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Appunti

Semiologia

L’opera musicale (il testo) è in realtà un insieme di strategie, di processi che l’hanno generata.
L’intero complesso di articolazione si divide su 3 livelli, tre modalità d’esistenza:
Livello poietico - Livello neutro - Livello estesico.
• Ci sono diversi gradi di «focalizzazione» dell’opera: l’oggetto in sé (posizione strutturalista), l’atto compositivo
(insieme di condizioni che ruotano intorno alla sua creazione), il momento percettivo, quello della fruizione.
• E’ necessaria la conoscenza della storia, della cultura, dei fatti. Necessaria l’analisi per capire come l’opera
funziona al suo interno.
• Per opera musicale intendiamo la genesi. La sua organizzazione interna. Il momento percettivo. Il corredo di
discipline (più o meno specialistiche) che ci aiutano a «viverla», più ancora che studiarla. L’intero complesso di
teorie pratiche, metodologiche ed epistemologiche si chiama Semiologia musicale.
Una teoria semiologica
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La definizione-base in semiologia è il concetto di segno.
•
Dice Fernand de Saussure, linguista e semiologo svizzero (1857 - 1913) nel suo Cours de linguistique générale
che «Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome, ma un concetto e un’immagine acustica».
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Jean-Jacques Nattiez (1945- viv.) semiologo, etnomusicologo francese propone invece di
sostituire concetto e immagine acustica con significato e significante.
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 Dice Saussure che la relazione tra queste due identità è caratterizzata dal rinvio: il rinvio è detto anche semiosi.
Ne aveva già parlato sant’Agostino: aliquid stat pro aliquo (c’è qualcosa che sta per qualcos’altro).
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Primo problema: la relazione è arbitraria, mai stabile, certa e univoca (persino nel linguaggio, figuriamoci nella
musica). In francese soeur è una sequenza di suoni (significante) che potrebbe essere anche diversa.
• Questione complessa (già per Saussurre): ogni segno è caratterizzato dal suo valore. In
realtà in una lingua il valore dei termini «non risulta che dalla presenza simultanea degli altri». Noi potremmo dire
che il segno (e il valore del segno) è dato dalla compresenza di tutti gli altri elementi di un messaggio. Un unico
segno all’interno del messaggio non avrebbe alcun significato.
• Anche nella lingua è sempre complicato (e ambiguo) far coincidere il significante con il suo significato. Facciamo
l’es. della parola bonheur e pensiamo all’infinità di sfumature percettive (felicità, benessere, serenità) che mette
in gioco. Tutto insomma dipende sempre dal contesto. Anche in italiano o in un’altra lingua ovviamente non
cambia.
•
Nattiez preferisce rifarsi al filosofo americano Charles Sanders Peirce (filosofo e semiologo americano vissuto
dal 1839 al 1914) e al francese Gilles-Gaston Granger, filosofo francese (1920 - 2016). Potremmo sintetizzare così:
Il rapporto tra un segno e l’oggetto dà luogo a una serie di Interpretanti che dipendono dai vari contesti e che sono
potenzialmente numerosi, infiniti. In particolare Nattiez, riprende le teorie di Peirce. «Ogni segno non rinvia in
maniera diretta a un oggetto, ma si avvale dell’azione intermediaria di un secondo segno che è il suo interpretante,
e così fa questo con un altro interpretante che a sua volta è segno, all’infinito». In pratica abbiamo una cascata,
potenzialmente infinita di interpretanti.
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Nattiez scrive che il pensiero di Peirce è oscuro, complesso e spesso contraddittorio. Poi però cerca di
semplificare dicendo: il segno in pratica è come il significante di Saussurre. «La parola segno indica l’immagine
acustica», dunque «il segno rinvia ad altro da sé, per qualcuno». Ma «l’interpretante è anche un segno», perché?
Perché il rimando effettuato da un segno è infinito e gli interpretanti sono potenzialmente infiniti, non uno
soltanto: tutto dipende da codici e sistemi di interpretazione che possono cambiare nel tempo e nello spazio.
Quindi a loro volta sono anch’essi dei segni. Esiste un’infinita molteplicità di interpretazioni (insite nell’oggetto)
che gli interpretanti cercano di definirlo. Ancora es. del concetto di bonheur. Importante ciò a cui il segno rinvia è
il vissuto dei suoi fruitori.
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Dice appunto Nattiez che alla fine chiamiamo forma simbolica «un segno e un insieme di segni al quale sia
collegato un complesso infinito di interpretanti».
Il significato
•
Che cos’è la semiologia? «Lo studio dei campi costituiti da segni, cioè «da oggetti che
rimandano a qualcosa per qualcuno». Ma il solito problema è l’ambiguità della musica. Dice Imberty «Il senso (o
significato) musicale si perde nei significati verbali, troppo specifici, che alla fine lo tradiscono». Noi diremmo,
troppo vaghi o troppo specifici lo tradiscono.
• La semiologia non riguarda soltanto l'opera in sé, ma i vari parametri musicali che l'opera
utilizza (melodia, ritmo, il metro, l'armonia, il timbro, più in là il concetto di forma e di stile) con un discorso sulla
musica che diventa metalinguaggio. In questo senso il discorso verbale (forma simbolica del fatto sonoro) fa da
intermediario fra la musica e i suoi rispettivi parametri.
Significato musicale per Nattiez:
1) qualcosa di non definibile, né di paragonabile a quello linguistico.
2) il frutto di apprendimento nella relazione tra oggetto e vissuto di chi lo interpreta: «un oggetto qualsiasi assume
un significato per un individuo che lo apprende, quando egli lo mette in relazione con ambiti del suo vissuto (cioè
la sua esperienza del mondo)».
Analisi del livello neutro:
lo studio deve precedere l’analisi del livello neutro che può fornire una descrizione oggettiva, cioè un’analisi delle
sue proprietà, delle sue configurazioni immanenti e ricorrenti.
Per Granger «il significato di un oggetto è la costellazione degli
interpretanti attinti dal vissuto dell’utente del segno». Nel linguaggio il significato di una parola dipende dal suo
contesto di riferimento. La stessa cosa avviene anche nella musica: il significato/senso della musica cambia in
relazione al suo contesto di utilizzo.
La tripartizione semiologica , 3 livelli simbolici:
1) la dimensione poietica (anche se può essere priva di una sua intenzionalità); 2) il livello neutro o materiale ovvero
la traccia accessibile ai sensi o materiale); 3) la dimensione estesica: davanti a una forma simbolica i ricettori vi
assegnano uno o più significati.
1) Il processo poietico (legato alla creazione dell’opera, cioè all’emittente) che è l’insieme delle strategie grazie
alle quali, alla fine dell’atto creativo, rimane una cosa prima non esistente, vale a dire l’opera oggetto dell’analisi
poietica. 2) Livello o processo neutro, l'oggetto musicale: l'opera, che può essere analizzata in quanto 'testo', cioè
dal punto di vista della sua organizzazione interna o “immanente” (tenendo conto del fatto che la partitura di
un’opera letteraria o musicale non diventa pienamente un’opera fin quando non viene letta o eseguita). La
descrizione dell'opera è su questo livello “neutra” perché può essere sviluppata senza tener conto dei livelli
poietici o estetici, ovvero, nelle parole di Nattiez, non deve esservi necessariamente pertinenza poietica o estesica.
3) Il processo estesico (legato alla percezione dell’opera, cioè al ricevente) : è l’insieme delle strategie messe in
atto dal ricevente durante la percezione del prodotto dell’attività poietica ed è oggetto dell’analisi estesica.
Obiettivo del modello di tripartizione semiologica è vedere come le teorie e i metodi di analisi (ad es. di melodia,
ritmo, armonia) entrano in contatto con la superficie semantica del concetto che designa lo stesso parametro. A
tal fine Nattiez si serve della definizione di nodo o intreccio: I fatti della storia non esistono isolatamente, ma è
l'intreccio della storia a determinare il senso e le molte, infinite e possibili interpretazioni nel corso del tempo: su
questa base, il teorico (ma anche l'interprete e più in generale il pubblico) propone la sua spiegazione dei fenomeni
musicali.
Nattiez arriva così a formulare il cosiddetto «Principio trascendente delle teorie» che è appunto il principio
secondo il quale il singolo fruitore percepisce un determinato fatto musicale, analizzato e recepito secondo la sua
visione del mondo, vale a dire in una dimensione antropologica.
Nattiez si serve delle teorie dell'antropologo e sociologo francese Marcel Mauss: Mauss (1872 - 1950) è stato un
antropologo, sociologo e storico delle religioni francese, massimo esponente della scuola di Émile Durkheim. I suoi
studi si concentrano soprattutto sulla magia, il sacrificio e sullo scambio del dono.
In base a ciò la musica va considerata come un «fatto sociale totale»: vale a dire che nella sua piena accezione
sociologica e antropologica si staglia in una visione globale della cultura, in tutte le sue parti.
• Étienne Gilson (1884 - 1978) filosofo francese e studioso della metafisica dell'essere divideva la poetica in : 1)
Riflessione su cosa fare per produrre l’oggetto. 2) Operazione (pratica) sulla materia esteriore. 3) Produzione
(vera e propria) dell’opera.
• Jean Molino, semiologo, ex-allievo di Nattiez, professore all’Università di Losanna, preferisce fare invece un
esempio applicato alla poesia; ma noi potremmo applicarlo direttamente alla musica: 1) Studio delle tecniche
e delle regole retoriche e poetiche ; 2) Analisi delle strategie particolari di produzione ; 3) Studio
dell’intenzione dell’autore
4) ricostruzione delle valenze espressive.
Definizione di semiologia:
La semiologia non è la scienza della comunicazione, ma lo studio della specificità del funzionamento delle forme
simboliche e dei fenomeni del rinvio cui esse danno luogo.
Programma semiologico: come applicarlo alla musica: E’ composto da 3 oggetti:1) I processi poietici; 2) processi
estesici 3) l’opera nella sua realtà materiale/processo neutro (partitura, testo stampato, traccia sonora, tape
elettronico...).
Semiologia e comunicazione : Dunque Molino sembra recuperare lo schema classico della comunicazione:
Emittente > Messaggio > Ricettore. Che in realtà va adattato a: Processo poietico > < Processo estesico. La traccia
lasciata dal poietico può non essere recepita ! Non è detto che abbia vocazione alla comunicazione. Ad esempio
nella musica, in una fuga, non è detto che soggetto e controsoggetto vengano riconosciuti dall’ascoltatore.
Arriviamo così a Roman Jakobson, semiologo e linguista russo. Il suo schema prediletto è il seguente: Contesto >
Emittente / Messaggio / Destinatario > Contatto / Codice.
Per Umberto Eco, uno dei padri della semiologia internazionale, semiologo e
scrittore (1932 - 2016): parlare di logica equivale a parlare di struttura. La cultura è un groviglio eterogeneo, ma
la struttura permette di apportare un po’ di ordine. Le strutture possono essere descritte grazie all’identificazione
di codici. Il codice istituisce una corrispondenza tra significante e significato. Eco annota che c’è una discrepanza
possibile tra poietico ed estesico: cioè i codici tra
emittente e destinatario possono non coincidere. Ancora, per lui in un individuo o in un gruppo possono esistere
anche dei sotto-codici. Cioè il medesimo messaggio può essere interpretato da tanti punti di vista. Vale a dire che
il ricettore può assegnare altre connotazioni che l’emittente non aveva affatto previsto. Ovvio. (ma questo ovvio
aggiunto a caso ??? )
Nella Struttura assente, Umberto Eco delinea due linee di percorso:
si può fare appello a una descrizione di apparati semiotici come sistemi chiusi, rigorosamente strutturati, visti con
un taglio sincronico 2) proposte di un modello comunicativo secondo un processo «aperto», nel quale il messaggio
varia a seconda dei codici che vengono messi in campo, delle ideologie e delle circostanze.
La semiotica cognitiva
Un altro persistente riferimento per gli studiosi di semiologia è sempre stato Sanders Peirce (1839–1914): per lui
la logica « è solo un altro nome per semiotica, la formale dottrina dei segni ».
Molti studiosi sono andati a rintracciare le lontane origini di questo filone di pensiero, trovandole in un trattato di
John Locke scritto nel 1690, An Essay Concerning. Quando Locke parla di «Human understanding», scrive che «Il
compito del pensiero è di considerare la natura dei segni di cui fa uso la mente per l'intendimento delle cose. Ma
poiché le cose che la mente contempla - non essendo mai, tranne la mente stessa, presenti all'intelletto - è
necessario che qualcos’altro, come un segno o una rappresentazione della cosa considerata, sia presente alla
mente».
Giovanni Manetti riflette su Locke e si domanda e riflette: 1) «Come si può definire la conoscenza? - Come un
processo inferenziale che si serve dei segni. Fallibile, ma perfezionabile. Il solo pensiero che è possibile conoscere
è, senza eccezione, il pensiero in segni. Perciò ogni pensiero deve necessariamente essere pensiero di segni. 2)
Che cos è un segno? E' qualcosa che sta per qualcuno al posto di qualcos'altro, sotto certi aspetti o capacità. 3)
ogni pensiero è un segno, ogni pensiero-segno è tradotto o interpretato in un successivo pensiero segno.

TRIANGOLO DELLA SIGNIFICAZIONE: • Segno • Interpretante
•Oggetto (Dinamico / o Immediato)
Il punto di partenza della semiosi (cioè del processo di creazione, di formazione del significato) è la realtà esterna:
l'Oggetto Dinamico. L'Oggetto Dinamico potremmo definirlo come il dato più esplicito dell'esperienza, di per sé
inconoscibile.
Esiste dunque una differente sfumatura fra IMMEDIATO e DINAMICO
L'Oggetto Immediato però non corrisponde all'Oggetto Dinamico: vale a dire che il primo è quello che ci appare
dopo che abbiamo fatto intervenire il segno per interpretarlo. Il secondo invece è l'oggetto di per sé, quello
presente nella realtà. Questo accade perché un segno (un representamen) rappresenta qualcosa sempre da un
determinato punto di vista.
Peirce chiama “ground” l'aspetto dell'Oggetto Dinamico che viene colto e veicolato da un determinato
Representamen.
SEMIOSI ILLIMITATA : Qualsiasi segno è passibile di dare il via a una catena teoricamente infinita di interpretazioni
e di traduzioni. Tale fuga degli interpretanti teoricamente infinita trova però il suo compimento (almeno
transitorio) in un interpretante logico finale.
Esempio: l'immagine di un papero (generica, presa dalla natura) viene associata al papero giocattolo di plastica
gialla e quindi all'icona disenyana di Walt Disney (Paperino).
CONCETTO DI SIMBOLO. Che cos’è? Esistono varie definizioni, che cambiano a seconda del linguista. La
migliore è quella data da J.J.Nattiez: la forma simbolica è la capacità della musica (come di altre forme artistiche)
di dar luogo ad una complessa e infinita rete di interpretanti.
Applicazioni al linguaggio musicale : Nell'assimilazione del sistema di codici, esiste un sistema di sovrapposizioni
probabilistiche, che varia all'infinito. Ad es. La forma sonata rappresenta un sistema di probabilità che funziona
con succedersi e il sovrapporsi di temi, ma anche con il ritorno di determinate risoluzioni. In termini di probabilità
il ritorno del materiale è altissimamente probabile, tanto sulla piccola dimensione (temi, armonie, sviluppi) quanto
sulla grande cornice (Esposizione/Sviluppo/Ripresa). C'è un sistema di ordine prestabilito che è fatto di
ridondanza. Vale a dire di un (non banale perché è Mozart) ritorno delle probabilità. Viceversa ci sono sistemi
musicali dove il livello della probabilità è molto basso, quasi inesistente: ad esempio nelle mille costellazioni di
suoni di un brano di Webern, che segue coordinate diverse. Webern utilizza la serie dodecafonica, che è un campo
di codici prevedibili soltanto se letti all'interno di un determinato sistema (la dodecafonia) non percepibile
all'ascolto. «Ho trovato una serie (dodici suoni) che già in sé stessa contiene una quantità di rapporti interni, dei
dodici suoni tra loro» scrive Webern.
L’approccio semiologico di Gino Stefani: Nel suo saggio Introduzione alla semiotica musicale Stefani analizza il
fenomeno musicale come segno, comunicazione e linguaggio, puntando lo sguardo alla significazione in musica,
considerando i suoi aspetti culturali e sociali. Segno/Comunicazione/Linguaggio costruiscono una struttura
sincronica che interagisce con le istituzioni collettive, le regole e le dinamiche sociali e tutte le componenti relative
(rapporto con le altre arti, editoria, gusti del pubblico); ma è anche una struttura diacronica che si evolve nel corso
del tempo. A Stefani interessa individuare i comportamenti culturali della società.
Non la valenza creativa del singolo individuo-compositore, né le intuizioni personali: piuttosto appunto i codici
generali (invece delle singole opere che li applicano). Pertanto la semiotica studia il funzionamento del segno nella
società di massa, individuando i codici sociali forti più evidenti.
Il guaio per Stefani è che la cultura dominante non riconosce il rapporto fra il suono materiale in sè e il suo
significato. E questo è riscontrabile nella dissociazione esistente fra analisi e critica: da una parte i compositori
focalizzano l'attenzione sul significante della musica (la sua scorza) senza preoccuparsi del suo significato, dall'altra
i critici fanno un discorso metalinguistico, descrivendo a parole quello che avviene nella musica. E invece
l'osservazione dei fenomeni musicali è possibile, pur senza produrre delle teorie assolute.
La musica contiene segni che sono interpretabili a tutti i livelli della sua organizzazione materiale. Ogni livello
rimanda alla realtà esterna: dunque il compito della semiotica musicale potenzialmente infinito.
Stefani fa leva sulla teoria della comunicazione del linguista Roman Jakobson. In questo senso la musica
(come il linguaggio) può avere diverse funzioni:
Funzione emotiva, evidente quando si fa attenzione al mittente dell'atto di comunicazione. La funzione emotiva
è attiva quando il messaggio è incentrato sul mittente, sui suoi stati d'animo, atteggiamenti, volontà ecc. E’
segnalata attraverso l'uso della prima persona nei verbi e pronomi personali o pronomi e aggettivi possessivi. Può
dare un'impronta al tono di un romanzo, in modo tale che il protagonista diventi l'io narrante. Il mittente controlla
con precisione questa funzione; egli infatti deve sapersi esprimere e parlare di sé.
Funzione fàtica, legata al canale attraverso il quale passa il messaggio. La funzione fàtica (dal latino fari =
pronunciare, parlare) consiste in quella parte della comunicazione atta al controllo del canale attraverso cui si
stabilisce la comunicazione, con espressioni mirate alla verifica del suo funzionamento, come quando al telefono
si dice “pronto?” O quando si fanno le prove del microfono e degli amplificatori prima di uno spettacolo. Lo scopo
è di stabilire, mantenere, verificare o interrompere la comunicazione. E’ facilmente evidenziabile, a fianco di quella
primaria (comunicativa e referenziale in senso stretto), nel linguaggio degli SMS, appannaggio soprattutto di
culture giovanili e adolescenziali.
Funzione conativa, legata al destinatario che partecipa alla comunicazione con una sua
reazione. Detta anche persuasiva, è attiva quando il mittente si rivolge esplicitamente a questo, attraverso il modo
imperativo, i verbi o i pronomi e aggettivi possessivi o i pronomi personali alla seconda persona, o il punto
interrogativo. Improntati a tale funzione sono i testi di carattere supplicatorio (preghiere) e parenètico (di
esortazione), gli ordini o i consigli, o testi di carattere giuridico (leggi, decreti, regolamenti ecc.).
Funzione poetica, legata al messaggio stesso e maggiormente evidente nel linguaggio estetico. E’ attiva quando il
messaggio è incentrato su sé stesso, nel senso che è presente una certa complessità che impone una
decodificazione completa da parte del destinatario, che deve essere attento a cogliere il senso denotativo nella
sua interezza e anche, ove presente, un eventuale senso connotativo.
Funzione metalinguistica, legata al codice condiviso tra mittente e destinatario perché si produca significazione.
Ogni messaggio è una manifestazione del codice in base al quale è formulato, e quindi del rapporto che hanno con
questo codice gli interlocutori. Può avere funzione metalinguistica una formula come «C'era una volta» all'inizio
del racconto di una fiaba, proprio perché instaura e rimanda a un codice di finzione e a una probabilità
condizionata.
Funzione referenziale, legata al contesto in cui si svolge la comunicazione. Consiste nel riferimento,
preferibilmente preciso e puntuale, al contesto spazio-temporale in cui avviene la comunicazione o comunque
l'azione di cui si parla. La poetica è la più importante è ovviamente
quella più importante per il linguaggio musicale (tanto quanto quella referenziale lo è per il linguaggio verbale).
Vista in quest’ottica l'opera musicale ha le stesse caratteristiche del messaggio poetico: è principalmente ambigua
e autoreferenziale. Più queste due caratteristiche sono presenti, più l'opera è complessa. In questo senso non è
autonoma, ma governata da leggi esterne.

L'inserimento della musica in un contesto sociale ci permette di inserirla in un contesto di comunicazione, che
passa attraverso i tre stadi di emissione: messaggio - percezione, o anche produzione; oggetto; consumo. Per
Stefani ogni codice può essere debole o forte, vale a dire meno definito o fortemente definito, a seconda del
diverso tipo di funzione sociale che assume.
Per lui l'analisi strutturale deve andare alla ricerca di un modello che faccia interagire le modalità dell'espressione
e con quelle del contenuto: nella musica è presente in misura maggiore il contenuto emotivo, rispetto a quello
cognitivo. Ma l'obiettivo finale è quello di analizzare il significante (gli aspetti materiali) e il significato (il suo senso
possibile) come due facce della stessa medaglia, attraverso lo studio dei fatti culturali. Per Stefani esiste anche un
rapporto tra
semiologia della musica e psicologia cognitiva. In questo senso la competenza musicale necessita di un certo
numero di capacità cognitive: memoria, mantenimento dell'attenzione, analisi della struttura ritmica sono tutte
proprietà e abilità umane che vengono acquisite sin dalla prima infanzia, in una reciproca interazione di capacità
naturali e ambientali/culturali. L'analisi della melodia passa attraverso specifici meccanismi cognitivi:
principalmente la codificazione dell'altezza (rispettivamente il contorno e l'elaborazione degli intervalli) e la
percezione temporale della melodia.
Da un punto di vista cognitivo è stato anche rilevato che la musica (come il linguaggio verbale) assicura una
coesione del gruppo sociale, ha dunque un ruolo di estrema importanza in tutte le società umane. Come afferma
Daniele Schön nel suo saggio di Psicologia della Musica vengono chiamate in causa capacità cognitive diverse,
proprio come nel linguaggio. Ci sono differenti gradi: livello fonetico-fonologico (fonetica e prosodia), livello
morfosintattico (combinazione dei fonemi in morfemi e dei morfemi in parole), livello sintattico (regole che
definiscono le relazioni tra parole) e livello lessicale-semantico (rimando al significato). Le analogie sono le stesse,
anche a livello di memoria operativa. Ma - diremmo noi - è diverso il meccanismo di attribuzione del significato.
Le regole della grammatica musicale sono molto più ambigue e flessibili, rispetto a quelle del linguaggio: assai più
rigide, mentre l'ambiguità in musica è un elemento fondamentale in termini di attribuzione di senso.
L'elaborazione del contorno (la melodia sale o scende, oppure procede per gradi congiunti o frastagliata) non
implica grosse differenze percettive tra musicisti e non musicisti, mentre il riconoscimento degli intervalli musicali
ovviamente sì. Inoltre manca nel linguaggio la sovrapposizione di fonemi o parole in direzione verticale: cosa
impossibile, in quanto arriverebbe ad oscurare completamente la chiarezza del messaggio. In compenso la musica
non ha regole certe per l'attribuzione di un significato. Noi diremmo: un suono stridente non è generalmente
associato a qualcosa di sgradevole. Se c’è una variante temporale che permette si spalmare la dissonanza e di
intensità che ne modera la forza può assumere anche un significato diverso.
Altra analogia tra musica e linguaggio è quella di creare un’aspettativa, rispetto ad altri meccanismi semiologia.
Una sequenza di note (o di parole) ci suggerisce un proseguimento secondo un grado di prevedibilità (si vedano
anche gli studi di Leonard Meyer, a metà degli anni Cinquanta). John Sloboda nel suo volume La mente musicale
in realtà (utilizzando anche teorie desunte dalle analisi di Schenker e dalla psicolinguistica di Noam Chomsky)
asserisce che “tra la musica e il linguaggio le tre caratteristiche di fonologia, sintassi e semantica sono condivisibili
e hanno caratteristiche simili piuttosto evidenti.”. Chomsky dice che tutti i linguaggi naturali (e la musica lo è)
hanno la stessa struttura. E inoltre Schenker aggiunge che tutte le «buone composizioni musicali hanno in fondo
la stessa struttura». Altro elemento comune fra il linguaggio e la musica (oltre al medium di trasmissione,
uditivo-vocale) è la capacità in entrambe le discipline di creare un numero illimitato di nuove sequenze. Sloboda
per es. sottolinea anche le possibili differenze tra cultura e cultura, «anche se vi sono dei vincoli universali a cui
entrambe non possono sottrarsi». E aggiunge che c’è una struttura profonda di un enunciato (linguistico o
musicale) che nell'uomo ha la stessa forma, gli stessi requisiti prelinguistici.
Ugualmente nella musica certi requisiti (al di là delle conoscenze diverse e della culture) sono molto simili: ad
esempio, dice Sloboda «uno schema molto astratto che custodisce o conserva solo quelle caratteristiche che tutte
le musiche hanno in comune». Altra similitudine. Nel linguaggio ci sono dei fonemi (ad esempio nella parola cane
ci sono 4 fonemi, uno per ogni lettera) che non hanno valori specifici in termini assoluti, ma rappresentano una
gamma di suoni di certe dimensioni. Tuttavia il continuum di suoni viene suddiviso in modo diverso, a seconda
delle varie lingue (suoni che in una certa lingua vengono suddivisi, in un'altra si trovano uniti, e questo spiega la
difficoltà a capire una lingua diversa dalla nostra). In musica il fonema è la nota che ha (ugualmente al fonema del
linguaggio) parametri di frequenza, di durata e anche di intensità. Sloboda fa anche notare come secondo la teoria
dell'associazione extra-musicale le persone difficilmente riescono a ricordare parola per parola ciò che sentono o
leggono. Si coglie spesso il senso generale: e questo avviene appunto in entrambi i linguaggi.
Deryck Cooke si chiede: « Cosa ci permette di formulare un tipo di significato nella musica? Quali sono i meccanismi
per i quali (in un dato contesto) la musica si carica di significazioni?»
1) In certi contesti, la musica può riprodurre degli effetti o dei segnali «esterni». (es. il canto degli uccelli).
2) Tuttavia - dice Cooke - gli intervalli della scala diatonica indicano delle qualità emotivediverse (ad es, terza
maggiore: piacere: quinte e ottave: neutralità) il tutto in una rete di relazioni e di combinazioni intervallari che
riflette sostanzialmente il linguaggio tonale. Dunque certi motivi / incisi / andamenti musicali sono più adatti di
altri per scatenare determinate emozioni.
Tuttavia gran parte delle associazioni dipendono dal contesto culturale: alcune sono innate, biologiche, altre
acquisite, culturali (es, il bianco per noi è il colore della purezza, per i giapponesi quello del lutto).

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