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Lettura 2.

ARTE E SOCIETÁ

1. I committenti

Il committente è colui che richiede all’artista l’esecuzione di un’opera e ne paga il prezzo; egli può
riservarsi il diritto di specificare, oltre al compenso e al termine di consegna, anche la tecnica, i
materiali, le dimensioni e il soggetto dell'opera, facendo emergere le proprie preferenze.
Quello del committente, è un ruolo capitale nella storia dell'arte e pertanto la sua figura e il suo
operare sono stati di frequente oggetti di studio.
Per Antal egli è il regista che decide una vera e propria strategia delle immagini; per Hauser egli agisce
come portavoce del gruppo ma entrambi privilegiano il momento della domanda ossia il ruolo del
committente rispetto a quello dell'offerta ovvero il ruolo dell’artista.

Secondo Goldthwaite non si può considerare questo tema senza ricorrere a un approccio che guardi al
mecenatismo artistico come una forma di consumo; Inoltre, data la natura di bene durevole del
prodotto artistico, oltre a essere una forma di consumo, è anche una forma di investimento.
I modi e i gradi di intervento dei committenti variano a seconda del grado di cultura del committente
dello Stato sociale della cultura dell’artista.
Mentre il committente ecclesiastico poteva disporre di un bagaglio culturale che gli permetteva di
intervenire, di decidere i programmi iconografici altro, questo non era il caso dei committenti laici,
accanto ai quali cominciarono ad apparire sempre più personaggi come consiglieri eruditi che
stabilivano temi e programmi, costituendo accanto all'artista al committente un terzo agente nella
produzione dell’opera.

Negli ultimi decenni gli studi sulla committenza si sono concentrati sul periodo rinascimentale dove
sono state particolarmente studiate le corti.
Oltre ai casi di singoli committenti e di dinastie (medici, Gonzaga, Montefeltro) si sono analizzati gli
atteggiamenti di alcune collettività come gli ordini religiosi e i governi cittadini, con le loro istituzioni
politiche dei economiche.
Si è guardato alle città e ai suoi edifici come a una somma dei rapporti tra committenza e artisti e si è
individuata nella filantropia una fonte di committenza.

Dopo i secoli del medioevo, in cui il rapporto tra committenti e artisti era fortemente squilibrato a
favore dei primi, la situazione cambiò la battaglia dei secondi: nell'Europa occidentale tra il 400 e
settecento l'attività artistica andò configurandosi sempre più come produttrice di beni di lusso il che
determinò una crescita dello stato sociale e del potere contrattuale di alcuni artisti particolarmente
rinomati.
Con la rivoluzione francese i centri tradizionali di committenza scomparvero per riapparire durante la
restaurazione; iniziarono a manifestarsi nuove forme di committenza meno dirette ma non meno
importanti come i musei e i salons.
Tra la fine dell'ottocento e gli inizi del 900, il rifiuto della committenza ufficiale fu un comportamento
distintivo di gruppi di artisti che si riconobbero come un'avanguardia scegliendo una strategia di
attacco che l'indusse a cercare una serie di alternative.
Questa strada ha condotto all'attuale sistema delle gallerie dei mercanti d'arte che ha sostituito le
antiche strutture, pur senza determinare una sparizione della committenza.

2. I collezionisti.

Le varie forme di collezionismo pongono problemi che devono essere affrontati da un punto di vista
antropologico e che riguardano solo parzialmente la storia dell'arte e della produzione artistica.
Il collezionismo d'arte un avere propria tradizione della corte imperiale cinese, inaugurata da alcuni
imperatori della dinastia Han.
In Occidente invece, nel periodo medievale, il collezionismo artistico si manifestò in una forma molto
particolare e con funzioni molteplici come il culto delle reliquie o l'accumulazione di materie preziose.
Solo alla fine del trecento, nelle maggiori corti europee si manifestarono autentiche forme di
collezionismo artistico abbondantemente testimoniate.
Nel periodo rinascimentale in quello barocco si sviluppano le grandi raccolte (macchina oggetti
scientifiche e opere d'arte che sono stata analizzata in tutti i loro aspetti.
Il quadro si arricchisce nel settecento in cui si vede l'affermarsi del grand tour il viaggio intrapreso a
scopi educativi e culturali e che aveva spesso come meta l’Italia.
Nell'ottocento e nel novecento il collezionismo si diffonde contribuendo ad alimentare numerosi musei
e fondazioni e a sostenere il mercato dell’arte.

3. Il museo

Il grande museo moderno nasce con la rivoluzione francese; e soffre una parziale soluzione alla
confisca delle collezioni reali e nobiliari e alla secolarizzazione dei beni ecclesiastici e risponde alla
volontà napoleonica di fare di Parigi la capitale dell'Europa, rendendo la depositaria dei tesori artistici
del continente. In questo periodo nasce il Musée des monuments Français e prende forma il grande
Louvre di Napoleone, che doveva riunire quanto l’Europa aveva prodotto di più bello e maestoso.
L’immenso sviluppo del museo è una prova della crescente centralità dell’arte nella cultura
ottocentesca e, inoltre, ha portato alla nascita di nuove professionalità e nuove specializzazioni.

4. Il pubblico.

Il pubblico dell’arte è vastissimo perché comprende non solo i contemporanei alla produzione delle
opere, ma anche le generazioni che per secoli le hanno continuamente reinterpretate, apprezzandole o
meno.
Valutare il pubblico d’arte risulta più difficile da valutare rispetto a quello letterario in quanto, oltre ad
essere composto da committenti di diverso tipo e collezionisti, comprende anche i fruitori non
proprietari che apprezza e interpreta le opere d’arte secondo criteri, modi e abitudini ancora da
definire.
Per valutare la composizione e le reazioni del pubblico dell’arte si utilizzano inchieste, questionari e
dati statistici; per le istituzioni del passato si deve invece fare appello a una sorta di archeologia del
giudizio, di storia sociale dei sensi che va al di là della storia del gusto e che si basa sulle esperienze e
sulle abitudini percettive.
Le ripetute distruzioni di opere figurative verificatesi in diversi momenti storici dovrebbero
dimostrare che la po- sta in gioco attorno alle immagini era assai alta e che esse potevano essere
fieramente avversate da una parte del pubblico come strumenti di dominazione e di oppressione
simboliche.
Questa constatazione ripropone il problema dell composizione del pubblico, che non costituisce una
categoria omogenea non solo nel tempo ma neppure nello stesso momento e nello stesso luogo

5. L’artista.

Le ricerche dedicate alla figura dell’artista non sono numerose e la loro biografia dovrebbe permettere
di accedere a una conoscenza approfondita delle strutture sociali e dei comportamenti collettivi di
un’epoca.
Porre l’artista al centro dell’analisi vuol dire :
1. Studiarne la provenienza familiare, l’educazione, l’apprendistato, lo sbocco professionale ecc.
2. Ricostruirne la cultura e la formazione, i maestri, gli studi, i viaggi ecc
3. Individuarne la posizione all’interno della professione, i premi, le partecipazioni a mostre
4. Delineare i tratti psicologici, mettere in evidenza certe costanti del suo carattere o sottolinearne i
mutamenti.
5. Confrontarlo con altri e artisti e con altre professioni esercitate dai suoi contemporanei

Momenti fondamentali nella filogenesi dell’artista sono il suo specializzarsi come artigiano e il suo
conseguente staccarsi dalla sfera del semplice artigianato per assumere una posizione particolare.
Tale processo avviene solo in alcune società e dipende dall’evoluzione sociale e dalla divisione del
lavoro.
Per lungo tempo calligrafia e pittura, strettamente unite si svilupparono in Cina all’interno di una casta
di letterati e di grandi burocrati che le praticavano come dilettanti; Non tutti i pittori erano però
dilettanti: ve ne erano di notevole talento che avevano botteghe e studi nelle città e che erano
considerati una sorta di artigiani
Il fenomeno ha altro svolgimento nel mondo classico, dove permane tuttavia il disprezzo per il lavoro
manuale cui l’operare artistico è equiparato. È questo atteggia- mento che porta al celebre passo della
Vita di Pericle di Plutarco, che distingue tra il piacere procurato dalla vista di un’opera e il disprezzo
per il suo artefice.
Nella Roma classica, la straordinaria importanza attribuita al- le immagini come strumento di potere, a
partire dall’età augustea, non ha conseguenze sulla posizione sociale dell’artista. Strettamente legata al
prestigio di cui gode l’artista è la sua firma.
La firma è un indizio significativo dell’autocoscienza dell’artista e del riconoscimento della sua
individualità.
I primi nomi di artisti ci giungono da aree del Mediterraneo e dell’Estremo Oriente pervenute a un
certo grado di sviluppo e a una certa laicizzazione dell’attività figurativa
Durante il primo Medioevo la firma dell’artista sparisce dall’Europa occidentale, per poi riapparire in
Italia a partire dall’VIII secolo in opere di scultura e di oreficeria
Agli inizi del XII secolo un nuovo atteggiamento verso l’artista si fa strada in Italia; a Pisa e a Modena
iscrizioni elogiative poste sulle mura delle nuove cattedrali ne lodano i rispettivi autori.
La firma non appare spesso nel caso dei pittori, anche se in Italia nel XIII secolo, le firme dei pittori
apposte ad opere su tavola non sono rare.

Nello stesso secolo, in Francia, la firma dello scultore scompare per lasciar posto a quel dell’architetto,
presente nelle cattedrali goticheQuella dell’architetto è la prima figura di arti- sta che assume un
rilievo particolare nella società medievale e a essa è stato dedicato il maggior numero di studi.
Un’autentica sanzione della nuova situazione è rappresentata dal passo di Dante in cui i nomi di due
pittori, Cimabue e Giotto, e di due miniatori, Oderisi e Franco Bolognese, vengono accomunati a quelli
di due letterati. Nel corso del Trecento i letterati fiorentini si impadroniscono della figura di Giotto, la
cui arte innovatrice an- dava conoscendo una straordinaria accoglienza europea, fino a farne un loro
pari, un artista che appartiene a una élite e che da questa élite è compreso.

Questo processo di rivalutazione continuerà nel corso del 400’ e le corti contribuiranno a eludere e
strettoie dei regolamenti corporativi e a modificare l’immagine stessa dell’attività artistica.
Molteplici studi sono stati dedicati agli artisti olandesi del 600’ : i rapporti tra artisti e società si
presentano con una nettezza particolare e si diversificano da quelli in atto nella parte dei Paesi Bassi
rimasta cattolica.
Con le rivoluzioni politiche, sociali, economiche e tecnologiche della fine del 700’, la posizione
dell’artista subisce bruschi mutamenti: dinanzi alla crisi del vecchio sistema di committenza e di
produzione, gli artisti iniziano a legarsi in gruppi, comunità e movimenti.
In Francia il sistema delle esposizioni pubbliche propone agli artisti ormai professionalizzati uno
sbocco diverso da quello artigianale della bottega, e a un pubblico sempre più vasto e a una domanda
in aumento un crescente numero di opere.
Nel corso dell’Ottocento all’interno della cultura romantica si sviluppa anche per gli artisti l’ideologia
della vocazione, del genio, che spinge all’adozione di certe forme di comportamento sociale.
Coloro che si considerano d’avanguardia rifiutano il successo commerciale ottenuto attraverso gli
abituali circuiti e cercano la propria legittimità non nel consenso accademico ma nell’approvazione di
un piccolo gruppo di intellettuali, di cui condividono giudizi e valori, e nell’appoggio di singoli
mercanti.

6. Le tecniche.

Lo studio delle tecniche non ha ricevuto un’attenzione sufficiente al di fuori dell’ambito strettamente
specialistico.
Mentre ci si è occupati molto della rappresentazione dello spazio, pochissimo ci si è occupati della resa
della luca o della superficie della materia.
Nella tradizione anglosassone gli studi sulle tecniche hanno sempre avuto una certa importanza,
specie quelli riguardanti la costruzione medievale.
Un’importante testimonianza è l’opera di John Summerson che si sofferma su tipo di mattoni utilizzati,
sull’uso della pietra artificiale, sulla sua invenzione; al centro di quest’opera vi è il problema dei vincoli
tecnologici nel loro rapporto con la produzione artistica.
L’architettura è un’arte con forti vincoli tecnologici ed è dunque in questo campo che troviamo le
trattazioni più ampie e mature dei problemi che riguardano materiali e tecniche, per l’epoca romana
come per il Medioevo, per il Rinascimento e per l’età moderna, nella quale le possibilità del cemento
armato hanno suscitato studi significativi come quello di Peter Collins.
La scultura è stata fatta oggetto, in questi ultimi anni, di importanti contributi.
Altre ricerche che hanno messo nel dovuto risalto il ruolo delle tecniche, con le loro potenzialità e le
loro limitazioni, hanno riguardato la pittura e in primo luogo l’affresco, che ha conosciuto una grande
fortuna negli anni Sessanta
Un caso particolare, quello delle pitture fiamminghe su tela del Quattrocento, è stato recentemente
oggetto di un’analisi esauriente.

7. Le opere.

Le opere, che una volta compiute vivono nel tempo, sono un deposito di relazioni sociali, il punto
d’incontro delle strade percorse dall’artista, dalle tecniche, dai committenti, dal pubblico.
Il destino e la ricezione di un’opera possono essere estremamente rivelatori dei mutamenti di funzioni
che ha conosciuto l’intera produzione artistica.
Particolare interesse per intendere il modo in cui si guardava alle opere e i compiti loro affidati ha lo
studio dei generi artistici e della loro gerarchia.
L’emergere del ritratto, l’affermarsi di una pittura rivolta alle forme della natura, l’attenzione riservata
alla resa di un paesaggio particolare e caratterizzato illustrano la funzione conoscitiva svolta dalla
pittura tra la fine del Trecento e gli inizi del Cinquecento. Successivamente, in seguito alla nascita e allo
sviluppo delle accademie, la situazione mutò : si arrivò a una sorta di sistemazione istituzionale; per
quanto riguarda la pittura, in particolare, si precisò una gerarchia al cui livello più alto era posta la
riproduzione di scene storiche e in posizioni inferiori il paesaggio, il ritratto, la natura morta.

8. Il mercato.
Committenza e mercato sono i due destinatari cui si indirizza l’offerta dell’artista. A lungo sono
coesistiti fino a quando, nel corso degli ultimi due secoli, il mercato non ha preso il sopravvento.
Due sono i principali mercati artistici: quello delle opere contemporanee e quello antiquariale (quello
delle opere prodotte per il mercato e quello delle opere che passano attraverso il mercato pur non
essendo state in origine pro- gettate per questo scopo). Una simile distinzione non deve far
dimenticare che tra i due mercati sono sempre esistiti stretti contatti.
Il mercato d’arte, già esistito in epoca classica, ricomincia a delinearsi nel corso del Trecento.
Nel corso del Quattrocento, a Firenze, esiste un vero e proprio mercato d’arte: da una parte molti
artisti tengono nelle loro botteghe opere destinate ad acquirenti anonimi, che vengono rifinite e
personalizzate solo all’atto dell’acquisto, dall’altra esiste anche un commercio di tipo antiquariale, di
cui uno dei protagonisti è Giovan Battista della Palla di cui parla il Vasari.
Nelle Fiandre, nello stesso periodo, esiste un mercato vincolato dalle regole imposte dalle
corporazioni: oltre che per commissioni legate a un contratto, la vendita delle opere avviene
attraverso l’intermediazione di agenti, attraverso mostre e vendite pubbliche, lotterie, fiere e mercati.
In linea di massima quanto più ci si avvicina a una moderna società capitalistica tanto più l’artista
tende a lavorare per il mercato.
Alla fine del Cinquecento Anversa è un grande centro del mercato d’arte internazionale ed è qui che si
sviluppa quel particolare genere di dipinto che raffigura l’interno di una galleria di quadri.
La situazione sembra giungere a un punto di rottura nel corso del Settecento, in particolare in
Inghilterra : il ribelle William Blake, posto dinanzi alle strettoie del mecenatismo e alle imposizioni
dell’Accademia invoca un allargamento del mercato, unica soluzione che può garantire alla sua arte
sopravvivenza e libertà .
9. Le istituzioni.
Corporazioni, club, gruppi, cenacoli, associazioni professionali e sindacati di artisti, accademie
pubbliche e private, scuole di disegno, scuole di arti applicate e istituti professionali, musei privati e
pubblici, pinacoteche, sono tutte istituzioni che offrono servizi, di diversi tipi, al settore arte nel suo
complesso. Esse si occupano di un buon numero di compiti, dalla legittimazione alla promozione,
all’educazione, alla selezione, allo scambio, alla vendita, alla conservazione, alla protezione, alla
riproduzione.
Istituzioni artistiche non vivono isolatamente, ma sono parte integrante di un sistema istituzionale
delle arti e delle scienze, che può svilupparsi in un contesto di mecenatismo in cui le decisioni sono
centralizzate oppure in un contesto di mercato in cui le decisioni sono decentralizzate, come in
Inghilterra, dove la stessa ufficiale Royal Academy of Arts, creata nel 1768, è finanziariamente
indipendente dal re e dal governo.
Se la corporazione regolava, disciplinava e difendeva le attività dell’artista-artigiano, l’accademia ebbe
una parte importantissima nel processo e nei modi della professionalizzazione.
Negli ultimi due secoli le istituzioni del campo artistico si sono moltiplicate, sono diventate più
importanti e hanno assunto nuove forme e nuovi aspetti.

10. La letteratura artistica.

Una specifica letteratura impegnata a ripercorrere le vicende e le vite degli artisti, a esaminare le loro
opere nasce solo dove il campo artistico conosca un inizio di strutturazione, dove si manifestino forme
di collezionismo, dove certe opere siano apprezzate e ricercate in quanto opere d’arte, dove l’artista
goda di qual- che considerazione. Fu questo il caso della Grecia, dove, con la nascita della biografia
artistica come genere letterario nel IV secolo a. C si verificò una vera e propria “rivoluzione della
classicità verso le arti visive e chi le pratica”
Una letteratura artistica nacque presto in Cina, dove, a partire almeno dal V secolo, si svilupparono una
critica e una riflessione estetica sulla pittura che sfociarono in una sorta di normativa.
In Occidente una letteratura artistica nasce tra il Trecento e il Quattrocento, con le prime biografie di
pittori fiorentini del Villani e con il secondo libro dei Commentari di Ghiberti; ma è nel Cinquecento,
che viene pubblicato a Firenze, il primo grande capolavoro della letteratura artistica che rimarrà per
secoli un modello per l’Europa: le Vite del Vasari.
Il modello delle biografie vasariane suscita emulazione negli altri centri italiani e in Europa: nasce la
critica d’arte, che interviene su artisti e opere contemporanee con giudizi, distinzioni, preferenze,
indicazioni, prospettive; nasce una storia dell’arte che non è più la storia degli artisti, ma piuttosto
quella che si costruisce sulle loro opere.
Critica e storia divergono e si incrociano. L’esercizio della critica da parte di letterati c conduce a una
crisi nei rap- porti tra scrittori e artisti. Questi ultimi, appoggiati dagli storici dell’arte, rivendicano
l’autonomia e la specificità delle arti visive, sostenendo che i letterati non posseggono le competenze
necessarie per intervenire nel campo.

11. Prospettive.
Malgrado siano state scritte molte storie universali dell’arte dall’Ottocento a oggi, manca tuttora
un’analisi comparata delle origini e degli sviluppi dei diversi spazi artistici quali sono stati determinati
dai committenti, dagli artisti, dal pubblico, dalle opere, dalle diverse istituzioni. Ciò è dovuto:
- all’assenza di un’adeguata e coerente storia dell’arte ‘mondiale
- alle compartimentazioni dovute alle diverse specializzazioni
- alle differenze degli indirizzi e dei criteri di ricerca e di inclusione propri delle varie discipline che si
occupano della storia della produzione artistica

Lettura n° 4 : Per una storia del mercato dell’arte nell’Italia moderna.

1. Un nuovo tema di ricerca.


Nel 1993, la pubblicazione del libro “Wealth and the demand for art in Italy” di Goldthwaite apre
nuovo tema di ricerca nell’ambito della storia economica.
Tuttavia, esso presenta numerosi problemi di impostazione metodologica che solo in parte sono stati
fino a questo momento considerati.
Nell’introduzione, Goldthwaite sottolinea la necessità di considerare la produzione di oggetti artisti, la
mancanza di studi sui consumi (specie quelli di lusso) nell’ Italia moderna e la difficoltà legata alla
definizione di arte e di oggetto artistico.
La storia della produzione di oggetti artistici verificatasi in Italia tra 400 e 700 ha interessato gran
parte delle città italiane e ha innescato un complesso movimento commerciale tra Italia ed Europa di
materie prime importate e di oggetti esportati che nessuno studioso ha cercato di calcolare.

2. Spese produttive e spese improduttive.

La netta distinzione tra investimenti produttivi e spese improduttivi ha a lungo pesato anche sulle
scelte degli storici economici.
La nobiltà italiana come quella Europea è stata condannata per il ruolo svolto, per aver tradito gli
ideali economici legati all’investimento per dedicarsi a spese voluttuarie, ai consumi di lusso,
all’abbigliamento o alla Musica.
Uno degli aspetti più interessanti legati al tema del mercato dell’arte consiste proprio nel comprendere
quando il committente si sia reso conto che l’acquisto di una determinata opera d’arte non fosse più
una spesa fine a se stessa ma anche un investimento; un investimento non tanto legato al valore
intrinseco dell’oggetto ma alla consapevolezza che tale oggetto avrebbe conservato o aumentato il suo
valore nel tempo.
Lo stesso Adam Smith ricorda la distinzione fra spesa voluttuaria e quella destinata all’acquisto di beni
durevoli.
Egli sembra favorevole alla spesa in beni durevoli sia perché costituiscono non solo un ornamento e un
onore per i luoghi in cui si trovano, ma anche per l’intero paese al quale appartengono sia perché tali
spese mantengono lavoratori produttivi.
Tali considerazioni erano ben presenti ai tanti nobili, mercanti o banchieri ; essi erano dunque
consapevoli che un palazzo era anche un investimento duraturo nel tempo.
Nell’analisi quindi della domanda privata legata al mercato dell’arte nell’Italia del Quattro e
Cinquecento andrebbe meglio definita la capacità di spesa di una determinata famiglia o di una
determinata persona.
Fino ad oggi il lavoro migliore apparso nell’ambito della nobiltà europea resta senza dubbio la bella
indagine di L. Stone sull’aristocrazia inglese da Elisabetta a Cromwell : tali osservazioni costituiscono
un punto di riferimento obbligato per chi voglia cimentarsi sul tema della domanda privata nell’ambito
del mercato dell’arte.
Stone considera i consumi di lusso comunò dei fattori che causarono la decadenza di molte famiglie fra
500 e 600; Egli sottolinea inoltre co- me le spese per i consumi di lusso non fossero legate
all’andamento del proprio reddito: al contrario esse aumentarono sotto Elisabetta, quando i redditi
erano stagnanti e diminuirono sotto Carlo I, quando erano in forte espansione.
Ogni famiglia aveva un reddito annuo e tale reddito poteva essere utilizzato saggiamente o meno, ma
imponeva delle scelte più o meno chiare e precise nelle spese, sia in quelle voluttuarie, sia in quelle
legate alla professione come pure in quelle indirizzate a valorizzare la propria casa o il proprio studio

3. Mercato dell’arte o consumi di lusso?

Goldthwaite ha ricordato che la vera e propria rivoluzione dei consumi ebbe luogo solo nel Settecento
quando i produttori stessi assunsero l’iniziativa di esercitare un controllo maggiore sulla domanda di
massa.
Le motivazioni della spesa quindi vanno indagate con maggior attenzione che non quella di una troppo
semplice classificazione fra produttivo e improduttivo, fra effimero e duraturo. Anche perché più si
dilata l’arco temporale preso in considerazione più possono mutare i termini della questione.
Molti oggetti conservano un proprio valore intrinseco, altri come i quadri lo acquistano nel tempo. Lo
stesso concetto di arte o di artistico può mutare da epoca ad epoca. L’arte può essere intesa come
qualsiasi forma di attività dell’uomo, legata o meno che sia al talento inventivo o alla capacità
espressiva.
Molti studiosi dell’arte hanno insistito nel sottolineare come sia l’artista del Quattrocento sia quello del
Rinascimento fossero più artigiani che altro; Per molti committenti, soprattutto per l’alto clero,
l’artista rimaneva ancora niente più che un altro lavoratore manuale, con cui non bisognava entrare
troppo in contatto.
L’idea dell’artista come individuo di genio è prettamente moderna; partita rinascimentale era un
artigiano al servizio dei potenti.

Gli arazzi, gli affreschi nei palazzi o nelle chiese, le grandi pitture veneziane avevano lo scopo
principale di diffondere un messaggio, una storia, un avvenimento. Erano al tempo stesso strumenti
didattici, pubblicitari, propagandistici: così come in una certa misura anche il palazzo del principe, il
duomo o la cattedrale.
All’idea di costruire un palazzo o una villa, come garanzia della fama duratura della propria famiglia, si
unì quella di lasciare altre testimonianze: una preziosa antichità , una raccolta di libri, un quadro con il
proprio ritratto, una pala d’altare nella cappella ecc.
Gioielli, argenterie, statue in marmo, busti, libri e armi avevano un valore reale, intrinseco. Potevano
essere venduti, dati come garanzia o pegno di un prestito, portati in zecca.
Uno dei primi grandi intenditori di oggetti artistici fu senza dubbio il cardinale Francesco Gonzaga,
arrivato a Roma nel 1462 con uno splendido seguito. Mise insieme una splendida collezione di
cammei, gemme e pietre incise nonché una stupenda raccolta di arazzi.
Dopo la sua morte tuttavia la collezione delle gemme finisce presso la banca Medici a Roma, come
garanzia di alcuni debiti contratti con lo stesso Lorenzo il Magnifico dal cardinale.

Quando nel XVI apparvero i primi intermediari, essi iniziarono a sostituire i mercanti o gli agenti
politici utilizzati dalle corti del tempo. Ciò ovviamente accadde a Firenze, ma ben presto un fenomeno
analogo si verificò a Roma, Napoli, Milano.
Se si dovesse tentare una prima definizione del sorgere di una consapevolezza fra i committenti e gli
acquirenti di un preciso valore monetario delle opere acquistate, si deve arrivare almeno alla
pubblicazione delle Vite del Vasari nel 1550.

4. La spesa nobiliare nel settore artistico.

Una prima ricerca sui prezzi di acquisto o sui valori attribuiti alle opere dei tanti pittori italiani del
Cinque e Seicento è già possibile utilizzando le fonti a stampa. Ovvero i numerosi inventari, repertori,
elenchi già pubblicati dagli storici dell’arte nel corso del Novecento.
Il problema consiste nella difficoltà do una ricostruzione più generale della vita economica italiana del
Cinquecento.
Uno dei settori economici minori dell’Italia moderna più trascurato dalla storiografia è stato quello
legato alla produzione e alla vendita delle ceramiche e delle maioliche. Un prodotto di non facile
definizione: ma ogni casa italiana dotata di un reddito minimo non potevano mancare piatti, bacili,
tazze, anche semplici e non decorate; La fragilità di tali oggetti inoltre imponeva un ricambio frequente
e in molti casi la loro qualità artistica era sempre più riconosciuta.
La maggior parte dei membri del patriziato o della nobiltà non aveva una chiara idea del valore
«artistico» di tanti beni oggi considerati tali, ma allora percepiti diversamente.
Il destino finale tuttavia di buona parte dell’argenteria delle famiglie italiane fra Cinque e Seicento fu
senza dubbio la Zecca. Qui veniva portata in tutti i casi in cui la famiglia aveva urgente bisogno di
procurarsi denaro sonante; Successivamente, superata la crisi economica, le argenterie venivano
ricomprate presso i tanti orafi del tempo.

L’immagine di un committente che nell’Italia del 500’ ordina e acquista in piena consapevolezza un
dipinto o un libro miniato può anche essere stata in alcuni casi reale; nella stragrande maggioranza
degli acquirenti del tempo questa consapevolezza non esisteva e prese forma lentamente seguendo
anche l’andamento della moda, del gusto, delle novità così come avveniva del resto nell’ambito di altri
consumi come l’abbigliamento o nell’alimentazione.
5. Il collezionismo di Antichità a Roma e in Italia fra 400 e 500.

Il riuso dei materiali antichi, statue, colonne, marmi, pietre, è largamente documentato in tutta l’Italia
medievale come in quella de! Rinascimento. Tan- to che Leone X, in previsione dei lavori per la
costruzione di S. Pietro, nominò lo stesso Raffaello supervisore alle antichità proprio con lo scopo di
acquistare tutto il materiale lapideo ed i marmi idonei alla costruzione che vengano scavati in Roma e
dintorni entro un raggio di mille passi.
Solo fra Quattro e Cinquecento prese avvio una nuova forma di raccolta e conservazione delle cose
antiche, in particolare statue e frammenti, bronzetti, monete e medaglie, che portò alle prime forme di
collezionismo privato nell’Italia del tempo. Nei palazzi e nelle ville di principi e patrizi, di nobili e
grandi mercanti nascono nuovi spazi: lo studio e la «galeria», dove sono raccolte antichità e oggetti
artistici, ma anche animali impagliati.
Da oggetto chiuso e conservato in una camera per il privato piacere del proprietario l’oggetto antico si
sposta fuori, all’aperto quasi ad assicurare il nuovo rapporto fra i visitatori (e quindi gli spettatori) e il
collezionista. (Nascono così a Roma le collezioni all’aperto).
Molti palazzi adornano le proprie facciate con statue, busti, teste, torsi, frammenti, vasi.
Il mercato delle antichità fra Quattro e Cinquecento rientra solo in parte nella definizione più ampia di
«mercato dell’arte», o anche in quello dei «consumi di lusso»
Si crea tuttavia quasi subito un «mercato» delle antichità , con gli acquirenti, gli intermediari (spesso
artisti e scultori), i restauratori e i prezzi dei singoli oggetti o di intere collezioni. I primi collezionisti
furono gli stessi artisti come Botticelli, Raffaello o Mantegna; principi come i Gonzaga o gli Este; i vari
pontefici a partire da Paolo II e in modo particolare i vari cardinali romani.
In un mercato come quello romano, dove le fortune di molte «nuove» famiglie erano strettamente
legate al pontefice in carica, non è affatto infrequente che le più antiche e ricche collezioni siano
acquistate in blocco dal potente cardinale nipote di turno. Così avviene con Scipione Borghese, nipote
di Paolo V, che, nei primi del Seicento acquistò buona parte delle collezioni.
D’altro canto la passione per le antichità aveva coinvolto non solo principi e cardinali, ma patrizi, nobili
o banchieri, allargandosi con il tempo fino a coinvolgere gran parte della nobiltà europea, ed anche
artisti come lo stesso Rubens.
Rubens fu uno dei più grandi organizzatori della pittura del suo tempo: originali e copie a volte si
confondevano nella sua bottega come in molte altre botteghe di pittura europee. E questo ci
porterebbe assai lontano nella valutazione di un mercato dell’arte che già nel Cinquecento aveva
scarsa dimestichezza nel distinguere l’originale dalla copia, la mano del maestro da quella dell’allievo,
anche nel settore della scultura ad imitazione dell’antico. Un mercato quindi che a sua volta ne aveva
generato un altro: quello della copia e del falso.
Il successo del Rinascimento italiano generò una domanda continua, anche nei secoli successivi, che
chiedeva un numero infinito di oggetti in tutta Europa. E là dove non era possibile trovare gli originali
richiesti non si esitò a produrne numerose copie, in quasi tutti i settori artistici del tempo

Lettura 17. Alla scala. Trasformazioni sociali e mutamento istituzionale dell’opera


Italiana fra 800 e 900.
L'opera è senza dubbio una delle forme artistiche che più hanno segnato la vita culturale italiana negli
ultimi due secoli.
Per tutto l'ottocento in cui si è dispiegata la produzione di musicisti divenuti celebri in tutto il mondo
come Rossini e verdi, la musica italiana è stata quasi esclusivamente musica lirica.
La diffusione dell'opera in Italia era tale che anche piccole cittadine di provincia potevano offrire
spettacoli lirici grazie alle numerose compagnie teatrali e soprattutto agli altrettanto numerosi
impresari che organizzavano il lavoro.
Era questo che faceva dell'opera una vera e propria industria, di cui l'Italia poteva considerarsi
addirittura il suo centro mondiale .
L'opera inizia il suo lento declino come fenomeno sociale di costume per effetto dell'urbanesimo, delle
trasformazioni della struttura sociale della politica e soprattutto del successo di altre forme di
intrattenimento.
La crisi novecentesca dell'opera non è però solo italiana e non ha tuttavia impedito all'opera di
continuare ad essere in Italia un settore importante dell'industria culturale.

1. Classificazioni culturali e forme istituzionali.

Nel corso della seconda metà del XIX secolo si è istituzionalizzato nel campo delle arti figurative e della
musica strumentale un modello di alta cultura attraverso un triplice processo sociale: la costruzione di
uno specifico assetto istituzionale centrato sull'impresa non profit, la definizione di un sistema di
confini rituali e simbolici tra generi artistici e gruppi sociali; e infine lo sviluppo di un nuovo rituale di
appropriazione, un nuovo rapporto tra il pubblico e l'opera d’arte.
La distinzione tra cultura popolare cultura alta emerse nel periodo compreso tra il 1850 1900 come
risultato degli sforzi di alcune Elite cittadine di costruire forme organizzative che isolassero l'alta
cultura differenziandola da quella popolare.
La dicotomia tra cultura alta e cultura popolare non si manifestò nella sua versione moderna sino a
quando non presero vita a due forme organizzative distinte: l'istituzione culturale non profit e
l'industria culturale commerciale dall'altro lato.
Solo alla fine del XIX secolo negli Stati Uniti ciò che era originariamente una forma artistica
simultaneamente popolare ed Elite si trasformò in una forma di intrattenimento elitario per pubblici
urbani benestanti.
L'opera perse nei primi del secolo le forme le convinzioni che l'avevano resa negli Stati Uniti popolare
in tutte le classi sociali diventando attraverso le stesse opera Houses uno degli emblemi più tipici della
cultura alta.
Negli anni 30 del 900 il modello organizzativo non profit si diffonde nelle compagnie operistica
americane; il ritardo dell'adozione del mondo dell'opera della forma non profit fu dovuto soprattutto a
motivi economici: l'opera era più costosa delle forme artistiche e restava un'impresa commerciale
molto rischioso il cui successo economico dipendeva dalla presenza di grandi pubblici disposti a
pagare costosi biglietti.
Quando la produzione di opere cessò di essere un'attività redditizia, agli inizi degli anni 30, il
Metropolitan si è decisa ad adottare la forma istituzionale già utilizzata per l'orchestra sinfonica,
trasformandosi in un'impresa a scopi educativi non di lucro
Una volta che questa transizione verso la forma non profit del principale teatro lirico americano
compiuta, la legittimità culturale dell'opera crebbe rapidamente.

2. Da New York a Milano.

Alla fine del seicento nasce il teatro pubblico commerciale in Italia, precisamente a Venezia, e si
costituisce una specifica tradizione operistica centrata sul “bel canto”
L’ organizzazione sociale costituita a Milano intorno alla scala ha svolto un ruolo potenzialmente
decisivo per la produzione di una cultura dell'opera e la sua diffusione su scala internazionale.
Le stesse trasformazioni istituzionali per l'esperienza americana potrebbero essere state precedute in
qualche modo suggerite dalle trasformazioni italiane cominciando proprio da Milano e dal suo
principale teatro lirico, la scala.

3. Una base istituzionale per la cultura dell'opera: la scala.


La principale trasformazione sociale occorsa nel mondo della produzione artistica nella moderna e il
progressivo declino del mecenatismo o del patronato come sistema organizzativo a sostegno delle arti
e il parallelo sviluppo del mercato come mezzo di comunicazione tra l'artista e il pubblico.
In campo musicale e alla fine del XVIII secolo che accanto al concerto tradizionale nasce quello
pubblico, a pagamento.
Teatro commerciale teatro di corte non furono però due realtà incomunicanti in quanto si
influenzarono sostennero a vicenda. Quando viene inaugurato nel 1778 il teatro della scala era così
uno dei tanti teatri d'opera pubblici a base aristocratica esistenti e funzionanti in Europa.

3.1 il sistema impresariale-patronale.

Il teatro della scala nasce da un contratto tra l'imperatrice Maria Teresa d'Austria un gruppo di
esponenti dell'aristocrazia milanese: ciò trova riflesso nella sua forma giuridica la proprietà mista
reggia e privata; mentre i palchettisti erano proprietari dei parchi il governo era proprietario
responsabile oltre che della quinta fila, delle mura e del palcoscenico.
L'impresario era un imprenditore commerciale, un mercante di contratti: egli non aveva una
compagnia già fatta o un repertorio di spettacoli pronti da rappresentare, ma costruiva l'una e l'altra in
funzione degli esiti delle sue contrattazioni con le autorità alla guida dei vari teatri.
I partiti si potevano subaffittare i loro palchi ricavandone utile e facendo concorrenza gli impresari
La scala fosse dall'origine un teatro destinato agli strati superiori della società : gli unici esponenti delle
classi popolari che si potevano incontrare alla scala alla fine del settecento erano i servi e camerieri dei
nobili, spesso intenti a cucinare per i loro padroni.
Il possesso di un palco alla scala da Marangoni è per questo che i proprietari di palchi si distinguevano
dagli altri.
L'opera restava ai primi dell'ottocento uno spettacolo di intrattenimento con spiccate funzioni sociali e
politiche: andare alla scala costituiva più un occasione di sociabilità per gli strati superiori della società
urbana che una forma di consumo artistico in quanto tale.
Gli stessi palchi erano dotati di tendine che consentivano di far salotto isolandosi dallo spettacolo, ma
soprattutto, alla scala si poteva andare e si andava per giocare d’azzardo.

3.2 tra impresa e intervento pubblico.

La scala godeva di una sovvenzione pubblica sotto forma di una dote, in can Annie e soprattutto il
privative.
Sovvenzioni di questo genere da parte di Stati o comuni non erano rare ed erano generalmente
giustificate con lo scopo di aiutare il progresso dell'arte teatrale.
I giochi d'azzardo cessarono di costituire la solita fonte finanziaria con cui gli impresari potevano
garantirsi le stagioni appaltate i cui costi erano assai spesso superiori alle entrate.
Per come esisteva nel XIX secolo, l'opera differiva dalle altre forme di produzione musicale che oggi di
definiremmo "serie" per almeno cinque aspetti:
- l'opera comunicava più informazioni politicamente rilevanti poiché basata sul libretto
- I teatri lirici occupavano più persone della società concede artistiche
- L'opera era considerevolmente più costosa
- Dipendeva maggiormente dal gusto del pubblico
- I compositori di musica lirica avevano meno controllo sul prodotto così come offerto al pubblico

I politici erano molto attenti alla gestione del teatro lirico: un libretto poteva contenere un messaggio
sovversivo E il suo pensionamento dei teatri facilitava la censura.
Un teatro costretto a chiudere per mancanza di fondi era una questione più seria del fallimento di
un'associazione concertistica; furono però la scala il suo futuro a creare le maggiori preoccupazioni
per la cittadinanza il sistema politico.
Il sovvenzionamento pubblico diretto al teatro fu spesso al centro di polemiche e, dopo aver
sperimentato una prima seria crisi nel periodo 1848-1853 si ripropose con ancora più forza nel corso
della seconda metà dell’ottocento.
Il passaggio della responsabilità gestionale della scala dallo Stato al Comune di Milano avviene in una
fase in cui la società milanese già ricca di esperienze imprenditoriali e commerciali, ti hanno portato in
cima alla gerarchia economica e sociale molti uomini nuovi.
Questa crescita della partecipazione borghese consentì indubbiamente di sostenere parte delle spese
di gestione del teatro cui il ceto aristocratico non era più in grado di far fronte.
Nel 1882 si costituisce la società di autori attraverso cui il diritto d'autore garantito dal testo unico
pubblicato in quello stesso anno poteva contare su un'efficace protezione giudiziaria.
Il compositore aveva in questo modo un controllo sul suo lavoro molto maggiore rispetto alla
situazione precedente; con la difesa del diritto d'autore la produzione d'opera diventava non solo più
costosa ma essendo sostanzialmente sotto il controllo dell'editore, quest'ultimo andò a sostituire
l'impresario come fulcro del sistema produttivo.
L'insoddisfazione diffusa per la qualità degli spettacoli, i tradizionali problemi di bilancio e soprattutto
i fattori politici premevano per una ridefinizione dell'impegno del Comune nei confronti della scala.

3.3 dal teatro dei palchettisti all'ente autonomo.

La Milano in cui esplode la "questione della scala" è una città in fase di profondi cambiamenti.
La crescita economica della città portò con sé l'espansione del ceto impiegatizio e soprattutto la classe
operaia, facendo del capoluogo lombardo è una delle roccaforti del partito socialista.
Le elezioni del 1899 resero visibile il declino del vecchio notabilato cittadino che sotto il profilo
dell'organizzazione culturale aveva già mostrato segni di cedimento.
È in questo contesto che si compie la grande trasformazione della scala in un'istituzione di alta
cultura , Grazie all'iniziativa di un gruppo di esponenti della borghesia industriale dell'aristocrazia
imprenditoriale.
Essa sarebbe stata rilevata da una nuova società costituita da privati cittadini che senza fini di lucro e
Console finalità culturali si assunse il compito di organizzare le stagioni garantendo una cospicua base
finanziaria.
Sostenevano l'iniziativa alcune tra le principali associazioni economiche milanesi; il grosso del capitale
della società anonima era comunque messo dal suo presidente, il duca Guido Visconti di Modrone, uno
di quegli aristocratici lombardi che si erano aperti all'imprenditoria e agli affari.
Tuttavia egli non era un esperto di musica per questo prese come braccio destro e librettista e
compositore Arrigo Boito, uno degli intellettuali più in vista della Milano tardo ottocentesca
collaboratore stretto di Verdi.
Il consiglio della società anonima decise di assumere un esperto direttore generale amministrativo che
avrebbe dovuto essere responsabile degli spettacoli allestiti senza alcun interesse speculativo.
La società guidata dagli sconti di Modrone e le possibilità di gestire la scala in modo continuativo fino
al 1916 con bilanci sistematicamente positivi dal punto di vista artistico ma passivi da quello
economico.

Con la gestione Visconti l'era della scala come impresa commerciale giunge a termine e inizio quella
della sua organizzazione in un contesto istituzionale di tipo non profit.
Sciolte le società di palchettisti, tutti i palchi furono messi a disposizione del pubblico così come gli
altri posti.
Il finanziamento era insieme pubblico e privato; il processo sarebbe stato complicato e reso tortuoso
dalle dinamiche della vita politica locale nazionale ma, nel 1921, lo statuto dell'ente autonomo Teatro
alla Scala venne approvato.

4. Tra Milano e New York: considerazioni conclusive sulla complessità culturale.

Il processo che porta alla costituzione dell'ente autonomo ebbe come protagonisti il socialista Emilio
Caldara, il direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini e infine Arturo Toscanini, che impose una
struttura istituzionale diversa.
Il ruolo di Caldara fu fondamentale nel definire l'identità collettiva e la finalità educativa della noi
istituzione; Toscanini entrò nella scala nel 1898 non solo come direttore d'orchestra ma come
responsabile assoluto di tutto ciò che riguardava le funzioni artistiche.
Seguace di Wagner oltre che appassionato di Verdi, cerco di portare nell'opera italiana criteri
Wagneriani di esecuzione e presentazione sviluppati a Beirut.
Gatti.Casazza sperimentava la scala il passaggio da una forma gestionale di tipo impresa reale a una di
tipo manageriale amministrativa: egli riorganizzò il teatro in tutti i suoi settori, il ruolo dell'impresario
d'opera già in declino, cedette il posto a una figura più completa e manageriale interessata al
funzionamento efficace dell'organizzazione e non ai suoi vantaggi economici personali.
Mentre nel caso americano il modello di cultura alta viene costruito artificialmente utilizzando
elementi tratti dalla struttura ideologica europea , In quello italiano elementi commerciali ed elementi
politico-sociali costituiscono la miscela dei confini stabili costantemente presente nell'organizzazione
sociale di una produzione artistica come l’opera.
Nella storia italiana dell'opera è possibile identificare una transizione da una fase più commerciale a
una più artistico-culturale.

Lettura 20: Nascita sviluppi del mercato dell'arte contemporanea internazionale.

1. Il sistema accademico in Francia: i salon ufficiali

La struttura del mercato dell'arte contemporanea, basata sul sistema delle gallerie private, nasce in
Francia negli ultimi decenni dell'ottocento in opposizione alla chiusura e alla rigidità
dell'organizzazione ufficiale delle arti plastiche dominata dalla Académie des Beux Arts.
Già verso il 1830 l'affermarsi della concezione romantica incomincia indebolire il suo monopolio per
quello che riguarda la legittimazione dei valori artistici.
E questa la grande fase di scontro fra classicismo e romanticismo, che nella pittura è sintetizzata
dall'emblematica opposizione fra Ingres e Delacroix.
In Francia l'Accademia di belle arti e arrivo al massimo della sua evoluzione con Napoleone che ne
rafforza il potere centrale; l'Accademia aveva come suo più alto obiettivo quello di difendere la teoria
estetica, ponendosi come l'istanza più alta di legittimazione dello status di artista.
I membri accademici erano in grande maggioranza nella giuria per la citazione delle opere e il
conferimento dei premi al Salon, E quindi avevano il potere di escludere le opere non ritenute valide,
tra cui anche quelle degli artisti innovatori che non si adeguavano alle loro direttive.
Lo statuto dell'Accademia vietava gli artisti ufficiali di fare direttamente commercio nei loro studi: nei
salon le loro opere erano vendute tramite l'intermediazione di courtiers o mercanti titolari di gallerie.
Per un giovane artista dunque, la carriera ufficiale doveva passare obbligatoriamente attraverso una
serie di tappe tutte controllate dal sistema accademico.
Il successo ai salon rappresentava l'indispensabile mezzo per essere accettato dal gusto dominante del
grande pubblico e soprattutto, dall'alta borghesia che comprava le opere.

2. La polemica contro il salon: le prime mostre d'arte indipendente.

Il 1855 è una data emblematica e coincide con l'anno dell'esposizione universale di Parigi.
La polemica esplode nel 1863 con la prima edizione del Salone des Réfusés voluto da Napoleone III per
permettere di esporre anche agli artisti esclusi dal salone ufficiale.
Essa fu considerata anche dal grande pubblico e della maggioranza della critica come una selezione
degli artisti falliti.
Manet accettò coraggiosamente la sfida esponendo la scandalosa Olimpia e divenendo il capofila della
nuova generazione di artisti indipendenti.
Fu intorno al weekend a quel gruppo degli impressionisti
Dopo il fallimento del Salon des Réfusés, bisognerà aspettare fino al 1884 per veder nascere un salone
alternativo ovvero I Salon des Indépendants.
Successivamente, nel 1903 a Parigi nasce il Salon d’Autonome, indipendente, ma con una giuria
selezionatrice.
3. La svolta impressionista: Paul Durand-Ruel.

L'inizio dell'arte d’avanguardia si fa risalire agli impressionisti non solo per le novità linguistiche e
tematiche della loro pittura.
Verso il 1890 gli sforzi concertati dagli impressionisti arrivano a creare una rete internazionale, che
negli anni successivi determinerà il grande successo culturale ed economico del movimento.
Paul Durand Ruel rappresenta il prototipo del nuovo mercante innovatore, allo stesso tempo sul piano
delle scelte artistiche su quello delle strategie commerciali.
Il suo rapporto con gli impressionisti incomincia nel 1870 Londra, dove conosce Monet e Pissarro I
quali vengono inclusi nella prima mostra della sua galleria londinese.
Nel 1886 organizza New York la prima mostra degli impressionisti all’American Art Association E
subito dopo apre una sua succursale nella città americana.
E grazie al mercato americano contiene i suoi maggiori successi economici; le caratteristiche
innovative della sua attività riguardano l'interesse per la valorizzazione di una nuova pittura non
ancora richiesta dal mercato e la volontà di avere il monopolio su questa produzione artistica; inoltre,
vi è l'allestimento di una serie di mostre personali, l'apertura di proprie filiali all'estero e la
valorizzazione critica della nuova arte attraverso la fondazione di riviste.
La strategia commerciale di Durand Ruel si può considerare come il modello di riferimento su cui si
strutturerà il nuovo mercato d'avanguardia internazionale.

4. Ambroise Vollard.

Ambroise Vollard è il principale mercante di Gauguin e Cézanne: egli comprava anche direttamente
negli studi degli artisti ma senza contratti.
L'altro personaggio chiave è Daniel Henry Kahnweiler mercante del cubismo, che apre la sua galleria a
Parigi nel 1907.
L'impegno di K. È importante anche per quello che riguarda la valorizzazione critica dei suoi artisti ed
è anche, come Vollard, un editore di raffinati libri illustrati da artisti.

5. Sviluppi del mercato d'avanguardia tra le due guerre in Francia.

Il mercato dell'avanguardia incomincia dunque a strutturarsi nei suoi aspetti positivi nel decennio
prima della guerra e nel dopo guerra attraverso l'attività dei mercanti citati.
L'effettiva crescita di interesse per l'arte d’avanguardia confermata a livello pubblico da un
avvenimento di fondamentale importanza: si tratta del grande inaspettato successo della vendita
all'asta delle opere della collezione raccolta dall'associazione “La peau del’ours”
Per la prima volta ci si rende conto che l'arte più avanzata è una realtà economica e può essere
redditizia.
Dopo la fase di formazione e di sviluppo degli anni 10, il successo commerciale mondano dell'arte
d’avanguardia esplode negli anni 20.
L'arte nuova diventa rapidamente oggetto di attenzione e di desiderio da parte non più solo di una
piccola cerchia di amatori, ma anche di una ben più ampia fascia di pubblico delle classi alte.
Sicuramente era anche presente l'interesse artistico, ma per molti collezionisti quello che contava
soprattutto era che i nuovi valori fossero veri valori e cioè tali sul piano economico.
Anche la rete delle gallerie d'arte contemporanea divenne sempre più ampia.
Il grande successo mondano E di mercato dell'arte contemporanea rischiava di neutralizzare e
imborghesire le tensioni più vitali delle ricerche d’avanguardia.
Contro questa tendenza reagirono le nuove avanguardie del dopo guerra tra cui i dadaisti e poi i
surrealisti che con il manifesto del 1924 diede ufficialmente vita all'oro movimento, caratterizzato da
una radicale critica ai valori borghesi e da un atteggiamento politico rivoluzionario, oltreché, da
un'opposizione alla mercificazione dell’arte.
Il movimento surrealista cercò di sviluppare un modello alternativo al sistema ormai assestato nel
mercato dell'arte nuova.
I risultati sono di grande impatto culturale a livello internazionale: lo stesso Picasso è influenzato dal
movimento e ne accetta il sostegno ben conscio della sua importanza per il rilancio dello spirito
d’avanguardia.
La grande stagione speculativa degli anni 20 subisce un durissimo colpo con l'esplodere della crisi del
1929: tutto il sistema dell'arte per almeno 5/6 anni entra in una gravissima depressione.
Durante la guerra il mercato riprende quota, soprattutto perché la pittura, insieme ad altre categorie
di oggetti rari e preziosi, viene acquistata come bene rifugio contro l'inflazione e fuori da controlli
fiscali.

6. Il mercato in Francia dopo il 1945.

Nel dopo guerra negli anni 50 il mercato in Francia riparte con notevole vitalità .
Tuttavia, gli sviluppi più importanti sono quelli del sistema delle gallerie di New York, che si avvia a
diventare il centro mondiale dell'arte contemporanea, scalzando definitivamente la leadership di
Parigi con il successo dell'espressionismo astratto e soprattutto con il trionfo mondiale della pop art.
A Parigi, si impone un nuovo gruppo di gallerie; il mercato porta al successo le nuove generazioni le
cui opere raggiungono alte quotazioni.

7. Il mercato dell'arte contemporanea negli Stati Uniti.

La situazione negli Stati Uniti a partire dall’ Armory Show di New York del 1914, e cioè da quello che è
considerato come l'evento espositivo fondamentale per la nascita della cultura d'avanguardia
americana e per lo sviluppo straordinario musicale ad essa connesso.
Dopo l’Armory Show le prime gallerie che incominciano a interessarsi di arte d’avanguardia europea
americana sono quelle di Charles Daniel
All'inizio degli anni 40 le gallerie a New York erano circa una dozzina, all'inizio del decennio
successivo circa 30 e 10 anni più tardi circa 300; New York è ormai il centro mondiale del mercato
dell'arte di punta.
Di fondamentale importanza per la legittimazione allo sviluppo dell'interesse per l'arte
contemporanea negli Stati Uniti e la nascita di musei come il Museum of Modern Art del 1929.
Peggy Guggenheim È senza dubbio uno dei personaggi principali per quello che riguarda la formazione
del mondo artistico d’avanguardia New York: apre a Londra la galleria “Guggenheim Jeune” con
successo culturale mondano ma non commerciale.

Leo castelli, il più importante mercante americano d’avanguardia, apre la sua galleria New York solo
nel 1957 ma il suo interesse per l'arte di vecchia data; nato a Trieste, castelli diventa in pratica registro
di gran parte dell'arte americana d’avanguardia degli anni 60/70.

Nei primi anni 80 si assiste alla nascita di moltissime nuove gallerie per l'arte giovani, perlopiù piccole
di durata effimera.
Il boom del mercato artistico dell'arte nuova arriva al suo massimo negli anni 80: giovani artisti
raggiungono un successo immediato con quotazioni altissime.
La crisi del mercato all'inizio degli anni 90 a creato serie difficoltà a questo sistema: per molti artisti è
una fase di velocissima ascesa seguito a una caduta altrettanto rapida.
Anche se oggi New York non ha più la centralità dei decenni precedenti, il suo sistema dell'arte rimane
fondamentale per la legittimazione e l'affermazione mercantile in particolare degli artisti di maggior
successo, grazie alla presenza delle gallerie più potenti.

8. Gli inizi dell'arte d’avanguardia in Germania.


L'avvenimento emblematico che segna la via dell'arte d’avanguardia in Germania E la grande
esposizione del Sonderbund del 1912.
Il Sonderbund È un'associazione di artisti, collezionisti e storici dell'arte fondata nel 1909 a Cologna,
con lo scopo di valorizzare l'arte nuova e di promuovere la collaborazione fra collezionisti e amatori
d’arte.
La sua quarta esposizione, quella appunto del 1912 costituisce la prima grande rassegna delle
tendenze internazionali successiva all’impressionismo.
Herwarth Walden, critico, collezionista, mercanti e organizzatore di eventi espositivi rappresenta il
personaggio chiave nella prima fase dell'avanguardia tedesca, promotore delle nuove correnti
internazionali e in particolare dell'espressionismo tedesco.
Durante il nazismo si scatena la propaganda contro l'arte d’avanguardia “degenerata” la parola
d'ordine liberare l'arte moderna dal suo "aspetto malsano" e dalla sua inferiorità razziale: purificare
l'arte germanica dalle influenze bolsceviche, anarchiche ed ebraiche.

9. Il mercato dell'arte contemporanea in Italia.

L'unico studio sufficientemente approfondito degli aspetti del mercato artistico in Italia, dagli ultimi
decenni dell'ottocento alla prima guerra mondiale, e quello di Maria Mimita Lamberti, cui si farà
riferimento per questo periodo.
Ella prende in considerazione da un lato l'attività di alcune gallerie dall'altro quella delle strutture
espositive ufficiali.
Data l'assenza di strutture mercantili adeguate, per gli artisti italiani era estremamente difficile
affermarsi fuori da un ambito locale o nazionale, se non partecipando alle grandi esposizioni ufficiali e
in particolare al salone di Parigi.
Tra i più interessati alla produzione artistica italiana vi era il parigino Goupil , La cui ditta negli anni 60
era diventata una sorta di multinazionale; egli non era certo un mercante d’avanguardia in Italia
comprava soprattutto grandi quantità di pittura tradizionale soprattutto dalla scuola napoletana e
romana.
Nel panorama del mercato artistico italiano la principale galleria e quella fiorentina di Luigi Pisoni,
aperta nel 1870, che si propone come modello Goupil.
Da un lato la sua attività indirizzata al commercio della produzione di genere, ma dall'altro si interessa
migliori artisti di scuola veneta e romana.
E solo con l'emergere del movimento divisionista a partire dagli anni 90, a Milano, che si può
incominciare a parlare effettivamente di una situazione di evoluzione moderna della pittura italiana.
Nel 1895, a luogo la prima esposizione internazionale d'arte nella città di Venezia; con questa
manifestazione vengono raggiunti con successo almeno tre obiettivi:
1. Dar vita a una rassegna periodica di confronto fra le principali tendenze artistiche dei vari paesi
2. Incentivare ulteriormente il turismo di Venezia
3. Creare le condizioni per la nascita lo sviluppo di un nuovo centro del mercato dell'arte
contemporanea.

I criteri adottati per la scelta delle opere da esporre sono due: per invito diretto oppure per
accettazione passando al vaglio di una commissione giudicatrice e per incentivare la partecipazione
dei migliori artisti vennero istituiti i premi molto importanti.
Un'altra iniziativa aperta alle nuove ricerche, e l'esposizione internazionale della secessione romana
con edizioni dal 1913 al 1916.
Il futurismo è il primo vero movimento d’avanguardia Italiano in particolare per quello che riguarda
l'aspetto organizzativo, promozionale e commerciale grazie soprattutto alla regia del suo fondatore
Marinetti che imposta l'operazione di lancio del movimento direttamente su scala internazionale, dal
primo manifesto futurista pubblicato nel 1909 su "Le Figaro" a Parigi.
Il debutto del gruppo dei pittori futuristi avviene nel febbraio 1912 una delle principali gallerie di
punta parigina.
La prima mostra ufficiale del gruppo futurista in Italia quella al ridotto del teatro Costanzi di Roma nel
1913 ma e nel 1914 che viene allestita la prima esposizione libera futurista internazionale.
Nei decenni tra le due guerre la situazione del mercato dell'arte contemporanea in Italia a un certo
sviluppo, ma con pochi collegamenti internazionali, per quello che riguarda l'attività delle gallerie.
La circolazione dall'estero di opere degli artisti italiani avviene nella maggioranza dei casi attraverso le
mostre ufficiali.
Nel dopo guerra il mercato dell'arte contemporanea in Italia, dopo la fase di chiusura del ventennio, si
aprirà progressivamente all'arte internazionale, a partire dagli anni 50, con la stagione dell’informale.
La relativa debolezza del sistema dell'arte contemporanea in Italia in questo periodo rispetto a quella
dei paesi europei è dovuta alla mancanza di musei d'arte contemporanea: i soli musei attivi in questo
ambito sono la galleria nazionale d'arte moderna di Roma e la galleria civica d'arte moderna di Torino.
Dal 1925 alla fine della seconda guerra mondiale il sistema editoriale italiano vive un passaggio
decisivo che investe una società nella quale, si consolida il nesso fra controllo politico dei circuiti
culturali e "struttura materiale dell'ideologia" dei gruppi sociali dominanti.
La tendenza all'industrializzazione dell'editoria vide un grande sviluppo tra le due guerre mondiali; in
quell'epoca nei vari paesi si affermano criteri di produzione libraria ed esperienze rivolte a un
potenziale mercato di massa.
Anche in Italia si affermano in editi strumenti di comunicazione, fondati sullo sviluppo tecnologico: la
lettura diventa allora una pratica da sollecitare in modi diversi, l'offerta del prodotto /libro inizia
muoversi su sistemi di vendita e di promozione più aggiornati, caratterizzati dalla ricerca e dalla
formazione di nuovi pubblici.
Tale dinamica sociale, conduce una relazione del tutto originale fra l'editoria privata il mondo politico-
istituzionale fascista.
Il fascismo incide sulla produzione con forme varie di sostegno statale, sulla distribuzione editoriale
interna e le case editrici accettano la logica dominante adattandosi iniziando a convivere con il regime
che utilizza l'organizzazione culturale come strumento privilegiato di propaganda politica e ideologica.
Si assiste nel mondo editoriale a un rapido allineamento al nuovo potere favorito anche dall'assenza di
un settore editoriale programmaticamente impegnato su testi di attualità politica e sociale.
Si delinea con rapidità un compromesso con il nuovo sistema politico che assegna immediatamente
una grande importanza alla politica culturale: nel 1925 nasce l'Istituto nazionale fascista di cultura il
cui compito era quello di inglobare coordinare tutti gli enti culturali di carattere locale mentre nel
1927 la Siae assume una dimensione pubblica.
Alla fine del 1926 la creazione della federazione nazionale fascista dell'industria editoriale consente il
progressivo superamento dell'associazione editori e librai italiani (AELI)
Si inaugura dunque una stagione nella quale il mondo editoriale si trova operare in un clima di
spregiudicata mediazione con il potere politico

Le polemiche fra gli editori e librai, molto accesi ancora nella prima parte degli anni 20, rivelano come
il problema principale dell'editoria sia la capacità distributiva e la vendita dei libri: non a caso la
maggior parte delle aziende in crisi denunciano grandi quantità di giacenza nei magazzini.
I dati Istat mostrano come durante il fascismo l'editoria viva un cambiamento strutturale che conduce
al rafforzamento delle aziende del nord, più rapide nell'organizzarsi industrialmente.
Quella fra le due guerre risulta essere una complessa fase di transizione in cui un ruolo primario viene
svolto dalla politica del governo fascista quando, a partire dal 1928 impone un libro unico per le scuole
elementari.
La scelta di creare un testo unico per la scuola elementare provoca gravi scompensi molte imprese: la
vicenda è dominata da una logica di compromesso che diventa terreno di scontro fra le principali case
editrici.
In quegli anni le novità introdotte dal libro di Stato danneggiano chi tradizionalmente si era impegnato
nello scolastico, mentre avvantaggiano le case editrici da poco affacciate in quel tipo di mercato che
trovano inediti vantaggi.

Gli anni 20.


Tra gli anni 20 e 30 il primato editoriale di Milano si consolida in virtù dell'ascesa di nuove e
dinamiche imprese editoriali, come Rizzoli e Mondadori, a scapito della tradizionale supremazia della
Sonzogno e della Treves.
Nei confronti del fascismo Arnoldo Mondadori mostra un'adesione immediata e avvia una fase di
grande dinamismo aziendale orientato con successo verso la cultura contemporanea.
Successivamente il modello della Treves viene assorbito da Mondadori all'interno di un nuovo spirito
imprenditoriale, elemento determinante per la sua crescita.
Il 1926 è l'anno dell'edizione nazionale delle opere di D'Annunzio grazie alle quali la Mondadori segna
il primo grande successo sulla rivale treves.
Nel 1929 Valentino Bompiani, già segretario generale della Mondadori, la lascia per fondare una
propria impresa col programma di diffondere la letteratura contemporanea.
Mentre si afferma con grande rapidità la Rizzoli, gli anni 20 a Milano confermano una fase di ulteriore
crisi della vecchia Sonzogno e della Treves.
La nascita della casa milanese vita e pensiero, in stretta relazione con l'Università cattolica, voluta da
padre Agostino gemelli nel corso della prima guerra mondiale, e seguita nel 1925 dalla Morcelliana che
avvia Brescia un programma di valorizzazione della cultura teologica europea.
Contrastano con il dinamismo dell'editoria settentrionale alla fine degli anni 20 le notevoli difficoltà di
molte case editrici fiorentine.
Nell'editoria fiorentina degli anni 20 la casa editrice più vicino al fascismo e comunque la Vallecchi che
traeva notevoli vantaggi dall'introduzione del libro di Stato grazie suoi impianti tipografici.
Attilio Vallecchi mostra una grande determinazione nel promuovere le nuove forze della letteratura
italiana come Ungaretti o Cecchi.
Nel corso degli anni 20 si conferma la notevole importanza di un centro editoriale come Bologna dove
sia Zanichelli che cappelli continua occuparsi di cultura classica e scientifica, oltre a coltivare una
specifica vocazione per lo scolastico.
Una posizione singolare occupata da Roma, che nel corso del ventennio acquistò un inedito peso
editoriale legato al potere governativo, al partito nazionale fascista e alle nuove istituzioni culturali e
politiche.
Rilevanti si sono dimostrate le grandi iniziative come l'Istituto Giovanni Treccani che pubblica le
enciclopedia italiana nel 1925.
Con il fascismo la presenza dello Stato nelle dinamiche culturali assume in edite dimensioni anche
aldilà dei testi per la scuola, tanto da favorire un forte intreccio fra iniziativa pubblica e imprenditoria
privata: il sostanzioso contributo statale alla Mondadori per le opere complete di D'Annunzio è un
esempio che va interpretato in questa nuova relazione fra la sfera pubblica e quella privata.
La nuova presenza dello Stato nell'attività culturale emerge anche attraverso la politica bibliotecaria:
nel 1932 nasce l'ente nazionale per le biblioteche popolari scolastiche che si propone per la
divulgazione dei testi educativi.

Crisi e ristrutturazione del mercato.

In Europa dopo la crisi del 1929 si afferma una diversa articolazione del rapporto fra l'organizzazione
culturale e lo Stato; anche in Italia il sistema dei media subisce una condizionante presenza del potere
fascista mediante l'azione del ministro della stampa e propaganda.
Un'inedita dialettica pubblico-privato si accompagnano i sistemi promozionali inaugurati dall'editoria
angloamericana: questa dinamica editoriale si correla strettamente al problema dell'istruzione
popolare.
L'Italia degli anni 30 vive un notevole dinamismo editoriale contraddistinto dall'ampliamento dei
generi editoriali, in particolare nel campo letterario.
Un nuovo pubblico formato da gruppi sociali emergenti sostiene motiva l'affermazione dei gialli
avviati da Mondadori nel 1929, dei fumetti e della fantascienza.
Il processo di industrializzazione dell'editoria passa anche dalla capacità di previsione ipotetico lettore
medio all'interno di proposte editoriali differenziate.
Il nuovo panorama editoriale consente ancora alle case editrici discreti margini di autonomia nei
collaboratori e nei contenuti, in virtù di un sistema di censura indiretto.
La censura più aspra arriverà alla fine degli anni 30 in un clima internazionale teso, che induce il
regime a controllare con maggiore rigore le espressioni culturali della società.
L'aprirsi dell'impegno editoriale degli intellettuali diventa comunque un modo per allargare i confini
culturali dell'Italia, soprattutto nel campo letterario.
Milano e Torino sono protagoniste di una serie di esperienze originali: la prima promuove la
divulgazione in Italia della letteratura internazionale; sono gli anni della grande espansione delle
tradizioni.
L'espansione del mercato delle traduzioni si collegano un nuovo livello di internazionalizzazione dei
circuiti culturali che il fascismo si trova gestire, tentando di piegarli ai propri obiettivi ideologici.
Nell'Europa di allora la cultura popolare urbana degli Stati Uniti inizia esercitare un'egemonia
incontrastata; una funzione innovativa, livello di massa viene svolta dalla diffusione popolare dei gialli
e dei fumetti di Topolino.
Nel corso degli anni 30 si delinea quindi un paesaggio editoriale contraddittorio, dove la cultura
reazionaria convive con una serie di fermenti minoritari, che spingono verso la faticosa elaborazione
di nuovi percorsi e idee che svolgeranno un ruolo importante alla caduta del fascismo.
La crisi del 1929 consente la riorganizzazione del mercato librario secondo le tendenze emerse negli
anni 20.
Milano si conferma la capitale dell'editoria di consumo in virtù dell'espansione della Mondadori e della
Rizzoli mentre l'editoria torinese degli anni 30 conferma l'interesse per lo scolastico le grandi opere
divulgative.

Nel corso degli anni 30 gli editori si pongono il problema di collocare la produzione e la promozione
del libro sul nuovo livello imprenditoriale al quale sottomettere la battaglia delle idee.
Questa tendenza è collegata allo scarso ampliamento del mercato librario: a Milano come a Firenze
l'editoria appare sostenuta da un forte intervento economico dello Stato: questo favorisce
l'omologazione delle idee politiche dominanti tanto che si assiste al momento di massimo consenso
dell’editoria al regime.
In quegli anni si diffonde anche una nuova tensione per le tematiche religiose: in un orizzonte
politicamente minaccioso nel progressivo vuoto di valori la cultura italiana di quegli anni sembra
rinnovare la riflessione sulle questioni spirituali e la fede.

Verso la Guerra.
Gli anni 30 restituiscono l'immagine di un'editoria impegnate nel processo di industrializzazione che
tende a superare la tradizionale separazione fra il pubblico popolare e quello colto
Anche il mercato del libro si mostra diversificato per esperienza se avanzate e aree tendenzialmente
depresse.
Dal punto di vista dei contenuti la crescita e marcata nel settore letterario: un forte incremento si
segnala nel campo dei periodici in maggioranza mensili di orientamento religioso.
Gli indici Istat forniscono poi significative stime sulle biblioteche statali, dove lettori negli anni 20:30
sono circa 1 milione e ciò consente di ipotizzare che l'incremento della produzione del consumo si
sposti nel campo della lettura privata e riguardi settori più di largo consumo, in primo luogo la lettura
d’evasione.
Nel giugno 1937 si organizzò un convegno a Firenze dove Charles antini e altri dirigenti della
federazione premevano per un maggiore sostegno finanziario dello Stato all'editoria; in
quell'occasione si decise di costituire una commissione permanente per la diffusione del libro.
Una serie di iniziative come questa indicano un nuovo clima di tipo dirigistico-statale che il precipitare
della situazione internazionale il conflitto bellico si incarica di mettere in discussione.
Questa fase di attenzioni politiche verso le questioni del libro viene coronata dalla decisione
governativa di inasprire i sistemi di censura attraverso un'opera di "bonifica dei libri" effettuata nel
1938 da una posta commissione voluta dal ministero della cultura popolare.
Alla fine degli anni 30 non mancano segnali di delusione di velata polemica da parte degli editori, come
se l'incontro con il fascismo fosse riuscito solo parzialmente.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale il panorama territorio italiano mostra compiutamente la
sua nuova fisionomia: con l'ingresso in guerra aumentano progressivamente le difficoltà anche se la
vivacità dell'iniziative negli anni del conflitto rimane ancora alta, sostenuta dall'intenso lavoro
effettuato dalle filiali romane di molte case editrici come Einaudi e Mondadori.
Nel corso della guerra Arnoldo Mondadori rinforza ulteriormente le sue posizioni nel mercato.
Con l'inasprirsi dello scontro internazionale la produzione libraria diminuisce nel triennio 1941-43.
Sul piano dei contenuti i programmi editoriali di quegli anni denunciano una compresenza di motivi
culturali differenti: da istanze attualiste a rinnovate preoccupazioni positiviste fino all'ampia
diffusione di filoni spiritualeggianti, spesso di orientamento cattolico.
L'armistizio la guerra civile mettono a dura prova il sistema editoriale italiano, danneggiato dai
bombardamenti e da difficile reperimento della parto.
Fra le due guerre l'editoria contribuito a modernizzare il paese dal punto di vista culturale ma in un
rapporto ambiguo con il potere fascista: nei cataloghi delle case editrici del ventennio è possibile
cogliere il riflesso di quella distinzione fra cultura fascista intesa come insieme di valori imposti dal
regime e cultura del periodo fascista, fatta di consenso ma anche di silenzi e di atteggiamenti non
ortodossi.

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