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Le svolte

Il progetto ebbe un’improvvisa accelerazione nel 1942, quando il fisico italiano e premio Nobel
Enrico Fermi (rifugiato negli Stati Uniti in seguito alle leggi razzali poiché era sposato con una
donna ebrea) costruì con successo la prima pila atomica. Ciò dimostrò che la possibilità di dare vita
a una reazione a catena non era solo teorica e inoltre consentì la produzione di plutonio 239,
ottenuto per irraggiamento neutronico dell’uranio all’interno della pila. L’utilizzo del solo uranio
come combustibile fissile era infatti un procedimento lungo e faticoso, poiché comportava la
separazione dell’uranio 235, isotopo dotato di proprietà radioattive, dal più stabile uranio 238. Non
a caso la bomba sganciata su Hiroshima (nome in codice Little Boy, Ragazzino) fu all’uranio mentre
quella lanciata su Nagasaki il 9 agosto (nome in codice Fat Man, Ciccione) era al plutonio (e più
distruttiva, 25 chilotoni contro 16). Un secondo passo importante fu la scoperta del sistema per
innescare una reazione a catena all’interno dell’uranio e del plutonio. Semplificando molto, si
trattava di preparare due masse subcritiche di materiale fissile (per definizione instabili ma allo stato
inerti), di sagomarle in modo che l’una fosse specularmente compatibile con l’altra e infine di
lanciarle l’una contro l’altra per mezzo di una quantità attentamente dosata di esplosivo
convenzionale. In questo modo le due masse subcritiche si sarebbero combinate in una massa critica
all’interno della quale sarebbe iniziata la reazione a catena.
La terza svolta, decisiva, avvenne il 16 luglio 1945 (solo 21 giorni prima del bombardamento di
Hiroshima). Nel deserto di Socorro, nello stato americano del Nuovo Messico, era esploso The
Gadget (L’Aggeggio) la prima bomba nucleare della storia (secondo alcuni proprio il 16 luglio
1945, e non il 6 agosto, andrebbe preso come data d’inizio dell’era atomica). Pesante 5 tonnellate e
collocato all’interno di una baracca in lamiera su una piattaforma in cima a una torre altra trenta
metri, l’ordigno aveva un nocciolo di plutonio circondato da uranio, il tutto avvolto da esplosivo
ad alto potenziale sagomato e sistemato in una sfera di duralluminio. Nessuno sapeva con
precisione cosa sarebbe successo se la bomba avesse funzionato. Per esempio Enrico Fermi aveva
espresso pubblicamente il timore che l’esplosione incendiasse l’atmosfera terrestre provocando la
fine del mondo. E un altro fisico di Los Alamos aveva calcolato che le probabilità di un simile
evento catastrofico erano tre su un milione. Ma si era deciso ugualmente di procedere.
L’esperimento fu un successo insperato: The Gadget trasformò in polvere radioattiva se stessa, la
torre, la baracca, tramutò in vetro verdastro metri e metri quadrati di sabbia silicea, produsse una
luce così accecante da essere percepito da una ragazza cieca di 18 anni a 75 chilometri dal Punto
Zero, fece sbocciare il primo fungo atomico della storia. Il presidente americano Harry Truman, in
quel momento a Potsdam per l’ultima conferenza tra gli alleati della crociata antinazista (Urss, Usa
e Gran Bretagna), ormai sul punto di trasformarsi in avversari della guerra fredda, seppe che gli
Stati Uniti avevano a disposizione l’arma risolutiva. Quello che invece non sapeva era che anche
Stalin era stato informato: il matematico del progetto Manhattan Klaus Fuchs era una spia sovietica
da anni e teneva aggiornato minutamente il Cremlino degli sviluppi del programma.

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