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Lezione 16.

03
L'inchiesta della congregazione ci proietta direttamente nel XVII secolo, secolo che non godette di
buona stampa, almeno fino alla sua riscoperta e riabilitazione nel XX secolo. Troppo a lungo
pesarono sul periodo barocco accuse di vacuità per cui la forma prevaleva sulla sostanza, che può
avere senso se si parla di letteratura manierista ma che non regge alla valutazione complessiva delle
altre attività del secolo. A livello europeo corrisponde a livelli alti sia dal punto di vista letterario
che artistico: Siglo de Oro per la Spagna con autori come Cervantes, Calderón de la Barca e Lope
de Vega così come per la Francia e la Gran Bretagna con Shakespeare. È evidente che questo
confronto ha pesato a lungo in modo negativo sulla realtà italiana che invece ospita personaggi
molto importanti come Caravaggio. Letteratura barocca sfocia nel manierismo ma è anche vero che
è anche il secolo di Galileo Galilei, scienziato e grande scrittore. Uno degli elementi interessanti di
questo secolo è che, intorno agli anni 40, cominciano a essere pubblicati gli antenati della nostra
stampa periodica: si tratta inizialmente di fogli che recavano, a volte senza titolo, indicazione di
titoli o gazzetta che contenevano principalmente informazioni pratiche (spesso locali ma talvolta
provenienti anche da altri stati). Questi avvisi diventeranno sempre più diffusi fino a trasformarsi
effettivamente in periodici, che cominceranno lentamente a specializzarsi (nell'informazione
scientifica, letteraria, etc.) ma dobbiamo ricordare che in questo momento vi era ancora una certa
circolarità del sapere, un periodico dichiaratamente letterario si occupava in realtà anche di
esperimenti scientifici piuttosto che di archeologia o altro. Nel Seicento lo spazio che, già nel
Quattrocento, si era aperto al Nuovo Mondo e continua ad espandersi (America Meridionale del
tutto nota come quasi l'America Settentrionale, prova ne sia il primo libro stampato nel Nord
America nel 1604, libro dei salmi). Tra 1642-44 l'olandese Abel Tasman dimostrò l'insularità
dell'Australia e scoprì la Nuova Zelanda e la Tasmania.
Dal nostro punto di vista il Seicento è da sempre indicato come il secolo dell'apertura delle
biblioteche: c'è un fiorire di aperture al pubblico di biblioteche. A livello europeo c'è una diatriba su
chi fosse stata la prima biblioteca aperta al pubblico. Gli studiosi italiani, in particolare il professore
Alberto Serrai (autore di un'imponente storia della bibliografia), sostengono che il primato spetti
all'Italia, alla Biblioteca Angelica a Roma nel 1604. Gli anglosassoni invece ribattono sostenendo
che secondo loro due anni prima (nel 1602) venisse aperta al pubblico la biblioteca bodleiana a
Oxford. Ciononostante resta il fatto che in Italia la priorità dell'apertura della biblioteca angelica,
tuttora attiva. Si tratta della biblioteca di un vescovo agostiniano (Angelo Rocca) che ebbe numerosi
contatti con il mondo della tipografia (come Aldo Manuzzi) e fu segretario della congregazione
dell'indice, uomo di grande cultura. Come vescovo radunò un'importante biblioteca che nel 1604
destinò al proprio convento agostiniano che provvide ad aprirla al pubblico. Come spesso succede
nelle biblioteche di antica fondazione, la sua denominazione deriva di solito dal cognome
dell'antico proprietario, in questo caso invece dal nome di battesimo.

Per il Seicento esiste un grande letterato italiano che però aveva compiuto approfonditi studi dell'età
barocca ed è forse lui che ne dà la descrizione più calzante come secolo “sudicio e sfarzoso” a
sottolineare questa contrapposizione tra un ceto di una nobiltà molto ricca, che basa la sua ricchezza
sullo sfruttamento dei grandi feudi senza alcuna, o quasi nessuna, attività imprenditoriale, e la
miseria molto diffusa e aggravata da eventi calamitosi, come la peste del 1630-31. Si tratta di
Alessandro Manzoni che, per la scrittura dei Promessi Sposi, ha condotto delle approfondite
ricerche storiche necessarie per poter rendere ai lettori del suo romanzo una perfetta ambientazione
storica. In particolare, ciò che a noi interessa è che nel romanzo è contenuta (in maniera ampia o
ridotta) la descrizione di 3 biblioteche, diverse tra loro ma che rappresentano un po' le 3 tipologie di
biblioteca che si potevano avere, che sono sostanzialmente:
• la biblioteca professionale, che è la prima che ci viene descritta. Si tratta della biblioteca
dell'avvocato Azzeccagarbugli (capitolo 3) cui Renzo si rivolge per avere un parere.
Descrizione sintetica: grande stanza di cui una parete è occupata interamente di libri definiti
“vecchi”, mentre all'opposto troviamo una serie di ritratti di imperatori che simboleggiano il
principio di autorità ma, soprattutto, vi è il tavolo ricoperto da un cumulo di tipici prodotti
seicenteschi a stampa (allegazioni giuridiche e quant'altro);
• la seconda tipologia invece è quella della biblioteca di un nobiluomo anche se, in realtà, è
la terza nell'ordine del romanzo (capitolo 27) e si tratta della biblioteca di Don Ferrante. Lo
spirito del brano è ironico, è una presa in giro che fa alla persona, quindi a un nobile e alla
loro cultura fatta di luoghi comuni, argomenti spesso di alcuna importanza di cui si
ritengono esperti quando, in realtà, il possesso dei libri cerca di nascondere la poca scienza
del proprietario. Già dall'inizio notiamo l'antitesi tra “raccolta considerabile” e il numero
effettivo di libri posseduti (300). Biblioteca selecta, dove si conservano solo delle opere
scelte, ironia perché proprietario si ritiene esperto delle materie di cui possiede i libri. Qui
Manzoni accenna al fenomeno culturale e letterario della contrapposizione di chi sosteneva
la superiorità del pensiero antico rispetto al pensiero moderno. Qui è evidente che Don
Ferrante è fautore della superiorità degli antichi ma smussato da un'apertura verso gli autori
moderni. Successivamente parla anche dell'astrologia che, ricordiamo, non era soltanto
quella che si occupava di predizioni ma era una scienza a tutti gli effetti studiata
regolarmente e che aveva impieghi anche nella giurisprudenza (astrologia giuridica). Ironia
di nuovo presente perché dice che Don Ferrante era un uomo che si accontentava di sapere
quello che lui riteneva fosse sufficiente, passando poi a descrivere la biblioteca filosofica. In
questo brano si dimostra la profonda conoscenza che l'autore aveva del secolo in cui è
ambientato il romanzo poiché fa riferimento a opere e scrittori effettivamente disponibili
all'epoca, questo perché fa riferimento ad un settore librario che ebbe una buona diffusione
editoriale, ovvero quello “della magia e della stregoneria”. In realtà tutti questi trattati
avevano un carattere repressivo e presentavano istruzioni per riconoscere la stregoneria,
combatterla e poterla debellare. Menzione a Martino del Rio, uno degli autori più importanti
di questo settore. Don Ferrante vede questi libri come dei manuali per difendersi nella vita
comune. Segue quindi la descrizione della parte della biblioteca dedicata ai libri di politica,
dove sono accennati da Manzoni alcuni autori presenti nella collezione del nobile. Spirito
ironico di Manzoni continua per tutto il ritratto, non è però un caso che la realtà sulla quale
si appunta Manzoni è il settore culturale in cui dice che il nobile era più preparato, quello
della scienza cavalleresca, tanto che veniva chiamato a risolvere alcuni dei casi più
controversi. Peccato che tutti gli autori cita (tra cui l'ultimo, Francesco Birago, con cui ha
idealmente a che fare) siano oggi sconosciuti alla maggior parte di noi. Conclude la
descrizione della biblioteca dicendo che tutti questi libri non sono in realtà sufficienti per
formulare un giudizio sulla fortuna editoriale di un autore. Da questo Manzoni passa poi alle
lettere amene, settore della biblioteca dedicato alla letteratura per poi chiudere rivolgendosi
direttamente al lettore sostenendo che ormai il lettore si sia annoiato di leggere questa
descrizione. È importante recepire l'ironia di Manzoni verso questa cultura nobiliare
fondamentalmente vacua, basata sul recepimento delle autorità e concentrata su aspetti della
vita minuti e poco interessante ma che dà effettivamente in maniera molto precisa non solo
la consistenza che poteva avere una biblioteca nobiliare seicentesca ma anche quelli che
erano effettivamente i libri che si potevano trovare in una biblioteca come questa.
Fortunatamente il Seicento è un secolo la cui documentazione archivistica è piuttosto
abbondante, così come il fatto che si tratti di una biblioteca nobiliare, basandosi
probabilmente su inventari, post-mortem o donativi fatti in vita di nobili milanesi, da cui
aveva desunto queste informazioni, non disgiunto da una profonda conoscenza di quella che
era la bibliografia del Cinque-Seicento. Descrizione interessante che ci dà informazione, al
di là della presa in giro, di quello che poteva essere effettivamente un modello di biblioteca
diffuso nelle classi nobiliari (almeno milanesi);
• infine abbiamo la biblioteca pubblica, che Manzoni descrive nel capitolo 22. Lunga
descrizione delle abitudini parsimoniose dell'arcivescovo di Milano Federigo Borromeo fatta
per dimostrare come lui fosse un uomo parsimonioso, soprattutto nelle spese relative alla sua
persona e a favore dei poveri. Manzoni vuole dimostrare proprio attraverso la biblioteca che
quell'ipotetica accusa di avarizia e grettezza che poteva farsi a una vita così morigerata e
parsimoniosa fosse in realtà clamorosamente smentita proprio dalla biblioteca. Importante
perché poi segue la descrizione della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Invio di emissari che
girassero per le varie regioni dell'Asia e dell'Europa ha precedente da Riccardo di Bury, che
si serviva degli ordini mendicanti. Grande numero di libri e manoscritti, elemento che fa
risaltare ancora di più l'ironia della descrizione della biblioteca di don Ferrante. È evidente
che la biblioteca è il cuore pulsante di questa impresa borromiana e fa riflettere sul fatto che
il modello borromiano ricorda e si riconnette in qualche modo ai modelli anglosassoni: la
biblioteca ha intorno a sé un collegio dove ci sono professori che insegnano (specificando
anche le discipline) con l'obbligo modernissimo di pubblicare gli esiti delle ricerche
compiute. Estremamente importante è anche il fatto che sia nota una volontà, forse implicita,
nel disegno di Federico Borromeo. Il fatto che sia una stamperia orientale (non ve ne erano
molte? in Italia) in questo momento ha lo scopo di produrre testi fondamentalmente per
l'evangelizzazione. Il progetto è però molto più completo e aggiunge una galleria di quadri,
una di statue e una delle 3 principali scuole di disegno. (fondazione della pinacoteca
ambrosiana). Progetto culturale borromiano è completo e non c'è elemento che non venga
considerato. Difficoltà di Borromeo non è tanto quella di recuperare dapprima i libri per la
biblioteca, poi i caratteri per la stamperia ma piuttosto quella di trovare uomini che fossero
all'altezza del compito che veniva loro affidato e in questo Manzoni elogia il fatto che, nello
scegliere queste persone, non si fidasse di quella che era la comune reputazione corrente,
non legata alla vera qualità dell'uomo, tant'è vero che la storia ha messo tutti questi
personaggi in dimenticanza.
Regole che vengono stabilite per l'uso della biblioteca vengono elogiate soprattutto
sottolineando come quello che era il regolamento fosse diverso dal costume tipico delle
biblioteche presenti già da prima, non improntate però allo stesso spirito del regolamento
della biblioteca ambrosiana. Borromeo ha deciso che la biblioteca non poteva che essere
gestita da un professionista, il bibliotecario. Passo estremamente interessante perché
descrive un'abitudine che i bibliotecari e, in genere, gli uomini di cultura e amanti dei libri
osservavano (che divenne pratica diffusa nel settecento), cioè il problema che non basta aver
formato la grande collezione (prima operazione di impianto della biblioteca aveva 30.000
volumi stampati e 14.000 manoscritti) ma una biblioteca che è un organismo che deve
crescere continuamente, pena l'inefficacia della sua azione, e, per far crescere la biblioteca,
il bibliotecario deve avere notizia di tutto quello che viene pubblicato ma non solo perché
qualità del messaggio deve essere valutata attentamente. L'unica possibilità in questo caso è
una fitta corrispondenza con gli uomini ritenuti più dotti d'Europa con i quali instaurare una
corrispondenza scambiandosi informazioni sulle novità editoriali del proprio corrispettivo
paese. Questo configura un fenomeno molto noto che viene etichettato come la cosiddetta
“repubblica delle lettere” (o dei letterati). Una volta ricevuta la notitia librorum il
bibliotecario doveva farne acquisto (servizio di informazione bibliografica). Ordinò che a
tutti (locali, milanesi, forestieri) la possibilità di utilizzare la biblioteca secondo le necessità
dell'utente. Si tratta di una biblioteca costruita -quasi- interamente a spese del cardinale
Borromeo, impegno anche economico che Manzoni ipoteticamente confuta all'accusa di
grettezza e avarizia del cardinale. Manzoni conosceva molto bene la realtà delle biblioteche
del tempo e sa che in molte biblioteche presenti in Italia continua ad essere presente un
modello in cui i libri sono chiusi a chiave negli armadi e si accenna anche al fatto che si sta
modificando il progetto architettonico della biblioteca, passando lentamente dal modello
basilicale al vaso librario (unico ambiente molto grande con soffitti alti il cui perimetro è
completamente rivestito da scaffalature, da terra fino al soffitto o al di sotto delle grandi
finestre che dovevano illuminare la biblioteca, dove i libri erano collocati a vista sugli
scaffali, spesso chiusi da griglie che comunque non impedivano all'osservatore di osservare i
libri conservati; un esempio è la biblioteca marucelliana di Firenze, anche se settecentesca).
Manzoni sottolinea come la Ambrosania avesse un vaso librario, ovvero una collocazione
dei libri che consentisse al visitatore di vederli e, soprattutto, sottolinea che mentre
all'Ambrosiana vedere il libro è un diritto dell'utente (obbligo del bibliotecario) per la
maggior parte delle biblioteche italiane, secondo l'autore, far vedere i libri all'utente
dipendeva esclusivamente dalla gentilezza dei bibliotecari. Differenza sostanziale: da un lato
l'arbitrarietà del bibliotecario/conservatore che pretende di avere il diritto di decidere se far
vedere i libri a un utente piuttosto che a un altro e dall'altro l'obbligo del bibliotecario di dare
con comodità consultazione del libro (sarebbe inutile mantenere una biblioteca che non offre
questo servizio). Manzoni chiude la sua digressione sulla biblioteca con una domanda che a
noi oggi non appare così oziosa, ovvero quella sugli effetti della creazione di una biblioteca,
quello che preme all'autore è far risaltare questo impegno dell'arcivescovo di Milano non
solo nei confronti dei suoi cittadini ma a chiunque entrasse, operazione evidentemente
criticata e osteggiata dai contemporanei a causa dell'ignoranza, inerzia e antipatia generale
verso le iniziative culturali. Manzoni utilizza la descrizione della biblioteca, seppur sintetica
ma molto fedele, per mettere in luce la magnanimità e la preoccupazione per il bene
pubblico. Concetto utilità pubblica sarà poi ben espresso nel secolo successivo. La biblioteca
Ambrosiana venne aperta al pubblico qualche anno dopo l'apertura dell'Angelica (5 anni
dopo, nel 1609) ed è tutt'ora aperta.
È evidente anche qui un tratto interessante della personalità e dell'idea borromiana di
progetto bibliotecario dove tutto viene connotato non con il nome dell'ideatore ma con il
nome/aggettivo della città cui questa realizzazione fa riferimento (Sant'Ambrogio è santo
patrono di Milano) quindi questa scelta pone tutta l'iniziativa nel solco della tradizione
vescovile milanese e gli consente di dare un'indicazione che tutto questo sforzo è a favore
della pubblica utilità della città.

Lezioni 17.03 e 18.03


Il Seicento vede anche la pubblicazione del primo e vero manuale di biblioteconomia moderna,
scritto dal francese Gabriel Naudé. Nato a Parigi nel 1600, Naudé aveva studiato medicina (a
Parigi e poi a Padova), studi grazie ai quali divenne medico del re di Francia Luigi XIII ma, fin dal
1629 visse soprattutto facendo il bibliotecario, forse il primo caso (uno dei pochi) di persone di
antico regime che vivono esclusivamente della loro professione di bibliotecario. Svolse la propria
funzione dapprima nei confronti di cardinali italiani, tra cui Francesco Barberini, per poi essere
assunto dal famoso cardinale Richelieu. Alla morte di quest'ultimo Naudé accettò di continuare a
svolgere la sua professione per conto del successore, ovvero il cardinale Giulio Mazzarino, per il
quale deve allestire una biblioteca. Al fine di procacciare i libri per questa nuova biblioteca (la
Biblioteca Mazzarina)viaggia per tutta Europa, mettendo insieme circa 40.000 libri.
Ad un certo punto Mazzarino, a causa del movimento della Fronda, cade in disgrazia e la sua
biblioteca venne venduta. A questo punto Naudé viene invitato a Stoccolma, dove era salita al trono
la regina Cristina di Svezia celebre perché, pur essendo regina di un regno protestante, ad un certo
punto della sua vita si converte al cristianesimo, abdica per poi trasferirsi a Roma (dove fu tra le
donne più in vista per la protezione delle arti e delle scienze) ma nel mentre le vicende
mazzariniane volgono al bello e quindi, allo scopo di tentare di recuperare i libri che aveva radunato
per il cardinale torna a Parigi ma muore nel 1653 prima di arrivare.
Per inquadrare l'opera di Naudé bisogna ricordare che, da un punto di vista intellettuale, egli
appartiene a una corrente filosofica allora molto diffusa in Francia chiamata libértinage
(libertinismo), atteggiamento filosofico che rifiuta il dogma e la verità rivelata a favore di uno
scetticismo assunto a modo di acquisire la verità, che può essere raggiunta dal singolo individuo
operando una scelta tra le varie opzioni proposte. Molto importante perché ritroviamo questa
concezione nella sua opera. L'opera di Naudé, intitolata Avis pour dresser une bibliothèque
(istruzioni per allestire una biblioteca) e pubblicata a Parigi nel 1627 (ristampa nel 1644). Il testo
venne tradotto in inglese e latino ma mai in italiano, salvo in età contemporanea. Fu il primo
scrittore a utilizzare il termine “bibliograifa” in una sua opera, usato per indicare una lista di libri.
Non c'è ancora la pienezza della concezione della bibliografia come scienza ma sicuramente, da
questo momento in poi, la frattura semantica tra i termini “biblioteca” e “bibliografia” si fa
evidente. Punto di svolta della biblioteconomia moderna.
Tutto il trattato è composto in forma di lettera indirizzata al presidente de Mesmes (indicato nel
frontespizio) ed è diviso in 9 capitoli:

1. ci si deve interessare all'allestimento delle biblioteche e per quale motivo


In questo capitolo, dove Naudé motiva e giustifica la redazione del testo, cita a de
Mesmes i suoi precedenti illustri, ovvero i raccoglitori di biblioteche e ritroviamo
personaggi come Richard di Bury, Bessarione, Bodley e Vincenzo Pinelli, grande
collezionista italiano di libri vissuto a Padova che aveva messo insieme una delle
biblioteche più importanti del suo tempo ammirata in tutta Europa che alla sua morte fu
opportunamente acquisita dal cardinal Borromeo per la sua biblioteca ambrosiana.
Dedicatario viene spronato a acquisire fama nel modno e nel tempo attraverso la
costruzione di una biblioteca.

2. il modo per informarsi e venire a sapere come si deve allestire una biblioteca
riferimenti ai manuali precedenti. Discorso farcito di riferimenti classici e
contemporanei per anticipare il motivo per cui si mette insieme una biblioteca. Siamo
sulla scia di quella tradizione iniziata da Gessner (e anche prima di lui) di una
bibliografia, quindi di una biblioteca, che abbia carattere di universalità;

3. la quantità dei libri che occorre mettervi (in biblioteca)

4. di che qualità e condizioni devono essere (i libri)


Capitolo più consistente e poderoso. anche qui discende quel carattere di universalità che
si vuole conferire alla biblioteca. Quali libri devono essere conservati affinché la
biblioteca possa essere considerata universale e possa destare l'ammirazione in chi la
utilizzerà. Naudé stabilisce alcune regole:
▪ biblioteca che va costruita siano presenti i principali autori sia antichi che moderni.
Affermazione importante: sì interpretazioni e commenti dei testi ma non devono
mancare i testi meno comuni e forse più trascurati che possono comunque consentire
di avere una visione del testo meno scontata e ovvia;
▪ (opera si riallaccia allo spirito gessneriano) ampliamento lingue della biblioteca, non
solo latino, greco ed ebraico ma anche le altre lingue nazionali (francese e italiano).
Propone inoltre che i testi degli autori siano presenti innanzitutto nella loro lingua
originale ma anche le traduzioni più importanti;
▪ raccogliere gli autori migliori che hanno saputo trattare di determinate
scienze/argomenti;
▪ migliori commenti o spiegazioni agli autori, precisa che va applicata per tutte le
opere, sia antiche sia moderne. Insistenza perché è il periodo in cui la disputa tra
antichi e moderni ha più piede ed è più diffusa;
▪ qui emerge l'atteggiamento filosofico di Naudé (verità dogmatica) perché dice che
bisogna mettere in biblioteca anche chi ha scritto su posizioni avverse e contrarie
(autori che si sono opposti a qualche teoria o opera) senza però cambiarne o
innovarne i principi perché solo con una dialettica continua tra proposizione e contro
proposizione si può avere una propria e personale idea di verità;
▪ altro punto importante perché afferma che non vanno omessi gli autori e le opere che
hanno cambiato e innovato qualcosa (nelle scienze) perché, altrimenti, ciò
significherebbe una nostra sottomissione alla non considerazione che l'opinione
diffusa rivolge solitamente contro coloro che si sono opposti a qualcosa di
precedente. Per opporsi, modificare e innovare ciò che viene messo in crisi dalla
nuova opera è stato studiato attentamente e, quindi, conosciuto;
▪ scelta di inserire le opere degli autori che per primi si sono interessati a un
determinato aspetto (scienza, arte, cultura, etc) perché loro sono gli inventori e quelli
che hanno scritto dopo possono essere semplicemente degli imitatori (che non hanno
aggiunto niente di nuovo)
▪ bisogna valutare se testi sono banali o poco comuni, interessanti, ecc. Citazione versi
di Marziale per indicare la tendenza umana a preferire le cose nuove, interessanti, le
primizie e le cose non comuni (come non sono comuni le rose d'inverno).
Importanza e attenzione a ciò che è nuovo;
▪ il bibliotecario deve mettere a disposizione e non trascurare le opere dei principali
eretici e fautori di religioni nuove e differenti, di coloro che predicavano una nuova
religione (anche se subito dopo afferma che la loro è la più giusta e la più vera per
mitigare un po' la sua affermazione). Ciò spiega perché l'opera non venne tradotta in
italiano. (Francia periodo di scontri religiosi con ugonotti) Ricordiamo Francia ha
sempre avuto uno statuto di cattolicesimo piuttosto “indipendente” rispetto alla Santa
Sede, si parla infatti di chiesa gallicana per indicare le peculiarità di questa
indipendenza della chiesa francese (cardinali francesi scelti da re anche se nominati
dal papa). Minore insistenza dell'Inquisizione consentì a Naudé di pubblicare
un'affermazione così grave. Cita ad esempio autori come Lutero e Melantone che
sono i principali rappresentanti della cultura e religione protestante ma non solo;
▪ raccolta completa di queste opere, mette salmo degli ebrei insieme a libri concili e
grandi opere padri della chiesa. Contrasto di nuovo evidente a livello religioso;
▪ accento posto sulla qualità dell'autore e delle sue opere e si raccomanda la scelta
personaggi fuori dal comune più importanti e veri maestri di conoscenza, e, data la
loro qualità, si deve conservare anche il più piccolo frammento delle sue parole
(anche quelle occasionali, in forma non organica);
▪ dizionari, miscellanee, etc.
sorta di captatio benevolentiae, per completare l'insieme di istruzioni ne aggiunge altre due
o tre, che potrebbero essere considerate stravaganti o suscitare opposizione (ma queste
persone giudicano sulla base del disprezzo che provano per le cose antiche).
• mettere insieme tutti gli autori più recenti insieme a quelli più antichi (qui lo
esplicita);
• accusa a luoghi comuni della sua epoca, condanna atteggiamento di chi giudica la
qualità di un'opera in base alla grandezza dei suoi volumi, portando a trascurare
quelle opere che non hanno una gran mole di pagine ma che contengono concetti e
teorie molto più soddisfacenti che non tutte quelle pagine contenute in tutti quei
volumi “rozzi e pesanti”. Raccolta di queste opere può però creare problemi perché
la loro esiguità e piccolezza può portare alla loro perdita e dispersione (riferimento a
una pratica che vige fino a quasi i nostri tempi). Parla delle cosiddette “miscellanee
fattizie”, riunire all'interno di un'unica legature quelle piccole pubblicazione
mettendole insieme a altre piccole pubblicazioni che trattano ad esempio dello stesso
argomento o unendole per autore (pratica che continua anche dopo Naudé e che era
già diffusa ai tempi del libro manoscritto). In realtà esiste una terza modalità che
consisteva nel riunire questi scritti (opuscoli) in base al formato, cosa che ha
comportato alcuni guasti perché pur essendo dello stesso formato le dimensioni
fisiche del libro potevano variare, costringendo entro una gabbia e gli opuscoli entro
una certa dimensione. Spesso queste miscellanee fattizie rispondono al criterio della
dimensione dell'opuscolo, necessità di avere una sorta di standardizzazione delle
dimensioni (in modo da sfruttare al massimo lo spazio disponibile);
• riemerge la raccomandazione di non fermarsi di fronte a quello che afferma la moda,
gli antichi spesso erano stati letti e osannati a loro tempo per poi essere dimenticati.
Non bisogna perdere informazioni;
• tema piuttosto importante per la biblioteca è quello della compresenza al suo interno
delle due fattispecie librarie: libro manoscritto e il libro a stampa. Libro manoscritto
continuava a essere prodotto e, soprattutto nel Seicento, vi è una grande produzione
di libri manoscritti da parte di autori che non possono pubblicare le loro opere a
stampa. Naudé afferma che l'essenza di una biblioteca è avere un gran numero di
manoscritti perché diventano rari e oggetto di ricerca, anche nel commercio librario e
nell'antiquariato. Affermazione conclusiva mette in luce due punti in particolare: uno
è che il dedicatario dell'opera aveva seguito in qualche modo le orme degli altri
collezionisti (accenna a commissione ricerca libri manoscritti a Costantinopoli) e che
vanno preferiti gli autori che hanno una tradizione esclusivamente manoscritta non
prendere in considerazione copie di libri già stampati, esiste un fenomeno (difficile
da definire con precisione) dei libri stampati di cui si trovano delle copie manoscritte
che, secondo Naudé, non devono essere considerati dal bibliotecario in quanto copie
a meno che la copia non sia stata fatta da un personaggio importante, illustre con
eventuali sue considerazioni a margine (si valuta caso per caso). La compresenza
all'interno delle raccolte librarie di libri manoscritti e a stampa porterà con il tempo
alla nascita di sezioni della biblioteca destinate allo studio e alla distribuzione del
materiale etichettato come “libro scritto antico raro e di pregio”. Abbastanza presto la
teoria biblioteconomica individua il manuale scritto come prodotto da gestire e
maneggiare a parte, cosa che vale ancora oggi.

5. con quali mezzi si possono procurare


Serie di suggerimenti di regole e precetti con i quali bisogna che il bibliotecario raduni i libri
nella biblioteca.
• Raccomandazione della cura con la quale conservare i libri per evitare che questi
possano danneggiarsi. Bisogna tenere in buone condizioni i manoscritti che via via si
acquisiscono;
• attenzione sul materiale librario in alcuni casi effimero, occasionale, che in genere si
tende a eliminare o a non conservare (come i manifesti, le bozze di stampa o le tesi
di laurea non in stampa). Raccomanda di conservare questo tipo di prodotti magari
riunendoli insieme;
• Richard of Bury diventa modello di riferimento, il suo modello viene ripreso e fatto
proprio da Naudé che cita un passo del Philobiblion dove invita chi ha intenzione di
realizzare una biblioteca di dire ad amici e conoscenti con la passione per i libri di
modo che qualcuno possa fargli un donativo con libri o altri mezzi;
• principio sana economia. riduzione spesa superflua nella legatura e decorazione dei
libri per riservarla all'acquisto di nuovi libri. Inutile spendere tanto per una legatura
sfarzosa che non dice niente;
• diviso a sua volta in 4 o 5 articoli. una delle modalità rapide, veloci e sicure per
dotare velocemente una biblioteca con una buona dotazione libraria è l'acquisto di
una biblioteca raccolta da altri (come nel caso di Vincenzo Pinelli, la cui collezione
fu acquistata dal cardinal Borromeo). Citazione a Marziale, riferimento indiretto a
episodio umanistico in cui un umanista rinviene sul banco di un mercato un
frammento di manoscritto classico i cui fogli venivano utilizzati per fasciare la
merce. Raccomanda di visitare periodicamente le botteghe dei librai, anche di quelli
che vendono libri usati, che in antico regime si trovavano sia a fogli/fascicoli sciolti
(così come arrivavano dal libraio) o già rilegati, procedura importante perché spesso
si trovano testi che persone normali non acquisterebbero ma che possono rispondere
a quei precetti che Naudé aveva indicato nel capitolo precedente e che contraddicono
l'opinione comune. Raccomandazione al bibliotecario che questi abbiano qualità e
merito. Sarebbe opportuno scegliere e incaricare alcuni commercianti esperti e
pratici del mestiere per fare ricerche e indagini diligenti di ciò che gli veniva
richiesto sulla base dei cataloghi (come fece il cardinale Borromeo). La procedura
cambia però per i libri antichi, poiché il mezzo più sicuro per reperirne molti e a
buon prezzo è cercarli indifferentemente presso tutti i librai. Etichetta “libro antico”
individua da un lato una categoria commerciale e dall'altra l'attenzione al prodotto
come diverso e particolare. Da qui in poi segnerà lo sviluppo della ricerca del libro
antico. È evidente che la categoria relativa ai manuali scritti antichi esisteva ma
anche sul libro a stampa, già dalla fine del Cinquecento in Olanda, si era sviluppata
una procedura di vendita del libro segnatamente antico ma non solo, che avrà poi
voga consistente nei secoli successivi ed è tuttora una modalità di dispersione dei
libri e di intere biblioteche, ovvero quella della vendita all'asta che riguarda, nella
maggior parte dei casi, la categoria dei libri antichi a cui si aggiungerà l'etichetta
“raro e di pregio” (culmine dell'attività di collezionismo nel settecento). Importante è
anche la modalità di acquisizione dei libri antichi indicata da Naudé, per la quale
sostiene che non è necessario mandare in giri emissari o avere corrispondenza con i
dotti del proprio tempo ma è necessario cercarlo nelle botteghe dei librai (giudizio
personale). Libraio è ancora un'attività di vendita “indistinta” nel senso che il libraio,
come nei secoli precedenti, vende indifferentemente libri nuovi e usati, ancora non vi
era una specializzazione (nascita figura del libraio antiquario);
• parenti e eredi di molti uomini eruditi defunti, che possono avere libri di cui si
vogliono disfare (solitamente non molto sensibili a questo tipo di materiale,
sarebbero i primi ad alienarlo ancora prima che il bibliotecario possa arrivare). Passo
importante non tanto per l'indicazione ma per l'affermazione che fa subito dopo,
ovvero che bisogna cercare di capire se un erudito o una figura di rilievo nel
panorama culturale ha lasciato opere manoscritte, cosa che avviene per varie ragioni
analizzate da Naudé: opera non compiuta perché morti prima ancora di poterla
terminare o di darla alle stampe (dato cronologico frequente), oppure a causa dei
costi a volte molto notevoli, sappiamo che, per tutto l'antico regime (fino ad almeno
il settecento), il metodo più frequente era l'autopubblicazione (autore sostiene da sé
le spese economiche della pubblicazione). Oltre a questi 2 fattori Naudé fa cenno a
una situazione tipica dell'antico regime, ovvero la preoccupazione per le diverse
censure e giudizi (fa ricordare che, soprattutto dopo Concilio di Trento la censura è
molto stringente). Tema libertà dei discorsi, in Francia non completa anche se poteva
pubblicare opere con affermazioni non ortodosse e non conformi al pensiero della
Chiesa. È evidente che la situazione dei paesi cattolici è ben presente ma non bisogna
dimenticare che la censura non è un'invenzione dei paesi cattolici ma esiste anche nei
paesi riformati. Seicento non era periodo di grande libertà di parola;
• riferimento a un ambito culturale ormai importante: mondo universitario.
Suggerimento di prendere visione di tutti quelli che sono i corsi che i vari professori
tengono sia nelle università pubbliche che in quelle private in modo da potersi
recuperare i testi delle lezioni. Raramente i testi delle lezioni universitarie sono
mandati a stampa, più spesso vengono manoscritti. Riferimento a una copia delle
lezioni esemplata a mano. bisogna ricordare che questa considerazione circa la
realizzazione delle lezioni universitarie in alcuni casi continua fino a secoli a noi
vicini (esempio di uno dei grandi linguisti che hanno segnato il Novecento è
Ferdinand de Saussure, di cui conserviamo le lezioni tenute all'università grazie agli
appunti dei suoi studenti);
• dopo aver fato riferimento al celebre Vincenzo Pinelli, raccomanda al bibliotecario di
visitare spesso le botteghe di chi acquista vecchie pergamene. Citazione a Poggio
Bracciolini (lettera a Guarino Veronese), testo di Naudé da correggere perché il testo
di Quintiliano non fu rinvenuto sul banco di un salumiere ma nelle raccolte della
biblioteca dell'abbazia di San Gallo. È comunque sicuro che il ritrovamento di
Poggio diventa paradigmatico e emblematico di tutta la frenesia dell'umanesimo per
la ricerca di codici antichi.
L'autore chiude il capitolo ricordando che quella di andare girovagando per le botteghe dei
mercati è un'attività facoltativa (a discrezione del bibliotecario.

6. caratteristiche del luogo in cui vanno conservati (architettura della biblioteca)


Avendo completato tutte le regole e suggerimenti per formare la collezione, in questo
capitolo viene posto il problema della collocazione della biblioteca. Situata in una zona
lontana dal rumore e dal fracasso, quindi dalle strade ma anche dalle cucine, dal soggiorno,
dalle cloache e da sale analoghe e metterla se possibile vicino ad un cortile o un giardino.
Serie di raccomandazioni che derivano non solo da una sua riflessione personale (e
esperienza) ma anche da predenti: già Paolo Cortesi nel suo De Cardinalatu del 1510 aveva
dato delle prescrizioni circa le collocazioni nel palazzo cardinalizio della biblioteca.
tradizione ininterrotta che passa anche per i trattati di architettura. Ambito della biblioteca
privata, all'interno di una casa (palazzo di una certa grandezza). Biblioteca deve essere
messa al sicuro da eventuali danni. Per concludere sostiene che sia opportuno collocarla al
piano di mezzo/ mezzarie (per evitare la muffa data dall'umidità), in genere nel palazzo
nobile gli ammezzati riservati ai servizi e alla servitù. Nei secoli successivi la collocazione
sarà diversa. Se ciò non fosse possibile sarebbe opportuno rialzare il piano di qualche
gradino (4 o 5) rispetto al livello della strada, come nella biblioteca Ambrosiana. Questo
perché le strade erano all'epoca serrate e polverose, era facile trasportare polvere e sporco
all'interno della biblioteca.
Se individuare lo spazio nel quale costruire una biblioteca può costituire un problema,
problema ancora più importante è l'illuminazione dell'esposizione della biblioteca. Deve
essere ben illuminata e deve essere posizionata tenendo conto dell'orientamento geografica.
Fa 2 osservazioni:
◦ le finestre non devono essere diametralmente opposte (a meno che non illuminino dei
tavoli);
◦ aperture principali devono sempre essere orientate verso oriente (per la luce di prima
mattina e la natura dei venti che rendono l'aria molto temperata), orientamento ha una
ragione pratica. Riferimento alle teorie del tempo secondo le quali i venti hanno poteri di
influsso sulla psiche umana e, a tal proposito, i venti orientali favoriscono in qualche
modo gli umori migliori e una migliore permanenza in biblioteca perché più caldi e
temperati.

7. l'ordine che conviene dare loro (collocazione e gestione dei libri)


Problema della collocazione dei libri viene affrontato da tutti i trattati di biblioteconomia.
Anche qui ampia premessa, poi accenno alle proposte di altri autori circa la collocazione dei
libri nelle biblioteche, teorie di collocazioni che dipendono anche da un sistema di
classificazione delle opere e dei volumi (bisogna stabilire un ordine). Per la collocazione
suggerisce una collocazione che si basa sulle varie facoltà universitarie. Ogni facoltà deve
essere suddivisa, facendo l'esempio della teologia (si parte dalle bibbie, collocate in base alle
lingue nelle quali sono state pubblicate per prima, poi seguono tutte le altre tipologie di
testi). Collocazione che dipende da classificazione delle opere che vengono collocate
presenta due inconvenienti principali:
• di ordine teorico, non è sempre così facile individuare la classe alla quale appartiene
un testo che tratta di più argomenti. A questa obiezione Naudé risponde affermando
che non esistono libri che non possono essere ridotte a una categoria;
• la sequenza è preordinata (prima le bibbie, concili, decreti e canoni, etc) e nel
momento in cui arriva un gruppo di bibbie da collocare bisogna spostare i vari
palchetti per inserirle in un ordine già fatto. A questa risponde invece che è vero che
si potrebbe risparmiare un po' di fatica lasciando degli spazi liberi ma è anche
opportuno riservare uno spazio a tutti i libri acquistati di recente (negli ultimi 6 mesi)
per distribuirli poi ciascuno al suo posto. È esperienza comune anche nelle
biblioteche contemporanee che quando la collocazione si basa su una classificazione
(sequenza alfanumerica molto rigida). Si rende conto che questa sua scelta è soggetta
a critiche del suo tempo però è quello in uso (citazione modello di riferimento della
biblioteca ambrosiana).
Successivamente passa al libro manoscritto, anche qui considerata fattispecie libraria a sé.
Naudé qui ci dice che questi vanno collocati in una parte della biblioteca non essendoci
nessuna giustificazione per separarli da questa dal momento che costituiscono la parte più
interessante e apprezzata. Questo ripercuote anche la compilazione dei cataloghi delle
biblioteche, al momento di due tipologie diverse:
• cataloghi manoscritti più diffusi e in uso perché si usano registri a volume,
tendenzialmente alfabetici e che presentano delle difficoltà in quanto la biblioteca è
un organismo che cresce e l'organizzazione della raccolta comporta che, per esempio,
ad un certo punto non ci sia più spazio sufficiente all'interno del registro per
aggiungere novità. In questo caso vengono impiegati una serie di soluzioni per
inserire le novità, come appendici, addenda, scritte in corpo più minuto per sfruttare
le interlinee, anche se, più spesso, di preferisce fare volumi di aggiornamento;
• o a stampa, dove troviamo ancora più difficoltà perché è fisso e non si possono fare
aggiunte. Anche qui si possono aggiungere addenda e corrigenda oppure si prende
l'esemplare di servizio del catalogo e si va ad aggiungere nell'interlinea le novità
librarie.
L'informazione più importante, oltre al nome dell'autore e del libro è dov'è collocato.

8. l'ornamento e la decorazione opportune (ci ricolleghiamo idealmente alle parole di


Alberti nel dell'architettura aveva dedicato all'ornamento e alla decorazione delle
biblioteche, “il miglior ornamento di una biblioteca sono i libri”)
Preoccupazione di Naudé è che non c'è affatto bisogno di spese straordinarie per le legature,
elemento che prenderà piede soprattutto nelle biblioteche private nel momento in cui, nel
secolo successivo, si sviluppò il fenomeno del collezionismo (collezionista è disposto a
spendere oltre alla spesa del libro anche per la legatura o rilegatura, cosa che succede quasi
sempre, gusto bibliofilico non può presentarsi con una veste logora, non deve mostrare
tracce del tempo trascorso, danno enorme per gli storici perché privati della loro storia
precedente). Non è necessario avere statue antiche m,a bastano semplicemente delle copie,
quadri raffiguranti personaggi celebri della letteratura perché questa presenza, secondo
Naudé, incitano all'emulazione e sono utili per gli spiriti degli studiosi. Afferma che il
modello di biblioteca è cambiato, dall'impianto basilicale in cui i libri erano collocati sul
leggio del pluteo, a dei ripiani che occupano tutto il muro (vaso librario). Qui può essere
utile adornare la stanza con globi terrestri e celesti. Raccomandazione a chi allestisce la
biblioteca, gli scaffali della biblioteca devono essere a protezione dei libri e formati di grate
(dorate o argentate, ha poco peso, proteggono ma sono anche un tocco di eleganza), così
come non devono mancare tavoli, sedie tappetti, penne d'oca, temperini, carte, inchiostri,
polverini (contenitori che contenevano polvere di sabbia che serviva a spargerla sullo scritto
in modo da seccare l'inchiostro e togliere l'eventuale eccesso) e vari strumenti e mobili
semplici ma indispensabili (modello precedente di biblioteca prevedeva dei plutei per la
seduta dei visitatori) (in più nella descrizione manzoniana della biblioteca ambrosiana
l'autore segnalava come importante il fatto che la biblioteca metteva a disposizione non solo
il posto a sedere ma anche i supporti necessari alla scrittura).
9. il fine principale di questa biblioteca
Affermazione modernissima e importantissima tenuta presente da molti proprietari di
biblioteche, inno all'uso pubblico della biblioteca. Non si può fare una selezione dell'utente e
questo deve avere un bisogno informativo che la biblioteca è in grado di soddisfare.
Ricordiamo che qui Naudé si sta rivolgendo ad un privato che sta allestendo per sé una
biblioteca privata, che deve però avere comunque uno scopo e un fine che è quello della
“pubblica utilità”. Citazione di esempi. Ambrosiana continua a suscitare l'ammirazione
europea (celebrazione di Naudé 20 anni dopo apertura biblioteca). È necessario assumere
una persona con il titolo e la qualifica di bibliotecario, riconoscendone la sua figura
professionale. Dopo l'assunzione del bibliotecario è necessario realizzare 2 cataloghi: uno
“classificato” dove i titoli sono disposti secondo le facoltà e un altro in ordine alfabetico per
autori. Ancora, è possibile consentire il prestito dei libri con la cautela che sia per 15 giorni
o 3 settimane, compito del bibliotecario di segnare su un apposito registro il prestito
avvenuto (si segna data del prestito e data di restituzione). Il trattato si chiude con queste
raccomandazioni circa la disponibilità del bibliotecario che gestisca la biblioteca e sui
servizi che la biblioteca eroga. Molto vicino all'idea di biblioteca che abbiamo oggi.

Lezione 23.03
XVIII secolo (Settecento) secolo ricco e complesso. Il mondo si globalizza: nel 1788 viene fondata
Sidney, il 4 luglio 1776 gli Stati Uniti dichiarano l'indipendenza, mentre il vecchio continente è
sempre occupato in guerre e da stravolgimenti talvolta naturali come il terremoto di Lisbona (che
darà occasione a Voltaire di comporre uno dei suoi capolavori, il Candido) ma anche da fatti sociali
e militari. Non bisogna dimenticare che è il secolo della rivoluzione francese: nello stesso anno
(1789) abbiamo la presa della Bastiglia a Parigi, evento che segna l'inizio della rivoluzione, e la
pubblicazione di un testo fondamentale che ha permesso a molti autori contemporanei di dire che, in
fondo, siamo tutti figli del Settecento e dell'Illuminismo, ovvero la Dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo e del Cittadino (solo due anni dopo ci fu la stessa dichiarazione per le donne).
Da un punto di vista politico e militare il Settecento si conclude per l'Europa con l'inizio
dell'espansione napoleonica.
Per l'Italia questo secolo vede il cambio di influenza che dalla Spagna (che risale da tempi lontani,
sin da Carlo V nel Cinquecento) passa all'egemonia austriaca imperiale. Per la Toscana poi
dobbiamo ricordare che la dinastia dei Medici si estingue nel 1737 con la morte di Gian Gastone e
la sorella Anna Maria Luisa de Medici, preoccupata delle sorti della città di Firenze e del
granducato, stipulò il cosiddetto Patto di Famiglia, grazie al quale tutto il patrimonio della dinastia
dei Medici veniva perpetuamente legato alla città di Firenze. Sappiamo anche i vari stati e le varie
potenze europee concordarono nell'attribuire il titolo di granduca di Toscana al sovrano straniero
Francesco I di Lorena, marito dell'imperatrice d'Austria Maria Teresa, il quale non mise mai
realmente piede a Firenze e che iniziò quella dinastia lorenese che terrà il potere fino ai tempi
dell'Unità d'Italia. Il figlio di Francesco I Pietro Leopoldo di Lorena fu il primo sovrano a dimorare
a Firenze e a regnare effettivamente sulla Toscana (dal 1765 al 1790), per diventare poi a sua volta
imperatore.
Tutti questi stati preunitari verranno poi travolti dall'ondata dell'esercito della conquista
napoleonica.
Il Settecento è anche conosciuto come il “secolo dei lumi”. L'illuminismo non è solamente un
fenomeno intellettuale-filosofico ma anche sociale politico nato in Inghilterra ma che si sviluppa
pienamente e troverà ampio terreno di sviluppo in Francia e che raggiungerà anche l'America (la
dichiarazione d'indipendenza risente chiaramente dei principi di uguaglianza stabiliti
dall'Illuminismo). Fiducia nella ragione dell'uomo e nel contributo che le scienze possono dare al
suo sviluppo. Trova il suo massimo compendio in quello che possiamo considerare una summa di
tutto il pensiero illuministico, libro che racchiude esattamente tutto lo spirito di questo periodo:
l'Encyclopédie ou Dictionnaire raisonnée des sciences, des arts et des métiers (Enciclopedia o
Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri) che uscì tra 1751 e 1780 sotto la
direzione di Diderot e d'Alembert. L'Encyclopédie, che nasce inizialmente come traduzione
francese dell'opera di un autore inglese (la Cyclopaedia di Ephraim Chambers), verrà stampata
subito in Italia in due città Toscane: Lucca (ancora repubblica lucchese), tra 1758 e 1776, e a
Livorno (porto del granducato e città strategica per la comunicazione ma anche per il commercio
librario) tra 1770 e 1778. Alcuni dei philosophes che contribuirono almeno in parte alla stesura delle
voci dell'Encyclopédie furono Rousseau, Voltaire. Montesquieu, Giannoni e Beccaria.
Progresso delle scienze fu davvero notevole: alcuni fatti più eclatanti diedero anche motivo ai
letterati di comporre odi in celebrazione di scoperte scientifiche come l'invenzione del motore a
vapore, che rivoluzionò l'attività produttiva e industriale, l'invenzione del parafulmine di Benjamin
Franklin, oppure quella della pila da parte dell'italiano Volta, e altro fatto che colpì anche le penne
dei letterati fu la prima ascensione aerea in mongolfiera nel 1783 effettuata dai due fratelli
Mongolfier (che da allora diedero il proprio nome al pallone aerostatico legando il loro nome alla
loro invenzione).
Tra le scienze nel mondo degli eruditi settecenteschi vanno ricomprese però anche quelle che oggi
noi annettiamo piuttosto alle scienze umane: la scienza archeologica ad esempio viene espressa in
termini più vicini ai nostri proprio nel Settecento grazie al contributo di autori di autori come
Winckelmann e di scoperte come quelle del 1701 a Ercolano e di Pompei nel 1748. Queste scoperte,
che vennero diffuse immediatamente in tutto il mondo anche grazie alla stampa, ebbero grandi
influssi culturali e di gusto ma anche sulla vita quotidiana (ad esempio la diffusione dello stile
pompeiano nelle dimore). Lo stesso vale per l'etruscologia, anch'essa nata in senso moderno proprio
in questo secolo, ricevendo un contributo di conoscenze incredibile grazie alla scoperta nel 1799
della stele di rosetta, grazie alla campagna in Egitto di Napoleone, e alla sua successiva
decifrazione.
Dal punto di vista librario ricordiamo che anche l'incunabolistica e la storia della stampa tutto
sommato ricevono un grande contributo, sebbene a livello nominalistico l'incunabolistica era nata
alla fine dei Seicento, anche se è nel 1740 l'anno in cui si vede il proliferare degli studi in tutta
Europa di storia della stampa e delle sue origini (quindi anche dell'incunabolistica).
Convenzionalmente, mancando una data esatta dell'inizio della storia della stampa a caratteri
mobili, ovviamente si poneva come termine convenzionale di scoperta del ritrovato dato scientifico
e tecnologico della stampa a caratteri mobili appunto nel 1740. A questo fiorire di studi europei
contribuirono più di ogni altro le nazioni che si contendono da sempre il primato dell'invenzione
della stampa a caratteri mobili (principalmente 3: la Germania con Magonza, la Francia con
Strasburgo e i Paesi Bassi con Harlem). Successivamente si tentò da parte dell'Italia di rivendicare,
visto che l'apparizione della stampa lì fu piuttosto precoce, un tentativo di attribuire all'Italia la
paternità dell'invenzione con un personaggio di nome Panfilo Castaldi (ma evidentemente questo
non venne accettato dagli altri studiosi cadendo nel dimenticatoio).
Le scoperte anche archeologiche si diffondono anche grazie alla stampa, in particolare tramite la
stampa periodica (pubblicazioni periodiche nascono nel secolo precedente ma si diffondono
ampiamente nel Settecento almeno in tutta Europa). Riviste come il Journal des Savants, le
Philosophical Transaction della Royal Society di Londra, una delle più antiche riviste scientifiche
pubblicata tutt'ora specializzata però, contrariamente agli altri, nella pubblicazione di saggi di
contributi mirati esclusivamente alle scienze. Il Journal des Savants invece, come i nostri periodici
che hanno titoli come Novelle Letterarie o Giornale dei Letterati, contengono soprattutto contributi
di tipo letterario ma anche scientifico, ospitando quindi entrambe la discipline in una visione
complessiva della cultura.
Dal punto di vista delle biblioteche dobbiamo ricordare che il modello architettonico settecentesco
continua ad essere quello che abbiamo visto precedentemente del vaso librario. Un esempio di
modello settecentesco è la Biblioteca di Casanatense di Roma, aperta al pubblico nel 1701 e nata
dalla donazione del cardinale Girolamo Casanate ai domenicani. Ricordiamo che in questo secolo il
fenomeno delle biblioteche cardinalizie, che affonda le proprie radici nel trattato di Paolo Cortese
del 1510, ha davvero uno sviluppo eccezionale. Giuseppe Renato Imperiali (morto nel 1737)
raccolse una delle più importanti biblioteche cardinalizie che purtroppo venne dispersa alla fine del
secolo.
Fenomeno importantissimo del collezionismo librario, che esiste da quando esistono i libri (fin
dall'antichità), in questo secolo tocca uno dei suoi vertici con una diffusione alla quale non
sfuggono nemmeno nazioni che fino a quel momento non esistevano(come gli Stati Uniti) oppure
erano rimaste ai confini della cultura europea che ora si aprono con un'attività di profonda
modernizzazione alla condivisione di cultura e realtà europee, in particolare la Russia di Pietro il
Grande e Caterina alla Grande, dove assistiamo ad un'adesione ai dettami della cultura illuminista e
a una modernizzazione dello stato russo e il diffondersi anche tra i nobili russi di queste passioni
collezionistiche dell'Europa occidentale. Fiumi di denaro vennero spesi per acquistare libri rari
antichi e di pregio. Fenomeno riservato in genere alle classi sociali più elevate, non dimentichiamo
che proprio nel Settecento ai due stati (nobiltà e clero) si sta aggiungendo il terzo stato,
rappresentato dalla grande borghesia mercantile (che avrà maggiore sviluppo nel secolo
successivo). Il mercato antiquario del libro non è secondo a quello delle opere d'arte e opere
scientifiche, collezionismo settecentesco non è monotematico ma, sul modello di quella che nel
Cinquecento era stata la Wunderkammer (la stanza delle meraviglie), il collezionista si spinge ben
oltre e si allarga ai reperti archeologici e alle scienze con mineralogia (passione cui i Medici e i
Lorena non si sottraggono), botanica (nascita di giardini botanici, primo dei quelli è il jardin des
plants di Parigi con tutte le specie esotiche provenienti ormai dai 4 angoli del globo vengono
piantate ed esibite come in un qualunque museo di opere d'arte, si cercano le specie più rare e
preziose che devono suscitare stupore), zoologia e anche le macchine scientifiche (l'esperimento
scientifico prende sempre più piede, che troviamo nei palazzi nobiliari anche grazie alla presenza di
tecnici in grado di riprodurre fenomeni scientifici come l'elettricità, per la quale servono macchine,
che vengono commissionate dai collezionisti che le organizzano in modo da offrirne una
dimostrazione). Un esempio a Firenze è al museo Galileo.
Dal nostro punto di vista ciò che risulta interessante all'interno di questo grande fenomeno è il
collezionismo librario, che sfocia talvolta nella patologia della bibliomania. Il problema delle grandi
collezioni settecentesche è che spesso le grandi collezioni non durano: messe insieme con grandi
dispersioni di denaro per ragioni diverse, spesso perché non c'è interesse da parte dell'erede del
collezionista di mantenere in vita quella collezione (alienazione o vendita dei beni), o a causa di
problemi economici comportati dai costi del mantenimento, gestione e accrescimento di una
raccolta che spesso gli eredi non potevano mantenere (in alcuni casi nemmeno il proprietario). Già
nel Cinquecento la modalità più diffusa di dispersione anche delle collezioni librarie è quella
sperimentata in Olanda della vendita all'asta (effettuata al miglior offerente), in genere fissata per un
giorno/serie di giorni, in una data ora e in un dato luogo, che avviene in genere o presso
l'abitazione/palazzo del defunto proprietario o presso i locali delle case d'asta (di cui le più
importanti nascono proprio nel Settecento). Per poter procedere alla vendita all'asta è necessario
stilare un catalogo degli oggetti di vendita per ovviare al problema banale del fatto che se la vendita
è organizzata ad esempio a Parigi un nobile russo vi partecipava compiendo un viaggio oppure
visionando l'elenco dei pezzi messi in vendita o rivolgendosi a un intermediario indicandogli i
numeri di catalogo che intende acquistare e il prezzo massimo che intende offrire. Questa è una
modalità tutt'ora diffusa nelle case d'asta (oggi c'è la possibilità di partecipare anche
telefonicamente). Sappiamo che molti nobili anche italiani avevano dei corrispondenti di fiducia
nelle più importanti capitali europee (addirittura membri di famiglia). Il catalogo d'asta di solito non
contiene l'indicazione del prezzo di vendita, o meglio, esistono due tipi di prezzi: la base d'asta
(indicazione del prezzo dal quale si inizia la vendita e che può essere aumentato in base ai rilanci
del pubblico) e il prezzo di aggiudicazione (quello a cui viene “battuta” l'offerta e aggiudicato alla
persona, fatto dal prezzo di aggiudicazione + diritto della casa d'asta, non indicato nel catalogo a
stampa confezionato e diffuso per l'occasione).
Nel collezionismo librario Settecentesco è importante la produzione dei cataloghi di vendita all'asta,
tipo di pubblicazione importante dal punto di vista bibliografico e storico per varie ragioni: intanto
perché alla realizzazione del catalogo si dedicano bibliotecari professionisti, unico professionista
capace di creare un catalogo di vendita adeguato utilizzando una terminologia che sia
internazionalmente compresa e condivisa, primo tentativo di una sorta di standard de facto.
(de iure sono quelli emanati dall'ente standardizzante e de facto quelli che una comunità
decide di adottare, tra gli esempi più importanti è l'http)
In questa compilazione viene quindi messo in pratica un po' quello che è il linguaggio
comunemente accettato o la divisione dei materiali messi in vendita secondo le classi, che sono
quelle dei librai di Parigi (divenuta oramai capitale della cultura europea). Russi amano la lingua e
la cultura francese: Caterina la grande invitò a San Pietroburgo Voltaire (molte sue opere scritte
sono conservate lì). Si tenta di compilare i cataloghi in modo che essi siano comprensibili a tutti. No
prezzo di vendita. Documenti importantissimi anche per ricostruire da un lato la storia
dell'esemplare (storia sempre più diffusa come ricerca in ambito bibliografico), speculare alla storia
di provenienza delle opere d'arte (cataloghi di mostre presentano notazioni di provenienza). Tutta
questa ricostruzione storica è possibile anche grazie alla compilazione di questi cataloghi, grazie ai
quali riusciamo anche ad avere un'idea della consistenza della biblioteca privata che viene venduta.
Fonte sicuramente attendibile ma parziale perché non tutto ciò che è posseduto come bene librario
dal venditore viene messo all'asta ma spesso e volentieri, a seconda della disponibilità del venditore,
questi vengono riservati e trattenuti (come trattati su una determinata famiglia nobiliare, opere di
autori membri della famiglia oppure, eventualmente, i pezzi ritenuti più rari e importanti serbati per
successive alienazioni in caso di nuovi bisogni economici).

Secolo che ci ha dato più materia di studio, cenni alle più importanti vendite all'asta del Settecento:
• vendita del duca de la Valière (grande nobile francese), che aveva messo insieme una
straordinaria raccolta di libri manoscritti, incunaboli e edizioni rare (tra cui alcune edizioni
ad usum delphini, erede del re di Francia viene chiamato il delfino perché il delfinato è una
delle terre che gli vengono assegnate, per lui vengono pubblicate alcune edizioni di classici
latini commentati e preparati per suo uso esclusivo, prodotto editoriale molto ricercato,
edizioni che bene figurano nel catalogo di vendita). Come tutti i grandi collezionisti di libri
il duca aveva al suo servizio l'abate Rives, un celebre bibliografo francese e personaggio
piuttosto curioso dal punto di vista caratteriale (molto irascibile). Collezione viene venduta
dalla figlia che evidentemente non ha grandi interessi nella sua gestione e nel suo
mantenimento. Catalogo di vendita in 2 tornate: 1783 e 1788. In qualunque studio di
provenienza di libri a libello europeo questa vendita viene continuamente citata perché dalla
sua biblioteca transitavano molti incunaboli, libri manoscritti e libri antichi e di pregio;
• vendita del mercante milanese Pietro Antonio Bolongaro Crevenna, diventato ricchissimo
ad Amsterdam, che accumula una biblioteca straordinariamente ricca. Come tutti i mercanti
e uomini di affari, il suo patrimonio è purtroppo soggetto agli alti e ai bassi della finanza
internazionale: ricchissimo, a causa di un dissesto finanziario si trova nella necessità di
vendere la propria raccolta di libri (trattenendo ovviamente qualche esemplare per sé).
Biblioteca era già stato oggetto di ammirazione da parte di tutti i collezionisti e dotti europei
perché prima della vendita era stato compilato il catalogo della biblioteca. Venduta nel
1790, citata nelle fonti e in tutti gli studi di provenienza, è una delle grandi vendite cui
parteciparono tutti i collezionisti europei più importanti dell'epoca.
• Collezione di Étienne-Charles de Loménie de Brienne, personaggio religioso che divenne
cardinale (rientrando nella fattispecie nelle biblioteche cardinalizie). Personaggio che vive
prima e durante la rivoluzione francese, ha al suo soldo il grande bibliotecario francese
François-Xavier Laire, al quale, come aveva fatto il cardinale Borromeo, aveva dato
l'incarico di percorrere l'Europa (in particolare la Germania) alla ricerca di libri per la sua
collezione. Personaggio di primo piano nella politica francese, tanto da diventare a un certo
punto ministro delle finanze di Luigi XVI. Periodo delicato, incarico non portato ad effetto
secondo le richieste del re. Di fronte a questa situazione la folla parigina non aveva
apprezzato la politica economica del Brienne e assalta il suo palazzo di città. Decise che,
anziché inviare in Italia il proprio bibliotecario di fiducia, lo accompagnò ed effettuò lui
stesso una ricerca insieme a lui (Italia centro-settentrionale). Non ancora sfiorati dal vento
rivoluzionario, il cardinale e il suo bibliotecario compongono una serie delle edizioni aldine,
cioè un elenco di quelle edizioni di Aldo Manuzio che il cardinale voleva acquisire per la
propria collezione. Pochi anni prima della vendita aveva compilato i cataloghi in due tomi il
catalogo degli incunaboli, uno dei cataloghi di incunaboli più ampi mai messi insieme da un
privato. Una delle più grandi biblioteche mai messe in vendita, contando oltre centomila
volumi. Biblioteca che aveva nella sua diocesi di Sens (Francia), anche la vita di questa
località viene investita dalla rivoluzione francese. Già nel 1792 il cardinale si vede costretto
a fare una prima vendita: in realtà prima tenta una vendita in blocco (come accade spesso
per la vendita delle biblioteche private) rivolgendosi a un noto antiquario librario londinese
(Edwards?) il quale deve però ammettere di non essere in grado finanziariamente di
acquistare l'intera biblioteca e acquista solo alcuni volumi importanti. La prima vendita
riguarda esclusivamente i due volumi di incunaboli che il suo bibliotecario aveva
predisposto. Numero di incunaboli messi in vendita era più alto delle due vendite prima
accennate, vendita che ebbe grande eco in Europa cui parteciparono moltissimi collezionisti,
russi comprese. Vendite degli incunaboli ebbero molto successo, una gran parte di questi
incunaboli sono conservati presso la Biblioteca Bodleiana di Oxford, mentre i nuclei più
importanti si trovano nella Bibliotheque de France di Parigi.
Biblioteca talmente grande che non bastano le 3 vendite successive ad esaurire la biblioteca,
tant'è vero che nel 1794, quando il cardinale muore in prigione (secondo alcuni si trattò di
avvelenamento, secondo altri attacco di cuore data la sua età. la sua famiglia era già stata
ghigliottinata tutta), l'inventario di beni lasciati è ancora talmente ricco che fu possibile
organizzare un'ulteriore vendita postuma.

Bisogna precisare che questa attenzione al libro nel XVIII secolo non è esclusivamente di tipo
bibliofilico: sarebbe riduttivo pensare che nel Settecento la diffusione della lettura fosse legata
solamente a questo atteggiamento. È importante ricordare che ormai effettivamente il possesso di
una biblioteca non è ritenuto obbligatorio soltanto per un cardinale o un uomo di stato ma per tutta
la nobiltà. Qualunque gentiluomo volesse ritenersi un gentiluomo cultivé (acculturato) doveva
inevitabilmente dotarsi di una biblioteca, che deve stare nel palazzo signorile. Questo però rispetto a
Naudé, che raccomandava di collocare gli spazi dedicati alla biblioteca negli ammezzati, a questo
punto di norma, anche nella ristrutturazione che i palazzi subiscono per adeguarli alle nuove mode,
si vede la discesa o la salita (a seconda di come erano collocate le mezzarie) e si colloca al piano
nobile, ovvero il piano del palazzo riservato alla socialità della famiglia nobile, in cui si ricevono
amici, conoscenti e personaggi illustri in visita alla città, dove devono poter circolare all'interno del
piano potendo ammirare quadri, statue, arazzi e devono poter vedere anche che la famiglia dispone
di un'adeguata collezione libraria esposta alla vista. Librerie in legno spesso commissionate a
celebri intagliatori ed ebanisti locali, tutte disposte con il dorso verso lo spettatore in preziose
legature che rendessero gradevole la vista anche al visitatore. Occupa una o più stanze a seconda
delle dimensioni della raccolta (spesso quelle nobiliari erano di ascendenza più antica e per questo
potevano occupare più ambienti). È importante ricordare che oltre agli ambiti più prettamente
bibliotecari il libro pervade ormai tutta l'abitazione (si legge un po' dappertutto). Popolare era la
lettura di società, poeti e scrittori venivano invitati a leggere le loro opere (salotto). Il libro è anche
di musica, che serviva ad accompagnare i numerosi ricevimenti organizzati dalle famiglie. Oppure
anche nella camera da letto
Non è un libro che riguarda solamente la famiglia nobile ma serve anche ad esempio al cuoco,
professionista al loro servizio che h bisogno di leggere e ricevere i ricettari più aggiornati (magari
sul gusto francese). Palazzi nobiliari in genere pieni di libri anche se non sono così vistosi.

Il Settecento è però anche il secolo del bibliotecario erudito, ormai un professionista irrinunciabile
per le biblioteche come quelle nobiliari o di corte. In tutti gli stati italiani preunitari esiste una
biblioteca di stato (che deriva dalla biblioteca di corte della famiglia signorile o regnante) e la carica
di bibliotecario viene spesso affidata dai sovrani a illustri personaggi storici, letterati,che hanno così
la possibilità di godere di uno stipendio svolgendo in cambio il proprio lavoro di ricerca. Spesso si
trovano a essere responsabili di biblioteche che hanno una fondazione anche cinquecentesca (fondi
straordinariamente ricchi di documentazioni utili soprattutto per le ricerche storiche, storico-
artistiche, archeologiche, etc.).
• Due esempi di bibliotecari appartengono la stessa signoria/stesso stato (ducato di Modena):
Lodovico Antonio Moratori, che possiamo definire il fondatore della storiografia italiana
moderna che, in tutte le sue opere che pubblica di storia, si fregia del titolo di bibliotecario
del duca di Modena (titolo che percorre gli altri stati grazie al lasciapassare concessogli dal
governo modenese che gli permette così d essere ricevuto per le sue ricerche in tutte le
biblioteche italiane);
• il più celebre storico della letteratura italiana Girolamo Tiraboschi. Anche lui in tutte le sue
opere che pubblicò e che gli diedero fama in tutta la storia della letteratura italiana, si fregiò
sempre dello stesso titolo. Dato di fatto che viene ribadito ogni qualvolta uno scrittore goda
di questo titolo, esibito come qualifica onorifica che in qualche modo qualifica la cultura e
l'erudizione della persona che riveste quella carica.
Il Settecento è però anche il secolo in cui si vede l'apertura al pubblico di molte biblioteche, questa
volta però con l'intenzione che siano ad publicam utilitatem (per utilità pubblica, anche a chi
appartiene a classi sociali meno abbienti).

Lezione 24.03
Apertura di numerose biblioteche italiane sempre sull'onda di quel principio che si diffonde tra i
proprietari di biblioteche e cioè dello scopo e del fine della pubblica utilità. Fenomeno che si
sviluppa in tutte le regioni della penisola italiana.
Due biblioteche fiorentine:

Biblioteca Magliabechiana, che deriva dal lascito testamentario di Antonio Magliabechi (nato
1633), cittadino fiorentino figlio di artigiano che ebbe la fortuna di studiare e che acquisì una
competenza straordinaria nei libri anche grazie a una prodigiosa memoria che fu ammirata dai
contemporanei (tant'è che venne definito una biblioteca vivente). Queste sue doti culturali e
mnemoniche lo posero all'attenzione dei granduchi di Toscana, in particolare Ferdinando II e
Cosimo III che lo vollero bibliotecario della biblioteca mediceo-palatina (di corte, collocata a
Palazzo Pitti), poi incaricato di gestire tutte le biblioteche in qualche modo afferenti alla famiglia
regnante. Passione enorme ma non di stampo bibliofilico: la sua raccolta di libri era solo funzionale
all'accrescimento delle proprie conoscenze, i suoi libri non avevano alcun carattere di bellezza
estetica, era un dotto che riconosceva la funzione primaria del libro (ovvero informativa). Come
avevamo visto nelle istruzioni naudeiane, mette in pratica quel consiglio di avere contatti epistolari
con l'intera repubblica delle lettere, ivi compresi anche stampatori e librai ed effettivamente
Magliabechi, pur non muovendosi effettivamente da Firenze (si conosce un suo solo spostamento
fino a Prato per visionare un manoscritto), i suoi contatti epistolari spaziavano in tutta Europa,
includendo uomini di cultura ma anche e soprattutto librai e stampatori. Commercio con tutta
Europa, spesso gli venivano inviati libri in omaggio.
Personaggio davvero unico nel panorama settecentesco perché pur godendo di questo enorme
prestigio personale come uomo estremamente competente e grande bibliotecario, non produsse
alcunché di scritto e non partecipò al progresso delle lettere e delle scienze. Punto di riferimento a
cui si rivolgono i letterati e gli autori per avere consulenze bibliografiche o per sottoporre a suo
giudizio le proprie opere. Morto nel 1714 nell'infermeria di SMN, per testamento dispose che i
propri libri (circa 30000 , per utilità pubblica espressamente per i meno abbienti e quelle persone
che avevano bisogno di informazione ma che non possiedono i mezzi per potersela procurare. La
clausola del testamento prevedeva che, in caso di non accettazione da parte delle autorità fiorentine
delle proprie condizioni, i libri sarebbero stati destinati al convento di SMN come segno di
ringraziamento per i frati domenicani che lo avevano curato e assistito fino alla morte.
L'accettazione di un dono da parte di un'autorità è sempre sottoposta a dei problemi logistici ed
economici ma è evidente che, data la sua fama e celebrità, il granduca non poté rifiutare il donativo.
Il problema sorse però immediatamente dopo la lettura del testamento perché occorreva trovare uno
spazio in cui collocare tutta la sua collezione. Nel frattempo già nel 1736 (22 anni dopo il suo
lascito), anche un suo amico, Anton Francesco Marmi, dona i propri libri perché venga unita a
quella di Magliabechi. GianGastone de Medici dispone che queste due biblioteche vengano unite in
un unico corpo. Per ospitare questa raccolta viene individuato un locale all'interno del complesso
degli Uffizi in quel teatrino detto “di Baldracca” o “degli istrioni” (molto noto fin dal Cinquecento
in cui si esibivano compagnie della cosiddetta “commedia dell'arte”. Prende il nome dal quartiere
malfamato che aveva intorno). Il locale di questo teatro era ormai caduto in disuso, spazio ritenuto
idoneo per ospitare i libri. Le opere di ristrutturazione dei locali furono affidati all'architetto di corte
Giovan Battista Foggini che riprende il modello del vaso librario su due ordini di scaffali collegati
dal piano d'entrata della biblioteca da una scala e un ballatoio.
Sempre nel 1736 Gian Gastone de Medici, per potenziare la collezione magliabechiana, emanò
l'ordine a tutti gli stampatori del granducato di depositare obbligatoriamente un copia di tutto ciò
che è stampato. Terminati i lavori del Foggini e approntata la sala, i libri dovevano essere collocati
negli scaffali secondo una classificazione. Qui il granduca scelse un noto scienziato fiorentino
(Antonio Cocchi) perché si dedicasse alla classificazione. La scelta di uno scienziato e non di un
bibliotecario deriva dal fatto che l'operazione di classificazione era molto diffusa e aveva esempi
molto importanti (es classificazione linneiana delle specie vegetali), persona ritenuta in grado
meglio di altri di procedere alla classificazione e, di conseguenza, alla collocazione negli scaffali
della collezione. Cocchi si rifece alla classificazione del filosofo inglese John Locke.
Finalmente, nel 1747, la biblioteca magliabechiana venne aperta al pubblico con questo nome. La
vita all'interno della biblioteca proseguì con l'acquisizione dei volumi pervenuti per diritto di stampa
ma anche per successive donazioni di molti intellettuali ed eruditi (anche fiorentini), che ritenevano
avesse una finalità prestigiosa e importante per la propria raccolta. Nel 1771 (in piena dinastia
lorenese) il duca Pietro Leopoldo rinuncia alla Biblioteca Mediceo-Palatina Lotaringia (ovvero la
biblioteca di palazzo, lotaringia perché vi si aggiungeva anche la collezione lorenese), ingrandendo
il patrimonio della biblioteca Magliabechiana che,nel frattempo, si arricchì continuamente di altre
fonti. L'unione della Magliabechiana con la Biblioteca Mediceo-Palatina Lotaringia costituisce un
punto chiave che assume una posizione e un ruolo di interesse primario all'interno del tessuto delle
biblioteche del granducato di Toscana. La prima che gode del diritto di stampa (deposito
obbligatorio) degli stampati). La biblioteca attraverserà varie fasi fino all'annessione del granducato
al regno d'Italia. Venne poi denominata Biblioteca Nazionale dal ministro dell'istruzione Francesco
De Santis. Questa sua posizione particolare (FI fu capitale del regno d'Italia) le permette di ricevere
nel 1869 per diritto di stampa, una copia non più di ciò che si stampava solamente in Toscana ma di
tutto il regno d'Italia. Nel 1885 la biblioteca ricevette il titolo di “centrale” (Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze), ma si trova ancora nei locali ingranditi degli Uffizi. Bisogna aspettare il 1935
per il trasferimento nella nuova sede (attuale), in piazza cavalleggeri 1.

Biblioteca Marucelliana, dovuta all'opera di Francesco Marucelli (Firenze 1625- Roma 1703). Si
dedicò fin dalla prima giovinezza allo studio e si laureò in legge in utroque iure (in entrambi i
diritti,diritto civile e diritto canonico a Pisa) e poi, avendo uno zio che abitava a Roma presso la
corte pontificia, si trasferì a Roma dove pensava di mettere a frutto le proprie competenze legali ma,
in realtà, la vita della corte pontificia e l'attività forense non fu mai attrattiva per Francesco che
aveva ottenuto nel frattempo le rendite di 2 abbazie. Questa era una fonte di reddito molto spesso
diffusa nell'antico regime, una persona può essere investita dei diritti provenienti dalle rendite (in
questo caso) di due abbazie religiose che contribuiscono al suo sostentamento. Marucelli si
accontentò di queste rendite (vitalizi) e, vivendo modestamente, si dedicò agli studi e, soprattutto,
alla raccolta di libri. La sua principale occupazione era l'acquisto di volumi di ogni genere, in
particolare di storia, che trattavano specialmente di una sola materia, copiando perfino di sua mano
quelli o che non erano dati alle stampe o che non si potevano acquistare e ne formò un comodo per
gli amici vertuosi che in buon numero venivano a servirsene . Vita del Marucelli opera del primo
bibliotecario della biblioteca, l'importante erudito fiorentino il Bandini. In questo passo della vita
del Marucelli Bandini ripete il fatto che si potesse trarre da stampe/ libri a stampa delle copie
manoscritte. La raccolta moderna del Marucelli destava l'ammirazione degli eruditi del tempo e il
Marucelli, da grande erudito qual era, si mise a compilare una monumentale opera dal titolo
evocativo (mare magnum), ossia un immenso indice per argomento di tutte le materie trattate nelle
opere di cui veniva a conoscenza. All'età di 77 anni, nel fare testamento, destinò la propria
biblioteca personale e gran parte del suo patrimonio e delle sue rendite allo scopo di costruire una
biblioteca a Firenze pubblicae maximae pauperum utilitati (per il vantaggio del pubblico,
soprattutto per i poveri). Anche qui è presente quello spirito diffuso nel tempo di destinare la
raccolta a favore del pubblico, in particolare delle persone appartenenti a classi meno abbienti. La
donazione venne affidata ai suoi eredi e, a differenza del Magliabechi (che fece donazione alle
autorità, destinando come donativo esclusivamente i suoi volumi), il Marucelli invece destina i libri
alla sua città ma, contemporaneamente, lascia anche delle rendite che dovevano servire a costruire
un edificio ex novo e non a riadattare un edificio preesistente. (grande differenza tra i due)
Per la costruzione del nuovo edificio fu indetta una gara pubblica e furono invitati degli architetti
che presentassero dei modelli. Fu scelto Alessandro Gori (romano), il cui modello ligneo è
conservato ed è ancora visibile nella biblioteca. Sia la costruzione sia la raccolta di fondi
dilazionarono i tempi di realizzazione della biblioteca, avvenuta con il nipote (Alessandro
Marucelli), che donò a sua volta i propri libri alla biblioteca. La biblioteca venne aperta in via
Cavour.
Alessandro M nominò il primo bibliotecario, scegliendo Angelo Maria Bandini, che fu bibliotecario
per quasi 50 anni e che ebbe poi anche la direzione della biblioteca Laurenziana (nel Settecento, a
parte le biblioteche religiose, Firenze dispone già di 3 biblioteche,biblioteca Mediceo-Laurenziana
riservata per lo più agli studiosi). Nel corso del tempo la biblioteca Marucelliana divenne pubblica
statale (ed è tutt'ora tale) e, nel momento in cui divenne pubblica governativa, gode del diritto di
stampa solo per la città e provincia di Firenze (città metropolita). È bene ricordare il fatto che il
Marucelli non fu solamente collezionista di libri (non in senso bibliofilico), ma era anche
collezionista di quadri e, sopratutto, di disegni e incisioni. Infatti la biblioteca è ricca di collezioni di
disegni e di stampe che derivano dal nucleo originario.
La sua si connota come biblioteca moderna dove scarseggiavano manoscritti antichi, salvo quelli
che lui stesso compilava copiando edizioni già a stampa. L'acquisizione di manoscritti avviene con
l'acquisizione del fondo di un grande studioso fiorentino (Anton Francesco Gori), quando era
direttore il Bandini.

Fatto importante che avviene nel 1773. Quella dei gesuiti era divenuta una vera potenza non solo
all'interno della Chiesa ma anche all'interno degli stati sovrani. Una delle loro occupazioni
principale era la formazione e l'educazione dei nobili, quindi la loro capacità di influenzare le
coscienze dei futuri governanti. Questa potenza della compagnia di Gesù dava fastidio a molti stati
sovrani europei e questa opposizione generalizzata nei loro confronti convinse papa Clemente XIV
nel 1773 a sopprimere la compagnia dei gesuiti. Fatto che ebbe ripercussioni notevoli sulla nostra
storia perché il modello di collegium gesuitico è un modello in cui al centro esiste la biblioteca (per
loro era un elemento irrinunciabile) e, nel momento in cui l'ordine viene soppresso, le biblioteche
dei vari collegi gesuitici devono trovare ora una nuova collocazione. Di norma queste biblioteche
vengono incamerate o dallo stato o da biblioteche preesistenti. Nel caso della biblioteca
Marucelliana infatti acquisisce una grossa parte della raccolta della biblioteca gesuitica fiorentina,
mentre nelle altre città le soluzioni sono diverse: in alcuni casi (come a Pisa) la biblioteca dei
gesuiti diventa la biblioteca centrale dell'università (a Pisa nel palazzo della Sapienza).
Normalmente, con le biblioteche dei soppressi collegi gesuitici, si fonda quella categoria di
biblioteche che oggi chiamiamo biblioteche universitarie governative.
La soppressione, firmata il 21 luglio 1773, dopo che i gesuiti erano già stati allontanati da sovrani
europei (ma anche dal sud e centro America), ci permette di parlare di un fenomeno tipicamente
cinquecentesco, ovvero quello non soltanto delle soppressioni ma di un tentativo (innescato prima
della rivoluzione francese) di controllo, verifica e razionalizzazione di quelli che erano i beni
ecclesiastici, che nel tempo si erano ingranditi e che spesso avevano spesso più risorse rispetto a
quelle possedute dallo stato (seconda metà del settecento crisi economiche piuttosto importanti).
Uno dei precedenti è un'iniziativa francese, che ebbe un'attività piuttosto lunga. Formazione di una
commissione che lavorò dal 1766 fino al 1780 (a ritmi alterni), nominata dal re di Francia da Luigi
XV nominata commission des reguliers (commissione dei regolari, ordini governati da una regola).
Scopo dichiarato della commissione era verificare la situazione degli stabilimenti monastici e
verificare che abbiano un numero di religiosi che vivano all'interno di questi edifici congruo (si
stabilisce un minimo) e che abbiano risorse sufficienti. In realtà lo scopo è quello di appropriarsi dei
beni di molte abbazie, conventi e monasteri da parte del clero secolare (in particolare vescovi e
cardinali). La commissione abolì tutta una serie di stabilimenti religiosi i cui beni venivano
incamerati dal vescovo competente per territorio. I lavori della commissione, che furono
particolarmente duri nei confronti di questi stabilimenti furono parecchi, tant'è che la commissione
dei regolari venne ironicamente soprannominata la commissione della scure proprio perché una
scure si abbatteva senza andare con il sottile su molte istituzioni(?). È da notare che la commissione
venne sciolta però le soppressioni rimasero vigenti. In più, all'interno di questa commissione,
composta fondamentalmente da arcivescovi, vescovi e cardinali, il segretario (rapporteur) è un
personaggio che noi conosciamo già perché è Loménie de Brienne, in questo momento ancora
arcivescovo di Tolosa Nei lavori della commissione francese, come in tutte le iniziative francesi (in
questo momento Francia è una grande cassa di risonanza per tutta quella che è la realtà politica e
culturale per tutto il resto dell'Europa) si tiene presente evidentemente in alcune iniziative che i
sovrani europei pongono in essere. Dal nostro punto di vista è interessante vedere che alcuni echi
della commissione della scure si ritrovano in un'attività messa in campo dal nuovo granduca di
Toscana (Pietro Leopoldo, dal 1765 al 1790). Tra 1780 e 1790 Pietro Leopoldo procede con quelle
che vengono definite le soppressioni leopoldine (seconda soppressione in Toscana, la prima è stata
quella dei gesuiti), detta anche soppressione delle compagnie religiose perché la sua azione si
svolge nei confronti di quelle compagnie e associazioni assistenziali che erano a metà statuto tra
laico e religioso. Non appartenevano a un ordine religioso ma si riunivano in luoghi religiosi e
svolgevano attività affini a quelle della chiesa. Queste associazioni nel Settecento raggiunsero un
numero tale di iscritti da essere considerate possibili focolai rivoluzionari ed erano viste con
sospetto da parte del potere centrale. Le compagnie avevano spesso origini antiche e costituivano
delle vere e proprie corporazioni. A FI esistevano anche compagnie forestiere, costituite quindi da
immigrati nel granducato. Pietro Leopoldo decise di sopprimerle e di incamerarne i beni mobili e
immobili. Venne istituita addirittura una magistratura apposita per gestire questo fatto, la
magistratura del patrimonio ecclesiastico, che doveva provvedere all'amministrazione e allo
smistamento degli oggetti requisiti anche se, in realtà, non fu un lavoro di grande precisione e si
svolse tutto in modo piuttosto confuso. Tra il patrimonio che venne soppresso ci sono anche libri e
riguarda anche biblioteche e archivi. Operazione condotta senza criteri oggettivi, beni ammassati in
depositi (il più grande era in via della colonna), venne fatta una selezione senza grandi criteri, e i
patrimoni vengono divisi in varie istituzioni (anche in biblioteche e archivi, alcuni fondi finirono
alle biblioteche magliabechiana e marucelliana, venne istituita addirittura una collocazione ad hoc
per accogliere i frutti di queste soppressioni). Questa fu un'operazione di grande respiro e, siccome
il granduca di Toscana divenne imperatore nel 1790, molti dei territori che ricadevano sotto il
dominio dell'impero temettero che l'imperatore avrebbe esteso a tutti i territori dell'impero questa
riforma. In realtà non fu così perché non procedette all'emanazione di leggi simili a quelle toscane.
Come granduca di Toscana rappresenta uno degli esempi più significativi, monarca illuminato, lo
ricordiamo come emanatore del codice leopoldino che prevedeva la soppressione della pena di
morte (giorno della toscana ricorda questo avvenimento). Decisione nata da suggestioni contenute
nella pubblicistica illuministica, in particolare nell'opera di Cesare Beccaria “dei delitti e delle
pene”, che ebbe grande presa anche su Pietro Leopoldo. PL lascia FI nel 1790 e, a quel punto, il suo
successore Ferdinando III ripristina su pressione della Chiesa molte delle soppressioni leopoldine.
Siamo però in piena temperie rivoluzionaria, che inizia convenzionalmente nel 1789 con la presa
della Bastiglia. Rivoluzione francese ebbe conseguenze importantissime sulla storia delle
biblioteche non soltanto francesi.
Tra gli effetti della rivoluzione ci fu la laicizzazione dello stato (soppressione totale stabilimenti
religiosi) e la confisca dei beni appartenuti ai nobili (che finiva ghigliottinata o fuggiva in esilio). In
entrambi i casi i beni dei religiosi e dei nobili venivano confiscati dello stato rivoluzionario a favore
della nazione, quindi diventano di fatto beni nazionali/ patrimonio nazionale. Ciò fa capire bene
perché la Biblioteca di Parigi, che è fino a quel momento reale, da questo momento diventa
nazionale. Il modello di biblioteca come bene nazionale verrà esportato in tutta Europa.
Le idee illuministe che circolavano negli anni immediatamente precedenti alla rivoluzione ebbero
degli influssi anche nel nuovo continente (dichiarazione d'indipendenza americana). Dal nostro
punto di vista provoca l'incameramento di proprietà degli ecclesiastici e degli stabilimenti religiosi e
dei nobili (anche di quelli che erano riusciti a fuggire, molti trovarono rifugio in Gran Bretagna).
Istruzioni del Direttorio per la confisca dei beni erano chiare, precise e dettagliate: territorio
francese diviso in dipartimenti, in ogni dipartimento veniva individuato un capoluogo, un centro che
fungeva da punto di raccolta di tutti quei beni portai via da abbazie, monasteri, castelli, residenze di
campagna, etc. (tutti stabilimenti appartenuti al primo e al secondo stato). Tutti i libri dovevano
essere convogliati verso il capoluogo del dipartimento, dove dovevano essere allestiti ambienti in
grado di ospitare i libri trafugati e portati via dalle varie residenze. I vani destinati ad ospitare i libri
dovevano avere ovviamente degli scaffali.
• La prima operazione da fare era una scelta degli oggetti: quelli ritenuti più importanti e
preziosi dalla commissione locale dovevano essere impacchettati e inviati a Parigi (alla
biblioteca nazionale). Idem per i beni storico-artistici. Questo fa capire come la storia
francese moderna sia una storia di centralizzazione per cui la Francia ha Parigi come centro
di raccolta della parte più significativa del patrimonio nazionale.
• Fatta la prima scelta i libri dovevano essere collocati negli scaffali in questi depositi, messi
senza nessun criterio. In genere si sceglieva la disposizione per formato, poiché permetteva
di sfruttare al massimo gli spazi a disposizione. Ogni volume doveva essere contrassegnato
con un numero.
• Una volta disposti sugli scaffali, le norme imponevano che si facesse una descrizione dei
singoli pezzi. Per farla si consigliava di utilizzare un materiale disponibile molto
frequentemente in tutti i dipartimenti francesi, ovvero le carte da gioco. Queste avevano da
un lato il seme della figura (cuori, quadri, fiori e picche con eventualmente il fante e la
donna), mentre il verso era bianca. La prescrizione del direttorio era quella di indicare nel
verso della carta il numero apposto sul volume in modo da indicarne la posizione esatta
sugli scaffali, autore, titolo e altre informazioni che indicassero la pubblicazione. Il
problema delle carte però riguardava la loro gestione senza che si perdessero e, soprattutto,
che l'ordinamento dato non venisse alterato. La soluzione più semplice e banale fu quella,
utilizzata ad esempio negli archivi, dell'infilzatura (singoli atti venivano passati con una
sorta di ago di metallo con una lunga corda che attraversava tutti i documenti, una volta
arrivato all'ultimo l'ago poteva essere tolto o lasciato e veniva fatto un nodo). Qualcuno
sostiene che il fatto che si fosse adottato questo sistema è in qualche in embrione una
prefigurazione di quelli che saranno poi le schede cartacee catalografiche internazionali
(Novecento), dei rettangoli di dimensioni ridotte su cui vengono scritte le informazioni
relative all'edizione.
Fatto sta che è importante avere presente le modalità, ovvero di concentrare in un unico luogo tutti i
libri che vengono portati via e conferirli in un unico punto. La rivoluzione ha un frutto davvero
importante, ovvero quello di Napoleone, che attua un colpo di stato nel 1799 ma che è a capo di
varie campagne (es quella in Egitto, diffusione egittomania). La discesa di Napoleone in Italia
significò anche la diffusione in tutti i territori conquistati di quelli che erano gli ordinamenti della
Francia rivoluzionaria, a partire dalla costituzione civile del clero (1790), la soppressione degli
ordini religiosi e la persecuzione nei confronti degli ordini religiosi in nome della dea ragione (di
cui era stato vittima anche Papa Pio VI).
In tutta questa temperie napoleonica la Toscana era rimasta tutto sommato indipendente dopo la
pace di Luneville (1801) e dopo il concordato tra Napoleone e la Santa Sede. Questa situazione
aveva indotto i granduchi, tra 1802 e 1804, ad ordinare ai conventi di tornare sotto l'obbedienza
della Chiesa secondo ancora i canoni del Concilio di Trento. A questo punto Napoleone diventa
imperatore dei Francesi e una nuova crisi politica tra imperatore e papa Pio VII portò conseguenze
anche alla Toscana (rietichettata regno di Etruria dai Borbone).
27 ottobre 1807, trattato di Fontaibleu: Toscana diventa parte dell'impero francese. Dal 1808 (tutto
il territorio francese?) diviso in 3 dipartimenti e, dal marzo del 1809, era tornata ad essere di fatto
un granducato con a capo però Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone. Ordine, direzione e comando
stavano però a Parigi nelle mani dell'imperatore.
La soppressione degli ordini religiosi fu una delle conseguenze di questa situazione politica. Per la
Toscana siamo alla terza soppressione, articolata in 3 anni.
• La prima ordinanza fu del 1808, esisteva un amministratore generale della toscana (Eduardo
Sci?), e interessò tutti gli ordini e istituti dedicati alla vita consacrata tranne quegli ordini
(come gli scolopi) che fornivano un contributo molto importante alla vita civile,
occupandosi di istruzione, carità, ospedali e scuole.
• Nel 1810 un decreto imperiale impose la definitiva e generale soppressione. Tutti gli
stabilimenti religiosi vennero chiusi e il patrimonio venne totalmente confiscato. Anche a
Firenze i francesi operarono come avevano già fatto in patria. I libri vennero portati via dai
conventi e concentrati in un'unica sede dove si provvide a una registrazione dei beni (registri
tutt'ora conservati a FI in cui venivano indicati ente e convento da cui provenivano,
descrizione del libro e destinazione che veniva data ad esso). Anche in questo caso i libri più
preziosi presero la via di Parigi, anche se si trattò di un numero piuttosto ridotto. La gran
massa dei libri rimase a Firenze e venne suddivisa tra le varie biblioteche presenti su suolo
cittadino (le solite 3). Istituzioni bibliotecarie già presenti sul territorio ma alcuni libri
vennero concessi anche a enti creati sulla base del codice civile napoleonico, come ad
esempio alla biblioteca della corte d'appello.

Lezione 25.03
Contrariamente alle soppressioni leopoldine quelle napoleoniche riguardarono tutti gli stabilimenti
religiosi. Grandi masse di libri ridistribuite nelle varie biblioteche esistenti, affidate anche a
biblioteche di enti che non esistevano nel granducato di Toscana, come la corte d'appello
(istituzione che dipende dal codice napoleonico). Le biblioteche fiorentine si ritrovarono una gran
massa di libri che vennero incamerate nelle loro raccolte, divise secondo un criterio di
specializzazione: incunaboli e manoscritti trasferiti preferibilmente alla mediceo-laurenziana ma
non in modo tassativo. Di tutto questo veniva fatta annotazione su dei registri (tutt'ora conservati).
Ad un certo punto l'astro di napoleone cala e, dopo la sconfitta di Waterloo viene convocato il
celebre congresso di Vienna nel quale l'Europa, l'Italia in particolare, viene riattribuita dei suoi
sovrani spodestati, riassestamenti che modificano la struttura, la suddivisione politica,
amministrativa e geografica della nostra penisola (es attribuzione Liguria e Sardegna al Piemonte,
nuovo regno di Sardegna). Dal congresso uscì l'assetto della penisola italiana che sarà tale fino alle
guerre di indipendenza.

Proprio un anno dopo il congresso, nel 1816, a Firenze viene pubblicata un'opera che segna la prima
realizzazione della biblioteconomia moderna italiana che reca il titolo della costruzione e del
regolamento di una pubblica e universale biblioteca con la pianta dimostrativa, trattato di
Leopoldo della Santa. Opera che fornisce un progetto di biblioteca anche dal punto di vista
architettonico dell'organizzazione degli spazi che sarà un modello di biblioteca che arriverà fino
almeno alla metà del XX secolo e che rappresenta un modello di riferimento per l'organizzazione
delle biblioteche. Nel frontespizio del libro l'autore è indicato in Leopoldo della Santa, in realtà uno
scribano della biblioteca magliabechiana di Firenze e questa sua occupazione ha indotto i critici a
ritenere che il trattato non sia in realtà opera sua ma che abbia semplicemente acconsentito all'uso
del suo nome per indicare l'autore dell'opera. Secondo molti critici l'autore dell'opera non sarebbe
Leopoldo ma il suo direttore Vincenzo Follini. Tesi sostenuta dal fatto che il volumetto (meno di
100 pagine) era un testo breve ma a modo suo rivoluzionario che contiene una critica severa del
modello e dell'organizzazione delle biblioteche precedente, elemento che poteva porre l'autore di un
saggio così forte e critico in cattiva luce nei confronti della comunità colta bibliotecaria dell'epoca.
D'altra parte un semplice scritturale non poteva avere una conoscenza della scienza
biblioteconomica dimostrata dall'autore del trattato. A riprova di questa vera paternità dell'opera sta
un opuscolo: il trattato contiene osservazioni, critiche e proposte in forte e netto contrasto con la
tradizione precedente e questo scatenò le recensioni negative dell'opera da parte di importanti
uomini di cultura (anche bibliotecari). Tra i tanti autori che criticarono con un articolo di una rivista
l'opera di della Santa ci fu anche l'abate Angelo Mai (a cui Leopardi dedicò una canzone, Biblioteca
di Bergamo è intitolata a lui, noto anche per aver adottato un sistema per la lettura dei palinsesti,
manoscritti in pergamena cancellati per poterla riscrivere). Nel 1817 viene pubblicata una
recensione anonima critica su un giornale milanese (biblioteca italiana, rivista importante che
partecipò al dibattito culturale del primo risorgimento) e a questo punto, provenendo la critica da
fonte autorevole. Scende in campo a difendere l'opera di della Santa proprio Vincenzo Follini che
pubblica, sempre a FI e sempre con lo stesso editore, delle osservazioni indirizzandola a Angelo
Mai (proprio perché figura di rilievo e competente). Questa discesa in campo, che aveva le
conoscenze per rispondere a tali “accuse” di un autore importante come Mai è uno dei motivi che
corroborano l'ipotesi che non sia della Santa il vero autore dell'opera.
Modello di biblioteca che ci porta per certi aspetti a delle soluzioni anche catalografiche perdurate
fino all'avvento della tecnologia informatica. Modello qui proposto ha valore storico ma è utile
anche perché spesso, nelle biblioteche di conservazione/storiche, ci si ritrova con situazioni
bibliografiche e biblioteconomiche che è bene sapere che derivino dal fatto che, nonostante le
critiche, il trattato ebbe una risonanza tale da portare all'adozione di tutte queste soluzioni illustrate.

Titolo: anche qui, su modello naudeiano, costruzione e gestione di una biblioteca pubblica e
universale (sia perché deve essere rivolta ad un'universalità degli utenti sia perché deve contenere
una universalità di documentazione tale da soddisfare le esigenze di tutti gli utenti). Importante
perché è una delle caratteristiche più importanti del suo progetto, insieme al fatto che viene mosso
dal desiderio di migliorare la gestione della biblioteca a favore dell'utenza.

Trattato diviso in 10 paragrafi:


1. dei difetti delle Pubbliche Biblioteche e dei danni che ne derivano ai libri;
paragrafo più critico. Tenta di mettere in luce i difetti delle biblioteche. Esordisce subito
rivendicando il ruolo centrale della biblioteca tra gli edifici pubblici di una città, da
questa centralità ne deriva che bisogna costruirle e realizzarle in modo razionale. Di
fronte agli inconvenienti che ha riscontrato nei vari modelli che conosce ha pensato di
riorganizzare la biblioteca e i suoi spazi, allegando la pianta di come, secondo lui,
dovrebbe essere organizzato lo spazio di una biblioteca. 3 elementi fondanti della
biblioteca (in realtà sappiamo che sono di più): studenti, (NB: studente non inteso in
senso moderno ma comprende chiunque si occupi di studi) i ministri (bibliotecari) e i
libri. Critica pesante al vaso librario perché non è stato pensato tenendo conto delle
esigenze delle 3 categorie e ha la grande inconvenienza di tenere il grande salone
destinato a contenere i libri e ad ospitare i lettori (sala di lettura all'interno del salone).
Gran sala, per quanto sia magnifica, non tiene conto dell'incremento dei volumi e della
loro buona conservazione e sicurezza. Opinione talmente radicata che si è creduto (e
ancora si crede) erroneamente che quella sopra le altre fosse da ammirarsi. Vaso librario
deriva sicuramente dai modelli delle biblioteche religiose. Essendosi venuti alla
necessità di ingrandire qualche pubblica biblioteca o ad erigerne una nuova (fatto molto
raro in Italia) era desiderabile che, conosciuti i mali e gli inconvenienti dall'esperienza, si
ovviasse anche dal punto di vista architettonico agli inconvenienti. Dove non era
possibile ampliare il salone ne venivano realizzati altri (chiamati gabinetti o gallerie,
terminologia ormai caduta in disuso anche se a FI abbiamo qualche esempio importante
come il gabinetto scientifico e letterario Giovan Pietro Vieusseux). Stanze aggiunte per
ovviare all'incremento dei libri servono sia alla loro conservazione sia al personale e agli
utenti (commistione). Problema polvere. Collocazione crea danni che impegnano i
custodi della biblioteca. Danni provenienti non soltanto dall'umidità, pioggia e
intemperie ma anche quelli dovuti all'illuminazione di tutti gli angoli della stanza
(finestre ampie, sole deve entrare all'interno del salone per consentire la lettura, ma
spesso va a cadere sui dorsi dei libri rovinandoli). Altro difetto del salone è il fatto che i
libri collocati su degli scaffali a vista inducendo anche chi non è studente ma
semplicemente un curioso a richiedere un libro, non perché sia interessato alla sua lettura
ma semplicemente per diletto, questo con pregiudizio da un lato della conservazione del
libro e dall'altro dell'utente cui viene sottratto il libro.
In questo paragrafo fa anche riferimento all'architettura della biblioteca sostenendo che
anche la biblioteca, come molti edifici pubblici, dovrebbe richiamare nella forma
architettonica la funzione. Idea molto interessante che non ha mai avuto realizzazione. È
di nuovo presente l'eco di Naudé e del suo invito rivolto al signor de Mesmes.
2. descrizione del salone e di tutta la biblioteca e dei sistemi da adottarsi per il di lei
regolamento;
sintesi progetto di della Santa e della sua biblioteca. Pur avendo accennato alla necessità
che la biblioteca possa essere facilmente riconoscibile dall'esterno, non si occupa
dell'architettura esterna ma dell'organizzazione interna degli spazi al suo interno e dei
compiti del bibliotecario. Solidità della facciata, dalla pianta si sale in modo da evitare di
essere al livello della strada, rammentando all'architetto solo che, se imponente e
maestosa cosa negli edifici pubblici è quella di essere distaccata da ogni altra fabbrica, a
quello di una biblioteca diventa necessità non solo per allontanarla da incendi e umidità,
ma ancora dai topi, furti e da qualunque altro danno o qualche altro fabbricato che può
apportare ad essa. Biblioteca deve essere collocata in posizione isolata rispetto al tessuto
urbano (dando all'edificio una visibilità ancora maggiore, non detto da della Santa) per
ragioni di sicurezza. È necessario che l'abitazione del bibliotecario superiore (direttore)
sia contigua o comunque molto prossima alla biblioteca, auspicando che sia nello stesso
immobile (per una migliore sorveglianza e altre ragioni) (biblioteca nazionale centrale di
Firenze dispone infatti di un alloggio). Scalone e vestibolo (ingresso) alle cui pareti
possono essere collocate antiche iscrizioni marmoree e 2 tabelle ai lati della porta: una
con gli orari di apertura e le ferie di tutto l'anno e nell'altra il modulo comportamentale
da tenere in biblioteca. Dal vestibolo si passa poi al salone di studio, dove ci sono tavoli
e sedie per gli studenti. In ciascun angolo della sala deve esserci un banco dove devono
essere ripartiti i custodi che osservano gli studenti e che attendono la richiesta di libri,
banchi elevati sia per la sicurezza dei libri sia per potergli permettere di vigilare con
maggiore facilità.
3. della posizione dell'Indice, del ministro di esso e sue incumbenze, e dei vantaggi che
derivano da tal Ministro;
per indice dei volumi si intende il catalogo. È assolutamente necessario che sia prossima
alla sala di studio. Il progetto di costruzione di biblioteca di della Santa prevede la
separazione tra utenti e documenti (libri devono essere richiesti e consegnati dai custodi,
procedimento ancora oggi in uso). Con il catalogatore, figura mai pensata e presente
nelle biblioteche, il pubblico viene ad essere bene e speditamente servito. Responsabile
del catalogo fa da interfaccia con le richieste degli utenti, i custodi hanno soltanto la
necessità di reperire i libri dove si trovano e, non dovendosi occupare dell'Indice,
possono vigilare meglio sui libri. Buona conservazione e buon servizio del pubblico
sono le necessità che della Santa pone davanti a tutto e che venivano penalizzate nella
vecchia visione del modello precedente. Strumenti fondamentali della biblioteca sono
l'indice e il dizionario bibliografico, comprensivo di tutto ciò che esiste nella biblioteca.
Diviso in più tomi (periodo in cui tutti questi cataloghi vengono ancora fatti a mano) e
comprende in una sola sequenza alfabetica i nomi degli autori, i titoli dei volumi e le
loro diverse edizioni. Catalogo definito successivamente “dizionario” perché contiene
anche, sempre in ordine alfabetico, le classi e le materie con l'indicazione dei libri
contenuti nella biblioteca che trattano di quella materia. Dizionario conservato presso il
ministro dell'indice e viene somministrato agli studenti quando necessario. Il ministro
dell'indice annoterà volta per volta tutti quei libri richiesti che non possono essere
somministrati causa la loro effettiva mancanza. Problema mancanza di libri che
soddisfino le richieste, raccomanda al bibliotecario di provvedere al recupero di quei
libri richiesti che mancano. Ricorso anche alle eventuali donazioni da parte di utenti. Al
ministro dell'indice vengono poi consegnati tutti i nuovi acquisti, che vengono
conservati nella sua stanza fino a quando non saranno annotati nell'indice e nel
dizionario, bollato e fatto sopra di essi indicazione. Prassi ancora oggi vigente:non si può
mettere a disposizione dell'utente un nuovo acquisto fintanto che il libro non è registrato,
bollato (viene apposto il timbro), etichettato (etichetta sul dorso recante la collocazione)
e poi catalogato.
Fa un accenno anche ai cosiddetti opuscoli (pubblicazioni che non superano le 50
pagine) dicendo che spesso vengono trascurati (come detto già da Naudé), trascuratezza
che ci ha privato di molte informazioni. Fatto non giustificabile in una biblioteca
universale. Infine si preoccupa di indicare quali siano i requisiti e quale sia la tipologia
di impiegato del ministro dell'indice. Impiegato della biblioteca può essere affiancato dal
suo aiuto ma devono essere entrambi della classe dei letterati (uomini dotati di cultura).
4. delle stanze dei bibliotecari, del saloncino privato e del suo uso, e di ogni altra
appartenenza alla biblioteca ;
qui dichiara esplicitamente che nel suo progetto di biblioteca ha separato definitivamente
e distinto i depositi librari dagli uffici dei bibliotecari e altri ambienti. In particolare il
saloncino privato, riservato al direttore, vi è collocato l'archivio. In questa stanza sono
conservati tutti i frammenti di volumi rari, che servono per completare altri esemplari
mutili o rovinati (cosa che oggi non ammettiamo), il registro dei donatori (spesso
ricordati anche con lapidi nel vestibolo). Ci sono anche altre stanze e altre attività:
l'officina libraria (legatoria attività fatta in casa per risparmiare su costi spesso alti),
magazzino che serve ad ospitare strumenti per la pulizia, e un'altra stanza dove erano
conservati strumenti utili alla scrittura e ai libri (polvere da aspergere sull'inchiostro per
asciugarlo). È necessario che ci siano anche pozzo, acqua e camino, necessità acqua
corrente e riscaldamento.
Ci sono delle librerie che non sono depositi librari, vicino alle stanze del bibliotecario,
dedicate ai libri più rari e preziosi e sono quella che viene comunemente chiamata la
resèrve (o sala dei manoscritti nella biblioteca nazionale centrale di FI). Vicino ai
bibliotecari e chiuse a chiave (in molte biblioteche si fa spesso ricordo alla cassaforte).
Banco molto grande dove poter collocare i volumi atlantici (di grande formato).
Problemi altezze e misure, scaffale deve poggiare su uno zoccolo di cemento in modo da
non poggiare direttamente a terra.
5. delle librerie, o stanze dei libri;
6. degli impiegati della biblioteca;
classificazione del personale diviso in classi, comune in tutti gli impegni pubblici e
statali.
◦ Alla prima classe appartiene il bibliotecario/direttore, il suo aiuto, il ministro
dell'indice e il suo aiuto. Secondo della Santa queste 3 figure si succederanno: al
direttore succederà il suo aiuto e quando il ministro dell'indice andrà in pensione
subentrerà il suo aiuto.
◦ Seconda classe comprende i copisti
◦ terza classe: custode e i suoi 3 aiuti. Custode capo dei 4 che controllano la sala di
studio e sala dei libri. Dotazione minima, se biblioteca si trova in una città dove il
numero degli utenti è alto allora si può aumentare la dotazione del personale almeno
con un aiuto del ministro dell'indice che lo renda ancora più efficace.
7. degli scaffali della biblioteca
lunghi rettangoli lati pianta sono tutte stanze di libri, piccole stanze ciascuna contenenti
scaffali, sempre sopra basamento. Divise in stanze, ognuna avrà un modo di
identificazione (lettera o numero). Stanze riempite indipendentemente dalla materia e
dalla classe a cui appartengono, si cerca di sfruttare al massimo lo spazio per raccogliere
maggior numero possibile di libri (quantità la rende universale). Scaffali e palchetti
contengono a loro volta un'indicazione che li contraddistingue. Ogni volume all'interno
di un palchetto avrà un numero di catena che indicherà la posizione.
8. della collocazione dei volumi
9. dei vantaggi che dalla abitazione del bibliotecario unita alla biblioteca ne derivano
Se abitazione bibliotecario si trova nello stesso edificio della biblioteca lui può essere
sempre presente e far fronte in ogni momento a emergenze e quant'altro. Si sottolinea
come la figura del bibliotecario, soprattutto del direttore, sia quella di un uomo di cultura
e che ciò gli consenta di portare avanti ricerche che poi pubblicherà (come abbiamo visto
per i grandi bibliotecari del Settecento)
10. dell'indice dei volumi,e del dizionario bibliografico
per l'indice dei volumi è fondamentale stabilire quale sia la modalità di collocazione dei
volumi. Esame attento di quelle che sono alcune tipologie di collocazione e ne evidenzia
gli inconvenienti. Classificata, per materie, lettere, etc. siccome però lo scopo principale
del piano di della Santa è quello di sfruttare al massimo lo spazio, conclude dicendo che
l'oggetto del sistema di questo e di altri indici (tutti quelli che ha passato in esame) non è
quello che doveva essere, e cioè la facile reperibilità dei volumi tanto nell'indice che
nelle stanze e la facile ricollocazione degli stessi. Ad evitare quindi altri incomodi,
difficoltà, perdite di tempo e altri inconvenienti volumi collocati senza alcun ordine di
classe, materia e alfabeto. Nessuna suddivisione dei libri, collocazione definita “fissa”, si
indica e si trascrive (sia nell'indice sia nel dorso del libro) la posizione riferita alla
stanza, dal numero di scaffale e posizione che occupa all'interno dello scaffale (es libro
pagina 72). Si preoccupa di ricordare che il dizionario bibliografico è un catalogo
dizionario (quindi contiene anche le opere) e che gli opuscoli devono essere riuniti e
legati insieme(ritorno miscellanea fattizia) e che bisogna fare un elenco di quello che
contiene ogni singolo volume.
Informazioni relative alla gestione catalografica: libri di lusso, di collezione, rari e libri
proibiti devono avere contrassegni particolari che dovevano essere facilmente
identificabili dai distributori. Si preoccupa anche di pubblicare anche uno specimen di
come è strutturato l'indice, cosa che ritroviamo in molte biblioteche (la marucelliana, per
esempio, ha una stratigrafia di cataloghi, compresi quelli a volumi, che sono organizzati
secondo l'esempio che ci viene qui presentato). 4 colonne: nome dell'autore, titolo
dell'opera, formato, luogo di stampa, editore e anno e la collocazione.

Lezione 30.03
XIX secolo in cui tradizionalmente e convenzionalmente poniamo la fine dell'età moderna per
indicare l'inizio dell'età contemporanea. Dal nostro punto di vista consideriamo convenzionalmente
dal 1830 finita l'epoca della stampa manuale, modificandosi in senso tecnico. Secolo del
romanticismo, della seconda rivoluzione industriale, sviluppo tecnologico e uso macchina a vapore
in tutti i settori, non solo produttivi (navi a vapore e prime rotte transatlantiche, treno a vapore,
prima rete ferroviaria in Italia era nel regno delle due Sicilie Napoli-Portici). Sviluppo ptoduzione
genera la nascita della classe operaia, secolo in cui Karl Marx pubblica il Manifesto del Partito
Comunista (1848).
Per noi italiani, essendo il divario tra le regioni già considerevole, c'è un evento importante che
divide il secolo in due parti: una preunitaria e una post unitaria. Esistono le distinzioni negli archivi
di stato tra archivio preunitario e archivio postunitario. Evento che segna profondamente il secolo
almeno a partire dai primi moti del 1821 con tutta una serie di eventi (anche bellici) che portarono
alla proclamazione dell'unità d'Italia nel 1861.
Congresso di Vienna, periodo cosiddetto di “restaurazione”.
È utile richiamare alla mente l'assetto geopolitico italiano così come si presenta dopo l'applicazione
delle deliberazioni del congresso. Da N-O abbiamo una nuova formazione statale, forse uno dei più
ampi e popolosi ed è la novità costituita dall'attribuzione ai Savoia del nuovo Regno di Sardegna
che riunisce sotto la dinastia sabauda la valle d'Aosta, Piemonte, Liguria (che perde così la sua
secolare indipendenza repubblicana) e Sardegna con capitale Torino. Ad Est il Lombardo-Veneto
territorio posto sotto il diretto controllo dell'impero austro ungarico (con capitale Vienna), al di sotto
stanno alcuni territori di minore entità territoriale ma di grande tradizione culturale quali i ducati di
Modena, Parma, Reggio, Massa Carrara e il ducato di Lucca, che perde il carattere repubblicano che
l'aveva distinta per secoli. Segue il granducato di Toscana con i Lorena e Firenze capitale. Abbiamo
poi lo Stato Pontificio, stato di grandi dimensioni che comprende buona parte dell'Italia centrale con
capitale Roma. Infine, territorialmente più ampio degli altri stati italiani, il Regno delle due Sicilie
posto sotto il governo della dinastia dei Borbone e con capitale Napoli ma sempre con un occhio di
attenzione e di riguardo verso l'altra capitale non dichiarata (Palermo).

È importante verificare quale fosse la situazione delle biblioteche negli antichi stati preunitari.
Da Nord, a Torino, viene istituita nel 1839 dal re Carlo Alberto la Biblioteca Reale, che possiede il
foglio contenente il celebre autoritratto di Leonardo Da Vinci. Al fianco di questa si sviluppa una
biblioteca universitaria che avrà grande sviluppo nel periodo successivo. Negli stati annessi al regno
sabaudo la situazione è analoga: Genova (capitale dell'antica repubblica) possiede una biblioteca
nata dalla statalizzazione della biblioteca dell'antico collegio dei gesuiti al momento della
soppressione della compagnia. Come succede in molti casi alle biblioteche dei gesuiti, questa venne
trasformata nella biblioteca della neonata università degli studi di Genova e addirittura, durante la
dominazione napoleonica e il regno d'Italia, aveva ricevuto i titolo di biblioteca nazionale,
situazione che ritroviamo speculare in Sardegna con la biblioteca Universitaria di Cagliari (nata
anch'essa dalla biblioteca del collegio dei gesuiti).
Milano, che già disponeva di una celebre biblioteca (Ambrosiana), è in realtà vista dal governo
austriaco come non più adeguata ai tempi e, pertanto, l'imperatrice Maria Teresa (che resse l'impero
dal 1717 al 1780) decide di dotare la città di una biblioteca moderna. Iniziativa teresiana nel
lombardo non limitata solamente a Milano, di fondazione teresiana sono anche altre biblioteche
presenti sul territorio (come la biblio di Pavia). A Milano la nuova biblioteca nasce dalla raccolta
privata del conte Carlo Pertusati (adeguatamente implementata), collocata fisicamente nella sede del
collegio gesuitico presente a MI in via di Brera, di cui incamererà i beni e prenderà la
denominazione (Biblioteca Braidense).
Ben più antica ascendenza ha invece la Biblioteca dell'ex stato repubblica di Venezia, la cui
indipendenza era già stata abolita da Napoleone (trattato di Campoformio, 1797). La Biblioteca di
Stato di Venezia, straordinariamente ricca di biblioteche private e religiose, risale al nucleo di libri
donati dal cardinale Bessarione nel 1468 (Biblioteca Marciana).
A Parma esiste la Biblioteca Palatina (termine palatino indica semplicemente il fatto di essere la
biblioteca del palazzo, in molte realtà italiane esistono le biblioteche palatine), fondata nel 1761,
che aveva assunto nel corso degli ultimi anni vari titoli, compreso il titolo di biblioteca nazionale.
Alla sua direzione bisogna almeno ricordare che si alterneranno alcuni dei massimi bibliotecari
della professione bibliotecaria italiana dell'Ottocento.
Di ben più antica ascendenza era la Biblioteca Estense di Modena, risalente addirittura al XIV
secolo, che aveva avuto come direttori almeno due personaggi davvero eccezionali sia dal punto di
vista culturale sia dal punto di vista dell'organizzazione della biblioteca: Lodovico Antonio Muratori
e Girolamo Tiraboschi.
Nel granducato di Toscana, oltre la presenza di numerose biblioteche religiose, private e nobiliari,
ricordiamo la presenza della biblio magliabechiana agli Uffizi, la biblio mediceo laurenziana in s
lorenzo, e quella marucelliana.
All'interno dello Stato pontificio la più importante è sicuramente la Biblioteca Vaticana (quella del
papa), di fondazione medievale e che aveva avuto sicuramente in Papa Niccolò V la spinta
all'apertura verso una biblioteca moderna. La biblioteca aveva anche incamerato altre biblioteche
molto importanti e prestigiose (come quella fondata da Federico da Montefeltro).
Nel regno delle due Sicilia Napoli ospita la Reale Biblioteca Borbonica, inizialmente nella reggia
napoletana di Capodimonte (come per molte biblioteche di corte) e, come la magliabechiana,
godeva per decreto reale del diritto di stampa per il regno di Napoli. Esistevano comunque molte
biblioteche religiose e private, più un'altra biblioteca di corte in quella che era la vera nuova reggia
del re (la Reggia di Caserta, biblio voluta dalla regina Carolina). Anche per sottolineare
l'importanza che il regno dava alla Sicilia come componente più importante di tutto il regno, anche
Palermo era stata dotata di una biblioteca regia già nel 1782.

Su questo panorama (che fu stabile per circa 40 anni) si innestarono le guerre per l'indipendenza
italiana che portarono alla proclamazione dell'unità d'Italia, frutto congiunto di azioni belliche e da
plebisciti (libere votazioni con le quali gli stati dichiarano di voler essere annessi allo stato
sabaudo). Tutto questo movimento sfocia nella proclamazione il 17 marzo 1861 dell'unità d'Italia.
Una delle molte conseguenze dell'unificazione territoriale fu quella della piemonesizzazione della
penisola, nel senso che la legislazione in vigore nel regno di Sardegna, visti i tempi di annessione
dei nuovi territori, viene estesa a tutti i territori che fanno parte del regno. Esempio classico di
questa estensione giuridica è la cosiddetta legge casati, che riformava completamente l'intero
ordinamento scolastico del regno sabaudo e che, una volta compiuta l'unità, venne estesa con
decreto a tutto il regno. Così già dal 1848 nel regno di Sardegna si era avuta una forte polemica
contro i gesuiti che nel mentre si erano ricostituiti. Nel regno di Sardegna era evidentemente molto
forte la posizione anticlericale, tanto che, nel 1855, veniva emanata la legge di soppressione degli
ordini e degli istituti religiosi, tranne quelli dediti in maniera prevalente alla predicazione,
all'istruzione e all'assistenza dei malati, considerate funzioni utili allo stato. Legislazione nata per il
regno di Sardegna viene gradatamente estesa agli stati preunitari.
Dopo la proclamazione il nuovo regno si trova davanti a una profonda crisi economica, sia alle
spese di guerra sia al fatto che l'annessione e conquista degli stati aveva fatto sì che il nuovo regno
si trovasse a doversi accollare i debiti contratti rimasti dai sovrani delle amministrazioni precedenti,
deficit economico e finanziario cui bisognava cercare di porre rimedio. Per tentare di colmare
questo deficit di bilancio il parlamento italiano promulgò la legge del 7 luglio 1866, legge che
sopprimeva gli ordini e le corporazioni religiose. A questa si aggiunse la legge del 15 agosto 1867
per la cosiddetta liquidazione dell'asse ecclesiastico. Queste leggi vennero poi dette comunemente
“eversive”. Legislazioni di questo tipo che andavano a colpire duramente la chiesa, creando un
profondo dissidio tra stato e chiesa perdurato e aggravato, che Cavour aveva risolto in maniera
sintetica proprio nella celebre frase a lui attribuita sul letto di morte “libero stato in libera chiesa” a
sottolineare come l'azione civile dello stato dovesse essere indipendente dai dettami religiosi e,
viceversa, la vita della chiesa doveva essere libera e indipendente di espletare la sua funzione per
quanto di sua competenza (fatto ancora oggi piuttosto sentito). La soppressione avveniva secondo
delle norme, un protocollo che doveva essere comune in tutto il territorio. Nel giorno stabilito dal
governo, comunicato preventivamente alla comunità religiosa, il commissario regio incaricato si
presentava al convento/monastero/abbazia oggetto a soppressione e procedeva all'inventario dei
locali e dei beni conservati in questi locali. Quindi, nei giorni successivi, i beni venivano portati via
e la comunità religiosa doveva abbandonare l'immobile. Le leggi prevedevano l'esproprio solo dei
beni comuni e non del singolo individuo, in quanto riconosciuti come proprietà privata (anche dalla
legislazione sabauda). Si tratta, come era già avvenuto con le soppressioni napoleoniche, del
soddisfare quella necessità di liquidità da parte del nuovo stato e che prevedeva soprattutto la
soppressione dei beni immobili che venivano venduti all'asta. Va anche ricordato che l'applicazione
della legge non fu così uniforme in tutto il territorio italiano ma dipese dalla realtà locale, dai
funzionari incaricati e, soprattutto, sappiamo che vi furono degli escamotages che vennero posti in
essere in alcuni casi come, per esempio, nel momento in cui l'abbazia e i terreni annessi ad essa
venivano posti in vendita, un nobile ricco e pio possidente del luogo si aggiudicava sia l'immobile
sia i terreni, anche se in realtà non li teneva per sé ma li restituiva con atto munifico alla comunità.
Molti beni furono fatti passare come beni privati dei singoli frati e non come beni comuni.
Interesse primario dello stato era il grande patrimonio immobiliare degli ordini e delle
congregazioni religiose e le questioni relative al patrimonio mobile e artistico erano rimaste
piuttosto al margine del dibattito del parlamento italiano finché, con regio decreto del 7 luglio 1866,
il parlamento stabiliva che i libri e gli archivi considerati destinabili a istituti museali e biblioteche
pubblicate nella provincia nella quale era ubicato il convento. Secondo la legge, compresa anche la
legge successiva del 1867, i libri e i manoscritti dovevano essere conferiti nella biblioteca pubblica
governativa della provincia in cui aveva sede lo stabilimento religioso soppresso. Nel caso di FI le
collezioni espropriate vennero suddivise tra le 3 biblioteche presenti ma, soprattutto quella
magliabechiana (anche perché in questo momento capitale dello stato, venne istituita una sezione ad
hoc per accogliere quel materiale proveniente dalle soppressione, creando il cosiddetto fondo
conventi soppressi, tutt'ora presente).
Nel caso della Toscana ci troviamo davanti alla quarta soppressione di beni religiosi ( soppressioni
postunitarie furono le ultime). I libri estrapolati dagli stabilimenti dovevano essere collocati nelle
biblio pubbliche presenti sul territorio. Nel caso però in cui gli stabilimenti soppressi insistessero su
un territorio privo di biblioteche governative o provinciali era possibile assegnarle ai comuni ma è
altrettanto vero che in molte realtà italiane mancavano anche le biblioteche comunali. Allora il
ministero competente, che era quello della Pubblica Istruzione (dal quale dipesero per molto tempo
le biblioteche e musei), prevedeva l'assegnazione di libri -manoscritti e a stampa- derivanti dalla
soppressione degli stabilimenti che potessero essere assegnate previa richiesta ai comuni presenti
competenti per territorio. La richiesta doveva essere inoltrata dal sindaco al ministero e, per essere
accolta, la legge italiana prescriveva che il comune si impegnasse a rispettare 3 condizioni:
• che il comune individuasse degli spazi idonei ad ospitare la biblioteca (sede idonea)
• che i libri venissero affidati alla gestione di personale competente (assunzione di
professionisti/bibliotecari)
• che il comune ponesse nel proprio bilancio una posta per la gestione della biblioteca, per
sostenere quindi le spese di funzionamento, somma che la legge stabiliva non poteva e non
doveva essere inferiore alle 200 lire annue (inserimento posta di bilancio comunale a favore
della gestione della biblioteca).
Numerose richieste da parte dei comuni. È così che molte biblioteche comunali italiane nascono
proprio in questo momento grazie alla richiesta da parte del comune competente dell'assegnazione
dei libri derivanti dalle soppressioni comunali. Per quanto riguarda invece l'afflusso dei libri nei
grandi centri verso biblioteche già storicamente consolidate ebbe dei grandi effetti.
Es Biblioteca Nazionale di Firenze massa di libri proveniente dai tantissimi istituti religiosi presenti
sul territorio della città e provincia, in un primo momento sorta di cernita della tipologia libraria per
cui alcuni volumi particolarmente idonei alla biblioteca mediceo-laurenziana o alla magliabechiana
ma certo il grosso si riversò sulla biblioteca nazionale (così come successe in molte altre grandi
biblioteche italiane). Eccezione per i territori non ancora riunificati al regno d'Italia come Roma e
Trieste.
Gran massa venne giudicata in maniera un po' severa da politici e bibliotecari perché si riteneva, in
parte a torto, che la massa di libri conservati dalle biblioteche ecclesiastiche fossero libri
fondamentalmente religiosi e devozionali e quelli che non erano di queste tipologie erano
sicuramente libri non aggiornati ai tempi e non idonei a una società ormai moderna come era quella
della seconda metà dell'Ottocento e quindi venivano guardati come una sorta di “zavorra”. Inoltre,
essendo spesso di antica fondazione, le biblioteche religiose contenevano a loro volta una serie di
stratificazioni, ovvero che nel corso dei secoli al nucleo centrale si erano aggiunte spesso
biblioteche donate da singoli religiosi che avevano incrementato il patrimonio della biblioteca e, già
all'interno della stessa raccolta della biblioteca religiosa, potevano di alcune edizioni essere presenti
più di un esemplare. Nel momento in cui questa massa di libri viene incamerata alla biblioteca
pubblica, la prima evidenza della collezione che viene acquisita (oltre all'ammirazione nei confronti
dei pezzi effettivamente rari, preziosi e importanti) la conseguenza forse più vistosa è che spesso i
nuovi esemplari costituivano il secondo o il terzo esemplare posseduto dalla biblioteca e a misura
che nuovi fondi librari da nuove corporazioni soppresse si riunivano nella stessa biblioteca
portavano ad avere un numero davvero alto di esemplari. Oggi tutto questo costituisce una grande
fortuna per un confronto tra esemplari della stessa edizione, operazione importantissima per il
bibliologo, anche se questa sensibilità è più recente e nasce nel Novecento. In questo momento
quello che si vede è lagravio di esemplari della stessa edizione che gravano sugli spazi (sempre
ridotti) e creano problemi anche di spazio. Questa considerazione si congiunge con l'altra, cronica e
tutt'ora presente, della mancanza di dotazioni economiche adeguate ai bisogni delle biblioteche,
soprattutto per i fondi disponibili per le acquisizioni di libri, che devono essere adatti alla società in
cui si vive (moderni, scientifici, di tecnologia, etc), libri che aiutassero gli utenti ad avere gli
strumenti idonei per affrontare anche i cambiamenti tecnico-scientifici. È chiaro che avere 5 o 6
esemplari di uno stesso libro del Cinquecento non andava in questa direzione.
Le due considerazioni (la duplicazione di esemplari e la mancanza sempre cronica delle risorse
adeguate per gli acquisti) indusse molte biblioteche (compresa la nazionale di FI) a richiedere al
ministero della pubblica istruzione di alienare e vendere alcuni doppi. Fenomeno che investe tutte le
biblioteche italiane (destinatarie delle soppressioni) e va sotto il nome di fenomeno della vendita
dei doppi. Ciò comportava che il bibliotecario compilasse un elenco di tutte quegli esemplari di
edizioni già posseduti in almeno due copie ed era autorizzato a procedere alla vendita. Fatto molto
grave secondo la nostra sensibilità moderna perché disperde ulteriormente un patrimonio già
disperso (avremmo avuto la possibilità di ricostruire la storia di un determinato monastero(?)). Con
la vendita dei doppi si mettono sul mercato molti esemplari provenienti da quella originaria
biblioteca per cui la ricostruzione originaria della raccolta era molto più difficile. La vendita fu un
grande fenomeno seguito con grande attenzione soprattutto dal mercato antiquariale internazionale
che vide in queste soppressioni religiose una modalità di messa in circolazione di esemplari, spesso
anche molto importanti e molto richiesti dai mercati, specie se pensiamo al grande mercato
nordamericano (e non solo) dove i grandi magnati (per es del petrolio) ambiscono a costituirsi
ricche biblioteche soprattutto di libri antichi, rari e di pregio provenienti dall'Europa. Fenomeno a
cui si dovette poi mettere un freno perché in alcuni casi le vendite non vennero eseguite secondo
criteri rigorosi: bastava semplicemente che un'edizione avesse due esemplari per cui uno venisse
comunque alienato.
Questo portò nelle casse delle biblioteche, solitamente molto magre, denaro fresco ma depauperò
notevolmente le potenzialità informative delle biblioteche. In alcuni casi molti collezionisti italiani
parteciparono a queste vendite e si assiste a volte ad un ritorno, per cui il collezionista fiorentino
che acquista molti esemplari duplicati venduti dalla biblioteca nazionale costituendo una grossa
raccolta poi, alla fine dei suoi giorni, per testamento lascia l'intera raccolta alla biblioteca nazionale
(che rientra in possesso di questi esemplari). Es Fondo Nencini della Biblioteca Nazionale,
composta in parte anche di libri che il collezionista aveva acquistato dalla biblioteca. Fenomeno
studiato e molto noto che sta alla base di quegli studi, oggi molto diffusi, che riguardano lo studio
delle provenienze dei libri.

Uno degli episodi più eclatanti della seconda metà dell'Ottocento in Ita furono le soppressioni,
confluenza di ricchi patrimoni librari da biblio ecclesiastiche a pubbliche. Possibilità per i comuni
di ricevere alcuni libri.
Se richiesta da parte del comune era formalmente corretta bisognava verificare il rispetto delle
condizioni previste dalla legge. Impegni sottoscritti e dichiarati dal sindaco, ministero non aveva
alcun modo di verificare che, una volta concessa l'autorizzazione, quello che era scritto nella
richiesta venisse mantenuto. Siccome in quest'epoca l'apparato statale è efficiente e di grande
capacità di controllo, il ministero della pubblica istruzione stabilì che sarebbe stata inviata
un'inchiesta sul territorio italiano con lo scopo di verificare l'esatta esecuzione messa in pratica
degli impegni presi dal sindaco nel firmare la richiesta di concessione dei libri conventuali. A questa
inchiesta fu preposto Torello Sacconi, direttore della biblioteca nazionale di Fi, eroe della guerra
d'indipendenza (da cui ne uscì ferito, assunto anche in virtù dei suoi meriti come patriota). Nel
1888, ormai in pensione (ma pur sempre servitore dello stato), venne incaricato di compiere un
viaggio in Italia per compiere l'inchiesta e verificare l'esecuzione e le modalità con cui i
trasferimenti ai comuni erano stati fatti e come questi avevano gestito il patrimonio dopo
l'esproprio.
Torello Sacconi prese l'impegno con estrema diligenza e percorse in lungo e largo l'Italia recandosi
in molte località, soprattutto quelle in cui il comune o l'ente (non comunale, come a Cortona, dove a
fare richiesta fu la biblioteca dell'accademia etrusca). Ovviamente un uomo solo, per quanto ligio e
zelante, non poteva controllare tutte le realtà ma effettivamente ne visitò moltissime. Alla fine stese
una lunga relazione al ministero (oggi conservata all'archivio centrale dello stato a Roma, due
ponderosi volumi). In anni recenti, proprio alla biblioteca Nazionale, Piero Scapecchi, per lunghi
anni responsabile della sezione manoscritti della biblio, scoprì ben 9 volumi di materiale
preparatorio per la relazione che Sacconi inviò. Il che vuol dire che, per formulare la propria
relazione, aveva raccolto in tutti questi volumi il materiale relativo a tutte le biblioteche da lui
visionate.
Il suo modo di lavorare è davvero esemplare: innanzitutto, egli prendeva contatto con il sindaco o il
segretario comunale del comune che avrebbe visitato presentando in anticipo una serie di domande
che avrebbe fatto agli amministratori. Inoltre si procurava in loco tutte quelle pubblicazioni, spesso
opuscoli, relative alla biblioteche o relative alla vita cittadina che radunava insieme alla trascrizione
resoconto dell'intervista con gli amministratori e una relazione dettagliatissima della situazione che
aveva trovato. Questi volumi, in parte già studiati, sono una fonte straordinaria di informazioni
perché, per esempio, ci conservano materiale relativo alla storia delle biblioteche di certe località
che spesso mancano addirittura nelle biblioteche e negli archivi della stessa località.
Es: laddove il bibliotecario fosse stato davvero assunto, sono conservate le relazioni che il
bibliotecario, a richiesta, aveva inviato a sacconi preventivamente per la visita. Strumento per storia
delle biblio italiane dell'Ottocento.

Quale fu la realtà che vide Sacconi a 20 anni dalla messa in atto delle disposizioni di legge?
Le realtà furono le più diverse, a seconda della località la realtà rinvenuta e descritta dalla
relazione è estremamente diversa. Fatto comune a quasi tutte le situazioni analizzate dal
viaggio riguarda la modalità di esproprio delle biblioteche conventuali. Comunità religiosa
veniva avvisata del giorno in cui sarebbe giunto il commissario governativo per procedere
all'inventario dei beni e all'allontanamento della comunità dalla sede. Fatto che consentiva
alla comunità religiosa di porre in atto delle strategie onde evitare di essere depauperata
delle parti più preziose dei beni mobili.
Per quando riguarda i beni librari, quello che Sacconi denuncia molto esplicitamente, come
nel caso di Arezzo, nei conventi aretini i monaci, in attesa che arrivassero i funzionari
governativi, tolsero dalla biblioteca comune i volumi ritenuti più preziosi e importanti per il
convento e li collocarono nelle celle dei singoli frati dichiarando che si trattava di libri di
proprietà del singolo frate.
Bisognava anche verificare il comportamento del comune. Lettura delle relazioni del
Sacconi è per certi versi divertenti perché denuncia le più varie situazioni: sindaco che non
lo vuole ricevere e che non vuole parlare con lui temendo il funzionario governativo, spesso
si può parlare soltanto con il segretario comunale. Spesso mancava un bibliotecario (non
potendo effettuare così un confronto). Non mancavano comunque comuni virtuosi che hanno
ottemperato a quanto richiesto. Altre situazioni incresciose dove i libri venivano
ammucchiati e accatastati in magazzini umidi (materiale sta deperendo).
Sacconi si pone sempre in una posizione nei confronti delle realtà locali di grande collaborazione:
nei lavori preparatori ci sono molte lettere di bibliotecari di provincia che si rivolgono a Sacconi per
chiedere consigli sulla gestione, Sacconi ricco di consigli e istruzioni, manda anche moduli per
provvedere alla gestione.
La relazione Sacconi e, in particolare, i lavori preparatori (conservati alla biblioteca nazionale fondo
manoscritti FI) rappresenta uno spaccato interessantissimo di quella che era la situazione in quel
momento in molte biblio italiane. Ancora oggi gli studiosi, soprattutto per le località toccate
dall'inchiesta, spesso trovano informazioni sulle origini delle biblioteche locali proprio nelle
informazioni raccolte da Sacconi.
La relazione al ministro ebbe come conseguenza semplicemente una lettera di ammonizione da
parte del ministero alle amministrazioni inadempienti ma non si ha notizia di particolari azioni più
pesanti. Quello che è certo è che fu poi la inteligentia locale che, di fronte a un patrimonio come
quello che derivava dalle soppressioni conventuali, si fece parte attiva per poter dare dignità a
queste raccolte e fondare quindi molte biblioteche comunali oggi ancora in funzione.

Lezione 31.03
Nuovo stato unitario si è trovato a doversi occupare di un gran numero di biblioteche.
Atteggiamento della classe politica del neo stato italiano e sentimento diffuso tra i parlamentari
vedeva in queste collezioni la memoria storica della nazione, una grande eredità preziosa degna di
essere conservata e tramandata ma, nello stesso tempo, il giudizio sulle raccolte era talvolta
negativo, basato sul fatto che le si ritenesse sostanzialmente non adeguate alle esigenze e alla
portata delle culture moderne (specie quella scientifica e della produzione straniera). Solo 8 anni
dopo la proclamazione del Regno d'Italia il regno si pose il problema di mettere ordine nel mondo
delle biblioteche. Ciò avvenne anche in seguito a quel fenomeno della soppressione delle biblio
ecclesiastiche, si trattava evidentemente di porre un ordine nel mondo variegato delle biblioteche
che derivavano da biblioteche degli antichi stati italiani.
L'iniziativa della proposta di una normativa per le biblioteche spetta come proponente al Ministro
della Pubblica Istruzione (fino agli anni 70 del Novecento le biblioteche e i musei hanno un'unica
dipendenza funzionale). In questo momento è ministro Angelo Bargoni che, per mettere ordine alla
situazione delle biblio, si era avvalso dei lavori preparatori di una commissione, presieduta da un
illustre personaggio dell'epoca: Luigi Cibrario. La proposta della commissione si concretizzò nel
decreto regio 53/68 del 26 novembre 1869. è bene sottolineare che si tratta di un regio decreto: la
scelta di questo tipo di testo normativo evita la emanazione di una vera e propria legge (gerarchia:
al grado più alto ci sta la legge e sotto i decreti). Scelta che sarà costante in tutta la storia delle
biblioteche italiane fino ad oggi, Italia è uno dei pochi paesi europei ad essere privo della legge di
stato sulle e per le biblioteche. Lacuna che sempre il dibattito bibliotecario e non ha evidenziato
come fattore di debolezza del panorama della normativa italiana sulle biblio. Il decreto si compone
di 36 articoli divisi nei vari titoli (7). Primo documento fondamentale relativo alle biblioteche in cui
ritroviamo molte delle indicazioni e suggerimenti che della Santa aveva dato nel suo lavoro sulla
biblioteca, teorie e prassi economiche che si sono diffuse nell'ottocento, anche sulla base di una
nuova attenzione a un paese vicino, in particolare alla Germania (da cui derivano alcuni dei primi
manuali di biblioteconomia postunitaria).

• Titolo primo del regio decreto indica le biblioteche governative e la loro classificazione.
◦ È fondamentale in particolare l'Articolo 1 importante perché si indica l'ambito di
applicazione della norma, riferita alle biblioteche governative, chiarendo che si tratta di
tutte le biblioteche presenti nel regno finanziate dallo stato (dotazione economico-
finanziaria dello stato che gravano sul bilancio dello stato). Inoltre il personale che
lavora in quelle biblioteche è nominato del governo, spesa è posta di bilancio a carico
dello stato
◦ All'articolo 2 si afferma che le biblioteche governative, ancorché annesse alle università
o ad altri istituti, dipendano dal governo e i rispettivi loro capi hanno comunicazione
immediata con il ministero della pubblica istruzione. Tra le biblio governative ce ne sono
alcune autonome (come la biblio nazionale di fi) e altre che invece sono legate
funzionalmente e anche come dipendenza organizzativa da altri enti ma che dipendono
comunque dal governo. In qualche modo c'è un'unitarietà della tipologia di biblioteche
governative. Da questo discorso sono escluse totalmente le biblioteche comunali (mai
oggetto di normativa statale).
◦ Articolo 3 distingue le biblio governative in 2 gruppi funzionali/ classi: alla prima classe
appartengono quelle biblioteche gov che sono destinate a conservare il carattere di
generalità, mentre alla seconda appartengono quelle che hanno o che sono suscettibili di
assumere un determinato carattere speciale (quelle che oggi chiameremmo “biblioteche
specializzate” tra le quali rientrano anche quelle delle università).
◦ Articolo 4 specifica la differenza tra le due classi appena citate, differenza che riguarda
semplicemente la maggiore o minore disponibilità finanziaria assegnata dallo stato e dai
diversi livelli che il personale che opera può rivestire.
◦ Articolo 5 elenco delle biblioteche governative che appartengono alla prima classe. 13
biblioteche: biblio universitaria di Torino, biblioteca di Brera di Milano, biblioteche
universitarie di Pavia e Padova, biblioteca Marciana di Venezia, la biblioteca di Parma
(oggi definita palatina), biblioteca di Modena definita palatina, biblio universitaria di
Bologna, biblioteca nazionale di Fi, biblioteca nazionale di Na, biblioteca universitaria
di Na, la nazionale di Palermo e la biblioteca di Cagliari (non indicata come universitaria
ma di fatto lo è). Napoli è l'unica città in cui hanno sede due biblioteche governative.
Presenza di numerose biblio universitarie, nate come nucleo originario dalla
soppressione dei collegi dei gesuiti.
• Titolo Secondo, norme che regolano l'ordinamento interno delle biblioteche, parte che forse
più ricorda le descrizioni di della Santa. Articoli 6-13, norme tecniche gestione bibliotecaria,
parte più biblioteconomica della normativa.
◦ Articolo 6 ogni opera che esiste o che vi entra deve essere bibliograficamente descritta in
una scheda. Imposizione che tutto il materiale posseduto dalla biblioteca deve essere
premilinarmente descritto a livello bibliografico.
◦ Articolo 7 si prescrive che ogni biblioteca governativa deve possedere un inventario
generale, un catalogo alfabetico e uno per materia (indici prescritti da della Santa)
◦ Articolo 8 come compilare l'inventario generale, in volumi, contenente la registrazione
sommaria di tutte le opere stampate secondo l'ordine progressivo con il quale sono
collocate nelle varie sale, scaffali e palchetti. Eco della prescrizione di della Santa.
Problematiche connesse agli aggiornamenti. Tale catalogo sarà continuato con norme
uniformi previamente stabilite da ciascun bibliotecario. Comma importante perché
denuncia la mancanza di norme uniformi, non dettate da un'autorità ma decise
direttamente dal bibliotecario e, come tali, soggette a cultura o alle sue decisioni.
◦ Articolo 9 catalogo alfabetico deve parimenti comprendere tutte le opere stampate e
scritto a volumi.
◦ Articolo 10 catalogo per materie, che deve seguire la divisione per materie secondo la
scienza, attenersi alle spartizioni più generalmente adottate. Anche qui manca un sistema
di classificazione a quest'altezza cronologica, si invitano le biblioteche ad attenersi alle
suddivisioni più comunemente note e adottate.
◦ Articolo 11 per i manoscritti devono esistere in ogni biblioteca governativa un inventario
generale, un catalogo alfabetico e uno per materie. Si denota il manoscritto come parte a
sé stante della biblioteca, dati relativi ai manoscritti non saranno contenuti nei cataloghi
degli stampati ma redatti a parte.
◦ Articolo 12 indici speciali per materiali speciali, in genere conservati nelle grandi
biblioteche in sale a parte e modalità diverse dagli stampati comuni: dai codici miniati
agli incunaboli, pergamene, autografi, mappamondi e carte geografiche e tutte le rarità
bibliografiche (ricezione concetto che già nel Settecento il mondo librario antiquario
aveva recepito).
◦ Articolo 13 materiale particolare (manoscritti e rarità bibliografiche) in cui si sostiene
che questi materiali, che più interessano gli studiosi (scelta lasciata sempre a discrezione
del bibliotecario). Questi cataloghi e inventari devono essere stampati per dare conto di
un materiale in questo momento ritenuto anche per norma più interessante per gli
studiosi.
• Titolo Terzo riguarda le dotazioni e gli acquisti, modalità di incremento delle raccolte.
Articoli 14-19
◦ Articolo 14 afferma che, a livello di iniziativa ministeriale, ogni biblio gov di prima
classe deve ricevere direttamente dal governo la raccolta ufficiale di leggi e decreti, atti
del parlamento, pubblicazioni della statistica ufficiale ed ogni altra pubblicazione
governativa. Riconosciute come punto fondamentale dal governo per dare all'utente la
possibilità di consultare tutta la documentazione relativa all'aspetto normativo dello
stato. Sorta di centro di documentazione.
◦ Articolo 15 afferma che per qualsiasi biblioteca governativa i fondi destinati alla
dotazione per l'acquisto di libri devono essere distinti da quelli assegnati alle altre spesse
e non possono mai stornarsi per altri usi. Principio importantissimo: biblio gov riceve
dal ministero una dotazione in cui è ben indicato quale somma deve essere destinata
all'acquisto di libri, somma che deve essere utilizzata esclusivamente a quello scopo.
◦ Articolo 16 chi decide e chi programma gli acquisti/implementazione di una biblioteca
governativa. Criteri stabiliti in due commi. Acquisti annualmente proposti da una
commissione nominata per 3 anni da ministero della pubblica istruzione
(centralizzazione dello stato forte nei confronti di queste biblioteche). Nel secondo
comma spiega chi sono i componenti di questa commissione (bibliotecario/direttore, che
sarà il presidente di commissione, 3 professori di università o istituti superiori di
insegnamento e 3 membri di accademie scientifiche). Rilievo dato alla parte
dell'insegnamento. Norma che non è mai stata abrogata fino a tempi recenti, sempre in
valsa se non per il fatto che nella prassi il direttore faceva un po' tutto da solo.
◦ Articolo 17 possibilità che importo delle opere da acquistare ecceda lo stanziamento
concesso dal ministero. Per le acquisizioni più urgenti bisogna fare richiesta esplicita al
Ministero, che deciderà se accogliere o meno la richiesta di ampliamento del budget.
◦ Articolo 18 sostiene che presso ciascun bibliotecario esisterà un registro sul quale ogni
studioso o frequentatore di biblioteca sarà ammesso a indicare i libri di cui bramerebbe
che la biblioteca ne facesse l'acquisto. Questo istituto dei desiderata è un fatto tutt'ora
esistente e prassi ancora seguita dalle biblioteche.
◦ Articolo 19 sancisce quel fenomeno della vendita dei doppi, che può essere autorizzato
tra biblioteca e biblioteca su deliberazione del ministro e su proposta dei bibliotecari. A
fronte di vendite allegre di doppioni il governo tenta di porre maggiore attenzione,
autorizzando la vendita tra biblioteche. Non si nega nemmeno la possibilità per la
biblioteca di procedere con la vendita a privati di doppioni che siano effettivamente tali
ma, in questo caso, non basta che il bibliotecario scriva al ministro per l'autorizzazione
ma la proposta deve essere controfirmata e validata dalla commissione per gli acquisti.
• Titolo Quarto un solo articolo (Articolo 20) che ha come oggetto il corso tecnico. Presso
una o più biblioteche governative potrà, con decreto ministeriale, essere aperto un corso di
paleografia e bibliologia (studio del libro a stampa). Importante, presso molti archivi di stato
esiste la scuola di archivio, scuola che attribuisce un diploma di archivista. Problema che sta
dietro a questo articolo riguarda la formazione dei bibliotecari. Come avveniva? Non
esistevano corsi per bibliotecari e non c'era la possibilità di seguire corsi universitari, spesso
e volentieri ci si preoccupava degli aspetti apicali della biblioteca (il direttore e il suo aiuto,
e così dicendo). Come affermato da della Santa devono essere degli uomini di lettere, eruditi
che abbiano una formazione letteraria. Non esisteva però una formazione tecnico
professionale. Questo articolo dispone che sia possibile presso alcune biblioteche, con
decreto ministeriale, attivare dei corsi di formazione su due discipline ritenute le più idonee
alla sua formazione. Per decreto bisognava stabilire la durata del corso, ufficiale/funzionario
che tiene i corsi (se lo fa viene gratificato con un'aggiunta allo stipendio) e le norme relative
alle attestazioni da rilasciare ai frequentatori (attestato può essere rilasciato su richiesta del
partecipante al termine del corso). Nulla si dice del fatto che questo corso prepari alla
professione di bibliotecario.
• Titolo Quinto “discipline”, riguarda il funzionamento anche quotidiano della biblioteca
◦ Articolo 21 afferma che, autorizzata l'apertura serale delle biblioteche governative,
purché i locali per la lettura siano separati e purché i libri da concedersi siano stati
preparati in anticipo nei medesimi locali. Ancora non è stato detto quanto e come le
biblioteche debbano stare aperte. Qui si dice che possono essere aperte anche la sera ma
a delle condizioni.
◦ Articolo 22 consultazione materiale antico, raro e di pregio che deve essere autorizzata
dal bibliotecario o da un funzionario delegato.
◦ Articolo 23 uno dei servizi forse più richiesti, riguardante cioè il prestito. Qui si afferma
che al di fuori della biblioteca non si potranno concedere libri a prestito tranne che:
membri delle reali accademie e dei reali corpi scientifici dello stato, i professori
universitari, professori dei licei governatori e ai professori degli istituti tecnici-
governativi. Al di fuori di queste categorie il prestito non è ammesso. Non esiste però
solamente il prestito interno (fatto cioè ai cittadini della città in cui ha sede la biblioteca)
◦ Articolo 24 riguarda il prestito interbibliotecario nazionale. Iter piuttosto complesso,
prestito deve avvenire attraverso prefetture e servizi postali (raccomandata), salvo che
questa modalità non venga modificata da appositi regolamenti precisi di cui la biblioteca
si può dotare.
◦ Articolo 25 prestito estero e internazionale. Fuori dal regno non possono essere inviati
libri se non in via diplomatica. Complicazione enorme modalità di prestito, oggi non
esiste più.
• Titolo Sesto riguarda le risorse umane, impiegati. Articoli 27-32.
◦ Articolo 27 afferma che l'ammissione agli impieghi nelle biblioteche governative ha
luogo per concorso. La sola nomina al posto di bibliotecario può essere fatta in
considerazione della fama del candidato senza concorso (chiamata per chiara fama), oggi
non avviene ma in passato sì (come per Torello Sacconi)
◦ Articolo 28 impieghi nelle biblioteche sono determinati dagli uffici che vi si
compiono,dichiarazione di funzionalità. Varie categorie: bibliotecari, vice bibliotecari,
ufficiali di 1,2 e 3 grado e distributori di 1 e 2 grado. Pianta organica numerica di
ciascuna biblioteca stabilisce il numero di ufficiali e distributori per ciascuno dei
rispettivi gradi. Nel secondo comma si dice che le biblioteche di secondo grado hanno
una dotazione di personale ridotta.
◦ Articolo 29 riguarda lo stipendio annuo per gli impiegati
◦ Articolo 30 tipologia di concorso che deve essere espletato per poter prendere impiego
presso le biblioteche. Concorso per titoli ed esami, si stabilisce che è necessario un titolo
di studio (tranne che per i posti di distributore) bisogna aver superato esame di licenza
liceale. Fra i titoli prevale in caso di parità l'attestato di partecipazione al corso
paleografia e bibliologia (art.20).
◦ Articolo 31 rimanda al regolamento che deve stabilire i programmi degli esami e come
vengono istituite le commissioni
◦ Articolo 32 promozioni di livello degli impiegati devono avvenire per ragioni
esclusivamente di merito.
• Titolo Settimo riguarda le disposizioni speciali
◦ Articolo 33 biblioteca nazionale di FI che deve impegnarsi a 3 compiti principali:
▪ sarà tenuta la biblioteca delle opere su cui siano stati riservati i diritti di proprietà
letteraria, deposito e conservazione del deposito
▪ deposito di un esemplare di tutte le produzioni contemplate dalla vigente legge sulle
stampe per cura dei procuratori del re, tramite ministero di grazia e giustizia.
▪ costituzione di una biblioteca storica moderna mediante una collezione completa di
tutti i documenti che si riferiscono al grande movimento nazionale italiano dal 1821
in poi (tutti i documenti relativi al risorgimento italiano).
◦ Articolo 34 un solo comma, dedicato interamente alla biblioteca Laurenziana di Firenze.
Si afferma che, per la specificità e per il suo carattere di specialità, questa è parificata
alle biblioteche di prima classe.
◦ Articolo 35 riguarda Firenze e la Biblioteca Riccardiana (pubblica dal 1815) che per
varie vicissitudini diventa anch'essa governativa. Si propone la fusione di questa
biblioteca con la laurenziana, fusione mai avvenuta.
◦ Articolo 36 rinvia a regolamenti attuativi della norma.

Disposizioni di breve durata perché il 20 settembre 1870 l'esercito italiano sfonderà Porta Pia e
conquisterà Roma. 20 settembre fu, per la durata del regno d'Italia, festa nazionale italiana. La
conquista della città di Roma, oltre a creare un insanabile dissidio tra stato italiano e santa sede
(risolto molto più tardi con i patti lateranensi), riduceva il territorio posto sotto il governo del
pontefice esclusivamente al territorio del Vaticano. Al papa, oltre ad annessi come la tenuta di
Castel Gandolfo (fuori Roma), veniva riconosciuta la proprietà della biblioteca vaticana così come
invece la sede del re verrà trasferita (capitale da FI a RO), re si stabilisce nel palazzo del Quirinale
(dove prima stava il papa). L'annessione di RO al regno comportava nel 1871 la proclamazione di
RO capitale, cosa che significò l'estensione a tutto il territorio, allora ancora sottoposto al potere
pontificio, di tutta la legislazione del regno d'Italia, ivi comprese quelle leggi che prevedevano la
soppressione degli ordini religiosi.

Capitale mancava in questo momento degli strumenti che, a detta della classe politica italiana,
dovevano connotare una moderna capitale europea. Città di Roma doveva essere dotata di tutte
quelle strutture, non solo per la gestione amministrativa dello stato ma anche di strutture culturali
tipiche delle grandi capitali degli altri stati europei (modello di riferimento è quasi sempre Parigi).
Qualcuno iniziò a pensare che tra le dotazioni che una moderna capitale europea doveva presentare
era anche quella di una biblioteca, idea che era anche nella mente del Ministro della Pubblica
Istruzione Ruggero Bonghi (ministro dal 1874 al 1876), che decise che la capitale del nuovo regno
non poteva essere priva di una biblioteca.
Come fare per allestire in tempi piuttosto rapidi una biblioteca a Roma? Qui vennero in aiuto le
famose soppressioni: essendo la città dotata di numerosi istituti religiosi e di molte biblioteche
religiose, queste erano state soppresse e incamerate dallo stato, in particolare la Biblioteca del
collegio gesuitico (il Collegio Romano). Sono proprio i locali del collegio romano dove Bonghi
riesce a radunare e a raccogliere in pochissimo tempo una gran quantità di libri che venivano portati
via dalle biblioteche convenutali, monastiche e religiose. All'interno di questo grande spazio
vennero accumulati i libri soppressi in modo da costituire un nucleo storico che mancava a una
biblioteca di nuova fondazione. Biblioteca intitolata al re Vittorio Emanuele II, iniziò quindi a
fregiarsi del nome di Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II. L'iniziativa di Bonghi venne
realizzata in tempi piuttosto rapidi e in maniera non sempre perfetta da un punto di vista
biblioteconomico, anche se bisogna riconoscere che l'organizzazione della struttura interna della
biblioteca rispondeva tendenzialmente a quelli che erano i precetti di della Santa, grande sala di
lettura non era fornita di libri (separati dai lettori).
Per quanto riguarda il catalogo invece, questo venne fatto per la prima volta a schede e non a
volumi ma si presero anche norme per la redazione delle schede di catalogo, norme elaborate(?) da
Antonio Panizzi , uno dei più celebri bibliotecari ottocenteschi, esule italiano a causa delle sue idee
politiche carbonare e trasferitosi in Inghilterra dove aveva percorso una grande carriera all'interno
della più importante istituzione bibliotecaria inglese, la British Library, fino a diventarne il direttore.
Celebre per aver coniato tra i primi delle regole per la redazione del catalogo di una biblioteca.
Biblioteca aperta al pubblico il 14 marzo del 1876, apertura che fu oggetto di critiche perché il
complesso delle dotazioni librarie era formato per la maggior parte da libri provenienti da
stabilimenti religiosi (spesso religiosi e scarsamente aggiornati nei settori delle scienze). Biblioteca
doveva dotarsi della parte di pubblicazioni moderne.
La coincidenza temporale volle che, nel momento in cui veniva inaugurata la biblioteca, il 26 dello
stesso mese entrò in vigore il nuovo regolamento organico delle biblioteche governative, che
sostituiva quello del 1869. si trattava del regio decreto 29/74 del 20 gennaio 1876. rispetto al
decreto precedente questo è, anche dal punto di vista quantitativo, un decreto molto più complesso e
conta 87 articoli. Alla stesura di questo provvedimento aveva aiutato e collaborato con il ministro
della pubblica istruzione un grande bibliotecario italiano: Desiderio Chilovi.
Anche in questo nuovo regolamento le biblioteche venivano classificate con gli stessi metodi e
finalità del regolamento del '69. 9 titoli.
• Titolo Secondo più o meno fedele a quello che abbiamo visto nel decreto del 69
• Titolo Terzo crea commissioni per l'acquisto di libri e comprendeva anche una speciale
attenzione alle biblioteche universitarie, ruolo direttore che fa parte della commissione
d'acquisto penalizzato a favore della componente universitaria.
Anche qui l'accentramento nella biblio Nazionale di RO di duplicati riporta alla luce il
problema già visto prima.
• Titolo Quarto riprende con maggiore dettaglio i programmi e agli esami il progetto visto già
della scuola per paleografi e bibliologi.
• Titolo Quinto ricalcato su quello del 1869
• Titolo Sesto riformava il personale e istituiva i consigli di direzione. Introduzione di una
novità che fu poi molto seguita per molto tempo: possibilità del cosiddetto “alunnato” presso
le biblioteche nazionali, possibilità di svolgere un servizio a titolo gratuito presso le
biblioteche nazionali perché serviva a formare le figure di assistente bibliotecario e
distributore.
• Titolo Ottavo molto più ampio e riguarda il personale, prevede anche alunnato e varie
qualifiche
• Titolo Nono regolava gli stipendi dei bibliotecari e imponeva che il bibliotecario inviasse
una relazione annuale al ministro sullo stato della biblioteca e al movimento delle opere,
compito che d'ora in poi i bibliotecari dovranno regolarmente fare. Cosa onerosissima per i
bibliotecari, si sosteneva che con decreti ministeriali sarebbero state determinate le norme
per il prestito dei libri, classificazione per le materie e l'indicazione delle norme per i
cataloghi. Sorta di catalogo collettivo di tutte le biblioteche italiane, progetto che resterà per
il momento sulla carta viste anche le risorse destinate alle biblioteche.

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