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Erythroxylon coca

Erythroxylon coca è una pianta che si propone allo studioso con una grande varietà di
approcci, dalla tradizione, alla ricerca scientifica, alle problematiche sociali dell’attualità.

Cenni storici
La storia di tale specie è di estremo interesse. La testimonianza di un utilizzo della coca da
parte dell’uomo già in epoca molto antica ci è fornita da reperti archeologici scoperti nelle
Ande centrali, che fanno supporre che l’uso di masticare le foglie risalga al terzo millennio
a.C. e che le popolazioni preincaiche considerassero la pianta, in virtù delle sue proprietà, un
prezioso dono degli dei, se non addirittura essa stessa una divinità. Ceramiche e graffiti del
secondo millennio a.C. documentano l’impiego della coca per interventi chirurgici di
trapanazione del cranio.
Nella successiva civiltà incaica, notevole fu il ruolo simbolico e rituale attribuito alla
pianta. Attualmente gli storici sono concordi sull’ipotesi secondo la quale gli Incas,
provenienti da regioni dell’Asia nord-orientale e attraversato lo stretto di Bering, si siano
insediati nella zona andino-peruviana intorno al 1000 d.C., e nell’arco di qualche secolo,
soggiogando le popolazioni indigene, abbiano costituito un impero che nel 1500 d.C. si
estendeva su di una vasta regione coincidente con l’area attualmente compresa tra il Cile e
l’Ecuador. La politica degli Incas nei confronti delle popolazioni sottomesse non prevedeva
la soppressione degli usi e dei costumi indigeni, bensì la continuazione e l’assimilazione delle
precedenti tradizioni. Fu così che la coca trovò anche nella cultura incaica un vero e proprio
status sacro, testimoniato da numerosi simbolismi: la Venere Incaica, dea di potere e
fecondità, era rappresentata con un ramoscello della pianta tra le braccia, e nello sfarzoso
abbigliamento imperiale dell’imperatore e sommo sacerdote era essenziale la “chuspa”, cioè
la borsa a tracolla in cui si conservavano le foglie da masticare.
Nell’immaginario collettivo la coca assunse una vera e propria essenza soprannaturale:
Mama o Mama Coca, bellissima donna dalla forza mitica, capace di alleviare il dolore fisico e
spirituale degli uomini. Tuttavia, proprio perché pianta-divinità, il suo uso era disciplinato da
canoni estremamente rigidi: il consumo da parte della popolazione era infatti consentito solo
in determinate circostanze stabilite dal calendario, ovvero per scopi terapeutici. La
trasgressione era punita con la pena capitale. La libera assunzione della coca era permessa
solo a determinate categorie di persone quali nobili e sacerdoti di alto rango (anche delle
popolazioni soggiogate), vincitori di gare atletiche e messaggeri, questi ultimi affinché
potessero compiere con minor fatica lunghi itinerari in sentieri impervi e ad alta quota. A
questo proposito è interessante notare che la “cocada”, cioè il tempo medio necessario per il
completo consumo di un bolo di foglie da masticare (circa 45 minuti), era considerata come
unità di misura del percorso.

Nella prima metà del XVI secolo, la conquista spagnola portò la civiltà incaica ad un
irreversibile declino; la “pianta divina” fu vista come oggetto di idolatria e quindi diabolica, il
suo consumo fu considerato, in un primo tempo, una grave trasgressione da reprimere. Presto
tuttavia subentrarono considerazioni economiche e di opportunità politica. I Conquistadores,
ma anche personalità della Chiesa, intuirono che per il grande valore che gli indigeni
attribuivano alla coca, questa poteva essere convenientemente utilizzata come moneta con cui
retribuire i lavoratori indios. Inoltre, l’intorpidimento psichico degli alti dignitari indigeni,
dovuto al massiccio consumo della pianta, poteva costituire una favorevole condizione
affinché un esiguo numero di Spagnoli dominasse un enorme impero guidato dall’abulia di
una classe dirigente incaica che oggi definiremmo “drogata”; è significativo a questo riguardo
che i carnefici di Huascar, re di Cuzco, mandati da suo fratello Atahualpa, re di Quito, prima
di affogarlo lo avessero deriso chiamandolo spregiativamente “coca hachu”, ossia masticatore
di coca.
Nonostante i Concili del 1551 e del 1567, in cui vescovi europei si pronunciarono
veementemente contro l’uso della pianta, cui seguì un proclama reale della corona di Spagna
che lo vietò tassativamente, gli Spagnoli continuarono a sfruttare grazie alla coca il lavoro
degli Indios nelle miniere, e a tal punto la coca era equiparata alla moneta che addirittura le
decime alla Chiesa venivano spesso pagate con foglie di questa pianta.
Numerosi autori portarono a conoscenza del Vecchio Continente le proprietà vere o
leggendarie della coca: tra questi Garcilaso de la Vega, figlio di un ufficiale spagnolo e di
una principessa inca, con i suoi “Comentarios Reales” pubblicati nel 1609 fornì un contributo
completo ed approfondito sulla storia, la tradizione, gli effetti terapeutici e voluttuari, la
botanica e la coltivazione della pianta. Anche il padre gesuita Josè de Acosta, nella sua
“Storia naturale delle Indie” del 1590, sostenne senza dubbio la fondatezza delle attività
“farmacologiche” attribuite dalla popolazione Incas alla coca.
L’ingresso della coca in Europa è comunque molto posteriore, e si può dire che avvenne
in gran parte grazie agli scritti di due scienziati: Paolo Mantegazza (“Sulle virtù igieniche e
medicinali della coca e degli alimenti nervosi in genere”, scritto poco dopo la metà del XIX
secolo), che addirittura consigliò a Giuseppe Garibaldi di fornirla ai suoi “mille” per alleviare
le fatiche della spedizione, e Clements Markham (“Cuzco, un viaggio nell’antica capitale del
Perù” del 1856).
Il primo a sfruttare commercialmente e con successo la pianta fu il farmacista corso
Angelo Mariani, che ebbe l’idea di un estratto idroalcolico della pianta. Per superare
l’inconveniente del sapore sgradevole che la coca aveva per gli Europei, dopo lunghe
sperimentazioni in cui combinò diverse piante per ottenere un “tipo” con foglie dal sapore
aromatico e poco amaro, produsse un “vino medicato”, appunto il Vin Mariani, che incontrò
un colossale favore tra i medici e fu largamente utilizzato da personalità di spicco dell’epoca,
quali Zola, Massenet, Dumas figlio, Verne, Ibsen, Edison, lo Zar di Russia, il principe di
Galles ed il presidente statunitense Grant.
Un notevole successo fu colto anche da un altro farmacista, l’americano John Stith
Pemberton, che nel 1885 creò il “French Wine Coca” e l’anno seguente rese la preparazione
analcolica e vi aggiunse estratti di noce di cola (ricchi di caffeina) ed eccipienti vari per la
correzione del gusto, dando vita ad uno dei più noti prodotti (e simboli) del mercato, la Coca
Cola. Nel 1891 Asa Griggs Candler acquistò i diritti e fondò la celeberrima omonima società.
Tuttavia, a pochi anni di distanza le entusiastiche opinioni sulle proprietà terapeutiche
della pianta subirono un drastico ridimensionamento, e la sua popolarità, unita al vasto ed
incontrollato consumo, imboccò la strada del declino. Nella maggior parte degli Stati Uniti, la
cocaina fu soggetta ad obbligatoria prescrizione medica e nel 1914 il Congresso approvò il
cosiddetto “Harrison Narcotic Act”, che obbligava produttori e distributori di sostanze
psicotrope, tra cui la cocaina, ad iscriversi ad un apposito registro federale.

Botanica e farmacologia
Erythroxylon coca è un arbusto alto fino a 3 m e molto ramificato. I fiori, isolati o
raggruppati all’ascella delle foglie, sono pentameri, mostrano un colore che può variare dal
bianco al giallastro e presentano 10 stami ed un gineceo tricarpellare. Il frutto della coca è una
drupa rossa.
La pianta è coltivata prevalentemente in Bolivia, in Perù (dove è più frequente
Erythroxylon truxillense o coca peruviana, una specie leggermente differente ma con
analoghe proprietà farmacologiche) e in Colombia, a un’altitudine compresa tra i 500 ed i
2000 m. Di solito le piante coltivate sono potate ad un’altezza di circa 2 m. La coltivazione
della coca consente di effettuare fino a tre raccolte all’anno.
Il composto più caratteristico di tale pianta è la cocaina, che rientra nella categoria degli
alcaloidi ed è maggiormente concentrata nelle foglie. Queste ultime in Erythroxylon coca
sono brevemente picciolate, ovali, lunghe da 2 a 7 cm, larghe fino a 4 cm, con lamina glabra e
intera al margine e con nervatura principale nettamente prominente sulla pagina inferiore; un
importante carattere farmacognostico è rappresentato dalla presenza di due caratteristiche
linee disposte ai lati della nervatura centrale, molto ben visibili sulla pagina inferiore della
foglia. Il sapore della “droga” è amaro e leggermente aromatico. Le foglie di coca provocano,
all'assaggio, intorpidimento della lingua e delle labbra.
Le foglie di Erythroxylon truxillense hanno invece consistenza più “cartacea” e le due
linee ai lati della nervatura sulla pagina inferiore della lamina sono molto meno distinte
rispetto a Erythroxylon coca.
L'osservazione microscopica di sezioni trasversali della foglia consente di notare
un'epidermide superiore, un parenchima a palizzata con prismi di ossalato di calcio, un
parenchima spugnoso ed infine un’epidermide inferiore papillosa e dotata di molti stomi.
La “droga” contiene fino all’1,5% di alcaloidi totali, tra cui il più importante è senza
dubbio la già citata cocaina.

Dal punto di vista dell’attività biologica la cocaina presenta due importanti tipologie di
effetti: anestetico locale e psicostimolante.
a) Attività anestetica locale.
L’azione anestetica locale, osservata e descritta per la prima volta con criterio scientifico
dal ricercatore e medico Schroff nel 1862, consentì, con ottimi risultati, l’utilizzo della
sostanza applicata topicamente in interventi chirurgici, dapprima in campo oculistico e poi
anche in molti altri settori. Alla fine del XIX secolo, mediante iniezioni dell’alcaloide si
giunse a nuovi metodi di anestesia: regionale, da infiltrazione sottocutanea e spinale. Tuttavia
negli stessi anni la sintesi di un analogo della cocaina, la procaina o novocaina, anch'essa
dotata di azione anestetica locale ma priva di effetto stimolante sul sistema nervoso centrale,
determinò il successivo drastico (ma non totale) declino di questo uso.
Il fenomeno definito anestesia locale consiste, di fatto, nell’assenza di sensibilità in una
determinata regione del corpo, non accompagnata, tuttavia, da perdita della coscienza. La
cocaina, così come gli altri anestetici locali, esplica questa sua azione mediante un'inibizione
reversibile della conduzione dell'impulso nervoso. Le cellule nervose (neuroni) sono capaci di
trasmettere segnali di varia natura (come le sensazioni tattili, dolorifiche, termiche, ecc.) dalla
periferia al cervello (e viceversa, nel caso di impulsi motori, posturali, ecc.), tramite la
propagazione di un’”onda”, definita potenziale d'azione, determinata da un complesso insieme
di fenomeni elettrici e ionici, localizzati a livello della membrana cellulare del neurone.
L'insorgenza del potenziale d'azione è necessariamente legata anche ad un flusso di ioni sodio
dall'esterno all'interno del neurone, attraverso determinati canali specifici per questo ione. La
cocaina si lega a questi canali del sodio, rendendone impossibile l’ingresso, con conseguente
arresto della propagazione dell’impulso nervoso.
Lo studio delle relazioni tra la struttura chimica della cocaina e la sua attività ha
consentito la creazione di sostanze sintetiche analoghe all'alcaloide, dotate di ottima azione
anestetica locale e sprovviste di effetti tossici e stupefacenti.
b) Attività psicostimolante.
Non meno importanti dal punto di vista farmacologico, anche se attualmente non più
utilizzati a fini terapeutici, sono gli effetti psicostimolanti della pianta.
Già nel 1868 il medico militare peruviano Moreno y Maiz descrisse il senso di beatitudine
provato dopo l’assunzione dell’alcaloide. Negli anni seguenti, la scienza medica si dedicò con
notevole attenzione alla cocaina: nel 1876, il British Medical Journal definiva questo
alcaloide “…un nuovo stimolante senza azione narcotica…” e la Therapeutic Gazette, nel
1878, affermava che “l’alcaloide è stato suggerito per la cura dell’alcolismo e della
depressione”. Nella farmacopea statunitense la cocaina fu inserita nel 1882.
L’apice della considerazione da parte del mondo della medicina per la cocaina fu
rappresentato dalla pubblicazione, nel 1884, di “Uber Coca” da parte del medico e psichiatra
tedesco Sigmund Freud. Il padre della psicanalisi fece larghissimo uso della sostanza (anche
per consumo personale: “…prendo regolarmente piccolissime dosi del farmaco contro
depressione e indigestione, con i più brillanti risultati…”, scriveva infatti alla futura moglie
Martha) per un ampio campo di applicazioni, non esclusivamente di natura psichiatrica,
celebrandone con grande enfasi le virtù benefiche e le strabilianti proprietà terapeutiche:
stimolante della sessualità, antidepressivo, contro disturbi della digestione, contro la
tubercolosi, per disassuefazione dall’alcol e dalla morfina, come antiasmatico e, infine, come
anestetico locale.
Presto, tuttavia, molti importanti medici europei si schierarono contro qualsiasi impiego
clinico della cocaina, salvo che come anestetico locale, a causa dei fenomeni di abuso che
cominciavano ad emergere, e Freud fu attaccato con veemenza ed accusato di propagandare
l'uso dell'alcaloide. Nel 1890, per la prima volta una eminente rivista scientifica, The Lancet,
riportò un caso di dipendenza da cocaina. Tuttavia, nelle sue ultime pubblicazioni in materia,
Freud sosteneva ancora che la dipendenza era un fenomeno estremamente raro e che “… la
droga è utile e non deve essere condannata solo perché alcuni la usano male. Questi
consumatori abuserebbero, e in realtà abusano, di ogni stimolante che venga loro offerto …”.
Gli effetti psicostimolanti della cocaina sono dovuti alla sua capacità di potenziare
l’azione di alcuni neurotrasmettitori, in particolare delle catecolamine adrenalina,
noradrenalina e dopamina, prolungando la loro permanenza a livello delle sinapsi.
Le sinapsi sono le aree di congiunzione tra due neuroni, ovvero tra un neurone ed una
cellula effettrice (ad es. muscolare o ghiandolare), in cui avviene lo scambio di “segnali”,
tramite l’attività di diversi tipi di sostanze (neurotrasmettitori) liberate nello spazio sinaptico
dalla cellula pre-sinaptica e riconosciute da specifiche strutture (recettori) della cellula post-
sinaptica. I neurotrasmettitori, legandosi ai propri recettori, promuovono l'attivazione della
cellula post-sinaptica.
È necessario, comunque, che i neurotrasmettitori riversati nello spazio sinaptico vadano
incontro a determinati meccanismi finalizzati all'estinzione del loro effetto sui recettori. Nel
caso delle catecolamine, il più importante tra questi meccanismi è noto come ricaptazione e
consiste nel recupero del neurotrasmettitore da parte della terminazione nervosa, ad opera di
trasportatori localizzati sulla cellula pre-sinaptica, in grado di catturare e ritrasferire all'interno
del neurone le catecolamine precedentemente liberate. La ricaptazione consente anche una
sensibile riduzione della necessità di risintetizzare ex novo i neurotrasmettitori da parte dei
neuroni. La cocaina ha la proprietà farmacologica di legarsi ai trasportatori delle
catecolamine, determinando una ridotta ricaptazione e dunque un potenziamento dell'effetto
di questi neurotrasmettitori.
In particolare è stato ampiamente dimostrato che la dopamina, a livello di determinate
aree cerebrali, è sicuramente in grado di indurre sensazioni gradevoli. Il potenziamento di
questa azione da parte della cocaina porta quindi a intense sensazioni di piacere, ad euforia, ad
esaltazioni di emozioni e sessualità e a riduzione del senso di sonno, fatica e fame. Tuttavia
quando questo potenziamento risulti eccessivo o troppo prolungato nel tempo, subentrano
gravi scompensi psichici: perdita della capacità di giudizio, stato confusionale, allucinazioni,
delirio e ideazioni paranoidi simili a manifestazioni schizofreniche.
È inoltre da sottolineare che il potenziamento dell’azione di adrenalina e noradrenalina
determina l’instaurarsi di pericolosi effetti a livello periferico, in particolare a carico del
sistema cardiovascolare: l’abuso di cocaina è sicuramente responsabile di tachicardia, aritmia,
ipertensione arteriosa, crisi anginose, insufficienza cardiaca e infarto del miocardio.
È da ricordare poi che l’uso voluttuario di questo psicostimolante può sicuramente dar vita
a fenomeni di dipendenza di difficile risoluzione.
Lasciando da parte le valutazioni etiche, morali e sociali sull’abuso di cocaina, è
comunque innegabile che gli studi pionieristici sull’impiego dell’alcaloide in terapia
psichiatrica abbiano fornito un rilevante contributo alle moderne discipline biomediche e
psicofarmacologiche per la comprensione delle alterazioni neurologiche responsabili di
importanti disturbi della psiche, dell’umore e della personalità.

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