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Retroattività

della l. 8.3.2017, n. 24
Brindisi, 1.6.2018
Art. 18 l. 8.3.2017, n. 24
Clausola di invarianza finanziaria
Le amministrazioni interessate provvedono
all'attuazione delle disposizioni di cui alla presente
legge nell'ambito delle risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente e
comunque senza nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica. La presente legge, munita del
sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta
ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarla e di farla osservare come legge dello
Stato.
Entrata in vigore della riforma Gelli-
Bianco
Stante l’assenza di una specifica
regolamentazione dell’efficacia intertemporale
della riforma, la l. 8.3.2017, n. 24, è entrata in
vigore secondo le regole generali (artt. 73 Cost.
e 10 disp. prel. c.c.), cioè dopo 15 giorni dalla
sua pubblicazione in G.U. (avvenuta il
17.3.2017): essa opera, dunque, ordinariamente
per i soli fatti accaduti a decorrere dal 1.4.2017.
Regime previgente
Per fatti accaduti prima di tale data, occorre
distinguere:
a) Per il periodo 28.9.2012 – 10.11.2012, è
rimasto in vigore il testo originario dell’art. 3, 1°
co., d.l. 13.9.2012, n. 158
b) Per il periodo 11.11.2012 – 31.3.2017, è
rimasto in vigore il testo del medesimo d.l.,
come modificato dalla l. di conversione
8.11.2012, n. 189.
Art. 3, 1° co., d.l. 13.9.2012, n. 158
Fermo restando il disposto dell’art. 2236 c.c.,
nell’accertamento della colpa lieve nell’attività
dell’esercente le professioni sanitarie il giudice,
ai sensi dell’art. 1176 c.c., tiene conto in
particolare dell’osservanza, nel caso concreto,
delle linee guida e delle buone pratiche
accreditate dalla comunità scientifica nazionale
e internazionale
Art. 3, 1° co., d.l. 158/2012, conv. con l.
189/2012
L’esercente la professione sanitaria che nello
svolgimento della propria attività si attiene a
linee guida e buone pratiche accreditate dalla
comunità scientifica non risponde penalmente
per colpa lieve. In tali casi resta comunque
fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. Il giudice,
anche nella determinazione del risarcimento del
danno, tiene debitamente conto della condotta
di cui al primo periodo
Il principio di irretroattività della legge
Principio di civiltà giuridica posto a presidio della
certezza del diritto e a garanzia dei consociati, non
ha valore assoluto, perché opera differentemente a
seconda della natura civile o penale della normativa
esaminata e avendo riguardo agli effetti favorevoli o
sfavorevoli della sua incidenza nel caso esaminato.
In ambito civile, in particolare, occorre un’espressa
affermazione di retroattività di una normativa; per
la legge penale, invece, basta l’individuazione di un
regime più favorevole al reo.
Art. 11 disp. prel. c.c.
Efficacia della legge nel tempo
La legge non dispone che per l'avvenire: essa
non ha effetto retroattivo.
I contratti collettivi di lavoro possono stabilire
per la loro efficacia, una data anteriore alla
pubblicazione, purché non preceda quella della
stipulazione.
Art. 2 c.p.
Successione di leggi penali
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu
commesso, non costituiva reato.
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non
costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti
penali.
Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente
la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella
corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si
applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata
pronunciata sentenza irrevocabile.
Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei
capoversi precedenti (2).
Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata
ratifica di un decreto-legge e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con
emendamenti.
Applicazione al decreto Balduzzi
Il decreto Balduzzi non poneva particolari problemi di
diritto intertemporale: limitatamente alla sua
formulazione originaria, infatti, la portata precettiva della
disposizione era inesistente per il diritto penale e molto
modesta per quello civile, rispetto al quale riaffermava
l’applicazione degli artt. 1176 e 2236 c.c., sia pure
specificandone meglio il richiamo a fronte delle linee-
guida: negarne l’applicazione retroattiva non avrebbe
avuto alcun riscontro pratico rilevante, perché per i fatti
anteriori alla sua entrata in vigore (come per quelli
posteriori!) continuava a valere la disciplina codicistica
(valore solo interpretativo della riforma Balduzzi).
Applicazione al decreto Balduzzi
Una riflessione più articolata poneva il testo
definitivo dell’art. 3, 1° co., d.l. 158/2012:
limitatamente al diritto penale, infatti, esso
introduceva una causa nuova di irresponsabilità
penale, avente, ai sensi dell’art. 2, 2° co., c.p.,
valore necessariamente retroattivo.
Limitatamente al diritto civile, invece, delineava
un singolare caso di responsabilità aquiliana
inevitabilmente destinato a valere solo per i
fatti successivi alla sua entrata in vigore
Cass. pen., 29.1.2013, n. 16237
L'art. 3 d.l. 13.9.2012, n. 158, conv. In l. 8.11.2012, n. 189, ha determinato la
parziale abrogazione delle fattispecie colpose commesse dagli esercenti le
professioni sanitarie. La predetta modifica normativa esclude la rilevanza
penale delle condotte connotate da colpa lieve, che si collochino all'interno
dell'area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse
siano accreditate dalla comunità scientifica. In applicazione del principio, è
stata annullata con rinvio la condanna per omicidio colposo nei confronti di
un medico chirurgo che, nell'esecuzione di un intervento di ernia discale
recidivante; aveva leso vasi sanguigni con conseguente emorragia letale: ai
fini dell'eventuale applicazione della norma sopravvenuta favorevole, ex art.
2, 2° co., c.p., è stato, infatti, chiesto al giudice di merito di riesaminare il caso
per determinare a) se esistano linee guida o pratiche mediche accreditate
afferenti all'esecuzione dell'atto chirurgico in questione; b) se l'intervento
eseguito si sia mosso entro i confini segnati da tali direttive e, nel caso
affermativo, se nell'esecuzione dell'atto chirurgico vi sia stata colpa lieve o
grave.
Applicazione alla l. Gelli-Bianco
La riforma del 2017 si presenta molto più
articolata e complessa del decreto Balduzzi: non
solo delinea compiutamente varie tipologie di
responsabilità civile (art. 7), ma procede
all’elaborazione di una nuova responsabilità
penale del medico, con conseguente
abrogazione integrale della vecchia disciplina
(art. 6) e alla modifica dei requisiti necessari
per l’iscrizione come consulenti agli albi tenuti
presso il Tribunale (artt. 15 e 16).
Art. 7 l. 8.3.2017, n. 24
Responsabilità civile
1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che,
nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di
esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non
dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228
c.c., delle loro condotte dolose o colpose.
2. La disposizione di cui al 1° co. si applica anche alle prestazioni sanitarie
svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di
attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione
con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
3. L'esercente la professione sanitaria di cui ai 1° e 2° co. risponde del proprio
operato ai sensi dell’art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di
obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella
determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta
dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 5 della presente legge
e dell'art. 590-sexies c.p., introdotto dall'art. 6 della presente legge. […]
Trib. Avellino, 12.10.2017, n. 1806
Intervento ortopedico realizzato nel periodo
compreso tra il 11.11.2012 e il 1.4.2017, dunque
sotto il vigore della riforma Balduzzi (dopo la
modifica del d.l.). Il medico Tizio, ortopedico che
aveva già visitato il paziente e gli aveva consigliato
l’intervento, opera insieme ad altri due medici, che
non avevano mai visto il paziente, in una casa di
cura privata e provoca un danno permanente al
paziente stesso, che non riesce più a recuperare la
piena funzionalità della mano ed agisce dunque
verso Tizio e gli altri due medici, nonché verso la
struttura, per il risarcimento del danno.
Trib. Avellino, 12.10.2017, n. 1806
Sopraggiunta l’entrata in vigore della l. 8.3.2017, n.
24, i due medici che hanno affiancato Tizio rilevano
che la loro responsabilità deve essere intesa come
aquiliana, con conseguente onere della prova a
carico del paziente. Affermano che ad esiti identici
si sarebbe dovuti pervenire anche sotto il vigore
della riforma Balduzzi, della quale la l. 8.3.2017, n.
24, costituirebbe una sorta di interpretazione
autentica, volta appunto a respingere la tesi del
«contatto sociale» e ad estendere l’ambito di
operatività della responsabilità aquiliana.
Trib. Avellino, 12.10.2017, n. 1806
Non si pone alcun problema di diritto intertemporale
limitatamente all’accertamento della responsabilità della
struttura sanitaria, perché l’art. 7, 1° co., l. 8.3.2017, n. 24, ha
recepito pienamente l’orientamento giurisprudenziale
(inaugurato da Cass., sez. un., 577/2008 e proseguito, ad es.,
con Cass., 27285/2013), incentrato sull’affermazione della
natura contrattuale della medesima responsabilità, stante il
perfezionamento di un contratto di spedalità che si estende a
qualunque prestazione resa all’interno della struttura, anche
se da operatori non previamente conosciuti ed incaricati dal
paziente. Da ciò deriva che non essendo intervenuto il
legislatore in senso innovativo, non si pone alcuna questione
di diritto intertemporale in materia di responsabilità della
struttura sanitaria.
Trib. Avellino, 12.10.2017, n. 1806
Più complessa è, invece, l'operazione ermeneutica richiesta all'interprete in
relazione al regime di responsabilità dell'esercente la professione sanitaria,
alla luce di quanto previsto dal nuovo art. 7, 3° co., l. 8.3.2017, n. 24. È chiaro
che, se tale previsione fosse stata direttamente applicabile alla fattispecie
esaminata, i due medici che avevano affiancato Tizio nel compimento
dell’operazione avrebbero potuto rispondere solo a titolo aquiliano e dunque
previa dimostrazione, da parte del paziente, della loro colpa. Già il testo della
precedente l. Balduzzi, tuttavia, conteneva un riferimento all’art. 2043 c.c.,
limitatamente, però, all’esercente che avesse rispettato le linee-guida
operando con colpa lieve. Tale innovazione era stata accolta unanimemente
dalla giurisprudenza come espressione della sola preoccupazione del
legislatore di escludere l'irrilevanza della colpa lieve in ambito di
responsabilità extracontrattuale, senza prendere alcuna posizione sulla
qualificazione della responsabilità medica come responsabilità di quella
natura. La norma, dunque, non induceva affatto al superamento
dell'orientamento tradizionale sulla responsabilità da contatto sociale e sulle
sue implicazioni (Cass., 24.12.2014, n. 27391).
Trib. Avellino, 12.10.2017, n. 1806
La recente e ultima riforma pare definitivamente collocare la responsabilità
del sanitario nel perimetro della responsabilità aquiliana, pur prevedendo la
clausola di salvezza rappresentata dalla «assunzione di un'obbligazione
contrattuale con il paziente», ma non può riconoscersi l'applicabilità
retroattiva di tale disciplina, prevalendo in tal caso la regola generale sancita
dall’art. 11 disp. prel. c.c.
Se è vero, infatti, che il principio di irretroattività della legge in materia civile
non assurge alla dignità di una norma costituzionale e l'osservanza del
principio è rimessa "alla prudente valutazione del legislatore", qualsiasi
intervento legislativo destinato a regolare situazioni pregresse deve essere
conforme ai principi costituzionali della ragionevolezza e della tutela del
legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, nonché al
rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario,
anche se finalizzato alla necessità di riduzione del contenzioso o di
contenimento della spesa pubblica o a far fronte ad evenienze eccezionali.
Trib. Avellino, 12.10.2017, n. 1806
Il principio dell’irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa
essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in
vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano
gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in
parte, alle conseguenze attuali e future di esso, dovendosi propendere per
l'applicazione retroattiva della nuova normativa ai fatti, agli status e alle situazioni
esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad
un fatto passato, solo allorquando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova
legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente
dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che,
attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore
(Cass., 3.7.2013, n. 16620). L'applicazione della c.d. legge Gelli a fatti già verificatesi
al momento della sua entrata in vigore inciderebbe negativamente sul fatto
generatore del diritto alla prestazione, ledendo, così, ingiustificatamente il legittimo
affidamento dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del
medico. Da ciò deriva che le fattispecie perfezionatesi in epoca antecedente
all'entrata in vigore della riforma de qua dovranno continuare ad essere regolate dai
principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale, sicché si dovrà
applicare la normativa della responsabilità contrattuale.
Art. 6 l. 8.3.2017, n. 24
Responsabilità penale dell’esercente la
professione sanitaria
1. Dopo l’art. 590-quinquies c.p., è inserito il seguente:
«Art. 590-sexies (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali
in ambito sanitario). 1. Se i fatti di cui agli artt. 589 e 590 sono
commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le
pene ivi previste salvo quanto disposto dal 2° co. 2. Qualora l'evento si
sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono
rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite
e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone
pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste
dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso
concreto».
2. All’art. 3 d.l. 13.9.2012, n. 158, conv., con modificazioni, dalla l.
8.11.2012, n. 189, il comma 1 è abrogato.
Portata precettiva
Stando alla formulazione letterale della nuova
previsione:
1) Il mero fatto che i reati di omicidio o lesioni
siano commessi da un medico non costituisce
circostanza aggravante;
2) Ove ricorrano le condizioni del nuovo art. 590-
sexies, 2° co., c.p., si realizza una causa di non
punibilità;
3) Il regime previgente è integralmente abrogato,
anche nella sua componente civilistica.
I principali problemi
• Identificazione dei fatti di reato
• Identificazione dei soggetti penalmente
responsabili
• Efficacia intertemporale
I fatti di reato
Il decreto Balduzzi si applicava a qualunque
trattamento medico-chirurgico colposo. La nuova
legge, invece, vale solo per i «fatti di cui agli artt.
589 e 590 c.p.», cioè per i fatti di omicidio e lesioni
personali colpose. Cosa accade per una colposa
interruzione di gravidanza, soggetta alla l. aborto?
Opera sempre il d. Balduzzi (che dunque non è
abrogato!) o, invece, la normativa penale speciale
senza alcuna limitazione di responsabilità?
Sembrerebbe inevitabile la seconda soluzione, ma
con il rischio di un’illegittima disparità di
trattamento.
Identificazione dei responsabili
Il decreto Balduzzi parlava di «esercente la
professione sanitaria» e il riferimento, per
quanto non privo di ambiguità, era stato
pacificamente inteso come idoneo a riguardare i
soli soggetti iscritti ad un albo professionale
(medici, infermieri, ostetrici), permanendo
dubbi in ordine a figure professionali distinte dal
medico come farmacisti o veterinari, comunque
iscritte ad un albo.
Identificazione dei responsabili
La l. Gelli-Bianco, invece, richiama, ancor più cripticamente,
l’«esercizio di una professione sanitaria». Dalla lettura
dell’art. 5 l. 8.3.2017, n. 24, peraltro, si evince che le linee-
guida possono operare a vari livelli: preventivo, diagnostico,
terapeutico, palliativo, riabilitativo e di medicina-legale.
Dunque la nuova norma vale per qualunque esercente
destinatario di tali linee-guida e difficilmente per il farmacista,
il quale può operare a livello palliativo, ma potrebbe essere
ritenuto responsabile di omicidio o lesioni personali solo in
virtù dell’esercizio di fatto di una professione (medica) avente
competenze che lui dovrebbe sapere di non possedere.
Similmente, il veterinario non può essere compreso nella
nuova previsione, perché relativa ai soli fatti concernenti
esseri umani.
Identificazione dei responsabili
L’iscrizione all’albo è dunque requisito sufficiente, ma non
necessario? Un esercente di fatto la professione medica può
invocare la nuova causa di punibilità? Occorre distinguere
almeno due ordini di casi:
1) La pura ciarlateneria: soggetti del tutto privi di
conoscenze tecnico-scientifiche che si avventurino in
attività diagnostico-terapeutiche. Sono chiaramente fuori
dalla nuova normativa
2) I soggetti possiedono le conoscenze, ma non sono
autorizzati ad esercitarle, ad es. per ragioni formali
(mancata iscrizione all’albo ma già avvenuto superamento
dell’esame; esercizio autorizzato in altri Paesi diversi
dall’Italia, ecc.): riesce difficile negare che esercitino
un’attività sanitaria.
Il problema intertemporale
Per cogliere il senso della nuova previsione, occorre ricordare che,
prima della riforma Balduzzi, la giurisprudenza penale aveva espresso
due orientamenti in tema di responsabilità del medico:
a) La posizione più risalente imponeva l’estensione all’ambito
penale dell’art. 2236 c.c. e la conseguente limitazione della
responsabilità (per omicidio, lesioni o ogni altro reato
specificamente collegato all’esercizio dell’attività sanitaria) ai soli
casi di dolo o colpa grave (Cass. pen., 6.3.1967, n. 447; Cass. pen.,
2.10.1990, n. 14446);
b) Una posizione più recente, affermatasi indicativamente dalla fine
degli anni ’90 e tendente a negare rilievo penale all’art. 2236 c.c. e
ad affermare la possibilità di far rispondere il medico anche per
colpa lieve, indipendentemente dal rispetto di pratiche
consolidate e dall’eventuale irresponsabilità civile (Cass. pen.,
29.9.1997, n. 1693).
La riforma Balduzzi
La ratio del decreto Balduzzi, limitatamente alla sua parte
penalistica, era dunque sufficientemente chiara:
escludere la rilevanza penale della colpa lieve quando
non fosse possibile dimostrare, da parte dell’accusa, che il
medico si era (sensibilmente) discostato dalle linee-guida
accreditate nella comunità scientifica. La riforma non
escludeva che, in singoli casi specificamente valutabili, il
medico potesse essere in colpa pur avendo rispettato le
linee-guida, ma voleva che, in questo ordine di ipotesi, il
problema fosse affrontato esclusivamente in ambito
civile, come caso di responsabilità risarcitoria.
Rispetto delle linee-guida e colpa
La riforma Balduzzi, invero, aveva creato problemi
sotto due profili distinti:
a) Identificazione dell’accreditamento di linee-
guida: tema oggi risolto dal nuovo art. 5 l.
8.3.2017, n. 24, che delinea le uniche linee guida
realmente accreditate, garantendo una
maggiore uniformazione.
b) Valutazione del carattere lieve di una colpa che
non era esclusa dal puntuale rispetto delle linee-
guida.
Rispetto delle linee-guida e colpa
Fu proprio Cass. pen., 16.1.2013, n. 16237, a fissare
il nuovo corso, incentrato sulla distinzione tra
errore a monte ed errore a valle. Il medico avrebbe
potuto essere considerato in colpa nonostante il
rispetto delle linee-guida solo se, alternativamente:
a) Avesse individuato linee-guida corrette ma
senza adattarle al caso specifico o scegliendo
linee-guida non specificamente ad esso riferibili;
b) Avesse individuato correttamente le linee-guida,
senza capire di dover da esse discostarsi nel
caso concreto
Il carattere «lieve» della colpa
Nonostante le numerose perplessità della dottrina, i
giudici non avevano incontrato particolari difficoltà
a limitare l’esonero da responsabilità ai soli casi di
colpa «lieve», perché si erano spesso limitati a
richiamare l’art. 2236 c.c., cioè a riproporre uno
schema assimilabile a quello antecedente
all’inversione degli anni ‘90 (ed incentrato
sull’equiparazione colpa «lieve» = colpa «non
grave»), con conseguente, sensibile riduzione dei
casi di condanna penale del medico.
La riforma 2017
In ordine alla causa di non punibilità introdotta dal
nuovo art. 590-sexies c.p., due sono le differenze
rispetto alla previgente regolamentazione:
a) Il riferimento esclusivo all’imperizia, intesa
come forma di manifestazione della colpa
contrapponibile a negligenza e imprudenza;
b) L’assenza di una valutazione di gravità della
colpa complessivamente intesa. È scomparso il
richiamo al suo carattere «lieve».
Primi rilievi applicativi
Muovendo dunque da un’interpretazione letterale della
previsione, l’efficacia retroattiva della nuova disposizione
sembrerebbe essere diversamente valutabile:
a) Per fatti di negligenza e imprudenza, non vi è alcuna
previsione più favorevole: il regime è più sfavorevole
al reo dunque la previsione non ha efficacia
retroattiva;
b) Per fatti di imperizia, invece, il reo è trattato più
favorevolmente di prima, perché è esonerato da
responsabilità indipendentemente dal carattere lieve
o grave o gravissimo della sua colpa: qui la norma
sembrerebbe destinata ad operare retroattivamente
Cass. pen., 20.4.2017, n. 28187
Il nuovo regime dell’art. 590-sexies c.p. si applica
solo ai fatti commessi in epoca successiva alla
riforma giacché introduce un trattamento
sfavorevole rispetto all'art. 3 l. 8.11.2012, n. 189,
nella misura in cui non prevede alcun riferimento
alla gravità della colpa; quest'ultima potrà
comunque essere valutata dal giudice, ai sensi
dell'art. 2236 c.c., in sede di formulazione
dell'addebito di imperizia, in presenza di situazioni
tecnico-scientifiche nuove, complesse o influenzate
e rese più difficili dall'urgenza.
Il caso
Per fatti antecedenti al 1.4.2017, lo psichiatra Tizio è accusato di omicidio
colposo per aver reso possibile, con condotte attive ed omissive, la
verificazione di un gesto cruento da parte di un paziente che egli aveva in
cura, non solo quale responsabile dell’unità funzionale di salute mentale
dell’ASL, ma anche quale psichiatra di riferimento. Il paziente aveva una storia
clinica problematica, connotata da abusi di stupefacenti, esplosioni di rabbia,
un tentato suicidio e, soprattutto, il violento omicidio della fidanzata nell’anno
1998: episodio che aveva prima giustificato una detenzione carceraria, poi la
permanenza in un ospedale psichiatrico giudiziario e in una residenza per
l’esecuzione delle misure di sicurezza. Lo psichiatra, nonostante tali
precedenti, aveva ridotto il farmaco antipsicotico e aveva valutato come
adeguato il passaggio del paziente da una condizione d’internamento al
soggiorno in una struttura residenziale «a bassa soglia assistenziale», dove,
però, una notte il paziente era riuscito ad avere accesso ad un’ascia lasciata
sostanzialmente incustodita, utilizzando la quale aveva colpito a morte il
proprio compagno di stanza, con cui aveva da poco avuto un diverbio.
La decisione
A fronte della valutazione di non luogo a procedere
prospettata dal giudice di merito, la Cassazione ricorda,
anzitutto, la costante giurisprudenza favorevole – per casi
simili a questo – a configurare un concorso colposo del
medico nel reato doloso altrui e ribadisce che ad uno
psichiatra deve essere attribuita una posizione di garanzia,
concepita, almeno in astratto, sia come posizione di
protezione che di controllo del paziente, da considerarsi come
soggetto debole e bisognoso di protezione per sé, ma anche
come potenziale elemento di pericolo per l’incolumità di terze
persone. Accoglie dunque il ricorso dell’accusa volto ad
imporre un riesame del grado di colpevolezza dello psichiatra
nella mancata previsione dei fatti puntualmente verificatisi.
I profili di diritto intertemporale
Poiché poco prima dell’emanazione della decisione
è entrata in vigore la l. 8.3.2017, n. 24, il giudice di
legittimità s’interroga, tuttavia, sulla possibilità che,
ricondotta in ogni caso alla imperizia la tipologia di
colpa rimproverabile a Tizio, questi possa sostenere
che, avendo rispettato le linee-guida, come aveva
accertato il giudice di merito, non è assoggettabile a
responsabilità penale, stante il nuovo art. 590-
sexies c.p., norma ad applicazione retroattiva, se
interpretabile come più favorevole al reo.
Cass. pen., 20.4.2017, n. 28187
La lettura del nuovo art. 590-sexies c.p. suscita alti dubbi
interpretativi, a prima vista irresolubili, subito messi in luce dai
numerosi studiosi che si sono cimentati con la riforma. Si mostrano, in
effetti, incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la
stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo.
Ancor prima, si ha difficoltà a cogliere la ratio della novella. Si legge
che non è punibile l'agente che rispetta le linee guida accreditate, nel
caso in cui esse risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
L'enunciato attinge la sfera dell'ovvietà: non si comprende come
potrebbe essere chiamato a rispondere di un evento lesivo l'autore
che, avendo rispettato le raccomandazioni espresse da linee guida
qualificate e pertinenti ed avendole in concreto attualizzate in un
modo che "risulti adeguato" in rapporto alle contingenze del caso
concreto, è evidentemente immune da colpa. Da questo punto di
vista, dunque, nulla di nuovo.
Cass. pen., 20.4.2017, n. 28187
La disciplina, tuttavia, risulta di disarticolante contraddittorietà quando l'ovvio enunciato di cui si è detto
si ponga in connessione con la prima parte del testo normativo. Vi si legge, infatti, che il novum trova
applicazione "quando l'evento si è verificato a causa di imperizia". La drammatica incompatibilità logica
è lampante: si è in colpa per imperizia ed al contempo non lo si è, visto che le codificate leges artis
sono state rispettate ed applicate in modo pertinente ed appropriato ("risultino adeguate alle
specificità del caso concreto") all'esito di un giudizio maturato alla stregua di tutte le contingenze
fattuali rilevanti in ciascuna fattispecie.
La contraddizione potrebbe essere risolta sul piano dell'interpretazione letterale, ipotizzando che il
legislatore abbia voluto escludere la punibilità anche nei confronti del sanitario che, pur avendo
cagionato un evento lesivo a causa di comportamento rimproverabile per imperizia, in qualche
momento della relazione terapeutica abbia comunque fatto applicazione di direttive qualificate; pure
quando esse siano estranee al momento topico in cui l'imperizia lesiva si sia realizzata. Un esempio
tratto dalla prassi può risultare chiarificatore. Un chirurgo imposta ed esegue l'atto di asportazione di
una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un
errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia
un'arteria con effetto letale. In casi del genere, non può ritenersi che la condotta del sanitario sia non
punibile per il solo fatto che le linee guida di fondo siano state rispettate: altrimenti, si violerebbe il
canone di ragionevolezza e l’art. 32 Cost.
Cass. pen., 20.4.2017, n. 28187
Conviene peraltro aggiungere che il nuovo art. 7, 3° co., l. 8.3.2017, n.
24, impone al giudice di tener conto del rispetto delle linee-guida
anche nella «determinazione del risarcimento». Dunque, per effetto di
tale richiamo della disciplina civile a quella penale, il solo fatto
dell'osservanza di una linea guida, anche quando non rilevante ai fini
del giudizio di responsabilità, non solo escluderebbe la responsabilità
penale, ma limiterebbe pure la quantificazione del danno. Insomma,
neppure l'ambito civilistico consentirebbe alla vittima di ottenere
protezione e ristoro commisurati all'entità del pregiudizio subito; e
l'esonero da responsabilità si amplierebbe ulteriormente. Insomma,
la soluzione che qui si critica colliderebbe frontalmente con l'istanza
di tutela della salute che costituisce il manifesto della nuova
normativa.
Cass. pen., 20.4.2017, n. 28187
Secondo il giudice di legittimità, è dunque necessario prospettare un’interpretazione
del tutto diversa della nuova norma. Anzitutto, occorre precisare che solo il rispetto di
linee-guida accreditate giustifica la limitazione o esclusione della responsabilità
penale e, poiché l’accreditamento è regolato dal nuovo art. 5 l. 8.3.2017, n. 24
(norma evidentemente ad applicazione non retroattiva), tale limitazione può operare
solo per fatti accaduti dopo l’accreditamento delle linee-guida: con conseguente
esclusione di qualunque applicazione retroattiva della previsione.
Nell’impianto della nuova previsione, inoltre, non è sufficiente il rispetto delle linee-
guida, dovendosi, ulteriormente, provare che esse sono state (correttamente)
adattate al caso specifico: è dunque possibile muovere un rimprovero, a titolo di
colpa, al medico che ha rispettato le linee-guida senza adattarle e ciò segna un
inasprimento rispetto alla disciplina previgente, che esclude dunque l’applicazione
retroattiva.
In ogni caso, il giudice resta libero di valutare la gravità della colpa, perché la riforma
non ha abrogato l’art. 2236 c.c., che resta applicabile e modifica la portata precettiva
del nuovo art. 590-sexies c.p., imponendo di affermare la responsabilità penale
quando l’imperizia ha assunto contorni di gravità.
Alcuni rilievi critici
a) La formulazione letterale della nuova previsione
è del tutto disattesa e ciò, in ambito penale, non
è facilmente accettabile, specie perché conduce
all’esclusione di una causa di non punibilità
testuale
b) Si nega, di fatto, ogni portata innovativa alla
previsione (pur escludendone la portata
retroattiva!): l’art. 2236 c.c. è elevato a norma
prevalente nell’individuazione della colpa
penale del medico
Cass. pen., 19.10.2017, n. 50078
Il 2° co. dell’art. 590-sexies c.p. è norma più favorevole
rispetto all'art. 3, 1° co., d.l. 13.9.2012, n. 158, in quanto
prevede una causa di non punibilità dell'esercente la
professione sanitaria collocata al di fuori dell'area di
operatività della colpevolezza, operante – ricorrendo le
condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto
delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche
clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso) –
nel solo caso di imperizia e indipendentemente dal
grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle
linee guida e delle buone pratiche con la condotta
(anche gravemente) imperita nell'applicazione delle
stesse.
Il caso
Il dott. Tizio, nel corso dell'esecuzione di un intervento di ptosi
(lifting) del sopracciglio, provoca una ipoestesia tattile in
ristretta zona frontale destra, consistente in una diminuzione
della sensibilità della zona interessata ancora permanente a
distanza di cinque anni dall'intervento. Il giudice di merito lo
condanna per lesioni colpose, individuando la colpa nella
imperizia nella concreta esecuzione dell'intervento e non nella
scelta dello stesso ed escludendo l’applicazione della legge
Balduzzi (vigente all’epoca dei fatti) stante il carattere di
accertata gravità dell’imperizia stessa, nonostante il rispetto
delle linee-guida. La Cassazione riforma la condanna,
evidenziando che occorre applicare l’art. 2, 2° co., c.p.
(applicazione retroattiva della norma più favorevole al reo).
Cass. pen., 19.10.2017, n. 50078
Il giudice di legittimità non nega che la nuova previsione sollevi
numerosi dubbi interpretativi, ma evidenzia che, da un lato, è
formulata in modo tale da creare una nuova causa di non punibilità
(in quanto tale già più favorevole al reo) ed è testualmente riferita
solo all’imperizia, indipendentemente dalla sua gravità. Se dunque
nel caso di specie non si registrano profili di negligenza o imprudenza,
per i quali il trattamento penale è più grave di prima, non si può
invocare una norma a rilievo solo civilistico (art. 2236 c.c.) per
condizionare la formulazione letterale del dettato penale, il quale
deve prevalere. Certo in questo modo si riduce la responsabilità
penale: ma ciò potrebbe essere ritenuto ragionevole o contrario al
dettato costituzionale, rimanendo però compito esclusivo della Corte
costituzionale l’eventuale dichiarazione di illegittimità.
Cass. pen., 19.10.2017, n. 50078
La nuova legge, in sostanza, cerca di proseguire in un percorso di attenuazione del giudizio sulla colpa
medica, introducendo così una causa di esclusione della punibilità per la sola imperizia la cui operatività
è subordinata alla condizione che dall'esercente la professione sanitaria siano state rispettate le
raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in
mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali e che dette raccomandazioni risultino
adeguate alla specificità del caso concreto.
Tale risultato è stato perseguito dal legislatore (in tal senso la lettera della norma non ammette
equivoci) costruendo una causa di non punibilità, come tale collocata al di fuori dell'area di operatività
del principio di colpevolezza: la rinuncia alla pena nei confronti del medico si giustifica nell'ottica di
una scelta del legislatore di non mortificare l'iniziativa del professionista con il timore di ingiuste
rappresaglie mandandolo esente da punizione per una mera valutazione di opportunità politico
criminale, al fine di restituire al medico una serenità operativa così da prevenire il fenomeno della cd.
medicina difensiva.
In questa prospettiva l'unica ipotesi di permanente rilevanza penale della imperizia sanitaria può
essere individuata nell'assecondamento di linee guida che siano inadeguate alla peculiarità del caso
concreto; mentre non vi sono dubbi sulla non punibilità del medico che seguendo linee guida
adeguate e pertinenti pur tuttavia sia incorso in una "imperita" applicazione di queste (con l'ovvia
precisazione che tale imperizia non deve essersi verificata nel momento della scelta della linea guida -
giacchè non potrebbe dirsi in tal caso di essersi in presenza della linea guida adeguata al caso di specie,
bensì nella fase "esecutiva" dell'applicazione).
Cass. pen., sez. un.,
21.12.2017/22.2.2018, n. 8770
Il medico risponde per morte o lesioni personali colpose
nel caso in cui l'evento si sia verificato, anche per colpa
lieve, a causa di negligenza e imprudenza; risponde
altresì per colpa lieve dovuta ad imperizia nei casi in cui
non vi siano linee -guida o buone pratiche clinico -
assistenziali finalizzate a regolare il caso concreto, ovvero
nel caso in cui queste ultime siano state erroneamente
individuate o non siano adeguate al caso di specie. Il
sanitario risponde, infine, per colpa grave dovuta ad
imperizia nell'esecuzione delle raccomandazioni
contenute nelle linee guida o nelle buone pratiche
clinico -assistenziali pertinenti rispetto al caso concreto,
avuto riguardo alle speciali difficoltà dell'atto medico.
L’intervento delle S.U.
Dopo aver analiticamente indicato i termini del
dibattito, le Sezioni unite – con riferimento ad un
caso in cui il medico era stato ritenuto, per fatti
antecedenti al 2017, responsabile per negligenza,
imprudenza ed imperizia per aver differito un
intervento ortopedico infine realizzato da altri nel
rispetto delle linee-guida ma che avrebbe dovuto
essere eseguito più tempestivamente – provano ad
elaborare una sintesi tra i due orientamenti, ai quali
riconoscono di aver indicato molteplici elementi
condivisibili.
L’intervento delle S.U.
Secondo il giudice di legittimità non si può né
negare l’impatto della formulazione letterale
della norma, né porre attenzione esclusiva a
quest’ultima. Occorre, anche in ambito penale,
applicare integralmente l’art. 12 disp. prel. c.c.
e conseguentemente dar luogo ad
un’interpretazione sistematica che continui a
collocare la Costituzione al centro del sistema,
senza attendere l’eventuale intervento della
Corte costituzionale.
L’intervento delle S.U.
Il primo dato sul quale riflettere è il richiamo, in via
esclusiva, all’imperizia quale situazione idonea a
giustificare la causa di non punibilità: non vi è spazio per
parlare di colpa in generale o comprendervi negligenza e
imprudenza: rispetto a queste ultime, il regime
sanzionatorio è peggiorato, perché si risponde
indipendentemente dalla gravità. Si pensi, ad es.,
all’omessa valutazione del sintomo: è imperizia o
piuttosto negligenza/imprudenza? Probabilmente, queste
ultime, con conseguente inasprimento della
responsabilità penale di chi dovrebbe avviare il percorso
terapeutico.
L’intervento delle S.U.
Limitatamente all’imperizia, la causa di non
punibilità opera esclusivamente in ordine
all’individuazione delle linee-guida: un medico
che sceglie linee-guida corrette, ma non le sa
adattare, è comunque responsabile, perché non
le ha specificamente applicate. Occorre che il
medico abbia correttamente individuato ed
adattato le linee-guida.
L’intervento delle Sezioni unite
Il mancato, espresso richiamo alla «non gravità»
dell’imperizia non deve indurre a concludere per
l’irresponsabilità di qualunque fatto di
macroscopica colpa. In casi come questi, non vi
sarà mai solo imperizia, ma anche negligenza o
imprudenza e dunque il regime sarà sempre
favorevole alla punibilità. La causa di non
punibilità, dunque, opera solo per l’imperizia
lieve, senza alcun bisogno di invocare l’art.
2236 c.c.
Limiti dell’applicazione retroattiva
Le S.U. negano, di fatto, ogni applicazione
retroattiva della nuova previsione:
limitatamente a qualunque fatto di negligenza o
imprudenza, il regime è più grave di quello
passato. Per l’imperizia, stante il requisito della
necessaria «non-gravità», di fatto il regime è
rimasto identico alla previgente legge Balduzzi,
che dunque resta applicabile senza alcun
adattamento.
Il regime temporale dei contratti
assicurativi
Per quanto questa conclusione assicuri
un’armonizzazione del regime intertemporale della
responsabilità civile e penale del medico, essa non
autorizza a negare ogni portata retroattiva alla l.
8.3.2017, n. 24. Occorre infatti ricordare che
quest’ultimo provvedimento – a differenza della l.
Balduzzi – offre un’analitica regolamentazione dei
profili assicurativi dell’esercizio della professione
sanitaria e assicura, a certe condizioni, la possibilità
che tale regolamentazione operi anche per fatti
antecedenti al 1.4.2017.
L’assicurazione sanitaria
Già resa obbligatoria nel 2011 e parzialmente
regolata dalla l. Balduzzi, l’assicurazione
sanitaria è ampiamente disciplinata dalla l.
8.3.2017, n. 24, che ribadisce l’obbligo
dell’assicurazione, lo estende ad altre categorie
e soprattutto indica – in modo imperativo – il
contenuto minimo del contratto.
Gli artt. 10 ss. l. 8.3.2017, n. 24
La nuova disciplina, in particolare, chiarisce:
• Quali sono i soggetti obbligati all’assicurazione (art. 10)
• Come debba essere calcolata l’estensione temporale
dell’assicurazione (art. 11)
• A quali condizioni il danneggiato può agire direttamente verso la
compagnia di assicurazione per avere il risarcimento (art. 12)
• Secondo quali modalità la compagnia di assicurazione o la struttura
ospedaliera devono comunicare all’assistito o al dipendente
l’esistenza di un giudizio di responsabilità avviato nei suoi confronti
(art. 13)
• Come deve essere finanziato e a quali condizioni opera il Fondo di
garanzia per i danni da attività sanitarie prodotti da chi sia privo
della copertura assicurativa (art. 14).
Obbligo di assicurazione
Sono obbligati all’assicurazione:
• Le strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche
e private, per fatti ascrivibili a loro o a chiunque
operi al loro interno come strutturato;
• I liberi professionisti indipendenti/autonomi
• Tutti gli esercenti che operano, a qualunque
titolo, all’interno della struttura (con oneri a loro
carico) per il solo rischio di rivalsa (erariale, della
struttura o dell’impresa assicurativa) per il caso di
colpa grave
Estensione dell’obbligo assicurativo
Il nuovo art. 10, 1° co., l. 8.3.2017, n. 24, dispone: «le strutture
sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private devono essere provviste
di copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la
responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso
prestatori d'opera, […] anche per danni cagionati dal personale a
qualunque titolo operante presso le strutture sanitarie o
sociosanitarie pubbliche e private, compresi coloro che svolgono
attività di formazione, aggiornamento nonché di sperimentazione e
di ricerca clinica. La disposizione del primo periodo si applica anche
alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione
intramuraria ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario
nazionale nonché attraverso la telemedicina. Le strutture di cui al
primo periodo stipulano, altresì, polizze assicurative o adottano altre
analoghe misure per la copertura della responsabilità civile verso terzi
degli esercenti le professioni sanitarie […].
Estensione dell’obbligo assicurativo
Prevale in dottrina un’interpretazione estensiva, tesa ad
allargare l’obbligo assicurativo a qualunque evento
dannoso anche solo occasionato dall’ingresso o dalla
presenza fisica in una struttura sanitaria: si pensi, ad es.,
al danno prodotto ad un visitatore folgorato da un filo
elettrico lasciato scoperto a causa di una negligente
esecuzione di un contratto di appalto o d’opera
commissionato dalla struttura. Prima della riforma,
invece, si parlava di un obbligo limitato solo ai danni
determinati dall’esercizio dell’attività sanitaria:
quest’ultimo limite, invece, sembra confermato per i
liberi professionisti.
Estensione dell’obbligo assicurativo
Il richiamo alla rivalsa indica l’ipotesi in cui la struttura o
la compagnia di assicurazione agiscano verso il singolo
responsabile del fatto dopo aver soddisfatto il
danneggiato. Tale possibilità è limitata, dall’art. 9 l.
8.3.2017, n. 24, ai soli casi di dolo o colpa grave e nei
limiti di un massimale, identificato, dall’ult. co. di tale
previsione per i soggetti diversi dall’esercente la
professione sanitaria, ad una «somma pari al triplo del
valore maggiore del reddito professionale, ivi compresa
la retribuzione lorda, conseguito nell'anno di inizio della
condotta causa dell'evento o nell'anno immediatamente
precedente o successivo».
Clausole contrattuali
Gli artt. 10 ss. l. 8.3.2017, n. 24, rinviano ai
decreti delegati per la determinazione del
contenuto delle polizze assicurative. Tali decreti
non sono stati ancora emanati dunque una
valutazione complessiva di questo tema è oggi
ancora impossibile, salvo per quanto attiene
all’estensione temporale della copertura
assicurativa.
Art. 11 l. 8.3.2017, n. 24
Estensione della garanzia assicurativa
La garanzia assicurativa deve prevedere una operatività
temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni
antecedenti la conclusione del contratto assicurativo,
purché denunciati all'impresa di assicurazione durante
la vigenza temporale della polizza. In caso di cessazione
definitiva dell'attività professionale per qualsiasi causa
deve essere previsto un periodo di ultrattività della
copertura per le richieste di risarcimento presentate per
la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti
generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di
efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività
della copertura. L'ultrattività è estesa agli eredi e non è
assoggettabile alla clausola di disdetta.
Ambito temporale di operatività della
copertura
La disposizione non si occupa della durata della
copertura assicurativa, cioè del periodo di
vigenza dell’assicurazione: questa può
continuare ad essere fissata in termini annuali o
pluriennali, nei limiti dell’art. 1899 c.c. e con
l’obbligo (se l’assicurazione riguarda il medico)
della rinnovazione automatica in assenza di
disdetta (art. 3, 2° co., lett. c, decreto Balduzzi,
non abrogato con la riforma).
Ambito temporale di operatività della
copertura
La previsione, tuttavia, impone alla compagnia di
assicurazione di coprire fatti verificatisi prima della
stipulazione del contratto, purché denunciati
durante la sua vigenza e rappresenta una
(problematica) risposta alla diffusione, nella prassi
contrattuale, di clausole tendenti a disarticolare la
copertura dal mero verificarsi dell’evento dannoso
durante il periodo di vigenza, tenendo indenne la
compagnia dal rischio di azioni molto successive alla
fine del contratto.
Art. 1917, 1° co., c.c.
Assicurazione della responsabilità
civile
Nell’assicurazione della responsabilità civile
l'assicuratore è obbligato a tenere indenne
l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del
fatto accaduto durante il tempo
dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in
dipendenza della responsabilità dedotta nel
contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti
dolosi.
Crisi del modello codicistico
Nell’impianto tradizionale della disciplina codicistica,
l’assicurazione copre i fatti accaduti durante la sua
vigenza: non ha alcuna rilevanza il momento in cui questi
fatti sono portati all’attenzione del giudice o della stessa
compagnia di assicurazione. Trattasi di un modello
difficilmente conciliabile con le caratteristiche dei danni
da responsabilità sanitaria, spesso «lungolatenti» e/o
derivanti da condotte del medico reiterate anche dopo il
compimento di un primo errore, specie per la fiducia del
paziente che si decide a lamentare il danno solo quando
la situazione è ormai definitivamente compromessa.
Le prassi contrattuali
Per garantire alle compagnie di assicurazione
maggiore prevedibilità e controllo delle istanze
risarcitorie, agevolando il calcolo probabilistico
che porta alla determinazione del premio, si
sono diffuse clausole tendenti a disarticolare la
copertura dal verificarsi del fatto, estendendola
ad accadimenti verificatisi prima della
stipulazione del contratto, purché denunciati
durante la vigenza dello stesso.
Claims made
Le clausole possono essere
• «pure»: la compagnia copre tutti i danni relativi a
fatti denunciati durante la vigenza della polizza,
indipendentemente dal momento in cui tali fatti
si sono determinati (ferma, naturalmente,
restando la prescrizione);
• «impure»: la compagnia copre i danni relativi a
fatti denunciati durante la vigenza della polizza,
purché tali fatti si siano verificati entro un certo
termine (es. 1-2 anni) dalla stipulazione del
contratto.
Dubbi sulla validità delle pattuizioni
La dottrina ha sollevato numerose perplessità nei confronti di tali pattuizioni,
pur non giungendo mai ad attribuire natura imperativa all’art. 1917, 1° co.,
c.c.
• Autorizzano il calcolo di un premio su un rischio solo putativo, cioè
incentrato sull’eventualità che qualcuno agisca per fatti già verificatisi (e
dunque noti alle parti): l’assenza di alea le renderebbe nulle;
• Assicurano alle compagnie il vantaggio di una sostanziale irresponsabilità
per fatti accaduti durante la vigenza del contratto e non denunciati;
• Rischiano di incentivare – a scapito del cliente – duplicazioni di coperture
per gli stessi fatti
• Costituiscono clausole di decadenza convenzionale, nulle ex art. 2965 c.c.
• Costituiscono clausole vessatorie ex art. 1341 c.c. e sono nulle se previste
a scapito di consumatori
Cass., sez. un., 6.5.2016, n. 9140
La clausola che subordina l'operatività della copertura
assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la
richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia
del contratto o, comunque, entro determinati periodi di
tempo, preventivamente individuati (c.d. claims made mista o
impura) non è vessatoria; essa in presenza di determinate
condizioni, può tuttavia essere dichiarata nulla per difetto di
meritevolezza ovvero, laddove sia applicabile la disciplina di
cui al d.lg. n. 206 del 2005, per il fatto di determinare, a carico
del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli
obblighi derivanti dal contratto; la relativa valutazione, da
effettuarsi dal giudice di merito, è incensurabile in sede di
legittimità, ove congruamente motivata.
La risposta delle S.U.
Dichiarando la derogabilità dell’art. 1917, 1° co.,
c.c., le S.U. (anche con una decisione di poco
successiva alla prima: 2.12.2016, n. 24645)
hanno riconosciuto la piena validità della
clausola claims made pura, sostenendo, invece,
che, per le clausole «impure», è necessario
attribuire contorni di atipicità al contratto, così
da subordinarlo ad una valutazione casistica di
meritevolezza che, in singoli fattispecie, può
giustificare la nullità ex art. 1322, 2° co., c.c.
La risposta delle S.U.
In entrambi i casi, si tratta di clausole determinative
dell’oggetto e non di clausole di limitazione della
responsabilità: non si può dunque predicare una
vessatorietà generale della pattuizione, valida anche
quando il cliente è un consumatore. Semplicemente,
occorre verificare se il lasso temporale indicato in una
clausola «impura» consenta un’effettiva protezione
dell’assicurato o miri a sottrarre la compagnia da ogni
copertura: il che potrebbe, ad es., realizzarsi quando si
richiede che fatto illecito e denuncia si realizzino durante
la vigenza della polizza (es. annuale) dopo la stipulazione
del contratto.
La giurisprudenza successiva
Gli interventi delle S.U. hanno generato un quadro giurisprudenziale
complesso, perché
a) Oscura rimane l’individuazione delle conseguenze derivanti
dall’eventuale accertamento dell’immeritevolezza: nullità e
conseguente applicazione dell’art. 1917, 1° co., c.c. (norma però
derogabile, con conseguente superamento dell’art. 1419, 2° co.,
c.c.); o facoltà del giudice di integrare/correggere la pattuizione,
estendendola a fatti da essa non contemplati se più protettivo per
il clienti?
b) È dubbia la possibilità di delineare vere e proprie presunzioni
(relative) di immeritevolezza, ad es. quando il contratto non
preveda alcuna copertura per il rischio postumo, cioè per fatti
accaduti durante la sua vigenza e denunciati dopo. La clausola
sottrae la compagnia al ristoro e, dunque, fa cadere sul terzo
danneggiato il rischio di non poter più contare sull’assicurazione?
Cass., 28.4.2017, nn. 10506 e 10509
È un patto atipico, immeritevole di tutela ai sensi dell’art.
1322, 2° co., c.c., la clausola c.d. claims made inserita in
un contratto di assicurazione della responsabilità civile
stipulato da un'Azienda ospedaliera (per effetto della
quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il
danno causato dall'assicurato, quanto la richiesta di
risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo
di durata dell'assicurazione), in quanto realizza un
ingiusto e sproporzionato vantaggio dell'assicuratore,
ponendo l'assicurato in una condizione di indeterminata e
non controllabile soggezione.
Esclusione del postumo
Secondo la III sezione della Cassazione, è necessario
applicare rigidamente l’art. 1917, 1° co., c.c., a seguito
della dichiarazione di nullità della clausola, così da
limitarne l’operatività ai soli fatti accaduti durante la
vigenza della polizza, indipendentemente dalla data della
denuncia: ma ciò potrebbe privare di copertura fatti
capitati prima e denunciati solo in seguito. Occorre,
inoltre, fissare una presunzione di immeritevolezza della
clausola che escluda il postumo, cioè che non assicuri al
cliente il diritto di invocare la copertura per fatti
accaduti durante la vigenza del contratto e denunciati
successivamente.
La riformulazione della clausola
Nell’ultimo intervento del giudice di legittimità,
la clausola «impura» è di fatto
(imperativamente) riscritta: può stabilire un
limite di retroattività (fatti accaduti fino a 1-2
anni prima della stipulazione) ma non può
escludere che la denuncia di quei fatti
successiva alla fine del periodo di vigenza
imponga comunque l’attivazione della garanzia,
il che segna la fine di quella certezza che aveva
giustificato la formulazione della clausola.
La nuova disciplina
L’art. 11 l. 8.3.2017, n. 24, regola una fattispecie
finora disciplinata solo dalla clausola claims made
«impura»: mediante una previsione imperativa,
obbliga la compagnia a coprire fatti accaduti prima
della stipulazione del contratto, purché denunciati
durante la stessa. Non menziona l’obbligo di
copertura del postumo se non nel caso in cui il
professionista abbia cessato la sua attività (sunset
clause): dunque la mancata copertura del postumo
è diventata (incondizionatamente) valida?
La nuova disciplina
L’inserimento della clausola claims made è
divenuto oggi obbligatorio per tutti i contratti di
assicurazione regolati dall’art. 10 l. 8.3.2017, n.
24. Le parti rimangono libere di scegliere solo il
modello «puro» (incondizionatamente valido)
o quello «impuro» (che, però, non può avere
termini inferiori ai 10 anni). Su quali basi si può
continuare ad ipotizzare una nullità
generalizzata di tale pattuizione?
La nuova disciplina
La formulazione letterale dell’art. 11 l. 8.3.2017, n. 24,
peraltro solleva un dubbio nella parte in cui –
limitatamente a tutti i contratti – parla di fatti «denunciati
all’impresa di assicurazione», evocando, invece, le
«richieste di risarcimento» esclusivamente per il caso
della cessazione definitiva dell’attività professionale. Se
tale formulazione fosse portata alle estreme
conseguenze, la compagnia risponderebbe, nel primo
caso, anche di fatti solo denunciati ancorché non
abbiano formato oggetto di vere e proprie richieste
risarcitorie nel periodo di vigenza della polizza.
Deeming clause
Immaginiamo che il dott. Tizio, assicurato, abbia il
timore che una certa sua condotta possa dar luogo
ad una richiesta risarcitoria e proceda dunque a
denunziare l’accaduto alla compagnia di
assicurazione, che, naturalmente, non fa seguire a
questa denuncia alcuna reazione (visto che l’evento
ipotizzato – cioè la richiesta risarcitoria – non è in
realtà avvenuto). Cessato il periodo di vigenza della
polizza, il danneggiato formula la richiesta verso
Tizio: risponde ancora la compagnia?
Deeming clause
Stando alla formulazione letterale dell’art. 11,
sembrerebbe di sì, ma una parte considerevole
della dottrina lamenta l’assurdità di questo
rilievo, sottolineando che, in tal modo, sia pure
indirettamente, si creerebbe una garanzia del
postumo destinata a generare disparità di
trattamento. Si deve dunque intendere la prima
parte della norma come incentrata sulla
«richiesta di risarcimento» esattamente come la
seconda parte?

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