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“DISTURBO DA DEFICIT DI

ATTENZIONE/IPERATTIVITÀ
(DDAI):
LA FAMIGLIA”

PROF.SSA GENEROSA MANZO


Università Telematica Pegaso Disturbo da deficit di attenzione/iperattività
(ddai):La famiglia

Indice

1 LA ERRORI COMUNI COMMESSI DAI GENITORI NELLA GESTIONE DEL COMPORTAMENTO


DEL BAMBINO CON DDAI-------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 I GRUPPI DI SOSTEGNO PER I GENITORI -------------------------------------------------------------------------- 5
3 IL PARENT TRAINIG PER I GENITORI DI BAMBINI CON DDAI -------------------------------------------- 6
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 La Errori comuni commessi dai genitori nella


gestione del comportamento del bambino con
DDAI

Gli errori più frequenti commessi dai genitori nella gestione del comportamento dei loro
figli con DDAI sono:
 pochi apprezzamenti per i comportamenti positivi del bambino(i bambini hanno più
reazioni positive e costruttive quando vengono lodati e premiati, rispetto a quando
vengono ignorati o puniti);
 poca fermezza o coerenza nel far rispettare le regole (è inutile minacciare una
punizione quando il comportamento problematico si manifesta, cedendo però nel
momento in cui diventa difficile da gestire. Il messaggio che arriverà al bambino sarà
il seguente:”Mamma ora mi dice di no, ma se insisto prima o poi cederà!”)
 altalenante strategie educative di gestione dei comportamenti inadeguati e
problematici (le punizioni devono essere date in modo sistematico, ogni qual volta il
comportamento si ripeta);
 discordanza tra i modelli educativi della madre e del padre (la mancanza di coerenza
porta il bambino sia a rivolgersi al genitore più permissivo, impedendo di
conseguenza la modificazione del comportamento inadeguato,sia a vedere i genitori
come quello buono e quello cattivo);
 tendenza ad urlare e sbraitare quando il bambino fa qualcosa che non va (per molti
bambini ricevere attenzioni quando si stanno comportando male è molto meglio che
non ricevere alcuna attenzione. Sgridare un bambino quando fa qualcosa di
indesiderato facilita il ripresentarsi del comportamento problematico poiché il
bambino è stato rinforzato dall’aver ricevuto l’attenzione dal genitore);
 tendenza a lasciar passare troppo tempo prima di intervenire sul comportamento
inadeguato.
Un intervento efficace prevede un inserimento immediato, in un tempo compreso tra i 5 e i
10 secondi dalla manifestazione del comportamento e deve rispettare le seguenti fasi:

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1. dire al bambino di smettere di comportarsi in un certo modo;


2. comunicare in modo chiaro e semplice le conseguenze di quel comportamento e la
punizione;
3. punire il comportamento.1

1
Viola D., I disturbi del comportamento nei bambini. Iperattività , comportamento dirompente, rabbia e aggressività,
UNI Service, Trento 2010, p. 42.

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2 I gruppi di sostegno per i genitori


Attualmente esistono diversi gruppi di sostegno per i genitori, alcuni dei quali operano in
modo indipendente, altri, sono affiliati a uno o più dei vari gruppi nazionali.
Sul territorio vi sono molti gruppi che organizzano per i loro membri conferenze condotte da
relatori di fama internazionale. In genere queste sono aperte a tutte le famiglie interessate.
I gruppi di sostegno per le famiglie spesso conoscono i referenti istituzionali (assistenti
sociali e dipartimenti di salute mentale). Queste conoscenze possono far evitare perdite di tempo e
inutili preoccupazioni ai genitori dei bambini che hanno appena ricevuto una diagnosi o quelli che
non riescono ad ottenere un aiuto efficace. Alcuni gruppi sono anche in grado di assistere i genitori
nella richiesta degli indennizzi economici che gli spettano, ma che sono stati loro rifiutati dal
servizio sanitario nazionale per ragioni contro le quali è possibile presentare ricorso.
A livello nazionale questi gruppi sono impegnati sia in campagne di sensibilizzazione
politica sui problemi legati al DDAI, come pure nell’organizzazione di conferenze e incontri aperti
ai professionisti del settore e ai genitori.
L’ obbiettivo che perseguono è accrescere la consapevolezza sul DDAI e sulle informazioni
correlate, oltre che migliorare la qualità degli interventi offerti ai giovani pazienti con DDAI e alle
loro famiglie.2

2
Savarese G., Iperattività e gestione delle emozioni. Percorsi educativio-didattici e motorio-sportivi, Franco Angeli,
Milano 2009, p. 49.

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3 Il parent trainig per i genitori di bambini con


DDAI
I progetti di Parent-Education e Parent-Training sono stati introdotti intorno agli anni
Sessanta nei paesi di cultura anglosassone, finalizzati all’incremento delle abilità dei genitori nel
gestire i problemi che insorgono nell’educazione.3 Vi sono valide considerazioni che giustificano la
scelta di operare con i genitori dato che la famiglia è una risorsa fondamentale per cercare di
favorire comportamenti positivi del bambino, soprattutto in età prescolare. Il lavoro con i genitori
consiste nell’insegnamento e nell’attuazione di metodi d’intervento che sottendono sostanzialmente
quelli della psicologia comportamentale.
Autori come Forehand e Barkley hanno osservato, nella pratica clinica con i bambini, come i
genitori possano rivestire un ruolo di primo piano nella gestione e nel contenimento del disturbo:
padre e madre sono una risorsa preziosa nel panorama degli interventi a favore del bambino. I
genitori sono coloro che vivono a stretto contatto con il bambino e conoscono molto bene i punti di
forza e quelli di debolezza del proprio figlio. Per diventare coterapeuti devono però essere aiutati a
comprendere ciò che accade al figlio e nella loro famiglia al fine di adottare comportamenti
costruttivi e rendere l’ambiente familiare più salutare.4
Lo studio delle modalità di comunicazione verbale nelle famiglie con ragazzini DDAI ha
consentito di appurare che molti genitori hanno l’abitudine di dare comandi vaghi e confusi quando
formulano una richiesta o stabiliscono una regola: questo non agevola la comprensione della
consegna da parte del bambino e di conseguenza la sua esecuzione. In questi casi si verifica poi che
il genitore ripeta il comando nel medesimo modo con la conseguenza che il bambino diventa ancor
meno collaborativo nel cercare di comprendere ciò che gli viene richiesto. Inoltre, i genitori
raramente seguono il bambino passo passo nell’esecuzione di un compito, e raramente si
preoccupano di far seguire delle conseguenze adeguate (rinforzi o punizioni) ai suoi comportamenti.
Se le difficoltà comportamentali del bambino consistono soprattutto in impulsività e iperattività, lo
strumento del Parent Training aiuta i genitori a riflettere su come è strutturato il loro ambiente

3
Scheriani C., Bambini sopra le righe” Bambini affetti da Disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ,Armando
Editore , Roma 2007, p. 45.
4
Cfr ,Vio C., Marzocchi G.M., Offredi F., Il bambino con deficit di attenzione/iperattività, Erickson, Trento 1999, p.
40.

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familiare in modo da poterlo riorganizzare per favorire l’autoregolazione e la riflessività del


bambino. Gli adulti della famiglia, se vogliono che il bambino acquisisca modalità differenti di
pensiero ed un maggior controllo comportamentale, devono essi stessi, prima di tutti, imparare ad
essere più riflessivi, ad adottare metodi educativi coerenti, a possedere le abilità necessarie a
risolvere le loro situazioni problematiche. L’obiettivo del Parent Training è quello di aiutare i
genitori a capire come i comportamenti dei propri figli siano l’espressione di certe problematiche di
fondo da individuare e scoprire inquadrando il problema dalla prospettiva del bambino. Ai genitori
non viene richiesto di essere perfetti bensì devono proporre al bambino un modello non privo
d’imperfezioni dando di sé un’immagine più reale ed umana che i figli potranno ammirare ed
apprezzare con rispetto.5
La figura del terapeuta ha un ruolo di primo piano nella conduzione del parent training. Il
suo compito consiste nel rendere i genitori i veri protagonisti di un processo di formazione e di
cambiamento. E’ necessario, pertanto, che riesca a stabilire un'alleanza terapeutica attraverso un
atteggiamento di apertura alle esperienze dei genitori e la disponibilità a lavorare insieme. Il
conduttore del parent training, in altre parole, non deve fornire soluzioni, ma aiutare il genitore,
attraverso una serie di imput, ad acquisire un atteggiamento orientato al problem solving, grazie al
quale saranno in grado di generare le soluzioni ai loro specifici problemi. Durante gli incontri il
trainer fornisce un aiuto ai genitori per strutturare la loro vita familiare in modo da aiutare il
bambino a prevedere ciò che accadrà in famiglia, tramite la creazione di abitudini, routine e regole.
Con il suo aiuto, i genitori possono auto-osservarsi su come si propongono ai loro figli di fronte alle
situazioni complesse e come applicano le strategie di soluzione dei problemi.
Negli ultimi incontri i genitori dovrebbero imparare anche a riconoscere gli eventi
“premonitori” dei comportamenti problematici del bambino per riuscire ad agire con un certo
anticipo ed evitare i “soliti inconvenienti”. E’ importante che i genitori comprendano quanta
influenza possono avere nell’orientare il comportamento del figlio, e che attraverso una maggiore
coerenza, costanza e consapevolezza sono in grado di ottenere risultati positivi.
Il programma formativo di Parent Training è applicabile sia con i singoli genitori sia in
piccolo gruppo (da un minimo di quattro ad un massimo di dieci persone): è il clinico a scegliere la
modalità di più adeguata in base ad una serie di valutazioni. Gli incontri individualizzati permettono
una maggiore supervisione e un rigoroso controllo della comprensione e dell’attuazione delle
5
Cfr, Scheriani C., op,cit., p.5.

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strategie educative: sono opportune per madri e padri che non sono abituati ad affrontare situazioni
nuove e complesse; così come per coloro che non si sentono a proprio agio a parlare apertamente
delle difficoltà del proprio figlio e della propria famiglia.
D’altro canto, gli incontri di gruppo si rivelano molto efficaci nell’alleviare il senso di
frustrazione di isolamento che spesso vivono i genitori di questi bambini particolari e problematici,
permettendo loro di constatare che i loro problemi sono comuni ad altre famiglie, di condividere le
difficoltà e i tentativi di intervento.6
Durante gli incontri di gruppo accade frequentemente che tra genitori emergano proposte
educative che possono essere di reciproco aiuto, in quanto la pratica quotidiana di una madre
consente di acquisire delle strategie che il terapeuta, nel proprio ambulatorio, non riesce ad
individuare con sufficiente precisione. Per quanto concerne la partecipazione agli incontri, è
auspicabile la presenza di entrambi i genitori, o quanto meno che vi sia comprensione e supporto da
parte del genitore assente nel cooperare alla fattiva applicazione delle proposte nell’ambiente
domestico.
Uno dei motivi che hanno contribuito al successo del Parent Training è l’efficacia, più volte
dimostrata, dell’apprendimento dei comportamenti per imitazione; se il modello proposto al
bambino è apprezzato e affettuoso è più probabile che venga imitato; se al contrario esso manifesta
atteggiamenti negativi nei confronti del bambino, allora perde ogni potere educativo, oltre a
produrre una serie di conseguenze negative.
I più efficaci training per genitori sono quelli che comprendono l’insegnamento a
incrementare il numero di interazioni positivi con il figlio, dispensare rinforzi sociali o materiali in
risposta a comportamenti positivi del bambino, ignorare i comportamenti lievemente negativi,
aumentare la collaborazione dei figli usando comandi più diretti, precisi e semplici, prendere
coerenti provvedimenti per i comportamenti inappropriati del bambino.
L’intervento terapeutico proposto dallo studioso che lo ha ideato (Hanf) è articolato in due
stadi: nel primo stadio si insegna ai genitori a prestare adeguate attenzioni al figlio quando
manifesta autocontrollo o comportamenti positivi, e nello stesso tempo ad ignorare i comportamenti
lievemente disturbanti. Nel secondo stadio si introduce l’uso del timeout, una tecnica punitiva per
ridurre i comportamenti inadeguati.7

6
Cfr ,Vio C., Marzocchi G.M., Offredi F., op.cit., p.6.
7
Ivi, p. 42

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Quando il bambino manifesta atteggiamenti realmente disturbanti e non si trovano soluzioni


morbide al problema, il genitore allontana il bambino dalla zona dove si trova in quel momento e gli
comanda di andare in un luogo privo di stimolazioni gratificanti (la sedia, la poltrona, il tappeto),
dove può calmarsi e recuperare il controllo di se stesso.
Non si tratta di mettere il bambino fuori dalla porta, dietro alla lavagna o a letto senza cena,
con intenzioni vendicative e cariche di rabbia, ma si intende dare uno STOP al comportamento
negativo e consentire al bambino di calmarsi e di riflettere su quello che sta facendo. È necessario
applicare questa tecnica avendo in mente tali obiettivi e non metterla in atto solo quando la pazienza
del genitore è stata esaurita e si desidera un momento di pace; in realtà, il timeout rimane una
modalità educativa che deve consentire al ragazzino di acquisire migliori abilità di autocontrollo
comportamentale. La tecnica del timeout è un occasione per ricordare al bambino di rispettare una
regola stabilita di comune accordo.
Nel Parent Training proposto da C. Vio, G. Marzocchi e F. Offredi si evidenzia che è molto
frequente che tra i genitori di bambini affetti da DDAI vi siano quelli che oscillano tra due diversi e
opposti atteggiamenti: sentirsi colpevoli dei problemi comportamentali del figlio oppure reagire con
aggressività, soprattutto quando avvertono che la loro azione educativa è del tutto inefficace.
In entrambi i casi, il rischio che il genitore deve affrontare è quello di non riuscire a capire le
difficoltà del figlio. Gli autori notano in questi genitori una certa rigidità nel modificare le modalità
di intervento sperimentate numerosissime volte, ormai prive di efficacia, come ad esempio l’uso
della punizione come unico deterrente al non rispetto delle regole. In questi genitori c’è una sorta di
speranza che prima o poi qualcosa cambi nel comportamento del bambino, magari perché cresce o
finalmente capisce che non si sta comportando bene. Spesso se devono descrivere o interpretare i
motivi che spingono il figlio a essere impulsivo e/o iperattivo e/o disattento, i genitori usano termini
come “svogliato”, “poco interessato alla scuola, fa solo ciò che gli piace”, “non ubbidisce ma
quando vuole è affettuoso”. Un approccio educativo in grado di affrontare efficacemente i problemi
posti dal disturbo attentivo richiede tempo, disponibilità e soprattutto la necessità di essere guidati
da una persona esperta in queste tematiche.
Gli autori, pertanto, alla luce delle conoscenze cliniche relative al bambino con DDAI hanno
individuato sei momenti per la costruzione di un percorso di intervento cognitivo comportamentale
per genitori e bambino con disturbo da deficit d’attenzione/iperattività.

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Innanzitutto la valutazione che risulta essere il processo prioritario ed essenziale per


pianificare qualsiasi intervento: in particolare è importante condurre una valutazione non solo per
fini diagnostici del bambino, ma anche per individuare i punti deboli e forti della famiglia che
saranno poi oggetto del trattamento con i genitori. L’operatore prenderà in considerazione la gravità
del disturbo del bambino, tenendo conto degli aspetti evolutivi, e valuterà gli spetti problematici dei
genitori che possono interagire con le difficoltà del bambino determinando una loro accentuazione;
anche la scuola deve essere contattata al fine di comprendere le caratteristiche comportamentali del
bambino fuori dall’ambiente domestico.
In una prima fase, il principale obiettivo è quello di determinare nel bambino la presenza o
meno del disturbo, il suo livello di gravità e la presenza di eventuali problemi associati. In un
secondo momento, la valutazione dovrebbe consentire di individuare le caratteristiche cognitive e
comportamentali del bambino (diagnosi funzionale), della famiglia e della scuola che possono
essere oggetto dell’intervento terapeutico. Dopo aver individuato gli aspetti da considerare per il
trattamento, si procede con la pianificazione dell’intervento.
Durante il secondo stadio è necessario preparare il bambino e i genitori agli eventuali
cambiamenti che potranno verificarsi attraverso l’intervento con i genitori. Il terzo stadio riguarda
l’insegnamento ai genitori di strategie e modalità di interventi utili alla riduzione e/o alla scomparsa
dei comportamenti problematici. Nel quarto stadio si coinvolge la scuola perché essa rappresenta un
contesto della vita del bambino nel quale i comportamenti sono particolarmente frequenti. Nel
quinto stadio si conclude l’intervento e nel sesto si rimandano i genitori a dei colloqui di controllo e
verifica del lavoro svolto.
Se si vuole che qualcosa cambi nelle modalità dei genitori di affrontare i problemi familiari
è necessario assicurarsi che ci siano le condizioni idonee affinchè ciò si verifichi, come ad esempio
sufficiente fiducia in se stessi e nell’azione educativa, disponibilità all’ascolto, aspettative
realistiche rispetto ai tempi e all’entità dei cambiamenti.
Il trainer familiare deve tener conto di due aspetti, diversi ma compresenti che caratterizzano
il lavoro con i genitori: l’aspetto educativo e quello di formazione. L’aspetto educativo si realizza
aiutando i genitori a individuare gli strumenti utili per la corretta gestione cognitiva e
comportamentale del figlio nelle diverse situazioni.

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L’aspetto formativo si estrinseca nella modificazione del modo di pensare, comprendere e


agire del genitore rispetto al comportamento del bambino. Tale modificazione è possibile se viene
affrontata e attenuata la naturale resistenza al cambiamento presente nell’adulto.8
Questo secondo momento costituisce la base indispensabile perché le informazioni fornite e
le abilità apprese diventino parte integrante del bagaglio genitoriale e vengano poste in atto nella
vita di tutti i giorni in modo ottimale.

I.4 Il ruolo terapeutico della famiglia

Essere genitori di bambini affetti da DDAI significa avere a che fare con un disturbo che,
pure avendo implicazioni di tipo biologico- funzionale, si sviluppa e si manifesta in modo
sostanzialmente diverso in base all’ambiente educativo e ai sistemi relazionali con cui interagisce.
Da qui l’ esigenza dei genitori di imparare a gestire il figlio, attraverso tecniche comportamentali e
la predisposizione di un ambiente domestico che ne favoriscono la riflessività e l’ autoregolazione.
A trarre beneficio dal parent training, sono sia il bambino, facilitato e sostenuto nel cammino
attraverso il superamento delle proprie difficoltà , sia con i genitori, dotati di metodi efficaci di
gestione delle situazioni problematiche e dello stress emotivo, in pratica l’intero nucleo familiare
che così può tornare a sperimentare dopo lungo tempo un clima di serenità e di fiducia,
fondamentali per recuperare le relazioni compromesse e impegnarsi in modo sinergico verso
obiettivi comuni, supportandosi gli uni gli altri.
A questo proposito il prof. Russel Barkley , noto studioso di DDAI che da oltre vent’anni si
è dedicato con impegno allo studio di questo disturbo, suggerisce 10 principi guida che i genitori di
un bambino con deficit di attenzione/iperattività dovrebbero osservare nella gestione quotidiana del
proprio figlio.9
Tali principi rappresentano un condensato di parent trainig e di terapia comportamentale
molto efficace, ragion per cui lo studioso stesso suggerisce di fissarli in luoghi ben visibili (per
esempio sullo specchio del bagno, sulla porta del frigorifero, su una parete dell’ufficio ecc.), così da
poter dare un’ occhiata e ricordarli durante il giorno. Nello specifico, essi sono di quelli di seguito e
numerati.
8
Ivi, p. 46-47
9
Sito internet: htt://aifa.it/.

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1. Fornire al bambino feedback e ricompense immediate. I bambini DDAI (rispetto ai bambini


normali) hanno bisogno di continui feedback positivi e ricompense immediate, quali,
complimenti, manifestazioni fisiche di affetto, regali privilegi. Ciò che è importante è che si
sottolinei in modo esplicito e preciso al bambino ciò che ha fatto di positivo per meritarli.
Allo stesso modo, quando manifesta un comportamento sbagliato, occorre fornire al
bambino un feedback rapido (per bloccare eventuali conseguenze della sua azione)e
negativo, consistente nella privazione di un premio o di un privilegio di cui dispone quel
giorno.
2. Dare al bambino feedback più frequenti. I bambini DDAI necessitano non solo di feedback
rapidi ma anche frequenti. La tenacia dei genitori dovrà essere conservata, soprattutto,
quando stanno provando a cambiare in modo significativo una cattiva condotta. Durante il
periodo di lavoro, il genitore dovrà elogiare frequentemente il bambino e invogliarlo a
rimanere sul compito fornendogli parole di incoraggiamento al fine di continuare a lavorare
con forza. Certo non è facile per un genitore, impegnato nelle proprie attività e
responsabilità, svolgere un attività di controllo così assidua sul bambino ma piccole e
semplici strategie possono aiutarlo a ricordare l’impegno:porre piccoli messaggi scritti
dentro casa, in luoghi dove spesso si poggia il nostro sguardo come all’ angolo degli
specchi dei bagni, sull’ orologio della cucina, oppure impostare il timer della cucina a vari e
piccoli intervalli o usare dei dispositivi appositamente studiati posti su una cinghietta o in
una scatola che vibra a intervalli programmati.
3. Utilizzare un alto numero di mezzi e premi. Occorre utilizzare un alto numero di mezzi e
premi, proprio per soddisfare la maggior esigenza di gratificazione tipica di questi bambini.
La natura stessa del disturbo rende loro difficile apprezzare rinforzi più astratti e personali,
perciò sono preferibili incoraggiamenti esterni e materiali. Questi rinforzi, per non perdere
efficacia, devono essere vari e via via più forti: da manifestazioni di affetto,
premi,dolci,fino a ricompense materiali come piccoli giocattoli o cose da collezionare.
4. Usare incentivi prima della punizione. La punizione da sola , cioè, in assenza di buone
ricompense e feedback positivi, non è molto efficace e porta a risentimento e ostilità . I
genitori devono frequentemente ricordare la regola “il positivo prima del negativo”

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partendo dal presupposto che il bambino DDAI riceve già abbastanza punizioni e
umiliazioni da coloro che non comprendono il suo disturbo.10
5. Sforzarsi di raggiungere la coerenza. E’ importante che i genitori cerchino di essere
coerenti con il figlio, evitando di non contraddirsi nel tempo e di scoraggiarsi troppo presto
nelle situazioni difficili. Devono tentare, inoltre, di rispondere sempre allo stesso modo
anche in contesti diversi, accertandosi di stare usando entrambi gli stessi metodi e criteri.
Essere imprevedibili o variare l’impostazione delle regole, di fatto genera molta confusione
nel bambino che già ha difficoltà a pensare e pianificare i propri comportamenti e reazioni.
6. Azioni più tosto che parole. Le carenze nell’ autocontrollo e nelle funzioni esecutive
rendono abbastanza arduo a questi bambini concretizzare le raccomandazioni orali, per
questo risultano molto più efficaci conseguenze e feedback concreti.
7. Prevedere le situazioni problematiche. Il genitore potrà preservarsi dall’angoscia
anticipando le situazioni problematiche,considerando prima del tempo il modo migliore per
affrontarle, sviluppando un piano di azione da condividere con il figlio e quindi seguendolo
passo passo.
8. Assumere la prospettiva di dover affrontare una disabilità. Di fronte alla difficoltà di
gestire il comportamento del bambino, i genitori posso perdere di vista le reali difficoltà
provate dal figlio: si sentono arrabbiati, irritati, imbarazzati o frustati quando i loro tentativi
iniziali non sembrano funzionare. Rischiano inevitabilmente di fare paragoni con i fratelli o
con altri bambini. Una modalità per rimanere tranquilli in circostanze difficili consiste nel
provare a mantenere una certa distanza psicologica dai problemi del bambino, ponendosi
come un estraneo che valuta la situazione per ciò che realmente rappresenta. Questo
permette di rispondere in modo più ragionevole, gentile e razionale rispetto a quanto si
sarebbe fatto lasciandosi turbare dai problemi del figlio. Naturalmente ciò è molto difficile
e quindi, può essere utile a se stessi ricordare la disabilità del bambino ogni
giorno,specialmente, quando si sta provando ad affrontare un comportamento distruttivo.
9. Non personalizzare il disturbo. I genitori non devono mai permettere che il loro senso di
autostima e di dignità personale risultino intaccati. E’ importante cercare sempre di
mantenere,per quanto possibile, una certa distanza psicologica dai problemi del figlio.
Mantenere la calma è un fattore essenziale,e per questo motivo diventa necessario

10
Ibidem.

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allontanarsi materialmente da quella situazione per un momento,andando in un’altra stanza


per riprendere le risorse mentali e il controllo sui propri sentimenti.
10. Applicare il perdono. E’ importante sforzarsi di perdonare il proprio figlio per gli errori
commessi nell’arco della giornata,se stessi per le possibili mancanze commesse,evitando
qualsiasi autodenigrazione e gli altri, cioè quelle persone che non comprendendo il disturbo
del bambino hanno agito in modo offensivo verso di lui e verso i genitori stessi.11

Risulta fondamentale nell’applicazione di questi principi:


 Fermarsi prima di reagire ad una condotta scorretta del bambino;
 Usare questa pausa per riflettere sui principi illustrati;
 Scegliere una risposta da fornire al bambino che sia coerente con i principi.

I genitori, però, nel loro gravoso impegno possono essere sostenuti e aiutati non solo dalla
scienza medica e psicologica ma anche da coloro che sono costretti a percorrere la loro stessa
strada. In Italia, infatti, negli anni sono nati i cosiddetti gruppi di mutuo-aiuto, costituiti da pari che
si uniscono per assicurarsi reciproca assistenza nel soddisfare i bisogni comuni, per superare un
comune handicap o un problema di vita oppure per impegnarsi a produrre desiderati cambiamenti
personali o sociali. Tali gruppi possono rappresentare quell’anello di forza molto efficace nella
politica di aiuto e di sostegno per i bambini e le famigli con problematiche complesse, laddove resta
fondamentale non dimenticarsi che dietro a ogni bambino c’è e deve esistere una famiglia forte alla
quale bisogna dedicare ogni sforzo perché si senta sorretta. L’esperienza della condivisione del
dolore, del donare un po’ del proprio tempo per sostenere i momenti di sconforto che altri genitori
vivono,permette di non percepirsi più come “ i soli” ad affrontare certe situazioni e permettere di
ridimensionare i propri problemi alla luce di quelli altrui.12
In Italia sono nate circa un ventennio fa due importanti organizzazioni: L’AIFA
(Associazione Italiana Famiglie ADHD) e l’AIDAI (Associazione Italiana Disturbi di Attenzione e
Iperattività),con finalità di solidarietà sociale, di istruzione e divulgazione scientifica di questa
patologia. L’AIDAI, per esempio, si prefigge attraverso la propria attività di fornire informazioni

11
Ibidem.
12
D’Errico R., Aiello E., Vorrei scappare in un deserto e gridare…Guida pratica all’ADHD attraverso le storie di tutti i
giorni di bambini iperattivo e disattenti, De Nicola Napoli 2002, p. 86.

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precise ed efficaci a tutti coloro che sono coinvolti nel disturbo, di mantenere contatti tra famiglie,
scuole, servizi sociosanitari e università interessati a esso;organizzare congressi e incontri
informativi e culturali per operatori scolastici e sanitari interessati in collaborazione con istituti
pubblici e privati.13
L’AIFA, invece, nata per opera dei dottori D’Errico e Aiello, avendo anch’essi figli affetti
da questo disturbo, si propone di creare una rete di genitori disponibili all’ascolto e all’aiuto
reciproco, di coordinare e favorire i contatti tra famiglie con i medesimi problemi.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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Università Telematica Pegaso Disturbo da deficit di attenzione/iperattività
(ddai):La famiglia

Bibliografia

 D’Errico R. Aiello E., Vorrei scappare in un deserto e gridare…Guida pratica all’ADHD


attraverso le storie di tutti i giorni di bambini iperattivo e disattenti, De Nicola, Napoli 2002.

 Savarese G., Iperattività e gestione delle emozioni. Percorsi educativio-didattici e motorio-


sportivi, Franco Angeli, Milano 2009.

 Scheriani C., Bambini sopra le righe” Bambini affetti da Disturbo da deficit di


attenzione/iperattività, Armando Editore, Roma 2007.

 Vio C., Marzocchi G.M., Offredi F., Il bambino con deficit di attenzione/iperattività,
Erickson, Trento 1999.

 Viola D., I disturbi del comportamento nei bambini. Iperattività , comportamento


dirompente, rabbia e aggressività, UNI Service, Trento 2010.

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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