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Lezione 10

PILI O FIMBRIE

I pili o fimbrie sono appendici del corpo


batterico più corte e sottili dei flagelli, con ruolo
diverso rispetto agli stessi flagelli. Esistono
diversi tipi di pili: tipo I,II,III,IV ecc.
Nell’immagine a) sono rappresentati i pili di tipo
IV di Myxococcus xanthus, gram-,
deltaproteobatteri, appartenente al gruppo dei
myxobatteri. Nell’immagine b) vi sono i pili di
tipo IV di E.Coli e nell’immagine c) pili di tipo IV
di Neisseria Gonorrhoeae, immagine a chicco di
caffè, si presenta come diplococco.

I pili di tipo IV sono importanti perché


soprattutto nel batterio patogeno hanno un
ruolo fondamentale nel processo iniziale di
adesione batterica alle cellule. Successivamente
i pili vanno incontro, poiché sono strutture
dinamiche, ad un processo di retrazione, a
seguito del quale il corpo del batterio entra in
stretto contatto con la superficie delle nostre
cellule e successiva invasione della superficie
del batterio stesso. I pili sono coinvolti
nell’adesione iniziale.

MODELLO DI ASSEMBLAGGIO DEI PILI DI TIPO IV

Nell’immagine vi è il modello di assemblaggio dei pili di tipo IV, così come è stato ricostruito nella Neisseria.
Si tratta di batteri gram -, per cui si vede la membrana citoplasmatica e la membrana esterna, con tipica
costituzione asimmetrica. I pili di tipo IV sono strutture lunghe che attraversano tutta la parete batterica,
sono ancorati nella citoplasmatica, attraversano il periplasma e poi attraverso la proteina PilQ, che forma
un anello a livello della membrana esterna, protrudono all’esterno. Sono strutture altamente dinamiche,
vanno incontro ad assemblaggio e retrazione, ad allungamenti e accorciamenti; questi movimenti se
coordinati sono importanti nel processo di movimento o invasione della cellula ospite. Come funziona il
processo di assemblaggio? I pili di tipo IV sono costituiti da una proteina principale, pilina principale (asse
giallo nell’immagine); oltre alla pilina principale vi sono proteine secondarie, piline secondarie, posizionate
all’estremità dei pili (sfera rossa nell’immagine). Nel Meningococco, la pilina principale si chiama PilC ela
pilina secondaria si chiama PilE ed è la pilina più importante, coinvolta nel processo di adesione, mentre
PilC ha funzione di tipo strutturale. Come viene sintetizzata? Viene sintetizzata nel citoplasma come pre-
pilina, la quale deve poi attraversare la membrana citoplasmatica. L’attraversamento è garantito da una
proteina di membrana, PilB, che assiste la prepilina in questo stadio. La prepilina si viene a trovare nello
spazio periplasmico e lì entra in contatto con il motore dell’assemblaggio dei pili di tipo IV. Il corpo basale
dei pili è costituito da due proteine principali con funzione opposta:

-PilB promuove la polimerizzazione di pilina, va ad innescare l’apposizione di nuova pilina alla base dei pili,
vanno incontro a processo di allungamento. In questa fase di assemblaggio di pilina utilizza l’idrolisi di atp,
infatti pilB è una proteina che lega e idrolizza atp.

- PilT catalizza la reazione opposta, rimuove i monomeri di pilina alla base, per effetto di questa rimozione i
pili vanno incontro ad un processo di accorciamento, di retrazione.

I pili nelle Neisserie vanno incontro ad un processo di variazione antigenica, i diversi ceppi di Meningococco
presentano specificità antigenica diversa a livello della pilina principale e di quella secondaria. Questo
perché i villi sono il bersaglio della risposta immunitaria e quindi i batteri patogeni hanno subito un
meccanismo di variazione antigenica a livello di queste proteine per eludere gli anticorpi e quindi la risposta
immunitaria.

Questa in figura è una delle funzioni dei pili di tipo IV. La motilità dei batteri è legata principalmente alla
motilità flagellare, però nei batteri che non hanno flagelli, come le Neisseriae, vi è la possibilità di sfruttare i
pili di tipo IV per spostarsi e realizzare un movimento lungo una superficie. Questo è un movimento di
rotolamento che si verifica attraverso allungamento e accorciamento, coordinato dai pili di tipo IV. In figura
si vede il batterio, con il pilo in fase di estensione, il pilo poi si attacca al substrato e in seguito ad
accorciamento determina lo spostamento del batterio sulla superficie. Utilizzando questo movimento di
assemblaggio e retrazione delle subunità di pilina, i batteri riescono a spostarsi lungo la superficie di un
substrato che vanno a colonizzare. Questo tipo di motilità si chiama twitching motility.

Andiamo a vedere ora altre strutture


che esistono nei batteri. Dopo aver
visto le appendici, la parete e la
membrana, diamo uno sguardo al
citoplasma batterico.

Nell’immagine a) ripresa con il


microscopio elettronico a trasmissione
e poi colorata per rendere evidente le
strutture del batterio, si può notare in
rosso la membrana, in giallo l’area del
nucleoide, sede del materiale genetico
dei batteri, area priva di ribosomi. I
batteri non hanno infatti il nucleo e
quindi non vi è una membrana
nucleare che circonda il materiale
genetico, ad eccezione di alcuni
batteri.

Nel pannello b) infatti si può osservare


come alcuni tipi di batteri, come la Pirellula, Gemmata obscuriglobus, filum dei plantomiceti; si può vedere
la presenza all’interno del corpo batterico di una struttura che somiglia al nucleo di una cellula eucariote,
con materiale genetico confinato all’interno di una membrana, che somiglia un po’ alla membrana
nucleare.

Nell’immagine c) si vedono nucleoidi di Bacillus in crescita colorati con HCl-Giemsa.

GRANULI DI RISERVA
Contrariamente a quello che potrebbe sembrare qui, il citoplasma batterico potrebbe essere ricco di granuli
e di organelli.
In questa immagine si vede una sezione ultra sottile di un cianobatterio filamentoso, Symploca muscorum,
si vede che all’interno del citoplasma del microorganismo ci sono sistemi di membrane, membrane interne.

Vi sono tre gruppi di batteri che presentano membrane interne:

- i batteri fotosintetici (cianobatteri, proclorofite, batteri porporini e batteri verdi),


- batteri nitrificanti (batteri che utilizzano l’ammoniaca come fonte di potere riducente,
trasformandola in nitrito o utilizzano il nitrito trasformandolo in nitrato) che hanno la capacità di
fissare l’anidride carbonica e quindi sono autotrofi;
- batteri metanotrofi, batteri che utilizzano il metano sia come fonte di carbonio, che come fonte di
potere riducente.

Qui, nell’immagine a), si vede un cianobatterio, che fa fotosintesi ossigenica, che accumula nel proprio
interno granuli di glicogeno, riserva di Carbonio, o cianofiscina, polimero con acido aspartico o arginina,
quindi riservaq di amminoacidi, di azoto e carbonio per la cellula. I granuli di cianofiscina sono comuni
nei cianobatteri filamentosi che fissano l’azoto, che viene accumulato sotto forma di polimero di
cianofiscina. Invece, a destra, si vede un’immagine presa con il microscopio a contrasto di fase, che
permette di evidenziare all’interno delle granulazioni batteriche. In questo caso sono granuli di
polidrossibutirrato, prodotti dal Bacillus Megaterium. (Il polidrossibutirrato viene utilizzato per la sintesi
dei sacchetti di plastica, quindi si possono utilizzare dei batteri per la sintesi di questi composti).

Qui in a) si vede la struttura di PHB, riserva di carbonio per la cellula batterica, grossi granuli presenti in
Halomonas Boliviensis. A destra invece, nell’immagine c) si vede come il citoplasma di una cellula
batterica può essere altamente strutturato. Qui siamo in un batterio, Cyanothece, e si vede la presenza
all’interno del citoplasma di vari tipi di granulazioni oltre alla presenza di membrane interne. In
particolare i cianobatteri fotosintetici hanno nel loro interno dei carbossisomi, organelli procariotici in
cui avviene la fissazione della CO2, organelli in cui si concentra l’enzima RuBisCO, che svolge un ruolo
chiave nel ciclo di Calvin, nel processo di fissazione dell’anidride carbonica. Questo microrganismo
accumula anche altri composti come granuli di PHB, di glicogeno, di polifosfato.

Qui si vede un’altra


immagine, ottenuta con il
microscopio a contrasto di
fase, in cui si vedono granuli
di zolfo, fortemente rifrangenti e quindi ben visibili, formano” cerchietti” nel microorganismo
Isochromatium, fotosintetico che appartiene al gruppo dei batteri Porporini, fotosintetici, gram -, che
appartengono al philum dei proteobatteri, che è lo stesso philum a cui appartengono Pseudomonas, E.
Coli, Vibrio. Nell’immagine B) la presenza di granuli di zolfo, in Thiothrix, è ben visibile anche al
microscopio in campo scuro. Quindi microscopio a contrasto di fase e in campo scuro sono importanti
anche per esaminare alcuni dettagli della ultrastruttura batterica, come presenza di granuli di zolfo, per
la notevole rifrangenza di questo materiale.

MICROCOMPARTIMENTI: CARBOSSISOMI

Qui si rappresentati i carbossisomi, granuli batterici, presenti in questa immagine nell’ Halothiobacillus
neapolitanus, batterio dello zolfo, batterio chemiolitotrofo autotrofo, chemiolitotrofo perché ricava
potere riducente da composti inorganici, in questo caso utilizza idrogeno solforato e autotrofo, perché
fissa la co2. I carbossisomi contengono la RuBisCO e anche anidrasi carbonica, che lavora in sincronia
con la rubisco per la fissazione dell’anidrasi carbonica.

Nell’immagine C) possiamo osservare altri tipi di organelli presenti nella Salmonella Enterica, gli
enterosomi. Questi sono sede di pathways metabolici specifici, come metabolismo del propandiolo e
dell’etanolamina; il propandiolo è metabolita del fucosio. Vi sono quindi specifici compartimenti
batterici deputati a specifiche vie metaboliche, che possono caratterizzare il microorganismo.

Qui vediamo la presenza di


Magnetosomi in Aquaspirillum
magnetotacticum, in grado di percepire i
campi magnetici terrestri e svolgere la
magnetotassi. I singoli magnetosomi
sono congiunti tra loro a formare una
catena di magnetite, quindi la magnetite
può essere prodotto per via biogenica
anche da microorganismi e proprio la
presenza di magnetite in territorio
marziano ha portato a formulare
l’esistenza, molto tempo addietro, di vita su Marte. Ipotesi: i batteri che svolgono la magnetotassi sono
anaerobi o microaerofili che, utilizzando spostamento orientato verso il polo nord o il polo sud
magnetico della Terra, di fatto vanno a spostarsi verso i sedimenti marini, sono infatti solitamente
batteri marini, come possiamo notare dal nome stesso. La magnetotassi faciliterebbe i batteri nel
raggiungimento dei sedimenti, nei quali si vengono a realizzare le condizioni di anaerobiosi o
microaerofilia, che sono ottimali per la propria crescita e propagazione.

VESCICOLE GASSOSE

Ci sono batteri che hanno al loro interno vescicole gassose, strutture con forma allungata in sezione
longitudinale, mentre se prese al microscopio elettronico in sezione trasversale assumono immagine a
nido d’ape. Il microorganismo nell’immagine a) risulta pieno di queste strutture a livello citoplasmatico.
Altre strutture che si vedono sono i carbossisomi e sistemi di membrane interne, granuli di accumulo
con polifosfato, come visto in precedenza.
Il ruolo delle vescicole gassose è quello di “salvagente” per mantenersi a galla, per regolare, a seconda
della quantità di gas, il livello di galleggiamento. Servono per posizionarsi alla profondità ottimale in
relazione alla luce che arriva alla suddetta profondità. La luce solare viene filtrata attraverso l’acqua e
non tutte le componenti del visibile riescono a raggiungere il fondale; così ogni batterio fotosintetico ha
un optimum di lunghezza d’onda della luce che poi raggiunge le diverse sezioni della colonna d’acqua.
Dunque la vescicola gassosa va a regolare questo processo di galleggiamento del batterio, cioè la
profondità a cui esso si va a posizionare. Ad esempio i batteri fotosintetici ossigenici si posizionano in
superficie, mentre i batteri verdi fotosintetici anaerobi vanno a posizionarsi in basso verso i sedimenti.

La vescicola gassosa non è circondata da vera e propria membrana lipidica, mentre la parete della
vescicola gassosa è costituita da un intreccio di due proteine, proteine della vescicola gassosa A(GVPA)
e proteine della vescicola gassosa C(GVPC). GVPC ha struttura ad alfa elica e forma intelaiatura su cui si
posano i foglietti Beta costituiti dalla proteina GVPA, formando una sorta di traliccio. Questa parete
risulta impermeabile all’acqua e permeabile ai gas, per cui si accumula nella vescicola gassosa.

LA SPORULAZIONE

I batteri sono in grado di produrre endospore, divise in:

- Esospore, simili alle esospore dei funghi; sono prodotte da batteri che sviluppano un micelio, simile
al micelio dei funghi, contenente ife aeree, sulla sommità delle quali vengono fuori le esospore.
Sono spore specializzate per la propagazione di alcuni batteri che hanno crescita miceliale.
Formando un micelio compatto, alcuni batteri come gli actinomiceti, non sono in grado di spostarsi
e di muoversi e allora producono esospore sulla sommità delle ife, che rilasciano nell’ambiente
esterno, modalità di propagazione di alcuni batteri. Le esospore non sono resistenti agli agenti
chimici.
- Endospore, sono resistenti agli agenti chimici. Nell’immagine sono rappresentate endospore di
bacillus subtilis, in grado di produrre spore fortemente rifrangenti, che si possono vedere bene
anche al microscopio a contrasto di fase. Si chiamano endospore perché contenute all’interno di
un’altra cellula, definita cellula madre o sporangio, e vengono rilasciate successivamente
nell’ambiente esterno quando la cellula madre va incontro a lisi.

Quando il bacillus subtilis viene coltivato in laboratorio, ha prima una fase di crescita veloce in
quanto cresce bene nelle comuni condizioni di laboratorio, poi quando raggiungono una certa
densità di popolazione, ecco che il bacillus subtilis va incontro a processo di differenziamento
cellulare che porta alla formazione delle endospore, che si accumulano nel terreno. Le endospore
rappresentano dunque una forma di resistenza che sviluppano alcuni batteri quando le condizioni
nutrizionali e chimico fisiche dell’ambiente sono avverse. L’endospora è resistente alla mancanza di
nutrienti in quanto è una forma di differenziamento cellulare metabolicamente inattiva ed è anche
resistente ad alcuni stress come alte temperature (alcune resistono anche alle temperature di
autoclave di 121 gradi centigradi, per cui bisogna autoclavare anche a temperature superiori, o a
temperatura di ebollizione), come radiazioni dell’UV, come ph estremi, hanno caratteristiche di
resistenza che non hanno le cellule vegetative. L’endospora è una forma di differenziamento
cellulare che si è specializzata per la resistenza nell’ambiente. Le endospore sono per lo più
formate da batteri gram positivi, del genere Bacillus, aerobio o aerobio facoltativo; altro gram
positivo, ma anaerobio, che produce endospore è il Clostridium Tetani, responsabile del tetano,
trasmesso proprio da materiale contaminato da spore del Clostridium, che non resiste
all’esposizione con ossigeno, o Clostridium botulinum, responsabile del botulismo alimentare. Altri
batteri gram positivi che producono endospore sono desulfotomaculum, thermoactinomyces,
spopolactusbacillus, sporosarcina. Solo alcuni batteri gram negativi presentano endospore, come
Sporomusa e Coxiella.

Qui si vede
un’immagine della
struttura interna di
un’endospora.
L’endospora è formata da diversi rivestimenti, partendo dall’ esterno e andando verso l’interno
troviamo:
- Esosporio: il più esterno, può essere più o meno pronunciato, non ha struttura molto compatta,
costituita da polisaccaridi e proteine.
- Tuniche sporali: strato molto ben organizzato, in alcuni casi ha organizzazione lamellare, in altri più
fibrillare, formato da proteine della tunica sporale, che hanno la caratteristica di essere ricche di
cisteina, quindi del gruppo SH, può così stabilire ponti disolfuro con altre cisteine, ponti disolfuro
tipici della cheratina dei nostri capelli, ai quale conferisce compattezza. Anche in questo caso, la
compattezza delle tuniche è data dai ponti disolfuro, che si formano tra le proteine della tunica
sporale.
- Strato della corteccia, compreso tra due membrane. La corteccia è composta da peptidoglicano
modificato, che ha subito cioè modificazione biochimiche che lo rendono resistenze al lisozima, con
funzione di immunità innata contro i batteri.
- Citoplasma, privo d’acqua; l’endospora infatti è disidratata ed è proprio da questa mancanza
d’acqua che discende la caratteristica di resistenza dell’endospora stessa. Infatti l’acqua è richiesta
nel processo di decomposizione della materia organica, attraverso l’azione delle idrolasi, ma
mancando l’acqua non si assiste al processo di decomposizione e infatti l’endospora resiste per
migliaia di anni: sono state trovate endospore anche nelle mummie, nella sabbia del deserto.

Questa mancanza d’acqua rende difficile la colorazione dell’endospora, non si colora con il metodo
gram, in quanto mancando l’acqua questa non entra nel citoplasma. Per ottenere la colorazione
delle endospore, occorre impiegare un metodo di colorazione particolare, metodo di Schaeffer-
Fulton.

Nell’immagine si vede uno


schema tipico di questa
colorazione per i batteri
sporigeni. Si utilizza un
colorante, verde di Malachite,
che viene lasciato agire a caldo,
come avviene per la colorazione
di Ziehl-Neelsen; infatti solo con
il caldo c’è la possibilità che
questo colorante possa entrare
con gli strati che proteggono
l’endospora, e via via andarsi a concentrare all’interno di essa. Il verde di malachite ha selettività
elevata per endospora, infatti dopo il lavaggio con acqua tutte le strutture come la cellula madre
rimane privo di colore mentre il verde di malachite si concentra solo all’interno delle endospore.
Per colorare la cellula madre si utilizza un altro colorante, safranina.

Andiamo a vedere ora la struttura della corteccia. La corteccia è uno strato dell’endospora che si
trova tra due membrane, al di sotto delle tonache sporali. La corteccia è formata da peptidoglicano
modificato.
Qui si vede la
struttura di base
del
peptidoglicano e
quando i batteri
attivano il
processo di
sporulazione, si
attiva un’enzima,
muramoil L-
alanina amidasi,
ha la capacità di
eliminare la coda
peptidica del peptidoglicano, elimina gli ultimi quattro aa che sono nella struttura del
peptidoglicano. Si forma un intermedio, tra NAM e NAG, e successivamente entra in gioco una
reazione enzimatica catalizzata da PadA, che determina la deacetilazione e formazione dell’anello
lattamico, a livello del NAM. Si stacca la coda degli aa e si assiste alla ciclizzazione del’anello del
NAM che va a formare il caratteristico anello lattamico. Quindi nel peptidoglicano della spora, il
peptidoglicano non è caratterizzato dall’alternanza NAM e NAG ma dall’alternanza tra il NAG e il
lattame del NAM, che non presenta la coda amminoacidica. Questa struttura risulta resistente al
lisozima.

Altra cosa evidenziata è il fatto che il citoplasma dell’endospora è privo d’acqua, ma al suo posto vi
è l’acido dipicolinico.

Il citoplasma è ricco
di questo composto.
L’acido dipicolinico è
formato da due
gruppi carbossilici e il
calcio fa da ponte tra
le molecole di questo
acido. In pratica il
citoplasma è ricco di
dipicolinato di Calcio,
che va a sostituire
nell’endospora e garantisce gran parte delle proprietà di resistenza termica e chimica
dell’endospora stessa. Questo acido stabilizza le strutture molecolari all’interno del citoplasma; qui
non troviamo molecole con elevato turnover come ATP, ma vi sono molecole che presentano
legami ad alta energia e serviranno quando l’endospora andrà incontro alla fase di gemminazione e
il batterio ritornerà nella fase vegetativa. In questa fase servirà energia, l’atp non si accumula
nell’endospora, ma essa può utilizzare il fosfoglicerato, che ha comunque un legame ad alta
energia. L’acido fosfoglicerico è stabilizzato dall’acido dipicolitico nel citoplasma e può avere una
vita molto lunga.

SPORULAZIONE
Il processo con cui, a partire da una cellula vegetativa, come il Bacillus Subtilis, preso a modello per
questo studio, il batterio produce le endospore è illustrato in figura. Prima il batterio è in fase di
crescita vegetativa ma quando raggiunge una certa densità di popolazione o scarseggia qualche
nutriente, ossigeno o ci sono insulti di natura fisica e chimica, si innesca il programma di
sporulazione. Il batterio esce dal ciclo vegetativo e comincia il processo di sporulazione. Il processo
di sporulazione è quel processo di differenziamento batterico che porta alla formazione
dell’endospora. Si parla di differenziamento batterico in quanto in linea generale in un processo di
differenziamento si ha divisione cellulare asimmetrica si vengono a produrre due cellule figlie
fenotipicamente diverse. È quello che succede nella sporulazione: attraverso una divisione, si viene
a creare una cellula più grande e una cellula più piccola. La cellula più piccola viene chiamata
prespora ed è quella destinata a maturare fino a spora matura, la cellula piu grande si chiama
cellula madre e cura il differenziamento della prespora, quasi incubandola al suo interno. Possiamo
dire che il differenziamento di divisione cellulare asimmetrica e a differenza di quello che si verifica
nel ciclo vegetativo, qui vengono fuori due cellule diverse per funzione, pur essendo quasi identiche
dal punto di vista genetico. Si distinguono vari stadi:
- Fase 1: induzione della sporulazione, stadio in cui la cellula vegetativa esce dal ciclo vegetativo e
prende avvio il pathway di divisione cellulare asimmetrica;
- Fase 2: stadio di formazione del setto di divisione asimmetrica, contrariamente a quanto avveniva
in una cellula vegetativa con formazione di un setto simmetrico che divideva le due cellule figlie di
uguali dimensioni, qui si innesca un processo asimmetrico e quindi il setto invece di formarsi al
centro in posizione mediana si forma verso il polo. Questo determina la formazione di una cellula
più piccola prespora e di una più grande, cellula madre o sporangio. Entrambi hanno copia
dell’acido nucleico. Andando a studiare questo stadio si è evidenziato il fatto che nei primissimi
stadi si vengono a formare due setti asimmetrici, spostati verso i poli, solo che uno dei due setti va
incontro a fase di regressione, per cui rimane attivo un solo setto. Questa cosa succede
probabilmente perché nell’altro compartimento vicino al polo non finisce all’interno una copia del
nucleoide e quindi inevitabilmente uno dei due compartimenti più piccoli finirà per non avere copia
del nucleoide e quindi andrà incontro ad atrofia.
- Fase 3: fase di inglobamento della prespora. La cellula madre realizza l’inglobamento della
prespora, come se andasse a fagocitare nel proprio interno della prespora. L’inglobamento è
responsabile del fatto che la prespora tenda ad avere due membrane.
- Fase 4: fase della corteccia, tra le due membrane della prespora si accumula la corteccia. La
corteccia è formata da peptidoglicano modificato, il NAM è modificato dal suo lattame e viene
staccata la catena amminoacidica. In questa fase di formazione della corteccia si viene ad
accumulare l’acido dipicolitico nel citoplasma e inoltre vengono prodotte nell’endospora proteine
che si chiamano SASP, Small Acid Soluble Proteins, proteine di piccolo peso molecolare solubili in
acido, che hanno la caratteristica di andarsi a legare all’acido nucleico dell’endospora,
stabilizzandolo e rendendolo resistente alle radiazioni. Infatti l’endospora è capace di resistere alle
radiazioni ultraviolette e in qualche misura anche ai raggi x, anche per trattamenti intensi, cosa che
non avviene nella cellula vegetativa. La resistenza del dna alle radiazioni è dovuta a due fattori:
SASP, che fanno da scudo sul dna e dall’altra parte dalla sovrapproduzione di un enzima, enzima
fotoriattivante, fotoliasi, capace di scindere i dimeri di pirimidina, che sono le lesioni indotte dalla
luce ultravioletta al dna, ripara le lesioni indotte da uv. Risolve i dimeri di pirimidina ma nello stesso
tempo ha bisogno della luce solare per essere riattivato, fenomeno della fotoriattivazione. Fotoliasi
quindi è un enzima che, attivato dalla luce solare, risolve il danno sul dna prodotto dalla luce
ultravioletta, i dimeri di pirimidina.
- Fase 5: fase delle tuniche: succede che la cellula madre inizia a sintetizzare e ad apporre all’esterno
dell’endospora le proteine della tunica, che si aggregano a formare strutture lamellari o fibrillari
molto compatte grazie alla ricchezza di ponti disolfuro;
- Fase 6: completa maturazione e rilascio prespora nell’ambiente esterno. Quando le condizioni
nutrizionali diventano favorevoli e termina lo stress chimico fisico dell’ambiente la spora può
andare incontro a germinazione e si ha ritorno al ciclo vegetativo, l’endospora torna ad essere una
cellula vegetativa metabolicamente attiva.
- Fase 7: germinazione.

Qui è rappresentata
sempre la formazione
dell’endospora, dove
sono descritti tutti gli
stadi. Possiamo vedere la
cellula vegetativa che, a
seguito di segnali di tipo
fisico e chimico, lascia il
ciclo vegetativo ed entra
nello stadio 0 della
sporulazione. Dal punto
di vista morfologico non
ci sono variazioni, questa
cellula dello stadio 0 è
esattamente identica
morfologicamente ad
una cellula vegetativa ma si dice che abbia già intrapreso il programma verso la sporulazione, una volta
intrapresa questa strada, questa sarà irreversibile, ha cioè intrapreso il commitment verso la sporulazione.
Dallo stadio 0, attraverso uno stadio morfologicamente non caratterizzabile, chiamato stadio 1, si passa allo
stadio 2, che morfologicamente è bene evidente in quanto si forma un setto paramediano spostato verso
uno dei due pori della cellula. Questo evento va ad individuare due comportamenti, uno più piccolo ed uno
più grande. È lo stadio più importante, che andrà a condizionare tutti gli eventi che abbiamo descritto
proprio per la divisone cellulare asimmetrica, che porterà cambiamenti sostanziali sul rapporto tra
superficie e volume tra queste due cellule. Si vengono a creare due cellule con rapporto superficie-volume
molto diverso: più piccola sarà la cellula e più alto sarà il rapporto. Ciò è importante perché sulla superficie
sono localizzati i recettori e quindi la prespora presenta, in rapporto, una concentrazione di recettori,
superiore alla cellula madre e ciò ha implicazione sul processo di trasduzione del segnale dall’esterno
all’interno. Ciò significa che una cellula più piccola percepisce gli stimoli esterni ed interni in maniera più
sensibile rispetto alla cellula madre. Si tratta di due cellule che percepiscono i segnali con differente
efficienza e ciò a livello molecolare va ad innescare gli eventi che succedono successivamente. Dallo stadio
2 si passa allo stadio 3, stadio dell’inglobamento della prespora da parte della cellula madre. Nello stadio 4
si ha la formazione della corteccia e poi si passa allo stadio 5 e 6 si vengono a formare le tuniche sporali per
poi arrivare agli stadi tardivi come lo stadio 7, che si accompagnano alla lisi della cellula madre e quindi al
rilascio della spora matura. Tutti questi eventi sono accompagnati da modificazioni chimiche e fisiche, non
solo dalla parete della endospora stessa ma anche dell’ambiente citoplasmatico.

A questo punto, molto importante è capire il controllo genetico della sporulazione, come viene esercitato.
Abbiamo detto che i batteri intraprendono il programma della sporulazione quando avvertono stimoli
interni ed esterni, condizioni metaboliche poco efficienti, e attivano una trasduzione del segnale che attiva
il programma di sporulazione. Questo è rappresentato nella parte di sinistra dell’immagine, dove è illustrata
la membrana plasmatica e la presenza dei recettori della sporulazione, indicati come kimB, KimC, KimD, i
quali avvertono stimoli esterni come presenza di sostanze tossiche come antibiotico o ph non favorevole.
Gli stimoli possono avvenire anche dall’interno della cellula batterica, come stress metabolico dettato da
mancanza di amminoacidi o nutrienti: in questo caso abbiamo via di segnalazione di chinasi, indicato come
KimA. Queste chinasi, istidina chinasi, si attivano in seguito a stress e vanno a fosforilare la proteina
chiamata Spo0F (così chiamata perché i mutanti in queste proteine sono bloccati nello stadio 0 della
sporulazione). Queste chinasi quindi vanno a fosforilare la proteina spo0f, che poi vanno a fosforilare
quest’altra proteina Spo0P. Si attiva quindi trasduzione del segnale che partendo dalle chinasi recettoriali
che si trovano nella membrana o nel citoplasma, vanno a trovare altre chinasi, che sono la Spo0f o spo0b,
fino a fosforilare una proteina che si chiama spo0A. spo0A è regolatore della sporulazione, interruttore
trascrizionale, che innesca il passaggio dallo stadio 0, al 1 e poi 2. Spo0a è in grado di accendere alcuni geni
precoci della sporulazione e spegnere altri geni che non sono necessari, come alcuni geni metabolici. Per
fare questo richiede la presenza di un fattore sigma, subunità accessoria della rnapolimerasi batterica, che
serve per il riconoscimento di specifici classi di promotori. L’rna polimerasi batterica è formata da una serie
di subunità, la parte che opera la trascrizione, cor, è costituita da quattro catene: beta, beta primo,
subunità alfa che forma dimero alfa alfa e subunità omega. L’rna polimerasi non è in grado di avviarsi da
solo ma deve risconoscere delle sequenze, promotori, e per farlo necessita di unaltra proteina, fattore
sigma, che si associa all’rnapolimerasi e una volta che è avvenuto il riconoscimento del promotore, si stacca
e la trascrizione prosegue nella fase di allungamento, per poi terminare grazie all’associazione di fattori di
terminazione, fattori nus e fattori rho.
Nei batteri esistono diverse classi di promotori: esistono quelli più frequenti, utilizzati dalla cellula
vegetativa per il metabolismo primario, o geni per la costruzione della struttura della cellula batterica,
questi promotori sono conosciuti da fattore sigma70, il principale presente in tutti i batteri. Ci sono altri
classi di promotori, che sono quelli che controllano i geni della sporulazione o i geni del flagello della
motilità, come il fattore sigma flagellare, questi richiedono fattori sigma specifici, diversi da quelli usati dalla
maggior parte dei batteri. In questo caso i geni della sporulazione sono controllati da promotori che
richiedono fattori sigma particolari, ad esempio i geni precoci della sporulazione, stadio 0 e 1, richiedono
sigmaH; i geni delle fasi successive richiedono altri fattori sigma, sigmaF, sigmaG, SigmaK, che vengono
attivati sequenzialmente. Quindi rnapolimerasi batteria ha struttura centrale costituita da sdubunità beta,
beta primo, alfa alfa, omega; questo enzima può fare elongazione ma per potersi attaccare ha bisogno di
fattore sigma, proiteina presenti in vari sottoclassi a seconda delle varie classi di promotori che stanno a
monte dei geni, dove si deve operare la trascrizione. Esiste, in Ecoli, un fattore sigma principale, che serve
per il riconoscimento della maggior parte dei promotori, che sono nel genoma di E coli, promotori associate
alle funzioni essenziali di Ecoli, legati soprattutto alla crescita vegetativa, promotori di geni metabolici o che
codificano per proteine strutturali. Ci sono altri fattori sigma che servono per riconoscere promotori a
monte di geni particolari, per esempio gli operoni del flagello, per essere trascritti, hanno bisogno di sigma
del flagello o i geni della fasse stazionaria hanno bisogno di fattore sigma della fase stazionaria o i geni dello
stress termico hanno bisogno di sigma heat shock. E Coli ha 5 fattori sigma, ma ci sono batteri che hanno
centinaia di fattori sigma, come gli actinomiceti e tra i vari fattori sigma ce ne sono alcuni che servono per
far progredire la sporulazione. Nella sporulazione, i fattori sigma principali sono sigmaH, che lavora in
concerto con
Spo0A, nel trascrivere i geni precoci della sporulazione. Non confondere i fattori sigma con quelli
trascrizionali: tutte e due controllano la trascrizione ma, mentre il fattore sigma è una componente
stretta dell’rna polimerasi, per il legame di quest’ultima al promotore, i fattori trascrizionali hanno altra
funzione. Si dividono in attivatori e repressori: i repressori si legano al promotore e inibiscono i legami de
fattore sigma, mentre gli attivatori si legano a monte o valle del promotore e facilitano il legame dei fattori
sigma e dell’rna polimerasi. Fattori sigma sono subunità dell’rna polimerasi, i fattori trascrizionali regolano il
riconoscimento dei promotori da parte dell’rna polimerasi con i fattori sigma. Una volta partita la
trascrizione, i fattori sigma si staccano dal cor dell’enzima dell’rna polimerasi, l’rna polimerasi continua la
sua fase di allungamento fino a quando non intervengono dei segnali di terminazione della trascrizione,
fattori dipendenti e fattori indipendenti. I fattori indipendenti sono forcine seguite dalle u, dove
rnapolimerasi si stacca e avviene la terminazione, mentre quelli fattori dipendenti dipendono dalla proteina
rho che interagisce con l’rna polimerasi e richiede anche fattori nus, nella terminazione della trascrizione.
Ricollegandoci alla sporulazione, stavamo dicendo che stimoli esterni attivano, fosforilandolo, spo0A e
questo insieme al fattore sigma H presente anche nella cellula vegetativa, in una certa quantità, attiva il
programma di sporulazione. Da solo, sigmaH senza spo0A non fa niente, spoa serve per legame di sigmah a
specifici promotori per attivare processo di sporulazione a valle.

Oltre al sigmaH sono coinvolti altri fattori sigma, fattori sigma della sporulazione, soprattutto svolge un
ruolo chiave il fattore sigmaF, che si attiva nella prespora, e che va a controllare e innescare trascrizione di
geni nella prespora (geni della corteccia) e altro fattore sigma importante è il sigmaE, non presente nella
prespora, ma nella cellula madre. Successivamente si attiva fattor sigmaG nella prespora e per finire si
attiva sigmaK nella cellula madre. Vi è un ordine sequenziale di attivazione dei fattori sigma, che si
attivano in diversi compartimenti in maniera sequenziale e a loro volta vanno a controllare l’attivazione
trascrizionale di specifici geni in specifici compartimenti permettendo il proseguimento della
programmazione di sporulazione con formazione di corteccia e delle tuniche, negli ultimi stadi della
sporulazione stessa.

In realtà andando a studiare sigmaF, in un momento iniziale di questo stadio, esso è presente sia nella
cellula madre che nella prestoria, solo che poi subito dopo viene degradato nella cellula madre e invece si
attiva nella prespora. Ciò accade per il sigmaE, presente sia nella cellula madre che nella prespora, poi
scompare dalla cellula madre. La stessa cosa avviene per il sigmaG. È stato visto che l’attività sigmaF, viene
bloccato da un fattore antisigmaF, quindi in un momento iniziale è presente in entrambi i compartimenti
ma inattivo perché bloccato; successivamente, solo nella prespora si attiva il fattore anti-antisigmaF, che
inattiva l’antisigma, mentre nella cellula madre non viene espresso e quindi antisigmaF rimane attivo, viene
poi degradato tutto il complesso solo successivamente. La stessa cosa succede con fattore sigmaG:
inizialmente esso è espresso in entrambi i compartimenti ma è tenuto bloccato da antisigmaG, solo nella
prespora viene innescata la produzione di antiantisigmaG, che degrada il fattore antisigma liberando il
fattore sigma nella forma attiva. Ma come mai si attiva tutto ciò solo nella prespora? Questo dipende dal
fatto che prespora e cellula madre sono cellule diverse che hanno diverso rapporto tra superficie e volume,
maggiore nella prespora rispetto alla cellula madre. Poiché il fattore antiantisigma è nella membrana, nella
prespora raggiunge una concentrazione superiore rispetto alla cellula madre. Quindi la chiave di volta è
dovuto proprio a questo più favorevole rapporto tra membrana e volume e quindi una più efficiente
trascrizione del segnale. Nel sigmaE il meccanismo è diverso. In un momento iniziale viene ritrovato in
entrambi i comportamenti, ma è attivo come fattore prosigmaE, infatti è caratterizzato da un’ancora
espresso all’n terminale, che ancora il sigmaE alla membrana. Inizialmente esso è espresso come prosigmaE
inattivo in entrambi i compartimenti, ma quello che poi si verifica è che mentre nell’endospora rimane
ancorato alla membrana, nella cellula madre entra in gioco una proteasi, che processa il fattore sigmaE,
liberandolo della coda che lo tieni ancorato in membrana. Il fattore sigmaE si attiva dunque nella cellula
madre mentre nell’endospora ciò non avviene, ma verrà successivamente degradato. Ricapitolando sigmaF
e sigmaG vengono attivati da fattori antisigma, a loro volta controllati da fattori antiantisigma; il fattore
sigmaE invece viene espresso come fattore prosigma ma mentre nella cellula madre viene processato e
attivato, nell’endospora viene non processato e inattivato.

Infine sigmaK è l’unico sigma che non troviamo mai espresso nell’endospora. A cosa è dovuto ciò? Il
meccanismo è stato spiegato, quando è stato studiato il gene per il sigmaK. Il gene per il sigmaK è un gene
interrotto da una sequenza centrale, quindi nella cellula vegetativa questo gene non funziona e non
funziona nemmeno nell’endospora. Solo nella cellula madre questo gene va incontro a maturazione, che
potrebbe somigliare allo splicing del premrna delle cellule eucariotiche. Viene rimossa questa sequenza e
quindi il gene si va ad attivare nella sua forma espressa e quindi va ad esprimere il fattore sigmaK. Chi va a
rimuovere la sequenza? Una Ricombinasi trascritta dal fattore sigmaE. Quindi il fattore sigmaE oltre a
controllare geni stadio specifici, controlla la ricombinasi, che porta alla rimozione della sequenza che
interrompe la continuità del sigmaK. Nella cellula madre, il gene per il sigmaK è diverso dal gene
dell’endospora. Questa cosa è significativa, sta a dimostrare come il genoma della cellula madre non è
identico a quello della spora. Il genoma della cellula madre viene poi degradato alla fine del processo, ecco
perché nella cellula vegetativa troviamo sempre il gene interrotto.

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