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Non so come iniziare onestamente, ma in qualche modo dovrò pur farlo

Dovrei descrivere una cosa apparentemente facile: una città, la sua composizione, le
persone che la abitano, i suoi monumenti, la sua storia, i suoi palazzi.
In realtà non è semplice, non lo è per niente. Così la faccio un po’ più facile
accostandola a qualcosa di ugualmente difficile ed oscuro, effettivamente potrebbe
sembrare un controsenso, ma ascolta.
La città è l’uomo, l’uomo è una città.
Siamo noi, sono io, sei tu, è lei a formare l’ambiente in cui viviamo, ma allo stesso
tempo noi stessi siamo delle città, dei microcosmi sconfinatamente ristretti capaci di
stupire, di sgretolarci, di far abitare qualcuno in noi. Possiamo essere una casa, un
porto sicuro, un luogo in cui una persona si sente protetta; possiamo essere la sua
rovina, la causa della sua tristezza e della sua malinconia; possiamo essere, ancora,
quel posto da cui non si vuole andar via, ma si è obbligati a farlo, o, al contrario un
posto dal quale si vuole scappare senza voltarsi, ma da cui non ci si riesce a staccare,
al quale non si riesce a dire “addio”. Possiamo essere il sogno di qualcuno o il suo
peggior incubo, quella cosa che ci mancherà per sempre o che abbiamo abbandonato
senza nessun rimpianto.
Abbiamo mille volti, mille sfaccettature, che ci rendono allo stesso tempo uguali e
totalmente differenti. Quasi tutti vedono la nostra parte splendente, sorridente e
radiosa, ma pochi conoscono i bassifondi, le parti più sporche, malsane e tristi, le
cripte chiuse con una porta di ferro, i ruderi a cui basta un tocco per distruggersi
completamente e i palazzi lasciati a metà, nella speranza che qualcuno arrivi a
terminare il lavoro incompleto. Siamo quindi il risultato di una somma: il lato solare
sommato al lato più oscuro, parti indissolubili, che, anche se ci si illude di ignorare,
sono necessari per comprenderci totalmente.
Siamo un libro aperto, pronto a raccontare storie: d’amore, di guerra, di odio, di
felicità; la nostra pelle porta i segni del tempo e delle persone che hanno abitato in
noi, per un breve periodo o per tutta la vita. Siamo stati distrutti e ci siamo tirati su
un’altra volta, mattone per mattone, momento per momento, anche se non sappiamo
se effettivamente la ripresa ci abbia resi migliori o peggiori. Sappiamo di esistere e
sappiamo di essere una presenza importante nella vita di qualcuno: io abito in te
come tu abiti in me, e resterà così anche quando te ne andrai, quando scomparirai
totalmente, quando il presente si trasformerà in un passato prossimo. Le prove del
tuo passaggio rimarranno sempre lì, la casa che avevi in me rimarrà inabitata,
qualora volessi tornare. Dunque, siamo anche microcosmi cosmopolìti, capaci di
lasciare la nostra indelebile impronta nell’esistenza di qualcun altro.
La mia conclusione, quindi, è la seguente: non siamo altro che degli specchi, delle
rappresentazioni reciproche: noi umani, piccoli esseri contenuti e contenenti
l’universo, siamo racchiusi e racchiudiamo una città.

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