Il Suttapitaka (sanscr. Sùtrapitaka) vale a dire i sùtra che contengono la parola del
Buddha, i suoi discorsi ed i suoi insegnamenti;
2. Il Vinayapitaka, il Vinaya, regole monastiche che prescrivono quello che un monaco
deve fare o deve evitare;
3. Abhidhammapitaka (sancr. Abhidharmapitaka), Abhi-dharma, la sezione dottrinale
probabilmente più tarda.

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Le Dottrina Mahayana
Introduzione

La seconda corrente presente nel Buddismo è il Mahayana . "Grande veicolo" sorta nel
primo secolo dopo cristo.

Questo termine designa l'insieme degli insegnamenti buddhisti fondati sui sutra che
proclamano il primato dell'ideale del bodhisattva e della compassione universale sulla
liberazione, la duplice vacuità del sé individuale e dei fenomeni esterni, la dottrina dei tre
corpi dei buddha (sans. trikàya) e la presenza di innumerevoli buddha e bodhisattva
pronti ad aiutare gli esseri senzienti immersi nella confusione e nelle sofferenze del
samsàra. Nella classificazione indo-tibetana questi sutra sono considerati provenienti dal
secondo e dal terzo avvio della ruota del Dharma, diversamente dai sutra dell'Hìnayana,
che costituiscono gli insegnamenti del primo avvio della ruota. In tal senso il Mahàyàna
si distingue nettamente dall'Hinayàna, o piccolo veicolo, che riconosce soltanto i sutra
detti del primo avvio della ruota ruota e confuta tutti i punti suddetti.

Riguardo alla disciplina monastica, il Mahayana adotta le regole del Vinaya proprie del
l'Hìnayàna, ma estende la possibilità dell'emancipazione spirituale non limitandola più
alla sola vita monastica e stabilisce un proprio codice etico, quello dei bodhisattva.

Mentre L’Hinayana concepisce Il Buddha Shakyamuni come un uomo che ha


conseguito la liberazione durante la sua vita terrena .il Mahayana lo considera come una
manifestazione terrena di un essere già pienamente illuminato ; un essere che ha
conseguito la Buddhità nella più alta delle terre pure,il più alto pianeta dell’esistenza :
Akanistha. situato sulla cima del regno della forma il Rupadhatu.

Il Buddha ,secondo il Mahayana ,avrebbe soltanto finto di ottenere l'illuminazione sotto


l'albero della bodhi, avrebbe soltanto finto di entrare nel nirvana; avrebbe soltanto finto
di insegnare che il nirvana è la cessazione della mente e del corpo. I sùtra mahàyàna
cercavano chiaramente di ridefinire la persona del Buddha e la struttura del suo sentiero.
Ma tale revisione doveva tener conto della tradizione più antica, di quel che il Buddha
aveva già insegnato, cioè il sentiero dell'arhat culminante nel nirvana.

Ma a quale scopo ?

Il Buddha espone il proprio insegnamento spinto da una infinita compassione per gli
esseri senzienti, e tutti i suoi insegnamenti sono esattamente commisurati al livello di
coloro che sono destinati a riceverli: qualunque loro adattamento, a patto che sia
animato dalla compassione e dalla sapienza del Bodhisattva, e che sia adatto a chi lo

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deve ricevere, è dunque parte integrante della dottrina buddhista. Il Buddha, o un
Bodhisattva, è perfettamente capace di impartire anche insegnamenti non buddhisti, se
ciò assicurasse il bene degli esseri senzienti

Tutto ciò viene efficacemente illustrato da un altro testo interamente dedicato


all'insegnamento dell'abilità nei mezzi, testo che viene indicato col titolo abbreviato di
Upayakausalya Sutra. Questo sutra contiene una serie di domande e risposte
riguardanti leggendari avvenimenti della vita di Siddhàrtha, e spiega che quegli eventi
non erano in realtà ciò che sembravano essere, ma avevano la più alta funzione di
illustrare l'insegnamento del Buddha. Ad esempio, perché il Buddha, che era libero da
qualunque impedimento karmico e onnisciente, tornò una volta a mani vuote dalla sua
questua? A quanto sembra, ciò fu dovuto alla sua compassione per i monaci che, in
futuro, avrebbero avuto la sorte di tornare anch'essi a mani vuote (Chang 1983: 459).

L'insegnamento dei mezzi abili è di particolare importanza in riferimento all'etica


Mahàyàna, poiché tutto viene subordinato all'interesse superiore di una motivazione
sinceramente compassionevole e sostenuta dalla sapienza: tutto è relativo. Abilità nei
mezzi può dunque significare, per un Bodhisattva, agire in maniera contraria rispetto
ai più 'ristretti' codici etici o monastici validi per gli altri. Upayakausalya Sutra rac-
conta, ad esempio, come in una sua vita precedente il Buddha, pur studente di
religione consacrato al celibato, abbia avuto un rapporto sessuale con una ragazza
che minacciava di morire per amor suo (p. 433). Allo stesso modo, un'altra storia ben
nota nei circoli Mahàyàna narra come il Buddha, in una sua vita precedente, abbia
ucciso un uomo: si trattava dell'unico modo di impedirgli di uccidere 500 altre
persone e di precipitare, così, nel più profondo degli inferni per un lungo periodo di
tempo. Quell'atto del Bodhisattva, insomma, era motivato da una pura e semplice
compassione: egli sapeva di agire contro il codice morale corrente, ma, per il suo
amore verso il prossimo, era realisticamente pronto a precipitare egli stesso in un
inferno. La conseguenza di ciò, ci rassicura però il sutra, fu non solo che il Bodhisattva
compì un ulteriore progresso spirituale ed evitò l'inferno, ma anche che il potenziale
assassino rinacque in un regno celeste.

Nel sutra del loto vi sono molte parabole che illustrano efficacemente la teoria dei
mezzi abili

Si raccona ad esempio di un gruppo di viaggiatori che si misero in cammino per una


lontana città, condotti da una guida esperta. Al termine di un lungo viaggio giungono a
destinazione, ma solo per sentirsi dire che devono proseguire ancora, che non hanno
ancora raggiunto la meta. La guida spiega che, in realtà, la città in cui hanno trascorso
la notte era un'illusione, una città da lui stesso evocata per servire da tappa nel lungo
cammino. Se avesse detto sin dall'inizio che la strada era così lunga e la meta così
lontana, nessuno si sarebbe messo in viaggio. I viaggiatori sono coloro che cercano
l'illuminazione, e la loro guida è il Buddha. Sapendo che la meta dell'illuminazione
suprema, la buddhità, è molto lontana, troppo lontana per alcuni, ha inventato una meta
più facile, chiamata nirvana, su cui è possibile fissare lo sguardo. Ma questo nirvana è
un'illusione, non esiste, e non è la meta finale.

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Oppure si racconta del Il figlio di un certo uomo, aveva lasciato la casa paterna,
aveva vagato per il mondo, e si era ridotto alla più nera miseria. Nel frattempo, per
contrasto, gli affari del padre si erano ben j avviati in un'altra città, e l'uomo era
divenuto molto ricco. Il figlio capita un giorno nella casa del padre, e mentre egli
non riconosce più né il padre né la nuova dimora, il padre lo riconosce
immediatamente e manda un servo ad accoglierlo con tutti gli onori. Ma il figlio,
ahimè, è terrorizzato. L'uomo capisce allora che deve abituare gradualmente il
giovane all'idea di essere suo figlio e l'erede di tutte le sue ricchezze. Così,
inizialmente, offre al giovane lavori molto umili e gravosi (il raggiungimento della
condizione di Arhat), e affinchè egli esegua bene i suoi compiti, lo promuove a gradi
sempre più elevati. Infine, comincia a comportarsi con lui come con un vero e proprio
figlio e quando sta per morire, annuncia a tutti che quell'uomo è in realtà suo figlio e
il suo erede naturale. Il figlio, ovviamente, è preso dalla più intensa gioia (capitolo 4).
Il senso della parabola è evidente, come nel caso di tutte le buone parabole. Altrove,
l'insegnamento del Buddha viene paragonato alla pioggia che scende imparzialmente
su tutte le piante: ciò nonostante, questa pioggia viene assorbita e impiegata da ogni
pianta secondo la sua specifica natura (capitolo 5). Tale parabola, famosa in tutta
l'Asia orientale, ispirò questa deliziosa poesia giapponese di Shunzei (1114-1204):

La delicata pioggia di primavera sia là in fondo sia qui vicino sia sugli alberi sia sulle
erbe tutto ugualmente tinge dovunque del suo fresco verde.

È questo, dunque, il messaggio fondamentale della prima metà del Sutra del Loto: la
proclamazione degli abili mezzi del Buddha, della dottrina dell'Unico Veicolo, e
della gioia assoluta con la quale i discepoli del Buddha scoprono che potranno, e in
effetti dovranno, raggiungere la Perfetta Buddhità. Le mete della condizione di Arhat o
di Pratyekabuddha in realtà non esistono. Già in questa prima metà del Sutra del Loto
cominciano a verificarsi eventi straordinari, che adombrano l'altrettanto stupefacente
messaggio della seconda parte del testo.

Nel Sutra del loto ci è poi

Tra lo stupore dei convenuti, il sùtra descrive infatti la comparsa di un altro Buddha:
un Buddha proveniente dal passato, di cui nulla si sapeva, denominato Prabhùtaratna
(capitolo 11). Egli si manifesta in ciclo, all'interno di uno stupa che fluttua nell'aria, e
dichiara di aver tanto ammirato il Sutra del Loto da aver fatto voto di essere presente
ovunque esso fosse predicato. In queste parole, possiamo scorgere il riflesso di nume-
rose asserzioni. Innanzitutto, con ciò si afferma implicitamente che il Sutra del Loto
non è nuovo, e che la sua predicazione fa parte del ministero di ogni Buddha. In
secondo luogo, veniamo a sapere che può esistere più di un Buddha nel medesimo
tempo e nel medesimo posto. In terzo luogo, ed è questa l'implicazione sicuramente
più radicale, con ciò si nega uno degli insegnamenti basilari delle scuole non-
Mahàyàna, vale a dire il fatto che il Buddha, dopo il suo parinirvàna (morte), o
dopo il suo apparente parinirvàna, trascenda completamente ogni possibilità di
richiamo e recida a tutti gli effetti ogni relazione con gli esseri che ha in tal modo

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abbandonato. Qui, invece, Prabhùtaratna, che pure dovrebbe essere morto, appare
radioso e possente.

Proprio l'affermazione che il Buddha permanga, che non abbandoni i suoi figli, ma
continui compassionevolmente a soccorrerli in infiniti modi, rappresenta il perno della
seconda metà del Sùtra del Loto. Il Buddha, in realtà, non è morto. Viene paragonato a
un grande medico, i cui figli sono stati avvelenati: egli prepara rapidamente
l'antidoto, ma la mente di alcuni dei suoi figli è tanto sconvolta che essi preferiscono
ignorare la medicina. Il padre, allora, finge di morire e si allontana da loro. Quando
quei figli, per la violenta emozione, tornano in sé e finalmente pren-

dono l'antidoto, il padre ricompare: la sua morte non era altro che un abile mezzo
(capitolo 16). Pertanto Il Buddha è tuttora con noi.

Ma il Buddha dove ha conseguito la propria illuminazione

Come abbiamo visto in precedenza ,secondo la cosmogonia Buddhista nell’universo vi


sono tre principali livelli di esistenza nell’Universo.

1. Il Kamadhatu o mondo del desiderio dove tutti gli esseri senzienti inclusi gli Dei
in sanscrito Deva sono dominati dal desiderio (kama)
2. Rupadhatu o mondo della forma dove dimorano quegli Dei che hanno uno
straordinario corpo sottile rupa ed gli organi di luce e che non sono più dominati
dai desideri grossolani (kama)
3. Arupadhatu o mondo senza forma dove gli uomini non hanno forma e esistono in
una dimensione di coscienza cosmica .

Per il Mahayana ,come abbiamo già visto,lo Stato di Arhat non è il raggiungimento
della meta finale ;per conseguirla bisogna rinascere nei pian superiori di esistenza .
Esistono dieci terre attraverso quali si purifica il proprio flusso di coscienza e si
acquisisce via via un corpo sempre meno grossolano e sempre più luminoso e sottile
fino a raggiungerel’illuminazione come Sambhogakaya nella terra pura di Akanistha
posta in cima al Rupadhatu

Prossimi all’ottenimento della Buddhità , si ottiene la rinascita nella terra pura di


Akanistha, dove assumendo il finissimo corpo di luce ,si purificano le ultime sottili
maculazioni che affliggono la mente, ottenendo la Buddhità dotati della forma chiamata
del Sambhogakaya .

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Gli infiniti esseri del Kamadathu ,per via delle loro oscurazioni ,non possono percepire il
Sambhogakaya e allora per loro, il Buddha manifesta innumerevoli proiezioni o
emanazioni (nirmitas) della sua forma ,conosciuti come Nirmanakaya o corpi di
emanazione(sprul-sku).

I testi spesso paragonano il .Il Sambhogakaya al sole i cui raggi luminosi splendono
ovunque .

Benché vi sia unico sole nel cielo mille rivoli d’acqua sono in grado di riflettere
immagini di esse che sono il Nirmanakaya.Ma soltanto quando il praticante ha raggiunto
la via della visione (il darshana-marga il terzo tra i cinque sentieri) ha purificato
sufficientemente le sue oscurazioni.In questo modo può vedere il Sambhogakaya e
sentire direttamente i suoi insegnamenti.Gli esseri oscurati sono solo capaci di percepire
il Nirmanakaya.

Per i sutra Mahayana quindi non solo l’illuminazione non si acquisisce in questa terra
ma si devono sviluppare i tre kaya : Dharmakaya ,Sambhogakaya,Nirmanakaya

In origine nell Hinayana il Buddha oltre ad un corpo fisico aveva un chiamato 'corpo
fatto di mente', o 'corpo di emanazione',

Questo secondo corpo che usava per compiere miracoli come ad esempio la visita alla
madre morta. Venne sollevato anche il problema di chi precisamente dovessero onorare
i buddhisti quando veneravano il Buddha. Il corpo fisico, che morì di dissenteria, venne
cremato, e le ceneri distribuite tra i fedeli e chiuse negli stùpa? Oppure qualcosa di
meno corruttibile? Venne coniato un termine per indicare un corpo più metaforico, un
corpo inteso come una raccolta di tutte le qualità, o dharma, del Buddha: saggezza,
compassione, fermezza e pazienza. Questo insieme di qualità venne chiamato
dharmakàya, e identificato con il corpo del Buddha a cui ci si rivolge per rifugio.

E’ bene sottolineare che il Buddha non è mai stato considerato un essere umano e non è
descritto in questo modo da nessuna tradizione Buddhista .Egli infatti appare sempre
come l’incarnazione di tre dimensioni :quella fisica ,quella “spirituale”(la sua
esemplificazione della vera natura delle cose che dimostra la sua condizione di perfetta e
di piena illuminazione)e quella magica cioè la sua compassionevole abilità e
propensione ad intervenire magicamente per il bene degli altri esseri.

Queste tre dimensioni rivelano l'incarnazione della perfetta sapienza, vale a dire la
conoscenza della vera natura delle cose, e della compassione, vale a dire l'intervento
magico, che sono i due elementi costitutivi fondamentali della Buddhità, nel corpo
fisico del monaco che abbiamo la fortuna di incontrare. Noi, peraltro, possiamo
divenire illuminati non in virtù del semplice incontro con lui, ma seguendo i suoi
insegnamenti fino ad incarnarli nella nostra stessa presenza fisica. Il corpo del Bud-
dha, e i suoi interventi magici, non sono in effetti che strumenti funzionali alla
conoscenza della Verità da parte di altri esseri. In tal modo, con l'affilata spada
della nostra sapienza, 'uccidiamo' il Buddha fisico, con ciò trascendendo la

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dimensione fisica e pervenendo alla vera natura delle cose che egli incarna ed
esemplifica. Da questo punto di vista, ovviamente, la concreta morte fisica del Buddha,
dell'Illuminato, non appare una tragedia tanto grave.

Tutto questo venne ampliato nel Mahayana. Il corpo di emanazione non fu più il
corpo usato dal Buddha in occasioni particolari per compiere atti miracolosi, ma
divenne l'unico corpo apparso nel mondo, l'unico corpo visibile agli esseri umani. Fu il
corpo di emanazione a nascere come principe, e fu il corpo di emanazione che si recò in
città su un cocchio e che rinunciò alla vita principesca; e fu il corpo di emanazione che
raggiunse l'illumuiazione e insegnò il dharma al mondo. Ciò significa che il Buddha che
noi conosciamo è un'apparizione magica. Inoltre il Buddha, nelle sue emanazioni, non
era confinato nella forma splendente che ci è così familiare grazie all'iconografia
buddhista. Poteva apparire sotto forma di oggetto inanimato, di una frase o una parola
ispirante, di una brezza rinfrescante, di un ponte su un fiume altrimenti invalicabile.
Poteva manifestarsi in forma umana, soprattutto come musicista o pittore.

Il vero buddha, la sorgente delle emanazioni, era il dharmakàya, un termine che


benché si riferisse ancora alle qualità trascendenti del Buddha, giocando sulla polisemia
del termine 'dharma' venne a indicare qualcosa di forse più cosmico, un principio
eterno di illuminazione e verità ultima indicato nei testi mahàyàna più tardivi come la
mente onnisciente del Buddha e la sua natura profonda di vacuità.

Quindi possiamo incontrare almeno tre aspetti per il Dharmakaya .

Il dharmakàya, in questo senso, è il corpo, o l'insieme, delle verità ultime


(sunyatà, vacuità); o, anche, l'insieme di quei dharma mentali che raggiungono la
cognizione della verità ultima (=prajna). Anche se il Buddha è morto, rimane
comunque la verità da lui enunciata, la cui realizzazione è tuttora possibile. cose.

il termine dharma dell'espressione dharmakàya indica,infatti , quegli elementi


fondamentali (i dharma, appunto) che, posseduti nella più alta misura, determinano la
realizzazione del Buddha, così per i testi della Perfezione detta sapienza l'espressione
dharmakàya finì col riferirsi non solo alla Dottrina che enuncia la vera natura
delle cose, ma anche alla realizzazione e alla vera natura delle cose in sé e per sé.

Pertanto , il dharmakàya è la stessa vacuità, la vera natura delle cose e da questo


consegue che l'essenza del Buddha, la sua vera natura, non è differente dall'essenza o
dalla vera natura di tutte le cose. In tutte queste accezioni, il dharmakàya si con-
trappone comunque a quel corpo fisico del Buddha che visse, morì e venne
conservato negli stupa. Fare appello al corpo spirituale (dharmakàya) anziché al 'corpo
di forma' (rùpa-kàya) significava, insomma, fare appello allo spirito anziché alla forma
non ha solo una rilevanza dottrinale ma anche pratica . coloro, infatti, che si
opponevano alle 'innovazioni' del Mahayana, e all'introduzione di insegnamenti non
impartiti dal Buddha 'storico', venivano per questo accusati di essere legati con

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ingiustificabile rigidità alla dimensione fisica del Buddha, anziché a quel dharmakaya
che, come tutti ammettevano, lo stesso Buddha aveva indicato come guida della
Comunità dopo la sua morte.

Per Nagarjuna Coloro che si preoccupano delle prove della autenticità storica, o
delle reliquie, quando ciò che conta è solo la realizzazione, non si possono definire
altro che stolti.

Questo corpo del Buddha lo si ottiene attraverso l’accumulazione di quello che il


mahayana chiama l’accumulazione della saggezza(lo vedremo in dettaglio) .Ma gli esseri
ordinari non sono capaci di coglierlo perché non sono capaci di scorgere la vera natura
dei fenomeni . Pertanto il Buddha manifesta gli altri due corpi che abbiamo accennato
all’inizio Sambhogakaya e il Nirmanakaya

E’ significativo il fatto che il dharmakàya sia la base degli altri due corpi del
Buddha in quanto essi rappresentano la compassione del Buddha stesso. Essi, dunque,
non sono fondamentalmente veri, ma come l'illusione fenomenica di chi non è
illuminato si costruisce sulla base della coscienza, così gli altri due corpi del Buddha
si costruiscono, in virtù della compassione, sulla base della pura coscienza non duale
del Buddha,

Abbiamo visto che il secondo corpo del Buddha è denominato sàmbhogakàya, il


Corpo del Completo Godimento. È questo un corpo fisico (mpakàya), anche se,
forse, non si tratta di un corpo di grossolana forma materiale. Si manifesta in
svariati modi e in svariati luoghi, secondo le necessità degli esseri senzienti
(M.Samg. 10:35). Il Corpo di Godimento, però, per quanto eccelso, è sempre un
corpo impermanente. Si tratta, in realtà, del corpo glorificato del Buddha, adorno
dei trentadue e degli ottanta segni di eccellenza, che appare assise su un trono di
loto in una Terra Pura, nell'atto di predicare il Mahàyàna a un'assemblea di seguaci.
Nei paesi Mahàyàna si ritiene tradizionalmente che il Corpo di Godimento rivolga
la propria predicazione solo a quei Bodhisattva capaci di raggiungere, in virtù del
proprio progresso spirituale, una Terra Pura, e che i sùtra Mahàyàna siano in
realtà l'effetto proprio di questa predicazione del Corpo di Godimento, piuttosto
che di quella del cosiddetto Buddha storico Siddhàrtha Gautama..

Il terzo Corpo è il corpo Nirmanakaya di cui è un esempio Siddhàrtha Gautama. I


cui insegnamenti sono rivolti a persone avviluppate nell’ignoranza e materialità.

Gli occidentali ,studiosi e praticanti , guardano questa progressiva divinizzazione del


Buddha ; per molti ,soprattutto tra coloro che aderiscono alla tradizione dei Realizzatori
solitari, la testimonianza di una progressiva falsificazione degli insegnamenti Buddisti ad
opera della corrente Mahayana.

Infatti ,l'idea della divinizzazione implica per i lettori occidentali una radicale
deumanizzazione (o sovraumanizzazione) che invece risulta fuorviante nel contesto

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indiano. La divinizzazione, vale a dire l'attribuzione a un determinato essere di qualità
divine, era infatti del tutto comune nell'India antica, e non aveva affatto quelle
implicazioni drammatiche che si attribuiscono a essa nell'ambito di una cultura
monoteistica: il fatto, cioè, che l'essere così divinizzato entri a far parte di una cate-
goria del tutto diversa da quella degli uomini comuni

Bisogna comprender che nell'India antica, la divinità era a buon mercato Il re, i
Bramini, i santi asceti, le stesse vacche venivano tutti chiamati dèi, o dèe; secondo
alcuni dei codici di leggi, anche l'oro e il burro purificato erano dèi. Inoltre, potevano
essere dèi gli alberi, e un dio dimorava comunque nell'intimità di ogni casa sotto
forma di Agni, il Fuoco. Era del tutto naturale, dunque, parlare del Buddha nei
termini che di solito venivano usati per gli dèi, e ciò non implicava molto di più che
un atteggiamento di profondo rispetto e umiltà da parte dei suoi seguaci. In un
mondo privo di una rigida dicotomia tra sacro e profano, tra Dio e creato, e nel
quale i confini fra il divino e l'umano sono mutevoli, non si poteva nemmeno
concepire che Siddhàrtha Gautama, una volta divenuto il Buddha, l'Illuminato, fosse
considerato come un qualunque essere umano. Il Buddha,infatti, aveva scoperto
verità sconosciute ai sacerdoti Bramini e agli stessi dèi. In un cosmo in cui, secondo
la concezione buddhista, gli esseri umani possono divenire dèi per i meriti acquisiti, e
gli dèi precipitare nei più profondi inferni.per l'esaurimento di quegli stessi meriti, il
Buddha aveva trasceso il ciclo stesso della rinascita, e quindi la condizione tanto di
uomo quanto di dio. Anche se, per rispetto, gli si possono attribuire particolari qualità
divine, il Buddha, in quanto essere illuminato, viene dunque preposto e contrapposto
sia agli uomini che agli dèi. Nella stessa tradizione Theravada, ove l'aspetto umano
del Buddha è particolarmente evidenziato, il Signore nega di essere un uomo o un dio:
egli, piuttosto, afferma di essere un Buddha, simile in ciò a tutti i Buddha che
l'avevano preceduto e a quelli che l'avrebbero seguito.

La Compassione
Secondo il Bodhipathapradtpa di Atisa, gli esseri, in relazione alle loro prospettive o
aspirazioni, possono essere divisi in tre categorie: gli inferiori, i mediani, e i superiori.
Coloro che hanno una prospettiva inferiore non mirano che a se stessi: sono egoisti, e
agiscono solo in funzione dei piaceri del samsàra, o nella vita presente o in una
futura rinascita. Altri testi specificano che una simile prospettiva o aspirazione non
può essere in alcun modo definita 'religiosa'. Coloro che appartengono alla seconda
categoria, che hanno, cioè, un'aspirazione mediana, rinunciano ai piaceri della vita e
si astengono dagli atti immorali. Essi agiscono al fine di raggiungere una pacificazione
personale: vale a dire, di pervenire all'illuminazione propria di un Arhat. Ma coloro che
hanno la prospettiva superiore, più elevata, cercano di dissolvere ogni forma di
sofferenza del loro prossimo, poiché il dolore del loro prossimo è in realtà il loro
stesso dolore. Atisa ha scritto il suo Bodhipathapradtpa proprio per quest'ultima

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categoria: per gli esseri superiori che seguono il sentiero del Bodhisattva delineato dal
Mahàyàna.

Abbiamo, dunque, i normali esseri di questo mondo; coloro che seguono il sentiero
del nirvana di un Arhat: e infine i Bodhisattva che aspirano a dissolvere il dolore di
tutti gli esseri senzienti.Solo gli ultimi possono essere considerati i veri seguaci del
Mahayana.

Lo sviluppo della più autentica motivazione Mahàyana viene definito la 'generazione


del bodhicitta', la Mente dell lluminazione o del Risveglio. Il bodhicitta scaturisce sia
da una profonda compassione per il dolore degli altri esseri sia per un profondo
sentimento di amore nei loro confronti . Sua Santità il Dalai Lama ha talora affermato,
parlando da un punto di vista Madhyamaka, che nel Mahàyana non esistono entità
assolute, ma che se ve ne dovesse essere una, questa sarebbe la compassione. La
compassione non è, evidentemente, un assoluto di carattere ontologico, ma per il
Mahàyana è comunque un assoluto di carattere etico. Nel primo capitolo del suo
Bodhicaryàvatàra, uno dei massimi poemi spirituali dell'umanità, Sàntideva (695-743)
così esalta la compassione e il bodhicitta:

Esso è simile alla pietra filosofale, Poiché trasforma il corpo impuro che
abbiamo assunto Nell'inestimabile gioiello della Forma di Buddha.
Pertanto afferra saldamente questa Mente del Risveglio.
Come posso sondare gli abissi Dell'eccellenza di questo gioiello
della mente, La panacea che solleva il mondo dal dolore E che
è l'origine di tutta la sua gioia?

Il seguace Mahayana si propone di diventare un essere illuminato solo per liberare gli
esseri dal dolore e condurre anch’essi alla liberazione

Le Paramita

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Con lo sviluppo del bodhicitta, come afferma il Sùtra dei Diecimila Stadi, o Dasabhumika
Sùtra, il Bodhisattva raggiunge il primo degli stadi (bhùmi) del sentiero che conduce alla
Buddhità ma per proseguire nel sentiero bisogna sviluppare le Paramita

Paramita significa Azione trascendente virtù trascendente", "trascendenza", "perfezione"


e di norma sono elencate in sei tipi

Sono dette trascendenze perché il loro momento e la loro natura sono puri, e perché per
mezzo loro si ottengono risultati supremi.

Fondamentalmente, le pàramita sono azioni virtuose illuminate dalla conoscenza


superiore (sans. prajna,)che trascendono i concetti del sé e dell'altro da sé.

Senza lo sviluppo di prajnà mediante lo studio e la pratica congiunti, non si può quindi
parlare di pàramita, ma solo di azioni ordinarie. Le pàramita risultano infatti dalla Visione
della bodhicitta assoluto la vacuità applicata nell'azione

La Prima Paramita è la generosità trascendente che comprende tre aspetti,

1. La generosità materiale
2. La generosità spirituale
3. La protezione dalla paura

Con Generosità materiale ci si riferisce a tre tipi di dono:

1. Il dono semplice, ossia l'offerta di oggetti


materiali senza aspettarsi né una ricompensa né di
ottenere un buon karma, senza avarizia o attacca
mento. Anche la minima offerta fatta in questo spi
rito può avere grandi risultati positivi.

2. Il grande dono, che è l'offerta di ciò che


amiamo di più o di qualcosa di raro.
3. Il dono supremo, ossia offrire le proprie membra, il proprio corpo o la propria vita
ad altri. È il genere di offerta che fece a una tigre affamata il bodhisattva che
sarebbe diventato, più tardi, il Buddha. Può essere praticata soltanto da un
essereche abbia almeno raggiunto la prima terra, o livello, di bodhisattva.

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Con generosità spirituale nel dare insegnamento e con l’ultima(La protezione dalla
paura) si dà un aiuto diretto o indiretto, a seconda delle proprie capacità, a chi è nella
disperazione, ai perseguitati o a coloro la cui vita è in pericolo.

La seconda Paramita è La disciplina o etica trascendente comprende tre aspetti:

1. Evitare di agire male


2. Praticare il bene
3. Fare il bene degli esseri senzienti

La terza Paramita è la La pazienza trascendente che presenta tre aspetti

1. Sopportare l'ingratitudine altrui


2. Sopportare le prove
3. Non temere il senso profondo del Dharma

La quarta Paramita è L'impegno entusiastico o "perseveranza"

1. L'impegno simile a un'armatura


2. L'impegno attivo
3. L'impegno insaziabile

La quintaParamita è La concentrazione

Se ci semplifichiamo la vita, sconfiggiamo la distrazione e la dispersione. La mancanza


di chiarezza, o torpore, si elimina sedendosi a meditare. Quanto alla concentrazione
propriamente detta, comporta tre livelli progressivi:

1. La concentrazione del principiante che resta aggrappato alle esperienze di


beatitudine, chiarezza e assenza di pensiero o cerca di averle, mosso da un interesse
particolare. Una tale concentrazione è considerata puerile.

2. La concentrazione che discerne con chiarezza: distaccati dalle esperienze


meditative, si prova ancora un attaccamento per l'antidoto, ossia lavacuità,
concettualizzandola.

3. La concentrazione eccellente dei tathàgata:

essa non dipende più dal concetto di vacuità. Si tratta della concentrazione della realtà,
senza pensiero discorsivo.

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La sesta Paramita è La conoscenza trascendente o Prajna .

Pietra angolare dell'edificio delle paramita, unisce la bodhicitta assoluta e la bodhicitta


relativa dell'azione. Mentre le prime cinque paramita si fondano essenzialmente su oggetti di
pratica considerati nel loro aspetto relativo, l'oggetto di prainà è la vacuità, l'aspetto assoluto
di tutti i fenomeni: «Tutti i torrenti, tutti i fiumi si gettano nel Gange e l'accompagnano
fino al mare. Allo stesso modo, le prime cinque trascendenze, associate alla conoscenza,
procedono verso l'onniscienza, ovunque sia»

È detto anche che senza la conoscenza le altre cinque paramita sono come prive di occhi, e
non consentono di conseguire l'Illuminazione. Appena vengono animate dalla prajnà ecco
che hanno gli occhi, e si meritano d'essere chiamate "trascendenze".

La Prajna presenta tre aspetti:

1.La conoscenza acquisita ascoltando l'insegna


mento (SANS. srutamayìprajnà), ricordandone le
parole e il senso, e comprendendo adeguatamente
le parole del maestro.
2.La conoscenza acquisita mediante la rifles
sione (SANS. cintàmayìprajnà), che consiste nel
ripassare mentalmente l'insegnamento per verifi-
carne il senso tramite l'esame e l'analisi, e nel-
l'informarsi su quanto non si conosce. A propo
sito del senso della pratica, si procederà a un
esame critico allo scopo di essere autonomi nella
meditazione.

3.La conoscenza acquisita mediante la medi


tazione (SANS. bhàvanàmayìprajfià), che consiste
nello sperimentare con la meditazione quanto si
è appreso, in modo da conseguirne una certezza
interiore al di là di ogni dubbio, e contemplare la
realtà assoluta.

Fra le sei paramita, le prime cinque hanno a che fare con i mezzi abili (SANS. upàya) e con
l'accumulazione, o sviluppo, dei meriti (SANS. punya-sambhàra), mentre la sesta riguarda
l'accumulazione della saggezza

Nel mahayana però l’aspetto assoluto della realtà assunse diversi significati .Esaminiamo
adesso le correnti più importanti del Mahayana

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La Madhyamaka

La Base o Visione del Màdhyamika consiste nell'unire le due verità o realtà: la realtà
relativa o convenzionaleche riguarda l'ambito delle apparenze fenomeniche, e la realtà
assoluta o ultima ,che è la vacuità dei fenomeni

Dapprima bisogna distinguere bene queste due realtà, che Candrakìrti definisce così:
«Tutti i fenomeni hanno due nature: quella trovata percependo la loro realtà e quella
trovata percependo il loro carattere ingannevole. L'oggetto della percezione corretta è la
realtà assoluta, quello della percezione ingannevole è la realtà convenzionale»

Sul piano relativo, i fenomeni appaiono ai nostri sensi e sembrano esistere veramente, ma
sul piano assoluto sono sprovvisti di un'esistenza intrinseca.

Prendiamo ad esempio una montagna ; vista dalla sua parte essa sembra possedere una
massa e una sostanza proprie, indipendenti da qualsiasi condizione. Eccola ergersi
davanti a noi: imponente, indipendente e concreta, ma se riflettiamo scopriremo
gradualmente che essa deve la sua esistenza a una varietà di cause e condizioni e a
innumerevoli particelle atomiche tanto piccole da non essere visibili. È solo l'unione di
tutte queste parti, che a loro volta dipendono l'una dall'altra, a formare la montagna. Essa
esiste solo in questo modo dipendente; non c'è un'entità 'montagna' esistente
indipendentemente, un qualcosa separato dalle cause e dalle parti componenti che sono la
base della sua esistenza.

Ciò è vero per tutti i fenomeni materiali, grandi o piccini che siano. Immaginate
di avere un chicco d'uva in mano. Perfino prendendo in considerazione questo
piccolo e relativamente insignificante oggetto, comincerete a notare il gran numero
di svariate condizioni responsabili della sua attuale esistenza. Pensate per esempio
al campo in cui

è cresciuto, alla vigna da cui proviene, agli sforzi del contadino, al sole e alla
pioggia che lo hanno aiutato a svilupparsi. In questo modo possiamo capire come
ogni fenomeno debba la sua esistenza a una miriade di fattori condizionanti.

Non si troverà niente che sia privo di esistenza dipendente. Anche le minuscole
particelle atomiche che sono i costituenti di base della materia sono eventi
dipendenti. Esse dipendono dalle loro parti direzionali così come dalle cause che
le hanno prodotte e dagli effetti a cui a loro volta danno luogo.

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Anche fenomeni meno concreti, come il tempo, sorgono in modo dipendente.
Prendete per esempio l'anno 2008 . A prima vista esso appare come un solido
pezzo di tempo dotato di una sua ben definita identità, mentre in realtà la sua
esistenza dipende da periodi di tempo più brevi: mesi, settimane, giorni, che a
loro volta dipendono da ore, minuti, secondi, millesimi di secondi e così via. Non
c'è anno o altro periodo di tempo che esista indipendentemente da periodi di tempo
più brevi e se si giungesse a togliere una qualsiasi parte componente l'insieme,
l'insieme stesso non potrebbe più esistere.

Perfino la mente è priva di esistenza indipendente. Ogni stato mentale dipende da


numerosi momenti di coscienza e da svariati fattori mentali. La mente che ha
meditato per un'ora sembra avere una identità propria e indipendente, ma se la
analizziamo troveremo che essa dipende totalmente da diversi singoli pensieri,
percezioni e sentimenti sperimentati in quell'ora, oltre che dagli oggetti di
meditazione. Anche particolari fattori mentali, come ad esempio le sensazioni di
piacere e dolore, dipendono da svariate condizioni che, una volta riunite,
provocano quella particolare impressione. Nemmeno il flusso ininterrotto della
coscienza che migra da una vita all'altra fino a raggiungere la buddhità esiste in
modo indipendente. Essa esiste in uno stato costante di cambiamenti momentanei e
perciò dipende da un numero infinito di momenti che formano la sua continuità.

La persona è dipendente. La possiamo pensare composta di un corpo e una mente,


ma non la possiamo identificare né con l'uno né con l'altra. Né possiamo pensare che
qualcuno sia le proprie ossa o la propria carne o il proprio stato d'animo o la propria
ricettività. In realtà, la persona esiste semplicemente in dipendenza dai costituenti
fisici e mentali che la compongono. Essa non ha un'esistenza propria, indipendente
da questi fattori, né si identifica con essi.

Anche fenomeni permanenti e incondizionati, come ad esempio lo spazio, sono


entità dipendenti. In una stanza lo spazio, cioè la semplice mancanza di contatto
ostacolante, dipende dalle sue parti direzionali, cioè dall'assenza di ostacoli nelle
varie parti della stanza. Oltre a dipendere da cause e parti componenti, i
fenomeni dipendono anche dalla designazione della mente. Questo tipo di dipendenza
è più sottile e difficile da capire dell'altro, ma è molto importante afferrarne il senso.
Spesso si dice che tutti i fenomeni sono semplicemente designati dalla mente e che
nulla può esistere indipendentemente da tale designazione. Ma cosa significa
designare qualcosa con la mente? In realtà designare (btags. pa) non significa altro che
apprendere ('dzin. pa). Pensiamo a una lampada nella nostra stanza. È proprio
pensandola che la apprendiamo e così facendo la designiamo. Perciò la designazione è
la qualità fondamentale della mente con la quale essa apprende gli oggetti.

Possiamo apprendere, o designare, sia entità esistenti che non-esi-stenti. Se ciò


che apprendiamo è esistente, la mente che apprende è una mente valida (corretta),
altrimenti, se ciò che designiamo non esiste, allora la mente che apprende è erronea.

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Per esempio, potremmo trovarci a passeggiare in un giardino e notare un oggetto
piuttosto lungo, avvolto a spirale, seminascosto dall'erba alta. A questo punto,
indietreggiamo impauriti scambiandolo per un serpente, ma una volta avvicinatici
cautamente per osservarlo - meglio ci rendiamo conto che non si tratta di un serpente
ma della canna per innaffiare. La percezione iniziale ha designato un serpente ma,
poiché il suo oggetto non era in realtà un serpente, quella percezione era errata. In
un'altra circostanza potremmo. invece vedere un oggetto e riconoscerlo correttamente
come serpente. In questo caso la designazione di serpente corrisponde alla realtà e perciò
la mente che percepisce è corretta. Quindi, quando si afferma che tutti i fenomeni
esistenti sono delle designazioni della mente, deve essere chiaro che in questo caso
per 'mente' si intende una mente valida. Ciò non significa che un qualsiasi particolare
stato mentale possa inventarsi l'esistenza di un fenomeno.

Tutti i fenomeni esistono in dipendenza da cause e condizioni (se si tratta di


fenomeni condizionati), parti componenti e designazioni mentali. Ovvero, niente esiste
in modo autonomo e indipendente da cause, parti e designazione. Ebbene, ciò che si
vuole ora negare, vale a dire l'esistenza intrinseca e indipendente, è totalmente non-
esistente; quello che esiste è la sua vacuità. La vacuità non è altro che l'assenza di
ciò che si nega. Se ciò che si nega, cioè l'esistenza intrinseca, fosse esistente, allora la
vacuità non dovrebbe esistere. Quando qualcosa comincia a esistere è, per sua stessa
natura, qualcosa di designato dalla mente e quindi vuoto di esistenza indipendente.
Perciò, quello che si intende con il termine 'vacuità' è la semplice assenza di
qualsiasi tripo di esistenza intrinseca e indipendente dei fenomeni.

Prendiamo per esempio un rosario. Esso dipende dalla designazione mentale. Perciò,
esso non esiste come un'entità autonoma, indipendente dalla designazione della mente.
Questa mancanza di esistenza propria, indipendente, del rosario, è la vacuità del
rosario. E questa vacuità è il moìdo di esistere ultimo e profondo del rosario. D'altra
parte, il rosario che esiste in modo convenzionale non è altro che il rosario designato
dalla mente. Vi sono perciò due aspetti nel modo di esistere del rosario: quello
ultimo e quello convenzionale. E per quanto si possa pensare che questi due aspetti
siano distinti, essi sono essenzialmente identici. In altre parole, possiamo pensare e
descrivere questi due modi di esistere del rosario, cioè il suo essere solo una desi-
gnazione mentale e il suo essere vuoto di esistenza indipendente dalla designazione della
mente, come distinti, ma in realtà essi sono una unica cosa.

. Le due realtà sono, quindi:

1. opposte,poiché l'apparenza di un fenomeno non è la sua realtà assoluta;


2. inseparabili, perché i fenomeni appaiono benché siano vuoti d'esistenza in sé,
e nonostante appaiano ai nostri sensi, sono senza esistenza in sé;
3. della stessa essenza: la natura essenziale o ultima dei fenomeni relativi è la loro
vacuità.

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In conclusione, l'interdipendenza dei fenomeni implica la loro assenza d'essere in sé: essa ci
allontana dall'eternalismo, poiché se i fenomeni esistessero in sé non potrebbero esistere
dipendentemente da altri fenomeni e non vi sarebbe né produzione né distruzione possibile;
ci allontana anche da conclusioni nichiliste, poiché i fenomeni appaiono ed esistono
relativamente, per via della produzione interdipendente. I fenomeni sono dunque senza
essere in sé, ma non sono nemmeno inesistenti: questa è la via di mezzo.

La Via che mena all’illuminazione per la madhyamaka. consiste nell'unire due


accumulazioni o sviluppi:

1. L'accumulazione o sviluppo della saggezza, tramite il ragionamento e la


meditazione, conduce alla penetrazione diretta della vacuità.
2. L'accumulazione o sviluppo dei meriti consiste nel praticare la
compassione con l'aiuto delle sei pàramità.

Il bodhisattva, in questo modo, attraversa successivamente i cinque sentieri e le dieci


terre della pratica, fino al Frutto dell'Illuminazione.

Il Frutto. Si tratta della piena Illumuiazione di un buddha ottenuta dopo il dissolvimento


dei veli passionali e cognitivi lungo i sentieri e le terre. L'accesso alla vacuità del sé e dei
fenomeni garantisce la distruzione dei veli cognitivi e permette di realizzare il
dharmakaya o corpo assoluto per sé. L'accumulazione dei meriti permette Di realizzare i
due corpi formali (SANS. rupakaya)per il bene altrui: il sambhogakàya o corpo di
fruizione e il nirmànakàya o corpo d'apparizione.

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Il Cittamatra

Partendo dall'affermazione del Buddha «O figli dei Vittoriosi, i tre regni non sono altro
che mente», questa scuola è chiamata "idealista" perché dichiara che i fenomeni sono
della stessa natura della mente e non sono altro che semplici apparenze per essa. Non
accetta, dunque, l'esistenza reale di fenomeni esterni, ma afferma che, dal punto divista
della verità ultima, esiste solo la coscienza.In essa e soltanto in essa, sotto l'influenza
dell'ignoranza, nasce l'illusione di un soggetto prensore, "che coglie" (, TIB. 'dzin-pa)e di
di oggetti coglibili, che "vengono colti" (. gzung-ba).

Il carattere illusorio degli oggetti esterni viene illustrato tramite otto metafore
dell'illusione: si paragonano i fenomeni esterni a un'illusione creata dalla magia, a
un'illusione ottica, a un miraggio, a un sogno, al riflesso della luna sull'acqua, a un'eco, a
una città aerea, a un fantasma.

La vacuità nel Cittamtra è quindi l’inseparabilità dell’afferrato e dell’afferratore

L'esempio del sogno è quello che colpisce di più. Il sognatore ne crede reale il contenuto
al punto di fuggire se si crede inseguito da una tigre affamata. E tuttavia chi corre e chi
insegue sono entrambi il prodotto della sua mente. Le apparizioni oniriche sono inoltre
irreali dal momento che al risveglio svaniscono.

Allo stesso modo, la comprensione della vacuità o talità fa svanire la dualità soggetto-
oggetto, mera proiezione della mente in preda all'illusione. I fenomeni che appaiono alla
coscienza sono il risultato del karma dell'individuo: nel passato, innumerevoli tracce
karmiche o impronte, letteralmente dette "impregnazioni" (SANS. vasanà, TIB. bag-
chags), sono state depositate nella coscienza; sono come semi (SANS. bìja, TIB. sa-bon)
che daranno luogo, quando le condizioni permetteranno loro di maturare, a fenomeni
psichici simili a quelli che li hanno originati.

Qual è dunque il supporto di questi semi? A parte "gli adepti della Madhyamaka
asseriscono l'esistenza delle sei coscienze e considerano la coscienza mentale quale
depositaria delle tracce karmiche, la maggior parte dei cittamatrin segue l'approccio di
Asahga e di Vasubandhu e i sutra come il Lankàvatàrasutra; sono gli "adepti delle
scritture", che accettano l'esistenza di otto coscienze (SANS. astavijnàna, TIB. rnam-shes
tshogs-brgyad): sei coscienze dei sensi, una coscienza mentale contaminata (SANS.
klistamanas, TIB. nyon-yid), tutte quante attive e volte verso i loro oggetti, e la coscienza
base-di-tutto (SANS. àlayavijnàna, TIB. kun-gzhi rnam-shes).

L'alaya funge da ricettacolo delle impronte karmiche o semi. Coscienza fondamentale


neutra, non fa altro che ricevere le impronte karmiche che risultano dalle attività
karmiche anteriori prodotte dalla coscienza mentale contaminata. Quando, per la

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maturazione dei semi karmici del passato depositati nell'àlayavijnàna, si manifestano
delle apparenze (forme, suoni, odori, gusti, consistenze, fenomeni mentali), le coscienze
dei sensi si limitano a percepirle, ma la coscienza mentale contaminata se ne appropria
come di oggetti del desiderio o dell'avversione. Ne deriva la produzione di nuovo karma e
un deposito di nuove impronte karmiche nell'àlayavijnàna.

Finché ci saranno impronte, l'alayavijnàna continuerà a esistere. Di per sé essa non è né


virtuosa né non virtuosa; è la continuità cosciente che collega tutti gli stati della
coscienza: sonno profondo, svenimenti, coscienza allo stato di veglia, assorbimento
meditativo. Alla morte, tutte le altre coscienze si riassorbono in essa; poiché è il supporto
delle impronte karmiche, è alayavijnana che costituisce la coscienza che trasmigra di vita
in vita. Nel Lankàvatàrasutra è detto: «La coscienza è insieme lo spettatore, il teatro e la
danzatrice». Poiché, durante tutte le esperienze in stato di veglia, nel sogno o in altre
occasioni, niente di quanto viene percepito proviene dall'esterno, ne consegue che ogni
coscienza individuale è una serie psichica chiusa, mossa dalla propria causalità karmica.

Nel Cittamtra si parla di due aspetti della coscienza. Quando la coscienza percepisce un
oggetto, ha due aspetti: si volge verso l'oggetto per coglierlo, e nello stesso tempo
sperimenta all'interno la propria natura. Grazie a quest'ultimo aspetto, "la coscienza
interna che conosce se stessa e si auto-illumina", ci possiamo ricordare di un'esperienza
vissuta anche quando questa non è più presente.

La natura dei fenomeni è di tre tipi.

1. La natura completamente immaginaria è l'idea che ci si forma degli oggetti che si


manifestano. Sotto l'influenza delle immaginazioni fittizzie o pensieri concettuali
prodotti dalla coscienza mentale e dalla coscienza mentale contaminata,
attribuiamo erroneamente agli oggetti una natura veramente esistente o un essere
in sé. È così che si designano i cinque aggregati (SANS. skandha) come un "sé"
della persona ecc. Questi concetti vengono chiamati immaginari o fittizi perché
sono completamente inesistenti, essendo il prodotto dell'ignoranza e dell'illusione.
2. La natura dipendente che include tutti i fenomeni prodotti da cause ossia tutto
ciò che è partecipe della produzione condizionata o interdipendenza

3. La natura perfettamente fondata, perfetta così com'è è la natura reale o assoluta


dei fenomeni: è la natura dipendente colta però nella sua nudità, ossia una volta
completamente libera da ciò che è interamente immaginario.

È, insomma, la realtà qual è, la talità la vacuità dei caratteri fenomenici di esistenza e


inesistenza, e assenza di dualità soggetto-oggetto.

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E sulla natura dipendente, contemporaneamente esistente per la sua efficienza causale e
vuota di sovrapposizioni immaginarie, che sono imperniate le due verità o due realtà: la
realtà convenzionale , ossia la natura dipendente contaminata da quanto è interamente
immaginario, e la realtà ultima , ossia la natura dipendente avulsa da quanto è
interamente immaginario.

Il cammino del bodhisattva versol'Illuminazione, ossia l'accesso alla tathatà, comprende


l'accumulazione dei meriti o sviluppo delle azioni benefiche per mezzo della pratica
delle prime cinque pàramità, e l'accumulazione della saggezza, detta anche sviluppo
dell'intelligenza non-mediata per mezzo della pratica delle ultime due pàramità lungo il
percorso dei cinque sentieri e delle dieci terre . Il bodhisattva elimina così gli oscuramenti
passionali e i loro semi, ostacoli alla liberazione, nonché gli oscuramenti cognitivi
ostacoli alla buddhità Dall'ottava all'ultima terra, il bodhisattva recide alla radice gli
ultimi oscuramenti e consegue la "rivoluzione del supporto": svuotata di tutti i suoi semi,
l'àlayavijnàna diventa la coscienza immacolata dei buddha, detta amalavijnàna o
vimalavijnàna. Senza più oggetti, la coscienza mentale si volge verso la propria base non
duale, la cui dimensione è il dharmadhàtu, lo spazio della realtà, e la conosce
direttamente.Si ottiene, allora, la piena Illuminazione & bodhi, e il nirvana non statico
Presente in ogni essere, in cui dimorava nascosto come un gioiello nella ganga, il
tathàgatagarbha o essenza del tathàgata si manifesta infine nel dharmakàya o corpo,
assoluto da cui procedono i due corpi formali, il sambhogakàya e il nirmànakàya, allo
scopo di agire per il bene degli esseri immersi nel samsàra

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Tathàgatagarbha,

Gli insegnamenti del tahtagatarbha non hanno mai costituito una corrente indipendente
ma il contenuto di questi insegnamenti si discostano dal modo di vedere del Buddhismo
fin qui incontrato.

In questo ciclo di insegnamenti si insegna la presenza di un elemento permanente,


realmente esistente (yang dag khams in tibetano) negli esseri senzienti. E costoro
sono in grado di divenire. Buddha proprio in virtù di questo elemento. Esso trascende
l'autoattaccamento egoistico (in effetti è esattamente l'opposto dell'autoattacca-
mento), ma ciò nondimeno assolve molte delle funzioni attribuite al 'sé' dalla tradizione
indiana.
Questi sùtra Tathagatagarbha risalgono in genere all'epoca Gupta, vale a dire al
periodo di massimo vigore e splendore della cultura hindu classica. e si sarebbe tentati
di parlare di un'influenza hindu sul Buddhismo, ma parlare semplicemente di
influenze è quasi sempre troppo facile: una tradizione potrà influenzarne un'altra
solo nel caso che quest'ultima sia capace di rendere significative all'interno di sé le
influenze ricevute. La tradizione influenzata, insomma, è sempre a metà del cammino,
non si da mai un completo cambiamento di direzione. Nel Buddhismo, in effetti,
esisteva già una lunga tradizione che considerava il nirvana e il Buddha in termini
positivi, sulla base di un nucleo di esperienze compiute nell'ambito della
meditazione

Nel Mahaparinirvana Sutra,uno dei sutra più importanti di questo ciclo si asserisce
che il tathàgatagarbha, la 'natura di Buddha', altro non è che il 'sé'(àtman). Ciò è in
esplicito contrasto con le posizioni di altri sutra, quali il Lankàvatàra Sutra, che si
dimostrano sempre molto attenti a evitare l'uso di termini come 'sé', e altri del genere,
in riferimento al tathàgatagarbha. Invece, secondo il Mahaparinirvana Sutra, "'sé' è il
significato di 'tathàgatagarbha'. L"elemento di Buddha' esiste certamente in tutti gli
esseri senzienti. Inoltre, esso è oscurato da varie contaminazioni e pertanto non può
essere percepito dagli esseri senzienti nel modo in cui esiste". Naturalmente, questo
'sé' non è un 'sé' inteso nel senso convenzionale, come insegnano i pensatori non-
buddhisti, o come ritiene il tanto bistrattato 'uomo della strada'. Il Buddha insegnò la
dottrina del 'non-sé' per smantellare quel 'sé' egoistico che è la base dell'attacca-
mento e della brama.

Questo sutra parla di tre errori:

1. concepire un 'sé' laddove c'è un 'non-sé';

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2. concepire un 'non-sé' laddove c'è un 'sé';
3. meditare su un 'non-sé', sostenendo che per il mondo c'è un 'sé', mentre per
gli insegnamenti del Buddha non esiste nulla del genere e, ciò che è peggio,
che non esiste nemmeno il nome del tathàgatagarbha

Mahàparinirvàna Sùtra modifica o comunque critica la tradizione buddhista del


'non-sé'.
Il Buddhismo antico menzionava i quattro errori fondamentali consistenti rispettiva-
mente
1. nel vedere la permanenza dov'è l'impermanenza,
2. la felicità dov'è solo il dolore,
3. il 'sé' dove non c'è il 'sé',
4. la purezza dov'è la contaminazione.

Questo sùtra, invece, è piuttosto categorico nell'affermare che qui l'errore consiste
piuttosto nel guardare nella direzione sbagliata: che, cioè, si commette ugualmente
un errore nel vedere l'impermanenza dov'è la permanenza, il dolore dov'è la felicità, il
'non-sé' dov'è il 'sé', e la contaminazione dov'è la purezza, mancando, così, di
scorgere l'elemento positivo della Buddhità che si oppone al regno negativo della non-
illuminazione. . È senz'altro evidente che il 'sé' di cui parla Mahàparinirvàna Sùtra, è
in tutto e per tutto assimilabile al Brahman Advaita, ma si deve tener presente che
questi sùtra Tathagata garbha sono in ogni caso anteriori rispetto a Gaudapàda (vii
secolo), il fondatore della scuola Advaita hindu, il quale sembra a sua volta aver
subito un considerevole influsso buddhista: forse proprio da quella forma di
Buddhismo che venne sviluppata dai testi Tathagatagarbha..

Un altro testo importante è lo Srimàlà Sutra

Il testo, così come ci è pervenuto, pone in forte contrasto da un lato i santi non-Mahà-
yana e dall'altro la piena illumuiazione del Buddha. Gli Arhat e i Pra-tyekabuddha, vi si
afferma, non avendo esaurito il proprio karma, sono destinati a rinascere e sono
ancora ben lontani dal 'regno del nirvana

Il tathagatagarbha è la sfera del solo Buddha: i santi non-Mahàyàna non lo possono


comprendere, poiché esso trascende il regno della logica e del ragionamento dunque,
"chiunque non dubiti che il Tathagatagarbha sia completamente preso dall'intero
ricettacolo di contaminazioni, non dubita nemmeno che il Dharmakàya del Tathagata
sia libero dall'intero ricettacolo di contaminazioni" Il dharmakàya è il 'corpo di

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Dharma' del Buddha, ciò che il Buddha è in sé, ciò che realmente egli è, o, in altri
termini, la realtà o lo stato delle cose definitivo, vero, fondamentale.

Il Dharmakaya quindi assume un nuovo significato:

“senza inizio, non creato, non nato, imperituro, libero dalla morte; permanente,
fermo, calmo, eterno; intrinsecamente puro, libero dall'intero ricettacolo di
contaminazioni; e accompagnato da 'nature di Buddha' che sono più numerose
dei granelli di sabbia del Gange, non separate, dotate di una conoscenza da
liberate, e inconcepibili. Questo Dharmakàya del Tathagatagarbha, quando non è
libero dal ricettacolo di contaminazioni, viene chiamato Tathagatagarbha”

In questo sùtra, dunque, tathagatagarbha è il nome che viene dato al dharmakàya, che
in realtà è permanente, quando esso è, o meglio sembra, oscurato dalle
contaminazioni in una persona non illuminata. Inoltre, questo dharmakàya, lungi dal
corrispondere a un Assoluto non caratterizzato, possiede innumerevoli qualità positive.
Un brano fondamentale dello Snmàlà Sùtra spiega che il tathagatagarbha è vuoto,
privo, ma non nel senso Madhyamaka di privo di esistenza intrinseca. Al contrario,

“il Tathagatagarbha è vuoto, privo di tutti i ricettacoli di contaminazioni, i quali sono


separati e dotati di una conoscenza da non liberati [oppure: "separati dalla
conoscenza che conduce alla liberazione"; Chang 1983: 378]... il Tathagatagarbha non è
privo dei dharma di Buddha, i quali sono inseparati, inconcepibili, più numerosi dei
granelli di sabbia del Gange, e dotati di una conoscenza da liberati,”

Il tathàgatagarbha viene, dunque, definito un sostrato permanente, fermo ed eterno


(Esso costituisce anche la base del samsàra, il ciclo delle rinascite. Facendo uso di una
terminologia piuttosto simile a quella di specifiche tradizioni hindu (come ad esempio
quella della Bhagavad-gTtà), è implicito che, da un punto di vista convenzionale,
quotidiano, si possa affermare che il tathàgatagarbha è soggetto alla rinascita, anche
se in effetti esso non nasce né. E inoltre: "se non vi fosse il Tathàgatagarbha, non vi
sarebbe né l'avversione verso il dolore, né il desiderio, la brama e l'aspirazione verso il
nirvana" (p. 105). Il tathàgatagarbha rappresenta, dunque, la base dell'aspirazione al
nirvana poiché è esso stesso che fa esperienza del dolore. Non vi sarebbe né
esperienza né memoria (cioè nessun insegnamento dall'esperienza) se non vi fosse altro
che un flusso impermanente di coscienza quotidiana Si comprende, dunque, in maniera
implicita, che vi è bisogno di qualcosa di permanente per unificare le esperienze e
quindi trarre da esse un insegnamento spiritualmente significativo. Ma tutto ciò non
è ancora un 'sé'. Non vi è un 'sé' nella sfera dell'impuro samsàra, e il tathàgatagarbha
è proprio il fondamento del samsàra:

“il Tathàgatagarbha non è né un 'sé' né un essere senziente, né un'anima, né una


personalità. Il Tathàgatagarbha non è la sfera degli esseri che cadono nell'errore di
credere in una personalità reale, che sostengono concezioni ostinate, i cui pensieri sono
turbati dalla vacuità...

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Dal momento che il tathàgatagarbha non è che il nome attribuito alla stessa 'cosa'
che dalla prospettiva dell'illuminazione è il dharmakàya, e che il dharmakàya possiede
la perfezione del 'sé', se ne deduce,che il tathàgatagarbha non è il 'sé' solo nella misura
in cui esso conserva una natura samsarica, egoistica. Dalla prospettiva
dell'illuminazione, in effetti, la stessa 'cosa' può essere definita come un Vero Sé, o un
Sé Trascendente. Questo stesso sostrato, dunque, che quando si manifesta in forma
contaminata da luogo al samsàra, e la comprensione della cui intrinseca purezza
rappresenta il nirvana, viene infine esplicitamente definito dallo Srimàlà Sutra come
coscienza radiante e intrinsecamente pura Tale coscienza è intrinsecamente pura, non
soggetta a contaminazioni, ma ciò nonostante proprio la sua apparente contaminazione
è la causa del nostro legame. Si tratta di un mistero comprensibile solo ai Buddha e
ai Bodhisattva più avanzati, al quale ci si può accostare solo attraverso la fede:

“È difficile comprendere il significato della coscienza intrinsecamente pura in


una condizione di contaminazione... La coscienza intrinsecamente pura è
difficile da comprendere; e la contaminazione della coscienza è difficile da
comprendere, “

Nel descrivere la teoria tathagatagarbha esposta nei sutra , mi sono basato sull'ipotesi che
questi testi vogliano intendere ciò che dicono. Nei termini delle categorie
dell'ermeneutica buddhista ho parlato, cioè, come se i sutra Tathagatagarbha dovessero
essere presi alla lettera, o come opere di valore definitivo, e come se il loro significato
fosse assolutamente esplicito. L'insegnamento tathagatagarbha però, sembra piuttosto
diverso da quello del Madhyamaka Prasangika e se io fossi un tíbetano che considera la
dottrina della vacuità del Madhyamaka Prásangika come il più alto insegnamento del
Buddha, sarei costretto a sottoporre gli insegnamenti tathagatagarbha a un'opera di
interpretazione per disperdere ogni apparente contraddizione tra questi e quello. In Tibet
troviamo una profonda frattura dottrinale tra quei maestri e quelle tradizioni che presero
le dottrine tathagatagarbha alla lettera, giudicandole i più alti e completi insegnamenti
dottrinali del Buddha, e quei maestri e quelle scuole che invece affermarono recisamente
che quelle dottrine non erano, così come si presentavano, insegnamenti letterali, ma che il
Buddha le aveva esposte con un intento specifico,e cioè al fine di aiutare determinate
persone.

La più importante di queste tradizioni che sostenevano la necessità di sottoporre a


interpretazione gli insegnamenti tathagatagarbha era (ed è tuttora) la scuola dGe lugs pa,
nota in Cina e in Occidente anche come scuola dei Berretti Gialli, fondata da Tsong ka pa
verso la fine del xiv secolo. A questa tradizione, fra l'altro, appartiene SuaSantità il Dalai
Lama. Secondo Tsong kha pa, dunque, che a sua volta si basa sugli insegnamenti del
lankavatara sutra e di Candrakirti, la differenza fra la dottrina tathagatagarbha e le
dottrine non buddiste che affermano l'esístenza di un 'sé' o di un'aníma, sta nell'intenzione
che animò il Buddha al momento di impartire gli insegnamenti tathagatagarbha In effetti,
se tale dottrina dovesse essere presa alla lettera, non sarebbe affatto differente dalla
teorianon buddhista del 'sé'. Il Buddha, però, espose l'insegnamento tathagatagarbha per
uno scopo ben preciso, e non intendeva che esso dovesse essere preso, così come si
presentava, per una dottrina letteralmente vera. Al contrario, in virtù della sua

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compassione, egli lo concepiva come uno strumento per far accostare al Buddhismo i
nonbuddhisti Per giunta, quando il Buddha parla di tatbagatagarbba, quello cui egli si
riferisce, la verità che realmente si cela dietro il suo insegnamento non è altro che la
vacuità, la sunyata (v. trad. in Thurman 1984 347-50). Del resto, il tathagatagarbha viene
definitocome ciò che è presente negli esseri senzienti e consente loro di pervenire alla
Buddhità. Ed è proprio la vacuità, l'assenza di esistenza intrinseca, che permette agli
esseri senzienti di trasformarsi in Buddha, Se i testi Tatbagatagarbha vengono intesicosì,
nella retta maniera, non si ha poi alcun problema nel considerarli testi che espongono la
verità ultima.

Il tathagatagarbha peraltro, non è una qualunque vacuità: si tratta, invece, della specifica
vacuità di esistenza intrinseca riferita alla mente di un essere senziente alla sua continuità
mentale. La vacuità,dunque, vuol dire qui mancanza di esistenza intrinseca della
mente,cosa che implica l'esistenza di una mente in continuo cambiamento, o di un flusso
mentale che dir si voglia (si rammenti, a questo proposito, che essere vuoto ed essere
causato hanno lo stesso significato, e dunque, se la mente cambia, vuol dire che è priva di
esistenza intrinseca). In tal modo, quando si afferma che tutti gliesseri senzienti hanno in
sé l'essenza di Buddha' o la 'natura di Buddha', si intende che tutti gli esseri senzienti
hanno una mente capace di cambiare e di diventare la mente stessa del Buddha. Poiché
nell'ambito del Buddhismo tibetano il flusso mentale viene in genere considerato eterno,
privo di un inizio e di una fine, possiamo affermare che anche la mente, assieme alla sua
vacuità e eterna (v.Hopkins 1983: 382). Inoltre, è proprio di questa vacuità che si
parlaquando si fa riferimento alla 'intrinseca purezza' della mente: quando la mente è
contaminata, nello stato di non-illuminazíone, questa vacuità viene chiamata
tathagatagarbha quando invece la mente si è purificata, seguendo il retto cammino e
raggiungendo la Buddhità, lo vacuità viene definita dalla tradizione dGe lugs come il
'Corpo dell'Essenza del Buddha' (svabbavikakaya). La pura mente del Buddha è allora il
suo 'Corpo di gnosi o di 'Sapienza' (jnanakaya), mentre i due aspetti considerati nel loro
complesso, vale a dire la mente del Buddha intesa come un flusso privo di esistenza
intrinseca, sono ciò che la tradizione chiama il Dharmakaya Da questo schema delineato
dalla scuola dGe lugs, che rappresenta un chiaro tentativo di rendere coerenti tra loro gli
insegnamenti del Madhyamaka Prásafigika e quelli della tradizione Tathágatagarbha,
scaturiscono due questioni particolarmente importanti. La prima consiste nel fatto che è
assolutamente sbagliato prendere alla lettera l'affermazione della giàavvenuta
illuminazione di tutti gli esseri senzíenti contenuta in alcuni testi Tathagatagarbha: se ciò,
infatti, fosse vero, non vi sarebbe bisogno di praticare la religione buddhista. Tutto ciò
vuol dire anche che lo stesso tatbagatagarbha è, in senso stretto, la causa fondamentale
della Buddhità, e che non è affatto identico al suo effetto, il dharmakaya o il 'Corpo di
Essenza' a seconda dei casi, tranne che per il fatto che tanto la mente contaminata quanto
la 'mente di Buddha' sono prive di esistenza intrinseca. Ciò introduceanche la seconda
questione. Il sistema di pensiero rappresentato dalla tradizione dGe lugs è noto in Tibet
come rang stong (da pronunciare: rang tong), letteralmente 'vuoto di sé', cosa che sta a
significare che anche il dbarmakaya, oltre che, naturalmente, la stessa vacuità, èvuoto di
esistenza intrinseca. Essi, dunque, non sono 'veramente fondati', non c'è nessun Assoluto
nel senso di un'entità fondamentale realmente esistente (mKhas grub rje 1968: 53).

36
Abbiamo già visto che anche per il pensiero Madhyamaka Prásangika non esiste alcuna
cosa del genere.

La concezione opposta è nota in Tíbet come gzhan stong (da pronuncíare: zhen tong),
vuoto d'altro', ed è associata in modo particolare, seppure non esclusivamente, con la
scuola jo nang pa. La tradizione jo nang, dunque, sembra intendere gli insegnamenti
tatbagatagarbba in modo del tutto letterale. Esiste una realtà ultima, un Assoluto,
qualcosa che possiede realmente un'esistenza intrinseca. Essa è eterna, immutabile, un
elemento che è presente in tutti gli esseri senzienti e che rimane il medesimo,
assolutamente il medesimo, nell'oscuramento come nell'illuminazione. Tutti gli esseri
hanno in séla coscienza (o consapevolezza/sapienza/gnosí, jnana) pura, radiante enon
duale propria di un Buddha pienamente illuminato. Questa coscienza viene oscurata da
contaminazioni accidentali che in realtà non esistono. Nel suo stato di oscuramento, essa
viene chiamata tatbagatagarbha; nello stato di illuminazione, essa è il dbarmakaya, o il
'Corpo di Essenza': ma in realtà l'uno e l'altro sono esattamente la stessa cosa, e pertanto
anche gli esseri non illuminati hanno in se la coscienza non duale di un Buddba, completa
di tutte le eminenti qualità proprie della coscienza di un Buddha. Tale tradizione è nota
sotto il nome di gzban stong, 'vuoto d'altro', poiché, sulla base delle affermazioni dello
Srimala Sutrtra, insegna che questa Realtà Fondamentale è priva di contaminazioni
accidentali che sono intrinsecamente distinte da essa, ma non è priva della propria
esistenza intrinseca, né delle qualità di Buddha che fanno parte della sua stessa natura.

I jo nang pa chiamavano le dottrine gzban stong “La Grande Madhyamaka," sostenendo


che esse corrispondevano non solo agli ammaestramenti di Maitreya e Asanga, ma anche
agli insegnamenti ultimi di Nágarjuna e Aryadeva. Si ammette, in genere, che le opere di
Nagàrjuna di carattere filosofico, quali le Madbyamakakiriki, non insegnino una Realtà
Fondamentale intrinsecamente esistente (e in questo senso sono rang stong), ma i jo nang
pa e altri insistevano sul fatto che l'esplicito insegnamento ultimo di Nagàrjuna, relativo a
una Realtà Fondamentale intrinsecamente esistente, può essere ritrovato in alcunidei suoi
inni, e in particolare nel Dharmadhatustava. Gli stessi jo nang pa ritenevano gli
insegnamenti sul 'vuoto di sé' corretti solo nella sfera del ragionamento, e dunque
insegnamenti di grado inferiore, capaci, sì, di dissipare le concezioni erronee, ma
anchedestinati a essere infine abbandonati, poiché è necessario trascendere la sfera del
puro ragionamento. Quando, dunque, si va al di là del puro ragionamento, si comprende
qualcosa di nuovo, vale a dire un Assoluto reale, intrinsecamente esistente, superiore a
qualunque attività concettuale, ma accessibile attraverso una intuizione spirituale e
altrimenti raggiungibile, come sottolineano i testi Tathàgatagarbha, solo in virtù della
fede.

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Le differenze fra gli insegnamenti sul 'vuoto di sé' e sul 'vuoto d'altro' hanno confini ben
precisi e furono soggette a un vigoroso dibattito che nel XVI portarono alla scomparsa
della scuola jo nang pa, nei territori del Tibet Centrale sotto il controllo politico della
scuola Ghelupa .

Però. nell'ambito le dottrine stesso tibetano le dottrine del 'vuoto d'altro' sono state
largamente accolte dagli studiosi non-dGe lugs, tanto che molti maestricontemporanei
delle scuole rNying ma (da pronunciare: Nying ma) e bKa' brgyud in particolare
considerano apertamente alcune forme di questo insegnamento come le più elevate
affermazioni dottrinali del Buddhísmo.

Inoltre , verso l'inizio del xix secolo, si è affermata una tradizione ancor’oggi molto
influente, nota come Ris med (da pronunciare: Ri me), omovimento della non-parzialità'.
Questo movimento cercò di smussare le dispute settarie allora esistenti e di armonizzare i
contrasti, a tal fine spesso enfatizzando la Realtà Assoluta dello gzhan stong sotto
l'aspetto di ciò che trascende il ragionamento e la disputa, e in tal modo sottolineando il
ruolo terapeutíco, puramente funzionale, delle elaborazioni del Madhyamaka Prásafigika
e la superiorità (ovviamente) degli insegnamenti del Ratnagotravíbkjga, considerato il
testo che rivela e stimola la fede in una 'natura di Buddha' onnipervadente.

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TANTRA

Introduzione

Il sistema dei Sutra Mahayana richiedono eoni di pratica e la necessità di rinascere nelle
dieci terre pure.

Ma esiste un metodo che permette di ottenere lo Stato di Buddha pienamente qualificato


in questa stessa vita.

Questo metodo è conosciuto come Mayadeha ,il corpo illusorio,o in Tibetano


Gyulu(sgyu-lus).

In questo caso durante la nostra vita qui sulla terra ,noi facciamo una pratica detta
Dzogrim(rdzogs-rim) in cui si crea al centro del proprio cuore un corpo energetico
frutto,l’unione di un energia molto sottile detta prana e una mente ancora più sottile .

Questo Gyulu o corpo illusorio fornisce una base sottile per la manifestazione del
Sambhogakaya è così non è necessario cercare questa condizione in un'altra dimensione
dell’esistenza .

Noi abbiamo creato questo Gyulu durante la nostra vita sulla terra e attraverso la nostra
pratica e quando sopraggiungerà la nostra morte noi trasferiremo la nostra Namshe o
coscienza in esso e allora diventa il veicolo per raggiungere il nostro Sambhogakaya.

Ci sono comunque due tipi di Gyulu il puro e l’impuro .Se al tempo della nostra morte
noi non abbiamo raggiunto la perfetta realizzazione e purificato tutte le nostre sottili
oscurazioni sia emozionali che intellettuali allora questo sottile corpo nato
dall’unificazione di prana e mente è conosciuto come un impuro corpo illusorio.In quel
caso noi dobbiamo fare ulteriori pratiche di purificazione in quel corpo per realizzare la
perfetta illuminazione.Soltanto quando raggiungiamo quello stato possiamo parlare del
puro corpo illusorio.

Lo Dzogrim la tecnica con cui so costruisce questo corpo sottile sono le pratiche più
esoteriche del Tanta.

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Origini

Nessun ricercatore storico è riuscito a risalire in modo indiscutibile all'origine e alla propagazione di
quel sistema esoterico, articolato in complesse simbologie e profondi significati, che viene chiamato
Tantra e che nasce in seno al «Grande veicolo» del Buddismo e all’induismo.

Infatti sia il Tantra buddista, che quello induista, in virtù della loro natura esoterica, si
autoinseriscono in un contesto antistorico presentando la loro origine in termini metafisici.

I tanta,secondo la tradizione, sono insegnamenti basati sulla conoscenza e


sull'applicazione dell'energia. La loro origine non risale alla trasmissione orale di un
maestro, come nel caso dei sutra insegnati da Buddha, ma alla manifestazione nella visione
pura di un individuo illuminato. Una manifestazione pura avviene attraverso l'energia
degli elementi nel loro aspetto sottile e luminoso, mentre la nostra visione karmica
impura è basata sul loro aspetto materiale o grossolano. Per ricevere questo tipo di
trasmissione, quindi, è necessaria la capacità di percepire la dimensione sottile della luce.

L'essenza degli elementi è la luce, il colore, ma non si tratta di colori materiali, visibili
a tutti. Noi percepiamo soltanto i colori legati alla visione karmica. Quando essi si
riassorbono nella dimensione sottile della luce per noi è come se sparissero. Un
illuminato, che ha purificato il karma e ha reintegrato la manifestazione materiale nella di-
mensione pura degli elementi, manifesta spontaneamente la sua saggezza attraverso il
colore e la luce. Per avere contatto con questa pura dimensione bisogna sviluppare al
massimo la chiarezza innata, purificando gli impedimenti del karma e dell'ignoranza.

Secondo la tradizione Buddista i Tantra furono insegnati da Buddha Sakyamuni nella


manifestazione esoterica del «Buddha primordiale Vajradhara» (il detentore del Vajra e la
manifestazione della natura segreta di Buddha) che successivamente assunse l'aspetto delle
diverse divinità associate ai Tantra che, a seconda dei casi, esponeva.

Sempre secondo i testi buddisti relativi all'origine del Tantra, gli insegnamenti tantrici
vennero richiesti dai Bodhisattva quali Manjusri, Samantabhadra, Vajra-pàni ed altri, a cui
Buddha, in disparte dai suoi discepoli ordinari, in luoghi e condizioni particolari, espose i
diversi Tantra.

Questi insegnamenti si diffusero tra gli uomini grazie ad alcuni centri Spirituali dove si
recarono alcuni praticanti avanzati chiamati Mahasiddha.

Il Centro spirituale più noto in occidente è quello di Shambala ma la tradizione Tantrica


parla dell’ Oddiyana, patria del Tantra e dello Dzog-chen, luogo natio di maestri come
Garab Dorje e Padmasambhava,.

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A volte è chiamato " il paese delle Dakini .', espressione usata per definire la
concentrazione in un luogo specifico di queste manifestazioni dell'energia dell'universo.

Si parla principalmente di ottantaquattro Mahasiddha indiani che sono il simbolo di tutti


coloro che nei secoli hanno realizzato l'insegnamento di Buddha in modo diretto ed in una
sola vita. L'esempio dei Mahàsiddha è significativo soprattutto per due motivi: i
Mahàsiddha mostrano la possibilità di realizzarsi velocemente ed inoltre operano per il
bene spirituale degli esseri. Furono costoro a propagare il buddismo tantrico in Tibet
permettendone la preservazione fuori dall'India.

I Siddha si applicavano ad innumerevoli tecniche yoga, sia fisico che mentale, ripetevano i
mantra e si assorbivano nella concentrazióne meditativa con lo scopo di sperimentare lo
«stato naturale dell'essere».

Sebbene tra i Siddha vi siano i più grandi tra gli eruditi del Mahàyàna quali Nàgàrjuna,
Sàntideva, Nàropa, Sàntipa ecc., sembrerebbe che tra i praticanti del Tantra vi fosse un
atteggiamento di dissociazione dall'eccessivo scolasticismo ed intellettualismo
caratteristico degli studi monastici.

Tilopa disse al suo discepolo: «Nàropa, i libri riportano solo parole, che sono come il latte
annacquato che si compra al mercato».

Grazie a questa propensione verso l’esperienza il tantrismo indiano ha dato origine a


fenomeni settari internamente ai suoi circoli e le diverse istruzioni non erano incanalate in
specifiche tradizioni, ma circolavano liberamente tra i tantrika che erano più interessati ad
integrarle con la loro esperienza che non a codificarle entro una scolastica tradizionale.

La comprova di questa loro condotta è data dal fatto che alcuni Siddha sono considerati delle
autorità indiscusse da tutte le scuole tantriche sviluppatesi in seguito in Tibet

Significato del Tantra

Letteralmente Tantra significa "continuità", nel senso della continuità dell'individuo, non
nel senso di identità immutabile nell'individuo; qui continuazione ', si riferisce alla
condizione dell'energia dello stato primordiale, che si manifesta senza interruzione
Tale "continuità" ha, quindi, la sua origine nella potenzialità di esser Buddha presente in
ogni individuo, che, tramite il processo del suo "risveglio", conduce alla Buddhità.

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Il Sentiero del Tantra viene anche chiamato Sentiero del Mantra segreto in cui il
termine "man" sta per mente e "tra" significa proteggere; dunque il mantra è la protezione
della mente dalle apparenze e dalle concezioni ordinarie.

Secondo un'altra interpretazione etimologica "man" significa comprensione della


vacuità e "tra" compassione.

Specificatamente nel Mahànuttarayogatantra (la più alta delle quattro classi del Tantra,
buddista), "mantra" assume il significato di consapevolezza primordiale della vacuità
simultanea con la grande beatitudine.

La beatitudine nel Tantra, poiché costituisce un'aspetto molto potente della mente,
viene utilizzata per comprendere la vacuità; per questo il Tantra è anche chiamato il
Sentiero del desiderio. L'analogia che viene usata per descrivere ciò, è quella della larva
che nasce dal legno e che poi lo divora. Il legno è allegorico del desiderio e la larva della
beatitudine; il divorare il legno è allegorico dell'estinzione del desiderio. Dunque, sebbene
il Tantra venga chiamato Sentiero del desiderio, non è il desiderio vero e proprio che
viene utilizzato, ma la sensazione di piacere conseguente al desiderio. Lo stato mentale di
beatitudine è diretto alla comprensione della mancanza di natura propria nei fenomeni
dove il desiderio

Ci sono vari modi di classificare i tantra il più diffuso è quello delle quattro classi del
Tantra sono:

1. il Tantra dell'azione (Kryatantra),


2. il Tantra della condotta(Caryatantra),
3. il Tantra dello yoga (Yogatantra)
4. il Tantra dello Yoga supremo (Anuttarayogatantra).

Tale suddivisione è stata fatta in base alle diverse capacità del discepolo di usare il
desiderio che nasce guardare, sorridere, abbracciare, entrare in unione con la consorte,
quale mezzo per comprendere la vacuità.

La via Tantrica è nota anche come via della trasformazione.

Per comprendere il motivo della denominazione di «via della trasformazione», propria


del sentiero tantrico, potrebbe essere utile vedere come si sviluppa l'idea di
«trasformazione» dal Hinayàna, dove, pur non essendo contemplata è potenzialmente
presente, al Mahàyàna, fino al Tantrayàna.

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Nell'HInayàna, come del resto in ogni aspetto del buddismo, il confronto con le
emozioni, causa dell'«inautenticità dell'essere» e della sofferenza, svolge un ruolo
centrale nella pratica del Dharma.

Le emozioni, quali l'attaccamento ai fenomeni piacevoli e l'aggressività, o repulsione


verso ciò che risulta spiacevole, sono dovute anche a condizioni esterne; dunque, il
praticante Hinayàna, evitando quelle condizioni che possono fungere da stimolo per il
sorgere delle emozioni, riesce a farle diminuire.

La via dell'Hinayàna è quindi quella della disciplina nella rinuncia; non viene insegnato
alcun metodo per l'utilizzo delle emozioni che devono essere in ogni caso sempre evitate,
non vi è «via di trasformazione» vera e propria, tuttavia nella tecnica meditativa,
caratteristica dell'Hinayàna, in cui si applica «la consapevolezza ai contenuti della
coscienza», le emozioni vengono osservate con attenzione ed immobilità, non ci si fa
coinvolgere da esse né si devono reprimere; le emozioni vengono fatte dissolvere nella
sfera della mente, dunque, in qualche modo, la loro energia viene «trasformata»
contribuendo allo sviluppo della consapevolezza. Solo nel sentiero Mahàyàna comincia a
delinearsi l'idea di «via di trasformazione» che trova la sua completa affermazione nel
sentiero Vajarayàna. Nel «Grande Veicolo», il Bodhisattva, colui che agisce per il bene
altrui, non è strettamente vincolato alla «disciplina nella rinuncia», ma l'altruismo può
condurlo a compiere anche le azioni che vengono generalmente considerate negative,
purché la motivazione sia rivolta al benessere degli altri; dunque per il Bodhisattva le

«emozioni negative» non sono più il principale ostacolo da abbandonare, anzi possono
essergli utili nella sua opera per il beneficio altrui.

L'immagine del pavone, che si nutre di erbe velenose senza morire, è un'allegoria
ricorrente nei testi Mahàyàna per indicare il Bodhisattva che, grazie alla sua intelligenza, fa
uso delle emozioni, quale l'attaccamento, senza essere macchiato dai loro difetti.

Tuttavia, nel Mahàyàna non tantrico, le «emozioni perturbatoci», pur perdendo,


coll'altruismo, molte caratteristiche di nocività, rimangono negative in quanto emozioni
e non sono utilizzabili pienamente al fine di un arricchimento intcriore. Dunque nel
Mahàyàna non si può ancora parlare di una vera e propria «via di trasformazione».

Nel Tantra invece la «via di trasformazione» trova il suo pieno sviluppo e va ad


abbracciare tutta la sfera esistenziale: l'universo ambientale diviene il Mandala della
divinità, gli altri esseri si trasformano in Buddha, il proprio corpo assume l'aspetto della
divinità, le proprie azioni divengono «attività illuminata», la parola è il mantra, la propria
mente è consapevolezza di simultanea vacuità e beatitudine e le emozioni divengono il
gioco oHale consapevolezza.

L'odio viene trasformato in «collera Vajra» (indistruttibile), l'attaccamento nel

«sentiero della beatitudine». Ogni esperienza ordinaria viene trasformata da «causa di


illusione» a «via per la liberazione». L'atteggiamento nei riguardi delle emozioni non è

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mai di tipo conflittuale o repressivo, ma di trasformazione ed elaborazione delle emozioni
che vengono rivissute durante la fase meditativa al fine di mantenere la consapevolezza
anche con una «mente perturbata».

Nel Tantra le emozioni vengono considerate energie, di cui sarebbe dannosa la


repressione sia per la salute fisica che per quella psichica.

D'altro canto però sarebbe distruttivo lasciar campo libero alle emozioni senza averne
consapevolezza. Dunque nel sentiero tantrico le emozioni e le energie psicofisiche ad esse
collegate, vengono incanalate, tramite le tecniche meditative di trasformazione che
mirano ad integrare i vari aspetti dell'essere.

La "trasformazione" è l'affrontare le situazioni, in particolare quelle emozionali, tramite


metodi che ne utilizzano l'energia senza contrappore resistenza o forzature.

Questo non vuoi dire che il tantrika, trasformando la «realtà ordinaria», perde il
contatto con essa o che "sfasando" l'ordinarietà, vive in un «suo mondo» di immagini
tantoché, poiché lo scopo del praticante tantrico è quello di arrivare a percepire la realtà
«così com'è».

La trasformazione ha l'effetto di rimuovere le «interpretazioni personali» e le


«concettualizzazioni» circa la realtà e per realizzare questa trasformazione lo yoghi si
applica in tecniche meditative specifiche che hanno lo scopo di manifestare la mente
primordiale o la mente naturale che dimora nel suo stato immutabile. il
Tathàgatagarbha..

Per praticare il Sentiero tantrico sono richiesti particolari requisiti. Il tantrika deve aspirare
al supremo Stato di Buddha, deve aver fede nell'insegnamento del Tantra e nella comunità
degli esseri che vivono e comunicano l'esperienza tantrica. Inoltre dovrebbe avere una
formazione spirituale fondata sui metodi insegnati nel sentiero dei Sutra o raccolta dei
discorsi di Buddha.

L'aspirante tantrico dev'essere motivato al superamento dell'esistenza ordinaria


condizionata dalle emozioni perturbanti (Samsàra) e come base della sua pratica deve porre
la motivazione altruistica di divenir Buddha per il beneficio degli esseri. Un altro fattore
importante, per colui che s'appresta ad intraprendere in modo corretto il Sentiero del
Tantra, è quello di avere una certa comprensione che ogni fenomeno esiste in virtù della
struttura organizzante della mente che lo apprende e, che a parte questo modo d'essere, i
fenomeni non esistono oggettivamente.

Questi sono due prerequisiti importanti per il Tantra ma ve né un terzo ed è il più importante.
L’iniziazione

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L'INIZIAZIONE

L'iniziazione è la porta d'ingresso al sentiero del Tantra. Senza iniziazione non è permesso
praticare le tecniche tantriche né studiarle. In sanscrito l'iniziazione è Abhiseka che può
avere diversi significati tra cui quelli di purificare, autorizzare, trasmettere potere o meglio
un’influenza spirituale.

L'iniziazione . ha essenzialmente per scopo di superare le possibilità dello stato


individuale umano e di rendere effettivamente possibile il passaggio agli stati superiori
(ma pur sempre condizionati), ed anche, infine, di condurre l'essere oltre ogni stato
condizionato che nel Buddismo è chiamata la natura di Buddha .

L’obbiettivo quindi è restaurazione dello Stato Primordiale, ricondurre cioè l’uomo, dalla
condizione « decentrata » che è proprio la sua, alla situazione centrale che deve
normalmente appartenergli.

L'iniziazione implica tre condizioni che si presentano in modo successivo e che si


potrebbero far corrispondere rispettivamente ai tre termini preferita da Guenon di «
potenzialità », « virtualità » e « attulità » o nei termini più tradizionali ,la qualificazione
del discepolo , la trasmissione da parte di un maestro qualificato e il lavoro interiore

La prima qualifica assoluta dell’adepto tantrico è quella della determinazione :

.Il . discepolo dev'essere determinato ad intraprendere una vita piena di asperità e le


pratiche meditative che sono associate all'iniziazione per ottenere le realizzazioni al fine
di aiutare tutti gli esseri.

Ma la sincera determinazione non basta bisogna che il discepolo venga accettato da


una scuola tradizionale che possegga una lignaggio vivente e regolare; II collega-
mento ad un'organizzazione tradizionale regolare non è soltanto una condizione
necessaria dell'iniziazione , ma è anche ciò che costituisce l'iniziazione nel significato più
stretto,

L'iniziazione è effettiva se c'è l'incontro tra il cuore della tradizione(che nel Buddismo
tantrico è incarnato dal Guru) e quello del discepolo in un rapporto di reciproca fiducia e
consolidato dalle «sacre promesse» che il discepolo fa durante la parte preliminare
dell'iniziazione.

Nella tradizione Tantrica è centrale la figura del maestro esterno anche se il suo vero
scopo è quello di indirizzarci verso il nostro vero Maestro che il nostro Stato primordiale
noto come Guru interiore.

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L’iniziazione tantrica presenta tre aspetti fondamentali:

1. L'esperienza interiore di beatitudine che il discepolo ha seguendo passo per passo


le fasi iniziatiche guidato dal guru,

2. L'impressione profonda che resta nella mente del discepolo,

3. L'autorizzazione a studiare e praticare gli insegnamenti relativi alla particolare


divinità di cui si riceve l'iniziazione.

Nel «Tantra dello yoga supremo» l'iniziazione è generalmente caratterizzata da diverse


cerimonie e dal luogo in cui si svolgono è chiamato il Mandala .Esaminiamo per prima
cosa il Mandala

Il Mandala

L'ambiente in cui viene conferita l'iniziazione non è un luogo ordinario, che rafforzerebbe
le predisposizioni abitudinali nel discepolo, ma il Mandala della divinità, in particolare il
«palazzo divino», dimora ambiente della divinità. , il mandala rappresenta la quintessenza
di tutte le percezioni fenomeniche

Il supporto simbolico del mandala è dunque quanto permette al praticante di accedere alla
quintessenza delle percezioni fenomeniche, al loro "centro", che non è altro che la mente di
saggezza dei buddha. I fenomeni sono quindi visti come il puro dispiegarsi di tale saggezza,
la percezione pura e luminosa del dharmadhatu, lo spazio della realtà quale è percepita
dagli esseri illuminati. Sul piano dell'assoluto, il mandala. ordinario dell'universo e il
mandala della percezione pura non sono due cose distinte, poiché l'essenza delle percezioni
ordinarie è vacuità-luminosità. È perché gli esseri senzienti hanno un karma impuro, che
percepiscono le apparenze fenomeni-che sotto la forma di mondo ordinario. Il mandala è
perciò un mezzo abile per purificare e trasmutare tale percezione oscurata in percezione
illuminata. Si distinguono tre modi di considerare il mandala:

(1)Il mandala della Base è il mandala naturale della Visione, la purezza fondamentale di tutti
i fenomeni.

(2)Il mandala della Via è il mezzo per integrare la Visione nella pratica meditativa del
sadhana. Ha due aspetti:

1. Il mandala grafico, ossia la sua raffigurazione bi-tridimensionale che rappresenta il


piano della realtà.
2. mandala del significato, che riguarda l'esperienza del meditante e comprende, a sua
volta, il mandala esterno delle percezioni esterne, il mandala interno delle percezioni

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interne e il mandala segreto delle esperienze meditative che rivelano la mente di
saggezza. Si parla anche dei mandala del corpo, della parola e della mente della deità
sotto le cui parvenze lo yogi si visualizza nel samadhi: tutte le percezioni esterne e
tutti gli esseri sono considerati come espressione del corpo della deità e del suo
seguito tutti i suoni sono la vibrazione del mantra, la parola della deità, e tutti i
pensieri discorsivi sono la manifestazione della mente di saggezza della deità.

(3)Il mandala del Frutto o mandala risultante è realizzato quando si ottiene il frutto della Via,
ossia l'Illuminazione perfetta di un buddha in tre corpi e cinque saggezze.La parola mandala
può infine designare anche il maestro del Vajrayana circondato dai propri discepoli.

Il mandala quindi può assumere diversi significati in differenti diversi contesti ma nel
contesto dell’iniziazione è la "manifestazione ambientale" della beatitudine simultanea
alla consapevolezza della vacuità della mente Vajra della divinità tantrica. Generalmente il
Mandala è suddiviso in «Mandala residenza divina» e «Mandala divinità che risiedono». Il
primo dev'essere immaginato come un'edifìcio di luce, quadrato, con quattro porte, che
poggia su di un enorme «doppio Vajra» o «Vajra incrociato». L'edificio è caratterizzato da
numerosissime simbologie che rappresentano diversi aspetti del sentiero buddista come ad
esempio: le quattro porte simboleggiano le «quattro nobili verità», i quattro lati uguali
della base del Mandala rappresentano l'amore imparziale ed equanime dei Buddha verso
le creature ecc. Il palazzo si trova all'interno di una barriera protettiva formato da una rete
fittissima di Vajra attraverso cui non può penetrare nemmeno l'aria. A sua volta questa
«casa protettiva» è avvolta in una sfera del «fuoco della saggezza» dei cinque colori.
All'interno o all'esterno del globo di fuoco, a seconda dei diversi Tantra, sono disposti in
circolo otto grandi cimiteri, abitati da esseri terribili che vagano tra cadaveri di impiccati e
di impalati e che pullulano d'ogni genere d'orrore, questo è simbolico della comprensione
iella vacuità che va oltre le concezioni del puro e dell'impuro in cui i cadaveri, ad esempio,
rappresentano la mancanza di identità inerente della persona. Le tre barriere protettive: gli
otto cimiteri, l'edificio di Vajra ed il globo di fuoco, sono simboliche del fatto che per poter
accedere al palazzo della divinità ed alla pratica del Tantra sono necessari tre requisiti
indispensabili e cioè: l'attitudine ad abbandonare il Samsàra («attitudine emergente»),
l'aspirazione altruistica (l'intenzione di divenir Buddha per il beneficio altrui) e la
comprensione della vacuità.

Il «Mandala delle divinità che vi risiedono» è costituito dall'insieme delle divinità, quella
principale ed il suo seguito. Entrambi i Mandala indicano che ogni realizzazione tantrica
nasce dalla consapevolezza di simultanea vacuità e beatitudine.

Al centro del Mandala è situata la divinità principale, attorno a cui è generato il Mandala. In
tibetano, il termine sanscrito Mandala viene tradotto con Kyil'kor, che letteralmente significa
"cerchio attorno al centro", dove per centro vi è la divinità principale.

Il mandala è come se fosse una fotografia scattata al momento della manifestazione


pura della divinità. Al centro di ogni mandala c'è la divinità principale, che rappresenta la
condizione primordiale dell'esistenza, corrispondente all'elemento spazio

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Il termine sanscrito "manda" significa essenza, "la" sta per includere. Mandala è dunque il
luogo psicofisico in cui è inclusa la forza spirituale o «l'essenza» della divinità. Mandala è il
luogo sacro permeato dell'intensa energia della divinità in cui vi è il potere di trasformare del
discepolo.

La rappresentazione del Mandala viene fatta generalmente su tela o con sabbie colorate e
diviene «l'elemento esterno» indispensabile durante la cerimonia dell'iniziazione, tuttavia, il
vero mandala è quello che viene creato mentalmente dalla concentrazione del maestro
tantrico

I Preparativi dell’ iniziazione

L'iniziazione si svolge all'interno del «Puro Mandala», riflesso della saggezza della divinità,
dunque il discepolo, per poter accedervi, deve liberarsi dai suoi «mandala ordinari» pertanto
prima di ricevere l’iniziazione effettiva vi sono 14 preparativi da effettuare

1. Sviluppo della corretta motivazione per prendere l'iniziazione (bsam pa bcos pa).
2. Iniziazione intcriore (nang dbang bskur ba).In questa fase le fasi preparatorie
all'iniziazione, il discepolo viene risucchiato dai raggi di luce provengono dal cuore del
maestro, detto maestro Vajra, entra nella sua bocca, discende lungo il canale centrale del
maestro ed, attravèrso il sentiero segreto del padre, entra nel loto della consorte per
assumere la stessa forma della divinità di cui sta ricevendo l'iniziazione. Nel ventre della
consorte del Guru, visto come la divinità stessa, per la prima volta riceve l'iniziazione che
lo purifica, poi, dopo la sua nuova nascita dal loto della consorte, viene a trovarsi davanti
l'ingresso di una delle quattro porte del Mandala(solitamente ad Est).
3. Richiesta per l'iniziazione (gsol btab bsngags). Essa è seguita dalla conferma del
conferimento da parte del maestro.
4. Prendere i voti comuni (thun mong gi sdom bzung). Consiste dell'impegno a
rifugiarsi e allosviluppo dell'attitudine illuminata.
5. Prendere i voti non comuni del mantra (thun mong ma yin pa sngags kyi sdom pa
bzung ba).Consiste di tre voti della disciplina, voti associati con ognuno dei cinque
tipi e i quattordici voti
basilari.
6. Protezione (srung ba). Qui gli studenti immaginano, in sei punti del corpo, le
sillabe-seme dei sei tipi di Buddha:
fronte u sul disco della luna (bianco)
cuore T sul disco di Rahu (nero)
capo a sul disco di spazio (verde)
ombelico ki sul disco di Kalagni (giallo)

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gola pi sul disco del sole (rosso)
genitali ah sul disco di
consapevolezza (blu).
7. Suprema Consacrazione dei tre luoghi (gnas gsum byin rlabs mchog). Gli studenti
immaginano le sillabe "hum", "ah" e "om" al loro cuore, gola e capo, al fine di
consacrare rispettivamente la loro mente, la loro parola e il loro corpo come tre vajra.
8. Lancio del bastoncino dentale (so shing dor ba). Lungo dodici dita, il largo bastoncino
rituale è fatto con un legno dolce, ed è lanciato dallo studente in un mandala
(colorato)al fine di determinare il tipo di conseguimento (in particolare l'attività)
per la quale lo studente è maggiormente adatto. Vi sono quattro attività dette le
quattro azioni della saggezza sono che sotto riportiamo insieme alla generica
disposizione delle direzioni:
• l'azione pacifica, per la purificazione, corrispondente all'elemento
acqua, alla direzione est e al colore bianco;
• l'azione feroce, per la sottomissione delle forze negative,
corrispondente all'elemento aria, alla direzione nord e al colore verde;
• l'azione del potere, per conquistare, corrispondente all'elemento
fuoco, alla direzione ovest e al colore rosso;
• l'azione della crescita, per la prosperità, corrispondente all'elemento
terra, alla direzione sud e al colore giallo.
Queste propensione è indicato dalla direzione all'interno del mandala in
cui la parte superiore del legnerto cade.
9. Il maestro versa dell'acqua nei palmi delle mani (khyor chu sbyin pa)
dell'iniziato. Serve a purificare le tre porte di corpo, parola e mente al fine di
chiarire i sogni (sogni che potrebbero verificarsi prima della iniziazione principale e
che potrebbero fornire indicazioni circa la propria pratica futura).
10. Il maestro dona l'erba kusa (ku sha sbyin pa). Il praticante pone quest'erba sotto il suo
letto la notte per evitare sogni disturbati o contusi.
11. Il maestro dona un cordoncino di protezione (srung skud sbyin pa). Serve a proteggere
dagli ostacoli nei sogni.
12. Supplica a Vajrasattva (rdor sems bskul ba). Serve a purificare la consapevolezza degli
studenti.
13. Spiegazione del dharma profondo (zab mo'i chos bshad). Serve a far sì che gli studenti
non si allontanino dal sentiero corretto.
14. Esame dei sogni (rmi lam brtag pa). Questa è un'istruzione su cosa fare dell'erba
kusa e su quando osservare i sogni. Il testo fornisce alcuni dettagli circa la natura dei
sogni propizi e su cosa fare quando i segni che sorgono non lo sono.

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L’Iniziazione effettiva

In questa fase al praticanti vengono coperti gli occhi da una benda che gli impedisce di vedere
il Mandala.

In questo momento dal palazzo della divinità viene verso l'aiutante Vajra, che ha lo scopo di
condurci al cospetto della divinità da cui riceverà l'iniziazione.

L’aiutante Vajra detto Lama Karma Vajra pone per prima cosa un vajra nella mano destra
del candidato che prende l’impegno solenne di non rivelare per nessun motivo, a coloro
che non hanno fede o non sono stati iniziati, i segreti del Mandala

L’Entrata nel Mandala

Dopo avere recitato per tre o più volte il solenne impegno il karma vajra conduce il
discepolo all’interno del Palazzo l’iniziando .Mentre il Maestro recita un mantra, il
candidato circumambula il mandala per tre volte tenendo la destra e tornando al termine
ad Est. Durante queste circumambulazioni tutte le porte del Mandala si apriranno sia quelle
esterne sia interne e tutte le pareti si fanno trasparenti..

Ritornato alla porta dell’Est il discepolo ripete dei Mantra assumendo il colore associato a
quella direzione (di solito il bianco).Poi si sposta in ognuno dei punti cardinali del Mandala
ripetendo i Mantra e assumendo dei colori specifici(di solito giallo a Sud,rosso ad Ovest,
nord verde o Blue scuro,bianco est )Pur che variano da Tantra a Tantra

Al termine di quest’ultima circumambulazione .assume di nuovo degli impegni solenni


al termine dei quali Gli viene offerta dell’acqua bere .Segue poi una pratica specifica
in suoi quattro elementi di Aria, Fuoco,Terra ed Acqua vengono purificati .

Al termine di questa pratica l’elemento acqua del discepolo si trasformerà in nettare ed


Ambrosia e il candidato dovrà immaginare di essere purificato dalle maculazioni
grossolane

La Cerimonia del Lancio del Fiore

Terminata la prima purificazione all’iniziando verrà chiesto di togliere per un attimo la


benda e di descrivere le proprie esperienze visive. il Karma Vajra ,a seguito della
risposta risposta,lo condurrà compiendo una circombulazione , di fronte ad un Mandala
bidimensionale ;lì il candidato dovrà lanciare all’interno del Mandala stesso un fiore

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precedentemente donato dal maestro . A seconda di dove andrà a cadere gli verrà
assegnata una famiglia Tantrica e conferito il suo nome tantrico segreto.

La Cerimonia della Rimozione della Benda

Fino adesso il candidato ha sempre proceduto rimanendo bendato.

Ora il Maestro effettuerà una specifica pratica di purificazione specifica per la vista che
darà al candidato la capacità di contemplare il Mandala.

Seguirà una dettagliata spiegazione del e dei suoi simboli.

La cerimonia fin qui svolta è la parte più lunga e complicata ma non rappresenta in
realtà che una fase preparatoria e purificatoria .Adesso seguiranno le iniziazioni effettive

Le Iniziazioni effettive

Le iniziazioni effettive sono quattro :

1. “l'iniziazione del vaso”

2. “l'iniziazione segreta”,

3. “l'iniziazione della saggezza”

4. “l'iniziazione della parola”

L’iniziazione del Vaso

La prima è «l'iniziazione del vaso» che è associata ai cinque Dhyani Buddha in cui
vengono usati, quali oggetti iniziatici, l'acqua, la corona, il Vajra, la campana ed il nome
segreto. «L'iniziazione del vaso» consiste nel trasformare le attività ordinarie e purificarle
insieme ai nostri aggregati

L'acqua simbolizza la chiarezza e la purezza della mente rappresentata da Buddha


Aksobhya blu. Ricevendo l'acqua del vaso , il discepolo immagina che ogni sua
negatività ed ostacolo, venga purificato e sorge in lui la consapevolezza di simultanea
beatitudine e vacuità; egli si libera dalla agressività sviluppando l'intelligenza che
riconosce la realtà delle cose.

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Quando la corona, associata a Buddha Ratnasambhava giallo, tocca il suo capo, il
discepolo, purificato, sperimenta la beatitudine e la vacuità, con il senso della «sicurezza
regale» che gli permette di eliminare l'avarizia e l'orgoglio ordinario. In questa fase
dell'iniziazione, l'aggregato di sensazione viene trasformato nell'intelligenza che
riconosce la fondamentale uguaglianza dei fenomeni.

Il Vajra è lo scettro indistruttibile, associato a Buddha Amithàba rosso, che, quando tocca
le mani del discepolo, gli conferisce la qualità di purificarsi dall'attaccamento e dalla
bramosia permettendogli di sperimentare la beatitudine inseparabile dalla comprensione
della vacuità. In questo modo viene trasformato l'aggregato (skanda) della
discriminazione.

La campana, in relazione a Buddha Amoghasiddhi verde, quando viene fatta impugnare e


suonare dal discepolo, provoca in lui la beatitudine simultanea alla comprensione della
vacuità purificando l'aggregato dei fattori composti, e risvegliando l'intelligenza che
intraprende le varie attività e rimuovendo la gelosia e l'invidia. La campana ed il suo
suono sono simbolici della vacuità dei fenomeni e della loro interdipendenza.

Nell'ultima fase dell'«iniziazione del vaso», quella detta del «nome», il maestro
pronuncerà conferirà in modo solenne al discepolo il nome tantrico in precedenza
ottenuto attraverso la cerimonia del fiore . che questi deve portare con dignità divina. In
questa parte dell'iniziazione non viene usato alcun strumento rituale ad indicare che non
occorre nulla d'esterno all'essere per completarlo. Udendo quel nome, il discepolo
purifica il suo aspetto fisico, generando la beatitudine simulta¬nea alla vacuità e rimuove
la confusione sviluppando l'intelligenza chiara come lo specchio. «L'iniziazione del
nome» è associata a Buddha Vairocana bianco, tra¬mite essa il tantrika giunge
gradualmente al riconoscimento del proprio potere dovuto alle qualità innate della
mente..

«L'iniziazione del vaso», che comprende le cinque iniziazioni sopra citate, ha la funzione
di purificare le azioni negative del discepolo quali uccidere ,rubare avere una condotta
sessuale scorretta e conferirci la potenzialità per l'ottenimento del Nirmanakàya o l'essere
visibile nel mondo caratteristico di un Buddha .Con l’iniziazione del vaso otteniamo
l’autorizzazione alla pratica di generazione grossolana e sottile e tutti i rituali magici
legati a questo ciclo Tantrico

Seguono poi le iniziazioni superiori .Poichè i Tanta in Tibet sono conferiti normalmente
in ambito monastico tutto quello che viene descritto viene fatto solo tramite
l’immaginazione

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L’iniziazione segreta

La prima iniziazione superiore è L’Iniziazione segreta che crea la potenzialità a


realizzare il Sambhogakàya, o l'autentica comunicatività propria di un Buddha,
purificando le negatività della parola.

In questa iniziazione, innanzi tutto, il discepolo deve offrire un mandala al Maestro.In


seguito dovrà offrire al maestro una bella giovinetta, priva dei difetti di essere spaurita,
confusa e via dicendo.

La giovinetta dovrà essere già esperta nei quattro stadi del Tantra del completamento.

Al discepolo verrà posta una benda in modo da non vedere l’unione tra il Guru e la
giovinetta.

Questa unione(ricordiamo che tutto questo nel contesto monastico viene solo
immaginato) avviene rispettando due condizioni. La prima è che sia il Maestro sia la
Consorte siano inseparabili con la Divinità e la seconda è che l’unione avvenga nella
posizione detta la posizione del Vajra dei canali di Energia.

Attraverso questa pratica il Guru riesce a risvegliare e sciogliere la Bodhicitta bianca (


un tipo di Kundalini ),posta alla cima del capo,sua e della sua consorte.Mano a mano che
la Bodhicitta Bianca discende il canale centrale e attraversa il chakra della gola ,del
cuore ,dell’ombellico, e quello segreto i due consorti sperimentano le quattro gioie.

 Gioia
 Gioia Immensa
 Gioia Eminente
 Gioia innata o simultanea

Al fine le due gocce s’incontrano sulla cima del gioiello del guru e la posizione prende il
nome “ la posizione del vajra delle gocce di energia.”

Al termine le due gocce ripercorrono il tragitto in senso inverso e i due consorti


sperimentano di nuovo le quattro gioie L’ultima la percepiranno al Chakra del capo e
loro posizione sarà chiamata la posizione di “Beatitudine e vuoto”.Mentre il Maestro
rimane in estasi al discepolo viene data da assaggiare il Bodhicitta rimasto nel punta del
vajra del maestro(nelle iniziazioni monastiche viene dato dello Yogurt o latte fitto)
attraverso cui il discepolo esperisce un estasi profonda

Seguono alcune preghiere al termine delle quali al discepolo viene offerto la sostanza
rossa(un altro tipo di Kundalini) della consorte di saggezza (alcol o te rosso) anche in
questo caso il discepolo proverà la grande estasi di beatitudine e Vacuità.

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Al termine il Guru mostrerà il loto della consorte (la vulva) .E con ciò viene compiuta
l'iniziazione delle parti segrete, appunto con queste due cose, cioè la gustazione
bodhicitta bianca e rossa e lo sguardo

Questa iniziazione è chiamata segreta perché viene data con le sostanze segrete e purifica
l’attaccamento all’illusione e getta i semi della realizzazione del Sambhogakaya

Nell'iniziazione della conoscenza della saggezza,

Anche in questo caso il discepolo offrirà una mandala preliminare .Al termine il maestro
offrirà la mudrà al discepolo .Istruirà il discepolo sulla posizione da tenere e su come
esperire le quattro gioie .

Inoltre spiegherà al discepolo la natura delle quattro gioie e a come distinguerle.

Attraverso questa iniziazione il discepolo vedrà chiaramente come tutto sorga da questa
beatitudine e vacuità e attraverso questo otterrà i semi per realizzare il Dharmakayail
Dharmakaya

Le prime tre iniziazioni sono considerate mondane perché pur elevendo il discepolo
verso stati spirituali superiori quest’ultimi non sono ancora la meta finale ma aspetti puri
della realtà manifesta.

La quarta iniziazione, «l'iniziazione della parola»,

Nella quarta iniziazione non ci sono sostanze segrete da assaggiare o consorti con le
quali unirsi .Ma vi è una spiegazione sulla Beatitudine e vacuità e sulla natura della
mente .

Ogni scuola ha un modo di diverso di spiegare a seconda della scuola filosofica a cui
aderisce.

Nelle scuole Bon e Nyngmapa in questa fase dell’ iniziazione vi è la trasmissione della
natura della mente secondo lo Dzogchen(Questo metodo rituali è solo uno dei tanti modi
di trasmettere lo Dzogchen)

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purificando simultanea mente corpo, parola e mente, crea la potenzialità per l'ottenimento
dello Svabha-vikakàya o natura ultima sostegno del Dharmakàya.

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La Pratica Tantrica

La pratica Tantrica si articola in due fasi il Kyerim(stadio di generazione)


Dzogrim(Tantra del completamento)

La visualizzazione di se stessi come divinità

a) // processo di identificazione

II Tantra dello Yoga supremo (Mahànuttarayogatantra), viene suddiviso in due fasi: quella
detta di Generazione e quella di Completamento.

Le condizioni favorevoli alla trasformazione psicofisica dello Yoghi vengono stabilite nel
corso della fase di Generazione e nella successiva fase, quella del Completamento, si attua la
trasformazione vera e propria culminante nello Stato della Grande Unione.

La consapevolezza della non esistenza reale del proprio «io» funge da base necessaria
all'intraprendere i due stadi del Tantra.

Secondo il pensiero buddista, l'identificazione col «sé» è l'errore fondamentale dell'essere; la


confusione dell'individuo, che deriva da questo errore, è l'origine di ogni sua sofferenza fisica
e mentale.

Una forte identificazione col «sé», rende impossibile ogni successo nella pratica tantrica che
porterebbe ad ingigantire la concezione egoica della personalità al momento dell'identificazione
dell'aspirante Yoghi con la divinità visualizzata.

Prima di tutto il tantrika dovrebbe sperimentare il non essere, in cui si perde

ogni riferimento individuale, svuotando l'essere dalla concezione di qualsiasi nucleo


essenzialmente reale.

Il vuoto diviene l'ambiente in cui la consapevolezza del tantrika si trasforma nella divinità
avente corpo, voce e mente divini.

La divinità non viene intesa come un'immagine statica, in qualche modo diversa da colui che
medita, ma come la manifestazione dello stato più puro della mente del tantrika.

Tuttavia nel Tantra viene affermato che la divinità non è una semplice immagine simbolica,
ma possiede un'«esistenza esterna» ben definita. È lo «stato di fede» totale nell'esistenza
psicofìsica della divinità che funge da vero catalizzatore del potere di trasformazione
psicofisica.

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Senza la convinzione dell'esistenza della divinità, verrebbe a mancare la componente
emozionale che contribuisce ad una efficace identificazione con la divinità e la trasformazione
intcriore sarebbe ridotta a superficiale immaginazione.

Tuttavia, pur consapevoli che la divinità ha una sua esistenza esterna, ad essa non devono
venire attribuiti valori oggettivi, poiché anche la divinità dev'essere riconosciuta priva di
natura assoluta e non vista come entità separata dalla mente del tantrika che la percepisce.

Esterna od interna che sia, la divinità ha la stessa natura onnipervasiva di ogni fenomeno, cioè
è priva di un'esistenza propria o a sé stante e non possiede valore assoluto.

Lo scopo del processo d'identificazione con la divinità è il superamento del dualismo tra sé e
gli altri e l'afferrarsi all'«esistenza reale» della divinità andrebbe nel senso opposto allo scopo
desiderato. La visualizzazione di sé come divinità non poggia sulla ricerca di una "parte
completante", come potrebbe verificarsi ad esempio nel rapporto tra patner di sesso opposto
che cercano il completamento nell'unione sessuale e che possono trovare solo
temporaneamente tale completezza, poiché fondata su un supporto esterno, ma l'essere è già
completo e tramite il processo d'identificazione del Tantra, l'individuo fa emergere la
«completezza innata» detta anche natura vajra o natura indistruttibile della persona che è lo
stato sempre presente, spontaneo e autorealizzato dell'essere.

b) Lo scopo dello Yoga della divinità nello stadio di Generazione

Gli elementi fondamentali della fase di Generazione sono la chiarezza e la dignità divina.

Per chiarezza s'intende la visione limpida e vivida della divinità visualizzata all'interno della sua
dimora divina o Mandala. Questa è la prima fase dello stadio di Generazione, in cui il tantrika
crea in modo più grossolano la divinità nel suo ambiente, subentra poi una fase più «sottile» in
cui il meditatore riesce a visualizzare in modo perfetto e particolareggiato la divinità ed il suo
Mandala in una piecola goccia di luce, della grandezza di un seme di senape, situata all'interno
delle proprie narici od in altri luoghi del corpo.

La chiara visualizzazione serve ad eliminare le apparenze ordinarie di se stessi e del mondo,


non nel senso che il tantrika vede con i suoi occhi il mondo tramutato nel paradiso in cui egli
stesso ne è la divinità, ma che tale visione divina è presente solo nella sua coscienza mentale.
Tuttavia i fenomeni ordinari, che appaiono alle coscienze sensoriali, vengono sperimentati in
modo libero dai modelli mentali viziati dall'abitudine e come risultato finale appariranno privi
di una realtà assoluta.

La dignità, la seconda caratteristica propria dello stadio di Generazione, è la consapevolezza


di essere la divinità e di possederne le sue qualità straordinarie. Lo scopo di questa dignità, o
orgoglio divino, è quello di superare le concettualiz-zazioni conseguenti alle apparenze
ordinarie che, cristallizzandosi in immagini coatte, producono reazioni condizionate, anziché
la percezione nuda e semplice dei fenomeni. A questo proposito è esemplificativa la frase che
Tilopa disse al suo disceplo Nàropa-.

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«Oh Nàropa, non sono le apparenze che ti condizionano, ma l'aggrapparti ad esse».

L'ostacolo dunque non è l'apparenza fenomenica, ma è la mente abitudinaria che stabilisce le


apparenze entro schemi precostituiti venendo così a creare una condizione conflittuale tra
«realtà oggettiva» e «pensiero soggettivo».

La fase di Generazione del Tantra non è un traguardo esterno misurabile in termini di


temporaneità, ma è solamente riferibile alla coscienza del tantrika in un particolare stato
d'esperienza.

Lo stadio di Generazione del «Tantra dello Yoga supremo» può essere definito come: lo Yoga
(mente) del tantrika che si armonizza con la morte, lo stato intermedio, e la rinascita, in
un'esperienza che, pur non essendo ancora il risultato del convogliare, fermare e dissolvere le
energie nel canale centrale, proprietà dello Stato del completamento, è la causa di tale Stadio
di Completamento.

Morte, stato intermedio, rinascita vengono chiamati rispettivamente Dharma-kàya,


Sambogakàya, Nirmanakàya di base o di potenza, poiché contengono la potenzialità dei tre
Kàya propri dello Stato di Buddha.

II Dharmakàya che nel Tantra , potrebbe essere definito la matrice di tutta la situazionalità au
tentica dell'essere Illuminato costituendone il suo aspetto della saggezza . Il Sambogha-
kàya è la dimensione del comunicabile nel suo aspetto più sottile. Il Nirmanakàya è il mondo
finale e autentico di essere nel mondo tra gli esseri: è l'apparire del uddha in modo visibile.

Nella fase di Generazione, il tantrika, tramite la sua meditazione, armonizza l'essere con i
tre Kaya di base, affinchè tale armonizzazione possa divenire la causa effettiva dei tre
Kaya di Buddha.

Dunque la mente viene armonizzata alla mente di Buddha durante il ricreare le diverse fasi
della morte nella meditazione. Tramite l'azione mentale della trasformazione dello Stato
intermedio, la mente del tantrika si armonizza con la qualità comunicativa di Buddha. Ed
infine il tantrika si armonizza, tramite l'esperienza meditativa rielaborante la nascita, al
modo proprio di Buddha di porsi nel mondo. Le tecniche tantriche dello Yoga supremo
variano nei differenti yoga delle divinità scelti dal tantrica, ma mantengono come
denominatore comune questa trasformazione dei tre Kaya.

Volendo descrivere il metodo meditativo dello stadio generazionale del Tantra possiamo
schematizzare nel modo seguente:

a) dal riflesso della comprensione della vacuità, il tantrika manifesta se stesso nella forma
della divinità; seguono preliminari d'offerta alla guida spirituale e la visualizzazione del
dissolversi degli universi in luce nel corpo divino del tantrika; lo stesso corpo del tantrika-
divinità si dissolve, partendo dalle estremità di testa e piedi, nella sillaba seme situata nel
ciackra cardiaco. Vengono sperimentati i diversi segni della morte durante le varie fasi
dell'assorbimento della sillaba seme nella vacuità.

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Giunto all'esperienza del vuoto, il tantrika sperimenta immaginativamente il Dharmakàya
trasformando così l'esperienza della morte nel mezzo per manifestare il Dharmakàya.

b) Dalla sfera di luce chiara-vacuità, il tantrika fa sorgere la sua mente nella forma della
sìllaba seme associata alla divinità. Questa viene vista come una sottilissima lettera di luce
o lettera-mente che simbolizza lo stato di autentica comunicazione. In questo modo il
meditante sperimenta lo stato del Samboghakàya; ha trasformato l'esperienza del Bardo
(stato intermedio) nel Sentiero per manifestare l'effettivo Samboghakàya finale, e) La
lettera-mente del tantrika assume ora la forma completa della divinità dimorante nel suo
ambiente-Mandàla. Il tantrika, assumendo l'aspetto della divinità in tutti i suoi dettagli,
immagina di trasformare l'esperienza della nascita nel Nirmanakàya di Buddha.

Queste fasi della meditazione tantrica relative all'armonizzazione dei tre Kaya, ora
descritte in modo estremamente succinto, possono presentarsi in termini molto elaborati,
ricche di visualizzazioni e di simboli carichi di profondi significati.

L'immaginare se stesso nello stato supremo della Buddhità, imitare creativamente le


azioni e parole di un Buddha possedendone la sua mente onniscente è caratteristica comune
alle quattro classi del Tantra. Tale caratteristica propria unicamente del sentiero tantrico
buddista viene chiamata: «L'assumere il risultato come mezzo per ottenerlo».

L'armonizzazione della morte, dello stato intermedio e della nascita con i tre Kaya,
invece è una pratica meditativa che si ritrova unicamente nel T a nt r a dello Yoga
supremo».

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La fase di Completamento del Supremo Yoga

a) // corpo sottile

II corpo umano viene considerato nel Tantra il miglior veicolo per l'ottenimento della
Liberazione, dunque viene posta molta enfasi sulla sua preziosità ed i suoi «aspetti sottili»
vengono descritti con grande minuziosità.

Le «energie incontrollate» sono, secondo il Tantra, la causa principale del condizionamento


dell'essere nel Samsàra e di ogni sua sofferenza; questa visione si differenzia da quella del
Sutrayàna in cui l'origine del Samsàra viene fatta risalire alla «concezione del sé».

Nel Tantra, mente ed energia sono legate indissolubilmente e possiedono un'unica natura,
perciò l'energia che sostiene la concezione della reale esistenza di sé e dei fenomeni è la
responsabile dello stato di sofferenza del Samsàra.

Le tecniche di meditazione della fase di Completamento del Tantra vertono sull'uso delle
energie interne, sui canali e sulle gocce di costituente essenziale che formano il «corpo
sottile» o «corpo Vajra». Lo scopo di tali tecniche meditative e quello di coinvogliare le
energie all'interno del canale centrale (Avadhuti), evento che ordinariamente si verifica
esclusivamente al momento della morte, al fine di sperimentare la Luce chiara
simultaneamente allo stato di Grande Beatitudine

La Struttura Sottile del Corpo Mandala Interno

La descrizione del Mandala interno cambia da Tantra a Tantra ma si possono riscontrare


questi elementi

• I Canali Sottili
• I Chakra
• I Venti sottili
• Le gocce essenziali

I Canali Sottili

Per i Tantra sono settantaduemila e percorrono tutto il corpo.


Otto di essi si formano dal cuore ,”gli otto canali”ciascuno dei quali presenta tre diramazioni
che costituiscono i canali dei ventiquattro luoghi sacri Scindendosi ulteriormente in tre
gruppi si formano settantadue Canali da ognuno dei quali si dipartano mille piccoli canali.
I Tantra ne utilizzano essenzialmente tre : il Canale Centrale Avadhuti che attraversa
verticalmente il centro del Corpo dal luogo segreto alla sommità del Capo e i due canali il
Lalana a sinistra di colore bianco che veicola le gocce di Bodhicitta Bianca che scorrono
lungo il canale Bianco
e il Rasana a destra rosso che veicola Bodhicitta Rosso.

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I Chakra

I Chakra sono altrettanto numerosi ma vengono presi in considerazione solo quelle disposte
lungo il canale Centrale.

Abbiamo sei Chakra (Non cinque come normalmente presentati negli insegnamenti
pubblici)

• Il Chakra della Grande Beatitutidine alla sommità del Capo con trentadue
raggi diretti verso il basso .E’ Considerato il Chakra del Corpo

• Il Chakra della realtà di fruizione Situata alla gola con sedici raggi diretti
verso l’alto e questo Chakra della parola

• Il Chakra della realtà assoluta E’ al livello del cuore ha otto raggi verso il
basso ed è connesso con la mente

• Il Chakra di emanazioneAll’altezza dell’ombellico con sessantaquattro


raggi verso l’alto è legato alle qualità

• Il Chakra che sostiene la Beatitudine situata al perineo con ventotto o


trentadue raggi

• Il Chakra del gioiello All’estremità dell’organo sessuale maschile a otto


raggi

Le ultime due di norma sono utilizzate soltanto con le pratiche della karmamudra

I Cinque Venti sottili interni

I cinque venti o pneuma sono energie mobili che circolano nei canali sottili.

1. Il Prana Ascendente
2. Il Prana della forza vitale
3. Il Prana simile al fuoco
4. Il Prana Pervadente
5. Il Prana Discendente

Vi sono poi altri cinque venti secondari generati dal Prana della forza vitale situata nel
cuore
Che permettono alle coscienze dei sensi di dirigersi verso il loro oggetto
I Venti sottili mobili sono considerati la cavalcatura

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• Il Vento sottile mobile rosso legato alla coscienza visiva
• Il Vento sottile mobile blue legato alla coscienza uditiva
• Il Vento sottile mobile giallo legato alla coscienza olfattiva
• Il Vento sottile mobile bianco legato alla coscienza del gusto
• Il Vento sottile mobile verde legato alla coscienza tattile

Le Gocce Essenziali (I Bindu)

Sono la quintessenza dell’energia.

Rappresenta l’essenza dello sperma e del sangue accompagnate dal vento e dalla mente
sottilissima impregnano l’insieme del Corpo .

Ce ne sono di due tipi chiamati Bodhicitta Rossa e Bianca che una volta purificate
permettano di conseguire l’illuminazione e il corpo vajra.

Inizialmente durante il Concepimento la goccia bianca proveniente dal Padre e la goccia


rossa proveniente dalla madre intrappolano il principio cosciente che viene allora a trovarsi
come rinchiuso da un reliquiario.

Da questo nucleo nascono le strutture del futuro neonato.

Una volta che il corpo si è formato le gocce bianche sono localizzate nella parte superiore
del corpo quelle rosse nel tronco

Nel Corpo ci sono molte gocce costituite da una parte bianca e una rossa.Ad esempio la
goccia che provoca il sonno situato nel cuore e nel centro del gioiello,la goccia che produce
i sogni situata nella gola e nel luogo segreto

La goccia che produce lo Stato di Veglia situata all’ ombellico e al Chakra del capo

La goccia che produce l’equanime contemplazione situata nel luogo segreto e alla sommità
del capo

E la goccia indistruttibile al livello del cuore che contiene la mente e il vento estremamente
sottili( Il segreto del tantra)

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Le gocce sono connesse alla mente e alla vitalità e si rinnovano durante l’infanzia e la
giovinezza

Attraverso una serie di cinque estrazione che sono :

• Dal Cibo al Sangue


• Dal sangue al Sangue puro del cuore
• Dal Sangue puro del Cuore al Midolleo Osseo
• Dal midollo osseo al seme
• Costituendo così in tal modo una quintessenza

Le gocce cessano poco a poco di riprodursi e degradarsi dopo i trentacinque anni

Con certe pratiche come le Sadhane di Lunga Vita e i Chulen hanno il potere di restaurale
anche se parzialmente.

Le gocce in molte pratiche vengono visualizzate come Divinità. La goccia più importante è
la goccia indistruttibile

La Goccia Indistruttibile

Nel Canale Centrale vi è un nodo e una piccola cavità all’interno della quale risiede un
piccolo Tigle ,chiamato la Goccia indistruttibile, la cui metà superiore è bianca e la metà
inferiore rossa .

Secondo il Tantra questo piccolo Tigle è l’origine di tutte le gocce presenti nel corpo .

E’ chiamata Goccia indistruttibile perché le due metà non si separano mai se non al
momento della morte.

Al momento della morte infatti i venti interni si dissolvono nella goccia indistruttibile e
questo porta la goccia ad aprirsi.

All’interno della goccia indistruttibile risiedono il vento indistruttibile e la mente


indistruttibile. Il vento indistruttibile è chiamato il corpo che risiede continuamente perché
questo è il reale corpo della persona che si trasferisce di vita in vita

Il vento indistruttibile e la mente indistruttibile diventano manifesti al termine delle otto


dissoluzioni. l’essere ordinario non riesce a percepirli ma è possibile farne esperienza grazie

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allo Stadio del Completamento .

Attraverso Lo Stadio del completamento ne diventiamo consapevoli e trasformiamo questo


corpo indistruttibile nel Corpo illusorio precedentemente menzionato

Il Corpo Illusorio è il corpo di Saggezza adorno dei 32 segni maggiori e degli ottanta segni
minori di un essere illuminato e avrà l’apparenza della deità di meditazione

Questa Vento indistruttibile è il segreto dei Tantra Buddisti e non è segreto tanto per motivi
metafisici quanto perché in piena contraddizione con la Madhyamka Prasangika .

La Madhyamaka Prasangika sostiene che il nostro io è imputato (designato con la


mente.La modalità cioè con quale la mente apprende gli oggetti) sulla base della mente e
del corpo e cesserà di esistere al momento della Morte.

Ma il Tantra parlando di questa mente sottile chiamata indistruttibile e di questo corpo


sottile che si trasferisce di vita in vita ,rende possibile l'imputazione di un io sulla base di
questo corpo e mente indistruttibili contraddicendo im modo evidente gli insegnamenti
esoterici del Buddhismo

Ma poichè questa mente e questo corpo indistruttibili esistono da tempo senza inizio ne
deriva che questo Io è immortale e mai nato ed è che questo Io che otterrà l’illuminazione .

Sembrerebbe che Il Tantra attesti l'esistenza di un corpo immortale e di una mente


immortale

Uno Yogi Tantrico ebbe a dire:

All’inizio ,dovuto al terrore della Morte , ho abbracciato il Dharma


Poi mi sono allenato allo stato immortale
Alla fine ho pienamente realizzato che non c’è morte e mi sono illuminato

Scopo della pratica dello Dzogrim

Attraverso la pratica dello Dzogrim si impara a dirigere i venti karmici dai canali laterali al
canale Centrale per dissolverli nei venti di saggezza.
In questo modo potrà causare l’apertura dei nodi dei Canali e fondere le gocce rossa e
bianca generando l’esperienza della grande Beatitudine unità a quella della vacuità che si
conclude con l’esperienza della chiara Luce.L’insieme del processo comprende otto
dissoluzioni l’ultima delle quali svela la chiara luce

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Le otto dissoluzioni si producono completamente soltanto durante il processo della morte
ma si manifestano parzialmente in ogni mutamento di coscienza come nel passaggio di
veglia al sonno dal sonno profondo al sogno e cosia via

Queste dissoluzioni riguardano sette venti i primi quattro agli elementi gli ultimi tre alla
coscienza
Ogni fase è accopmpagnata da dei segni sottili

1) Il vento sottile della terra riassorbendosi nell’acqua è accompagnato


dalla visione di miraggi

2) Il vento sottile dell’acqua riassorbendosi nel fuoco è accompagnato


da fumi
3) Il vento sottile del fuoco riassorbendosi è accompagnato dalla visione
di lucciole o di scintille che saltano via dal fuoco
4) L’aria riassorbendosi nello Spazio è accompagnato da una visione
simile alla fiamma vacilla di una candela

Queste prime quattro fasi riguardano gli elementi mente le quattro


successive riguardano la coscienza e i venti sottili

5) la fase della mente detta dell’apparenza bianca si accompagna alla


dissoluzione delle trentatré concezioni mentali legate alla collera.Il segno
interiore è quello di un chiaro di luna autunnale
6) La fase della mente detta di accrescimento rosso si accompagna alla
dissoluzione delle quaranta concezioni mentali connesse al
desiderio- attaccamento.Il segno interiore è similea quello del sole che
tramonta in un cielo vuoto

7) La fase della mente detta prossima al conseguimento al nero si


accompagna alla dissoluzione di sette concezioni legate all’ignoranza e il
suo segno interiore è quello di un’oscurità completa.

8) La Luce chiara sorge quando riappare una presenza sottile non duale
che si manifesta come un’alba purissima in un cielo autunnale vuoto

Nel processo della morte le fasi 5-6-7 corrispondo rispettivamente alla discesa della goccia
bianca alla sommità del capo verso il cuore alla risalita della goccia rossa dall’ombelico
verso il cuore e alla loro unione nel cuore che racchiude la coscienza.
L’emergere della chiara luce avviene dopo la dissoluzione delle gocce bianca e rossa nella
goccia bianca e rossa indistruttibile al centro del cuore
Queste ultime quattro menti sono note anche come i quattro vuoti

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La Chiara Luce

La chiara luce che è la vacuità -luminosità indistruttibile della natura della mente il
thatgatagharba.Ha molte interpretazioni a seconda della scuola.Nel Tantrismo Sarma ad
esclusione della scuola Jonagpa essa è consideratata una mente molto sottile e pura .Nello
Dzogchen invece indica la consapevolezza dello Stato Naturale
Le Cinque fasi dello Dzogrim

1) L’isolamento del Corpo

Grazie a questa pratica meditativa il meditante si libera dall’attacamento delle apparenze


impure.Si tratta del proseguimento della pratica del Kyerim .
Lo yogi si visualizza stabilmente come Divinità,i canali le ruote i venti sottili e le gocce che
costituiscono il suo mandala interno.Poi focalizzandosi su un piccolo Bindu nella ruota del
gioiello fa penetrare i venti sottili nel canale centrale percorrendo le otto fasi di
dissoluzione menzionate poc’anzi.Accende il fuoco dell’ardente situato sotto l’ombellico e
pratica il tummo :la fiamma si innalza nel centro del corpo e fa fondere la goccia di
Bodhicitta bianca situata alla sommità del capo .
Questa cola giù gradualmente attraversando i seguenti chakra della gola ,del cuore
dell’ombellico,e il Chakra segreto provocando l’esperienza di beatitudine e vacuità
crescente delle quattro gioie

• Gioia
• Gioia Immensa
• Gioia Eminente
• Gioia innata o simultanea

Ogni apparenza è percepita come l’espressione di beatitudine e Vacuità e lo Yogi


sperimenta la chiara Luce analogica

Poi attraversa le quattro tappe inverse e i venti sottili e le energie si diffondono di nuovo
dal canale centrale in tutto il corpo

2) L’Isolamento della Parola

Consiste nell ‘unire venti sottili e mantra allo scopo di dissociarsi dal flusso ordinario della
parola e sciogliere i nodi al Chakra del cuore.
La pratica utilizza la recitazione vajra unendo i venti sottili e il respiro alla vibrazione delle
tre sillabe Om A Hum le sillabe seme dei tre vajra che includono il potere di tutti i Mantra .
In questa pratica si utilizza la respirazione detta del vaso ..
In questa fase il meditante sperimenta le otto dissoluzioni e poi le quattro gioie di
beatitudine -vacuità.quando le energie e i venti sottili penetrano nella cavità del cuore
Quando avviene la dissoluzione delle gocce bianca e rossa nella goccia indistruttibile si
ottiene l’isolamento della mente con l’esperienza successiva delle quattro vacuità( 5-6-7-8

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menti della fase di dissoluzione)

• Vacuità (discesa della goccia Bianca, luminosità Bianca)


• Vacuità estrema (risalita della goccia rossa luminosità rossa)
• Grande Vacuità (unione delle gocce nel cuore)
• Vacuità Totale(chiara luce analogia con l’alba pura luminosissima)

A questo livello la chiara luce è ancora analogica.


il Corpo illusorio sottile fatto di venti sottili impregnati di chiara Luce comincia allora a
manifestarsi

3 )L’isolamento dell’autoconsacrazione

Utilizza la condizione interna del processo di dissoluzione -condensazione e la condizione


esterna rappresentata dall KarmaMudra una partner alla quale lo Yogi si unisce.
Questa pratica che utilizza la sessualità come metodo richiede purezza di visione e di
Samaya da parte dei due partner ;conduce agli otto Stadi di dissoluzione alle quattro gioie
allo quattro vacuità dapprima nell’ordine progressivo e poi nell’ordine inverso;i cinque
venti sottili ,simili adesso alle radianze dell’arcobaleno delle cinque saggezze servono da
cavalcatura alla coscienza di chiara luce e si costituiscono in corpo illusorio ma ancora
impuro
Tale corpo illusorio impuro chiamato corpo illusorio del terzo Stadio è oggetto di dodici
paragoni:

1. E’ come una Magia


2. E’ come un riflesso nella luna dell’acqua
3. E' simile all’ombra di un corpo
4. E' simile ad un Miraggio
5. E' simile al corpo di sogno
6. E' simile a un’eco
7. E' simile a una città aerea
8. E' simile ad un’allucinazione
9. E' simile ad un arcobaleno
10. E' simile a un lampo che esce dalle Nubi
11. E' simile ad una bolla d’acqua
12. E' simile al riflesso di Vajrasattva in uno specchio

Il Corpo illusorio è come è come un corpo sognato che emerge dal Corpo grossolano e torna
a dissolversi

Presenta trentadue marchi Maggiori e gli ottanta segni minori.


Per manifestarsi necessità delle pratiche delle nove mescolanze : le mescolanze con i tre
corpi nello stato di veglia nel sonno e nel sogno

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4) La Chiara Luce

In questa fase il praticante approfondisce la sua esperienza di chiara luce con le otto
dissoluzioni uscendo e rientrando nel corpo grossolano per insegnare agli altri fino a
conseguire la chiara luce oggettiva e del significato.
Il Corpo illusorio della terza fase scompare allora come un arcobaleno mentre le visioni
spariscono e si sperimentano le quattro gioie e le quattro vacuità nell’ordine progressivo e
poi nell’ordine inverso ottenendo il corpo illusorio puro(il vento indistruttibile che risiede
nella goccia indistruttibile emerge).
Questa fase viene chiamata integrazione o unione del principiante

5) L’integrazione o Unione
Nel momento in cui viene conseguita l’unione del principiante la chiara luce del
significato cessa e il praticante si immerge nella chiara luce così a poco a poco gli ultimi
residui di oscuramenti intellettuali e consegue lo Stato di onniscienza realizzando il
Dharmakaya.
E’ il conseguimento dell’unione di colui che non è più discepolo dove lo Yogi unisce il
corpo illusorio puro espressione della compassione e dei mezzi abili con la chiara luce
ultima perfezione della conoscenza suprema della vacuità.In lui sono integrati assoluto e
relativo
E’ il raggiungimento dell’Essenza della Mahamudra

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La Via dell’AutoLiberazione
Introduzione

Nel Buddismo tibetano esiste un’altra via chiamata la via dell’autoliberazione lo Dzogchen.

si trova sia nella tradizione pre Buddista,il Bon, del Tibet sia nella scuola Nyngmapa.

Entrambe le tradizioni affermano che l’insegnamento Dzogchen ha avuto origine da


Samantabhadra (Kun.tu.bzang.po), il Buddha primordiale che rappresenta lo stato del
dharmakàya. È rappresentato nudo, senza ornamenti e di colore blu, come simbolo della
purezza dell'essenza e della profondità del vuoto.Questi insegnamenti poi si propagarano
tra gli esseri umani attraverso due centri Spirituali l’Oddyanna con Garab Dorje
(Nyngmapa) e attraverso il regno,centro spirituale, di Olmo Lungring situato nell’Asia
Centrale con Sherab Miwoche

L'insegnamento Dzog-chen è conosciuto anche come lo ' yoga primordiale '. Yoga
nell'accezione del termine tibetano naljor (rnal.'byor)che significa possedere la condizione
autentica ': la conoscenza dello stato primordiale dell'individuo. Un altro nome usato per
designare lo Dzog-chen è: l'insegnamento dello stato della mente di Samantabhadra, cioè
dell'illuminazione primordiale.

Il metodo della via è conosciuto come autoliberazione perché è basato sulla conoscenza,
sulla comprensione. Ma non c'è un oggetto da conoscere, si tratta di fare esperienza di uno
stato al di là della mente: la contemplazione

Con Autoliberazione s ‘intende l’esperienza chiara e consapevole dello yoghi in grado di


separare la mente ordinaria dallo “stato di consapevolezza naturale dell'essere” nota anche
come rigpa o mente primordiale o chiara Luce

Anche l'aspetto di «trasformazione del Tantra» ha fondamentalmente lo stesso scopo, cioè


quello di manifestare la mente primordiale ma con modalità differenti .

Qual è ila caratteristica profonda e specifica degli insegnamenti dzogchen?

Secondo le tradizioni più recenti del buddismo tibetano, collettivamente chiamate scuole
"Sarma del veicolo del Mantra segreto", per rendere pienamente manifesta la chiara luce è
in primo luogo necessario che i concetti, siano imbrigliati con yoga quali quello dei venti o
energie vitali, il prànayoga, o quello del calore interno, il tummo. Sulla base di tali pratiche
yogiche, e nel processo di imbrigliamento e purificazione degli schemi di pensiero avventizi
della mente ordinaria, la mente innata e fondamentale della chiara luce (la "mente" in questo
senso), diventa pienamente evidente.E' chiaro quindi che il mantrayana La chiara Luce è

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inattiva ed inconoscibile quando le menti grossolane sottili sono in funzione. Non a caso
,infatti ,alla persona ordinaria , secondo il Tantra ,la chiara Luce si manifesti solo durante il
sonno o al momento della morte quando tutte le menti grossolane e sottili si dissolvono,
assieme alle energie a loro associate,.

Nella «via di autoliberazione» invece, lo «stato naturale della mente» viene manifestato
senza l'interruzione delle coscienze ordinarie.

Nello «stato naturale della mente», le emozioni sorgono e svaniscono senza cristallizzarsi ne
creare agitazione. La «dissoluzione» dei pensieri buoni o cattivi, come neve in acqua, nello
«stato naturale della mente» è «l'autoliberazione» dallo stato «artificioso dell'essere».

La base dello Dzogchen

La natura della mente detta anche Base primordiale. Questa (TIB. ye-gzhi) non è né una
cosa in sé né la sostanza reale della mente: è incomposta, senza caratteristiche, vuota e
insieme luminosa. La vacuità è la sua dimensione primordialmente pura (TIB. ka-dag), e la
luminosità (TIB. 'od-gsal) è contemporaneamente la sua facoltà cognitiva(rigpa) e la sua
capacità di manifestazione è spontaneamente presente (tib. Ihun-grub). Vacuità e chiara
luce sono qui indifferenziate come l'acqua e l'umidità.

La Base primordiale, Il bodhicitta primordiale, è quindi lo stato dell'individuo, che


dall'origine è privo di impedimenti, perfezionato e comprende tutte le manifestazioni
dell'energia. È la condizione al di là del dualismo e del tempo, pura e perfetta come
la natura dello specchio. Se la si ignora, però, non si manifesta ed è perciò
necessario eliminare gli ostacoli provvisori.

La natura della mente ha tre aspetti: un'essenza che è vacuità (tib. ngo-ba stong-pa), una
natura luminosa (tib. rang-bzhin gsal-ba) e una compassione incessante (tib. thugs-rje
ma-'gags-pa) che si esprime attraverso la varietà delle apparenze; i due ultimi aspetti
corrispondono alla luminosità e alla radianza dello Stato Naturale .

L'essenza è il vuoto, la vera condizione dell'individuo e dei fenomeni Questa è la base


di tutti gli esseri, che ne siano consapevoli oppure no, nell’illuminazione e nella
trasmigrazione. È detta pura dal principio (ka.dag), perché è come lo spazio privo di
impedimenti, base di tutte le manifestazioni dell'esistenza.

La natura è la chiarezza È detta autoperfezionata ' (lhun.grub), perché esiste


spontaneamente dall'origine, come il sole che splende nello spazio. La chiarezza è la

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qualità pura dei pensieri e di tutti i fenomeni percepiti, non contaminata dal giudizio
della mente.

. La chiarezza è la fase in cui la percezione è vivida e presente, ma la mente non è


entrata in azione. Essa è la manifestazione spontanea dello stato dell'individuo. Lo
stesso vale per i pensieri: se non li seguiamo e non ci lasciamo coinvolgere dal
giudizio, essi sono parte della chiarezza naturale.

La Base primordiale viene anche chiamata Rigpa. Più precisamente è la capacità dello
Stato naturale di essere consapevole di se stesso .E’ lo Stato che conosce se stesso .Non
è una mente non è un pensiero. Viene chiamata anche consapevolezza primordiale.

Nello Dzogchen .si dice che il Rigpa :non dipende dall'essere riconosciuto o meno o dal
fatto che si mediti o meno .Poichè sorge primordialmente(ye-shar), è chiamato
Consapevolezza Primordiale Questo significa che la Consapevolezza non dipende da
alcuna coscienza nè da alcuna sensazione mentale come la presenza (shes-bzhin) o
l'attenzione (dran-pa) attraverso i quali si può solo raggiungere un particolare Stato
Meditativo che non va confuso con il Rigpa.Il Rigpa è auto discernimento(rang-rig),ma
come più volte affermato da Lopon Rinpoche

"Conosce se stesso attraverso se stesso ma non dipende da alcuna coscienza,conoscenza


discorsiva ,esperienza non discorsiva forzata , etc”

Il Rigpa ha molte definizioni e sfugge in realtà ad una definizione rigorosa perché è


ciò che abbiamo chiamato la chiarezza dello Stato Primordiale

Longchenpa dichiara nel Theg-mchog mdzod:

“L'essenza [della Base], essendo primordialmente pura, è vuota, ma il rigpa sottile, la


luminosità stessa del fulgore originario, per quanto insostanziale è presente in modo
naturale senza difficoltà. La sua natura, essendo spontaneamente fondata, è presente
quale base dell'emergere di ogni manifestazione.”

Un aspetto abbastanza importante e pieno di implicazioni è che "presenza spontanea"


implica, in seno alla Base non ancora espressa, la presenza delle cinque saggezze, delle
cinque luci, dei cinque venti o energie vitali sottili e di tutte le qualità inimmaginabili.
Questo insieme di qualità racchiuse nella Base primordiale, simili a una lampada che fa
luce in fondo a un vaso, viene denominato "corpo del vaso giovanile".

Il terzo aspetto è L'energia è senza interruzione. La spiegazione dell'energia nello Dzog-


chen è un punto fondamentale per la comprensione della base. Qualsiasi dimensione, pura

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o impura, materiale o sottile, è una manifestazione o un aspetto dell'energia dello Stato
naturale

La Visione dello Dzogchen (tib. Ita-ba).

Il termine "Visione" non significa in questo contesto "opinione", "punto di vista" o "teoria
filosofica" elaborata dalla coscienza discorsiva. Nello Dzogchen, la Visione deriva da
un'esperienza diretta: è mostrata dal maestro al discepolo nel corso di una "presentazione
diretta di rigpa" (tib. rig-pa'i ngo-sprod) o trasmissione .

E’ bene capire che in realtà un essere umano non può istruire un altro essere umano su
come coltivare lo Stato Naturale.Non ci sono neppure istruzioni da impartire perchè in
realtà non c'è nulla da fare .

Ma cosa più importante è che se si tentasse di applicare delle istruzione durante la


meditazione allora non si permetterebbe alla mente di dimorare nello Stato naturale.Se si
tentasse di applicare qualche istruzione durante le meditazione si farebbe fare alla mente
qualcosa di diverso da quello che farebbe in maniera naturale.Se si tentasse di applicare
qualche istruzione durante le meditazione non si permetterebbe alla mente di aprirsi allo
stato così com'è.

Il Maestro attraverso l’introduzione fornisce delle benedizioni e dei consigli che possono
aiutare Il discepolo ad esperisce, anche fuggevolmente, il proprio stato naturale ma non
infonde nessuna conoscenza

La trasmissione nello Dzogchen a differenza a di quella tantrica non richiede


necessariamente una lunga cerimonia formale. Può avvenire attraverso una semplice
spiegazione , attraverso degli indovinelli , o mostrando degli oggetti simbolici al
discepolo. Esiste infine un’introduzione per praticanti avanzati che non richiede nessuna
trasmissione verbale o simbolica si chiama introduzione diretta

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