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In questo capitolo
■ Introduzione
Introduzione
Introduzione
Influenzare il comportamento delle persone costituisce uno degli obiettivi di
marketing, pubblicità e, più in generale, delle scienze sociali applicate. Per rag-
giungere questo obiettivo, i ricercatori si sforzano di comprendere da un pun-
to di vista teorico le basi dell’azione, per poi mettere a punto interventi appro-
priati. Le evidenze empiriche citate nel Capitolo 5 dimostrano che, se adegua-
tamente misurati, i valori di credenze, atteggiamenti, intenzioni e comporta-
menti sono spesso strettamente intercorrelati. In questo capitolo tali variabili
sono poste tra loro relazione in un modo ancora più preciso, nell’ambito della
teoria del comportamento pianificato (Ajzen, 1985; 1988; 1991), ampliamento della
teoria dell’azione ragionata (Ajzen e Fishbein, 1980). Nelle prossime pagine en-
trambe le teorie sono spiegate nel dettaglio; ecco per il momento uno schema
utile al lettore, che illustra gli sviluppi teorici dell’area.
■ La teoria aspettativa-valore dell’atteggiamento, di Fishbein (1963), e il con-
cetto di compatibilità (Ajzen e Fishbein, 1977), spiegato nel capitolo prece-
dente, mettono in relazione atteggiamenti e comportamento; “altre varia-
bili”, possono però entrare in gioco, impedendo alle persone di adottare il
comportamento consono al loro atteggiamento.
■ La teoria dell’azione ragionata (Ajzen e Fishbein, 1980) considera l’atteggia-
mento nei confronti del comportamento un fattore determinante dell’in-
tenzione e introduce un secondo fattore causale, detto norma soggettiva,
ossia l’influsso interiorizzato dal soggetto ed esercitato dalle persone da lui
considerate importanti. La norma soggettiva può essere considerata la mi-
sura di un particolare tipo di “altra variabile”.
■ La teoria del comportamento pianificato (Ajzen, 1985; 1988; 1991) introduce
un ulteriore fattore determinante dell’intenzione, detto controllo comporta-
mentale percepito.
Pur essendo stata ampiamente usata, la teoria del comportamento pianificato
trova ancora oggi scarsa applicazione a causa delle incertezze che caratteriz-
zano la forma dei questionari usati e l’analisi dei risultati ottenuti. Poiché que-
sta teoria è spesso oggetto di tesi di laurea, ho inserito in questo capitolo istru-
zioni dettagliate per eseguire le misurazioni relative alle operazioni pratiche
suddette.
Il capitolo contiene:
■ Un accenno alle origini e agli sviluppi della teoria del comportamento pia-
nificato, dati a sostegno della teoria e possibili applicazioni.
■ Indicazioni dettagliate sulla misurazione delle variabili implicate nella
teoria.
■ Le diverse spiegazioni che la teoria offre e le possibili osservazioni deduci-
bili da questo tipo di ricerca.
■ Un resoconto dei principali problemi irrisolti correlati alla teoria.
zione che si fa volentieri per tutelare i parenti più stretti in caso di morte im-
provvisa. Un comportamento del genere si può spiegare pensando che sia con-
trollato dalla norma soggettiva, ossia potrebbe essere stimolato dal desiderio
che il proprio comportamento corrisponda alle aspettative degli altri. Talvolta
il fatto di compiere atti socialmente degni di merito genera nell’individuo sen-
timenti di orgoglio e di rispetto verso se stesso, mentre il fatto di non compier-
li fa nascere sentimenti di vergogna e sensi di colpa. La norma soggettiva è,
quindi, controllata da meccanismi psicologici interni all’individuo; non opera
attraverso rinforzi sociali esterni come complimenti diretti o, viceversa, mani-
festazioni di ostilità. La norma soggettiva coinvolge referenti come amici, ge-
nitori, medici, partiti politici, organizzazioni religiose ecc. Si parla non a caso
di norma soggettiva (abbreviata di solito in SN, dall’inglese subjective norm) per-
ché riguarda ciò che l’agente pensa (“soggettiva”) e ciò che egli percepisce su
ciò che gli altri pensano che dovrebbe fare (“norma”).
Applicazione
Sviluppi della teoria dell’azione ragionata
ragionata
Ajzen e Fishbein (1980) hanno assegnato alla teoria il nome di “teoria del-
l’azione ragionata” rielaborando la propria ricerca e applicandola a questioni
pratiche come la salute, il comportamento del consumatore e il voto; i due
studiosi avevano già presentato gran parte della teoria in alcune precedenti
pubblicazioni (ad esempio Ajzen e Fishbein, 1969; Ajzen, 1971; Ajzen e Fish-
bein, 1972). L’opera che tratta in modo più approfondito la loro ricerca è Belief,
Attitude, Intention and Behaviour (Fishbein e Ajzen, 1975). Prima del 1980 la
teoria era conosciuta con il nome di modello di Fishbein-Ajzen sulle intenzioni
comportamentali, o modello esteso; ossia un’estensione della teoria dell’atteg-
giamento aspettativa-valore di Fishbein (1963), che è parte integrante della
teoria dell’azione ragionata.
Il lavoro di Fishbein era molto in voga nei primi anni ‘70 tra esperti di ricer-
che sul consumatore come Sampson, Tuck e Cowling; a esso fu dedicato il
seminario ESOMAR tenutosi a Madrid nel 1971 (Fishbein, 1972). Nelle sue
prime applicazioni la teoria era spesso sottoposta a verifiche empiriche insod-
disfacenti; venivano utilizzate misure inadeguate per alcune componenti del
modello e i risultati, di conseguenza, erano alquanto deludenti. Nella pratica
commerciale, altri metodi hanno soppiantato la teoria in questione, in parti-
colare l’analisi congiunta (conjoint analysis), che si è rivelata molto più adatta
alla selezione e alla progettazione dei prodotti. Contemporaneamente, i ricer-
catori meno inclini all’analisi quantitativa utilizzavano in misura sempre mag-
giore la ricerca qualitativa. Queste nuove tendenze sono state responsabili di
molta ricerca priva di alcuna base teorica, con la conseguenza di rallentare, in
molti territori di studio, un migliore approfondimento del comportamento del
consumatore.
Il principio di sufficienza
sufficienza
Nella teoria dell’azione ragionata, la valutazione si basa sulle credenze, per
cui un qualsiasi cambiamento nell’atteggiamento o nel comportamento deve
avvenire tramite l’acquisizione di nuove credenze o la modificazione di quelle
esistenti. In altre parole, le variazioni nelle credenze costituiscono una spiega-
zione sufficiente dei cambiamenti nell’atteggiamento, nella norma soggettiva,
nell’intenzione e nel comportamento. Ajzen e Fishbein (1980) sostengono che
le variabili esterne alla teoria come le esperienze passate, la personalità, l’età, il
sesso e altre classificazioni sociali sono associate al comportamento solo in
quanto fattori correlati alle credenze salienti e quindi ad Ab o a SN. I due stu-
diosi affermano:
Anche se non neghiamo che variabili “esterne” di questo tipo possano tal-
volta essere correlate al comportamento, dal nostro punto di vista esse pos-
sono influenzare il comportamento solo in modo indiretto. In altre parole,
le variabili esterne saranno collegate al comportamento solo se sono corre-
late a una o più tra le variabili specificate nella nostra teoria. (Ajzen e Fish-
bein, 1980:82)
Norma morale
morale
Se il nostro comportamento subisce l’influsso di persone e gruppi sociali sa-
lienti, allora sarà influenzato anche dai nostri valori individuali. Per questo
Ajzen e Fishbein (1969) hanno inserito le credenze normative personali, o
norma morale, in una delle prime versioni della loro teoria. La correlazione
della variabile con l’intenzione era però spesso così alta da far coincidere le
due misure. Sembrava che la misura della norma morale includesse sia Ab sia
SN, e non riusciva quindi a rappresentare una misura separata del fattore nor-
mativo personale (Ajzen e Fishbein, 1980: 247). Se le questioni morali occupa-
no un ruolo importante nel comportamento in esame, operando in contrasto
con altri fattori, allora la norma morale migliora in genere la previsione del-
l’intenzione (ad esempio Beck e Ajzen, 1990; Parker, Manstead e Stradling,
1995); l’effetto però rimane in genere limitato, e la misura non è molto utiliz-
zata nella pratica.
Figura 6.3 Teoria del comportamento pianificato applicata al “giocare alla National Lottery”
Applicazione
Un’applicazione: smettere di fumar
smettere e
fumare
Nel 1978 il Joint Committee on Research into Smoking (Comitato riunito per la
ricerca sul fumo) indicava l’urgenza di una nuova ricerca sugli atteggiamenti
nei confronti del fumo nel Regno Unito. A stimolare la ricerca aveva contribu-
ito anche un rapporto del 1977 sugli atteggiamenti e sul comportamento del
fumatore, preparato da Fishbein per la Federal Trade Commission statunitense,
che aveva raccomandato uno spostamento dell’attenzione dagli “atteggiamenti
nei confronti del fumo” agli “atteggiamenti nei confronti dello smettere di fu-
mare”. La nuova ricerca è stata condotta dall’Office of Population Censuses and
Surveys (Ufficio per il censimento e le ricerche). Lo studio, dal titolo Smoking
Attitudes and Behaviour (Atteggiamenti e comportamento nei confronti del
fumo), opera di Alan Marsh e Jil Matheson, è stato pubblicato nel 1983. La
ricerca utilizzava le misure di atteggiamento e controllo comportamentale per-
cepito (ma non la norma soggettiva) mutuandoli della teoria del comporta-
mento pianificato e costituisce uno dei test più completi che siano mai stati
effettuati per ciò che concerne una teoria psicologico-sociale.
La ricerca di Marsh e Matheson era caratterizzata dall’attenzione posta nella
misurazione dei diversi atteggiamenti nei confronti delle due alternative prin-
cipali: smettere di fumare o continuare a farlo. La procedura si può paragona-
re al confronto tra gli atteggiamenti nei confronti di due diverse marche all’in-
terno di una medesima categoria. I ricercatori si sono prefissati il compito di
Figura 6.4 Coefficienti che mettono in relazione attitudine, fiducia in se stessi e tentativi
precedenti di smettere con l’intenzione e i tentativi successivi (Sutton et al., 1987)
cuni esempi: spiegare che il rischio derivante dal fumo dipende dal numero di
sigarette fumate, che non c’è una soglia che delimiti l’inizio del rischio e che
quasi tutte le persone che smettono ne traggono beneficio per la salute. La
ricerca ha dimostrato, inoltre, che un eventuale successo dipende fortemente
dalla fiducia in se stessi e che l’educazione sanitaria dovrebbe quindi dare
rilievo ai metodi per smettere che aumentino la fiducia in sé.
Applicazione
Applicazioni della teoria
del comportamento pianificato
Negli ultimi anni sono state condotte numerose ricerche sul comportamento
pianificato; la maggioranza di queste ricerche contiene un confronto tra la pre-
stazione di questa teoria e la teoria dell’azione ragionata. La teoria del com-
portamento pianificato fornisce in genere previsioni migliori rispetto alla teo-
ria dell’azione ragionata, e ne ha preso quasi interamente il posto. Ecco le
applicazioni studiate di recente:
■ Attività fisica, ginnastica (Ajzen e Driver, 1992; Courneya, 1995; Godin, Va-
lois e Lepage, 1993; Harrison e Liska, 1994; Kimiecik, 1992; Norman e Smi-
th, 1995).
■ Uso del preservativo, sesso sicuro (Boldero, Moore e Rosenthal, 1992; Chan
e Fishbein, 1993; Dewit e Teunis, 1994; Kashima, Gallois e McCamish, 1993;
Morrison, Gillmore e Baker, 1995; White, Terry e Hogg, 1994).
■ Autoesame della propria salute (McCaul et al., 1993).
■ Dipendenze (Morojele e Stephenson, 1992).
■ Smettere di fumare (Devries e Backbier, 1994; Godin, Valois e Lepage, 1993).
■ Donare il sangue (Giles e Cairns, 1995).
■ Alcolismo (Schlegel, Davernas e Zanna, 1992).
■ Controllo dell’assunzione di zuccheri da parte dei bambini (Beale e Man-
stead, 1991).
■ Scelte alimentari (Dennison e Shepherd, 1995; Raats, Shepherd e Sparks,
1995).
■ Partecipazione ad attività di gruppo (Kelly e Breinlinger, 1995).
■ Riciclaggio (Boldero, 1995; Taylor e Todd, 1995).
■ Uso di internet (Klobas, 1995).
■ Guida pericolosa (Parker, Manstead e Stradling, 1995; Parker et al., 1992).
■ Prevenzione degli incidenti (Richard et al., 1994; Rutter, Quine e Chesham,
1995).
Spendere molto è
Il valore previsto dello “spendere molto alla National Lottery” è dato dal prodot-
to delle due misure, e la somma dei prodotti di tutti i risultati salienti del gio-
care alla National Lottery, ossia Sbiei, definisce Ab.
Credenze normativ
redenze e
normative
Una procedura di misurazione molto simile si applica alle credenze normati-
ve, ad esempio.
I miei amici pensano che dovrei giocare alla National Lottery la settimana
prossima:
Variabili globali
L’intenzione viene misurata come dichiarazione d’intenti o previsione di com-
portamento, ad esempio:
È mia intenzione giocare alla National Lottery la prossima settimana
Livello 2: Intenzione
Livello
Il livello successivo di spiegazione riguarda l’importanza relativa di Ab, SN e
PC nella previsione dell’intenzione: la priorità varia di volta in volta, in base al
tipo di applicazione. Jaccard e Davidson (1972), ad esempio, hanno scoperto
che l’uso della pillola anticoncezionale tra le studentesse universitarie era as-
sociato più ad Ab che a SN; ciò probabilmente riflette l’importanza che aveva
per questo gruppo di donne il fatto di evitare una gravidanza. Davidson e Jac-
card (1975), a loro volta, hanno riscontrato che le donne sposate con figli attri-
buivano maggior importanza alla componente normativa.
Tabella 6.1 Opinioni e valutazioni dei risultati relativi a due gruppi di ragazze universitarie,
che rispettivamente intendono e non intendono assumere una pillola anticoncezionale
(scala da –3 a +3)
emergono solo tre differenze significative nella valutazione tra chi è intenzio-
nata ad assumere la pillola e chi non lo è, mentre ci sono ben nove differenze
significative nelle probabilità soggettive. In altre parole, chi la usa ha in genere
gli stessi valori di chi non la usa, ma differisce nelle credenze riguardanti la
correlazione dell’azione a tali valori. Tutto ciò si spiega in parte con il fatto che
le valutazioni si fondano su differenti insiemi di credenze rispetto alle proba-
bilità soggettive: la complessità che ne deriva dà stabilità alla valutazione de-
gli attributi.
Alcuni fattori sono più variabili, altri meno; alcune probabilità e valutazioni
sono ancorate più fortemente di altre, perciò risultano difficilmente influenzabi-
li. Il valore relativo alla dimensione della famiglia, ad esempio, dipende dal
numero di figli dell’intervistata, percezione che le informazioni non riescono a
cambiare. Le differenze tra chi ha intenzione di assumere il farmaco e chi non
ce presenta questa intenzione costituiscono un indicatore della variabilità dei
Donazione di sangue
Nel corso di entrambi gli studi effettuati, questa tipologia di comportamento
si è caratterizzata per un R2 modesto: ciò fa pensare che ci siano altri fattori in
gioco, tra cui il controllo comportamentale percepito (PC). Giles e Cairns (1995)
hanno a questo proposito recentemente rilevato il forte influsso esercitato da
PC sull’intenzione di donare sangue.
Tabella 6.2 Dati riassuntivi tratti dalle ricerche condotte dagli studenti utilizzando la teoria
dell’azione ragionata
Guardar
Guard e Br
re eakfast TV
Breakfast
East, Whittacker e Swift (1984) hanno studiato, nell’ambito di una ricerca non
pubblicata, le credenze relative al fatto di guardare Breakfast TV (l’equivalente
di programmi RAI come Uno Mattina; N.d.C.) nove mesi prima che il contenito-
re mattutino andasse in onda. I tre ricercatori hanno intervistato due gruppi di
persone: il primo non aveva ricevuto alcun tipo di informazione sui program-
mi che avrebbe visto, il secondo, invece, aveva avuto accesso a immagini rela-
tive allo stesso contenitore, già trasmesse negli Usa e in Australia, e a informa-
zioni sulla natura del corrispondente servizio di imminente introduzione in
Gran Bretagna. Le intenzioni del primo gruppo sono risultate fondate su SN,
quelle del secondo avevano invece maggior correlazione con Ab. Un simile
Credenze chiav
redenze e
chiave
Tra i fattori che sono risultati maggiormente correlati con l’intenzione, nel-
l’ambito delle ricerche sugli studenti, alcuni non erano stati previsti.
■ Una prima sorpresa è stata la motivazione principale che spinge a fare atti-
vità fisica: principalmente, infatti, gli studenti praticavano attività sportiva
per socializzare e non per mantenersi sani e in forma come penserebbero
gli istruttori di educazione fisica.
■ Il consumo di alcool a pranzo era moderato dalle conseguenze percepite
dell’atto, come il costo e la difficoltà di concentrazione pomeridiana, e non
dalla deferenza nei confronti di referenti sociali come gli insegnanti.
■ Uno degli studi riguardanti Mars ha evidenziato interessanti motivi che
spingono al consumo della barretta. I maschi erano attratti dalla conve-
nienza del prodotto e dal fatto che spegneva la fame, mentre le femmine
adducevano il gusto come motivazione del consumo (o del non consumo)
di Mars, asserendo di essere preoccupate dalla possibilità di danneggiare i
denti. La Tabella 6.3 illustra i dati relativi a questo studio.
■ Sia per gli studenti maschi che per le femmine, l’intenzione di sposarsi
entro cinque anni è risultata influenzata più da Ab che da SN, con una mar-
cata somiglianza di vedute tra donne e uomini sul matrimonio in giovane
età. L’unica differenza risiedeva nel fatto che le donne, molto probabilmen-
te a ragione, ritenevano che sposandosi entro cinque anni avrebbero potu-
to guadagnare di meno e avrebbero visto ridursi le proprie prospettive di
carriera.
Esercizio 6.1
Ricerca fatta da gr
Ricerca uppi di studenti
gruppi
1. Scegli un’azione oggetto di interesse diffuso. Deve trattarsi di un’azione
individuale e volontaria, come, ad esempio, guardare un programma TV,
utilizzare posta prioritaria, indossare un cartellino di riconoscimento per
donatori di organi, acquistare un’auto di seconda mano, andare regolar-
mente dal dentista, leggere regolarmente un quotidiano o giocare al Supe-
renalotto. Specifica adeguatamente l’azione in termini di target, azione, con-
testo e tempo. Evita le azioni compiute da pochissime persone o da quasi
nessuno: molto probabilmente si tratta di azioni involontarie.
2. Scegli il gruppo target. Spesso si tratterà di altri studenti, perché sono più
accessibili. In tal caso, però, i risultati saranno meno generalizzabili.
3. Individua, attraverso indagini esplorative all’interno di un campione del
gruppo target le credenze comportamentali, normative e di controllo rela-
tive all’azione. Ogni membro del gruppo di ricerca dovrebbe individuare
uno o due insiemi di credenze salienti, da ridurre progressivamente sino a
formare una lista accettata da tutti. La relativa procedura è descritta nel-
l’Esercizio 5.2.
4. Elabora un questionario sul comportamento pianificato.
5. Stampa delle copie del questionario. Ogni membro della classe deve farle
compilare ai componenti del gruppo target. Quaranta intervistati sono in
genere sufficienti per testare la teoria, ma un numero superiore migliora
l’affidabilità dei risultati.
6. Per analizzare i dati utilizza un software come SPSS o SAS. Il prodotto di -
3 * –3 è molto diverso dal prodotto di 1 * 1; inoltre, la graduazione della
scala influenza le correlazioni con altre variabili (Bagozzi, 1984). Ajzen (1991)
raccomanda di aggiungere una costante arbitraria a ogni variabile per otte-
nere la massima correlazione possibile tra le variabili di sommatoria e quelle
globali. In realtà la procedura incrementa l’errore casuale, ed è per altri
versi preferibile restringere la scelta da –3 a +3 e da 1 a 7. Per farlo, testa la
correlazione tra le variabili sommatoria e le variabili globali, utilizzando le
alternative da 1 a 7 e da –3 a +3 per ognuna delle due scale utilizzate nella
costruzione delle variabili del prodotto (in tutto sono 4 combinazioni), quindi
utilizza la combinazione che fornisce la correlazione più elevata. La valuta-
zione è in genere un costrutto bipolare, mentre la motivazione a eseguire è
monopolare, ma non c’è alcuna base teorica che ci permetta di prevedere
quale sia lo scaling ottimale. Il contributo di East (1993) contiene una detta-
gliata descrizione del processo di graduazione ottimale.
7. Esamina le tue analisi e rispondi alle seguenti domande:
(a) A che cosa è maggiormente correlata l’azione: ad Ab, SN o PC?
(b) Ab, SN e PC sono correlate con le variabili sommatoria corrispondenti?
(c) Quali sono i fattori specifici che hanno maggior correlazione con l’inten-
zione?
(d) Ci sono fattori specifici che potrebbero essere usati in un campagna
pubblicitaria? Se sì quali?
(e) Quali sono i difetti di questo studio e dell’analisi condotta?
8. Scrivi una breve relazione sulla ricerca svolta.
Pe rché le corr
rché elazioni tr
correlazioni a le variabili
tra
di sommatoria e quelle globali
sono basse?
Ajzen (1991) ha osservato che le correlazioni tra le variabili sommatoria e quelle
globali (in genere pari a circa 0,5) sono modeste, se si considera che dovrebbe-
ro determinarsi l’un l’altra. Sono state proposte molte spiegazioni per tale fe-
nomeno: una di queste tiene conto del fatto che gli individui non presentano
tutti le medesime credenze salienti contenute nella lista, per cui le correlazio-
ni tendono a essere maggiori se si eliminano dall’analisi le credenze più debo-
li. Calcolando la variabile di sommatoria solo in base alle credenze salienti indi-
viduali, il valore delle correlazioni aumenta (Elliott, Jobber e Sharp, 1995), ma
le differenze ottenute con questo metodo non sono rilevanti e, in ogni caso, si
tratta di un espediente che in molte ricerche non è praticabile. East (1996) ha
ipotizzato che anche la lista delle credenze salienti individuali costituisca un
insieme sovradimensionato di cause dell’intenzione e dell’azione e che le per-
sone, in pratica, basino le proprie decisioni solo su una o due credenze.
Secondo un’altra prospettiva (Ajzen e Driver, 1992), le variabili globali come
AB sarebbero composte da due o più sottovariabili: ciò implica che si otterreb-
bero correlazioni migliori suddividendo la variabile globale nelle sue singole
componenti e associando queste ultime ai corrispondenti sottoinsiemi di cre-
denze. Ajzen e Driver hanno tracciato una linea di separazione tra le conse-
guenze più propriamente affettive di alcune azioni, come ad esempio la sen-
sazione di rilassamento che si prova dopo aver svolto attività fisica, e le conse-
guenze propriamente strumentali, come il fatto di essere più in forma. East
L’azione intenzionale
e l’azione spontanea
Fazio (1990) ha pubblicato un’analisi molto interessante, in cui suddivide la
previsione del comportamento in due settori, uno strutturato in gran parte in
base al lavoro di Fishbein e Ajzen, in cui vengono modellati i processi decisio-
nali intenzionali, l’altro organizzato da Fazio (1986) e dai suoi successori, la
cui ricerca abbiamo introdotto nel Capitolo 5. Fazio descrive il comportamen-
to prodotto spontaneamente con l’attivazione dei corrispondenti atteggiamenti.
La Figura 6.5 riproduce il modello di Fazio.
Nel suo studio, gli atteggiamenti vengono attivati automaticamente dal-
l’osservazione dell’oggetto dell’atteggiamento. Essi guidano poi la percezio-
ne, e l’individuo diventa cosciente degli elementi dell’ambiente a esso corre-
lati. La definizione dell’evento avviene correlando tali percezioni a una com-
prensione normativa della situazione e, in seguito a questa definizione del-
l’evento, può verificarsi il comportamento.
Non tutti gli oggetti attivano degli atteggiamenti. Fazio sostiene che ciò si
verifica solo se l’oggetto e la valutazione che lo riguarda hanno uno spazio
consolidato nella memoria, derivato in genere da un’esperienza diretta. La
produzione spontanea del comportamento è dunque limitata a contesti fami-
liari, mentre le situazioni più inusuali possono trovare spiegazione solo nel
comportamento pianificato. Questa comoda divisione dei comportamenti è
stata però invalidata dai dati raccolti da Bargh et al. (1992) e riportati nel Capi-
tolo 5, che dimostrano l’esistenza di una vasta gamma di oggetti in grado di
suscitare degli atteggiamenti; ciò fa sorgere dei dubbi sulla possibilità di con-
siderare l’attivazione automatica come criterio distintivo tra il controllo inten-
zionale e quello automatico del comportamento.
In realtà, spesso le due spiegazioni si applicano agli stessi fenomeni. La
motivazione legata al comportamento pianificato può riguardare anche com-
portamenti quasi automatici o abituali, perché le persone hanno, in retrospet-
tiva, delle motivazioni per comportarsi in un certo modo che possono elencare
nel rispondere a un questionario. Fazio (1990) ha dimostrato che gli oggetti
che innescano delle atteggiamenti possono modificare le risposte negli studi
sul comportamento intenzionale; Baldwin e Homes (1987) hanno poi dimo-
strato che emergono cause sistematicamente diverse se si visualizzano diversi
referenti sociali prima della risposta. Gli studi citati dimostrano l’effetto dei
processi automatici, che intervengono quando le persone si accingono a forni-
re risposte ponderate.
Il ruolo dell’esperienza
ruolo
nella pr e visione dell’intenzione
pre
L’esperienza passata, contribuendo alla formazione di Ab, SN e PC, è un ele-
mento rilevante nella previsione dell’intenzione. Sebbene Ab, SN e PC la pre-
dicano in modo abbastanza preciso, aggiungendo l’esperienza passata all’analisi
di regressione, i valori di R2 adattati crescono in modo significativo, legitti-
mando l’ipotesi, che Ab, SN e PC catturino solo parzialmente l’influsso del-
l’esperienza. Diventa perciò necessario spiegare l’impatto supplementare del-
l’esperienza passata sull’intenzione: a tal proposito esistono quattro diverse
spiegazioni.
1. Se Ab, SN e PC non sono sufficienti, si può utilizzare l’esperienza come
misura supplementare. Una misura risulta insufficiente se individua solo
parzialmente la variabile che dovrebbe misurare; l’inefficienza si può ridur-
re utilizzando scale multiitem: possiamo quindi testare quest’ipotesi esa-
minando l’effetto dell’esperienza passata prima e dopo i miglioramenti
apportati alla misura delle credenze comnportamentali, normative e di con-
trollo. Una riduzione nell’incremento dell’R2 in seguito all’inserimento del-
l’esperienza nel modello indica che essa è una misura supplementare di Ab,
SN e PC.
Lo sviluppo di Ab , SN e PC
Le persone si trovano a disporre di una sempre maggiore quantità di informa-
zioni man mano che acquisiscono esperienza; di pari passo cambia la base
affettivo-cognitiva delle loro azioni prospettiche. La situazione descritta è di
particolare rilievo nello studio del comportamento del consumatore. Il consu-
matore che si avventura per la prima volta in un mercato sconosciuto si com-
porta in modo tipicamente ingenuo, ma la ripetizione dell’acquisto lo fa dive-
nire progressivamente più esperto. Talvolta, nel caso di prodotti davvero inno-
vativi, tutti i consumatori rientrano nel settore “ingenui” fino a quando l’espe-
rienza cumulata provoca un aumento delle conoscenze sul prodotto. Dal pun-
to di vista del comportamento pianificato, l’acquisizione di esperienza è espres-
sa sotto forma di cambiamenti nelle credenze sottostanti a Ab, SN e PC. Quando
questi mutamenti sono di segno positivo, l’intenzione ne risulta incrementata;
se l’esperienza è negativa, l’intenzione diminuirà e con essa anche la possibi-
lità di ulteriori tentativi. Conseguentemente, nelle condizioni volontarie che
caratterizzano gran parte del comportamento del consumatore, sarà lecito at-
tendersi che i clienti più esperti presentino intenzioni d’acquisto più forti, dato
che sono state proprio le loro forti intenzioni a stimolare quel comportamento
che li ha resi più esperti.
Quando l’intenzione cambia, si devono manifestare corrispondenti varia-
zioni di Ab, SN e PC. Ciò può verificarsi quando aumenta il numero di creden-
ze sottese dalle variabili globali e si rafforza il loro legame con il comporta-
mento. Se l’esperienza induce una maggiore complessità della base di creden-
ze sottostanti al comportamento pianificato, potremmo chiederci se essa sor-
tisca lo stesso effetto anche su Ab, SN e PC. East (1992) ha ipotizzato che il
passaggio progressivo da consumatore ingenuo a consumatore esperto si tra-
duca nello spostamento da un comportamento principalmente basato su SN
ad azioni maggiormente fondate su Ab e PC. Questa ipotesi si basa sull’idea
che, in assenza di conoscenze dettagliate, le persone debbano decidere in base
a idee semplici o a processi euristici, e “ciò che gli altri ritengono dovrei fare” è
maggiormente conosciuto o più facilmente deducibile rispetto a considerazio-
ni relative ai benefici e alle opportunità connesse a una prospettiva di cui si è
ignari. I consumatori più informati derivano la propria conoscenza dai mass
media e dai suggerimenti altrui, ma spesso anche dalla diretta esperienza con
il prodotto. Chi ha maggiore familiarità nei confronti di un’azione sarà quindi
in possesso di più informazioni sui costi e benefici che la caratterizzano e sui
fattori di controllo che la influenzano, e sarà conseguentemente in grado di
utilizzare tali informazioni all’interno del proprio processo decisionale.
East (1992) ha individuato e analizzato tre studi minori. Queste ricerche
supportano l’ipotesi secondo cui l’esperienza sposterebbe la base della deci-
sione d’acquisto dalla norma soggettiva alla componente di atteggiamento.
Due degli studi esaminati sono inediti e realizzati nel contesto della teoria
dell’azione ragionata. In un caso si è riscontrato come il primo acquisto di un
personal computer fosse basato principalmente sulla norma soggettiva; in
questo studio manca il confronto con acquirenti di computer esperti, ma sa-
rebbe strano se un prodotto come questo, così ricco di credenze comporta-
mentali, fosse oggetto di un acquisto condotto su base normativa da parte di
consumatori esperti. Il secondo studio, il già citato lavoro di East, Whittacker e
Swift (1984), metteva a confronto in due gruppi di individui l’intenzione di
guardare o meno il programma televisivo Breakfast TV, programma non anco-
ra trasmesso in Gran Bretagna al tempo della ricerca. Uno dei due gruppi (quello
dei consumatori non esperti) non era esposto ad alcuna informazione sul ser-
vizio: in questo caso SN costituiva il principale determinante dell’intenzione.
Il secondo gruppo (esperti) aveva invece avuto la possibilità di accedere a spez-
zoni e dettagli della Breakfast TV americana e australiana. Il secondo gruppo,
in cui il determinante principale dell’intenzione è risultato essere Ab, ha altresì
esibito una migliore capacità di previsione delle intenzioni di visione. Il terzo
studio, condotto da Knox e de Chernatony (1994), aveva rilevato che i non
utilizzatori di acqua minerale erano molto più influenzati dalla norma sogget-
tiva rispetto ai consumatori abituali. In genere, in questi studi non si fa riferi-
mento alla relazione tra l’esperienza e le variabili della teoria del comporta-
e PC nel proprio processo decisionale; tutto ciò è molto importante nel marke-
ting, in quanto suggerisce la necessità di promuovere un prodotto in modo
differenziato, in funzione del grado di esperienza del gruppo target. Il richia-
mo ai referenti sociali dovrebbe essere utilizzato solo se il target di acquirenti
è costituito da consumatori poco esperti e, man mano che il prodotto si evolve
verso la maturità, spostare l’enfasi sui fattori che influenzano Ab e PC.
Nello sforzo di analisi che è alla base di questo lavoro è risultata evidente la
necessità di ulteriori ricerche sperimentali sugli effetti dinamici delle nuove
informazioni sulle componenti del modello. Alcuni lavori si sono occupati del-
l’impatto dell’informazione, ma le prime analisi dimostrano che i cambiamen-
ti non sembrano discendere a cascata attraverso le componenti del modello in
modo lineare e prevedibile. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le nuove
informazioni nuove devono essere ripetute per rinforzarne il radicamento e
quindi superare le strutture di memoria consolidate; quest’ipotesi enfatizza
l’esistenza di un processo di apprendimento, ed è connessa all’opera di Fazio.
E’ infine necessario un uso più efficace della teoria nel campo del marke-
ting. Si potrebbe utilizzarla per studiare le attività degli operatori di marke-
ting, per scoprire perché scelgano di fare uso o di evitare determinate pratiche
commerciali (ad esempio Elliott, Jobber e Sharp, 1995), applicandosi a una
moltitudine di azioni relative ai consumatori. L’utilità della teoria è peraltro
limitata quando è chiamata a spiegare la preferenza per una marca rispetto a
un’altra; ciò è in parte dovuto al fatto che è più facile applicare il modello al
fare A o al non fare A, rispetto alla scelta tra A e B; le minime differenze esi-
stenti tra molte marche sono alla base del fatto che non è facile studiare scelte
di questo genere usando una teoria che si concentra sulle motivazioni anziché
sulle abitudini. L’acquisto discrezionale di particolari tipi di prodotto e le scel-
te fra sottocategorie fra loro distintive (come, ad esempio, le vacanze in luoghi
particolari) sono emerse quali applicazioni adeguate.
I ricercatori di mercato fanno largo uso di ricerche qualitative; la teoria del
comportamento pianificato prende le mosse dall’identificazione delle creden-
ze salienti, una procedura qualitativa, ma procede assegnando un’importanza
relativa ai diversi fattori estrapolati. I ricercatori usano anche tecniche quali il
multidimensional scaling per il posizionamento, e la conjoint analysis nel pro-
cesso di sviluppo di un nuovo prodotto. La ricerca basata sulla teoria del com-
portamento pianificato non sostituisce queste tecniche, ma presenta dei van-
taggi che esse non possiedono. In particolare, il processo di identificazione dei
fattori causali è molto più ampio ed esaustivo, e grazie a esso i fattori che
controllano il comportamento, in particolare fattori normativi e di controllo,
non vengono trascurati come accade invece accadere ricorrendo ad altre tec-
niche.
Sommario
Due teorie hanno contribuito a spiegare la relazione tra credenze, atteggia-
menti, intenzioni e comportamento: la teoria dell’azione ragionata (Ajzen e
Fishbein, 1980) e la teoria del comportamento pianificato (Ajzen; 1985; 1988;
1991). La teoria dell’azione ragionata ha come obiettivo la previsione dell’in-
tenzione ad agire (tramite il ricorso all’atteggiamento nei confronti dell’azio-
ne e alla norma soggettiva); l’intenzione è legata al comportamento reale, ma
è in parte influenzata da fattori contingenti che non rientrano nei poteri della
Approfondimenti
Approfondimenti
Madden, T.J., Ellen, P.S. e Ajzen, I. (1992) A comparison of the theory of plan-
ned behavior and the theory of reasoned action, Personality and Social Psycho-
logy Bulletin, 18: 1, 3-9:
Ajzen, I. (1991) The theory of planned behavior. In Locke, E.A. (ed.) Organiza-
tional Behavior and Human Decision Processes, 50, 179-211.