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A un'analisi attenta di ciò che è, e di ciò che implica, ogni comportamento sessuale, rileviamo un
dato per molti aspetti sorprendente: tutti i ventuno bisogni della scala, seppure in modi differenti,
sono presenti nel comportamento sessuale. In questo senso, perciò, parliamo di un microsistema
e non di un semplice sottoinsieme. Tanto meno possiamo parlare di un singolo tratto o di un
bisogno isolato.
Talora, almeno implicitamente, si scambia il bisogno che abbiamo chiamato di gratificazione
sessuale con la sessualità in senso complessivo. Come abbiamo notato dalle brevi
esemplificazioni riportate nel paragrafo 1, ricondurre il comportamento sessuale all'espressione
del solo bisogno di gratificazione sessuale sembra riduttivo per una grande quantità di vissuti.
Se il repertorio dei bisogni fondamentali esiste in ogni essere umano fin dalla nascita, con il suo
sviluppo assistiamo a un processo importante: quei bisogni vanno via via organizzandosi in
configurazioni, che chiamiamo atteggiamenti, che sono come disposizioni abituali di
comportamento a livelli crescenti di complessità. In altre parole: i bisogni, pian piano, si
compongono, agganciando successivamente, oltre ad altri bisogni, anche istanze culturali, valori
ecc...
Ecco: possiamo dire che ciò che chiamiamo sessualità risulta dalla configurazione originale che
in una persona specifica è assunta da quei ventuno bisogni fondamentali.
Un equilibrio difficile
A questo punto, ragionando a partire dai processi psicologici, potremmo dire quanto segue:
considerando il funzionamento della personalità, se quelli elencati sono bisogni, occorre che
trovino qualche spazio nella vita concreta della persona. D'altra parte — e sarà importante averlo
presente — non può esistere uno stato di vita che comunque li realizzi tutti.
Da una prima lettura dell'elenco di Murray, ad esempio, si noterà infatti come alcuni bisogni —
già dalla stessa denominazione — alludano a dinamismi opposti a quelli espressi da altri. E
questo significa che la personalità matura, cioè integrata — in grado di ricondurre alla propria
volontà il maggior numero di funzioni della personalità — dovrà trovare uno stato di equilibrio
fra l'espressione di alcuni bisogni a discapito di altri.
In proposito, per quanto possa sembrare un discorso quasi da «bilancio energetico»,
effettivamente l'aspetto quantitativo non è di rilievo secondario. Un conto, infatti, è che di
quell'elenco di bisogni uno, due, o tre siano penalizzati o addirittura estromessi. Altra cosa è che
i bisogni penalizzati o estromessi siano cinque, sei o dieci.
A ogni modo — e a costo di diventare noioso — vorrei ribadire che a questo livello siamo
interessati al buon funzionamento psicologico e che la pienezza è un'altra cosa. D'altra parte
sembra sensato ritenere che là dove un buon funzionamento psicologico è garantito, le cose
anche in senso complessivo possano andare meglio. Altrimenti si dovrebbe giungere a un
risultato che ha del paradossale: che l'essere umano si realizza al meglio (nella sua umanità
complessiva), quanto peggio funziona (nei suoi processi psicofisici).
Dal punto di vista antropologico (filosofico e teologico) una simile affermazione condurrebbe
alla tesi realmente singolare, secondo la quale tutto ciò che appartiene alla dimensione storica è
fatto per dare fastidio all'essere umano. Chiunque fosse l'autore di un simile ordine della
creazione, a buon diritto potrebbe essere accusato, o di essere stato maldestro o, peggio, di essere
un sadico.
In questo senso, perciò, la nozione di bisogno psichico è analoga, ma non identica a quella di
bisogno fisico.
1. L'aggressività
Vorrei accennare alla questione dell'aggressività. Di quel repertorio di bisogni fondamentali,
l'aggressività è uno dei più importanti. È importante, fra le altre cose, perché svolge una funzione
evolutiva decisiva. Senza aggressività — verrebbe da dire — non ci può essere sviluppo.
L'aggressività, infatti, è quel bisogno che consente alla persona di «saltare» da uno stadio al
successivo.
Benché un approfondimento in proposito ci porterebbe troppo distanti dal nostro percorso, è
importante segnalare il forte legame che viene a stabilirsi, nella configurazione della sessualità
adulta, fra l'aggressività e l'intimità/genitalità. In altre parole: chi ha una vita sessuale attiva ha
come un canale in più per convogliare il proprio bisogno di aggressività.
La questione è delicata, perché verrebbe spontaneo sospettare che ragionando in tal senso si
voglia strumentalizzare il rapporto di coppia. Eppure, se è vero che la relazione a due può
fomentare una buona dose di aggressività — perché vivere in due sempre in armonia è possibile
solo nei cartoni animati (e dai Simpson in poi nemmeno in tutti) — sembra altrettanto vero che
l'intimità fisica consenta un notevole smaltimento delle tensioni aggressive, legate alla stessa vita
di coppia, ma anche indipendenti da questa.
2. La dipendenza affettiva
Un altro bisogno è quello della dipendenza affettiva. Come cercherò di mostrare anche nel
paragrafo successivo, il fatto di vivere relazioni di intimità sessuale intercetta livelli diversi
dell'esperienza affettiva. Qui vorrei soffermarmi su quella presenza di «altri» a un livello intimo,
che significa materialmente sentire qualcuno vicino, al di là delle forme di comunicazione più
evolute, o delle relazioni di amicizia adulte.
L'assunzione del celibato potrebbe condurre a ritenere che in realtà si debba prescindere da ogni
relazione di intimità, intesa qui, dunque, nel senso di una prossimità che non è legata ad alcuna
aspettativa e rispetto alla quale ci si ci può sentire semplicemente accolti per quello che sí è,
avendo smesso i panni ufficiali, del ruolo sociale.
Non ravvisare la presenza di questo bisogno e, al contrario, investire sempre più sugli aspetti di
ruolo — magari proprio come strategia difensiva inconsapevole, messa in atto per non percepire
quel desiderio di relazioni di intimità nel senso detto — può condurre a un ventaglio di
comportamenti possibili. Alcuni di questi possono assomigliare a quelli che ho cercato di
evidenziare nel paragrafo precedente relativamente all'aggressività. Ma se ne possono aggiungere
altri: da un bisogno di accumulare cose come procedimento simbolico teso a colmare un senso di
vuoto profondo, all'esperienza diretta di quel vuoto, che può avere un esito di tipo depressivo.
Ciò può significare molte cose: la passività, l'indolenza, l'apatia, l'irritabilità, ma perfino la
depressione vera e propria.
4. L'identità di genere
L'identità di genere consiste fondamentalmente nell'esperienza del sentirsi maschio o del sentirsi
femmina. Dunque va distinta dal cosiddetto sesso biologico. Potremmo dire che, mentre il sesso
biologico è il «dato» sessuale, l'identità di genere è l'«esperienza del dato» sessuale.
La questione dell'identità di genere sembra andare al di là della semplice organizzazione di un
insieme di bisogni. Eppure, essendo l'identità di genere comunque parte di quell'esperienza
psicologica importantissima per la personalità che chiamiamo, appunto, identità, ed essendo
questa connessa con un insieme di tratti che caratterizzano la persona in modo tendenzialmente
stabile, fra questi annoveriamo anche i bisogni fondamentali e, soprattutto, il modo originale in
cui questi si sono configurati nella personalità di una persona specifica.
Dunque l'identità di genere comprende anche un repertorio configurato di bisogni.
Essendo poi l'identità un processo e non una struttura, quella dell'identità si presenta come
ricerca continua, una sorta di domanda aperta in attesa di risposta, che in modo più o meno
consistente — ma comunque sempre presente — caratterizza ogni situazione.
E questo vale anche per l'identità di genere. La percezione del proprio essere uomo o quella del
proprio essere donna ha bisogno di conferme e il fatto che queste non vengano, soprattutto se in
modo reiterato, può condurre a un indebolimento nella percezione del proprio sentirsi maschio o
del proprio sentirsi femmina, con il desiderio conseguente (e magari pérfino impellente) di una
ricerca supplementare di conferme.
Anche in questo caso il rilievo dato alla sessualità genitale rispetto alla conferma della propria
identità di genere ha una provenienza che può essere ulteriormente enfatizzata dalla cultura.
Quali, in tal caso, i bisogni che, a questo livello — cioè caratteristici dell'identità di genere —
possono ritenersi «scoperti» dall'assenza di una sessualità genitale attiva? Ad esempio i seguenti:
accettazione sociale, autonomia, dominazione, esibizionismo e, in modo particolare, evitare
l'inferiorità, reazione e successo.
Ritengo che ciò sia oltremodo importante e, appunto, in modo particolare nel nostro attuale clima
culturale, il quale riconosce nella «prestazione» sessuale uno spazio importante di
autoaffermazione, soprattutto per il genere maschile. È di rilievo la messa a fuoco di questo
dinamismo — con l'enfasi che gli proviene dalla cultura — soprattutto di fronte ai suoi esiti
possibili che, seppure apparentemente contrapposti, provengono dalla medesima ricerca di
conferma.
Un primo esito possibile riguarda il desiderio di coltivare relazioni di intimità con l'altro sesso,
secondo diverse modalità: da quella vagamente narcisista, che sperimenta un gusto particolare
nel fare innamorare di sé un'altra persona (o altre persone), ma senza compromettersi in un
legame stabile; a quella che, pian piano, conduce, o può condurre, allo sviluppo di un legame di
intimità anche genitale.
Nel caso della reiterazione di legami di innamoramento, talora il fatto che questi non giungano a
una relazione stabile può essere sostenuto con motivazioni pretestuosamente spirituali. In realtà
queste possono prestare il fianco a motivazioni di tipo narcisista, presenti almeno in modo
concomitante.
Far innamorare di sé, senza compromettersi in un rapporto d'amore concreto — che
comporterebbe a quel punto costi elevati —, può essere un'esperienza molto gratificante sotto il
profilo della ricerca di una conferma della propria mascolinità.
Nel caso del legame di intimità genitale, si può giungere quasi a forme di «doppia vita» nel
proprio ministero. Non è detto che in questi casi non ci sia la consapevolezza di una tale
«dissociazione », ma attribuendo il desiderio dell'intimità al solo «impulso» sessuale, senza
considerare la possibile presenza simultanea di un desiderio di conferma della propria
mascolinità, í tentativi per interrompere quella relazione possono risultare infruttuosi.
Un secondo esito possibile riguarda il desiderio di coltivare relazioni molto strette con una
persona del proprio sesso. L'indebolimento nella percezione della propria mascolinità, infatti,
potrebbe condurre al desiderio di rafforzarla, con un processo che sembra di innamoramento — e
che dal punto di vista dell'esperienza concreta ne ha tutte le caratteristiche — ma che dal punto di
vista psicodinamico svolge soprattutto la funzione di una forte identificazione.
Nell'indebolimento (più o meno consapevole) della propria mascolinità percepita,
l'innamoramento è la conseguenza del desiderio di giungere alla relazione con un altro, il quale,
però, in un certo qual modo è percepito alla stregua di un'estensione di sé. La componente di
gelosia e possessività che si accompagna sovente a questo tipo di relazioni è legato al carattere di
esclusività rivendicato su quella persona, precisamente perché percepita, in qualche modo, come
una parte di sé.
Gli aspetti su cui quell'innamoramento fa leva possono essere diversi — e talora anche molto
circoscritti —, ma avranno in comune il fatto di rappresentare il simbolo di una positiva
mascolinità-o-di una positiva immagine di sé come maschio: bellezza fisica, statura, età (minore
o maggiore), impostazione della voce, modo di sorridere, modo di gesticolare, e altro ancora,
sono tutti simboli possibili.
5. Il gioco
La mancanza di una intimità sessuale può lasciare scoperto il bisogno di gioco. L'intimità
sessuale, infatti, è uno spazio di gioco. Proprio il fatto di andare a intercettare livelli differenti
dell'esperienza affettiva, compresi possibilmente' quelli appartenenti agli stadi più precoci del
proprio sviluppo, favorisce un processo regressivo. E non casualmente nella relazione di intimità
sessuale tutti i panni — in senso stretto e in senso lato — dovrebbero cadere. Dovrebbero cadere
dunque i titoli, i ruoli, le competenze professionali. Uno è semplicemente ciò che è, senza
finzioni.
Il gioco nell'adulto consiste precisamente in una tale capacità di assumere (deliberatamente e
consapevolmente) forme di comportamento che appartengono a stadi più precoci, rinunciando ad
assumere la personalità propria dello stadio di sviluppo presente.
Il gioco fa molto bene alla personalità adulta, perché le consente di integrare attivamente tutte
le personalità precedenti, sia molte istanze emozionali e interpersonali che nella vita presente
potrebbero non trovare spazi di espressione. Tutto ciò favorisce una grande flessibilità, che è
sempre promettente, sia per il presente, sia per il futuro.
Nell'intimità chi è ingegnere o magistrato sarà semplicemente Marco o Carlo e, magari, perfino
Carluccio! Per un magistrato farsi chiamare Carluccio dalla propria moglie — oltre che
assolutamente accettabile — rappresenta realmente una modalità di gioco.
La conoscenza di sé