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“LA DEPRIVAZIONE VISIVA”

PROF.SSA GENEROSA MANZO


Università Telematica Pegaso La deprivazione visiva

Indice

1 L’EFFICIENZA VISIVA ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 3


2 LE ALTERAZIONI DELL’APPARATO VISIVO ---------------------------------------------------------------------- 4
2.1. DIFETTI DI SVILUPPO ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
2.2. ANOMALIE OCULARI CONGENITE ------------------------------------------------------------------------------------------- 5
2.3. TRAUMI DELL’OCCHIO -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7
3 LA MINORAZIONE VISIVA E PROCESSO DI APPRENDIMENTO ------------------------------------------- 10
4 INTERVENTO EDUCATIVO---------------------------------------------------------------------------------------------- 18
4.1. ASPETTI SPECIFICI DELL’INTERVENTO DIDATTICO ----------------------------------------------------------------------19
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 32

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 L’efficienza Visiva
L’efficienza visiva, così come definita da Barraga, si riferisce ad una varietà di capacità

visive che includono: i movimenti dell’occhio, l’adattamento all’ambiente fisico, il grado di risposta

agli stimoli visivi e la codificazione delle informazioni in modo rapido ed efficace. La definizione

data da Barraga, in riferimento al bambino minorato della vista, è quella che vede tale bambino

quale soggetto le cui minorazioni visive limitano il suo apprendimento ed in genere i suoi progressi,

a meno che non vengano effettuati degli adattamenti tali da rendere le sue esperienze di

apprendimento agevolate attraverso adeguati materiali d’apprendimento collocati in altrettanto

adeguati ambienti d’apprendimento. L’idea di base che caratterizza la nozione di efficienza visiva è

che i bambini imparano a vedere meglio se sfruttano ed utilizzano attivamente le capacità visive di

cui dispongono. In riferimento ai minorati della vista, questo significa che si dovrebbero dare loro

adeguate opportunità d’apprendimento e, inoltre, si dovrebbe insegnare loro come utilizzare

efficacemente il grado di visibilità residuo. I bambini che presentano un basso grado di visibilità,

senza adeguate opportunità d’apprendimento ed un idoneo addestramento, non saranno in grado di

raccogliere informazioni utili dall’ambiente visivo; al contrario, se ben stimolati e addestrati, esse

possono avere chiare impressioni che in precedenza si presentavano non distinte ed incerte.

Il programma di Barraga, per lo sviluppo dell’efficienza nel funzionamento visivo, mira ad

enfatizzare l’uso di un tipo di addestramento ben strutturato ed efficace che faccia sì che il minorato

della vista sfrutti al massimo le sue potenzialità e capacità.

Associato all’idea di efficienza visiva è il concetto di vista funzionale; tale concetto riguarda

i modi in cui i bambini usano la vista, piuttosto che le loro limitazioni visive e fisiche.

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2 Le alterazioni dell’apparato visivo


L’apparato visivo dev’essere considerato, rispetto alla patologia, sia nella sua totalità, in

quanto esso è devoluto alla funzione visiva, sia in tutte le sue singolari parti, poiché le alterazioni di

queste possono condurre direttamente o indirettamente alla menomazione della funzione visiva.

Le alterazioni possono pertanto dividersi in due grandi gruppi, a seconda cioè che

colpiscono gli organi essenziali della visione (globo oculare, nervo ottico e vie ottiche fino alle aree

visive della corteccia, in rapporto con la maggior parte dell’encefalo), ovvero colpiscono gli organi

annessi (orbita, palpebre, congiuntiva, ghiandole e vie lacrimali, muscoli motori, vasi e nervi

endorbitanti, tessuto adiposo pluricellulare).

Le alterazioni si possono distinguere di tipo anatomico e alterazioni di tipo funzionale,

senza peraltro che si possa stabilire un limite netto tra l’uno e l’altro gruppo.

Anche nel campo della patologia dell’apparato visivo bisogna distinguere alterazioni di tre

tipi:

 Da difettoso sviluppo;

 Da traumi;

 Da malattie vere e proprie.

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2.1. Difetti di sviluppo

Un difetto di sviluppo in una parte qualsiasi dell’apparato visivo, può riconoscere varie

cause, un traumatismo o una malattia materna durante il concepimento (si può ricordare a questo

riguardo il reperto di cataratta congenita in bambini nati da madri che abbiano sofferto nei primi

mesi di gravidanza di rubeola), fattori quindi perfettamente accertabili, accanto a fattori di oscura

spiegazione. Comunque le cause delle più svariate alterazioni di singoli organi dell’apparato visivo

possono distinguersi in due grandi categorie: cause locali e cause generali. Talora lo stesso fattore

morbigeno può agire localmente come avviene per un sifiloma delle palpebre e della congiuntiva, o

può agire per via interna, cioè sanguigna, come nella cheratite parenchiomatosa, nelle iriditi, nelle

coroiditi e corioretiniti sifilitiche.

In sostanza una patologia oculare non può essere scissa dalla patologia generale, perché un

grande numero di malattie oculari deriva da malattie dell’intero organismo o di organi che non sono

direttamente connessi all’apparato visivo.

2.2. Anomalie oculari congenite

Lo sviluppo embrionale dell’occhio comporta l’intervento di tessuti svariati che sono

devoluti alla formazione di organi diversi. Si possono distinguere tre gruppi:

a) Organi di diretta derivazione encefalica: retina e nervo ottico;

b) Organi di derivazione tegumentaria: cristallino, epitelio anteriore della cornea, epitelio

congiuntivale con ghiandole annesse, cute palpebrale con annesse ghiandole e peli;

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c) Organi di natura mesodermale (mesenchima):stroma e vasi della membrana uveale, muscolo

ciliare, parenchima corneale sclerotico.

Il meccanismo dello sviluppo embrionale dell’intero globo oculare è molto complesso e, ove

intervengono fattori che determinano un arresto dei processi evolutivi, ovvero una deviazione della

norma a carico delle singole parti che costituiscono l’intero globo, nei vari periodi della vita

embrionale, si determinano anomalie anatomiche svariate con ripercussioni più o meno gravi sul

funzionamento ottico e fisiologico dell’occhio.

Pertanto tutte le anomalie si possono dividere in due grandi gruppi:

 In relazione allo sviluppo della vescicola ottica primaria;

 In relazione allo sviluppo di tutti gli altri organi che intervengono in periodo successivo

alla costituzione del globo completo.

In rari casi può osservarsi alla nascita una completa mancanza del globo oculare per

anomalie formative che è difficile interpretare. Talvolta il globo è rappresentato solo da un

moncone informe nel cui interno l’esame microscopico permette di riconoscere qualche accenno di

struttura. In alcuni casi si può avere un microftalmo: il globo può risultare cioè più piccolo del

normale, ma con tutti i suoi sostituenti ben riconoscibili; più spesso però in tali condizioni l’occhio

può essere funzionalmente deficiente o addirittura cieco.

Un difetto di sviluppo molto caratteristico è la cosiddetta ciclopia, nella quale si riscontra un

unico abbozzo oculare, situato in corrispondenza della radice nasale; di solito a questa grave

malformazione oculare sono connesse svariate malformazioni, che determinano un vero stato di

mostruosità incompatibile con la vita.

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Il significato che assumono le malformazioni oculari, ancora oggi non è ben chiaro poiché le

cause che conducono ad arresti e deviazioni di sviluppo si possono riportare a fattori svariati e

complessi.

Per alcune di esse è chiaro l’intervento dei fattori di ereditarietà e di consanguineità, fatto

dimostrato anche dalla possibilità che queste anomalie si presentino in diverse membri della stessa

famiglia.

Per altra causa può essere risposta in malattie infettive che abbiano colpito la madre durante

il periodo della gestazione.

2.3. Traumi dell’occhio

Il globo oculare come l’intero apparato visivo è esposto ai traumi più svariati, col risultato

che possono derivarne menomazioni più o meno gravi della funzione visiva, sino alla cecità mono e

binoculare.

I traumi possono danneggiare la funzione visiva sia per lesioni dirette sia per lesioni

indirette. Così la frattura del cranio per gravi contusioni, le ferite da arma da fuoco possono agire

sulle vie ottiche e addirittura sulla corteccia visiva producendo alterazioni (da schiacciamento delle

parti ossee, da scontinuità dirette da versamenti emorragici, da alterazioni del circolo sanguigno).

Allo stesso modo violente scosse dell’intero corpo (cadute sugli arti inferiori o sul torace) possono

determinare spostamenti della lente cristallina, distacchi ed emorragie retiniche. In sostanza i

traumi possono determinare lesioni simultanee in parecchi organi e pertanto devono essere

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considerati nella loro complessa azione, sia in rapporto alla sede, sia in rapporto alla natura delle

lesioni stesse.

Indipendentemente dalle lesioni che i singoli organi possono presentare in seguito ad un

trauma, bisogna ricordare che il complesso di segni e sintomi in un occhio più o meno gravemente

contuso costituiscono una caratteristica sindrome che può essere così distinta:

a) A carico del segmento anteriore del bulbo:

- Emorragia delle palpebre;

- Emorragia sottocongiuntivale;

- Intorpidimento ed abrasioni dell’epitelio corneale;

- Ipoema;

- Cataratta

- Sublimazione della lente, sublussazione e lussazione della lente

b) A carico del segmento posteriore del globo bulbo:

- Emorragie del corpo visivo;

- Emorragie retiniche;

- Distacco della retina;

- Emorragie della coroide;

- Rottura della coroide;

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- Contusione, lacerazione del nervo ottico, emorragie della guaina del nervo ottico;

- Modificazioni del tono: ipertensione traumatica ovvero ipotensione;

- Miopia traumatica transitoria.1

1
Enciclopedia medica per tutti, Istituto Geografico De Agostini, Novara, Vol. Inf- Pal

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3 La minorazione visiva e processo di


apprendimento

Golfrey Stevens, nel suo studio sulla “Taxnomy in Speciale Education for Children with

Body Disorders” (Tassonomia nell’educazione speciale dei bambini con difficoltà fisiche); utilizzò

il termine minorazione per intendere qualsiasi deviazione dalla normalità. Pertanto, il termine

minorazione fu interpretato da molti per intendere una difficoltà a livello del tessuto.

Una minorazione visiva, dunque, starebbe ad indicare una causa organica dell’handicap. Per

esempio, la cataratta sarebbe una minorazione; un diminuito grado di visibilità sarebbe una

difficoltà o handicap e, pertanto, sarebbe corretto riferirsi a quegli individui aventi minorazioni

visive.

Nei recenti anni, il termine minorazione visiva ha assunto un significato più vasto. In molti

casi esso denota una mancanza visiva, oltre che una cecità totale, pertanto, si parla di “cieco” e di

“minorato della vista” per distinguere il soggetto funzionalmente cieco da quello avente un restante

grado di visibilità. È comune, anche da parte degli esperti nel campo, riferirsi ad un individuo con

minorazione visiva come ad un soggetto avente una mancanza accertata in una delle qualsiasi

funzioni visive: l’acutezza visiva, il campo visivo, la visione del colore, la visione binoculare.

“L’influenza della minorazione della vista a livello di insufficienza o inefficienza totale non

deve considerarsi sul piano della quantità dei dati che permette di apprendere ed elaborare, quanto

sul piano della qualità degli stessi. Sarebbe un grave errore con conseguenze negative sul piano

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didattico, ritenere che l’alunno non vedente sia stimolato da una minore quantità di dati sensoriali,

soltanto perché privato di quelli visivi”2.

Il dato sensoriale elaborato in assenza della funzione visiva si struttura come una realtà

percettiva differenziata, con specifiche tendenze nei confronti dell’elaborazione dell’atto percettivo

e nella strutturazione delle rappresentazioni della realtà circostante. Quindi la minorazione della

vista incide sul processo di apprendimento per una specifica caratteristica della struttura delle

sensazioni che il soggetto viene ad utilizzare ai fini dell’elaborazione dell’atto percettivo.

“La globalità, che caratterizza la sincresi visiva nel suo primo momento di strutturazione dei

dati sensoriali è presente anche alla sincresi tattile, sia pure in modo diverso come diversa è la

natura del mondo sensoriale da cui l’atto percettivo scaturisce direttamente”3.

Le tesi più accreditate in ambito psicologico sono:

 Interdipendenza sensoriale;

 Autonomia sensoriale;

 Parallelismo sensoriale

L’adesione ad una delle tre scuole, che prospettano ciascuna una propria ipotesi scientifica

sulla natura della sensazione, sull’origine delle forme, rinvia ad una scienza pedagogica con precise

conseguenze metodologico-didattiche. La prima ipotesi porta a prevedere un intervento pedagogico

posto in continua condizione di vicarianza, senza che il processo di apprendimento nel fanciullo che

non vede riesca a colmare il divario esistente nei confronti di quella che viene assunta come

condizione di normalità sensoriale.

2
Ceppi E., L’educazione dei minorati della vista, Armando, Roma 1968, p. 62
3
Gioberti R., Bambini in difficoltà nella famiglia e nella scuola, Marino Fabbri Editore, Roma 1979, p. 93.

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La seconda ipotesi conduce ad una metodologia che dovrà far ricorso a tecniche didattiche

nettamente differenziate, che presuppongono la presenza di una strumentazione, di un materiale e di

un ambiente “speciale”, sulla base di questa seconda ipotesi si dovrebbe escludere la possibilità di

portare avanti il processo di integrazione dell’alunno che non vede, in una classe ordinaria, proprio

per l’inconciliabilità dei processi di strutturazione del mondo percettivo e rappresentativo che

caratterizza le diverse condizioni sensoriali.

La terza ipotesi sul piano pratico porta a ritenere possibile non solo un adeguato processo di

integrazione del fanciullo che non vede nella classe ordinaria, ma anche la successiva

partecipazione del soggetto privo della vista, alla società di tutti con la certezza che nei diversi

momenti della crescita la sua personalità ha seguito tappe caratteristiche della persona umana. Ciò

non toglie la necessità di fare costantemente ricorso ai concetti pedagogici e ad una didattica

differenziata la quale non prevede un momento di separazione e di incomunicabilità con i processi

didattici comunemente adottati sulla base e sul rispetto dell’individualizzazione dell’ intervento

educativo. In questa prospettiva metodologica-didattica, il concetto di differenziazione si inserisce

direttamente in quello di individualizzazione e si prospetta come una caratteristica metodologica

dell’atteggiamento dell’insegnante nei confronti dell’alunno4.

Un insegnante che debba programmare occasioni di apprendimento per alunni minorati della

vista, deve avere almeno delle nozioni teoriche su detta influenza, anche se soltanto la pratica

dell’insegnamento ed il frequente e costante contratto con l’alunno disabile sono le migliori fonti di

informazioni sui suoi problemi.

4
Ibidem.

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Un ruolo importante viene giocato dalla famiglia che deve essere adeguatamente informata

sulle conseguenze del grado e del tipo di minorazione del figlio, affinché possa cooperare

(intervento diretto) con gli specialisti e sostenere (intervento indiretto) emotivamente il paziente.

Certo non è facile, né semplice, per i genitori superare lo stress dovuto alla scoperta della

minorazione del figlio, non cadere nei meccanismi di difesa psicologica come la negazione e la

razionalizzazione, non lasciarsi sopraffare dall’angoscia, dalla confusione, dalla rabbia, dalla non

accettazione, o da una accettazione eccessiva o passiva. Il clima familiare risente di quel senso di

tensione e che incessantemente provano sia la madre, perché non riesce ad intessere con il bambino

una rete di rapporti gratificanti e significativi, sia il piccolo, che a sua volta, non riesce a

comunicare con la madre e ad esprimere se stesso. Si altera in al modo, o viene del tutto a mancare,

quell’interazione, quell’interscambio madre-figlio, la cui importanza, soprattutto nel primo anno di

vita, è stata sottolineata dallo Spitz.

Il piccolo minorato visivo rischia così l’apatia e l’emarginazione in seno alla stessa famiglia,

mentre la famiglia viene meno al proprio ruolo di guida e di sostegno affettivo e psicologico.

Tale emarginazione può determinare l’involuzione anziché l’evoluzione della personalità del

bambino e precludergli il futuro inserimento sociale.

In relazione al rapporto minorazione visiva-apprendimento, il Ceppi distingue i minorati

della vista in tre gruppi:

 difettosi visivi;

 ipovedenti;

 non vedenti.

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Tra i difettosi visivi rientrano i miopi o operati di cataratta, non presentano in genere

problemi di apprendimento, ma sul processo di apprendimento influiscono, talvolta, negativamente

difficoltà di apprendimento, di adattamento alla protesi e di accettazione della propria immagine

che, poiché diversa da quella che il soggetto ha elaborato nella costruzione dello schema corporeo,

può determinare una svalutazione del sé.

Il gruppo di ipovedenti comprende i soggetti affetti da deficit visivo determinato da

patologia oculare in atto o pregressa (es. glaucoma, retinite, pigmentosa). In relazione

all’apprendimento scolastico gli ipovedenti sono distinti dal Ceppi in tre sottogruppi:

 efficienti visivi (acutezza visiva non inferiore ad un decimo in entrambi gli occhi);

 subefficienti visivi (acutezza visiva che non supera un decimo di residuo visivo o presenta

visione tubolare);

 inefficienti visivi ( soggetti per i quali è necessario usare una metodologia prevista per i non

vedenti, anche se arricchita da un maggior numero di stimolazioni, perché l’ipovedente vive

nel proprio stato fisico come condizione di una inferiorità che mira a nascondere si aa se

stesso sia agli altri).

La consapevolezza dei propri limiti è il punto di partenza per l’educazione della funzione

visiva perché è “educazione a guardare a scoprire il volto delle cose che appaiono…sfumate dalla

visione imperfetta e insufficiente”, è “educazione soprattutto all’integrazione immaginativa, poiché

il bambino deve saper cogliere anche visivamente il tutto particolare, ricostruendo con l’immagine

ciò che riesce a percepire con l’occhio”5, utilizzando anche i sensi residui.

5
Ibidem.

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I non vedenti sono quei soggetti che vivono nel buio assoluto, privi della percezione luce-

ombra.

A tal proposito di tali alunni Ceppi ribadisce uno dei concetti basilari nel campo

dell’educazione dei non vedenti e cioè che, se è vero che la cecità condiziona ed influenza

l’apprendimento, è anche vero che tale condizionamento opera a livello di modalità e tempi di

apprendimento.

Pertanto gli obiettivi da formulare per gli alunni non vedenti sono gli obiettivi usualmente

formulati per alunni normodotati; ciò che cambia e che si rivela determinante al fine

dell’apprendimento è la metodologia.

Alla luce dei più aggiornati studi psicopedagogici e di anni di esperienza il Ceppi afferma

che l’apprendimento, affinché sia significativo per il non vedente, deve passare attraverso tre

momenti:

 ricezione attiva;

 scoperta e interpretazione guidata dalla realtà;

 scoperta diretta della realtà.

Il primo momento ha per il non vedente valore di stimolo: infatti il bambino non vedente

dopo il primo impatto con la realtà tende a cadere nella passività proprio per la mancanza di quelle

sollecitazioni che, invece, spontaneamente riceve un bambino vedente; è l’intervento tempestivo ed

adeguato dell’educatore che può evitare ciò, fornendo al non vedente, attraverso la verbalizzazione

quegli stimoli di cui ha bisogno.

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Per il non vedente, “la ricezione dello stimolo verbale è il presupposto dell’azione che si

tradurrà poi in esperienza”6.

Nella fase ricettiva l’educatore deve aiutare il bambino non vedente ad entrare in contatto

con l’ambiente che lo circonda e lo deve stimolare e preparare al secondo momento dell’iter di

apprendimento “la scoperta guidata”.

Quando il piccolo non vedente si mostra incuriosito da un rumore nuovo diverso dal solito,

l’educatore non deve limitarsi ad una risposta di tipo nominale ma deve dare una risposta di tipo

rappresentativo.

In tal modo susciterà nel bambino una catena di stimoli; lo guiderà alla scoperta attraverso

l’osservazione tattile o acustica della forma, della qualità, della funzione, dell’uso della fonte del

rumore.

Così facendo fornirà al bambino non vedente gli spunti per la costruzione immaginativa

della realtà; gli stuzzicherà la curiosità finché egli stesso, udito un rumore, spontaneamente ne

ricercherà la fonte. È questa appunto la terza fase del processo di apprendimento, quella della

scoperta autogestita, diretta, che vedrà il bambino non vedente non più nel ruolo di uditore ma di

attore. A questi aspetti, si aggiunge l’importanza che si deve attribuire alla fase della ricezione

passiva, ovvero che si pone tra 0 e 3 anni, caratterizzata dallo sviluppo dell’intelligenza senso-

motoria ed è, come ha sottolineato J. Piaget, di non trascurabile importanza al fine dello sviluppo

cognitivo del bambino.

“In questa fase, preponderante è il ruolo della famiglia ed in particolare della madre. Se essa

soggiace a quei meccanismi di difesa psicologica, o rifiuta il bambino, sottrae tempo prezioso

6
Ceppi E., Monorazione della vista e apprendimento, SAAS, Roma 1982.

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all’intervento riabilitativo, in quanto non offre al piccolo tutte quelle stimolazioni di cui ha bisogno.

Infatti, gli stimoli, pur essendo recepiti passivamente, sono dal bambino incamerati, memorizzati,

selezionati, quale sostrato del successivo momento di ricezione attiva. Pertanto, se una carenza di

stimolazioni durante tale periodo può comportare gravi conseguenze ad un bambino normodotato,

riteniamo che, a maggior ragione, un bambino già carente o privo dell’efferenza sensoriale visiva,

ne abbia a soffrire. Il bambino minorato visivo dovrebbe, invece, secondo noi, ricevere una

pluralità di stimoli che, come la mancata ricezione di stimoli sonori determina nel sordo

l’instaurarsi delle prime lacune che con il tempi si approfondiscono e si riflettono nel processo di

rielaborazione mentale con conseguente rallentamento del processo di rielaborazione mentale con

conseguente rallentamento del processo maturativo, così anche il non vedente privato di adeguate

stimolazioni, non compie le necessarie esperienze maturative, non si sente motivato ad apprendere

per cui si chiude in se stesso, con gravi ripercussioni sulla sua attività mentale e psichica7.

Quindi alla luce di ciò appare pertanto evidente quanto siano preziosi gli interventi

diagnostici e riabilitativi precoci, che non trascuri il periodo 0-3 anni, ed un’adeguata informazione

e collaborazione della famiglia al fine di un armonico sviluppo cognitivo ed affettivo del bambino

non vedente.

7
De Filippis, Il bambino da 0 a 3 anni, in “ Sentiamo”, n° 3, aprile 1971.

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4 Intervento educativo

Parlare di intervento educativo significa riferirsi alle METODOLOGIE RITENUTE PIÙ

IDONEE AL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI. Nel nostro caso “la più importante

preoccupazione dell’insegnante dovrà essere quella di sviluppare nel bambino che non vede un

capacità di orientamento assumendo questo termine come capacità di mediazione tra sé e la realtà

circostante. Per l’attuazione di questa fase dell’intervento educativo, si pone come momento

didattico fondamentale la conoscenza di sé nei suoi gradi successivi che, partendo dalla conoscenza

del proprio corpo mediante un costante processo di distinzione, giunge alla conoscenza dell’io nel

contesto della società dei simili”8.

Ma la conoscenza di sé, del processo di distinzione che accompagna la crescita del bambino,

non può prescindere dalla coscienza del di tutto ciò che è fuori di sé. “Affinché si instauri la

coscienza del fuori di sé è indispensabile porre in atto un processo cognitivo graduale e ordinato,

che tenga conto delle specifiche caratteristiche e della natura dei mezzi sensoriali a disposizione del

soggetto per la promozione del processo stesso”9.

Su questo principio metodologico, centrato sul concetto dell’orientamento inteso come

mediazione fra sé e la realtà circostante, si fonda la metodologia scolastica degli interventi

educativi, e si inserisce anche il concetto di normalizzazione, che potrebbe assumere e sembrare

caratteristico di un’altra teoria metodologica prevalentemente fondata sulla vicarianza sensoriale. È

opportuno evitare di confondere normalizzazione con vicarianza, soprattutto a livello didattico,

8
Gioberti R., Bambini in difficoltà nella famiglia e nella scuola, M. Fabbri editore, Roma 1979.
9
Ibidem.

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poiché si rischierebbe di interpretare la normalizzazione come lo sforzo di ottenere da certi sensi ciò

che è precipuo di altri.

La normalizzazione, inserita come momento metodologico nel percorso di intervento

individualizzato, può essere generalizzata all’alunno in quanto tale, fondandosi prevalentemente sul

principio del decondizionamento. Il compito della scuola resta quello di decondizionare, cioè

liberare l’individuo da condizioni o situazioni ostacolanti la sua crescita.

La crescita stessa è un costante processo di decondizionamento.

In questo caso specifico il decondizionamento si riferisce alla condizione della minorazione

della vista e presuppone una coscienza della minorazione, delle sue conseguenze sul processo di

apprendimento e sullo sviluppo della vita affettiva10.

4.1. Aspetti specifici dell’intervento didattico

Ciascun intervento didattico presuppone una specificità che deve essere costantemente

rapportata alle condizioni dell’alunno, alla natura obiettiva dell’intervento e alle condizioni in cui

l’intervento stesso si svolge.

La Gioberti ritiene opportuno concentrare in tavole di sintesi i tipi di intervento relativi ai

principali aspetti didattici che caratterizzano l’apprendimento del fanciullo non vedente.

Ciascuna delle tavole rappresenta caratteristiche analoghe di strutturazione, sollecitando

l’analisi del comportamento motorio: percettivo, immaginativo ed espressivo del bambino non

vedente, analisi che viene messa in relazione con la tecnica di intervento.

10
Gioberti R, op. cit.

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Scrittura in Braille

1.1 Utilizzazione dello spazio

a) Entro il casellino;

b) Distanza delle parole;

c) Struttura della riga;

d) Spazio interlineare;

e) Composizione della pagina;

f) Composizione del foglio e del quaderno.

1.2 Maturazione del processo motorio

a) Lateralizzazione;

b) acquisizione dei concetti topologici;

c) coordinazione bimanuale.

1.3 Maturazione del processo immaginativo in relazione

a) Alla struttura del segno;

b) Alla struttura delle parole;

c) All’utilizzazione dello spazio di scrittura;

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d) All’ ordine dei docenti.

1.4 Conoscenza ortografica

a) Errori di natura motoria;

b) Errori di natura immaginativa;

c) Errori di natura linguistica;

d) Errori di natura senso-percettiva.

1.5 Struttura del periodo

a) Utilizzazione della punteggiatura;

b) Utilizzazione intuitiva delle parti della proposizione;

c) Prevalenza o carenza di alcune parti del discorso.

Lettura in Braille

1.1 Sviluppo senso percettivo-motorio

a) Sviluppo senso percettivo-motorio;

b) Sensibilità tattile;

c) Percezione aptica;

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d) Utilizzazione del residuo visivo;

e) Condizioni postnaturali in rapporto alla lettura;

1..2 Sviluppo immaginativo

a) rappresentazione della lettura: globale, analitica, con variazione delle sitanze interpunto;

b) livello di integrazione immaginativa;

c) orientamento nella riga;

d) orientamento nella pagina;

e) orientamento nel volume.

1.3sviluppo cognitivo e logico

a) livello di maturazione intuitiva;

b) capacità di comprensione lessicale;

c) dotazione di vocabolario;

d) comprensione del contenuto relativo: al periodo, al prosa, alla poesia;

e) utilizzazione della punteggiatura ed espressività nella lettura, tempi di previsione della

punteggiatura, partecipazione emotiva per l’espressività.

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1.4 Velocità di lettura

a) per lettere, per sillabe, per singole parole;

b) per gruppi di parole: binari, ternari, di più parole;

c) per preposizioni o periodi;

d) per tempi omogenei o discontinui;

e) con precedente esplorazione della singola parola e del gruppo di parole e successiva

ripetizione verbale;

f) rapporto del contenuto col tempo di lettura.

Così la scrittura e la lettura in Braille non sono considerate soltanto come momenti

dell’apprendimento strumentale e risultato della tecnica specifica dell’insegnamento, ma come

globali risultanze di una comprensiva maturazione della personalità del fanciullo non vedente,

maturazione che coinvolge il suo sviluppo percettivo-motorio e la sua stessa attività effettiva.

Manipolazione, plastica, modellatura

1.1 L’educazione della mano

a) modalità di esplorazione dell’oggetto (digitale, palmare, manomanuale, bimanuale);

b) esplorazione casuale;

c) esplorazione metodica;

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d) esplorazione per analisi delle parti;

e) esplorazione per sintesi;

f) acquisizione dell’esplorazione aptica.

1.2 Maturazione manipolativa

a) Tipo di prensione palmare, cubitopalmare a pinza;

b) Manipolazione coordinata ( infilare, togliere, allacciare, piegare);

c) Plasmazione di sostanze ( impasto senza forma, con forma approssimativa, con forma

geometrica, con riferimento a oggetti);

d) Tecnica del plasmare (spontanea, imitativa, creativa);

e) Tipo di partecipazione all’attività del plasmare (passiva, attiva, lucida).

1.3 Livelli di modellatura

a) Acquisizione della tridimensionalità;

b) Sviluppo della proporzione;

c) Riduzione dimensionale;

d) Rappresentazione del movimento nella medesima figura, in figure diverse, in composizione

scenica;

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e) Espressione e atteggiamento;

f) Tendenza all’accentuazione della parte.

1.4 Tipo di modellatura

a) in tutto tondo (verticale, orizzontale, in posizioni diverse);

b) in alto-rilievo (su piano unico, su piani diversi, con prospettive);

c) in basso-rilievo (con sovrapposizione della figura sullo sfondo per abbassamento o

eliminazione della parti superflue, con appiattimento sullo sfondo di forme costruite in

tondo);

d) esecuzione manuale o con l’uso di attrezzi appositi.

1.5 Forme della modellatura

a) prevalenza della forma geometrica;

b) prevalenza dell’oggetto inanimato;

c) utilizzazione della forma animata;

d) rappresentazione della figura animale;

e) rappresentazione della figura umana;

f) capacità di auto-rappresentazione.

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1.6 Quantità e grandezza

a) Tendenza alla riproduzione minima;

b) Utilizzazione della quantità di materia disponibile;

c) Modellatura collettiva con parti assegnate e rappresentazione dell’insieme;

d) Preferenze delle sostanze (pongo, creta, cera, plastilina, ecc.).

Disegno in Rilievo

1.1 Utilizzazione dello spazio e del segno

a) il segno in rilievo come espressione di motricità;

b) segno spontaneo tracciato con il dito su sostanze plasmabili;

c) segno indotto con sostanze diverse (cordoncino, fil di ferro, asticelle, ecc.)

d) orientamento del segno ( causale, costante, alternativo);

e) scelte dello spazio operativo (determinato, indeterminato, indifferente);

f) spontaneità del segno e significato della direzione.

1.2 Elementi topologici e tecnici

a) Verticalità e orizzontalità ( andamento della traccia inrilievo, in relazione al gesto);

b) Figura geometrica (indotta, dedotta, ripetuta)

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c) Capacità di contornare (con materiale flessibile, con punteggiatura, con piegatura);

d) Utilizzazione del sussidio e del foglio;

e) Differenziazione dello spazio utilizzato (dentro la figura e fuori)

1.3 Acquisizione della bidimensionalità

a) Negli oggetti pieni;

b) Negli oggetti tondi;

c) Con schematizzazione;

d) Per strutture geometriche;

e) Per analisi delle parti;

f) Per composizione sintetica delle parti.

1.4 Espressione e interpretazione

a) Capacità di copia dell’oggetto dal vero;

b) Copia dei modelli;

c) Riproduzione fantastica;

d) Riduzione spontanea delle dimensioni;

e) Proporzioni e rapporti di grandezza;

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f) Distinzione nello spazio operativo;

g) Atteggiamento statico e atteggiamento in movimento;

h) Linguaggio grafico e comunicazione

1.5 Disegno tecnico e geografico

a) Lettura delle illustrazioni e della figura;

b) Costruzioni dimostrative di figure geometriche;

c) Schematizzazione di oggetti e di strumenti;

d) Costruzione grafica di schemi e tracciati;

e) Fissazione della forma grafica: per confini, per strutture, per elementi grafici;

f) Riproduzione grafica e memoria di piante topografiche, di carte geografiche, strutture

globali e parti evidenziate.

Sviluppo logico-matematico

1.1 Formazione del concetto spazio

a) Acquisizione dei concetti topologici semplici;

b) Valutazione delle distanze;

c) Valutazione delle grandezze;

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d) Correlazione dinamica tra gli oggetti;

e) Collocazione relazionale delle cose nello spazio circoscritto;

f) Collocazione delle cose nello spazio indeterminato.

1.2 Formazione del concetto di numero

a) Unità e molteplicità;

b) Comparazione della quantità;

c) Classificazione degli oggetti e delle esperienze;

d) Seriazione degli oggetti;

e) Numerazione entro il 9 con la decina e il centinaio;

f) Utilizzazione del concetto di numero: concreta e astratta;

g) Concetti aritmetici di addizione e sottrazione: applicazione reale e processo di astrazione.

1.3 Strutture e forme geometriche:

a) Concetto di misurazione e senso metrico;

b) Acquisizione delle strutture fondamentali, riconoscimento delle stesse nelle cose e negli

ambienti;

c) Percezione aptica della forma e maturazione rappresentativa;

d) Comparazione delle forme simili: per grandezza, per collocazione, per analogia;

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e) Confronto delle forme diverse per la valutazione della quantità dello spazio e della

varianza delle dimensioni;

f) Costruzione di forme nuove per applicazione di teoremi geometrici e per la

rappresentazione di oggetti, di ambienti e di relazioni spaziali.

1.4 Maturazione logica

a) Capacità di calcolo con il concetto di simbolo;

b) Dall’esperienza del concreto alla reversibilità;

c) Operazioni logico-formali: invarianza, comparazione, confronto, similitudine, somiglianza,

uguaglianza e disuguaglianza;

d) Variazione della posizione e permanenza della forma;

e) Variazione della posizione e permanenza della forma;

f) Divisibilità dell’unità, concetto delle parti, esperienza della frazione ricomposizione

dell’unità;

g) Grandezze multiple e molteplicità, spazializzazione della moltiplicazione con riferimento

all’unità;

h) Relatività del numero e della grandezza.

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Altrettanto si può dire dell’indagine sugli aspetti caratteristici della lettura in rilievo, della

manipolazione, del disegno e dello sviluppo logico-matematico.

Ogni volta seconda la opinione della Gioberti intende riferirsi il commento didattico allo

sviluppo complessivo dell’alunno, nel principio dell’integralità dell’intervento educativo, che non

prescinda dal principio dell’individualizzazione. Ogni volta viene proposta per aspetti generali

articolati nei diversi momenti dello sviluppo e ciascun aspetto costituisce il momento didattico

correlato e preso in considerazione ai fini dell’intervento educativo.

Quindi le tavole si prospettano un duplice scopo:

1. Prospettare una problematica nella sua specificità e nella sua complessità;

2. Offrire spunti per un approfondimento organicamente sviluppato nei diversi settori

dell’apprendimento scolastico.

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Bibliografia

 Ceppi E., L’educazione dei minorati della vista, Armando, Roma 1968.

 Ceppi E., Monorazione della vista e apprendimento, SAAS, Roma 1982.

 De Filippis, Il bambino da 0 a 3 anni, in “ Sentiamo”, n° 3, aprile 1971.

 Enciclopedia medica per tutti, Istituto Geografico De Agostini, Novara, Vol. Inf- Pal.

 Gioberti R., Bambini in difficoltà nella famiglia e nella scuola, Marino Fabbri Editore,

Roma 1979.

 Vitale C., I percorsi dell’educazione Speciale. Teoria e Prassi nella scuola dell’Autonomia,

Edisud, Salerno 2001.

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