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384-367: la giovinezza con il padre Nicomaco a Pella, alla

corte di Aminta;
367-347: il ventennio in Accademia, discepolo di Platone;
347-335: gli anni di viaggio e l’incarico di precettore di
Alessandro di Macedonia;
335-323: il ritorno ad Atene e l’insegnamento al Liceo;
322: la morte a Calcide
Nei 12 anni in cui resse il Liceo, Nessuna delle opere destinate
Aristotele sistemò le lezioni al pubblico ci è pervenuta,
che servivano all’interno della mentre il grosso delle lezioni
scuola e che furono detti si è conservato ed è pervenuto
«scritti esoterici», distinti da fino a noi.
quelli «essoterici» e giovanili.
E’ giusta l’esigenza di Platone di trovare un
oggetto stabile, al di là dell’instabilità degli
individui, per costruire una scienza stabile e
rigorosamente fondata;
ma non è necessario (né utile) porre questo
oggetto in un mondo intelligibile, separato
dal sensibile:

si può fondare la scienza anche senza


ammettere la distinzione platonica tra mondo
sensibile e mondo intelligibile
La scienza che si occupa della realtà nella sua totalità è la
Metafisica, definita da Aristotele filosofia prima
e, più tardi, detta ontologia, cioè studio dell'essere),
viene da lui definita in
viene da lui definita in
vari modi:
vari modi:

scienza che studia Dire che la metafisica


le cause e i principi studia l'essere in
primi e l'essere in quanto essere
quanto essere scienza che studia la scienza che significa che essa non
sostanza studia Dio e la ha per oggetto una
sostanza realtà in particolare,
soprasensibile bensì la realtà in
generale, cioè gli
aspetti fondamentali
e comuni di tutta la
realtà.

solo la metafisica studia l'essere


In altri termini: in quanto tale, considerando le
- la matematica studia l'essere come quantità caratteristiche universali di ogni
essere (ecco perché è chiamata
- la fisica studia l'essere come movimento filosofia prima mentre la altre
scienze sono filosofie seconde),
ed è dunque il presupposto
indispensabile di ogni ricerca.
Vi è una scienza che considera l'essere in quanto essere e le
condizioni che gli sono intrinseche per se stesso. Essa non si
identifica con alcuna di quelle che hanno un oggetto particolare;
perché nessuna delle altre guarda in universale all'essere in
quanto essere, ma, ritagliandone una certa parte, di questa
considera gli accidenti (Aristotele, Metafisica, 1003 a)
La logica non è una scienza - nel senso che studia
dei contenuti particolari - ma una disciplina
preliminare alle scienze: infatti, fornisce gli
strumenti necessari per l’indagine scientifica dato
che si occupa della struttura del ragionamento e
del linguaggio.
La logica è definita da Aristotele Analitica:
scompone il pensiero e il linguaggio nelle loro
strutture formali così da poterne controllare la
validità.
Possiamo distinguere tre elementi costituenti il
linguaggio: termini (o nomi), proposizioni (o
discorsi), sillogismi (o ragionamenti).
Ogni termine può essere
•individuale, se può fungere solo da soggetto di un
giudizio ed è passibile di predicazione (es., Socrate è un
uomo; questo banco è rettangolare);
•universale, se può fungere sia da soggetto che da
predicato in un giudizio (es., l’uomo è razionale,
Socrate è un uomo). Come è evidente, i termini
universali sono i concetti (noémata), poiché si
riferiscono a insiemi di cose.
A livello ontologico, il termine individuale
corrisponde alla sostanza, il concetto fondamentale di
tutta l’ontologia aristotelica: la sostanza prima è
ciò che funge sempre e solo da soggetto
(hypokèimenon) e mai da predicato.
La sostanza è in primo luogo ogni E' quindi un sinolo, unione
individuo concreto (uomo, cavallo, inscindibile di due elementi
albero, tavolo ecc.) a cui si riferiscono che A. chiama materia
delle proprietà che lo caratterizzano. (hyle) e forma (eidos,
morphé).

La forma è ciò che rende La materia è invece ciò di cui un ente


l’ente quello che è e lo è fatto, ciò di cui è composto (ad es.
distingue dagli altri enti; è un uomo è fatto di carne ed ossa;
dunque la sua essenza, il suo una sfera è fatta di bronzo ecc.), ed
è dunque un elemento passivo, che
significato fondamentale, il
viene strutturato dalla forma, nel
suo essere dell'essere. senso che è la forma che rende ad
es. l’uomo animale razionale, mentre
la materia è il corpo dell'uomo.

Entrambe però, materia e forma,


sono necessarie per costituire
una sostanza: non può esistere
un uomo senza il corpo (materia),
né l'anima (forma) senza il corpo
sono le varie qualità che una
Dalla forma, che è sostanza può avere o non avere
l’essenza necessaria, si senza che per questo cambi
distinguono gli accidenti: l’essenza della sostanza stessa.
Ad es., Socrate non cessa di
essere uomo mentre può essere
allegro, triste, sano, malato,
ecc. Per cui mentre l'accidente
cambia nel tempo, la sostanza
rimane la stessa, identica, pur
nel mutare dei diversi accidenti.

Tornando alla sostanza, possiamo notare che ogni ente è una sostanza,
in quanto di ogni cosa - da Dio al più piccolo sasso - si può sempre e
comunque chiedere che cos'è?
Ciò significa che tutti gli esseri sono accomunati dal fatto di essere delle
sostanze. Il che implica che tutte le scienze, in quanto tutte rivolte alla
ricerca e alla definizione delle sostanze, abbiano la stessa dignità.

Prof.ssa MariaElena Auxilia


Tornando all’Organon, Sostanza
Aristotele si sofferma, come
Qualità
Platone, sui generi sommi
e universali della Quantità
predicazione che egli Relazione
definisce categorie. Agire
Si tratta dei predicati primi, Subire
fondamentali, più generali Luogo
all’interno dei quali si Tempo
collocano o rientrano tutti Avere
gli altri predicati possibili:
Giacere
Aristotele ne individua 10:
 Di un qualsiasi oggetto si
predica infatti ciò che
esprime o una qualità, o
una quantità, o qualcosa di
consimile, oppure gli
elementi costitutivi della
sostanza: orbene, queste
determinazioni sono in
numero limitato, come pure
sono limitati i generi della
predicazione, dato che si
tratterà o di qualità, o di
quantità, o di relazione, o
di attività, o di passività, o
di luogo, o di tempo.
(Analitici secondi)
Es.:
-Platone (sostanza), basso di statura (qualità), vive
(agire) ad Atene (luogo) tra quinto e quarto sec. a.C.
(tempo) dove insegna filosofia (agire) ai suoi
discepoli (relazione).

Dovrebbe essere evidente, a questo punto, l’identità


aristotelica tra logica e ontologia: le categorie, infatti,
non sono solo i modi possibili con cui parliamo delle cose
e le pensiamo (nell’esempio, il «soggetto» del discorso
Platone) ma anche i modi di essere della realtà
(nell’esempio, la «sostanza» reale Platone)

ESSERE = PENSIERO
La sintesi di nome e verbo dà origine al discorso (o
giudizio), che sarà vero o falso se l’affermazione unisce
o separa cose effettivamente unite o separate.
I discorsi sono classificati da Aristotele sulla base delle
loro caratteristiche
-qualitative: affermativi o negativi;
-quantitative: universali o particolari.
Esempi:
UA: tutti gli uomini sono mortali
UN: nessun uomo è immortale
PA: qualche uomo è grasso
PN: qualche uomo non è calvo
Più giudizi concatenati tra loro danno origine al
sillogismo, cioè al ragionamento: poste alcune
proposizioni che fungono da premesse, ne seguono
necessariamente delle conclusioni.
Posto che esistono diversi tipi di sillogismo, ci interessa
prendere in considerazione il sillogismo scientifico o
perfetto (di prima figura), che secondo Aristotele
costituisce il procedere logico delle scienze:
La correttezza formale del sillogismo NON garantisce
anche la sua veridicità. Infatti:
Una forchetta ha tre denti;
Mia nonna ha tre denti;
Mia nonna è una forchetta.

I fiumi hanno un letto;


Io ho un letto;
Io sono un fiume.

Tutte le capre hanno il pizzetto;


Lucio ha il pizzetto;
Lucio è una capra.
Dunque, perché il sillogismo sia vero oltre che corretto
formalmente, bisogna che la premessa maggiore sia
vera, universale e necessaria.
Il processo induttivo è il metodo che conduce
dall’esperienza particolare al concetto universale:
dall’osservazione che gli esseri umani di cui ho avuto
esperienza sono bipedi e razionali, per intuizione giungo
alla conclusione universale e necessaria che tutti gli
esseri umani sono bipedi e razionali.
N.B.: è’ totalmente assente in Aristotele la dimensione
sperimentale dell’induzione, quella che permetterà a
Galilei di fondare la scienza moderna…
Ovviamente, nella dimensione quotidiana della
comunicazione non abbiamo quasi mai bisogno di
utilizzare sillogismi scientifici: possono essere sufficienti
conclusioni solo probabili o condivise dai più.
Il sillogismo dialettico è appunto il sillogismo che si basa
su premesse non vere ma probabili o condivise dai più o
garantite dall’opinione dei più sapienti:
Dialettici sono i sillogismi che concludono a partire da
elementi fondati sull’opinione. […] Fondati sull’opinione
sono gli elementi che appaiono accettabili a tutti,
oppure alla grande maggioranza , oppure ai sapienti, e
tra questi o a tutti, o alla grande maggioranza, o a
quelli oltremodo noti e illustri.
Se la dimostrazione, con la sua inevitabile necessità,
costituisce il metodo specifico della scienza,
l’argomentazione dialettica rappresenta invece il
principale strumento che abbiamo a disposizione per
offrire una qualche giustificazione razionale al
nostro agire pratico e quotidiano.
L’ambiente naturale in cui l’argomentazione si
sviluppa non è, dunque, quello della ricerca solitaria
ed astratta, ma la discussione pubblica e il
dibattito, dove tesi e opinioni si scontrano e si
confrontano, tentando ciascuna di far valere le proprie
ragioni e di confutare al contempo le altre.
A prescindere da quale tipo di ragionamento utilizziamo, la
nostra mente si basa su tre principi logici evidenti e
indimostrati che garantiscono la correttezza formale del
pensare e del dire:
-Principio di identità: A=A. Nello stesso contesto di
discorso A permane nella propria identità;
-Principio di non-contraddizione: A non è non-A. Nello
stesso contesto di discorso non è possibile attribuire
contemporaneamente ad A l’attributo B e l’attributo non-B;
-Principio del terzo escluso: A o è B o è non-B. Date due
proposizioni contraddittorie di cui una vera, l’altra è
necessariamente falsa: non esiste una terza possibilità
(tertium non datur)
Si è detto all’inizio che la filosofia prima è presentata da
Aristotele innanzitutto come ricerca delle cause prime.

Per quanto riguarda il mondo del divenire, tutto ciò che


accade è interpretabile attraverso quattro possibili cause.
Le prime due (formale e materiale) non sono altro che
l’essenza e la materia che costituiscono tutte le sostanze
esistenti corruttibili (vedi sopra)
Materia e forma bastano a spiegare la sostanza se la
consideriamo staticamente.
Se invece consideriamo la sostanza dinamicamente, cioè
nel suo divenire e svolgersi, materia e forma non bastano
più: se, ad esempio, nel caso di un uomo ci domandiamo
«come è nato?», «chi lo ha generato?», «perché si sviluppa
e cresce?», occorrono altre due ragioni o cause, quella
efficiente (ad esempio, il padre che lo ha generato) e
quella finale (il telos, lo scopo a cui tende il divenire
dell’uomo, ad esempio la realizzazione della propria
essenza).
In altri termini, mentre Platone aveva introdotto le Idee
come cause trascendenti delle cose, che dovrebbero
spiegarne i caratteri,
per Aristotele una causa o forma separata non può spiegare le
cose né il loro divenire (vedi anche la dottrina della categorie).
Per spiegare qualsiasi forma di movimento, cioè di divenire o
di cambiamento, dobbiamo considerare che:
 Ogni mutamento è un moto per il raggiungimento di un
certo modo di essere, cioè di una certa forma (causa
formale)
 Ogni trasformazione presuppone una materia, che
conseguirà quella certa forma (causa materiale)
 Ogni trasformazione richiede un ente già esistente che
agisca nel processo (causa motrice o efficiente)
 Ogni trasformazione è verso uno stato finale che ne
rappresenta il fine (causa finale, che può essere la stessa
forma nel caso degli esseri viventi)
Se la metafisica è lo studio dell'essere, che Aristotele afferma che
cosa è l'essere? l’essere può essere detto
in molti modi (noi
diciamo ad es. che
l'uomo è razionale, la
1. essere come accidente; neve è sui monti, Dio
2. essere come sostanza; è...). Esso viene perciò
3. essere come vero (e il non essere come diviso da A. in quattro
falso); gruppi principali:
4. essere come potenza-atto.

La prima delle categorie, la sostanza, è la più importante perché è il


riferimento comune alle altre categorie che, in qualche modo, la
presuppongono (ogni categoria è sempre riferita a qualcosa che esiste
già prima: l'uomo, ovvero la sostanza, è alto, uno, padre, cammina, ecc.).
Conseguenze:
-antiplatonismo di Aristotele;

-se l'essere si identifica con le sue categorie e le categorie si riferiscono


alla sostanza, la domanda che cos'è l'essere? si trasforma in che cos'è la
sostanza?
Esistono, per Aristotele,
tre tipi di sostanza:

Sostanza sensibile Sostanza sensibile


e corruttibile e incorruttibile Sostanza
(tutti i corpi del (tutti i corpi del immobile
mondo terreno o mondo celeste o (Dio)
sublunare) sovralunare)

L’essere si dice in molteplici significati, ma sempre in


riferimento ad una unità e ad una realtà determinata.
Questa realtà è, evidentemente, la sostanza: «l’essere-in-
quanto-essere» significa allora «la sostanza» e tutto ciò che,
in molteplici modi, si riferisce alla sostanza
L’essere si dice, in un senso, come accidente, cioè come
essere accidentale o casuale. Per esempio, quando
diciamo «l’uomo è musico», indichiamo un caso di essere
accidentale: infatti l’essere musico non esprime l’essenza
dell’uomo ma solamente ciò che all’uomo può accadere di
essere, un puro accadere, appunto, un accidente.
Dell’essere come sostanza si è già detto in precedenza.
L’essere come vero (contrapposto al non-essere come
falso) indica l’essere del giudizio vero: è un significato
dell’essere puramente logico, mentale. E’ l’essere che
sussiste solo nella ragione e nella mente che pensa.
 L’essere come atto e potenza.
Il rapporto potenza-atto consente a Aristotele di risolvere
brillantemente il problema parmenideo del divenire:
vediamo come.

Come è noto, Parmenide esclude il divenire come oggetto


dell’episteme, poiché privo delle caratteristiche proprie
dell’essere.
Per Aristotele, al contrario, l’essere-in-quanto-essere è
costituito dalla realtà complessiva nel suo divenire: dunque,
ogni cambiamento avviene nell’essere. In che modo?

Il divenire è concepito da Aristotele come


passaggio da uno stato dell’essere (potenza)
ad un altro stato dell’essere (atto):
un pezzo di legno è in potenza un banco (o una sedia,
o un mobile…); il banco (o il mobile) è in atto ciò che
nel pezzo di legno era solo in potenza;
uno spermatozoo è in potenza un essere vivente;
l’essere vivente che si genera è in atto ciò che nello
spermatozoo era solo in potenza;
più in generale, la materia di cui è costituita una
sostanza è potenza (possibilità, potenzialità) di
assumere una forma, la quale attualizza quella
potenzialità. In altri termini:
MATERIA : FORMA = POTENZA : ATTO
Il legno è potenza dei vari oggetti che col legno si
possono fare, perché è concreta capacità di assumere
le forme (atto) dei vari oggetti.
La dottrina della potenza e dell’atto è, dal punto di
vista metafisico, importantissima.
Aristotele risolve le aporie parmenidee del divenire e
del movimento-cambiamento (dovute al fatto che
quella parmenidea era una concezione univoca – e
non plurivoca – dell’essere):
divenire e movimento scorrono nell’essere,
poiché NON sono un passaggio dall’essere al non-
essere, ma dall’essere-in-potenza all’essere-in-
atto, cioè
da essere a essere
In diversi passi, Aristotele definisce la filosofia prima
«teologia»: infatti, se non ci fosse una sostanza
soprasensibile, non ci sarebbe nemmeno una filosofia
prima, e la fisica diventerebbe la scienza più alta: se non
sussistesse altra sostanza oltre quelle sensibili, la
fisica sarebbe la prima scienza.
Come viene dimostrata da Aristotele l’esistenza del
soprasensibile?
Partendo dall’assunto della Fisica secondo il quale «tutto
ciò che si muove è mosso da altro», cioè «ogni movimento
ha una sua causa» : pertanto, se non si vuole risalire
all’infinito nella concatenazione delle cause e degli effetti…
…dobbiamo ammettere l’esistenza di un
-principio o motore primo causa del movimento in atto.
Tale principio (Dio) deve essere
-motore immobile (dà il movimento ma non può essere
a sua volta mosso da qualcos’altro),
-atto puro (se fosse potenzialità potrebbe anche non
muovere in atto le cose, il che è contrario all’evidenza),
-causa finale (e non efficiente, altrimenti si muoverebbe
anch’esso e necessiterebbe di qualcos’altro che lo muova):
il primo motore muove come l’oggetto d’amore attrae
l’amante, così come il bello e il buono attraggono l’uomo
pur rimanendo essi stessi fermi,
-vita contemplativa, puro pensiero, pensiero di
pensiero:
Da un tale principio, dunque, dipendono il cielo e
la terra. Ed il suo [di Dio] modo di vivere è il più
eccellente: è quel modo di vivere che a noi è
concesso solo per breve tempo. E in quello stato
egli è sempre […] Ed egli è anche Vita, perché
l’attività dell’intelligenza è vita, ed egli è appunto
quell’attività. E la sua attività, che sussiste di per
sé, è vita ottima ed eterna […] il pensiero che è
pensiero per sé, ha come oggetto ciò che è di per sé
più eccellente, e il pensiero che è tale in massimo
grado ha per oggetto ciò che è eccellente in
massimo grado. L’intelligenza pensa se stessa,
cogliendosi come intellegibile […] e l’attività
contemplativa è ciò che c’è di più piacevole e di più
eccellente.
La Fisica, o «filosofia seconda», ha come oggetto di
indagine la realtà sensibile, intrinsecamente
caratterizzata dal movimento (così come la filosofia prima
ha come oggetto la realtà soprasensibile priva di
movimento). E’ opportuno chiarire che Aristotele quando
parla genericamente di movimento intende il
cambiamento:
-secondo qualità (alterazione): le foglie diventano gialle, i
capelli bianchi, etc;
-secondo quantità (aumento o diminuzione): la statura
aumenta, il peso aumenta o diminuisce, una quantità può
cambiare, etc.;
-secondo traslazione: lo spostamento da un punto all’altro
dello spazio
La distinzione tra metafisica
e fisica comporta:
-il definitivo superamento
dell’orizzonte della filosofia
presocratica;
-il mutamento dell’antico
significato di physis, non
più intesa come totalità
dell’essere, ma come essere
sensibile;
-una considerazione solo
filosofica della natura (e
non matematico-scientifica,
come avverrà con Galilei)
In quanto scienza che studia la sostanza sensibile,
la fisica estende i suoi interessi anche agli esseri
viventi (comprende quella che oggi chiameremmo
biologia), e lo fa in stretta connessione con la
metafisica, la quale è pensata come scienza che
studia il fondamento di tutti gli esseri (sensibili e
sovrasensibili) e i cui risultati pertanto sono da
ritenersi vincolanti anche per lo studio della realtà
naturale.
A differenza delle scienze moderne, la fisica
aristotelica utilizza un metodo osservativo e
deduttivo ma non sperimentale, e non fondato
sulla misurazione dei fenomeni secondo un’ottica
matematica.
Quindi, riassumendo:
È molto più consistente del mondo platonico: è
un mondo di sostanze, cioè enti sussistenti, che
agiscono gli uni sugli altri come vere cause;
È qualitativo: ciascuna sostanza è determinata
dalla propria forma specifica, che la fa
appartenere alla propria specie;
Le specie viventi sono eterne: l’esistenza di
individui attuali presuppone l’esistenza di
genitori della stessa specie, e così via all’infinito
La validità universale della scienza
presuppone l’eternità delle forme immanenti, e
quindi delle specie (così come in Platone
richiedeva un mondo intelligibile eterno).
Aristotele divide il cosmo in
due realtà ben distinte: il
mondo sublunare e quello
sovralunare (o celeste)
Il primo è costituito dai 4
elementi tradizionali:
terra, acqua, aria, fuoco.
Il secondo, quello celeste, è
costituito da una quinta
essenza: l’etere; non è
soggetto a mutamento,
quindi è ingenerabile,
inalterabile, immutabile
MONDO SUBLUNARE MONDO CELESTE
1. 4 elementi: 2 pesanti (terra- 1. quinto elemento: etere;
acqua) + 2 leggeri (aria-fuoco);
2. L’ etere è una sostanza
2. La mescolanza dei 4 elementi
trasparente,
conferisce pesantezza o
leggerezza ai corpi; imponderabile ed
immutabile;
3. Vi è continuo mutamento
(nascita-morte; generazione– 3. Eternamente immutabile,
corruzione); perché ingenerabile;
4. Moto rettilineo (che ha inizio e 4. Moto circolare (che non
fine) per cause naturali o moto ha né inizio né e fine,
di un proiettile per cause infatti ogni punto della
violente; circonferenza è inizio e
5. Il moto rettilineo è un moto fine allo stesso tempo);
imperfetto, ha inizio (potenza)
e fine (atto). 5. Il moto circolare è perfetto
quindi eterno.
L’universo consiste in una serie di 55
sfere cristalline concentriche rotanti
in moto uniforme ma a velocità diverse
tra la terra e quella più esterna (il cielo
delle stelle fisse): il loro combinarsi
spiega il moto degli astri.
La prima sfera, quella più esterna,
comprende in sé ogni cosa: al di fuori di
essa non può esserci né luogo, né
spazio.
Il luogo non viene inteso come una
realtà assoluta, bensì come qualcosa di
relativo ai corpi, cioè in relazione ad
essi:
di qui la teoria dei luoghi naturali
secondo la quale i corpi formati da
acqua e da terra tendono naturalmente
verso il basso e quelli fatti di fuoco ed
•Il “basso” pertanto non può
essere che il centro della terra
e quindi anche centro di tutto
l’universo;
•incastonate sulla sfera estrema
si trovano le cosiddette stelle
fisse, dotate di un unico moto
(che è in realtà il moto della
sfera).
•A questo modello si oppose
Aristarco (III sec a.C.) che fu il
primo a proporre il modello
eliocentrico, ma fu tacciato di
empietà e non ebbe seguito nella
scienza greca.
Questa immagine riprende l'idea dei commentatori medievali di Aristotele
che si chiedevano cosa ci fosse “oltre” l'ultima sfera
La fisica aristotelica non indaga solo la natura in
generale, l’universo fisico e la sua struttura, ma anche gli
esseri inanimati e animati e, tra questi ultimi, quelli
senza ragione e quelli dotati di ragione (l’uomo).
Gli esseri animati si differenziano da quelli inanimati
perché possiedono un principio che dà loro la vita:
l’anima.
L’anima è l’atto primo di un corpo naturale munito
di organi: ovvero, se anche un corpo vivente è sinolo di
materia e forma, l’anima è la forma, l’atto rispetto alla
materia-potenza.
Rispetto a Platone:
Mentre Platone concepiva l’anima come dualisticamente
contrapposta al corpo, totalmente altra e incapace di
armonica conciliazione col corpo - considerato come
carcere e luogo di espiazione dell’anima -,
Aristotele concepisce l’anima come quel principio che,
strutturando il corpo, lo fa essere ciò che deve essere.
In tal modo è salvata l’unità dell’essere vivente.
Platone aveva tripartito l’anima su base etico-politica;
Aristotele tripartisce l’anima sulla base dell’analisi
generale dei viventi e delle loro funzioni (cioè su base
biologica) o facoltà.

La tripartizione è la seguente:
VEGETATIVA SENSITIVA RAZIONALE

Presiede alle Presiede alle


funzioni Presiede alle
funzioni
sensibili funzioni
riproduttive (percezione e intellettuali
e nutritive movimento)

Presente in tutti gli


esseri viventi:
Presente solo Propria solo
vegetali e animali negli animali dell’uomo
Il rapporto potenza-atto è la chiave di interpretazione sia
del rapporto senso-sensibile (anima sensitiva) sia del
rapporto intelletto-essenza. In che modo?
Senso-sensibile: le nostre facoltà sensitive (i cinque
sensi) sono in potenza in grado di ricevere i sensibili
(colori, odori, sensazioni tattili, olfattive, di gusto); i
sensibili, a loro volta, sono in potenza coglibili dai sensi.
Quando la facoltà sensitiva da potenza diviene in atto si
realizza la sensazione:
La sensazione non è un’alterazione del tipo di una
semplice sostituzione di uno stato con il suo opposto,
ma del tipo di una realizzazione di una potenza, di un
avanzamento di qualcosa verso se stessa e verso
l’attualità.
(W.D.Ross, Aristotele)
Oltre ai sensibili propri, esistono anche i sensibili
comuni,: movimento, quiete, numero, figura, grandezza ,
non sono oggetto di un solo senso ma di più sensi: ad
esempio, il mutamento di un corpo può essere percepito
simultaneamente con la vista e con il tatto.
Ai sensibili comuni corrisponde un senso comune, un
senso generale non specifico, che agisce in maniera non
specifica.
Questo senso comune, inoltre, è quello che permetterebbe
il sentire di sentire, cioè la consapevolezza che accompagna
la sensazione e la comparazione tra sensibili propri di sensi
diversi (ad esempio il giallo e il dolce combinati insieme
nel miele).
Dalla sensazione inizia il processo della
conoscenza:
L’atto intellettivo è analogo all’atto percettivo: è un
ricevere o assimilare le forme intellegibili (le essenze), ma
differisce dalla percezione perché è un atto non
mescolato al corpo e al corporeo
L’intelletto è di per sé capacità e potenza di conoscere le
forme delle sostanze; a loro volta, le forme sono
contenute in potenza nelle sensazioni. E’ necessario
tradurre in atto questa doppia potenzialità, in modo che il
pensiero si attualizzi cogliendo in atto la forma, e la
forma contenuta nella sensazione diventi concetto in
atto, colto e posseduto.
A tal fine, Aristotele distingue tra
-intelletto in potenza, che ha la potenzialità di essere
tutti gli oggetti;
- intelletto attivo (o divino, che viene «dal di fuori»),
che tutti [gli oggetti] produce, quasi sia uno stato
simile alla luce, poiché […] la luce rende colori in
atto i colori che lo sono in potenza.
Questa «luce intellegibile» permette all’intelletto, dopo
ripetute esperienze, di «separare» nell’immagine
sensibile, ciò che è accidentale da ciò che è essenziale, e
a giungere, quindi, a ciò che è comune nei diversi
individui e perciò universale.
Questa scoperta dell’universale nell’individuale è detta,
come è noto, induzione o astrazione (perché capace
di separare, astrarre l’essenziale dall’accidentale).
Dunque, senza esperienza non è possibile alcuna
conoscenza. L’esperienza sensibile non è ostacolo, ma
condizione necessaria per la conoscenza.
A differenza delle scienze teoretiche, quelle pratiche
riguardano l’agire degli uomini e i fini che essi vogliono
raggiungere.
La scienza complessiva dell’agire umano, sia individuale
che in comunità, è definita da Aristotele «filosofia delle
cose dell’uomo» e si articola in etica e politica.
Quando l’uomo agisce, lo fa per raggiungere un
determinato fine, considerato, evidentemente, come un
bene.
I fini sono, di norma, relativi: li vogliamo in vista di
ulteriori fini o beni. Poiché sarebbe impensabile un
processo di questo tipo all’infinito, dobbiamo pensare che
tutti i fini e i beni cui noi tendiamo…
…siano in funzione di un fine ultimo e di un bene
supremo. Tale fine o bene supremo è l’eudaimonia, ossia
la felicità.
Cos’è la felicità?
Coerentemente con la concezione greca dell’areté, cioè
della virtù, Aristotele afferma che il bene dell’uomo
consiste nell’opera che gli è peculiare, cioè in
quell’opera che egli ed egli solo sa svolgere: quest’
opera è, evidentemente, la ragione, l’attività dell’anima
secondo ragione.
Il vero bene dell’uomo, dunque, consiste nella perfetta
esplicazione e attuazione dell’attività razionale: così,
Aristotele aderisce alla dottrina socratico-platonica che
indicava nell’anima l’essenza dell’uomo.
La felicità è definita da Aristotele come attività
dell’anima secondo virtù: come ogni parte dell’anima ha
una sua attività peculiare, così deve avere una sua
peculiare virtù.
-L’anima vegetativa, non avendo alcun rapporto con la
ragione, non è coinvolta nell’etica, che mette in gioco
soltanto le due funzioni superiori dell’anima stessa.
-Dall’anima sensitiva dipende la facoltà desiderativa,
ovvero la capacità di provare desideri e passioni, di per sé
smodati, che deve essere diretta dalla ragione. Ad essa si
riferiscono quelle che Aristotele chiama virtù etiche.
-Dell’anima razionale sono proprie delle virtù specifiche,
quelle che Aristotele chiama virtù dianoetiche.
Le virtù etiche, quelle che moderano gli impulsi e i
sentimenti, si apprendono attraverso l’abitudine e
l’esercizio: compiendo atti giusti diventiamo giusti,
compiendo atti coraggiosi diventiamo coraggiosi, etc.,
Le virtù etiche sono «abiti», atteggiamenti che acquisiamo
attraverso le azioni quotidiane. In cosa consistono?
Aristotele afferma che non c’è virtù quando c’è eccesso o
difetto, dunque la virtù implica la giusta proporzione,
la via di mezzo tra due eccessi.
La virtù etica è la medietà tra due estremi della
passione, di cui l’uno è per eccesso, l’altro per difetto; il
giusto mezzo segna il punto più alto dell’affermazione della
ragione sull’irrazionale:
[…] secondo la sua essenza e secondo la sua natura, la
virtù è una medietà, ma rispetto al bene e alla perfezione,
essa è al punto più elevato:
In questo breve passo Aristotele condensa tutta la saggezza
greca che si era espressa nella tradizione dei Sette Savi, che
aveva additato nel «nulla di troppo» la regola suprema
dell’agire morale.
Aristotele illustra con un’ampia analisi quanto detto fin qui:
-il coraggio è il giusto mezzo fra temerarietà e viltà;
-la temperanza è il giusto mezzo fra dissolutezza e
insensibilità;
-la liberalità è il giusto mezzo tra avarizia e prodigalità;
-la giustizia è, tra tutte le virtù etiche, la più alta e importante,
non solo perché è il rispetto delle leggi dello stato, ma perché è
essa stessa la caratteristica essenziale del giusto mezzo
(laddove l’ingiustizia lo è degli estremi)
A Homer manca la sola virtù intellettuale necessaria
a un carattere etico: ovvero, la phronesis, la saggezza
pratica […] la facoltà di organizzare la propria vita
secondo scopi importanti e degni di perseguirli
responsabilmente e moralmente.
(Autori vari, I Simpson e la filosofia)
Al di sopra delle virtù dell’anima sensitiva ci sono
quelle dell’anima razionale o intellettiva, dette virtù
dianoetiche. L’anima razionale svolge due funzioni:
-conoscenza delle cose contingenti e variabili (ragione
pratica o calcolativa);
-conoscenza delle cose necessarie e immutabili
(ragione teoretica o scientifica).
A queste due funzioni corrispondono
altrettante virtù dianoetiche:
la saggezza (phronesis)
e la sapienza (sophia)
la phronesis ci aiuta a scegliere i mezzi adatti a
conseguire i nostri fini: L’opera umana si compie
attraverso la phronesis e la virtù etica: infatti la
virtù rende retto lo scopo, mentre la saggezza rende
retti i mezzi. In altri termini, non è possibile essere
saggi senza la virtù né essere virtuosi senza saggezza;
la sophia riguarda ciò che è al di sopra dell’uomo,
l’intuizione dei principi e la conoscenza dianoetica che
da quei principi deriva: [rispetto alle cose dell’uomo]
vi sono altre cose molto più divine, come, per
restare alle più visibili, gli astri di cui si compone
l’universo. Da ciò che si è detto è chiaro che la
sapienza è insieme scienza e intelletto delle cose più
eccelse per natura.
…nell’attività della contemplazione intellettiva, con la
quale l’uomo raggiunge il vertice delle sue possibilità e
attualizza quanto di più alto è in lui:
Se l’attività dell’intelletto, essendo contemplativa,
sembra eccellere per dignità e non mirare a nessun
altro fine all’infuori di se stessa ed essere
autosufficiente e se sembra che in tale attività si
trovino tutte le qualità che si attribuiscono all’uomo
beato: allora questa sarà la felicità perfetta
dell’uomo, se avrà la durata intera della vita. Ma una
tale vita sarà superiore alla natura dell’uomo; infatti
non in quanto uomo egli vivrà in tal maniera, bensì in
quanto in lui v’è qualcosa di divino […]
Così, la felicità della vita contemplativa realizza una sorta
di «tangenza» con la divinità…
Le scienze poietiche insegnano a fare e a produrre cose,
oggetti, strumenti secondo regole e conoscenza precise. Si
tratta delle «arti» o «tecniche». I Greci, rispetto a noi
contemporanei, mettevano in evidenza soprattutto il
momento conoscitivo che tali discipline implicano, anche se
si tratta di una conoscenza né fine a se stessa (teoretiche) né
volta all’agire morale (pratiche).
Sono le sole, tra tutte le Nella Poetica, Aristotele
tecniche, a interessare la limita la trattazione alla
filosofia. poesia tragica e, più
limitatamente, alla poesia
Alcune cose che la natura
epica; in un secondo libro,
non sa fare l’arte le fa; andato perduto, si soffermava
altre invece le imita. sulla commedia.
Alcune arti completano e Tre sono i concetti su cui
integrano la natura; altre soffermarsi per comprendere
«imitano» la natura la natura del «fatto artistico»
ricreandone alcuni aspetti secondo Aristotele:
con materiali plasmabili, a)la mimesi;
colori, suoni o parole senza b)la catarsi;
fini di utilità pragmatica: c)le unità.
appunto, le «arti belle».
Platone aveva condannato
l’arte imitativa come
«mimesi di secondo grado»;
Aristotele si oppone
nettamente a questo modo
di vedere e considera l’arte
non come una passiva
riproduzione della realtà
ma, al contrario, come
un’attività che «ricrea» le
cose secondo una nuova
prospettiva:
[…] ufficio del poeta non è di descrivere cose
realmente accadute, bensì quali possono in date
condizioni accadere: cioè cose le quali siano possibili
secondo le leggi della verisimiglianza o della
necessità. Infatti lo storico e il poeta non
differiscono perché l’uno scrive in versi e l’altro in
prosa […] la vera differenza è questa, che lo storico
descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che
possono accadere. Perciò la poesia è qualche cosa di
più filosofico e di più elevato della storia; la poesia
tende piuttosto a rappresentare l’universale, la
storia il particolare.
Il passo è particolarmente significativo:
-la poesia non è poesia perché usa i versi ( se lo
storico usasse i versi invece che la prosa NON farebbe
poesia); in generale, non sono i mezzi usati a fare sì
che l’arte sia arte;
-non è la verità storica dei fatti o delle persone
rappresentate che danno valore all’arte ma
-la «trasfigurazione» dei fatti sotto l’aspetto della
possibilità e della verosimiglianza che conferisce
loro un significato più ampio e li universalizza;
-proprio per questa sua universalità, l’arte ha un
valoro conoscitivo.
Aristotele tratta prevalentemente della tragedia, ma la
questione della catarsi, cioè della purificazione, vale per
l’arte in generale.
Tragedia è mimesi di un’azione seria e compiuta in se
stessa, con una certa estensione in un linguaggio
abbellito di varie specie di abbellimenti, ma ciascuno a
suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non
narrativa; la quale, mediante una serie di casi che
suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e
purificare l’animo da siffatte passioni.
Questa «catarsi poetica» non è di tipo morale né di tipo
fisiologico (come voleva Freud) ma una «liberazione» che ha
qualcosa di analogo a ciò che noi definiamo piacere
estetico.
Perché una tragedia sia perfettamente compiuta e perfetta
deve rispettare alcune «regole», passate alla storia della
letteratura e del teatro come le unità aristoteliche di
tempo, luogo, azione:
-unità di tempo: l’azione deve svolgersi nell’arco di una
giornata, dall’alba al tramonto;
-unità di luogo: l’azione deve svolgersi in un luogo
circoscritto dove i personaggi agiscono o raccontano;
-unità d’azione: la vicenda deve essere unica, senza
digressioni né trame secondarie.
Questo «precetto» aristotelico verrà tenuto in
considerazione e seguito da scrittori e drammaturghi fino
all’800.
Good bye,
Aristotele!!!

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