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Francesco Petrarca

Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304 da Elettra Canigiani e ser Petro detto
Petracco o Petraccolo: dal patronimico ​Petracchi​ Francesco derivò il cognome Petrarca. La
famiglia era originaria della Valdarno; il padre fu notaio bandito da Firenze insieme ai guelfi
bianchi nel 1302.

Da Arezzo alla Provenza​. La famiglia esiliata si recò dapprima a Pisa ed in seguito ad


Avignone, dove ​Clemente V​ successore di Benedetto XI aveva trasferito la sede pontificia.
(Cattività Avignonese: ​1309/1377​). In questi anni avvenne la formazione grammatica,
retorica e dialettica di Francesco, indirizzato dal padre alla professione giuridica. Frequentò
l’Università di Bologna, dove ebbe modo di dedicarsi anche allo studio dei classici e di venire
a contatto con la poesia lirica volgare. Alla morte del padre Petrarca rientra in Avignone e vi
trascorse spensieratamente gli anni della gioventù. Il ​6 Aprile 1327​ incontra Laura de Noves
nella ​Chiesa di Santa Chiara​.

I primi viaggi​. La necessità di provvedere alla propria sistemazione economica lo indusse


ad intraprendere la carriera ecclesiastica: entrò come cappellano di famiglia al servizio del
cardinale ​Giovanni Colonna​, incarico che gli offrì l’opportunità di viaggiare appagando la sua
innata curiosità di conoscere: visitò Parigi, le Fiandre, la Germania e raggiunse infine anche
Roma, incarnazione del mito della classicità. Questi viaggi rafforzarono il suo amore per la
romanità ed insieme la sua avversione per Avignone, “avara Babilonia”, la “Babilonia
infernale”, che aveva illegittimamente sottratto a Roma il ruolo di capitale della cristianità.
Maturò dunque nel ​1337​ la decisione di impegnarsi a fondo nel lavoro letterario, ritirandosi in
solitudine fuori dalla città, a ​Valchiusa​ (​Vaucluse​) in una casetta che sarebbe diventata per
anni il suo rifugio. Proprio qui Petrarca inizierò quelle opere dalle quali si riprometteva la
gloria poetica. La sua aspirazione fu soddisfatta quando gli giunse contemporaneamente
dall'​Università di Parigi​ e dal ​Senato di Roma​ l’offerta della laurea poetica. Petrarca accettò
l’invito di Roma, nel quale vedeva simbolicamente ripristinata l’antica tradizione e culturale.
La cerimonia si tenne in Campidoglio il giorno di Pasqua (8 aprile ​1341​), e lo consacrò
“grande poeta e storico”, conferendogli inoltre le prerogative del ​magister​, cioè di professore.

Tra signorie italiane ed Avignone​. Da Roma Petrarca si trasferì a Parma, ospite di ​Azzo
da Correggio​. Soggiornò a ​Selvapiana​, dove ritrovò come a Valchiusa quell’ambiente
naturale che rendeva possibile l’ideale isolamento per riprendere a comporre. Nel ​1342
tuttavia fu costretto a tornare ad Avignone, dove giunse presto anche ​Cola di Rienzo​,
sostenuto da Petrarca per l’ammirazione entusiasta della Roma antica e dell’ansia sia per il
degrado del presente sia per l’aspirazione a vederne restaurato il primato in campo politico e
religioso. Strinse con lui una solida amicizia che lo avrebbe portato, anni più tardi, a
sostenere apertamente il suo tentativo di irruzione.

La crisi spirituale​. Nel ​1342​ morì ​Dionigi da Borgo San Sepolcro​, frate agostiniano e sua
guida spirituale, al quale egli doveva la conoscenza delle Confessioni di Sant’Agostino. Nel
1343​ il fratello ​Gherardo​ inaspettatamente si fece monaco: Petrarca precipitò così in una
profonda crisi spirituale, sentendo il peso e la vergogna per il proprio attaccamento alle
passioni umane; segno inequivocabile fu la nascita della seconda ​figlia Francesca​ (dopo il
primogenito Giovanni). Tra il 1343 ed il 1347 i movimenti di Petrarca sono numerosi:
dapprima a Napoli, poi a Selvapiana (dove fuggì dalla lite tra i Correggio da una parte ed i
Visconti/Gonzaga dall’altra), a Verona ed infine in Provenza a Valchiusa.

Cola di Rienzo​. Nel ​1347​, richiamato dalle speranza accese in lui da Cola di Rienzo, rientrò
in Italia, rompendo definitivamente l’amicizia con i Colonna, apertamente nemici dei Cola.
Una volta saputo del fallimento dell’operazione ripiegò su ​Parma​, dove gli raggiunse la
notizia della ​morte​, causata dalla peste, di alcuni degli amici più cari ma soprattutto di ​Laura
(1348). Prese poi a spostarsi tra Padova, Verona, Parma e Mantova. Nel 1350 si fermò a
Firenze presso ​Boccaccio​, suo grande ammiratore, per poi dirigersi a Roma per il giubileo.
Successivamente a Padova Petrarca fu raggiunto da Boccaccio che gli offriva per conto del
comune di Firenze l’offerta di una ​cattedra​ presso l’Università. Petrarca declinò l’offerta e
scelse di abbandonare definitivamente la Francia per l’Italia.

Dai Visconti ad Arquà​. Si stabilì a ​Milano​ presso la corte dei ​Visconti​ provocando lo
scontento degli amici fiorentini, che lo accusarono di aver tradito i propri ideali di democrazia
e di libertà asservendosi ai Visconti, tacciati di tirannia per le loro mire espansionistiche.
Petrarca fu felicemente accolto dal mecenatismo dei Visconti che gli offrivano onori e
protezione in cambio del suo lustro culturale alla corte. Fu costretto ad allontanarsi dalla città
solo per ragioni contingenti (lo scoppio della peste negli anni Sessanta). Da quel momento
Petrarca visse prevalentemente tra Padova, Venezia e ​Arquà​ (Veneto), dove confinatosi
nella sua casetta cercò di ricreare attorno a sè l’ambiente raccolto di Valchiusa e
Selvapiana. Ad Arquà lo raggiunse la figlia Francesca, che si prese cura di lui fino alla morte
nel ​1374​.

L’intreccio di vita e letteratura

La ricostruzione della vicenda umana ed intellettuale di Petrarca è straordinariamente


avvantaggiata da una documentazione ​autobiografica​ ricca e minuziosissima, affidata
soprattutto all’​epistolario latino​, testimonianza preziosa ma molto soggettiva e parziale del
desiderio di trasfigurare fatti e situazioni per conformarli al ritratto ideale di sì che intendeva
tramandare ai posteri. La prepotenza del soggettivismo fa sì che fin dagli esordi letterari vita
e letteratura si intrecciano fino a quasi coincidere.

Il rapporto con la religione​. Fin dalla gioventù Petrarca aveva indirizzato le proprie scelte
di vita in funzione del lavoro letterario, sottratto alla carriera giuridica per rivolgersi così agli
ordini ecclesiastici minori​, che garantivano una rendita modesta ma costante, che gli
assicuravano una piena mobilità, limitandolo solamente al celibato ed alla lettura dell’uffizio.
Non accettò mai incarichi religiosi più remunerativi, desideroso di mantenere una certa
autonomia sociale ed economica.

La missione civile​. L’esercizio del ruolo dell’intellettuale di corte non gli sembrò mai in
contraddizione con le sue convinzioni, anzi rappresentando il riconoscimento ufficiale della
sua attività lo spinse ad innalzare la professione letteraria alla dimensione di alto magistero.
Petrarca può essere considerato dunque il ​prototipo dell’intellettuale cortigiano​, attaccato al
proprio ​cosmopolitismo​, che lui definiva uno stato di ​peregrinus ubique​,​ “pellegrino
ovunque”. Fare della propria condizione un esilio si connetteva alle circostanze della propria
nascita ed alla condizione della propria famiglia come una costante esistenziale. Il reputarsi
senza patria gli consentì di guardare agli eventi della vita pubblica con gli occhi distaccati ed
imparziali del saggio che si erge a difesa della moralità dei costumi politici, con un’ottica mai
municipalistica.

La perfezione formale​. Una costante della poetica petrarchesca è quella che lo porterà
sempre a cercare la perfezione formale, nelle opere sia latine sia volgari, nei diversi
momenti della propria esistenza. Per questo motivo le sue opere hanno spesso subìto
rimaneggiamenti anche sostanziali effettuati nell’arco di diversi anni, dettati dal bisogno mai
soddisfatto delle perfezione formale. Ogni opera deriva da una serie di ​stratificazioni
successive​ e porta anche il segno della sperimentazione contemporanea di diverse soluzioni
letterarie e stilistiche.

Il Canzoniere​. Particolarmente complessa fu la storia redazionale del Canzoniere, il ​Rerum


vulgarium fragmenta​, opera più alta di Petrarca, che richiese un ​quarantennio​ (​1335-1374​)
per essere completata, attraverso una graduale selezione, riordinamento, rielaborazione
delle rime, il cui fondamentale ed unico motivo ispiratore era l’​amore non corrisposto per
Laura​. Le poesie, dettate da contingenze differenti, vennero disposti lungo un’ideale linea di
sviluppo narrativo​: attraverso gli “sparsi frammenti” sarebbe stato così possibile ricostruire la
sua personale storia d’amore. Si tratta del primo tentativo di canzoniere in volgare: Petrarca
è il primo a proporre un’idea nuova di canzoniere come struttura calibratissima nelle sue
parti costituita da testi lirici che sviluppano progressivamente una vicenda, amorosa o meno.
Nessuno prima di Petrarca aveva saputo porre in modo così radicale al centro del
discorso poetico la propria individualità, né aveva saputo analizzare i fatti della
propria vita interiore con una così profonda carica di sincerità ed acutezza
psicologica: la passione amorosa è il cardine di questa indagine introspettiva,
simbolo dell’inquietudine esistenziale di ogni uomo, proiettato alla ricerca di una
felicità o di un bene che pare presente e invece è irraggiungibile, che pare duraturo
ma è fragile come il destino stesso degli individui.
Laura non appare più come intermediaria tra uomo e Dio, come la ​donna-angelo​ degli
stilnovisti, nè svolge un ruolo beatifico o è investita di una missione dottrinale in campo
filosofico o teologico come Beatrice: è una ​creatura terrena​ più vicina alla realtà dei contrasti
che tormentano i cuori degli uomini.
La lingua del ​Canzoniere → ​Il superamento della tradizione stilnovistica e dantesca permette
a Petrarca di depurare il ​volgare​ da ogni ​particolarismo e localismo​, evitando di piegarlo a
effetti di realismo e di espressionismo linguistico, innalzandolo così verso una sovrana
classicità di stile​, unificando tono e lessico su un livello stilistico medio-alto fino a
raggiungere e definire un canone di eleganza e insieme di naturalezza espressive, sul quale
si sarebbe modellata la lingua poetica italiana fino a tutto l’Ottocento. Il ​Canzoniere
rappresentò l’atto di ​rifondazione del genere lirico​ e ciò, paradossalmente, contro le
aspettative dell’autore stesso. Petrarca tendeva ad assegnare alla propria lirica volgare la
funzione soggettiva e personale di depositaria della sua storia interiore; al contrario si
attendeva la gloria poetica dalle ambiziose opere in latino. Era infatti solito riferirsi al
Canzoniere​ con l’epiteto latino di ​nugae,​ nugellae​ cioè “inezie, sciocchezzuole” (alla
maniera dei classici, che esprimevano sempre una certa modestia artistica (già Orazio).
I Trionfi

Tra le opere di Petrarca, l’unica scritta in ​volgare​ oltre al ​Canzoniere,​ sono i ​Trionfi​. Si tratta
di un poema allegorico in ​quattro libri in terzine​. Avviati intorno al 1351-52, i ​Trionfi ​sono
ispirati alla ​Commedia​ dantesca, e rappresentano un’esperienza minore e poco riuscita
artisticamente. Il lungo testo è articolato in ​sei successive visioni​, in ognuna delle quali i
termini sentimentali del poeta si presentano sotto forma di perenne ​conflitto interiore​ e
prendono corpo in altrettante personificazioni allegoriche, cioè Amore, Pudicizia, Morte,
Fama, Tempo ed Eternità. Queste si oppongono dialetticamente l’una all’altra secondo uno
schema di contesa: una delle due celebra alla maniera dei condottieri romani il proprio
trionfo.
1. Nel ​Trionfo d’Amore​ al poeta dormiente appare in sogno il dio Amore su un carro
trionfale seguìto da un corteo di personaggi nel suo giogo, da cui viene imprigionato
anche Petrarca. Il poeta è conquistato dall’altra bellezza di Laura, che compare
improvvisamente.
2. Nel ​Trionfo della Pudicizia​, è Laura a vincere Amore, e lo incatena nel Tempio della
Pudicizia.
3. Nel ​Trionfo della Morte,​ la vittoria di Laura è turbata dall’incontro con la Morte, che
trionfa su di lei sottraendola alla terra.
4. Nel ​Trionfo della Fama​ arriva la Fama a sconfiggere la Morte, in quanto il nome di
memorabili personaggi non può essere sconfitto dalla morte.
5. Nel ​Trionfo del Tempo​, quest’ultimo trascina verso il nulla gli esseri umani e il ricordo
delle loro gesta. Dunque il poeta può solo che riporre le proprie speranze in Dio.
6. Nel ​Trionfo dell’Eternità​ il poeta viene proiettato verso la ​beatitudine celeste​ dove
per l’eternità potrà gioire della presenza divina e della vista di Laura.

I temi del poema portano alle stesse riflessioni che troveremo nel ​Canzoniere = ​il conflitto tra
amore terreno​ per Laura e ​amore per Dio​, il desiderio di ​gloria​ e la volontà di ​mortificazione​.
Tuttavia le intenzioni originarie di Petrarca sembrano sopraffatte dal proposito
intellettualistico e moralistico insieme di comporre un’​autobiografia​ unitaria dal punto di
vista strutturale e stilistico: la vicenda personale, astratta dalla sua dimensione soggettiva, si
può configurare come ​paradigmatica della condizione universale dell’uomo​, riuscendo così a
simboleggiare un ideale itinerario ​dal peccato alla redenzione​.

I modelli di riferimento. Petrarca si ispirò ai testi della tradizione allegorico-didattica, del cui
capostipite è il ​Roman de la Rose​. Segue il modello dantesco della ​Commedia​ mediato
dall’opera boccacciana della ​Amorosa visione. ​La sua adesione ai modelli è più letteraria
che congeniale alla sua personalità: l’​architettura​ del poema oltre che fittizia risulta
incompatibile​ con le qualità di una poesia che generalmente asseconda il moto degli stati
d’animo. Lo svolgimento appare piuttosto ​rigido​, monotono ed impacciato, appesantito dal
rinnovarsi della scena trionfale con ​interminabili rassegne di personaggi​ nelle quali la
passione petrarchesca per la cultura classica degenera spesso in ​erudizione​. Petrarca
ricorre ad una serie di artifici retorici che rendono ancora più denso il testo poetico, arricchito
da figure allegoriche artificiose e prive di vigore espressivo. Tuttavia gli ambienti umanistici a
lui contemporanei preferirono ampiamente i ​Trionfi​ al ​Canzoniere​, rappresentato da un
numero nettamente ​minore​ di codici nei secoli successivi.
La riscoperta della classicità latina
Petrarca assegnò al latino una netta ​priorità​. Lo usava quotidianamente, con una scioltezza
naturale: questa è l’esplicita manifestazione del peso che la cultura classica ebbe
nell’orientare i suoi progetti letterari: Petrarca è considerato il ​diretto precursore degli
umanisti​ ed egli stesso si vantò di aver avviato la riscoperta della classicità. Per Petrarca la
classicità era solo quella latina, perché i testi greci erano esclusi dallo studio in quanto non si
conosceva la lingua. Egli aveva ricevuto alcune lezioni dal monaco ​Barlaam​, grecista.
Per il suo fervido entusiasmo per la riscoperta della memoria di Roma, elevata a mito, tentò
dapprima di ​imitare​ i prodotti più alti della letteratura latina. Le prime due opere sono il ​De
viris illustribus​, una rassegna compilatoria di ​biografie di uomini illustri nel mondo antico​, e
l’​Africa.​

Africa
L’​Africa è​ un ​poema epico in esametri latini​, composto sull’esempio dell’​Eneide​ virgiliana e
volto a celebrare la vittoria di ​Roma su Cartagine​ nella seconda guerra punica ed a fornirne
insieme un ​rapido compendio​ di storia romana.
In questo ambizioso progetto poetico, rimasto ​incompiuto​, le vicende della seconda guerra
punica sono il pretesto per una rievocazione della ​gloria di Roma​, sia precedente sia
successiva al trionfo di Scipione. L’idea di comporre un poema epico su Scipione l’Africano
lo colpì per la prima volta nel 1338-39, e fu abbandonata quattro anni più tardi dopo la morte
del re di Napoli ​Roberto d’Angiò​, al quale aveva dedicato, dietro richiesta, l’opera.
L’incompiutezza è segnata da alcune lacune, da imperfezioni metriche e linguistiche. Il
numero dei libri, ​nove​, sarebbe dovuto salire a dodici, tipico dei poemi latini.
L’​Africa​ narra principalmente le azioni di cui fu protagonista Scipione l’Africano, ma questo è
solo un pretesto per una rievocazione generale della storia romana. L’opera inizia con il
“sogno di Scipione”, in cui il padre Publio gli predice la gloria a Roma. Segue una
comparazione tra romani, forti e valorosi, e cartaginesi, mancanti nelle virtù civili e militari.
Petrarca effettua una notevole digressione, descrivendo la storia d’amore tra ​Massinissa​, re
di Numidia e alleato di Scipione, e ​Sofonisba​, moglie di Siface, rivale politico di Massinissa
ed alleato dei cartaginesi. Il filo della narrazione riprende con il ritorno a Cartagine di
Annibale e del fratello Magone: il libro si conclude con la battaglia di Zama ed il rientro a
Roma di Scipione trionfatore.

Petrarca ostenta fortemente l’intento celebrativo dei fasti della romanità. La forma del poema
è ispirata dall’​Eneide​ virgiliana, mentre il contenuto è estratto soprattutto dall’​Ab urbe condita
di Tito Livio e dagli ​Annales​ di Ennio.
Petrarca sperava di ottenere la ​gloria poetica​ grazie a quest’opera: il suo compiacimento
nell’emulare i modelli latini viene espresso in un episodio in cui per bocca di Ennio Petrarca
illustra la propria concezione del poeta, presentandosi come l’erede dell'attività dei suoi
maestri. Omero compare in sogno ad Ennio e gli indica profeticamente Francesco Petrarca,
futuro cantore della grandezza di Roma, destinato ad essere insignito della laurea capitolina:
questo ​non era ancora avvenuto​ nella realtà, ed ecco Petrarca riconoscere nell’​Africa​ quel
poema che dignificherà la sua statura di poeta. Anche nell’epistola ​Posteritati​ Petrarca
appare come cardine attorno a cui si regge la storia della sua formazione culturale ed
intellettuale. Per il poeta quest’opera ebbe una notevolissima importanza, non sminuita dalla
sua modesta riuscita sul piano stilistico-strutturale. I risultati non eccelsi si spiegano in parte
con il fatto che l’opera si colloca agli ​esordi​ della carriera artistica del poeta, ma più ancora e
profondamente dipendono dalla sua ​scarsa attitudine all’epica​, che richiede di sostenere un
impegno costruttivo di ampie dimensioni. La scelta di tale genere letterario in realtà
obbedisce più ad una precisa volontà culturale che ad un’adesione personale intima, e non
si concilia affatto con la naturale vocazione lirica che è il vero talento di Petrarca.
Sono veramente riusciti solo pochi isolati ​momenti​, soprattutto di analisi psicologica, in cui
domina un tono patetico-sentimentale che il poeta delinea con la sua capacità di
penetrazione psicologica. Tra questi si ricorda l’episodio di Magone morente o quello
dell’amore tra Massinissa e Sofonisba, infelice perché destinato a soccombere alla ragione
di stato.

Rerum memorandarum libri. Q ​ ualche anno più tardi rispetto all’​Africa​ Petrarca tentò
nuovamente la compilazione storica in prosa imitando i ​Factorum et dictorum memorabilium
libri IX​ di ​Valerio Massimo​ in un’opera intitolata ​Rerum memorandarum libri.​ Vi raccolse
episodi ed ​aneddoti​ celebri, antichi e moderni, che si prestassero a fornire esempi di ​quattro
virtù​ cardinali. Sebbene lontana dalla tradizione medievale degli ​exempla,​ l’opera rimane
incompiuta e meccanica nella sua classificazione netta tra vizi e virtù. La sua modernità si
rintraccia nella dimensione etica e nelle ragioni psicologiche che motivano le azioni dei
personaggi celebri.

L’umanesimo di Petrarca
La predilezione di Petrarca per il mondo antico non è alimentata dal semplice desiderio di
erudizione, nè si esaurisce nella pura imitazione formale. Il suo “umanesimo” consiste nella
rivalutazione dell’uomo e della sua dignità intellettuale​, che il cristianesimo medievale
aveva mortificato ​subordinando l’umano al trascendente​. La sua sincera fede imponeva a
Petrarca di tentare questa rivalutazione ​conciliando paganesimo e cristianesimo​, facendo
leva sulla constatazione che​ ​l’animo umano è identico attraverso i secoli​: esiste un
patrimonio di sentimenti, aspirazioni, esigenze spirituali comune agli uomini di ogni tempo e
non specificamente pagano o cristiano. Facendo convergere saggezza antica e spiritualità
cristiana nella valorizzazione di questo patrimonio Petrarca operò una sintesi originale tra la
cultura classica e quella cristiana.

Secretum
Al vertice della produzione petrarchesca in ​prosa latina​, insieme con l'epistolario, si colloca il
De secreto conflictu curarum mearum​. L’idea dell'opera è contemporanea alla crisi spirituale
del poeta (1342-43), ma databile ​1347​. Non si tratta dunque di una testimonianza a caldo di
uno sconvolgimento interiore prodottosi in circostanze contingenti, ma come l’esito più
compiuto e ragionato​ di una ​presa di coscienza​ maturata nella riflessione tipica di Petrarca,
sulla sua ​vita affettiva​ e sulle sue posizioni di ​intellettuale in rapporto alla fede​. L’intento
dell’autore si riassume proprio nella parola ​secretum​, che sottolinea le ragioni intime e di
meditazione interiore che lo spingono a riflettere sulla spiritualità: non a caso fu pubblicato
solo postumo.
Petrarca intende riassumere i passaggi più significativi del suo quotidiano. Petrarca segue lo
schema della ​visione allegorica​ come lo aveva delineato Boezio: immagina di incontrare
una donna bellissima che gli si rivela come la ​Verità personificata​ e lo affida alla guida di
Sant’Agostino​ (che rappresenta la ​Ragione​). I due dialogano con la Verità per tre giorni:
l’opera si suddivide così in​ tre libri​ (come composta da tre elementi è la ​Trinità​). Agostino
individua la radice del tormento che affligge Francesco nell’​inadeguatezza della sua
volontà nel perseguire la virtù​ e spiega come solo la profonda meditazione sulla morte
possa rivelare agli uomini la miseria della loro condizione distogliendone l’animo dai beni
terreni. In seguito Petrarca passa in rassegna i sette peccati capitali, riconoscendo le colpe
più gravi di Francesco nella superbia, nella lussuria e soprattutto nell’​accidia​, l’​impotenza
della volontà che procura un senso perenne di insoddisfazione e di scontentezza di sè e del
mondo​. Nel lungo interrogatorio Petrarca oppone debole insistenza e ammette le ragioni del
maestro; nell’ultimo libro la condanna dell’amore per Laura e per la gloria vengono
gravemente condannati: Dio è l’unico oggetto ​durevole​ dell’amore dell’uomo.

Petrarca si rifà alle ​Confessioni​ agostiniane, sia nello spirito autobiografico sia nella forma.
Attraverso la drammatizzazione e ​proiezione intellettuale del suo conflitto interiore​ Petrarca
riesce a purificarlo e dominarlo. La sua intima e dibattuta ​duplicità​ viene così rappresentata
alla perfezione attraverso la calzante tecnica del ​dialogo​, imitata dai maestri Cicerone e
Seneca. Già nell’epistolario Petrarca era abituato a colloquiare idealmente con gli antichi
maestri, azione che qui compie senza difficoltà, aggirando facilmente l’​astrattezza della
speculazione dottrinale​ e rifuggendo intenti didascalici troppo spiccati.

I trattati morali
Il ​Secretum​ trova il suo compimento nei trattati morali, ai quali Petrarca tende a dare
un'impostazione ​dottrinale​ ma non ​sistematica​.

De vita solitaria
In questo trattto teorizza la ​solitudine​ come ​condizione necessaria dello spirito per
raggiungere l’affrancamento dal mondo​ e dalle passioni e riscoprire la propria interiorità,
lodando inoltre, come del resto anche nel ​Secretum,​ la virtù consolatoria della ​letteratura,​
dispensatrice di saggezza e quindi strumento di progresso morale. La sua concezione di vita
solitaria è del tutto differente da quella degli asceti cristiani, dal quale egli si sente
parzialmente attratto.
De otio religioso
“La vita tranquilla dei religiosi” è composta dopo la prima visita fatta al fratello ​Gherardo
dopo la ​monacazione​ e sotto la forte impressione ricavata nel constatare quale ​intima
serenità derivasse ai monaci dall’assoluto distacco dalle cose terrestri​. Lo stesso tema
ricorre nella raccolta ​De remediis utriusque fortunae​ (“I rimedi per l’una e per l’altra sorte,
cioè la buona e l’avversa).

Il primato della filosofia morale


La centralità dell’uomo nella visione petrarchesca della realtà è il perno attorno a cui ruota la
concezione filosofica​ dello scrittore. Non riducibile ad un sistema (non organizzò mai le
proprie idee in una rigorosa e organica sintesi dottrinale), si può definire soprattutto come
rifiuto di ogni forma di dogmatismo intellettuale​ e di ogni aprioristico principio di infallibilità in
difesa del diritto dell’uomo al dubbio come allo stimolo più efficace all’accertamento della
verità. Petrarca rifiutò la speculazione teologica, nella convinzione che l’indagine della
scienza dovesse essere la ​vita interiore dell’uomo​ e che quindi la filosofia morale dovesse
primeggiare su tutte le altre discipline, insegnando il dominio delle passioni che inducono in
errore. Petrarca non apprezza le ​scienze naturalistiche​ e “oggettive” (​De sui ipsius et
multorum ignorantia)​ : “Di che può giovare conoscere belve, uccelli, pesci, serpenti, e
ignorare ovvero non curarsi dell’uomo: ignorare lo scopo della nostra vita, donde veniamo,
dove andiamo?”. Petrarca si oppose in particolare alla ​filosofia aristotelica​, preferendo
Platone, ed anticipando sotto certi aspetti il neoplatonismo di cui si sarebbe fatto promotore
Marsilio Ficino.

Le prose polemiche
Sebbene mai espressa in opere organiche, la sua filosofia si manifestò in ​prose polemiche
d’occasione​.
La prima gli fu offerta da un ​medico​ della corte pontificia, che lo aveva attaccato per aver
consigliato a papa ​Clemente VI​, gravemente malato, di diffidare dei medici, troppo spesso
inclini a contraddirsi l’un l’altro per ragioni di fama o per sterili questioni accademiche,
mettendo a rischio la vita stessa dei pazienti. La dura replica prende il titolo di ​Invectivae
contra medicum​, in cui espresse la propria ostilità alla categoria che riuniva i peggiori difetti
della speculazione medievale (filosofia naturale, logica e dialettica). Petrarca, in qualità di
letterato, sostiene la superiorità delle arti liberali sopra a quelle ​meccaniche​, entro le quali
rientrava anche la medicina.
La già citata ​De sui ipsius et multorum ignorantia​ venne stesa per controbattere
l’offensiva affermazione fatta da ​quattro giovani averroisti padovani​, secondo la quale egli
sarebbe stato un “uomo buono, anzi ottimo, ma… illetterato e ignorante”. L’opuscolo fu il
tentativo più organico di mettere a fuoco tutti i motivi del suo ​dissenso nei confronti della
scienza scolastico-aristotelica​, richiamandosi all’ideale agostiniano di un sapere concreto
illuminato dalla luce della fede.

Le epistole
La prosa latina delle epistole risponde al suo temperamento “​desiderosissimo di amicizie​”,
che non contraddice la sua altrettanto naturale propensione alla vita solitaria. Il peregrinare
di corte in corte incentivò la passione per l'epistolografia, che gli consentiva di non
interrompere i legami affettivi. La fama di poeta laureato lo portò ad intrecciare una fitta rete
di relazioni epistolari con personaggi che si sentivano in una sorta di sodalizio tra
ammiratore e maestro (primo tra tutti Boccaccio). Fu attraverso la corrispondenza che si
trovò a gestire la sua​ funzione pubblica di letterato​. Da ogni occasione biografica Petrarca
traeva il pretesto per riflessioni di ordine generale, con un occhio attento a costruire un
epistolario degno di un letterato. Ogni epistola, diretta ad amici o protettori, era rivolta
indirettamente al ​pubblico di intellettuali​ che condividevano il suo interesse per la classicità e
che lo ritenevano un maestro.
Inoltre, scoprendo nella Biblioteca Capitolare di Verona le epistole di Cicerone ad Attico, al
fratello Quinto e a Marco Bruto egli, attentissimo ai suoi maestri del mondo antico, concepì
l’idea di ​riunire e sistemare ordinatamente le proprie lettere in un’opera da destinare alla
pubblicazione​. Sono due le maggiori raccolte: le ​Familiari​ che comprendono 350 lettere e
le ​Senili,​ che ne comprendono 125. Le due raccolte di distinguono non per i contenuti, bensì
per l’​atmosfera più pacata e meditativa​, dettata dall’​età avanzata​ e dalla tristezza per la
scomparsa di molti cari amici. Il poeta escluse da queste raccolte le lettere contro la politica
papale (raggruppate nella silloge ​Sine nomine​). Seguono poi le raccolte ​Varie​ e ​Epistolae
metricae,​ composte in esametri, risalenti quasi unicamente alla gioventù: in alcuni casi il
lettore risente di quell’​eleganza un po’ fredda​ e ricercata e dell’​artificiosità​ entro cui lo
schema metrico lo costringe.
Tuttavia, sappiamo che ancora prima di scoprire la raccolta ciceroniana Petrarca avesse già
pensato di rendere le proprie lettere materiale letterario: non si spiegherebbe la tendenza a
conservare sempre una copia della “​trascrizione in pulito​”​ delle lettere che scriveva e
spediva. Inoltre, ancora una volta con uno sguardo alla posterità, Petrarca tendeva ad
eliminare ogni riferimento a ​fatti e luoghi​ troppo concreti e circostanziati​, potendo così
sollevare a dimensione d’arte gli eventi della vita reale.
L’epistolario, pur non rinunciando al filo conduttore della biografia in senso stretto, rivela
molto più di ​cultura​ che non di ​vita vissuta.​ Propone infatti un ​autoritratto letterario
tracciato secondo i canoni dell’etica antica e insieme cristiana, un profilo esemplare di
maestro. In questo Petrarca colloca se stesso tra i dotti accomunati dalla passione per gli
studia humanitatis​, creando un ideale cenacolo a cui chiama partecipi ance altri gli autori
antichi, con cui ama immaginare di colloquiare come se fossero amici e contemporanei.
Spesso alcuni amici reali vengono indicati com nomi come Socrate o Simonide, innalzandoli
a interlocutori pari agli antichi maestri. È grazie a lui se le generazioni successive di letterati
fondarono l’ideale ​res publica litterarum​, cui gli umanisti si glorieranno di appartenere.
Le lettere sono composte in un latino solenne ed oratorio, affinché a livello stilistico
potessero essere “esemplari” come già lo erano a livello contenutistico. Il registro alto è
impreziosito da citazioni dotte e riferimenti ai Padri della Chiesa.

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