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CLASSICI DELLA FILOSOFIA: TIMEO

Platone (Atene 428/7 a.C. – 348/7 a.C.)


1) tetralogia: Eutifrone, Apologia, Critone, Fedone.
2) tetralogia: Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico.
3) tetralogia: Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro.
4) tetralogia: Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti.
5) tetralogia: Teage, Carmide, Lachete, Liside.
6) tetralogia: Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone.
7) tetralogia: Ippia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno.
8) tetralogia: Clitofonte, Repubblica, Timeo, Crizia.
9) tetralogia: Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere.
 Le Leggi sono considerate l’ultima opera di Platone, prendendola come campione è stato possibile
datare cronologicamente gli altri dialoghi, applicando la tecnica stilometrica insieme ad altri studi
linguistici e storici:
o Dialoghi giovanili (399 a.C. – 387 a.C.) comprendenti l’Apologia, Critone, Ione, Eutifrone, Carmide,
Ippia maggiore, Ippia minore e Protagora.
o Dialoghi della maturità (387 a.C. – 367 a.C.) comprendenti Gorgia, Menone, Fedone, Eutidemo,
Clitofonte, Repubblica, Cratilio, Simposio e Fedro.
o Dialoghi della vecchiaia (365 a.C. – 348/7 a.C.) comprendenti Teeteto, Parmenide, Sofista, Politico,
Filebo, Timeo, Crizia e Leggi.
 A questo elenco vanno aggiunte 13 Lettere, la più importante la Lettera VII che contiene una sorta di
autobiografia di Platone; ci sono pervenuti altri scritti a suo nome che però sono considerati apocrifi.
Introduzione del Timeo
 Il Timeo è un dialogo sulla natura, che ha in comune con tutti gli altri dialoghi della vecchiaia il fatto che
si facciano vedere le idee in una dimensione più dinamica e si evidenzino i rapporti che intercorrono tra
le idee stesse (il Sofista) e tra idee e cose (il Parmenide). Il Timeo in linea di principio doveva offrire,
insieme con il Crizia (mutilo) e forse con l’Ermocrate (mai scritto), un quadro complessivo che
permettesse di fondare con quei tratti ideali, e in qualche misura utopici, della città perfetta che
Socrate aveva presentato nella Repubblica. Infatti, solo a condizione di mostrare che l’universo e i
viventi che lo popolano manifestano una qualche forma di equilibrio, armonia e perfezione, sarà
possibile la fondazione di una città perfetta: concretamente e storicamente credibile. Timeo discuterà
della “natura dell’universo, cominciando dall’origine del cosmo e finendo alla natura dell’uomo”. Nel
Timeo si parla in modo particolare del rapporto idee-cose e Platone si occupa del mondo fisico, a tal
punto, che non è sbagliato definire il Timeo libro fisico. Infatti, Platone non si era ancora praticamente
occupato del mondo sensibile se non per affermare che è una pallida copia del mondo delle idee e per
evidenziare la sua inferiorità rispetto al mondo intellegibile: di fatto “il filosofo si muove tra le idee”.
I personaggi del Timeo
 I partecipanti nel Timeo sono quattro: Socrate, Ermocrate, Crizia e Timeo, impersonificato da Platone,
che conduce senza interruzioni, un esame che perde via via ogni caratteristica dialogica, per assumere
piuttosto una forma narrativa. Il personaggio di Timeo, è originario di Locri e ha ricevuto dai suoi
concittadini le più importanti cariche pubbliche, motivo di grandi onori. Non abbiamo altre informazioni
storiche certe, lo stesso vale sul “pitagorismo” di Timeo su cui va mantenuta estrema prudenza. Il
personaggio di Ermocrate è, molto probabilmente, il generale siracusano morto nel 407 a.C., mentre il
personaggio di Crizia suscita alcune difficoltà dal punto di vista cronologico. Tradizionalmente si è
voluto vedere in questo Crizia lo zio di Platone, ma ciò è inverosimile per la sua data di nascita. Dunque,
è stata avanzata l’ipotesi che il Crizia del Timeo, sia un altro Crizia di uno o due generazioni più anziano
dell’omonimo tiranno.
La collocazione del dialogo
 Bisogna pensare che la conversazione narrata nel Timeo si sia tenuta intorno al 435-425 a.C., quando
entrambi gli interlocutori avrebbero effettivamente avuto la possibilità di conoscersi e incontrarsi. Il
Timeo dice che l’incontro ha luogo in occasione delle Panatenee, le feste in onore di Atena. Socrate
intraprende, all’inizio del dialogo, un riassunto della conversazione “sulla città e sulla costituzione”, che
ricorda molto da vicino quello condotto nella Repubblica. Sembra, dunque, che Platone abbia voluto
stabilire un’ideale di continuità fra l’argomento della Repubblica e quello del Timeo. Ma come
sappiamo, Platone, fornisce spesso una serie di informazioni, relative alla determinazione del contesto
dei suoi dialoghi, che non sempre manifestano un’assoluta coerenza. Quest’ambiguità non rappresenta
un “errore” ma un’intenzione di Platone, che fa parte del gioco dialettico dei discorsi. Il Timeo
appartiene all’ultima fase della riflessione di Platone, dunque, composto fra il 360-350 a.C., dopo il
Teeteo, il Parmenide e il Sofista. In ogni caso i personaggi del dialogo appaiono sensibilmente diversi da
quelli abitualmente messi in scena da Platone, lo stesso Timeo può ben essere un’invenzione letteraria.
La Callipolis e il mito di Atlantide
 Socrate ricorda l'organizzazione dello stato ideale nella Repubblica: la divisione rigorosa fra le classi
sociali, l'unicità della funzione per ciascun cittadino, la presenza di un corpo di difensori, l'importanza
del percorso educativo (musica e ginnastica), l'abolizione della proprietà privata e della famiglia
sostituita dal possesso comune delle donne e dei figli. Socrate vorrebbe un esempio concreto di una
simile organizzazione ideale, storicamente realizzabile, per questo Crizia, incoraggiato da Ermocrate,
comincia a narrare un episodio accaduto novemila anni addietro raccontato da suo nonno, che a sua
volta lo apprese da Solone (uno dei sette sapienti). Solone, durante un viaggio in Egitto, ebbe modo di
parlare con dei sacerdoti egiziani che gli raccontarono alcuni aneddoti storici della città di Atene, prima
del diluvio e cioè di novemila anni prima. Questi sacerdoti raccontarono a Solone di un Atene forte e
perfetta sia dal punto di vista delle leggi che militare, molto simile alla società ipotizzata da Socrate
all'inizio del dialogo (sacerdoti, guerrieri e artigiani). Una città così forte che riuscì a respingere da sola
la potenza di Atlantide, un’isola che era situata al di là delle colonne di Ercole, poi inabissata dal diluvio.
L'esistenza di Atlantide, però, rimane dubbia ma con questo mito, Platone, trasferisce al passato una
situazione che Atene aveva effettivamente vissuto durante la seconda guerra contro i persiani, dove fu
costretta a fronteggiare quasi da sola una potenza numericamente impareggiabile. Con questo Platone,
vuole cercare di dimostrare che la città ideale, da lui descritta nella Repubblica, aveva già avuto una sua
realizzazione nella storia dell’Atene del passato. Una volta individuato così il fondamento di legittimità
del discorso intorno alla città perfetta, si avverte l'esigenza di indagare l'origine dell'universo, dell'uomo
e degli altri animali: una cosmogonia (come è nato il mondo) e una cosmologia (come è fatto il mondo).
I due principi ontologici fondamentali
 Il compito dell’indagine viene affidato, di comune accordo a Timeo, considerato il più esperto di scienza
del gruppo, che da questo momento in poi, dopo aver invocato gli dèi, prenderà la parola senza
interruzioni fino alla fine del dialogo. Dal momento in cui Timeo inizia a parlare prende corpo il
contenuto principale dell'opera, ossia il problema cosmologico dell'origine e della formazione
dell'universo. Timeo pone inizialmente la divisione dei due principi, ontologici ed epistemologici,
fondamentali della filosofia platonica:
o Idee intellegibili (ciò che sempre è senza aver generazione): la realtà di ciò che è pienamente, esente
dal divenire e dalla trasformazione, in quanto rimane eternamente identica a sé stessa al di fuori
dello spazio e del tempo; costituisce l’oggetto della conoscenza vera e perfetta, e si coglie con il
pensiero puro e il ragionamento rivelandosi stabile e certa.
o Enti sensibili (ciò che sempre diviene senza mai essere): la realtà di ciò che sempre diviene, in
quanto è soggetta al movimento e alla trasformazione, alla generazione e alla corruzione; non può
che costituire l’oggetto dell’opinione, una forma di conoscenza soltanto parziale e imperfetta, che si
basa sulla sensazione e si rivela variabile e incerta.
Lo statuto del discorso
 Il modello/paradigma intellegibile, in quanto è eterno, immobile ed esente da generazione e
corruzione, si lascia conoscere pienamente attraverso il pensiero e genera una conoscenza vera
(scienza/episteme). Mentre la copia/immagine sensibile, in quanto diviene secondo il tempo, si muove
e si trasforma essendo soggetto a generazione e corruzione, si lascia conoscere in maniera incerta
attraverso i sensi (opinione/doxa). Dunque, anche il discorso, poiché congenere al proprio contenuto,
potrà essere eterno, perfetto e pienamente vero solo quando si rivolga a un oggetto che manifesti simili
caratteristiche. Al contrario sarà soltanto un discorso incerto e verosimile, quando assuma come
proprio contenuto un oggetto che è soltanto un’imitazione imperfetta del modello eterno. Ciò
comporta che il discorso di Timeo, poiché riguarda l’origine dell’universo sensibile, mutevole, soggetto
a generazione e corruzione (e non il modello eterno, immobile e sempre identico), non sarà un discorso
pienamente vero ed esatto. Si tratterà, invece, di un discorso soltanto verosimile, nella misura in cui si
rivolge a una realtà che altro non è che un’immagine simile della realtà vera, una copia imperfetta del
modello originale perfetto. Tuttavia, anche se l’esposizione cosmologica di Timeo assume l’aspetto di
un racconto verosimile attingendo alla verità solo per mezzo di immagini indirette e metafore, ciò non
implica che debba essere considerata una “favola”.
Il ricorso al mito verosimile
 Il mito verosimile (assume come oggetto ciò che è simile ma non identico al vero), a cui Platone ricorre
quando l’indagine tocca questioni troppo elevate e impossibili a esprimersi per tutti gli uomini, riesce a
introdurre una tipologia di discorso alternativo, che può attingere ad un elevato grado di universalità.
Questo metodo mira piuttosto alla persuasione degli ascoltatori che alla dimostrazione dei contenuti,
uno strumento irrinunciabile, capace di raggiungere una grande massa di individui non capaci di
cogliere ed affrontare questioni basate sull’indagine dialettica. Tuttavia, nel caso del Timeo, bisogna
osservare come l’accento sia posto sulla “verosimiglianza” del racconto piuttosto che sulla prospettiva
“mitologica”. Converrà, dunque, non sottovalutare la serietà filosofica della narrazione, riducendola ad
una semplice e fantasiosa favola sull’origine dell’universo. Inoltre, per almeno quattro volte, il Timeo
sembra far riferimento a una forma di verosimiglianza più “forte”, giacché stabilisce una congiunzione
fra verosimiglianza e necessità. Ovvero quando il discorso verosimile si serve di un modello
argomentativo di tipo geometrico-matematico, in virtù del quale assurge a una dignità dimostrativa
superiore alla semplice verosimiglianza. Tale modello garantisce una forma di rigore deduttivo, che
supera la debole condizione epistemologica dell’opinione.
Il demiurgo
 Un assunto di primaria importanza è che ogni fenomeno, ogni divenire, ogni generazione implica
necessariamente una causa che precede logicamente e ontologicamente l’effetto prodotto. Questa tesi
impone, dunque, l’esistenza di una causa prima di tutto ciò che si genera e diviene, che si articola,
tuttavia, in una molteplicità di cause derivate e seconde. Da qui la ragione mitologica del demiurgo: il
“costruttore di questo universo” ed il “primo degli enti intelligibili” che è innanzi tutto buono, il che
implica che l’opera da lui compiuta sarà la migliore possibile. Egli è l’artigiano che fa apparire l’ordine
universale nel disordine cosmico, l’intelligenza che “riflette, considera, parla e si rallegra del prodotto
realizzato”. In questo senso, il demiurgo rappresenta la causa efficiente della generazione delle cose
sensibili cui conferisce la forma e la struttura ideale, pur rimanendo nei limiti imposti dalla deficienza
ontologica del mondo sensibile. Le emozioni, i sentimenti e i comportamenti “personali”, non devono
indurre a confondere questo divino artigiano, con il Dio creatore della tradizione ebraico-cristiana.
Infatti, il divino artefice non compie in nessun modo una creatio ex nihilo, perché è costretto ad operare
nel contesto di elementi già esistenti a sua disposizione, ai quali può semplicemente attribuire una
forma e un ordine determinato. Ciò spiega l’uso del termine demiourgos, che indica a un tempo
l’attività produttrice degli artigiani e la funzione regolatrice dei magistrati: come artigiano, il demiurgo
dalle molteplici competenze tecniche e meccaniche “lavora” la materia informe; come magistrato in
seno a una comunità, stabilisce l’ordine della sfera sensibile, adeguandolo, per quanto possibile, alla
“legge” delle supreme realtà. Il demiurgo è il “mezzo d’unione ontologico” fra le idee intellegibili e le
cose sensibili (diverso da entrambe), il termine mediatore fra essere e divenire. Al demiurgo compete il
delicato compito di portare a compimento la partecipazione fra le idee intellegibili e gli enti sensibili, di
per sé impossibilitata dalla radicale diversità e separazione ontologica, che sussiste fra i due piani del
reale. Egli, da una parte, contempla il mondo delle idee per riprodurne l’immagine nel mondo sensibile,
su cui ha la capacità artigianale di agire; dall’altra parte, ha la capacità intellettuale e regolativa di
riprodurre, nel mondo sensibile, l’ordine delle idee. Analogia rispetto agli artigiani umani che guardano
ad un modello che hanno nella loro testa: il demiurgo guarda ad un qualcosa che è fuori da lui, appunto
il mondo delle idee. Grazie a tale contemplazione della realtà piena ed eterna, definisce la natura ed
essenza della sua opera, ovvero l’intero universo, pertanto, il risultato non può che essere bello e
buono. Questo perché la perfezione assoluta del modello ideale si riflette, nei limiti del possibile, nella
copia prodotta dal demiurgo. Viceversa, se egli si rivolgesse a ciò che diviene soltanto, senza essere mai
davvero, l’imperfezione ontologica di tale modello condizionerebbe inevitabilmente la sua opera,
rendendola deficiente in bellezza e in bontà.
L’idea del Bene
 Le idee sono la causa formale-paradigmatica delle cose, esse da sole non bastano per produrre i
sensibili che nascono e divengono. Occorre, quindi, una causa produttrice-efficiente che produca tali
cose attuando la loro partecipazione alle idee, ovvero il demiurgo. Le idee sono eterne e l’intelligenza
demiurgica non le produce, bensì, dipende da esse assiologicamente. Il demiurgo non è il Bene in sé,
piuttosto egli è buono in senso personale, in quanto contempla assiologicamente le idee riferendosi ad
esse come il modello della sua opera: il Bene in sé rimane l’idea del Bene, che appunto il demiurgo
contempla. Per Platone la regola è quella assiologica (il mondo delle idee comprende la totalità delle
regole ontologiche): alla quale il demiurgo si ispira e si riferisce, al fine di portarla in atto. Quindi il
demiurgo è colui che è buono per eccellenza, in quanto è vicino al Bene in sé (idea del Bene). L’essenza
del Bene (l’idea del Bene) sta nell’Uno, cioè la misura suprema di tutte le cose (che non è il demiurgo),
mentre la natura del male ha le sue origini nel principio della divisione diadica e della molteplicità
(diade indefinita di grande e piccolo). Attuare il bene, significa dispiegarlo e calarlo in vari modi nella
molteplicità stessa, cioè portare unità nella scomposta divisione della molteplicità, secondo le forme
geometriche e i numeri e sulla base di adeguati rapporti geometrici: in questo consiste portare l’ordine
nel disordine. Il demiurgo mette in atto questa misura suprema, calando l’unità della molteplicità, cioè:
Uno/molti e i molti/Uno nella maniera più perfetta, mediante la matematica.
Le dottrine non scritte
 Tra gli “agrafa dogmata” (le dottrine non scritte) di Platone troviamo la diade indefinita, alla quale
abbiamo già accennato. Platone è all'ultima fase della sua riflessione e risulta particolarmente
influenzato dai pitagorici; al vertice della realtà si trova il principio bipolare, in cui vi sono due poli come
in un magnete: un polo negativo e uno positivo che risultano essere indivisibili. L'Uno è il vertice
unitario, la diade indeterminata del piccolo e del grande è quello molteplice. Platone ha spiegato che in
fondo il mondo è uno, come uno è il modello, entrambi di parvenza molteplice ma non sono una
dispersione di cose. Ma perché, pur essendo uno, pare essere molteplice? Come mai l'Uno si
moltiplica? Vi sono due risposte: a) c'è di mezzo la materia, che genera scompiglio; b) c'è la diade, che
genera indeterminazione. Se si ha della materia alla quale dare una forma, la forma stessa determina
che essa sia nei suoi limiti, né più grande né più piccola di ciò che è. Il piccolo e il grande sono una
coppia di concetti simmetrici e polari, entrambi indeterminati (c'è sempre qualcosa di più grande e
qualcosa di più piccolo). L’Uno/diade non sono due principi, ma un principio solo bipolare, ovvero
nell’Uno che genera il mondo ci deve anche essere la diade. l'Uno non rimane uno (come invece era per
Parmenide), ma presentando aspetti molteplici scende di livello: si parte dal Bene in sé, per poi passare
alle idee e al calarsi nel mondo sensibile. Se vogliamo, la materia rappresenta il male in quanto è
elemento di disordine della realtà, pare, quindi, che il male stesso sia parte del principio. In verità c'è il
principio da cui si origina il male, ma il male di per sé all'inizio non c'è: la diade indeterminata sta a
significare che l'Uno (il Bene in sé) non rimane unitario, ma si cala prima nelle idee (che sono tante), e
poi nel mondo sensibile. La potenziale negatività della materia si manifesta gradualmente, quando è
nell'Uno non la si vede neppure, è ben inserita e non identificabile. Nel mondo delle idee, invece, non si
è ancora manifestata come male, ma solo come molteplicità (le idee sono tante, ma ordinate). Nel
mondo sensibile le cose sono molteplici e disordinate essendosi moltiplicate in modo indefinito
(mentre l'idea di cavallo è una, i cavalli sensibili sono tantissimi). La componente di imperfezione è
presente in tutti i livelli, ma man mano che si scende è come se si inspessisse sempre di più. Dunque, è
corretto affermare che la divinità per Platone è il demiurgo solo entro certi limiti: se la divinità per
definizione è il principio supremo, allora la divinità platonica dovrebbe essere il Bene in sé. Se la divinità
è principio della realtà, è evidente che non deve dipendere da nulla: ma il demiurgo dipende
assiologicamente dalle idee che è costretto ad imitare: ne consegue che non è indipendente ma è al
contrario necessitato.
Fra eternità e tempo
 Ora viene analizzato il problema dell’origine del mondo, se esso sia ingenerato ed eterno o se abbia
avuto generazione e, dunque, un principio nel tempo. Timeo non mostra esitazioni: l’universo è stato
certamente generato (gegonen) in quanto è una realtà sensibile, che si coglie cioè attraverso i sensi e
non attraverso il pensiero puro, di conseguenza esso appartiene a quel genere di realtà che sempre
diviene e mai è davvero, soggetto alla generazione e alla corruzione. Inoltre, vi sono ragioni per
supporre che il mondo sia stato generato, e che abbia avuto un inizio nel tempo: in particolare il fatto
che viene chiamato in causa un demiurgo divino che lo genera; e la constatazione della bellezza
armoniosa dell’ordine cosmico che richiede sicuramente una causa intelligente e ordinatrice come
origine. Ma anche questo argomento, apparentemente inconfutabile, risulta tuttavia in qualche misura
controverso, perché dipende dallo statuto narrativo metaforico, che si attribuisce all’esposizione di
Timeo e al ruolo che in essa viene così attribuito al demiurgo. Come visto, la figura del demiurgo rinvia
all’esigenza di una mediazione fra le realtà atemporali (idee intellegibili) e le realtà temporali (enti
sensibili): se tale mediazione sussiste da sempre al di fuori del tempo, quella del demiurgo è di fatto
una metafora, ma se essa ha avuto un inizio nel tempo, il demiurgo va concepito, allora, come una
figura personale, caratterizzata da una volontà e un intelligenza divina.
I quattro elementi fondamentali
 Per produrre il mondo attribuendogli la natura di un essere vivente, il demiurgo non prese a modello i
viventi particolari e le loro diverse specie, in quanto si tratta di viventi imperfetti e incompleti, ma
piuttosto la sfera delle realtà intelligibili, che comprende in sé tutti i viventi intelligibili. Ora se vi fossero
infiniti mondi, come voleva Democrito, occorrerebbe ammettere che: 1) se il demiurgo ha prodotto più
di uno mondo, allora, questo in cui viviamo non sarebbe il migliore dei mondi possibili, e si andrebbe a
negare la bontà intrinseca dell’artefice divino; 2) se vi è più di un modello intellegibile, da cui si
traggono le copie dei molteplici sensibili, si cadrebbe in un paradosso derivato da un regresso
all’infinito, poiché, non si giungerebbe mai ad individuare un modello “primo” al quale arrestarsi. Ne
segue che uno ed unico è l’universo sensibile, come pure uno e unico è il modello intelligibile. A questo
punto vengono introdotti i quattro elementi fondamentali della tradizione pagana: se ciò che è
generato deve essere di natura corporea e se tutto ciò che è corporeo si rivela per necessità visibile e
tangibile, occorre che sia composto di fuoco (visibilità), e di terra (tangibilità). Dal rapporto
proporzionale fra questi due elementi, vengono introdotti aria e acqua. La proporzione può essere di
tipo aritmetico, di tipo geometrico e di tipo armonico, nel caso degli elementi, Platone, fa riferimento
ad un rapporto di tipo geometrico. Dunque, l’universo è un solido composto da solidi, ed è la
proporzione perfetta fra i suoi elementi componenti a garantirne l’armonia e l’unità (con un riferimento
alla dottrina dell’amicizia di Empedocle). Fuoco, terra, aria e acqua sono, di conseguenza, anche gli
elementi fondamentali di cui si costituiscono tutte le cose contenute nell’universo. Una volta realizzata
questa compiuta “unione” del tutto, che è appunto l’universo, esso non potrà essere distrutto da nulla,
questo perché il demiurgo lo ha costituito, in virtù della sua bontà, quanto più simile al modello eterno.
La struttura corporea di tutte le cose acquista, in virtù della sua natura geometrico-matematica, una
certa regolarità e un’evidente semplicità, che garantiscono la bellezza e l’ordine dell’universo.
La costituzione del corpo del cosmo
 Nella sua opera di produzione l’artigiano divino utilizza tutti gli elementi sensibili a sua disposizione e, di
ciascuno di essi, ogni porzione possibile. Ne segue che nulla rimane al di fuori dell’universo costituito
questo perché: 1) sia un vivente perfetto, non manchevole di nulla; 2) sia unico e non resti, perciò, nulla
con cui si possa eventualmente costituire altri universi; 3) essendo un “corpo composto” potrebbe
subire dell’affezioni che lo aggrediscono dall’esterno. Come l’universo intellegibile (sfera dell’essere) è
una totalità che comprende tutte le idee, anche l’universo sensibile (sfera del divenire), essendo
costituito a immagine di quello, comprenderà in sé tutte le specie sensibili. La figura perfetta e più
capace di comprendere e contenere tutti i sensibili è, secondo Platone, la sfera: per l’armonica
simmetria che manifesta, giacché appare ovunque omogenea, e perché dotata di un moto ordinato e
circolare (questa concezione è assai diffusa nel pensiero greco). L’universo è, dunque, perfettamente
liscio perché non ha bisogno di estremità e protuberanze, come occhi, orecchie e naso, visto che nulla
esiste al di fuori di esso neanche l’aria lo circonda. Non ha bisogno di organi che gli permettano di
nutrirsi e di espellere gli scarti, non avendo nessuna necessità di ricorre ad un nutrimento esterno, in
quanto si nutre di quelle stesse parti che via via si corrompono rigenerandosi al suo interno. Non
ammette nessun vuoto, all’interno o all’esterno di sé, in quanto, per definizione, è tutte le cose
esaurendo la totalità delle cose esistenti in sé. Non ha bisogno di arti, né gambe né piedi, perché il
movimento che l’artefice divino gli ha attribuito è quello puramente intellettuale, ovvero il movimento
circolare intorno a sé stesso e sullo stesso centro. Platone riconosce sette movimenti possibili: 1)
circolare, 2) da destra a sinistra, 3) da sinistra a destra, 4) avanti e indietro, 5) indietro e avanti, 6)
dall’alto al basso, 7) dal basso all’alto. L’universo è un “dio che è sempre”, ovvero simile alla realtà
eterna delle idee, poiché, l’artefice divino lo produce nel modo più perfetto possibile e secondo la sua
assoluta bontà: ecco perché l’universo è un dio, seppure è caratterizzato da una natura sensibile e una
nascita.
La costituzione dell’anima cosmica
 Il demiurgo, non potendo agire che per il meglio, gli fu chiaro che per essere davvero perfetto,
l’universo non può sussistere soltanto come un corpo, ma deve possedere anche un’anima “la più
perfetta delle cose che sono state generate”, che lo renda davvero un vivente completo. L’universo
viene concepito come un essere vivente dotato di anima e corpo, secondo uno stretto parallelismo con
gli esseri umani e con i viventi individuali in genere. Infatti entrambi i piani, macrocosmo e microcosmo,
sembrano presupporre l’intervento di un principio intelligente e ordinatore. Se tale principio nei viventi
individuali coincide con l’anima, sarà verosimile ammettere che, applicandolo all’universo, anche
quest’ultimo possieda un’anima e sia perciò un vivente. Le funzioni proprie dell’anima del mondo
consistono essenzialmente nella produzione di movimento e di conoscenza; che l’universo si muova e
che i suoi movimenti manifestino regolarità e ordine, appare chiaro e di indubitabile evidenza. E se non
sussiste nessuna realtà ulteriore al di là dell’universo, occorrerà credere che esso abbia in sé il principio
del proprio movimento: ciò che si muove vive, ma ciò che vive è dotato per necessità di un’anima;
dunque ciò che si muove possiede senza dubbio un’anima. E ancora, capovolgendo il ragionamento, ciò
che è dotato di un’anima vive e la manifestazione prima della vita di ciò che è vivente consiste nel suo
movimento. Alla triade “movimento-vita-anima” viene associata anche come implicazione,
l’intelligenza, il che spiega perché ciò che possiede un’anima, non solo viva e si muova ma sia anche
dotato di capacità conoscitiva. L’anima mundi viene collocata dall’artefice al centro del corpo
dell’universo, e da lì distesa lungo tutta la sua estensione, in modo da non lasciare nessuna parte
inanimata, posta perfino ad avvolgere l’intero corpo circolarmente all’esterno. L’anima del mondo si
estende in ogni porzione del corpo dell’universo, in virtù della sua capacità pervasiva. L’attribuzione
dell’anima completa l’autosufficienza perfetta dell’universo, che è capace, proprio grazie all’attività
dell’anima, di conoscere e amare sé stesso rivelandosi così come un dio felice. Anche se l’ordine
espositivo del discorso di Timeo, potrebbe far pensare a una priorità del corpo rispetto all’anima, è in
realtà quest’ultima ad essere logicamente e ontologicamente prioritaria al corpo, perché ha il compito
di dirigerlo e governarlo. Ora viene illustrata la composizione, da parte del demiurgo, dell’anima del
mondo che si costituisce di tre elementi componenti: essere, identico e diverso; nel senso che 1)
l’essere, 2) l’identità con sé e 3) la diversità dall’altro manifestano i caratteri essenziali di ogni realtà
esistente. Non si tratta tuttavia delle idee dell’essere, dell’identico e del diverso che, insieme con le
idee della quiete e del movimento, sono considerate come i “sommi generi” e ampiamente analizzati
nel Sofista. Questo perché l’anima del mondo, pur non essendo certamente una realtà sensibile e
corporea, non è neanche un’idea né si colloca interamente nell’intellegibile: essa adempie a una
funzione intermedia, che è quella di mantenere nei limiti del possibile l’ordine che il demiurgo
attribuisce al sensibile sulla base del modello intellegibile, e si situa perciò, costitutivamente, a metà
strada fra l’intellegibile e il sensibile. Ecco perché l’essere, l’identico e il diverso di cui il demiurgo
compone l’anima del mondo non sono elementi ideali né materiali, ma misti di entrambe le
caratteristiche. Timeo illustra, solo negativamente, la natura “intermedia” dell’anima del mondo e la
sua collocazione “mediana” nella gerarchia del reale, l’artefice divina forzando la natura del diverso che
oppone resistenza, mescola insieme:
o l’essere indivisibile con l’essere divisibile, dando forma ad un essere intermedio.
o l’identico indivisibile con l’identico divisibile, dando forma ad un identico intermedio.
o il diverso indivisibile con il diverso divisibile, dando forma ad un diverso intermedio.
I cerchi dell’identico e del diverso
 Vengono poi stabilite rigorose proporzioni numeriche per la combinazione dei tre elementi, da parte
dell’artefice, secondo una complessa costruzione geometrica-matematica, che corrisponde a una
struttura armonica e musicale (espresso dal rapporto numerico 256/243). Il demiurgo divide, dunque,
l’intera sua composizione in due strisce che sovrappone l’una all’altra nel loro punto mediano, dando
luogo così ad una X. Successivamente egli piega le due strisce portando le loro rispettive estremità a
toccarsi, chiudendole entrambe in due cerchi che condividono il medesimo centro e si intersecano in
due punti, l’uno inclinato rispetto all’altro come il piano equatoriale rispetto al piano dell’eclittica. Ai
due cerchi, l’artefice, imprime poi un movimento di rotazione uniforme intorno al loro centro,
designando quello esterno come cerchio dell’identico e quello interno come cerchio del diverso. Il
movimento del cerchio dell’identico è unico ed indiviso, mentre quello del cerchio del diverso è diviso
sei volte, dando luogo a sette traiettorie circolari concentriche. Questo spiega un presupposto
imprescindibile, a livello astronomico, che implica una qualche forma di regolarità del movimento dei
corpi celesti. L’unico movimento regolare del cerchio dell’identico caratterizza l’unico cielo delle stelle
fisse, mentre il movimento “diviso” del cerchio del diverso implica sette traiettorie circolari
concentriche. Queste corrispondono alle orbite dei tre pianeti a velocità uniforme (Sole, Venere e
Mercurio) e a quelle dei quattro pianeti a velocità diverse (Luna, Marte, Giove, Saturno). Mentre il
cerchio dell’identico si muove esclusivamente da sinistra verso destro, i sette cerchi concentrici in cui si
divide il movimento del diverso, si muovono tutti in senso contrario da destra verso sinistra, ruotando
pure intorno a sé stessi. In virtù dei movimenti circolari dei cerchi che la compongono, l’anima del
mondo imprime e conserva il movimento regolare dei corpi celesti (che dipendono da una serie di
rapporti matematici, musicali e dimensionali), ma anche il movimento irregolare dei corpi terrestri (in
virtù de. Il perfetto movimento dell’anima del mondo, allude al suo altrettanto perfetto modo di vita
divino, eterno e perfettamente razionale a cui corrisponde una capacità conoscitiva. In virtù della sua
composizione mista di essere-identico-diverso, l’anima del mondo è in grado di riconoscere la natura e
le caratteristiche di ciò in cui si imbatte: che si tratti dell’essere supremo e indivisibile o dell’essere
deficiente e divisibile. Pur se in un contesto differente, in quanto per sua natura sempre vera, la
funzione cognitiva dell’anima del mondo rispetta l’abituale bipartizione platonica onto-epistemologica.
1) Quando la conoscenza si realizza attraverso il movimento del cerchio dell’identico, si rivela superiore
nella forma dell’intellezione e della scienza, poiché assume come proprio contenuto un oggetto
intelligibile e pienamente essente. 2) Quando la conoscenza si realizza attraverso il movimento del
cerchio del diverso, si rivela inferiore nella forma dell’opinione e della credenza, poiché assume come
proprio contenuto un oggetto sensibile in divenire.
La generazione del tempo
 Controllando l’ordine, il movimento e l’intelligenza del tutto, l’anima del mondo può realmente
eseguire il suo compito cosmologico, etico e teleologico, ovvero quello di assicurare la persistenza della
bellezza e del buon funzionamento del tutto. In questo contesto si pone nuovamente la questione del
discorso verosimile, giacché una volta ammesso il ruolo personale del demiurgo, sorge la difficoltà di
spiegare come sia possibile concepire una generazione dell’anima che per definizione stessa è eterna
ed ingenerata. L’universo nel suo insieme precede l’origine stessa del tempo, che è introdotto dal
demiurgo proprio per garantire una certa regolarità di movimento. Lo scarto, ovvero la radicale
separazione fra il modello intellegibile (le idee) e la copia sensibile (l’universo), spiega il perché sia
impossibile riprodurre, per l’artefice divino, una copia identica e dotata della stessa assoluta perfezione
dell’originale. Infatti, poiché il modello intellegibile è eterno e senza tempo, mentre la sua copia
sensibile ha avuto un principio ed è soggetta al tempo: la piena corrispondenza fra i due piani del reale
è impedita da una strutturale differenza ontologica. Proprio per ridurre tale differenza ontologica fra i
due piani del reale l’artefice introduce il tempo come “immagine mobile dell’eternità”, in modo da
riprodurre nella maniera più ordinata e fedele possibile, l’immobilità assoluta del modello. L’universo
sensibile è stato generato a immagine del modello eterno, della cui eternità rappresenta una copia
nella misura in cui, pur muovendosi e divenendo nel tempo, manifesta una certa stabilità e costanza. Il
tempo, infatti, non è un movimento confuso e casuale, ma è un movimento che procede secondo il
numero, ovvero secondo un ritmo regolare, armonico e invariabile. Tale differenza ontologica si riflette
immediatamente sul piano del discorso: ogni discorso umano, ovviamente, si svolge nella dimensione
temporale, stabilendo sempre un “prima” e un “poi” ovvero una successione e un ordine che ha un
principio e una fine. Dunque, come potrà esprimere adeguatamente la genesi dell’attività demiurgica di
produzione dell’universo che si colloca “prima” del tempo. Tutte le forme verbali implicano il passato-
presente-futuro e, quindi, non possono essere riferite alle realtà eterne, che sono invece caratterizzate
da un eterno presente.
Gli astri e l’astronomia
 Il Sole, la Luna e gli altri cinque pianeti “erranti”, in ragione del loro movimento a contribuiscono alla
distinzione e alla stessa conservazione del tempo. Infatti, i movimenti regolari che gli astri compiono
esprimono la struttura numerica, che rappresenta la trasposizione dell’ordine supremo dell’essere
eterno sul piano dell’universo sensibile soggetto al divenire temporale come “immagine mobile
dell’eternità”. La terra è situata al centro dell’universo a cui ruotano intorno la Luna, il Sole, le orbite di
Venere e Mercurio che ruotano in senso inverso al Sole. I pianeti, come l’intero universo, sono corpi
dotati di un’anima, la cui funzione è propriamente quella di tenerli insieme di unificarli e di animarli,
fornendo loro la vita e l’intelligenza necessarie a comprendere e ad eseguire il piano stabilito
dall’artefice. I pianeti ruotano, dunque, sullo stesso piano del cerchio del diverso (piano dell’eclittica)
ma secondo orbite diverse e a velocità diverse, inoltre, si aggiunge anche il movimento esterno e
dominante del cerchio dell’identico (piano dell’equatore). La sovrapposizione dei due movimenti
genera un movimento elicoidale (forma di spirale) che suscita, in un osservatore esterno, un’erronea
impressione riguardo alle rispettive velocità dei singoli pianeti. L’unico e perfetto movimento del
cerchio dell’identico genera, da solo, il giorno e la notte, mentre la sovrapposizione dei movimenti del
cerchio del diverso genera i mesi e gli anni. Quando tutti i pianeti compiono i loro anni, ossia le loro
orbite intorno alla terra, completando così i loro movimenti, si ha “l’anno perfetto” in cui si verifica
anche la circostanza del “numero perfetto del tempo”: quanto i tempi relativi di tutti i pianeti vengono
a coincidere fra loro tornando tutti insieme al punto inziale. Non a caso il tempo viene identificato con il
movimento circolare, se si vuole rappresentare l'eternità con qualcosa di movimentato, senz'altro ciò
che meglio la rappresenta è il movimento circolare in cui si compie un giro per poi tornare al punto di
partenza: infatti il tempo è caratterizzato dal non essere eternità ma tornare sempre su sé stesso. La
cosa più simile a ciò che non si muove mai è quella che torna sempre su stessa, così come la cosa più
simile che l'uomo possa fare per eternarsi è il riprodursi ciclicamente.
Le specie viventi
 Benché ormai interamente costituito, l’universo manca ancora delle specie viventi che devono abitarlo
e che esso deve, dunque, contenere in sé: ecco perché appare ancora incompleto, ovvero
dissomigliante dal modello intellegibile. Il demiurgo, caratterizzato da una duplice capacità intellettuale
e artigianale, conosce le diverse specie che caratterizzano la realtà intelligibile eterna e perfetta (il
vivente in sé), e può perciò riprodurle in forma sensibile e imperfetta nell’universo. Egli decide, inoltre,
di riprodurle tutte quante perché la somiglianza della copia sensibile sia, all’originale intellegibile,
quanto più completa possibile. Vengono elencate quattro specie di viventi che corrispondono ai quattro
elementi fondamentali: 1) gli dei celesti fatti di fuoco; 2) gli uccelli che si trovano nell’aria; 3) i pesci che
vivono nell’acqua; 4) gli animali terrestri che abitano sulla terra. Gli dei sono, fra i viventi, quelli
caratterizzati dalla migliore e più potente natura; più degli astri riproducono la forma e la disposizione
dell’universo. Essi sono collocati dall’artefice nell’ambito del cerchio dell’identico, che manifesta al più
alto grado la regolarità e l’intelligenza dell’universo. A ognuno degli dei l’artefice attribuisce due
movimenti: l’uno uniforme nello stesso luogo, intorno a sé stesso, l’altro rivolto in avanti cioè
percorrendo la traiettoria del cerchio dell’identico. L’uniformità del primo movimento spiega e giustifica
la capacità conoscitiva degli dei, nello stesso modo in cui spiegava e giustificava la conoscenza sempre
vera che appartiene all’anima del mondo. Solo questi due movimenti sono propri degli dei, perché solo
questi due non ne compromettono la perfezione, lo stesso vale per le stelle fisse: veri e propri dei
viventi che non vanno errando. Platone, dopo aver condannato le varie interpretazioni sulle “danze
degli astri” ovvero sui loro movimenti, apparizioni e scomparse, causa delle più infondate e assurde
credenze, introduce l’esposizione delle mitologiche genealogie degli dei e delle teogonie tradizionali.
Gli dei visibili risultano essere gli astri celesti, mentre quelli che si rendono visibili solo quando vogliono,
vengono considerati essere gli dei della tradizione mitologica.
La dipartita del demiurgo e gli dei generati
 Il principio secondo cui tutto ciò che è stato generato conoscerà necessariamente la dissoluzione, trova
un limite parziale nella volontà del demiurgo che, essendo buono, non può che produrre la sua opera,
nel limite del possibile, esente da corruzione e morte. Nei passi del dialogo in cui si fa riferimento a una
“volontà” del divino artefice, risulta abbastanza chiaro che ogni sua possibile azione è necessariamente
e invariabilmente condizionata dalla perfezione della sua natura, sicché egli non può che produrre
l’ottimo. Al punto che dove emerge l’esigenza di popolare il mondo di viventi mortali, il demiurgo affida
il compito della loro generazione agli dei suoi aiutanti. Questo perché, essendo a lui inferiori, potranno
costituire creature mortali, cioè inferiori a quelle che, se egli se ne assumesse il compito,
necessariamente (anche contro la sua volontà) costituirebbe immortali. Solo a queste condizioni,
l’universo sensibile potrà essere davvero, sempre nel limite del possibile, perfetto e completo nella
totalità delle sue parti, riproducendo così imperfettamente la perfezione eterna del suo supremo
modello intellegibile. In seguito, anche il compito di completare le anime individuali è dato ai “giovani
dei”, in questo senso aiutanti del demiurgo, fornendo le due parti mancanti: la parte passionale e la
parte desiderativa. Agli dei spetta anche di accudire il vivente mortale, in modo da evitargli ogni male;
ancora una volta il demiurgo manifesta la sua totale irresponsabilità rispetto ai comportamenti dei
viventi che da lui derivano. Una volta completata la sua opera artigianale di costituzione del cosmo, il
demiurgo torna alla sua “condizione abituale” che consiste nella contemplazione delle idee eterne. Egli
ritorna, dunque, nella sua dimora eterna lasciando ai suoi “figli”, ovvero gli dei generati, il compito di
portare a termine la realizzazione dei viventi mortali, donandogli “il principio immortale del vivente
mortale” ovvero la parte razionale dell’anima che può produrre solo il demiurgo. La costituzione
dell’universo è, dunque, nel complesso, l’opera del demiurgo che rappresenta l’unica causa prima e
vera di ogni cosa e di ogni fenomeno, in quanto dipende direttamente da un’intelligenza pianificatrice.
Il demiurgo è l’unica causa vera, gli altri dei a cui egli affida il compito di completare la sua opera, non
rientrano nell’ambito della causa vera essendogli inferiori. Analogamente anche l’anima del mondo, in
virtù delle sue capacità intellettuali e della sua funzione di garante dell’ordine dell’universo, dopo che il
demiurgo si è dipartito, rientra nell’ordine della causa vera, pur se ad un livello inferiore dal punto di
vista logico e ontologico, in quanto l’assoluta causa prima ed unica è il demiurgo.
L’anima razionale e le tre leggi del fato
 Ora Timeo si dedica all’illustrazione della produzione demiurgica delle anime razionali/immortali
individuali a partire dai “resti” della mescolanza da cui era stata generata l’anima del mondo, e della
rispettiva “semina” nei diversi corpi. Nel cratere dove prima aveva mescolato essere, identico e diverso
per dare vita all’anima del mondo, il demiurgo versa i resti degli ingredienti della mescolanza
precedente e, servendosi così degli stessi ingredienti solo meno puri di prima (perché utilizzati per la
seconda volta) produce le anime razionali/immortali individuali. Dunque, la parte razionale e immortale
dell’anima, prodotta direttamente dal demiurgo, è della stessa natura dell’anima del mondo, e può
armonizzarsi ad essa. La “prima generazione” è quella delle anime per dare vita al “più pio dei viventi”,
ovvero l’uomo che è in grado di onorare la divinità. Tale “prima generazione” è identica per tutte le
anime e avviene per tutte a identiche condizioni, perché la bontà del demiurgo implica che tutte le
anime possano giovarsi di un’analoga opportunità, essendo poi responsabili di ogni miglioramento o
peggioramento del proprio destino: la differenza dei sessi appartiene ad una “seconda generazione”
dell’anima. Se il demiurgo non desse alle anime la stessa condizione di partenza non sarebbe buono.
Tutte le anime possono essere felici e pie in virtù della bontà costitutiva del demiurgo (prima legge del
fato). Le anime discendono nei corpi loro assegnati per necessità, perché l’anima pur essendo di natura
diversa e superiore al corpo, è fatta per essere unita al corpo e vivere, almeno per una parte della sua
esistenza, con esso ed in esso. In questa commistione fra anima e corpo, in cui la prima serve a regolare
e a dominare il secondo, si manifestano quei fenomeni caratteristici della loro interazione: la
sensazione, il desiderio e le varie e diverse passioni (piacere, dolore, paura, etc.). Il demiurgo non è
responsabile di ciò che accade all’anima razionale una volta discesa nella molteplicità e materialità: la
responsabilità è sempre dell’uomo se si riescono a dominare le passioni si sarà felici (seconda legge del
fato). L’anima di chi ha vissuto in modo ingiusto è destinata a mutare sempre il proprio destino,
discendendo successivamente nel corpo di specie animali via via inferiori: dalla donna alle altre specie
animali a seconda del tipo di ingiustizia commessa. La fine delle sofferenze dell’anima, di chi ha vissuto
ingiustamente, dipende da un radicale “mutamento di rotta”: occorre che l’anima afflitta dal male si
affidi alla propria parte razionale, che segue il movimento del cerchio dell’identico, per dominare
appunto con il ragionamento, la “grande massa” di elementi materiali che si è via via accumulata a
causa dell’ingiusto modo di vita tenuto. Questa massa sono tutte le passioni irrazionali che
appesantiscono e corrompono l’anima, solo dopo questa purificazione razionale, l’anima, potrà tornare
al proprio stato originario: libera dal corpo, pura e felice (terza legge del fato). L’anima di chi ha vissuto
rettamente, dopo la morte del corpo, torna la da dove proviene, negli astri celesti e divini che gli sono
più affini per rimanervi e condurvi una vita felice, pura e indipendente dal corpo (ci si allontana dalla
concezione iperuranica del Fedro). Il principio etico della giustizia individuale, trova così il proprio
fondamento sul piano cosmologico, attraverso il riferimento alla perfezione del movimento del cerchio
dell’identico. Inoltre, il demiurgo viene così tutelato da qualsiasi accusa di poter compiere il male, visto
che non è assolutamente responsabile né corresponsabile di eventuali volontarie malvagità o errori che
le sue creature potrebbero commettere.

Il corpo umano e le sensazioni


 Vengono ora presi in analisi i “sei movimenti”, regolati dai “periodi dell’anima immortale”, che
caratterizzano l’inferiorità e il disordine della natura mortale, infatti, il mondo nel suo insieme, ha una
natura superiore e più simile al modello eterno: possedendo solo il movimento circolare, puramente
intellettuale. Sono gli elementi circostanti che penetrando all’interno del corpo, giungono fino
all’anima, producendo in essa delle tumultuose affezioni, ovvero le sensazioni. Queste sensazioni con il
movimento tumultuoso che provocano, scuotono l’intero flusso sanguigno: 1) impediscono
irrimediabilmente il suo movimento secondo il cerchio dell’identico, e 2) compromettono seriamente il
suo movimento secondo il cerchio del diverso. Questo è causa di sconvolgimenti e deformazioni, infatti,
in tale condizione di turbamento, i movimenti del corpo risultano completamente irregolari e
imprevedibili, anzi radicalmente “capovolti a testa in giù”. L’anima razionale in condizioni ideali produce
cerchi e moti perfetti, ma a causa dei tumulti provocati dalle sensazioni, subisce uno sconvolgimento
dei movimenti regolari dell’identico e del diverso e le sue orbite vengono deformate dal flusso delle
passioni. Il demiurgo non permette la distruzione dell’anima che rimane immortale, ma essa si può
tuttavia deformare ad un livello estremo. L’anima corrotta perde la capacità della visione reale del
mondo, non distinguendo più le relazioni fra gli oggetti con cui entra in contatto (confonde identità con
diversità): esprimendo così giudizi insani e falsi, causa di ogni errore e falsità. Se l’anima non conosce
compie il male, e se compie il male e infelice (spiegazione psicofisiologica). Ecco perché la discesa nel
corpo rappresenta per l’anima una condanna e una perdita di sé: le sensazioni sembrano, infatti,
dominarla e sconvolgerla muovendola da ogni parte. Quando i tumulti prodotti dalle sensazioni e da
tutti i flussi corporei si placano, l’anima recupera l’equilibrio dei suoi movimenti naturali (secondo i
cerchi dell’identico e del diverso), e con esso la sua capacità di giudizio secondo verità. Essa torna ad
essere così nuovamente “assennata” e una corretta educazione può permetterle di conservare e
migliorare in modo stabile questa condizione, invece, una cattiva educazione rischia di compromettere
l’anima e condannarla, dopo la morte del corpo, a errare senza ragione. La costituzione del corpo
umano riproduce la struttura dell’universo sensibile: la testa, di forma sferica, in cui hanno luogo i
movimenti dell’identico e del diverso, domina sul resto del corpo e ne dirige la vita. Gli dei generati
adattano il corpo umano per l’adempimento delle sue funzioni, e collocano nella testa l’anima razionale
(la parte divina dell’uomo). Proprio nella testa, in virtù della sua posizione di supremazia, vengono posti
gli organi di senso, che forniscono all’anima le informazioni necessarie per giudicare ed operare. Tutta
la realtà e il nostro stesso corpo sono composti dai quattro elementi fondamentali: aria, acqua, terra e
fuoco.
Le concause o cause accessorie
 Nel caso del fuoco che spiega i meccanismi della visione, bisogna distinguere fra il “fuoco interno”
(sottile e puro dentro di noi) e il “fuoco esterno” (meno puro e denso quello della luce del giorno). Il
bulbo oculare e soprattutto la pupilla, hanno il compito di filtrare il fuoco esterno, lasciando passare
all’interno solo quello più sottile e puro. Quando il fuoco esterno filtrato incontra il fuoco interno, i due
fuochi che sono ormai della stessa natura diventano un “tutto unico” congiungendosi. Il movimento che
si genera da questo incontro, diffondendosi attraverso gli occhi, produce, una volta che è giunto
nell’anima, la vista. Di notte non essendoci il fuoco esterno la commistione con quello interiore non può
avvenire e, quindi, non si verifica neanche il fenomeno della visione. Le palpebre calando a protezione
degli occhi “imprigionano” il fuoco interno e garantiscono il riposo, da ciò si determina il sonno: quieto
e profondo se cessano i movimenti interni; agitato e pieno di sogni se i movimenti interni permangono.
Vengono così introdotte le concause, ovvero cause accessorie o secondarie che permettono di spiegare
i fenomeni meccanici regolati dalla necessità, di cui il demiurgo si serve per realizzare il suo disegno.
Esse non partecipano, se non accessoriamente, al progetto del demiurgo che, come abbiamo detto,
detiene il primato razionale e pianificatore e la determinazione delle finalità della sua attività
produttiva. Dunque, le concause sono solo strumenti, e non vere e proprie cause in quanto mancano di
intelligenza, ed ecco perché cadono in errore coloro i quali le credono tali. Un’indagine corretta implica
sempre la ricerca della causa prima e intelligente, e solo in seguito quella delle cause che da questa
dipendono. In altri termini, l’esame appropriato di ogni fenomeno deve sempre risalire fino all’origine
della catena delle cause che hanno determinato l’effetto. Per esempio nel rapporto tra anima e corpo: il
corpo si muove e muove altri oggetti, ma il suo principio di movimento è l’anima, la quale è una realtà
automotrice e perciò, sé stessa, principio del proprio movimento. Un progetto di causa-effetto può
sussistere anche senza che ci sia dietro un piano razionale, ma questi meccanismi corporei non sono in
grado di spiegare sé stessi, perché non hanno un’intelligenza né una finalità. Ciò che ricade sotto la
sensazione è una concausa, ciò che ricade sotto l’intellezione è una causa prima. Da un lato un ente
finalizzato, intelligente e automotore, da un altro ciò che subisce il movimento senza intelligenza e
senza fine: movimento di primo livello intelligente, movimento di secondo livello non intelligente.
La vista, la voce e l’udito
 Dato l’alto livello di relazione della nostra anima con l’anima cosmica, poiché partecipi della stessa
struttura, in un percorso di ascesa l’anima razionale può assimilarsi all’anima cosmica (essendo priva di
corpo). Ma l’anima individuale è perturbata dai movimenti del corpo e dai tumulti delle sensazioni,
infatti, l’essere immersi in questo mondo è un ostacolo tremendo alla conoscenza, ma ciò non implica
che un’anima incarnata non possa trascendersi e raggiungere la conoscenza e quindi la felicità. Per
Platone siamo felici quando conosciamo il bene e le idee e, quindi, nell’aldilà potremo essere
veramente felici e liberi di contemplare le idee. La vista ha un primato assoluto nelle sensazioni, perché
è grazie a lei che è possibile osservare il cielo, gli astri e tutti i fenomeni astronomici, da cui apprendere
i movimenti regolari e con essi il numero, il tempo e la capacità di calcolarli: è proprio per questo fine
che il demiurgo ci ha attribuito tale facoltà. La vista è il senso più potente ed efficace, dall’osservazione
derivano anche lo stimolo al ragionamento e la filosofia stessa, nella misura in cui ci concede un criterio
su cui adeguare la nostra condotta. I sensi mi fanno vivere nel mondo ma attraverso le mie percezioni,
posso trascendere questo mondo e andare all’intelligibile. Anche la voce e l’ascolto ci sono stati forniti
dalla divinità per un fine analogo a quello della vista, perché ne potessimo trarre la conoscenza della
giusta armonia cui adeguare le nostre disposizioni. Ecco perché la musica e il ritmo non servono a
procurare un piacere qualunque, ma a contribuire all’ordine della nostra anima che si armonizza ai
movimenti dell’anima del mondo. Dentro la musica si hanno suono, armonia, ritmo e parola essendoci
potenzialmente sempre un canto dietro. Nella Repubblica l’anima del fanciullo se sottoposta all’ascolto
di una musica valorosa si svilupperà raggiungendo la conoscenza le virtù. Questo rapporto del passo
della Repubblica e il passo del Timeo in entrambi ascoltare buona musica migliora la relazione con
l’anima cosmica. L’educazione nella Repubblica ci spinge a rimanere nella materia affinando
passivamente i sensi ma senza superarli; nel Timeo veniamo spinti a superare i sensi per giungere alla
conoscenza dell’intelligibile.
La necessità o causa errante
 A questo punto il discorso di Timeo, che aveva fin qui esposto i disegni intelligenti del demiurgo,
consacra la sua analisi all’azione della necessità o causa errante. La necessità è un principio spazio
materiale, oggetto con cui il demiurgo si deve confrontare: assenza di una volontà e di un’intenzione;
principio caotico assoluto. L’intelletto e la ragione non esercitano un dominio assoluto, in quanto le loro
azioni sono ostacolate dalla necessità, che non è una forza misteriosa contrapposta all’opera del
demiurgo, ma semplicemente è l’insieme dei fenomeni che si producono indipendentemente da una
ragione e non in vista di un fine. Dunque, è a questa necessità meccanica, inconsapevole e priva di
intelligenza, definita causa errante, a cui appartengono le concause o cause accessorie/secondarie.
Oppure implica qualche tipo di coerenza ma non la coerenza teleologica del demiurgo, che mira
all’ordine finalistico introdotto nella sua produzione. Ora, nella sua assoluta assenza di intelligenza e
nella sua bruta meccanicità materiale, la necessità, con tutta la sfera causale che si porta dietro, resiste
all’azione demiurgica e si oppone ai disegni razionali. Il demiurgo è pertanto costretto, per poter
compiere la propria opera, a persuadere o a forzare la necessità per indurla così, nella misura del
possibile, a prestarsi al suo disegno e a collaborare in parte. Il demiurgo va a persuadere la necessità,
non la costringe, perché non può interagire con la materia direttamente. Causa che erra, errante
ovvero che produce effetti in maniera irrazionale (erranti i pianeti rispetto alle stelle) analogia con il
dinamismo del demiurgo. Dietro la generazione deve esserci un disegno altrimenti si ha a che fare con
un qualcosa di spontaneo e meccanico. La causa errante e ciò che sta lì perché in grado di recepire la
volontà del demiurgo, di assorbire un orientamento teleologico (come suscitare movimento). Tutto
quanto vi è di ordinato e di bello negli esseri viventi individuali, deriva, dunque, dalla collaborazione di
ragione e necessità, causa prima e concause aiutanti. Il primo e più importante terreno di confronto fra
ragione e necessità è quello della costituzione degli esseri umani. A tale fine occorre esaminare la
natura e le proprietà dei quattro elementi in sé, cioè prima che il demiurgo se ne servisse per realizzare
il suo progetto di costituzione del mondo.
Il principio della chora
 Adesso Timeo giudica opportuno proporre nuove e più precise distinzioni rispetto al “discorso
precedente”; viene così introdotta la difficile questione della chora, ricettacolo e nutrice di tutte le cose.
La chora, allo stesso tempo, è lo spazio in cui ha luogo la generazione di ogni cosa sensibile, il materiale
di cui ogni cosa sensibile si compone all’atto della sua generazione. Ora per poter tenere un discorso
“credibile e stabile” riguardo la chora, occorre capire quale sia il suo statuto ontologico, se si tratti di
una realtà stabile o se si tratti di una realtà in divenire. Prendendo in esame gli elementi fisici, tutti
sembrano subire un processo di trasformazione continua che li porta a mutarsi ciclicamente negli altri.
Timeo pone una parziale limitazione a tale processo, precisando che in ragione delle figure geometriche
che compongono i corpuscoli elementari, non tutti gli elementi possono trasformarsi gli uni negli altri.
In ogni caso, se tale processo di continua trasformazione, domina incontrastato su tutte le realtà
sensibili in divenire, non sarà possibile conoscere nulla poiché privo di stabilità. Infatti, nel momento
stesso in cui pensiamo e diciamo “acqua” questa apparirà già in forma di terra o di fuoco o di aria, e
così pure per tutti gli altri enti sensibili. Dunque, diversamente dalle idee intellegibili, che sono realtà
stabili e permanenti, le cose sensibili e, quindi, gli elementi fisici di cui si sta discutendo, sono mutevoli
e corruttibili e appaiono di un altro aspetto nel momento stesso in cui a esse ci si rivolge. Ciò impone
che non essendo un “qualcosa” determinato, che rimane immobile nella propria condizione, non è
legittimo riferirsi alle cose sensibili come un “questo” o “codesto”, ma occorre impiegare sempre
espressioni che tengano conto della loro instabilità e mutevolezza come “ciò che è tale e di tale
natura”. Lo stabile e determinato “questo”, appartiene alle idee (il fuoco in sé, l’idea di fuoco), mentre
degli enti sensibili si può dire soltanto che essi sono “ciò che di volta in volta possiede determinate
caratteristiche e qualità” (la natura del fuoco che è quella di produrre calore). Questa distinzione deve
essere estesa anche al terzo genere da poco introdotto, la chora, essa, infatti, è una realtà stabile, un
“questo” che è sempre proprio come le idee, anche se non possiede nessuna qualità né
determinazione, ma si configura come il puramente indeterminato e l’assolutamente potenziale. La
chora condivide, dunque, con le idee solo il carattere dell’eternità e della permanenza, non quello della
piena determinazione, inoltre, ciò che la chora accoglie sono dei corpi delle realtà sensibili, ma certo
non le idee intellegibili, che rimangono in sé e per sé, al di fuori dello spazio e del tempo, conservando
la loro radicale trascendenza. La chora mantiene sempre le proprie caratteristiche fondamentali, che
consistono nell’essere un materiale puramente indeterminato: solo a queste condizioni la chora potrà
davvero accogliere tutte le cose muovendosi, modificandosi, dividendosi in diverse posizioni e
assumendo una diversa apparenza ogni volta. Nel corso di questo processo, la chora appare ogni volta
nella forma degli oggetti che in essa entrano, è evidente allora che se già possedesse una sua
configurazione ben determinata, non potrebbe assumere la forma di tali oggetti, perché la sua propria
figura rappresenterebbe un ostacolo alla loro esatta riproduzione. Dunque, nella chora entrano solo le
cose sensibili, ovvero le “immagini degli enti eterni”, ma non le idee stesse, che si limitano a fornire le
“impronte” a partire da cui sono modellati e foggiati gli enti sensibili. La chora è eterna, invisibile ed è
un “questo” (come le idee), ma del tutto informe (diversamente dalle idee), in modo da poter assumere
la forma di ciò che in essa entra senza sovrapporre la sua: una sorta di “materia intellegibile”
(neoplatonismo).
Le tre categorie ontologiche fondamentali
 A questo punto Timeo, ricapitola l’ordine e la disposizione dei diversi generi di realtà e di conoscenza
finora introdotti nel discorso: 1) le idee, intoccato e immobile oggetto del pensiero, che “non vanno mai
a trovarsi in un’altra cosa”, poiché permangono sempre in sé.; 2) le cose sensibili, il mutevole e mobile
oggetto dell’opinione, copie “omonime delle idee”, soggetti alla generazione e alla corruzione; 3) la
chora il terzo genere di realtà intermedio e intermediario fra intellegibili e sensibili, in quanto è sempre
e non ammette corruzione, ma offre un luogo a tutte le cose che devono generarsi. La chora,
inconoscibile alla percezione sensibile come pure all’immediata intellezione, al di fuori della sfera ideale
e del mondo sensibile, costituisce l’oggetto di un “ragionamento bastardo” intermedio fra sensazione e
intellezione. L’oscuro modo di conoscenza della chora, per certi aspetti, si apparenta alla dimensione
del sogno, uno statuo duplice fra astratto e materiale. Questi tre generi del reale (intellegibile-chora-
sensibile) sono vere e proprie categorie ontologiche fondamentali, nel senso che sussistono come tali
eternamente. Pertanto precedono, necessariamente, l’ordinamento e l’opera del demiurgo e gli
preesistono, ed è proprio dalla loro interazione che scaturisce l’universo. Nella condizione originaria,
dunque, la chora accogliendo in sé tutti gli elementi e assumendone perciò via via la forma, subisce
ogni genere di deformazione e di movimento, che trasmette a sua volta agli elementi che si trovano in
essa. In questo stato di instabilità, tutti gli elementi presenti nella chora, sono portati a riunirsi
costituendo dei nuovi insiemi a seconda della loro maggiore o minore densità e pesantezza (come
avviene, quando, per pulire il grano lo si filtra con gli strumenti). Dunque, tali elementi, finisco per
separarsi i dissimili dai dissimili, e unirsi i simili con i simili, occupando ciascuno una posizione diversa e
venendo così a distinguersi nettamente fra loro. Ecco come dal caos primordiale (prima dell’intervento
demiurgico), si compie già una tappa fondamentale del percorso che conduce al perfetto ordine
cosmico. Tuttavia, pur possedendo già delle “tracce primordiali” della propria natura e proprietà, gli
elementi divengono tali, si generano e hanno origine: solo quando la divinità inaugura la struttura
geometrico-matematica del tutto, configurando l’universo e tutte le cose che contiene, “secondo forme
e numeri”.
Il modello matematico-geometrico
 Sorge un problema centrale, quello di capire da dove derivano tali tracce elementari primordiali
presenti nella chora: 1) ammettere che, già prima dell’intervento del demiurgo, sussista una relazione
fra la chora e le idee; 2) riconoscere che, nel caos primordiale, la confusa mescolanza di tutte le cose
presenti nella chora, lascia intravedere delle tracce di ciò che saranno gli elementi. A questo punto
viene messo in atto un rigoroso processo di riduzione: ogni elemento fisico è corporeo e ogni corpo è
dotato di profondità, in poche parole ha un volume. Dunque, ogni ente fisico è come avvolto da una
serie di superfici piane che ne costituiscono le “facce”, in cui può essere scomposto, in questo caso in
triangoli. Viene, quindi proposta l’interpretazione matematizzante e geometrizzante del reale, che
stabilisce e riconosce, l’esistenza di una struttura ordinata del tutto. Facendo riferimento a un modello
di tipo matematico-geometrico, Platone probabilmente ritiene di aver individuato la soluzione più
efficace al problema del divenire. Se, infatti, il cosmo sensibile e gli elementi che lo compongono sono
caratterizzati da una struttura numerica-geometrica regolare, pur divenendo incessantemente,
manifesteranno una certa stabilità. Tornando ai triangoli elementari, ognuno di essi può essere
scomposto in due triangoli rettangoli, che possono essere isosceli o scaleni. Questo ragionamento è
“verosimile”, in quanto riguarda le realtà sensibili generate, e “congiunto a necessità”, in quanto
riguarda la chora e la struttura geometrico-matematica, attingendo così ad un grado superiore che
trascende la semplice verosimiglianza, diventando in qualche modo più forte. Vengono ora menzionati
“i principi che si situano ancora prima” dei triangoli elementari, alcuni studiosi hanno voluto vedere in
questi, delle realtà anteriori persino alle idee, di cui si fa menzione nelle cosiddette “dottrine non
scritte” di Platone. Ma più semplicemente può trattarsi di realtà geometriche ancora più elementari e
prime rispetto ai triangoli, che possono essere conosciute solo attraverso la conoscenza degli dei.
I poliedri regolari
 Tornando agli elementi, soltanto tre di loro possono generarsi gli uni dagli altri, la terra rimane fuori da
tale processo generativo-circolare. I quattro elementi, ovvero radici elementari di ogni corpo visibile,
sono ciascuno un genere distinto, a cui Timeo associa un poliedro regolare. Come già detto solo tre
degli elementi (fuoco-aria-acqua) possono generarsi gli uni dagli altri, pertanto, le loro particelle
elementari derivano dal triangolo rettangolo scaleno, invece, la terra, che rimane esclusa dal processo
generativo, ha le sue particelle elementari derivanti dal triangolo isoscele. Vengono ora elencati i
cinque “generi di solido”, ovvero i quattro poliedri regolari che possono essere inscritti in una sfera,
assegnando a ciascuno di essi uno dei quattro elementi fondamentali, più un quinto a cui non viene
attribuito nessun elemento:
o Tetraedro regolare, composto da 4 triangoli equilateri che implicano 24 triangoli scaleni elementari;
corrisponde al primo elemento: il fuoco.
o Ottaedro regolare, composto da 8 triangoli equilateri che implicano 48 triangoli scaleni elementari;
corrisponde al secondo elemento: l’acqua.
o Icosaedro regolare, composto da 20 triangoli equilateri che implicano 120 triangoli scaleni
elementari; corrisponde al terzo elemento: l’aria
o Esaedro regolare, ovvero il cubo, composto da 6 quadrati che implicano 24 triangoli isosceli
elementari; corrisponde al quarto elemento: la terra.
o Dodecaedro regolare, composto da 12 facce, la tradizione introdurrà l’etere come quinto elemento.
 Infatti, Timeo afferma che la divinità si servì del quinto poliedro regolare, “per decorare l’universo con
figure di animali” alludendo così ai segni zodiacali e alle diverse costellazioni che li compongono. Viene
di nuovo sollevato, a questo punto, il dubbio relativo al numero dei mondi possibili, che sarà verosimile
nel caso in cui venga considerata l’esistenza di un solo mondo, oppure, di cinque mondi: in virtù dei
cinque poliedri regolari di cui si compongono i solidi elementari. L’ordine dei solidi inscrivibili nella
sfera, dipende dalla loro mobilità: la terra è il meno mobile degli elementi per questo gli è stato
associato il cubo, che ha solide basi in quanto di superfice piana, seguono poi in ordine crescente di
mobilità acqua, aria e fuoco. Analogamente il discorso vale per la grandezza: il fuoco è composto dalle
particelle elementari più sottili, seguono in ordine crescente di grandezza aria, acqua e terra. Conviene
notare che in questa descrizione di elementi, invisibili nella loro singolarità, ma visibili nelle loro
aggregazioni superiori, molti hanno voluto vedere un riferimento agli atomi democritei.
La trasformazione ciclica degli elementi
 Timeo distingue ora, fra due diverse modalità d’azione nell’ordinamento del tutto: 1) talora la necessità
“meccanica” degli elementi deve essere “persuasa” dalla divinità, che la costringe all’ordine imposto al
tutto, superando in qualche modo la sua resistenza; 2) talora la necessità “si presta spontaneamente”,
nel senso che accompagna docilmente l’opera del demiurgo. Timeo torna, inoltre, a precisare che la
terra, in virtù della natura delle particelle che la compongono, non può trasformarsi in nessuno degli
altri elementi, che, invece, possono trasformarsi gli uni negli altri. Questo avviene secondo proporzioni
ben precise, che dipendono dal numero e dalla combinazione dei triangoli elementari che compongono
ciascun elemento. Tale processo di trasformazione ciclica, viene descritto nella forma di un
“combattimento” vero e proprio, in cui ogni elemento, scontrandosi con gli altri, tende a conservare la
propria natura, facendo resistenza all’azione degli altri. Quando nel corso del “combattimento” le
particelle più piccole si trovano a confronto con quelle più grandi, si prospettano loro due possibilità: 1)
cedono e acconsentono all’elemento più forte assumendone sua la forma e condizione, pertanto
cessano di dissolversi; 2) persistono nella loro resistenza all’elemento più forte, e continuano a subire
una progressiva dissoluzione, fino a che “fuggono via” per tornare presso l’elemento proprio, oppure, si
riducono forzatamente ad esso.
L’assenza di uniformità e di vuoto
 Il “combattimento” fra le particelle elementari descritto fin qui implica un permanente sommovimento
dei corpuscoli, che dipende dal movimento proprio del ricettacolo della chora. Ogni trasformazione di
un elemento in un altro implica di necessità un movimento locale, perché, se ogni elemento possiede
una collocazione sua propria, quando si trasforma in un altro va porsi nella sua posizione. Ora, se la
condizione di tutti i corpi “motori” e “mossi” fosse quella di una perfetta e completa uniformità, allora
nessun movimento sarebbe possibile, visto che l’uniformità dipende dall’uguaglianza e, se ogni cosa
fosse uguale alle altre non sarebbe possibile distinguere un corpo “motore” da uno “mosso”. Una simile
distinzione diviene legittima nel momento in cui si ammette la diversità, dunque, l’assenza di uniformità
che permette di stabilire relazioni di vario genere fra più elementi diversi. Timeo esclude l’esistenza del
vuoto in quanto, il movimento dell’anima del mondo che imprime all’intero cosmo, “comprime tutte le
cose e non permette che rimangano spazi vuoti”, questo, inoltre, determina il movimento “meccanico”
delle particelle elementari. Da ciò Timeo può affermare che l’assenza di uniformità, da cui deriva il
movimento di tutti i corpi, riproducendosi eternamente in virtù della continua dissoluzione e
generazione dei corpi per il loro permanente rimescolamento, determina un movimento senza fine.
Tornando al discorso dell’assenza del vuoto, Timeo, fa riferimento, però, a degli interstizi che si creano
all’incontro delle particelle elementari, perché esse non vengono completamente riempite
dall’aggregazione dei solidi elementari: che rimangono come male “incastrati” fra loro.
Le caratteristiche degli elementi
 Come per il fuoco, anche per l’acqua bisogna distinguere due generi diversi: 1) un genere liquido,
composto da particelle più piccole e mobili; 2) un genere fusibile, composto da particelle più grandi e
stabili che giunge a un grado di liquefazione solo parziale. Il fuoco essendo l’elemento più sottile in
assoluto, penetra fra le particelle componenti dei corpi d’acqua, ciò contribuisce a innescare il processo
di fusione, che consiste nella disaggregazione della loro massa, per cui si verifica il fenomeno della
pioggia. Vengono ora elencati i “quattro generi di acqua” che hanno in sé il fuoco, nel senso che ne
condividono alcune proprietà (luminosità-capacità di produrre calore); detti succhi: il vino, l’olio, il
miele ed il fermento. Siccome non esiste il vuoto, le particelle di acqua che si trasformano in aria non
possono che premere sull’aria stessa, che già riempiva lo spazio circostante. Il meccanismo di pressioni
che si genera porta alla costituzione dei corpi di terra più densi e pesanti che, premuti insieme con
l’acqua dall’aria, generano pietre, come ad esempio i cristalli e la “pietra di colore nero” una sorta di
lava. Timeo passa ad enumerare i “generi della terra” che derivano dalla mescolanza di terra e acqua:
se viene sottratta una grande quantità di acqua, si generano nitro e sale, entrambi composti di
particelle di terra sottili e solubili in acqua. Ma esistono anche corpi che, pur derivando dalla
mescolanza di terra di acqua, non sono solubili: ciò avviene perché, l’acqua si trova all’interno degli
interstizi della terra, pertanto, è impossibile che altre particelle d’acqua esterne, possano penetrare
anch’esse negli interstizi già pieni. Invece, il fuoco le cui particelle sono più sottili di quelle dell’acqua,
può penetrare all’interno dei corpi composti di terra e di acqua, causandone la fusione e lo
scioglimento. Questo avviene tramite un “processo di riduzione progressiva”, per cui ogni elemento più
sottile può penetrare all’interno dell’elemento più grande: in questo caso il fuoco agisce penetrando
nell’acqua che a sua volta reagisce trovandosi negli interstizi della terra dando luogo all’evento.
Il processo percettivo umano
 La spiegazione della generazione e della trasformazione di tutti i corpi proposta fin qui, che si basa
esclusivamente sulle diverse possibilità di aggregazione e disaggregazione dei solidi elementari, lascia il
posto all’analisi dei processi percettivi dell’anima. Come visto, solo una parte dell’anima, quella
razionale prodotta dal demiurgo, è immortale; la parte desiderativa e la parte passionale, prodotte dagli
dei generati e aiutanti, sono invece mortali. Il rapporto fra il processo percettivo e la costituzione della
struttura fisiologica umana è assai stretto, dunque, per capire come avviene la sensazione, occorre
sapere com’è strutturato l’essere umano. Ma la prima cosa da fare è apprendere la natura e le relazioni
fra le qualità sensibili: le caratteristiche di ciascun elemento dipendono, infatti, dal solido geometrico
elementare che a esso è associato e, prima ancora, dalle figure piane che costituiscono le sue facce. La
sensazione di calore proviene dal fuoco, in quanto possiede la caratteristica di sminuzzare e di ridurre in
frammenti i corpi in cui si imbatte. La sensazione di freddo proviene dall’acqua, che comprime
dall’esterno sulle particelle d’acqua interne al nostro corpo, condensandole e congelandole, e lottando
fra di loro generano tremori e brividi. Duro invece viene detto ogni corpo a cui la nostra carne cede,
molle invece quello che cede alla carne. La terra viene considerata essere l’elemento più resistente,
costituita da particelle di forma cubica caratterizzate, perciò, da basi quadrate.
La sfericità del corpo del mondo
 Per la loro propensione naturale i corpi che non subiscono alcuna azione da parte di altro, affidati
esclusivamente al peso e alla massa, cadono verso il basso, mentre per dirigersi verso l’alto,
necessitano di una spinta da parte di altro. Tuttavia, se la forma dell’universo è sferica, esso in realtà
non avrà nessun “alto” né “basso”, perché dal centro tutti i punti della circonferenza sono sempre
equidistanti e identici; l’alto e il basso dipendono solamente dal punto di vista del tutto relativo
dell’osservatore. Difatti, se qualcosa è perfettamente omogeneo e non presenta differenze, come è
apparso essere l’universo, sarà impossibile impiegare per descriverlo una coppia di termini contrari,
giacché una tale contrarietà negherebbe la perfetta omogeneità. Gli elementi si radunano, ciascuno con
la stragrande maggioranza delle sue particelle componenti, là dove li spinge il movimento perenne della
chora (ricordando l’esempio del setaccio). Per questo Timeo precisa che le relazioni fra gli opposti
(pesante-leggero, alto-basso) dipendono dal luogo proprio di ogni elemento: corpi che si trovano in
luoghi opposti avranno rispettivamente un alto e un basso opposti, a seconda del punto di vista. Con lo
stesso esempio se ci si colloca sulla terra e si osserva il movimento naturale del fuoco, si sarà portati a
dire che esso è leggero e sale; ma se ci si colloca ad osservare il fenomeno nel luogo proprio del fuoco,
opposto a quella della terra, si sarà portati a dire che esso è pesante e scende.
Le impressioni e le sensazioni
 Adesso le impressioni, derivano dall’incontro fra due corpi e divengono, in senso proprio, sensazioni
solo nel momento in cui giungono, attraverso gli organi di senso e le ramificazioni nervose, all’anima
razionale. Tale meccanismo delle impressioni, che divengono sensazioni solo quando giungono
all’anima razionale, dipende essenzialmente dalla capacità trasmettitiva delle particelle componenti,
pertanto, i corpi composti da particelle poco mobili, come la terra, non avranno sensazioni: come i
capelli e le ossa nel corpo umano. Mentre i corpi composti da particelle più mobili, come il fuoco e
l’aria, sono capaci di trasmettere le impressioni, in virtù della loro mobilità, fino alla parte razionale
dell’anima e avranno molte sensazioni: come gli organi della vista e dell’udito. Viene introdotto un
principio che regola l’intera spiegazione dei fenomeni percettivi, specie in relazione al piacere e al
dolore, che gli organi possono suscitare: ogni mutamento della condizione naturale di un corpo è fonte
di dolore e di malessere, mentre il recupero e la restaurazione di tale condizione sono fonte di piacere e
di benessere. Questo perché ogni cosa è strutturalmente finalizzata alla conservazione del proprio stato
e del proprio essere originario (ordine teleologico imposto dal demiurgo). Timeo afferma che la
maggior parte delle impressioni derivano dai fenomeni di contrazione e dilatazione, in relazione con il
ruvido e il liscio: le vene fanno capo al cuore, che è la sede della parte irascibile/passionale dell’anima,
mentre nel fegato ha sede la parte desiderativa e concupiscibile dell’anima.
Gli odori e i colori
 Adesso l’analisi si sposta sulla “facoltà delle narici”, poiché non si compongono in gruppi in cui sia
possibile distinguere delle specie determinate, gli odori rimangono “senza nome”. Difatti, gli odori
possono essere classificati solo in base all’effetto piacevole o spiacevole che suscitano, vengono,
pertanto, trattati da Timeo come un corollario della discussione che riguarda il piacere e il dolore.
Timeo spiega fenomeni fra loro assai diversi, come la vista, il gusto e il tatto, ricorrendo a identiche
cause di natura fisico-geometrica. Questa dimostrazione per analogia, avviene prendendo in
considerazione le particelle elementari che compongono tutti i corpi e gli stessi organi di senso che li
percepiscono. Per quanto riguarda la percezione dei colori, il tutto si verifica similmente a quello della
vista, attraverso i due fuochi esterno-interno, in questo caso, però, vengono coinvolti anche gli altri
elementi, dalla cui mescolanza derivano tutte le variazioni di tonalità (come nella pratica delle tinture).
Per quanto riguarda la spiegazione della totalità delle combinazioni dei colori, Timeo afferma che “solo
gli dei potrebbero giungere fino in fondo alla realizzazione di un tale obbiettivo” in quanto sono a
conoscenza dei rapporti fra unità e molteplicità. A questo punto l’universo viene detto “dio
autosufficiente e perfettissimo” prodotto dal demiurgo secondo la sua suprema bontà, vivente
comprendente tutti i viventi in sé. Viene nuovamente fatto riferimento alle due specie di cause: 1) le
cause diviene-prime-intelligenti, che operano secondo un disegno razione e in vista di determinati
obiettivi; 2) le concause o cause accessorie-secondarie, che permettono di spiegare i fenomeni
meccanici regolati dalla necessità. Nell’ambito del corpo umano, dunque, la causa prima e vera è
l’anima pensiero cosciente dell’agire di ogni individuo, mentre le concause sono i meccanismi ossei e
muscolari che permettono al corpo di funzionare. La conoscenza delle cause divine, implica una sorta di
scienza “universale” della funzione del tutto, avvicinandosi così ad una conoscenza divina che permette
una vita felice; la conoscenza delle concause è comunque una tappa indispensabile per giungere alla
prima.
Le tre parti dell’anima umana
 Timeo fa ora riferimento alle “misure proporzionate”, che la divinità ha introdotto in ogni cosa,
rendendo così possibile una comparazione fra di esse: un rapporto di perfetta simmetria. Viene ribadita
la sede della parte razionale dell’anima, che si trova nella testa, la quale governa sul resto del corpo e lo
guida come un carro. Riparte così il discorso sulla generazione degli uomini che è compiuta dagli dei cui
il demiurgo ha affidato tale compito “seguendo la necessità”. Infatti nella misura in cui l’essere umano
deriva dall’unione della parte divina-immortale (anima razionale) e della parte mortale e soggetta al
divenire (anima irascibile, anima desiderativa e corpo), per operare una simile commistione, gli dei
hanno dovuto sottomettersi alla necessità. Quest’ultima impone vincoli assoluti e insuperabili, ma la
sua influenza non è totale: l’opera di produzione degli uomini può, dunque, essere compiuta dagli dei,
nel limite del possibile, secondo la loro libera decisione e riflessione. Gli dei pongono, dunque, nel
torace la parte mortale dell’anima mista di desideri e passioni, che si divide a sua volta in due parti, per
mezzo del diaframma: 1) irascibile/passionale che “presta ascolto alla ragione e collabora con essa” e 2)
desiderativa o concupiscibile “fonte degli appetiti più bassi” che disubbidisce alla ragione ignorando i
suoi comandi. Il cuore è stato collocato “nel posto di guardia”, Timeo insiste seguendo l’esempio della
Repubblica, sul parallelismo stabilito fra le funzioni vitali degli organi del corpo umano e la struttura
sociale e politica della città. Infatti, vengono evocate successivamente le caratteristiche della psicologia
della Repubblica: la parte desiderativa dell’anima, deve essere dominata e sottomessa dalla parte
razionale dell’anima in alleanza con la parte irascibile. L’anima appetitiva/desiderativa necessaria, con
le sue funzioni, all’esistenza dell’uomo, viene, tuttavia, posta dagli dei, il più lontano possibile dalla
parte razionale divina, perché quest’ultima fosse disturbata il meno possibile nelle sue attività di
comando. Una simile tripartizione dell’anima e delle sue funzioni corrisponde anche al mito presentato
nel Fedro.
Il comando dell’anima razionale
 Viene ora spiegato il modo in cui l’anima razionale comanda alle altre due parti: il fegato è costituito in
modo tale da assomigliare a uno specchio, affinché, giungendovi il comando della ragione, esso potesse
rifletterlo, suscitando così timore nella parte appetitiva dell’anima e inducendola all’ubbidienza. Lo
strumento attraverso il quale si propaga tale sentimento di timore è la bile, che diffondendo il suo
gusto amaro per l’intero fegato procura “dolori e nausee”. L’eventualità opposta si ha quando l’anima
razionale, suscita nel fegato “immagini di serenità e di dolcezza”, la struttura e la disposizione del
fegato e delle sue parti vengono ristabilite nel loro ordine originario. L’influenza dell’anima razionale
che, in questo caso, suscita pace e tranquillità nel fegato, permette all’anima appetitiva che vi dimora di
dedicarsi, specie nel corso della notte quando l’intelligenza e il ragionamento sono a riposo, all’esercizio
della divinazione. Tale pratica è considerata come un rimedio alla debolezza e all’inferiorità della natura
umana, essa permette infatti, di entrare direttamente in contatto con la divinità, riuscendo a
comprenderne la parola e le manifestazioni, che pure si presentano “in una forma enigmatica”.
La divinazione
 Timeo specifica che la divinazione è concessa dalla divinità alla parte dell’uomo priva di intelligenza e
che nessuno, in possesso delle sue facoltà mentali, giunge a una divinazione ispirata e vera: ci giunge
solo chi ha perso l’intelligenza nella malattia o a chi è rimasta incatenata nel sonno, oppure, chi è in
preda di un divino entusiasmo. In questo caso i profeti non sono colo i quali predicono determinati
eventi, ma piuttosto coloro i quali interpretano, attraverso certi segni, le parole e i voleri della divinità.
Inoltre, la migliore forma di divinazione è quella i cui segni sono manifestati dal fegato “finché ogni
creatura è viva”, ovvero in virtù di una possessione divina. I segni, invece, che vengono tratti dal fegato
di una creatura morta sono oscuri e difficilmente decifrabili: questa risulta essere una critica netta nei
confronti della tradizione greca, per cui la divinazione veniva operata attraverso l’individuazione dei
segni, dalle viscere di animali morti. Timeo esprime ora un atto di accusa nei confronti della natura
umana per “la nostra intemperanza in fatto di bevande e cibi”, la cui golosità rende il corpo “del tutto
estraneo alla filosofia e alle Muse e completamente sordo a ciò che vi è in noi di più divino”.
L’importanza del midollo
 Tutto ciò che riguarda il corpo umano viene generato a partire dal midollo, in cui vengono fissati “i
vincoli della vita per cui l’anima è avvinta al corpo”. Vi è una parte del midollo, corrispondente al
cervello e situata nel cranio, che deve accogliere la parte immortale dell’anima; un'altra parte del
midollo, lungo la colonna vertebrale e in tutte le ossa del corpo, sono sede dell’anima mortale. Le ossa
che contengono una quantità di anima maggiore sono rivestite da una piccolissima quantità di carne,
mentre quelle che contengono una minore quantità di anima sono rivestite di una quantità abbondante
di carne. Questo perché le ossa che contengono pochissima anima, sono prive di pensiero mentre le
ossa che contengono tanta anima sono il centro del pensiero: la carne pertanto è in quantità minore
nella zona dove viene esercitata l’attività intellettiva, che deve essere il più possibile libera. Timeo
contrappone ora le funzioni della bocca, che appartiene 1) al nutrimento, per quanto riguarda l’ambito
della necessità animale e meccanica, 2) al discorso, per quanto riguarda la sfera razionale, che è sempre
in relazione con il bene. Il ciclo del nutrimento e il flusso delle sensazioni, dipendono dai “movimenti
periodici” ovvero le rivoluzioni caratterizzate da ogni anima individuale e, ovviamente, dall’anima del
mondo.
I vegetali
 Viene ora fatto un cenno alla dottrina della trasmigrazione delle anime, secondo la quale, a certe
condizioni, ogni anima può passare, dopo la morte del corpo, incarnandosi in forme diverse di esseri
viventi. Per quanto riguarda il mondo vegetale, il tutto è stato prodotto dalla divinità per “provvedere a
un soccorso” agli uomini, ossia per fornire loro nutrimento, e per proteggerli dalla violenza degli
elementi. I vegetali sono dello stesso genere della natura umana, sia per la loro composizione
elementare, ma soprattutto, perché anche loro possiedono un’anima: la parte appetitiva, quella che
Aristotele nel De anima chiamerà vegetativa. L’anima dei vegetali, dunque, rimane esclusa da ogni
funzione conoscitiva, dal pensiero, dal discorso e dall’opinione: essa può soltanto avvertire delle
sensazioni di piacere o di dolore, accompagnate dai relativi appetiti, in relazione al desiderio della
propria conservazione. L’anima vegetale/appetitiva è priva di ragionamento e di pensiero, in quanto
non è per natura in grado di compiere i movimenti di rotazione dei cerchi dell’identico e del diverso,
che garantiscono la conoscenza. Tuttavia, essa deve poter esercita un movimento almeno parziale,
perché, come ogni anima è necessario che possieda la facoltà di suscitare il proprio movimento:
secondo la definizione dell’anima che è auto-motrice. I vegetali, dunque, nel loro insieme non
possiedono la facoltà del movimento locale, ma “piantati a terra” si muovono solo verticalmente
crescendo o decrescendo (movimento sostanziale).
Il sistema circolatorio umano
 Viene ora spiegato il sistema circolatorio all’interno del corpo umano, i cui due principali canali sono
rappresentati come una rete di irrigazione dei campi. Il midollo spinale ha un’assoluta centralità, come
ben specificato, infatti, deve essere ben irrorato di sangue “per crescere quanto più vigoroso possibile”.
Da notare che Timeo attribuisce alle vene e al sangue le funzioni proprie dei nervi, e ai nervi le funzioni
che appartengono invece ai tendini; ecco perché la diffusione delle sensazioni attraverso il corpo è
affidata al sistema circolatorio. Timeo procede a spiegare quasi congiuntamente la circolazione del
sangue, la respirazione e la digestione, si può, dunque, ritenere che sia in questione l’intera cavità
toracica che comprende: apparato respiratorio, digerente e una parte di quello circolatorio con il cuore
al suo centro. Infatti, per quanto riguarda l’alimentazione i cibi rimangono trattenuti nella cavità
digerente, perché sono composti essenzialmente di particelle più grandi. Invece, per l’irrorazione delle
vene la divinità utilizzò particelle di fuoco e di aria che, essendo più piccole di quelle che compongono
l’apparato digerente, non possono essere trattenute.
Il sistema sensitivo umano
 Con aria e fuoco la divinità produce una sorta di “tubo”, intessuto come un reticolato, di fuoco al suo
interno e di aria nelle sue aperture verso l’esterno. Questo “tubo” viene introdotto nel corpo umano, la
cui apertura “biforcuta” viene adattata in corrispondenza della bocca: una parte verso i polmoni (il
canale respiratorio ovvero la trachea) e l’altra verso lo stomaco (il canale digerente ovvero l’esofago).
Vengono poi predisposte le narici, utili poiché, quando la bocca è eventualmente ostruita i flussi di aria
possono passare attraverso le aperture del naso, permettendo così la respirazione: la cui cessazione
totale rappresenta la morte del corpo. Ogni movimento di inspirazione e di espirazione dell’aria è
accompagnato anche dal “fuoco interno”, pertanto, la respirazione spiega come sia possibile la
digestione: tale fuoco, finito nell’apparato digerente, attacca cibi e bevande dissolvendoli e
conducendone i resti fino alle “vie d’uscita”. Tuttavia, è l’assenza di vuoto che giustifica il fenomeno
della respirazione, infatti, l’aria emessa quando si espira, uscendo all’esterno, va a spingere l’aria
circostante innescando così un meccanismo circolare di successive spinte, che con l’inspirazione, torna
nuovamente a riempire lo spazio da cui era inizialmente uscita. L’inspirazione e l’espirazione sono
possibili per mezzo del semplice meccanismo di riscaldamento e raffreddamento dell’aria, dovuto al
“fuoco interno” e all’aria fredda esterna. Timeo si accinge a spiegare il fenomeno dei suoni, acuti e
gravi, ricorrendo a una analogia con il movimento di un corpo che subisce una spinta: dati due
movimenti (suoni) uno più lento (grave) e uno più veloce (acuto). Quando il più veloce rallenta viene
raggiunto al più lento, fino a che entrambi non procedono alla stessa velocità: si viene a costituire così
un “nuovo movimento” che non suscita alcun turbamento anzi, provoca una progressiva
armonizzazione dei due precedenti fino alla loro fusione. Questo unico movimento determina un’unica
impressione sonora, da cui deriva un’unica sensazione che consiste nell’unione di suoni acuti e gravi. In
questo senso il fenomeno dell’ascolto dei suoni dipende dallo stesso meccanismo di propagazione e di
spinta circolare dell’aria, utilizzato per illustrare la possibilità di respirazione. Anche ogni fenomeno
apparentemente stupefacente, si spiega in realtà ricorrendo alle stesse cause naturali: il movimento
circolare dell’aria produce una serie di spinte successive che innescano un meccanismo di azioni e
razioni negli elementi. Ad esempio la pioggia dipende dalla caduta dell’acqua spinta dall’aria, il fulmine
non è altro che fuoco spinto violentemente a terra dall’aria area.
Le malattie del corpo e dell’anima
 Il corpo umano viene, dunque, considerato come “tutto” allo stesso modo dell’universo che contiene in
sé tutti gli elementi ed è sempre un “pieno”, in quanto il vuoto non esiste. Quando la struttura del
vivente è giovane ha i triangoli elementari ancora nuovi come “appena usciti alla fabbrica”:
alimentandosi e accogliendo in sé altri triangoli dall’esterno, essendo quest’ultimi più vecchi e più
deboli, sono facili da dominare e tagliare per essere trasformati in nutrimento. Quando, invece, la
struttura del vivente è infiacchita per i molti scontri e per il molto tempo passato, nutrendosi i suoi
triangoli elementari non riesco più a tagliare e a dominare quelli degli alimenti, pertanto, si verifica un
consumo interno denominato “vecchiaia”. Alla fine, quando i vincoli che tengono insieme i triangoli del
midollo non oppongono più resistenza, ormai sciolti dalla fatica, lasciano andare i “vincoli dell’anima”
ed essa viene “resa libera come vuole la sua natura”. La natura dell’anima è, infatti, quella di sussistere
libera dal corpo, in sé e per sé, mentre il legame con il corpo non costituisce che una necessaria, ma
sofferta, prigionia. Timeo parte ora a spiegare come abbiano origine le malattie del corpo, vi sono: 1) le
malattie dovute a un eccesso, a un difetto o a un’errata collocazione degli elementi componenti; 2) le
malattie che riguardano i tessuti composti dagli elementi (midollo, ossa, carne, etc.); 3) le malattie che
dipendono dal respiro, dalla bile, dal flegma e dalla febbre. L’identità e la conservazione nel proprio
stato producono salute e benessere, mentre le diversità e le trasformazioni della propria condizione
naturale producono malattie e malessere. La morte è sempre e comunque una liberazione o uno
scioglimento dell’anima dal corpo, considerata come risolutiva (l’anima riprende la sua condizione
ottimale). Timeo prende a spiegare come si verifichino le malattie dell’anima, schematizzate come
segue: 1) le malattie che dipendono da un eccesso di dolore o di piacere nel corpo; 2) le malattie che
dipendono da una disposizione ereditaria o da una cattiva/insufficiente educazione. Il liquido seminale
trasuda dal midollo, e viene prodotto in eccessiva quantità, privando l’individuo del senno. Questo
andrà a stimolare in modo anormale l’organo sessuale, causando disordini e intemperanze nei piaceri
erotici. I dolori eccessivi sono anch’essi causa di malvagità, “vagando per il corpo”: 1) se aggrediscono la
parte desiderativa dell’anima provocano “scontentezza e afflizione” quindi una disfunzione
desiderativa; 2) se aggrediscono la parte irascibile provocano “temerarietà o viltà” quindi uno squilibrio
delle passioni; 3) quelle che aggrediscono la parte razionale provocano “oblio e insieme pigrizia
intellettuale”, quindi un malfunzionamento delle facoltà intellettuali. Questi individui, colpiti da tali
malattie dell’anima, vengono generalmente giudicati come malvagi, ma questo è un errore in quanto
nessuno è volontariamente malvagio. Si riprende in questo punto, l’antico precetto socratico secondo
cui: se il male non fa che causare danni a chi vi si accosta e se nessuno può voler subire il male, allora
necessariamente, chi compie azioni malvage non può che farlo per ignoranza e perciò
involontariamente, perché se conoscesse veramente il bene, non potrebbe che desiderarlo. Per quanto
riguarda la cattiva educazione o l’ereditarietà della disposizione malvagia, la colpa della malvagità è da
attribuire ai genitori più dei figli. Il vivente è bello e buono quando è dotato di misura e proporzione,
questo vale rispetto “alla salute e alla malattia, alle virtù e ai vizi e all’anima e al corpo”, bisogna tenere
contro del giusto equilibrio delle parti che compongono ogni cosa (macrocosmo e microcosmo). Un
corpo grande si trova connaturato ad un’anima piccola e viceversa, perché per natura vi sono due
desideri nell’uomo: l’uno per il nutrimento e l’appagamento sessuale, l’altro per la conoscenza e
l’intelligenza.
La metempsicosi e gli “uomini mancati”
 Timeo oppone al destino della vita individuale, predestinata dagli dei, una necessità che sopraggiunge a
causa di circostanze fortuite e casuali. Il discorso finale di Timeo si concentra sull’anima umana: la parte
che rimane inattiva e non esercita i propri movimenti, diviene necessariamente più debole, mentre
quella che si mantiene in esercizio diviene la più forte. Timeo assimila la “parte divina” dell’anima
umana a un demone protettore, che ciascun individuo custodisce in sé, collocata “nella parte superiore
del nostro corpo e che ci solleva da terra verso ciò che gli è affine nel cielo, giacché noi siamo piante
celesti e non terrestri”. L’anima ha pensieri mortali quando si abbandona ai desideri e alle ambizioni,
mentre ha pensieri immortali e divini quando si impegna nella ricerca del sapere e attinge alla verità. Il
modello di vita perfetto è considerato essere l’assimilazione, per quanto è possibile, alla divinità. Il
monologo di Timeo si conclude con un breve cenno al modo in cui si sono generati gli altri esseri
viventi, introducendo il processo della metempsicosi che domina l’intero ciclo della vita e garantisce
eternamente la sua conservazione. Fra quelli che sono stati generati maschi, i più vili e ingiusti si sono
trasformati in donne alla seconda generazione (incarnazione dell’anima): da qui nasce la divisione dei
sessi, il desiderio carnale e l’unione sessuale da cui ha origine la generazione dei viventi.
Successivamente la “stirpe degli uccelli” si generò per una trasformazione umana, come punizione per
l’ingenuità ad aver attribuito la conoscenza vera e salda al sensibile. La “stirpe degli animali pedestri e
selvaggi” si generò a partire da uomini per nulla dediti alla filosofia e alle cose celesti. La “stirpe
acquatica” si generò dagli uomini più stolti e ignoranti di tutti, privati della respirazione pura a causa
della contaminazione dell’anima. Nello stesso modo tutti gli esseri viventi si trasformano gli uni negli
altri, subendo tali metamorfosi a seconda che perdano o acquistino intelligenza o stoltezza.
L’aporia suscitata nel Parmenide
 Le difficoltà sollevate contro la teoria delle idee nel Parmenide ruotano intorno alla definizione, delle
modalità e delle possibilità, di partecipazione fra le idee intellegibili e le cose sensibili. Ogni idea è,
secondo il Parmenide, un’entità pura, separata e completamente differente dalla realtà sensibile;
poiché le idee sono ciascuna “in sé e per sé”, non possono “trovarsi fra di noi” e non possono
intrattenere nessuna relazione con le cose sensibili. Ma allo stesso tempo ogni idea è un’entità, in un
certo modo, soggetta alla partecipazione delle cose sensibili, perché occorre che le cose sensibili
traggano da questa partecipazione la loro realtà propria. Di qui la questione della “duplice natura” o
“duplice ruolo” attribuita alle idee: com’è possibile che le idee si rivelino come realtà separate dal
sensibile, e al tempo stesso, in comunicazione con esso? Ci deve essere una relazione causale fra le
cose sensibili e le idee intellegibili, se le prime infatti ricevono dalle seconde determinate caratteristiche
e qualità. Non è possibile ridurre tale partecipazione a una mera operazione mentale, bisogna, invece,
supporre l’esistenza di una relazione in virtù delle quale le idee intellegibili, assumono il ruolo di cause
efficienti delle cose sensibili. Ciò che è grande, lo è, dunque, in virtù della partecipazione alla grandezza
in sé, prima di partecipare dell’idea di grandezza, un albero sensibile non può essere definito grande.
Analogamente, se un ente sensibile è “uomo in virtù dell’idea di uomo”, prima di partecipare di tale
idea esso sarà solo una pura materia informe, che non può essere definita uomo. Dunque, nell’ambito
del rapporto partecipativo, si compie effettivamente la trasmissione/comunicazione reale e concreta di
quella caratteristica, dalle idee intellegibili alle cose sensibili. Secondo Platone, le cose sensibili, sono e
non sono allo stesso tempo: “sempre apparenti e prive di determinazioni, perennemente mutevoli e
diverse da sé stesse”. Per possedere davvero una certa caratteristica, occorre che esse partecipino delle
idee e ne ricevano le determinazioni; appena cessano di partecipare delle idee, le cose mutano e si
corrompono, perdono ogni caratterizzazione. Le idee sono enti puramente formali privi di qualunque
“veste materiale”, l’ipotesi stessa della partecipazione fra la sfera sensibile e la sfera intellegibile, fra i
generi ideali e gli oggetti empirici, implica necessariamente una commistione dei due livelli separati del
reale. Ne deriva l’aporia: idee e cose, separate da un radicale divario ontologico, devono tuttavia
stabilire una relazione causale in virtù della quale, le idee riescano ad adempire efficacemente alla loro
funzione di modelli delle cose. Infatti posto che le idee intellegibili sono separate dalle cose sensibili,
nessuna partecipazione sarà possibile perché la separazione impedisce ogni relazione fra loro:
partecipate dalle cose, le idee risulterebbero allora presenti nel sensibile, sacrificando così la purezza e
l’immutabilità della propria natura. completamente separate dalle cose, le idee sarebbero prive di
qualunque rapporto con il sensibile e dunque inconoscibili agli uomini. Occorre allora che: le idee siano
separate, auto-identiche, permanenti e incorrotte dal divenire, ma tuttavia partecipate dalle cose,
dunque, in rapporto con la sfera sensibile. Questa paradossale conclusione rimanda a una più profonda
difficoltà ontologica: un’idea platonica è infatti un soggetto ontologico primo, non ulteriormente
riducibile o divisibile in parti, identico a sé stesso, immutabile e auto-sufficiente. In questo senso gli enti
ideali sono realtà metafisiche in sé, modelli puri e intoccati dalle cose sensibili, e perciò
necessariamente separati dalla sfera del divenire spazio-temporale, soggetto alla generazione e
corruzione. Ma un’idea platonica è anche, allo stesso tempo, il paradigma immanente rispetto al quale
si determina la costituzione del mondo sensibile: in questo senso gli enti ideali sono partecipati dalle
cose sensibili e in qualche modo presenti in esse.
Le idee nel Timeo
 La teoria delle idee, nonostante l’aporia che suscita rispetto all’ipotesi della partecipazione delle cose,
elaborata nel Parmenide, viene riproposta nel Timeo. L’errore consisterebbe nel concepire le cose
sensibili come soggetti ontologici, in qualche modo esistenti, autonomi e separati dalle idee. Nel
Parmenide infatti, la difficoltà sta nel tentativo di stabilire una relazione fra “entità sostanziali sensibili”
ed “entità sostanziali intellegibili”. Nel Timeo invece, emergerebbe una nuova concezione ontologica, in
virtù della quale i sensibili vengono considerati entità puramente qualitative, e non soggetti ontologici
autonomi e indipendenti: in tal caso il rapporto fra idee intellegibili e cose sensibili, si pone nei termini
di una relazione analoga a quella fra un soggetto e i suoi predicati. Timeo spiega che, a causa del loro
statuto inferiore, soggetto al divenire perenne e alla generazione e corruzione, i sensibili, non
costituiscono una realtà stabile né possono essere descritti come un “questo”, ma piuttosto sono un
insieme di qualità mutevoli che appaiono e scompaiono. L’essenza e l’esistenza dei sensibili nel Timeo,
sarebbe di natura puramente relazionale, non si tratterebbe più di cose in senso proprio, dotate di
realtà individuata e autonoma, ma soltanto di apparenze o manifestazioni sensibili. In questi termini il
problema della partecipazione si potrebbe ritenere risolto, infatti, perché ci sia partecipazione occorre
ammettere almeno due soggetti partecipanti, ma visto che i sensibili non sono altro che delle
manifestazioni prive di qualunque sostanzialità, non può sussistere nessuna partecipazione. Una volta
stabilita questa “diagnosi” al dilemma della partecipazione, l’unica soluzione del problema appare
eliminare una delle due classi di soggetti ontologici, le idee intellegibili o le cose sensibili, oppure
negare la dimensione sostanziale di una di esse. Aristotele, infatti, per risolvere l’aporia aveva negato la
dimensione sostanziale e separata delle idee, riducendole così a meri concetti e predicati generali di
cose sensibili particolari (sostanza-qualità). I medioplatonici e i neoplatonici, invece, avevano
progressivamente rinunciato alla dimensione sostanziale e separata delle cose sensibili, che finivano
così per manifestarsi come un ultimo, pallido riflesso delle realtà prime. Il Timeo afferma che le cose
sensibili appaiono ora in un modo, ora in un altro e perciò si oppongono alla stabile immutabilità delle
idee: viene negata la riduzione delle cose sensibili a semplici “qualità” delle idee intellegibili. Per
Platone, infatti, i sensibili non sono mai un “nulla”, ma possiedono una dimensione sostanziale che, per
quanto inferiore e imperfetta sia rispetto a quella delle idee intellegibili, non può essere però negata. Il
Timeo continua a mantenere l’abituale distinzione ontologica fra essere e divenire, fra realtà immutabili
e realtà mutevoli. Tornando alla descrizione del Parmenide, secondo cui la partecipazione è: il processo
attraverso il quale i due livelli della realtà stabiliscono una relazione, che permette agli enti sensibili in
divenire di assumere dalle idee certe caratteristiche. Si tratta, dunque, di una “mediazione ontologica”
da cui derivano le cose e il mondo sensibile, tuttavia la partecipazione degli enti sensibili alle idee
intellegibili, non può avvenire: né sul piano intellegibile (a causa della deficienza ontologica delle cose
sensibili); né sul piano sensibile (a cui le idee sono essenzialmente irriducibili). Occorre allora un luogo
intermedio in cui possa attuarsi la partecipazione del sensibile all’intellegibile, e l’intervento di un
agente o di una causa esterna, che porti a compimento tale partecipazione fra cose e idee.
La soluzione all’aporia parmenidea
 L’ontologia e la cosmologia proposta nel Timeo, rimane puramente “artigianale”, il demiurgo dispone di
un modello (le idee) e di un materiale informe (la chora); egli lavora “manualmente” conferendo alla
copia sensibile una figura, una forma, un ordine, una struttura e una proporzione tratti dalla
contemplazione del modello intellegibile. Essendo una copia, una mera riproduzione materiale
dell’intellegibile, il sensibile non sarà mai perfetto come il suo modello. Lo stesso vale per l’azione del
demiurgo che, pur essendo dotata di bontà e di intelligenza assolute, si avvicinerà soltanto per quanto
possibile alla perfezione del modello. In questo modo vengono affrontati i problemi sollevati nel
Parmenide, di fatto, se il demiurgo porta a compimento la partecipazione, le serie contraddizioni
relative alle modalità e possibilità del rapporto fra i livelli del reale sembrano risolte. Non le idee infatti,
ma soltanto una loro immagine/copia, foggiata dal demiurgo, è realmente presente nella molteplicità
infinita delle cose sensibili. Non viene così violata l’originaria differenza ontologica dei generi ideali, che
come paradigmi semplicemente contemplati e riprodotti dall’artigiano cosmico, rimangono separati,
puri e intoccati. La chora, spazio intermedio fra il sensibile e l’intellegibile, fornisce un’ulteriore garanzia
dell’incorruttibilità della sfera dell’essere, in quanto situa l’attività del demiurgo in una zona “neutra”.
Dunque la partecipazione non è concepita come una relazione concreta e oggettiva fra le due sfere del
reale, ma come una metafora teorica della funzione ontologica e cosmologica del demiurgo.
L’interpretazione del Timeo, è strettamente connessa alla sua forma narrativa di racconto verosimile, il
ricorso al mito dipende dall’esigenza di aiutare il discorso razionale e scientifico, in modo tale da
renderne più immediata la comprensione. L’intervento demiurgico, si configura come un deus ex
machina, che plasma la sfera sensibile a somiglianza del modello ideale e ne riproduce l’immagine nelle
cose sensibili, rendendo così superflua l’ipotesi di un contatto o di un’effettiva presenza delle idee nelle
cose partecipanti. In tal modo le idee intellegibili conservano la loro propria immutabile ed eterna auto-
identità, pur lasciandosi partecipare, o piuttosto meglio dire riprodurre, dalle cose sensibili.
Lo schema causale aristotelico nel Timeo
o La causa materiale è la chora.
o La causa efficiente è il demiurgo.
o La causa formale è il modello eterno delle idee.
o La causa finale è il bene che ispira la funzione demiurgica.
 In realtà Platone, sembra concepire sostanzialmente la causalità, nella forma di un’azione produttiva e
operativa, ma così facendo viene riconosciuta una funzione propriamente causale alla sola causa
efficiente. La causa finale nel Timeo, non è espressamente distinta dalla funzione demiurgico-produttiva
come suo fine, ma vi è piuttosto una funzione intrinsecamente buona, dunque, una causa efficiente che
ha già in sé modi e fini della sua azione produttiva. Per quanto riguarda la causa materiale e formale,
ossia la chora e le idee, non si configurano in senso proprio come cause-operative in quanto: la chora,
anche se sembra corrispondere a tali requisiti, in realtà ricade nell’ambito della causalità necessaria e
accessoria, più come causa errante. Invece per la causa formale, ovvero le idee, in quanto puro modello
supremo, sembrano private di qualunque caratteristica che le possa contaminare e privare della loro
assoluta perfezione e radicale trascendenza. Bisogna pertanto attenersi, come distinzione fra ragione e
necessità, alla “primitiva” gerarchia causale platonica di: causa divina prima (il demiurgo, gli dei e
l’anima del mondo) e cause accessorie secondarie (la chora e l’intera sfera materiale priva di ordine).
Rimangono escluse le idee eterne, in quanto il loro statuto di realtà separate, e la loro autonomia
ontologica può essere preservata solo venendo spogliate di ogni funzione causale diretta. Questa è una
risposta alle aporie del Parmenide perché, se l’azione causale-operativa di determinazione del sensibile
è attribuita a una funzione demiurgico-produttiva, essa risulta definitivamente dissociata dal ruolo delle
idee. Ma è una risposta anche all’incompiuta prospettiva che nel Fedone è ascritta ad Anassagora, la cui
giusta intuizione teleologica rimane viziata e solo parziale, che progressivamente assume la forma di un
deus ex machina per dare vita al mondo. Infatti, Anassagora fra i filosofi naturalisti, sembrava, con la
sua dottrina del Nous, aver trovato la vera causa delle cose. Il Nous avrebbe dovuto spiegare come tutti
i fenomeni siano strutturati in funzione del meglio, presupponendo una precisa conoscenza, da parte
del Nous, del bene e del male. Ma Anassagora non ha saputo fare questo e ha continuato ad assegnare
agli elementi fisici (omeomerie) un ruolo di causa determinante, invece, che attribuirgli quello di causa
ausiliaria. Il Timeo propone il superamento costruendo una teleologia matura, completa e compatibile
con l’articolazione della teoria delle idee, che rimangono estranee alla vicenda del sensibile e prive di
qualunque causalità diretta. La vera causa prima è quella demiurgica intelligente, che opera in funzione
del meglio e per dei fini ben precisi. Ed ecco perché l’universo è bello, come vuole il suo demiurgo
buono, e ben ordinato, come permette il suo modello perfetto. Ma tutto ciò soltanto nei limiti del
possibile, secondo i vincoli di necessità imposti dal riottoso materiale.
Aristotele e la tradizione
 Di fatto è proprio l’imperfezione del sensibile a giustificare l’esigenza di postulare un modello
intellegibile e perfetto come paradigma, criterio e fine ultimo di ogni attività produttiva umana.
Ammesso il rapporto di imperfetta somiglianza che vincola il mondo sensibile al modello ideale, Platone
ha giudicato che una tale condizione possa essere compresa e spiegata solo a patto di estendere su
scala cosmologica, la tipologia e modalità dell’attività mimetico-demiurgica che appartiene alla tecnica
artigianale umana. Aristotele procede a una radicale confutazione della posizione espressa nel Timeo,
specie rispetto all’introduzione del demiurgo inteso come un vero e proprio personaggio, che opera
intenzionalmente, benevolmente e in vista di un fine. Proprio questo atteggiamento critico di Aristotele
ha contribuito a spiegare il sostanziale abbandono, nell’antica Accademia, di un modello cosmologico
artificiato e demiurgico. Ma al di fuori di un contesto narrativo dominato dalla metafora mitologica,
come rendere conto razionalmente della natura:
o Della chora? Come può quest’ultima, accogliere in sé da sempre delle tracce che sono imitazioni e
immagini delle idee, senza riproporre lo stesso interrogativo relativo alle modalità della
partecipazione? Si tratterà di una materia ideale, di un’idea materiale o dell’una e dell’altra cosa
insieme?
o Del demiurgo? Il quale compie e perfeziona la partecipazione delle cose sensibili alle idee
intellegibili, pur essendo estraneo ad entrambe queste due sfere ontologiche. Dunque a quale
funzione ontologica determinata rimanda concretamente l’azione mitologica del divino artefice?
Come spiegare l’attività artigianale cosmica nei termini del discorso razionale e scientifico?
 Sembra verificarsi un’apertura profonda fra mito e discorso, che rompe il necessario parallelismo fra i
due diversi piani dell’argomentazione filosofica. In effetti la figura del demiurgo, sembra
irrimediabilmente costretta nell’ambito dell’esposizione allusiva e solo verosimile del mito, sfuggendo
così ad ogni possibile definizione razionale, che attinga alla verità piena del discorso scientifico.
Il mito della biga alata nel Fedro
 Per Platone l'anima è una biga trainata da cavalli alati, essa è composta da tre elementi: un auriga e due
cavalli. Nell'esistenza prenatale le anime degli uomini stavano con quelle degli dei nel cielo, con la
possibilità di raggiungere un livello superiore, l'Iperuranio (mondo delle idee). L'auriga è l'elemento
razionale, mentre i cavalli quelli irrazionali: ciò significa che la nostra anima è per Platone costituita da
elementi razionali ed irrazionali. Dei due cavalli, uno, di colore bianco, è un destriero da corsa
ubbidiente e con spirito competitivo, l'altro, nero, è tozzo, recalcitrante ed incapace. Compito
dell'auriga è riuscire a dominarli grazie alla sua abilità e alla collaborazione del bianco. Il nero si ribella
all'auriga (la ragione) e rappresenta le passioni più infime e basse, legate al corpo; Il bianco rappresenta
le passioni spirituali, più elevate e sublimi. Significa che non tutti gli aspetti irrazionali sono negativi e
che è, comunque, impossibile eliminarli: si possono solo controllare tenendo a freno le passioni.
Dunque, è vero che guida l'auriga, ma senza i cavalli la biga non si muove: significa che le passioni sono
fondamentali per la vita. Sta anche a significare che soltanto alla parte razionale, in quanto dotata di
sapere, spetta il governo dell'anima. Anche le anime degli dei hanno i cavalli, ma solo bianchi, lo scopo
è arrivare all'altopiano dell'iperuranio: gli dei non incontrano particolari difficoltà, mentre le bighe delle
anime umane hanno seri problemi. Questo perché si creano ingorghi ed i cavalli neri tendono a volare
nella direzione opposta, verso il basso. Accade spesso che le ali dei cavalli si spezzino e la biga precipiti
sulla terra: questa è l'incarnazione. Una volta arrivato sulla terra, l'uomo non si ricorda più dell'altra
dimensione, e vive con nostalgia, la vita dell'uomo non è nient'altro che un tentativo di tornare a quella
situazione primordiale. Le vie da percorrere per raggiungerla sono due, vale a dire la filosofia, che ci
consente di vedere le ombre di quel mondo splendido, di cui quello terreno è solo un'imitazione, e la
bellezza, una via più semplice, che fa nascere l'amore. Se ha la meglio il cavallo bianco guidato
dall'auriga l'amore assumerà connotazioni sublimi, se vincerà quello nero sarà un amore puramente
fisico. La bellezza è una delle tante idee e filtra facilmente nel mondo sensibile perché viene colto da
tutti grazie alla vista. Secondo Platone per gli occhi degli innamorati intercorre un fluido che scorre fino
al punto dove le ali dei cavalli s'erano spezzate, così che si ricreano e si può tornare alla dimensione
primordiale. Il liquido che viene a contatto con l'ala spezzata le dà nuovo vigore facendola rispuntare;
proprio quando essa sta ricrescendo, esattamente come i primi denti che spuntano, fa soffrire. Quando
si è vicini alla persona amata, contemplandola scorre nuovo flusso che fa passare il dolore dell'anima
alimentandola. Quando si è lontani dalla persona amata, invece, non arrivando più il flusso, le ali si
inaridiscono e si seccano, accentuando il dolore e la sofferenza.
La concezione dell’anima in Platone
 Oltre a sostenere la preesistenza dell'anima, Platone era anche convinto della sua immortalità e della
sua eternità: l'anima è viva per definizione e un corpo è vivo o morto a seconda che abbia o meno
un'anima; l'anima, quindi, dà e toglie la vita al corpo. L’anima è un qualcosa che partecipa all'idea di
vita e che di conseguenza non può partecipare a quella di morte, come il numero 3 partecipa all'idea di
dispari e non può partecipare a quella di pari. Per Platone ciò che può corrompere l'anima è
l'ingiustizia, essa però non può distruggerla: se l'ingiustizia, che è il suo male peggiore, non è in grado di
annientarla, è chiaro che neanche i mali minori ce la faranno. Per Platone vivere significa prepararsi alla
morte perché il distacco dell'anima dal corpo va preparato moralmente: bisogna liberarsi dalle passioni
legate al corpo superandole (come era per i pitagorici e per gli orfici: occorreva purificarsi). Dal punto di
visto gnoseologico, l'anima disincarnata coglie facilmente le idee nell’Iperuranio: in Platone compare la
frase “omoios teo”, che significa ottenere un tale perfezionamento da diventare tutt'uno con la divinità.
Per questo bisogna sforzarsi di fuggire di qui a lassù al più presto, rendendosi simili alla divinità secondo
le proprie possibilità: “diventare giusti e santi, e insieme sapienti”.
Ambiguità nelle idee
 Le idee hanno una triplice valenza: 1) ontologica, due cavalli, per esempio, si assomigliano perché
compartecipano all'idea di cavallo (universale cavallinità), che rende conto di ciò che una cosa è; 2)
gnoseologica (gignosco=conoscere), noi conosciamo le cose perché facciamo riferimento all'idea di
uguaglianza, nella realtà empirica l'uguaglianza non esiste, ma esiste nella dimensione ideale, per
esempio, due uomini si assomigliano perché partecipano entrambi all'idea di uomo; 3) assiologica
(axiologia=scienza che studia i valori), l'idea è il modello imitando il quale ogni cosa tende al bene, che
è lo scopo di ogni cosa, per un cavallo il bene sarà correre veloce. Nella teoria delle idee traspare una
sorta di ambiguità, che nasce dalla diversità delle valenze ontologiche ed assiologiche: infatti l'idea
dovrebbe rendere conto di ciò che una cosa è, e di ciò che dovrebbe essere: il che è contradditorio, ma
perché non siano contrastanti bisogna supporre che l'essere ed il dover essere siano lo stesso. Ciò nella
realtà è chiaramente impossibile, e Platone lo sapeva bene. La condizione pare essere che l'essenza di
ciascuna cosa stia nel tendere a realizzare una determinata idea. L'essere è quindi concepito come
stato dinamico e di tensione. Platone ha una concezione trascendente della realtà: ogni essere che
appartiene al mondo fisico, secondo Platone, ha la propria essenza fuori di sé: si trova nell'idea. L'idea
sta quindi oltre l'esistenza fisica; una delle parti più importanti si trova fuori.
La linea divisa e il mito della caverna
 Nella Repubblica si mira a giustificare la supremazia dei filosofi sugli uomini comuni, e si introduce la
presentazione della “linea divisa”, essa è divisa inizialmente in due parti che rappresentano il mondo
sensibile ed il mondo intelligibile, e viene successivamente divisa ancora in due:
o immaginazione (eikasia): le ombre ed i riflessi degli oggetti materiali.
o credenza (pistis): tutti gli oggetti visibili naturali/artificiali di cui prima si consideravano le ombre.
o ragionamento (dianoia): le ipotesi, il metodo proprio della geometria, che si serve del sensibile per
condurre le proprie dimostrazioni sul piano intelligibile, incapace di astrarsi totalmente fino al
principio incondizionato.
o intellezione (noesis) ovvero la dialettica, il metodo proprio della filosofia, capace di muovere fino al
principio non più ipotetico, senza ricorrere all’utilizzo di nessun oggetto sensibile ma solo delle Idee.
 Questo processo che passa da una conoscenza incerta ed oscura, appartenente alla generalità degli
uomini, passa alla scienza delle Idee caratterizzata da verità e certezza assolute, prerogativa esclusiva
dei filosofi che giungono a comprendere il principio anipotetico fondamento stesso della conoscenza di
tutte le cose. Socrate introduce il famoso mito della caverna, assimilando la condizione umana a quella
di prigionieri, essi sono incatenati fin da fanciulli impossibilitati a compiere qualsiasi movimento, e
possono vedere solo davanti a sé, alle loro spalle un alto fuoco proietta le ombre degli oggetti che
passano alle loro spalle. Una volta liberati dalle catene essi riescono a scorgere questi oggetti
direttamente, ma è soltanto uscendo fuori dalla caverna ed abituandosi lentamente alla luce del sole
che essi arrivano a scorgere i veri oggetti della conoscenza, ed infine il sole stesso. Qua è rappresentato
allegoricamente l’intero processo conoscitivo della “linea divisa” alla condizione dei prigionieri
incatenati corrisponde la percezione delle immagini, alla vista diretta degli oggetti può essere associata
la credenza, l’uscita dalla caverna allude alla condizione ipotetica, mentre la contemplazione del sole
rinvia all’esercizio dell’intellezione e della pratica dialettica.
I generi sommi nel Sofista
 L’indagine sulle relazioni tra le Idee si compie definitivamente nel Sofista, Platone prende in
considerazione quelli che chiama “sommi generi” Idee generalissime (essere, quiete, moto, identico, e
diverso) che sono tali in quanto il loro intreccio si pone come condizione di esistenza e di pensabilità di
tutto ciò che è. Dire che l’essere è in quiete o in moto, non vuol dire che l’essere è la quiete o che
l’essere è il moto, l’essere si trova si in comunicazione con quiete e moto (poiché essi “sono”) ma senza
coincidere con essi; ciascuno dei tre generi così individuati è identico a sé stesso e diverso dagli altri,
questa condizione propria di ogni genere, impone di introdurre anche identico e diverso come idee
generalissime. Pare emergere una conseguenza fatale, infatti affermare che ciascuno dei cinque generi,
sin qui individuati, è diverso dagli altri significa dire che “non è” gli altri, qua avviene il deciso
allontanamento di Platone da Parmenide, il non essere così introdotto non va inteso come la totale
assenza di essere (il nulla), bensì soltanto come qualcosa di altro dall’essere. Il divieto dell’indicibilità ed
impensabilità del non essere introdotto dagli eleati può essere aggirato, infatti se concepito come
diversità da qualcosa è pienamente dicibile e pensabile. Questo consente di stabilire tra discorso vero e
discorso falso risolvendo così l’aporia sofistica dell’impossibilità del giudizio falso. Ogni logos, vero o
falso che sia, si riferisce sempre e per necessità a cose che sono e mai ad un impossibile non essere; la
dialettica così concepita è in grado di condurre il filosofo alla conoscenza e alla verità nel pensiero e nel
discorso ed è per tale ragione che essa rappresenta la scienza suprema, l’essenza della filosofia.

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