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L’azione: come prevederla


e come spiegarla

In questo capitolo
■ Introduzione

■ La teoria dell’azione ragionata

■ La teoria del comportamento pianificato

■ Misurazioni, spiegazioni e applicazioni

■ Alcuni problemi irrisolti relativi alla teoria del comportamento pianificato

■ Riepilogo della teoria del comportamento pianificato

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166 Capitolo 6

Introduzione
Introduzione
Influenzare il comportamento delle persone costituisce uno degli obiettivi di
marketing, pubblicità e, più in generale, delle scienze sociali applicate. Per rag-
giungere questo obiettivo, i ricercatori si sforzano di comprendere da un pun-
to di vista teorico le basi dell’azione, per poi mettere a punto interventi appro-
priati. Le evidenze empiriche citate nel Capitolo 5 dimostrano che, se adegua-
tamente misurati, i valori di credenze, atteggiamenti, intenzioni e comporta-
menti sono spesso strettamente intercorrelati. In questo capitolo tali variabili
sono poste tra loro relazione in un modo ancora più preciso, nell’ambito della
teoria del comportamento pianificato (Ajzen, 1985; 1988; 1991), ampliamento della
teoria dell’azione ragionata (Ajzen e Fishbein, 1980). Nelle prossime pagine en-
trambe le teorie sono spiegate nel dettaglio; ecco per il momento uno schema
utile al lettore, che illustra gli sviluppi teorici dell’area.
■ La teoria aspettativa-valore dell’atteggiamento, di Fishbein (1963), e il con-
cetto di compatibilità (Ajzen e Fishbein, 1977), spiegato nel capitolo prece-
dente, mettono in relazione atteggiamenti e comportamento; “altre varia-
bili”, possono però entrare in gioco, impedendo alle persone di adottare il
comportamento consono al loro atteggiamento.
■ La teoria dell’azione ragionata (Ajzen e Fishbein, 1980) considera l’atteggia-
mento nei confronti del comportamento un fattore determinante dell’in-
tenzione e introduce un secondo fattore causale, detto norma soggettiva,
ossia l’influsso interiorizzato dal soggetto ed esercitato dalle persone da lui
considerate importanti. La norma soggettiva può essere considerata la mi-
sura di un particolare tipo di “altra variabile”.
■ La teoria del comportamento pianificato (Ajzen, 1985; 1988; 1991) introduce
un ulteriore fattore determinante dell’intenzione, detto controllo comporta-
mentale percepito.
Pur essendo stata ampiamente usata, la teoria del comportamento pianificato
trova ancora oggi scarsa applicazione a causa delle incertezze che caratteriz-
zano la forma dei questionari usati e l’analisi dei risultati ottenuti. Poiché que-
sta teoria è spesso oggetto di tesi di laurea, ho inserito in questo capitolo istru-
zioni dettagliate per eseguire le misurazioni relative alle operazioni pratiche
suddette.
Il capitolo contiene:
■ Un accenno alle origini e agli sviluppi della teoria del comportamento pia-
nificato, dati a sostegno della teoria e possibili applicazioni.
■ Indicazioni dettagliate sulla misurazione delle variabili implicate nella
teoria.
■ Le diverse spiegazioni che la teoria offre e le possibili osservazioni deduci-
bili da questo tipo di ricerca.
■ Un resoconto dei principali problemi irrisolti correlati alla teoria.

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L’azione: come prevederla e come spiegarla 167

La teoria dell’azione ragionata


ragionata
La teoria del comportamento pianificato e il suo precursore, la teoria dell’azione
ragionata, si applicano alle azioni compiute da un “uomo economico ridefini-
to”. L’uomo economico tradizionale è perfettamente razionale, egoista e otti-
mizzatore, mentre in confronto “la persona che compie un’azione ragionata”
ha una scarsa conoscenza degli esiti di un’azione e considera solo le conse-
guenze che possono essere facilmente evocate. Le azioni, inoltre, sono com-
piute in buona misura in seguito all’influenza normativa esercitata da altre
persone o altri gruppi. Infine, gli individui hanno possibilità limitate di realiz-
zare le proprie preferenze e per questo la teoria fa previsioni sulle intenzioni e
non sulle azioni. Spesso l’azione segue l’intenzione, ma le circostanze posso-
no bloccare o modificare le intenzioni, rendendo le azioni conseguenti non
conformi a quanto precedentemente pianificato.
La Figura 6.1 illustra la teoria dell’azione ragionata, che include la teoria
sull’atteggiamento elaborata da Fishbein e spiegata nel Capitolo 5; in base a
queste teorie, l’atteggiamento nei confronti di un’azione (variabile globale)
deriva dalla sommatoria dei risultati previsti dell’azione (variabile somma). Un
simile trattamento si applica all’influsso dei referenti; una variabile somma
che accumula l’influsso di referenti diversi è confrontata con una variabile glo-
bale, la norma soggettiva, che misura la propensione totale del soggetto ad
agire nel modo in cui le persone per lui/lei rilevanti pensano che sia giusto. I
pesi w1 e w2 forniscono la forza relativa dell’atteggiamento e della norma sog-
gettiva nel determinare un’azione specifica. Giacché tali forze variano a se-
conda dell’azione presa in esame, w1 e w2 sono determinati empiricamente
attraverso una regressione multipla o il ricorso a modelli di equazioni struttu-
rali (attraverso software quali LISREL, Jöreskog e Sörbom, 1989).
Questa teoria ritaglia uno spazio per l’altruismo, ossia per quelle azioni
compiute per senso di dovere verso gli altri più che per ottenere un beneficio
personale. Alcune tipologie di assicurazione sulla vita, ad esempio, prevedono
la consegna del premio solo alla morte del contraente, non offrendogli quindi
alcun beneficio personale. Nonostante questo, si tratta di un tipo di assicura-

Figura 6.1 Teoria dell’azione ragionata

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168 Capitolo 6

zione che si fa volentieri per tutelare i parenti più stretti in caso di morte im-
provvisa. Un comportamento del genere si può spiegare pensando che sia con-
trollato dalla norma soggettiva, ossia potrebbe essere stimolato dal desiderio
che il proprio comportamento corrisponda alle aspettative degli altri. Talvolta
il fatto di compiere atti socialmente degni di merito genera nell’individuo sen-
timenti di orgoglio e di rispetto verso se stesso, mentre il fatto di non compier-
li fa nascere sentimenti di vergogna e sensi di colpa. La norma soggettiva è,
quindi, controllata da meccanismi psicologici interni all’individuo; non opera
attraverso rinforzi sociali esterni come complimenti diretti o, viceversa, mani-
festazioni di ostilità. La norma soggettiva coinvolge referenti come amici, ge-
nitori, medici, partiti politici, organizzazioni religiose ecc. Si parla non a caso
di norma soggettiva (abbreviata di solito in SN, dall’inglese subjective norm) per-
ché riguarda ciò che l’agente pensa (“soggettiva”) e ciò che egli percepisce su
ciò che gli altri pensano che dovrebbe fare (“norma”).

Applicazione
Sviluppi della teoria dell’azione ragionata
ragionata
Ajzen e Fishbein (1980) hanno assegnato alla teoria il nome di “teoria del-
l’azione ragionata” rielaborando la propria ricerca e applicandola a questioni
pratiche come la salute, il comportamento del consumatore e il voto; i due
studiosi avevano già presentato gran parte della teoria in alcune precedenti
pubblicazioni (ad esempio Ajzen e Fishbein, 1969; Ajzen, 1971; Ajzen e Fish-
bein, 1972). L’opera che tratta in modo più approfondito la loro ricerca è Belief,
Attitude, Intention and Behaviour (Fishbein e Ajzen, 1975). Prima del 1980 la
teoria era conosciuta con il nome di modello di Fishbein-Ajzen sulle intenzioni
comportamentali, o modello esteso; ossia un’estensione della teoria dell’atteg-
giamento aspettativa-valore di Fishbein (1963), che è parte integrante della
teoria dell’azione ragionata.
Il lavoro di Fishbein era molto in voga nei primi anni ‘70 tra esperti di ricer-
che sul consumatore come Sampson, Tuck e Cowling; a esso fu dedicato il
seminario ESOMAR tenutosi a Madrid nel 1971 (Fishbein, 1972). Nelle sue
prime applicazioni la teoria era spesso sottoposta a verifiche empiriche insod-
disfacenti; venivano utilizzate misure inadeguate per alcune componenti del
modello e i risultati, di conseguenza, erano alquanto deludenti. Nella pratica
commerciale, altri metodi hanno soppiantato la teoria in questione, in parti-
colare l’analisi congiunta (conjoint analysis), che si è rivelata molto più adatta
alla selezione e alla progettazione dei prodotti. Contemporaneamente, i ricer-
catori meno inclini all’analisi quantitativa utilizzavano in misura sempre mag-
giore la ricerca qualitativa. Queste nuove tendenze sono state responsabili di
molta ricerca priva di alcuna base teorica, con la conseguenza di rallentare, in
molti territori di studio, un migliore approfondimento del comportamento del
consumatore.

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La teoria dell’azione ragionata è stata ampiamente applicata negli Usa nel-


la ricerca scientifica sui consumi, ma si sono verificati dei disaccordi tra gli
autori e gli esecutori, di cui si può trovare traccia nelle seguenti pubblicazioni:
Bass e Talarzyk (1972); Cohen, Fishbein e Ahtola (1972); Sheth e Talarzyk (1972);
Sheth (1972); Songer-Nocks (1976a, 1976b); Fishbein (1976) e Fishbein e Aj-
zen (1976a, 1976b). Questi scontri dimostrano la complessità di applicazione
insita nella teoria, che potrebbe averne inibito l’utilizzo.

Il principio di sufficienza
sufficienza
Nella teoria dell’azione ragionata, la valutazione si basa sulle credenze, per
cui un qualsiasi cambiamento nell’atteggiamento o nel comportamento deve
avvenire tramite l’acquisizione di nuove credenze o la modificazione di quelle
esistenti. In altre parole, le variazioni nelle credenze costituiscono una spiega-
zione sufficiente dei cambiamenti nell’atteggiamento, nella norma soggettiva,
nell’intenzione e nel comportamento. Ajzen e Fishbein (1980) sostengono che
le variabili esterne alla teoria come le esperienze passate, la personalità, l’età, il
sesso e altre classificazioni sociali sono associate al comportamento solo in
quanto fattori correlati alle credenze salienti e quindi ad Ab o a SN. I due stu-
diosi affermano:

Anche se non neghiamo che variabili “esterne” di questo tipo possano tal-
volta essere correlate al comportamento, dal nostro punto di vista esse pos-
sono influenzare il comportamento solo in modo indiretto. In altre parole,
le variabili esterne saranno collegate al comportamento solo se sono corre-
late a una o più tra le variabili specificate nella nostra teoria. (Ajzen e Fish-
bein, 1980:82)

Le credenze e le altre componenti della teoria dell’azione ragionata mediano


quindi l’effetto delle variabili esterne. Questo tipo di cognitivismo intransi-
gente è stato testato da molte ricerche tramite l’inclusione di variabili esterne
nell’analisi di regressione, per controllare se esse migliorassero in modo signi-
ficativo la previsione delle intenzioni rispetto ad Ab e SN. Le variabili demo-
grafiche sortiscono in genere un effetto minimo; Marsh e Matheson (1983), ad
esempio, in uno studio sull’intenzione di smettere di fumare, non hanno ri-
scontrato effetti diretti dell’età e del sesso sull’intenzione; in altre parole qual-
siasi effetto imputabile a sesso o età si verificava a fronte di mutamenti di Ab e
di SN. Analogamente, Loken (1983) non ha rilevato alcun effetto diretto di
variabili esterne sul comportamento di consumo della TV.
Il principio di sufficienza rimane, comunque, difficile da difendere; in parti-
colare, si riscontra generalmente che le esperienze passate esercitano un in-
flusso diretto sull’intenzione e talvolta sul comportamento (Bagozzi e Kim-
mel, 1995). Nello studio di Marsh e Matheson (1983) emerge come un prece-
dente tentativo di smettere di fumare sortisse un effetto diretto sull’intenzio-

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ne e un effetto diretto, ancorché minimo, sui successivi tentativi. Effetti diretti


di questo tipo esercitati dal comportamento passato su intenzioni e compor-
tamenti successivi sono stati riscontrati da Bentler e Speckart (1979; 1981),
Fredericks e Dossett (1983) e Bagozzi (1981).
Gli studi citati non costituiscono sempre un test metodologicamente cor-
retto del principio di sufficienza. Ryan (1982) ha sottolineato come, in alcuni
casi, l’utilizzo di misure inadatte rendesse poco adeguata l’applicazione della
teoria dell’azione ragionata. Nonostante questo, sembra chiaro che l’effetto
dell’esperienza passata spesso non viene mediato dai concetti della teoria del-
l’azione ragionata. Talvolta possono originarsi delle correlazioni dirette tra espe-
rienza passata e comportamento tramite un apprendimento inconscio attivato
in contesti adeguati. Bentler e Speckart (1979) e Fredericks e Dossett (1983),
sulla base di Triandis (1977) sostengono che il comportamento passato conso-
lidi un’abitudine che può influenzare i comportamenti successivi senza altera-
re le componenti della teoria dell’azione ragionata. La maggior parte delle
nostre abitudini può tuttavia essere giustificata razionalmente, e sembra sba-
gliato mettere sullo stesso piano l’abitudine e la continuità comportamentale
che hanno motivazioni inespresse a livello conscio.

La teoria del comportamento pianificato


La constatazione dell’effetto diretto esercitato dall’esperienza passata sull’in-
tenzione e sui comportamenti successivi ha spinto alla ricerca di altre variabili
da poter affiancare ad Ab e a SN: questi nuovi fattori devono peraltro esercita-
re un effetto rilevante sull’intenzione. Vale la pena di modificare la teoria del-
l’azione ragionata, infatti, solo se si può dimostrare che esistono delle misure
adeguatamente definite che esercitano un effetto significativo all’interno di
un’ampia gamma di azioni. Due variabili, in particolare, sono state proposte
per l’inserimento nella teoria: la norma morale e il controllo comportamentale
percepito.

Norma morale
morale
Se il nostro comportamento subisce l’influsso di persone e gruppi sociali sa-
lienti, allora sarà influenzato anche dai nostri valori individuali. Per questo
Ajzen e Fishbein (1969) hanno inserito le credenze normative personali, o
norma morale, in una delle prime versioni della loro teoria. La correlazione
della variabile con l’intenzione era però spesso così alta da far coincidere le
due misure. Sembrava che la misura della norma morale includesse sia Ab sia
SN, e non riusciva quindi a rappresentare una misura separata del fattore nor-
mativo personale (Ajzen e Fishbein, 1980: 247). Se le questioni morali occupa-
no un ruolo importante nel comportamento in esame, operando in contrasto
con altri fattori, allora la norma morale migliora in genere la previsione del-
l’intenzione (ad esempio Beck e Ajzen, 1990; Parker, Manstead e Stradling,

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1995); l’effetto però rimane in genere limitato, e la misura non è molto utiliz-
zata nella pratica.

Controllo comportamentale per


Controllo cepito
percepito
Ajzen (1985; 1988; 1991) ha introdotto il concetto di controllo comportamen-
tale percepito nella teoria del comportamento pianificato. La Figura 6.2 mostra la
struttura generale della teoria, mentre la Figura 6.3 illustra un esempio di ap-
plicazione. In questa teoria, il controllo comportamentale percepito (PC) co-
stituisce un fattore determinante dell’intenzione insieme ad Ab e SN. Il PC è
misurato come la capacità, auto-percepita da un individuo, di compiere una
determinata azione qualora l’individuo stesso lo desideri. La misura è quasi
equivalente a quella della convinzione di poter agire, variabile utilizzata da Marsh
e Matheson (1983) in uno studio che, in parte, anticipava la teoria del compor-
tamento pianificato. “Essere in grado di fare qualcosa se si desidera farlo” è un
indice di libertà e discrezionalità, per cui la revisione della teoria dell’azione
ragionata qui esaminata quantifica il grado di volontarietà di un’azione. Ajzen

Figura 6.2 Teoria del comportamento pianificato

Figura 6.3 Teoria del comportamento pianificato applicata al “giocare alla National Lottery”

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172 Capitolo 6

e Madden (1986) sottolineano che spesso l’esperienza passata e il PC si so-


vrappongono, perché la prima rivela le opportunità contingenti e le capacità
personali che stanno alla base di PC; l’inclusione di PC in una teoria di previ-
sione, quindi, riduce l’utilità a livello esplicativo dell’esperienza passata.

Valutazione della teoria


del comportamento pianificato
La teoria del comportamento pianificato (Figure 6.2 e 6.3) implica una con-
nessione diretta tra PC e comportamento, applicabile quando le persone hanno
un controllo limitato delle proprie azioni. Una persona può, ad esempio, avere
l’intenzione di smettere di fumare, ma la sua determinazione può vacillare a
causa delle tentazioni ambientali e della sua debolezza caratteriale. Il PC indi-
ca quanto la persona sia in grado di controllare l’ambiente circostante e il pro-
prio temperamento, e aiuta quindi a quantificare il rischio che non porti a
termine l’azione che intende compiere. A supporto della teoria, Schifter e Aj-
zen (1985) hanno scoperto, nel corso di uno studio sul dimagrimento, che la
reale perdita di peso veniva meglio prevista se si associavano PC e intenzione.
Ajzen (1991) ha poi scoperto che il PC contribuiva alla previsione del compor-
tamento in 11 studi su 17 analizzati. Madden, Ellen e Ajzen (1992) hanno sco-
perto che la misura del PC migliorava la previsione del comportamento (de-
dotto dall’intenzione) nei casi in cui le persone dimostravano un ridotto con-
trollo della volontà.
Il PC costituisce altresì una chiara previsione. In tre studi sul rapporto at-
teggiamento-comportamento, Ajzen e Madden (1986) hanno dimostrato che
l’inclusione della variabile PC aumentava in modo rilevante la capacità di pre-
visione dell’intenzione. Ajzen (1991) ha analizzato 19 ricerche, scoprendo che
l’utilizzo di PC aumentava in tutti i casi la previsione dell’intenzione; SN si è
rivelato invece la variabile più debole tra le tre usate nella previsione dell’in-
tenzione, risultando significativa soltanto in 9 casi su 19. East (1993) ha rileva-
to che in tre differenti studi l’uso aggiuntivo di PC arrecava un guadagno si-
gnificativo nella previsione dell’intenzione. Madden, Ellen e Ajzen (1992), ana-
lizzando 10 studi, hanno dimostrato che, nella maggioranza dei casi, l’aggiun-
ta della misura di PC al modello migliorava in modo sostanziale la previsione
dell’intenzione.
Da un certo punto di vista, l’inclusione di PC nella determinazione dell’in-
tenzione è priva di supporto logico. Se, ad esempio, una persona fosse sicura
al 50% di poter fare qualcosa, ogni probabilità e quindi ogni conseguenza an-
drebbe dimezzata, prendendo in considerazione l’incertezza espressa. Questo
tipo di ragionamento, però, considera il processo cognitivo umano come pro-
cesso logico, quando invece potrebbe essere descritto meglio come risultato di
un meccanismo associativo (Capitolo 7). Il test definitivo è di tipo empirico, ed
è per questo motivo che il PC si è conquistato il proprio ruolo; in pratica, la
relazione tra PC e Ab o SN è minima.

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L’azione: come prevederla e come spiegarla 173

Molte ricerche basate sull’opera di Bandura (1977) hanno contribuito a di-


mostrare il ruolo del controllo comportamentale percepito nella determina-
zione del comportamento. Lo studioso ha utilizzato il termine “auto-efficacia”
per descrivere un concetto pressoché identico a quello di controllo comporta-
mentale percepito; egli sosteneva che “l’auto-efficacia percepita riguarda il giu-
dizio su quanto efficacemente una persona riesca a compiere una determinata
serie di azioni richieste per affrontare situazioni prospettiche”. Condiotte e
Lichtenstein (1981) hanno riscontrato che le persone con bassi punteggi di
auto-efficacia mostravano una percentuale più alta di ricadute nel vizio del
fumo, supportando le analisi di Sutton, Marsh e Matheson (1987) in base alle
quali la fiducia costituisce un fattore fondamentale per prevedere il successo
(vedi riquadro); i tre ricercatori hanno anche riscontrato che i fumatori erano
in grado di prevedere le situazioni di vulnerabilità nel cui ambito si sarebbe
potuta verificare una ricaduta, facendo ipotizzare la possibilità di cambiare il
PC insistendo sui propri punti deboli. Un’altra ricerca, condotta da McIntyre,
Lichtenstein e Marmelstein (1983), ha rivelato che è possibile aumentare i
punteggi di auto-efficacia allenando l’individuo nelle abilità necessarie a smet-
tere di fumare (l’effetto di questo lavoro di training, però, scompariva a di-
stanza di un anno).

Applicazione
Un’applicazione: smettere di fumar
smettere e
fumare
Nel 1978 il Joint Committee on Research into Smoking (Comitato riunito per la
ricerca sul fumo) indicava l’urgenza di una nuova ricerca sugli atteggiamenti
nei confronti del fumo nel Regno Unito. A stimolare la ricerca aveva contribu-
ito anche un rapporto del 1977 sugli atteggiamenti e sul comportamento del
fumatore, preparato da Fishbein per la Federal Trade Commission statunitense,
che aveva raccomandato uno spostamento dell’attenzione dagli “atteggiamenti
nei confronti del fumo” agli “atteggiamenti nei confronti dello smettere di fu-
mare”. La nuova ricerca è stata condotta dall’Office of Population Censuses and
Surveys (Ufficio per il censimento e le ricerche). Lo studio, dal titolo Smoking
Attitudes and Behaviour (Atteggiamenti e comportamento nei confronti del
fumo), opera di Alan Marsh e Jil Matheson, è stato pubblicato nel 1983. La
ricerca utilizzava le misure di atteggiamento e controllo comportamentale per-
cepito (ma non la norma soggettiva) mutuandoli della teoria del comporta-
mento pianificato e costituisce uno dei test più completi che siano mai stati
effettuati per ciò che concerne una teoria psicologico-sociale.
La ricerca di Marsh e Matheson era caratterizzata dall’attenzione posta nella
misurazione dei diversi atteggiamenti nei confronti delle due alternative prin-
cipali: smettere di fumare o continuare a farlo. La procedura si può paragona-
re al confronto tra gli atteggiamenti nei confronti di due diverse marche all’in-
terno di una medesima categoria. I ricercatori si sono prefissati il compito di

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174 Capitolo 6

prevedere il comportamento in base alla differenza tra i valori attesi relativa-


mente alle due opzioni; è proprio questa differenza a quantificare la perdita o
il guadagno individuali derivanti dalla scelta dell’una o dell’altra opzione. Un
esempio servirà a chiarire il concetto: la maggioranza dei fumatori ammetteva
che il fumare provoca il cancro ai polmoni (73%) e danneggia il cuore (59%),
ma lo studio ha altresì dimostrato che gran parte di queste persone erano con-
vinte o di non aver fumato tanto da subirne i danni o, alternativamente, che i
danni fossero ormai irreversibili. Per queste persone, smettere di fumare non
comportava una riduzione del rischio. I soli fumatori capaci di apprezzare i
benefici associati al fatto di smettere di fumare risultarono quelli convinti sia
di essere esposti al rischio di malattie, sia di poter ridurre il rischio di amma-
larsi smettendo di fumare. I ricercatori avevano previsto che questo gruppo
avrebbe provato più volte a smettere, fatto confermato da controlli effettuati a
distanza di 6 mesi. I dati esposti confermano l’esistenza di un processo causa-
le dall’atteggiamento all’azione.
Un’analisi LISREL sui dati di Sutton, Marsh e Matheson (1987) ha dimo-
strato che l’atteggiamento, la fiducia e una misura del comportamento passa-
to (i tentativi precedenti di smettere di fumare) prevedono l’intenzione; questo
dimostra che il modello in questo caso era insufficiente e che il comportamen-
to passato costituiva un elemento molto importante nella previsione dell’azione.
Erano in primo luogo l’intenzione e in secondo luogo i tentativi precedenti a
prevedere i reali tentativi di smettere (vedi Figura 6.4). I tentativi, però, possono
non andare a buon fine; per analizzare le ragioni del successo, Marsh e Mathe-
son hanno esaminato le persone che hanno smesso per un certo periodo, ri-
scontrando una stretta correlazione tra successo e fiducia in se stessi.
Questa ricerca spiega l’intenzione e l’azione basandosi sulle credenze e
fornisce supporto alla strategia in base alla quale si tenta di persuadere i fu-
matori a smettere modificandone le credenze rilevanti. Lo studio ha eviden-
ziato quali siano i punti su cui porre maggiore attenzione nell’ambito del-
l’educazione sanitaria finalizzata a convincere le persone a smettere. Ecco al-

Figura 6.4 Coefficienti che mettono in relazione attitudine, fiducia in se stessi e tentativi
precedenti di smettere con l’intenzione e i tentativi successivi (Sutton et al., 1987)

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L’azione: come prevederla e come spiegarla 175

cuni esempi: spiegare che il rischio derivante dal fumo dipende dal numero di
sigarette fumate, che non c’è una soglia che delimiti l’inizio del rischio e che
quasi tutte le persone che smettono ne traggono beneficio per la salute. La
ricerca ha dimostrato, inoltre, che un eventuale successo dipende fortemente
dalla fiducia in se stessi e che l’educazione sanitaria dovrebbe quindi dare
rilievo ai metodi per smettere che aumentino la fiducia in sé.

Applicazione
Applicazioni della teoria
del comportamento pianificato
Negli ultimi anni sono state condotte numerose ricerche sul comportamento
pianificato; la maggioranza di queste ricerche contiene un confronto tra la pre-
stazione di questa teoria e la teoria dell’azione ragionata. La teoria del com-
portamento pianificato fornisce in genere previsioni migliori rispetto alla teo-
ria dell’azione ragionata, e ne ha preso quasi interamente il posto. Ecco le
applicazioni studiate di recente:
■ Attività fisica, ginnastica (Ajzen e Driver, 1992; Courneya, 1995; Godin, Va-
lois e Lepage, 1993; Harrison e Liska, 1994; Kimiecik, 1992; Norman e Smi-
th, 1995).
■ Uso del preservativo, sesso sicuro (Boldero, Moore e Rosenthal, 1992; Chan
e Fishbein, 1993; Dewit e Teunis, 1994; Kashima, Gallois e McCamish, 1993;
Morrison, Gillmore e Baker, 1995; White, Terry e Hogg, 1994).
■ Autoesame della propria salute (McCaul et al., 1993).
■ Dipendenze (Morojele e Stephenson, 1992).
■ Smettere di fumare (Devries e Backbier, 1994; Godin, Valois e Lepage, 1993).
■ Donare il sangue (Giles e Cairns, 1995).
■ Alcolismo (Schlegel, Davernas e Zanna, 1992).
■ Controllo dell’assunzione di zuccheri da parte dei bambini (Beale e Man-
stead, 1991).
■ Scelte alimentari (Dennison e Shepherd, 1995; Raats, Shepherd e Sparks,
1995).
■ Partecipazione ad attività di gruppo (Kelly e Breinlinger, 1995).
■ Riciclaggio (Boldero, 1995; Taylor e Todd, 1995).
■ Uso di internet (Klobas, 1995).
■ Guida pericolosa (Parker, Manstead e Stradling, 1995; Parker et al., 1992).
■ Prevenzione degli incidenti (Richard et al., 1994; Rutter, Quine e Chesham,
1995).

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176 Capitolo 6

■ Perché gli imprenditori ricercano l’equity funding (Desroches e Chebat,


1995).
■ Acquisto di regali (Netemeyer, Andrews e Durvasula, 1993; Salui, 1994).
■ Prenotazioni di azioni (East, 1993).
■ Lamentele (East, 1996).

Misurazioni, spiegazioni e applicazioni


Misurazioni,

Misurazioni delle variabili


Misurazioni
Credenze comportamentali
redenze
Nelle teorie che mettono in relazione atteggiamento e comportamento, il le-
game tra opinione e atteggiamento, ossia

costituisce il modello dell’atteggiamento aspettativa-valore, spiegato nel Ca-


pitolo 5. Per includere sia l’aspettativa sia il valore, ognuna delle credenze sui
risultati viene misurata su due scale diverse, ad esempio:
Se gioco alla National Lottery, spenderò molto

Spendere molto è

Il valore previsto dello “spendere molto alla National Lottery” è dato dal prodot-
to delle due misure, e la somma dei prodotti di tutti i risultati salienti del gio-
care alla National Lottery, ossia Sbiei, definisce Ab.

Credenze normativ
redenze e
normative
Una procedura di misurazione molto simile si applica alle credenze normati-
ve, ad esempio.

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L’azione: come prevederla e come spiegarla 177

I miei amici pensano che dovrei giocare alla National Lottery la settimana
prossima:

Io voglio fare quello che i miei amici pensano io debba fare:

In questo caso la prima è una misura dell’aspettativa di approvazione (n) e la


seconda della motivazione a compiacere (m). Il prodotto delle due misure indica
l’effetto esercitato dal referente in questione, la somma dei prodotti relativi a
tutti i referenti, cioè Σnimi, determina SN.

Credenze sul contr


redenze ollo
controllo
Si usa la stessa procedura per misurare le credenze sul controllo; in questo
caso le due componenti sono la probabilità che un fattore faciliti l’azione (p) e
il potere percepito nei confronti di tale fattore di controllo (c), ad esempio:
Mi è più facile giocare alla National Lottery se capisco come funziona:

Riesco a capire il sistema per giocare alla National Lottery:

La sommatoria dei prodotti, Σcipi, determina PC.


Per determinare queste scale è necessario stabilire quali siano le credenze
salienti rilevanti, utilizzando la procedura descritta nell’Esercizio 5.2.

Variabili globali
L’intenzione viene misurata come dichiarazione d’intenti o previsione di com-
portamento, ad esempio:
È mia intenzione giocare alla National Lottery la prossima settimana

Cap6.p65 177 15/01/2003, 16.20


178 Capitolo 6

Giocherò alla National Lottery la settimana prossima

L’atteggiamento viene misurato utilizzando due o più scale, ad esempio.


Per me giocare alla National Lottery la settimana prossima è

La norma soggettiva viene in genere misurata utilizzando la seguente formula.


Molte persone che io ritengo importanti pensano che dovrei giocare alla
National Lottery la settimana prossima:

Il controllo comportamentale percepito può essere misurato con la seguente sca-


la.
Per me, giocare alla National Lottery la settimana prossima è

La spiegazione del comportamento


attrav
attra erso la teoria
verso
del comportamento pianificato
Livello 1: Comportamento
Livello
La teoria, presa nel suo insieme, spiega il comportamento identificando i fat-
tori che stanno alla base dell’azione, ma i precursori immediati del comporta-
mento nella teoria del comportamento pianificato sono l’intenzione e il con-

Cap6.p65 178 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 179

trollo comportamentale percepito. Questo è quindi il primo livello della spie-


gazione, testato, tra gli altri, da Madden, Ellen e Ajzen (1992). Di solito il con-
trollo comportamentale percepito è il fattore più debole e può non esercitare
un impatto diretto sul comportamento. Come abbiamo osservato in prece-
denza, il PC influenza il comportamento in modo diretto nei casi in cui le
persone si prefiggono di raggiungere un obiettivo su cui esercitano un con-
trollo limitato, come smettere di fumare o perdere peso, ed è interessante no-
tare la correlazione esistente tra tale fenomeno e le attività degli psicotera-
peuti comportamentali. Gran parte delle loro terapie è strutturata in modo da
modificare e gestire l’ambiente circostante, affinché i segnali contestuali e i
rinforzi siano positivi e non scatenino comportamenti indesiderati. Gli psico-
terapeuti preparano i propri pazienti a prevedere le situazioni difficili e ad
adottare sempre il comportamento più appropriato nelle situazioni che non
possono essere evitate. Si insegna alle persone obese, ad esempio, a non ac-
quistare mai cibi pronti con scadenza a breve termine, mentre si abituano i
fumatori a rifiutare le sigarette offerte. Si può affermare che una teoria di que-
sto tipo aumenta il controllo reale (e, di conseguenza, anche il controllo com-
portamentale percepito).
In alcuni casi, invece, se le persone hanno un controllo limitato dell’azione,
risolvono il problema decidendo di non compierla. East (1993) ha osservato
che questo tipo di comportamento si può applicare all’acquisto di azioni nel-
l’ambito di operazioni di privatizzazione di aziende di pubblici servizi. Ciò
significa che il PC è un determinante diretto del comportamento solo per de-
cisioni su cui le persone hanno un controllo limitato, ma che vogliono comun-
que compiere per ragioni normative o per il risultato che ne potrebbe derivare.
Questo livello di spiegazione riguarda anche la forza della connessione tra
intenzione e comportamento. Fishbein (1966) ha analizzato il legame tra in-
tenzione e comportamento studiando il comportamento sessuale tra gli stu-
denti. Il suo studio dimostrava che gli uomini riuscivano meno delle donne a
realizzare le proprie intenzioni in ambito sessuale. Nel clima culturale caratte-
ristico del periodo in cui fu condotto lo studio, negli Usa le donne disponeva-
no di un maggior controllo rispetto agli uomini: per una donna era più facile
convincere un uomo a diventare il proprio amante pur potendo rifiutare le
offerte indesiderate; per un uomo, al contrario, era più difficile convincere una
donna e pertanto aveva meno libertà d’azione.

Livello 2: Intenzione
Livello
Il livello successivo di spiegazione riguarda l’importanza relativa di Ab, SN e
PC nella previsione dell’intenzione: la priorità varia di volta in volta, in base al
tipo di applicazione. Jaccard e Davidson (1972), ad esempio, hanno scoperto
che l’uso della pillola anticoncezionale tra le studentesse universitarie era as-
sociato più ad Ab che a SN; ciò probabilmente riflette l’importanza che aveva
per questo gruppo di donne il fatto di evitare una gravidanza. Davidson e Jac-
card (1975), a loro volta, hanno riscontrato che le donne sposate con figli attri-
buivano maggior importanza alla componente normativa.

Cap6.p65 179 15/01/2003, 16.20


180 Capitolo 6

La teoria del comportamento pianificato è stata applicata molte volte a pro-


blematiche riguardanti il consumatore. East (1993) ha rilevato che le prenota-
zioni di azioni nell’ambito di processi di privatizzazione venivano influenzate
da Ab, SN e PC, ma che nei casi studiati il peso relativo delle tre variabili era
diverso (ciò rifletteva probabilmente le diverse condizioni delle tre privatizza-
zioni analizzate). È risultata interessante, comunque, la differenza tra questi
risultati e ciò che ci si sarebbe dovuto attendere se le prenotazioni fossero
state assimilate a una normale opportunità d’affari determinata in gran parte
dai risultati: in questo caso la prenotazione sarebbe stata dominata da Ab; ma
non è stato così, e ciò ha permesso di dimostrare l’importanza dei fattori nor-
mativi e di controllo in settori in cui sarebbe corretto assumere un processo
decisionale basato esclusivamente su criteri razionali. Nello studio di East, l’ac-
cesso ai mezzi finanziari costituiva un determinante primario dell’intenzione,
e Sahni (1994) ha ipotizzato che, nelle scelte relative all’acquisto, il controllo
comportamentale percepito sia spesso determinato dalle risorse finanziarie
disponibili. Lo studioso ha scoperto che misurare il controllo finanziario faci-
litava la determinazione delle intenzioni di spesa.
In uno studio compiuto sui reclami, East (1996) ha dimostrato che l’inten-
zione di reclamare è sostenuta da un numero di possibili motivazioni molto
maggiore di quanto generalmente si supponga. Gran parte delle ricerche che
si sono focalizzate sulle ragioni sottostanti un reclamo hanno esaminato l’in-
soddisfazione nei confronti del prodotto e la probabilità di ottenere un risarci-
mento, ossia fattori inclusi in Ab. I ricercatori non hanno utilizzato questionari
che coprissero tutti i potenziali fattori che influenzavano il reclamo. Lo studio
di East si è servito di due condizioni diverse, e in nessuno dei due casi Ab è
risultato il principale determinante dell’intenzione di ottenere un risarcimen-
to. La ricerca è descritta dettagliatamente nel Capitolo 9.

Livello 3: Spiegazioni di fattori specifici


Livello
Il terzo livello di spiegazione mette in relazione le specifiche credenze com-
portamentali, normative e di controllo con le variabili globali o con l’intenzio-
ne. Nella teoria, i fattori specifici sono legati all’intenzione tramite la variabile
globale appropriata, ma nel corso di una ricerca empirica non è sempre chiaro
a quale variabile globale appartenga un determinato fattore. Le credenze nor-
mative vengono in genere associate a SN, ma ci sono altri fattori che possono
agire come determinanti di Ab, di PC o di entrambi. Per fare un esempio, l’im-
barazzo legato al reclamo può essere considerato un risultato dell’azione o un
fattore di controllo. East (1996) ha riscontrato che l’imbarazzo è principalmente
un fattore di controllo che ostacola l’azione, piuttosto che una conseguenza
del reclamo stesso. Il terzo livello di spiegazione facilita la scelta delle strate-
gie d’intervento. Se un’azienda desidera incoraggiare i propri clienti a espri-
mere le proprie lamentele, deve concentrarsi sui principali fattori che influen-
zano quell’azione. Se, ad esempio, molte persone non hanno il coraggio di
esprimere il proprio malcontento, è necessario fornire loro una procedura chiara
e l’incoraggiamento a utilizzarla.

Cap6.p65 180 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 181

Poiché un fattore può operare attraverso diverse variabili globali, esiste la


possibilità che sia “contato due volte”. Fishbein e Ajzen (1975: 304-7) hanno
però sottolineato che un’informazione come, ad esempio, l’efficacia di una
medicina, può causare due reazioni diverse: se un medico prescrive un farma-
co, il paziente può assumerlo perché il dottore è un referente e perché ritiene
che il farmaco sarà in grado di produrre forti benefici. In talune circostanze lo
stesso elemento di informazione può dare adito a variazioni nell’atteggiamento
che si contrappongono ai mutamenti di matrice normativa. Una persona che
beve molto, ad esempio, potrebbe essere meno disposta ad assumere un far-
maco se il medico l’ha convinto della sua efficacia, per paura di amplificare
l’effetto dell’alcool. In genere i due percorsi causali sono ben differenziati fra
loro; a questo riguardo Fishbein e Ajzen (1981) sostengono che Ab e SN sono
più strettamente correlate con l’intenzione di quanto non lo siano tra loro.
Trafimow e Fishbein (1995) hanno dimostrato che le persone distinguono tra
le credenze comportamentali e le credenze normative.
La possibilità di un doppio conteggio non costituisce un problema se si
riporta la correlazione tra fattori specifici e intenzione. Ecco alcuni esempi di
fattori dominanti che influenzano l’intenzione:
Nel caso del reclamo:
■ avere familiarità con i reclami
■ ottenere un rimborso
■ l’opinione degli amici su cosa si dovrebbe fare
■ difendere i propri diritti
Nel caso della prenotazione di azioni:
■ l’opinione di amici e parenti su cosa dovresti fare
■ accesso a finanziamenti
■ sforzo necessario ad avanzare la richiesta
■ ottenere un profitto o un investimento sicuro.

Come utilizzar e i risultati delle ricer


utilizzare che
ricerche
sul comportamento pianificato
È facile sovrastimare il campo di applicazione di qualsiasi teoria esplicativa;
anche disponendo di evidenze empiriche che provano le modalità del verifi-
carsi di una particolare situazione, applicarle può risultare difficile. Se si utiliz-
zano questi risultati per influenzare il comportamento altrui, il tentativo può
fallire. Le credenze possono resistere al cambiamento, un cambiamento a sua
volta potrebbe non essere sufficientemente grande da influenzare il compor-
tamento, ma potrebbe invece indursi il cambiamento di altre credenze che
esercitano un effetto opposto sul comportamento. Fishbein e Ajzen (1981) af-
fermano che gli studi sulle motivazioni dell’azione forniscono solo un’indica-
zione su dove sia preferibile porre maggior enfasi se si tenta di esercitare una

Cap6.p65 181 15/01/2003, 16.20


182 Capitolo 6

qualche forma di influenza: “è impossibile prevedere l’esatta misura in cui …


una determinata informazione influenzerà l’atteggiamento o la norma sog-
gettiva di una persona”.
Nonostante questi problemi, la ricerca sul comportamento pianificato con-
sente un significativo avanzamento rispetto ai metodi della ricerca qualitativa.
La teoria del comportamento pianificato definisce un ordine di priorità tra i
vari concetti ottenuti attraverso la ricerca esplorativa e può essere di supporto
alle decisioni sullo sviluppo del prodotto, il posizionamento e la pubblicità. In
genere, la pubblicità deve comunicare attraverso tempi molto limitati, per cui i
dati relativi ai fattori che guidano l’acquirente a comperare una determinata
categoria di prodotto sono molto utili per il posizionamento di una marca. La
ricerca può, inoltre, mostrare i diversi punti di vista di fornitori e consumatori
sulle caratteristiche importanti di un prodotto.

Test dinamici della teoria


Gran parte degli studi sul rapporto atteggiamento-comportamento sono strut-
turati in modo da prevedere l’intenzione e il comportamento, e i risultati otte-
nuti possono essere interpretati in vario modo. In alcuni casi, quando il com-
portamento studiato è simultaneo alla ricerca, può essere il comportamento
stesso a determinare i fattori che concorrono alla sua previsione, e non vice-
versa. Morojele e Stephenson (1992), ad esempio, hanno riscontrato un au-
mento del senso di controllo nei pazienti usciti da varie forme di dipendenza.
Questi risultati non chiariscono l’ordine dei fattori; ci si può, infatti, aspettare
che i pazienti acquistino un maggiore senso di controllo come risultato della
guarigione, invece che come suo antecedente.
A questo riguardo è preferibile osservare le credenze e gli atteggiamenti e
utilizzarli per prevedere quali persone effettivamente modificheranno il pro-
prio comportamento. È quello che hanno fatto Marsh e Matheson (1983) pre-
vedendo chi avrebbe smesso di fumare; Desroches e Chebat (1983) preveden-
do quali imprenditori avrebbero proceduto a quotazioni od aumenti di capita-
le; e infine Kimiecik (1992) prevedendo chi tra i dipendenti avrebbe praticato
attività fisica. In questi studi le credenze, le intenzioni, ecc. si verificano prima
del compimento dell’azione e hanno quindi maggiori probabilità di costituire
la causa effettiva del comportamento.
Per eseguire un test più rigoroso e più pertinente sulla direzione dei nessi
causali, è necessario avvalersi di un disegno sperimentale e modificare le cre-
denze che la ricerca sul comportamento pianificato identifica come fondamen-
tali per il comportamento, osservando quindi se gli effetti “a valle” di tali cam-
biamenti concordano con la teoria. Se è così, si ottengono dei dati che provano
la sequenza causale che, partendo dalle credenze, attraverso le variabili globa-
li, porta alle intenzioni e al comportamento.
Esistono numerosi studi pertinenti a questo test dinamico della teoria. Aj-
zen (1971) sostiene che la ponderazione delle variabili globali indichi dove sia
preferibile indurre un’influenza sull’intenzione; Ajzen e Fishbein (1971) han-

Cap6.p65 182 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 183

no dimostrato la possibilità di costruire messaggi capaci di influenzare in modo


selettivo la componente normativa o attitudinale. Lutz (1977; 1978) ha con-
dotto uno studio in cui veniva manipolato il cambiamento di credenze: il flus-
so di cambiamenti concordava in buona misura con la teoria dell’azione ragio-
nata, ma non vi era molta trasmissione da Σbiei a Ab. Anche Ryan (1982) ha
scoperto una debole connessione Σbiei → Ab. Beale e Manstead (1991) hanno
effettuato un confronto sperimentale per verificare l’eventuale effetto sortito
da consigli sanitari sulla somministrazione di zucchero ai bambini, riscontrando
che l’intervento educativo modificava l’atteggiamento delle madri, ma l’effet-
to sull’intenzione, pur se nella direzione voluta, era non significativo. C’è un
solo caso che documenta effetti importanti: McArdle (1972) ha riscontrato una
forte correlazione tra Σbiei e Ab (correlazione pari a 0,63 e a 0,77 in condizioni
adeguate) e un influsso sul comportamento. Lo studioso si è servito di 10 motivi
per convincere degli alcolisti a far parte di un gruppo di disintossicazione, riu-
scendo così a far rientrare nella sua ricerca molte più credenze degli altri studi.
Riscontri empirici deboli non confutano una teoria, ma non ne accreditano
nemmeno l’utilità. È possibile che gli effetti rilevati siano minimi perché deve
trascorrere del tempo prima che persone prendano in considerazione dati nuovi
e adattino, di conseguenza, i propri atteggiamenti e le proprie intenzioni. Lutz
(1977), basandosi su Rosenberg (1968), ha ipotizzato l’esistenza di soglie di
cambiamento; tali variazioni “a gradini” possono essere supportate attraverso
messaggi che traggono conclusioni lungo il percorso tracciato dal modello at-
teggiamento-comportamento. Nella ricerca di Marsh e Matheson (1983) sullo
smettere di fumare si possono trovare prove di questo ritardo nell’elaborazio-
ne. I dati dei due ricercatori indicavano l’intervento di cambiamenti lenti, ba-
sati sulle credenze, che necessitavano di tempo per rinforzarsi per trasformar-
si nella risoluzione di smettere di fumare. Anche Devries e Cackbier (1994)
hanno riscontrato l’esistenza di diversi stadi nel processo dello smettere di
fumare.

Come identificare i fattori in gioco


identificare
La Tabella 6.1 illustra quali componenti di probabilità soggettiva e quali valu-
tazioni siano caratterizzate da una maggiore correlazione con l’uso di contrac-
cettivi orali. Le correlazioni possono essere generate dal fatto che le persone
che hanno determinate credenze tendono a utilizzare il prodotto, o dal fatto
che i consumatori acquisiscono tali credenze attraverso l’uso; oppure ancora,
la correlazione può nascere da cause comuni quali la sottocultura familiare. I
dati illustrati non determinano in modo decisivo i fattori che distinguono le
donne che, con maggiore probabilità, utilizzeranno contraccettivi orali. In as-
senza di prove più certe, dobbiamo quindi esercitare una certa cautela nel va-
lutare dati simili a quelli riportati nella Tabella 6.1.
Un valore atteso può modificarsi per due motivi: una variazione della pro-
babilità soggettiva, o della valutazione delle conseguenze. In genere le valuta-
zioni sono più stabili rispetto alle probabilità delle credenze. Dalla Tabella 6.1

Cap6.p65 183 15/01/2003, 16.20


184 Capitolo 6

Tabella 6.1 Opinioni e valutazioni dei risultati relativi a due gruppi di ragazze universitarie,
che rispettivamente intendono e non intendono assumere una pillola anticoncezionale
(scala da –3 a +3)

Assumere la pillola… Risultati


Probabilità Valutazione
Intende Non intende Intende Non intende
Comporta gravi effetti collaterali –0,4 1,2* –2,5 –2,5
Comporta effetti collaterali
di minore importanza 1,4 1,3 –1,1 –1,8
Comporta malformazioni al feto –2,4 –0,4* –2,5 2,5
È un metodo inaffidabile –2,3 –1,1* –2,5 –2,0
È il miglior metodo a disposizione 2,0 0,9* 2,7 2,1
Eviterebbe una gravidanza 2,4 1,1* 2,8 2,2
Influenzerebbe la mia moralità
sessuale –1,9 –0,4* –1,4 –1,6
È immorale –2,7 –0,7* –1,8 –1,8
Mi farebbe sentire in colpa –2,3 0,1* –2,4 –2,4
È costoso –0,9 –0,8 –1,1 –1,6
È comodo 2,6 1,8 2,7 1,7*
Mi permette di tenere sotto controllo
le dimensioni della famiglia 2,7 2,2 2,7 1,8*
Mi permette di regolare la distanza
tra le gravidanze 2,7 2,2 2,7 1,9
Mi permette di regolare il ciclo
mestruale 2,4 0,8* 2,1 1,4
Aumenterebbe il piacere 0,5 –0,1 2,2 1,1*
*Differenza significativa (p < 0,05) tra chi intende e chi non intende assumere la pillola.
Fonte: Ajzen e Fishbein (1980: 146)

emergono solo tre differenze significative nella valutazione tra chi è intenzio-
nata ad assumere la pillola e chi non lo è, mentre ci sono ben nove differenze
significative nelle probabilità soggettive. In altre parole, chi la usa ha in genere
gli stessi valori di chi non la usa, ma differisce nelle credenze riguardanti la
correlazione dell’azione a tali valori. Tutto ciò si spiega in parte con il fatto che
le valutazioni si fondano su differenti insiemi di credenze rispetto alle proba-
bilità soggettive: la complessità che ne deriva dà stabilità alla valutazione de-
gli attributi.
Alcuni fattori sono più variabili, altri meno; alcune probabilità e valutazioni
sono ancorate più fortemente di altre, perciò risultano difficilmente influenzabi-
li. Il valore relativo alla dimensione della famiglia, ad esempio, dipende dal
numero di figli dell’intervistata, percezione che le informazioni non riescono a
cambiare. Le differenze tra chi ha intenzione di assumere il farmaco e chi non
ce presenta questa intenzione costituiscono un indicatore della variabilità dei

Cap6.p65 184 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 185

costrutti esaminati. La Tabella 6.1 mostra come la comodità del contraccettivo


orale sia un valore accettato da entrambi i gruppi di donne, per cui la possibi-
lità di cambiamento a questo proposito è limitata. D’altra parte, invece, si po-
trebbe insistere presso i non utilizzatori in relazione all’efficacia del metodo,
valore meno accettato da tale gruppo rispetto all’altro.
Un altro indicatore è il margine di variazione, ossia quanto una misura può
cambiare nella direzione voluta prima di raggiungere il limite massimo o mi-
nimo della scala. La Tabella 6.1 mostra che il margine di variazione potenziale
è minimo nel caso delle credenze sulla regolazione delle dimensioni della fa-
miglia e sull’intervallo tra le gravidanze all’interno del gruppo costituito da
coloro che non hanno intenzione di assumere la pillola, mentre risulterebbe
possibile modificare la probabilità soggettiva di sensi di colpa.
I dati contenuti nella Tabella 6.1 andrebbero inoltre controllati per verifica-
re se ci siano credenze discordanti con il sapere comune; ad esempio la paura di
malformazioni alla nascita potrebbe essere ingiustificata.

Ricerche degli studenti


Ricerche
Per diversi anni, presso l’università di Kingston, sono state condotte ricerche
sul rapporto atteggiamento-comportamento con l’aiuto degli studenti. Il la-
voro preliminare era svolto dagli studenti come esercizio di applicazione della
teoria dell’azione ragionata. Il numero degli intervistati è generalmente basso:
il lavoro deve essere considerato solo come un’esplorazione, anche se riesce a
dare un’idea delle possibili applicazioni della teoria atteggiamento-compor-
tamento, oltre a ipotizzare alcune possibili linee di ricerca. La Tabella 6.2 rias-
sume le applicazioni basate sulla teoria dell’azione ragionata.

Pre visione dell’intenzione


re
I valori di R2 che compaiono nella Tabella 6.2 mostrano in che misura la varia-
zione nell’intenzione viene prevista da Ab e SN; la media degli R2 è risultata
pari a 0,39, dimostrando un buon livello di adattamento del modello ai dati. I
coefficienti di regressione standardizzati mostrano l’importanza relativa di Ab
e SN nella previsione dell’intenzione. Le correlazioni tra Ab e Σbiei e tra SN e
Snimi testano la teoria di Fishbein (1963) sull’atteggiamento; le medie corri-
spondenti, rispettivamente pari a 0,48 e a 0,50, rappresentano risultati tipici
per questo genere di ricerche. Di seguito alcune ulteriori osservazioni sulle
ricerche intraprese.

Donazione di sangue
Nel corso di entrambi gli studi effettuati, questa tipologia di comportamento
si è caratterizzata per un R2 modesto: ciò fa pensare che ci siano altri fattori in
gioco, tra cui il controllo comportamentale percepito (PC). Giles e Cairns (1995)
hanno a questo proposito recentemente rilevato il forte influsso esercitato da
PC sull’intenzione di donare sangue.

Cap6.p65 185 15/01/2003, 16.20


186 Capitolo 6

Tabella 6.2 Dati riassuntivi tratti dalle ricerche condotte dagli studenti utilizzando la teoria
dell’azione ragionata

Argomento Dimensioni R2 adattato Pesi b che Correlazioni


campione prevedono
l’intenzione
Ab SN Σbiei e Ab Σnimi e SN
Acquistare un Mars questa
settimana 21 0,51 0,77 0,15 0,51 0,23
Acquistare un Mars 32 0,37 0,45 0,30 0,38 0,49
Fare ginnastica regolarmente 20 0,50 0,83 0,42 0,74 0,50
Fare ginnastica la prossima
settimana 30 0,79 –0,09 0,95 0,60 0,57
Donare il sangue 20 0,13 0,12 0,39 0,46 0,71
Donare il sangue 28 0,18 0,48 0,02 0,27 0,45
Guardare i programmi
di Breakfast TV
– all’oscuro
della programmazione 30 0,30 0,24 0,39 0,40 –
– a conoscenza del tipo
di programmazione 30 0,47 0,60 0,27 0,47 –
– dopo l’inizio
della programmazione 40 0,49 0,62 0,17 0,52 –
Lavorare in biblioteca 22 0,21 0,53 –0,02 0,24 –
Avere un conto presso
una cooperativa edilizia 21 0,49 0,56 0,23 0,59 0,80
Sposarsi entro 5 anni 75 0,57 0,63 0,22 0,36 0,78
Bere alcool a pranzo 29 0,24 0,56 0,05 0,57 –0,17
Andare da McDonalds 29 0,25 0,46 0,15 0,50 0,53
Acquistare un computer
per la prima volta 26 0,33 0,08 0,58 0,42 0,69
Guardare Neighbours alla TV 29 0,44 0,42 0,37 0,63 0,44
Medie 0,39 0,45 0,29 0,48 0,50

Guardar
Guard e Br
re eakfast TV
Breakfast
East, Whittacker e Swift (1984) hanno studiato, nell’ambito di una ricerca non
pubblicata, le credenze relative al fatto di guardare Breakfast TV (l’equivalente
di programmi RAI come Uno Mattina; N.d.C.) nove mesi prima che il contenito-
re mattutino andasse in onda. I tre ricercatori hanno intervistato due gruppi di
persone: il primo non aveva ricevuto alcun tipo di informazione sui program-
mi che avrebbe visto, il secondo, invece, aveva avuto accesso a immagini rela-
tive allo stesso contenitore, già trasmesse negli Usa e in Australia, e a informa-
zioni sulla natura del corrispondente servizio di imminente introduzione in
Gran Bretagna. Le intenzioni del primo gruppo sono risultate fondate su SN,
quelle del secondo avevano invece maggior correlazione con Ab. Un simile

Cap6.p65 186 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 187

risultato era prevedibile, dato che le informazioni fornite al secondo gruppo


erano collegate all’atteggiamento e non a fattori relativi alla norma soggettiva.
In seguito, a programmazione iniziata, è stata condotta un’ulteriore ricerca
su un gruppo di spettatori di Breakfast TV; i dati relativi a quest’ultimo gruppo
sono risultati molto simili a quelli del secondo gruppo della ricerca preceden-
te, sottolineando la possibilità di simulare in modo efficace, attraverso simili
esperimenti, l’esperienza relativa al lancio di nuovi prodotti.

Credenze chiav
redenze e
chiave
Tra i fattori che sono risultati maggiormente correlati con l’intenzione, nel-
l’ambito delle ricerche sugli studenti, alcuni non erano stati previsti.
■ Una prima sorpresa è stata la motivazione principale che spinge a fare atti-
vità fisica: principalmente, infatti, gli studenti praticavano attività sportiva
per socializzare e non per mantenersi sani e in forma come penserebbero
gli istruttori di educazione fisica.
■ Il consumo di alcool a pranzo era moderato dalle conseguenze percepite
dell’atto, come il costo e la difficoltà di concentrazione pomeridiana, e non
dalla deferenza nei confronti di referenti sociali come gli insegnanti.
■ Uno degli studi riguardanti Mars ha evidenziato interessanti motivi che
spingono al consumo della barretta. I maschi erano attratti dalla conve-
nienza del prodotto e dal fatto che spegneva la fame, mentre le femmine
adducevano il gusto come motivazione del consumo (o del non consumo)
di Mars, asserendo di essere preoccupate dalla possibilità di danneggiare i
denti. La Tabella 6.3 illustra i dati relativi a questo studio.
■ Sia per gli studenti maschi che per le femmine, l’intenzione di sposarsi
entro cinque anni è risultata influenzata più da Ab che da SN, con una mar-
cata somiglianza di vedute tra donne e uomini sul matrimonio in giovane
età. L’unica differenza risiedeva nel fatto che le donne, molto probabilmen-
te a ragione, ritenevano che sposandosi entro cinque anni avrebbero potu-
to guadagnare di meno e avrebbero visto ridursi le proprie prospettive di
carriera.

Tabella 6.3 Aspettativa-valore delle conseguenze associate all’intenzione


di acquistare barrette di Mars

Fattore Uomini Donne


Approfittare della convenienza 0,9* 0,2
Avere meno fame 0,8* 0,2
Gustarselo 0,6 0,7*
Soffrire di carie 0,4 0,7*
Avere brufoli –0,4 0,4
Ingrassare 0,5 0,4
*Significativo per p < 0,05

Cap6.p65 187 15/01/2003, 16.20


188 Capitolo 6

Esercizio 6.1
Ricerca fatta da gr
Ricerca uppi di studenti
gruppi
1. Scegli un’azione oggetto di interesse diffuso. Deve trattarsi di un’azione
individuale e volontaria, come, ad esempio, guardare un programma TV,
utilizzare posta prioritaria, indossare un cartellino di riconoscimento per
donatori di organi, acquistare un’auto di seconda mano, andare regolar-
mente dal dentista, leggere regolarmente un quotidiano o giocare al Supe-
renalotto. Specifica adeguatamente l’azione in termini di target, azione, con-
testo e tempo. Evita le azioni compiute da pochissime persone o da quasi
nessuno: molto probabilmente si tratta di azioni involontarie.
2. Scegli il gruppo target. Spesso si tratterà di altri studenti, perché sono più
accessibili. In tal caso, però, i risultati saranno meno generalizzabili.
3. Individua, attraverso indagini esplorative all’interno di un campione del
gruppo target le credenze comportamentali, normative e di controllo rela-
tive all’azione. Ogni membro del gruppo di ricerca dovrebbe individuare
uno o due insiemi di credenze salienti, da ridurre progressivamente sino a
formare una lista accettata da tutti. La relativa procedura è descritta nel-
l’Esercizio 5.2.
4. Elabora un questionario sul comportamento pianificato.
5. Stampa delle copie del questionario. Ogni membro della classe deve farle
compilare ai componenti del gruppo target. Quaranta intervistati sono in
genere sufficienti per testare la teoria, ma un numero superiore migliora
l’affidabilità dei risultati.
6. Per analizzare i dati utilizza un software come SPSS o SAS. Il prodotto di -
3 * –3 è molto diverso dal prodotto di 1 * 1; inoltre, la graduazione della
scala influenza le correlazioni con altre variabili (Bagozzi, 1984). Ajzen (1991)
raccomanda di aggiungere una costante arbitraria a ogni variabile per otte-
nere la massima correlazione possibile tra le variabili di sommatoria e quelle
globali. In realtà la procedura incrementa l’errore casuale, ed è per altri
versi preferibile restringere la scelta da –3 a +3 e da 1 a 7. Per farlo, testa la
correlazione tra le variabili sommatoria e le variabili globali, utilizzando le
alternative da 1 a 7 e da –3 a +3 per ognuna delle due scale utilizzate nella
costruzione delle variabili del prodotto (in tutto sono 4 combinazioni), quindi
utilizza la combinazione che fornisce la correlazione più elevata. La valuta-
zione è in genere un costrutto bipolare, mentre la motivazione a eseguire è
monopolare, ma non c’è alcuna base teorica che ci permetta di prevedere
quale sia lo scaling ottimale. Il contributo di East (1993) contiene una detta-
gliata descrizione del processo di graduazione ottimale.
7. Esamina le tue analisi e rispondi alle seguenti domande:
(a) A che cosa è maggiormente correlata l’azione: ad Ab, SN o PC?
(b) Ab, SN e PC sono correlate con le variabili sommatoria corrispondenti?

Cap6.p65 188 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 189

(c) Quali sono i fattori specifici che hanno maggior correlazione con l’inten-
zione?
(d) Ci sono fattori specifici che potrebbero essere usati in un campagna
pubblicitaria? Se sì quali?
(e) Quali sono i difetti di questo studio e dell’analisi condotta?
8. Scrivi una breve relazione sulla ricerca svolta.

Alcuni pr oblemi irrisolti r


problemi elativi
relativi
alla teoria del comportamento pianificato
La teoria del comportamento pianificato si è rivelata molto efficace nel preve-
dere una vasta gamma di comportamenti, ma sono emersi anche molti pro-
blemi. Prenderemo ora in considerazione i seguenti interrogativi:
■ Qual è il modo migliore per determinare le credenze salienti?
■ Perché le correlazioni tra le variabili sommatoria e quelle globali sono basse?
■ Quanto differiscono tra loro i comportamenti intenzionali e quelli spontanei?
■ Si possono spiegare gli effetti dell’esperienza passata che si manifestano al
di fuori delle variabili della teoria?
■ In che modo l’esperienza passata influenza Ab, SN e PC?

Qual è il modo miglior


miglioree
per determinar
determinaree le credenze salienti?
credenze
I metodi per l’individuazione delle credenze e dei referenti sono in buona mi-
sura ad hoc e l’utilizzo di credenze salienti implica, inevitabilmente, che alcuni
intervistati debbano rispondere a domande che non ritengono salienti. Co-
munque, qualsiasi vaghezza nella misurazione va a detrimento della teoria
nelle sue applicazioni empiriche; se la teoria funziona utilizzando questi me-
todi, i problemi non sono eccessivamente gravi.
Kristiansen (1987) ha illustrato le differenze di salienza all’interno di un
gruppo, dimostrando che i fumatori e i non fumatori hanno credenze salienti
diverse. Analogamente, Petkova, Ajzen e Driver (1995) hanno scoperto che le
credenze salienti di coloro che si dichiarano favorevoli all’aborto sono diverse
da quelle di coloro che si dichiarano invece favorevoli alla vita. In generale, gli
utilizzatori di un prodotto hanno un maggior numero di credenze salienti ri-
spetto ai non utilizzatori, e il fenomeno complica ancor di più un eventuale
confronto tra i due gruppi.
Di recente è emerso un nuovo tipo di approccio, che prevede l’associazione
tra salienza e accessibilità (se ne è discusso nel Capitolo 5). Ajzen, Nichols e

Cap6.p65 189 15/01/2003, 16.20


190 Capitolo 6

Driver (1995) hanno misurato l’accessibilità tramite il ritardo nella reazione,


scoprendo che le credenze elicitate più velocemente risultavano più accessibili
e avevano correlazioni maggiori con le variabili globali.
Da un punto di vista pratico, è necessario stabilire dei criteri di esclusione
da applicare nella scelta delle credenze salienti nell’ambito delle ricerche sul
comportamento pianificato. Gli item non salienti occupano tempo e spazio
nel questionario e indeboliscono le correlazioni con le variabili globali; d’altra
parte, l’esclusione di certi item dal questionario viene spesso fatta in base alla
frequenza di citazione delle credenze, metodo non perfettamente adeguato a
testare la salienza. Le credenze non salienti possono anche essere escluse nel-
lo stadio di analisi: questo modo di procedere può essere accusato di capitaliz-
zare sul caso, ma effetti di questo tipo sembrano ridotti, perciò mi sento di
consigliare vivamente l’uso di questa tecnica. In uno studio condotto sulla
National Lottery erano incluse credenze relative alla dipendenza dalle scom-
messe, ai problemi sociali conseguenti a forti vincite e alla delusione susse-
guente a una mancata vincita; questi elementi erano stati generati per elicita-
zione, ma nessuno di essi era connesso in modo significativo né ad Ab né al-
l’intenzione; se, inoltre, li si escludeva, la correlazione tra Σbiei e Ab aumentava.

Pe rché le corr
rché elazioni tr
correlazioni a le variabili
tra
di sommatoria e quelle globali
sono basse?
Ajzen (1991) ha osservato che le correlazioni tra le variabili sommatoria e quelle
globali (in genere pari a circa 0,5) sono modeste, se si considera che dovrebbe-
ro determinarsi l’un l’altra. Sono state proposte molte spiegazioni per tale fe-
nomeno: una di queste tiene conto del fatto che gli individui non presentano
tutti le medesime credenze salienti contenute nella lista, per cui le correlazio-
ni tendono a essere maggiori se si eliminano dall’analisi le credenze più debo-
li. Calcolando la variabile di sommatoria solo in base alle credenze salienti indi-
viduali, il valore delle correlazioni aumenta (Elliott, Jobber e Sharp, 1995), ma
le differenze ottenute con questo metodo non sono rilevanti e, in ogni caso, si
tratta di un espediente che in molte ricerche non è praticabile. East (1996) ha
ipotizzato che anche la lista delle credenze salienti individuali costituisca un
insieme sovradimensionato di cause dell’intenzione e dell’azione e che le per-
sone, in pratica, basino le proprie decisioni solo su una o due credenze.
Secondo un’altra prospettiva (Ajzen e Driver, 1992), le variabili globali come
AB sarebbero composte da due o più sottovariabili: ciò implica che si otterreb-
bero correlazioni migliori suddividendo la variabile globale nelle sue singole
componenti e associando queste ultime ai corrispondenti sottoinsiemi di cre-
denze. Ajzen e Driver hanno tracciato una linea di separazione tra le conse-
guenze più propriamente affettive di alcune azioni, come ad esempio la sen-
sazione di rilassamento che si prova dopo aver svolto attività fisica, e le conse-
guenze propriamente strumentali, come il fatto di essere più in forma. East

Cap6.p65 190 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 191

(1993) ha utilizzato la stessa suddivisione, applicandola però alle conseguen-


ze a breve e a lungo termine dell’azione. Ajzen e Driver (1992) hanno dimo-
strato che questa suddivisione dei concetti permette di aumentare la correla-
zione, ma la procedura complica la teoria. Nell’ambito del concetto di PC si
può distinguere tra opportunità e capacità, ossia tra il controllo attribuito al-
l’ambiente e quello attribuito alle abilità dell’individuo. Dato che è necessario
valutare sia il controllo esterno sia quello interno, è possibile che la misurazio-
ne del PC eseguita con gli strumenti usuali sia effettivamente inadeguata.
Alcuni studiosi (Burnkrant e Page, 1988; Miniard e Cohen, 1979, 1981, 1983;
Oliver e Bearden, 1985; Shimp e Kavas, 1984) hanno elaborato ridefinizioni
più radicali degli elementi della teoria dell’azione ragionata. Le loro ipotesi
sono fondate sull’analisi empirica, ma sussiste la possibilità che ciò che è vali-
do per il comportamento studiato non lo sia per altri. La teoria consiste in un
insieme di costrutti che condividono un medesimo senso concettuale: non si
dovrebbe abbandonare questa coerenza, salvo che non emergano risultati con-
vincenti all’interno di campi di applicazione sufficientemente ampi e diversi-
ficati.

L’azione intenzionale
e l’azione spontanea
Fazio (1990) ha pubblicato un’analisi molto interessante, in cui suddivide la
previsione del comportamento in due settori, uno strutturato in gran parte in
base al lavoro di Fishbein e Ajzen, in cui vengono modellati i processi decisio-
nali intenzionali, l’altro organizzato da Fazio (1986) e dai suoi successori, la
cui ricerca abbiamo introdotto nel Capitolo 5. Fazio descrive il comportamen-
to prodotto spontaneamente con l’attivazione dei corrispondenti atteggiamenti.
La Figura 6.5 riproduce il modello di Fazio.
Nel suo studio, gli atteggiamenti vengono attivati automaticamente dal-
l’osservazione dell’oggetto dell’atteggiamento. Essi guidano poi la percezio-
ne, e l’individuo diventa cosciente degli elementi dell’ambiente a esso corre-
lati. La definizione dell’evento avviene correlando tali percezioni a una com-
prensione normativa della situazione e, in seguito a questa definizione del-
l’evento, può verificarsi il comportamento.

Figura 6.5 Diagramma di Fazio (1986) del processo attitudine-comportamento

Cap6.p65 191 15/01/2003, 16.20


192 Capitolo 6

Non tutti gli oggetti attivano degli atteggiamenti. Fazio sostiene che ciò si
verifica solo se l’oggetto e la valutazione che lo riguarda hanno uno spazio
consolidato nella memoria, derivato in genere da un’esperienza diretta. La
produzione spontanea del comportamento è dunque limitata a contesti fami-
liari, mentre le situazioni più inusuali possono trovare spiegazione solo nel
comportamento pianificato. Questa comoda divisione dei comportamenti è
stata però invalidata dai dati raccolti da Bargh et al. (1992) e riportati nel Capi-
tolo 5, che dimostrano l’esistenza di una vasta gamma di oggetti in grado di
suscitare degli atteggiamenti; ciò fa sorgere dei dubbi sulla possibilità di con-
siderare l’attivazione automatica come criterio distintivo tra il controllo inten-
zionale e quello automatico del comportamento.
In realtà, spesso le due spiegazioni si applicano agli stessi fenomeni. La
motivazione legata al comportamento pianificato può riguardare anche com-
portamenti quasi automatici o abituali, perché le persone hanno, in retrospet-
tiva, delle motivazioni per comportarsi in un certo modo che possono elencare
nel rispondere a un questionario. Fazio (1990) ha dimostrato che gli oggetti
che innescano delle atteggiamenti possono modificare le risposte negli studi
sul comportamento intenzionale; Baldwin e Homes (1987) hanno poi dimo-
strato che emergono cause sistematicamente diverse se si visualizzano diversi
referenti sociali prima della risposta. Gli studi citati dimostrano l’effetto dei
processi automatici, che intervengono quando le persone si accingono a forni-
re risposte ponderate.

Il ruolo dell’esperienza
ruolo
nella pr e visione dell’intenzione
pre
L’esperienza passata, contribuendo alla formazione di Ab, SN e PC, è un ele-
mento rilevante nella previsione dell’intenzione. Sebbene Ab, SN e PC la pre-
dicano in modo abbastanza preciso, aggiungendo l’esperienza passata all’analisi
di regressione, i valori di R2 adattati crescono in modo significativo, legitti-
mando l’ipotesi, che Ab, SN e PC catturino solo parzialmente l’influsso del-
l’esperienza. Diventa perciò necessario spiegare l’impatto supplementare del-
l’esperienza passata sull’intenzione: a tal proposito esistono quattro diverse
spiegazioni.
1. Se Ab, SN e PC non sono sufficienti, si può utilizzare l’esperienza come
misura supplementare. Una misura risulta insufficiente se individua solo
parzialmente la variabile che dovrebbe misurare; l’inefficienza si può ridur-
re utilizzando scale multiitem: possiamo quindi testare quest’ipotesi esa-
minando l’effetto dell’esperienza passata prima e dopo i miglioramenti
apportati alla misura delle credenze comnportamentali, normative e di con-
trollo. Una riduzione nell’incremento dell’R2 in seguito all’inserimento del-
l’esperienza nel modello indica che essa è una misura supplementare di Ab,
SN e PC.

Cap6.p65 192 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 193

Si possono migliorare le misure globali includendo nelle regressioni che


prevedono l’intenzione le variabili sommatoria oltre alle variabili globali.
Una media dei risultati relativi a 11 studi ha dimostrato una leggera dimi-
nuzione nell’incremento di R2 da 0,08 a 0,06 in corrispondenza del raddop-
pio delle misure di Ab, SN e PC e dell’inserimento dell’esperienza passata
nel modello. Con l’aggiunta di quest’ultima al modello, dunque, l’errore di
misurazione risulta ricoprire un ruolo secondario nel miglioramento della
previsione dell’intenzione.
2. L’effetto eccedente dell’esperienza passata potrebbe indicare che la teoria
difetta di un’ulteriore variabile, affine a Ab, SN e PC. Il candidato più vero-
simile è abitualmente la norma morale, che però apporta miglioramenti
solitamente minimi (vedi, ad esempio, Parker, Manstead e Stradling, 1995).
3. L’effetto potrebbe essere indicativo di un apprendimento inconscio che non
si riflette in nessuna delle misure di Ab, SN e PC; esso potrebbe influenzare
l’intenzione, pur apparendo meno complesso delle variabili globali. Fazio
(1986; 1990) ha dimostrato che gli atteggiamenti acquisiti attraverso l’espe-
rienza sono più facilmente accessibili: ciò fa pensare che le connessioni tra
variabili globali, intenzione e comportamento siano più forti tra gli indivi-
dui con maggiore esperienza del processo d’acquisto.
4. Può essere possibile ampliare la teoria affinché riesca a spiegare un mag-
gior numero di fenomeni. Tra gli studiosi che si sono impegnati su questo
territorio troviamo Bagozzi e Warshaw (1990) e Bagozzi (1992); vedi anche
Bagozzi e Kimmel (1995). Le teorie elaborate sono più complesse rispetto a
quella del comportamento pianificato, ed è quindi necessario porre sul piatto
della bilancia sia i vantaggi che gli svantaggi derivanti dal maggior numero
di mezzi impiegati.

Lo sviluppo di Ab , SN e PC
Le persone si trovano a disporre di una sempre maggiore quantità di informa-
zioni man mano che acquisiscono esperienza; di pari passo cambia la base
affettivo-cognitiva delle loro azioni prospettiche. La situazione descritta è di
particolare rilievo nello studio del comportamento del consumatore. Il consu-
matore che si avventura per la prima volta in un mercato sconosciuto si com-
porta in modo tipicamente ingenuo, ma la ripetizione dell’acquisto lo fa dive-
nire progressivamente più esperto. Talvolta, nel caso di prodotti davvero inno-
vativi, tutti i consumatori rientrano nel settore “ingenui” fino a quando l’espe-
rienza cumulata provoca un aumento delle conoscenze sul prodotto. Dal pun-
to di vista del comportamento pianificato, l’acquisizione di esperienza è espres-
sa sotto forma di cambiamenti nelle credenze sottostanti a Ab, SN e PC. Quando
questi mutamenti sono di segno positivo, l’intenzione ne risulta incrementata;
se l’esperienza è negativa, l’intenzione diminuirà e con essa anche la possibi-
lità di ulteriori tentativi. Conseguentemente, nelle condizioni volontarie che
caratterizzano gran parte del comportamento del consumatore, sarà lecito at-

Cap6.p65 193 15/01/2003, 16.20


194 Capitolo 6

tendersi che i clienti più esperti presentino intenzioni d’acquisto più forti, dato
che sono state proprio le loro forti intenzioni a stimolare quel comportamento
che li ha resi più esperti.
Quando l’intenzione cambia, si devono manifestare corrispondenti varia-
zioni di Ab, SN e PC. Ciò può verificarsi quando aumenta il numero di creden-
ze sottese dalle variabili globali e si rafforza il loro legame con il comporta-
mento. Se l’esperienza induce una maggiore complessità della base di creden-
ze sottostanti al comportamento pianificato, potremmo chiederci se essa sor-
tisca lo stesso effetto anche su Ab, SN e PC. East (1992) ha ipotizzato che il
passaggio progressivo da consumatore ingenuo a consumatore esperto si tra-
duca nello spostamento da un comportamento principalmente basato su SN
ad azioni maggiormente fondate su Ab e PC. Questa ipotesi si basa sull’idea
che, in assenza di conoscenze dettagliate, le persone debbano decidere in base
a idee semplici o a processi euristici, e “ciò che gli altri ritengono dovrei fare” è
maggiormente conosciuto o più facilmente deducibile rispetto a considerazio-
ni relative ai benefici e alle opportunità connesse a una prospettiva di cui si è
ignari. I consumatori più informati derivano la propria conoscenza dai mass
media e dai suggerimenti altrui, ma spesso anche dalla diretta esperienza con
il prodotto. Chi ha maggiore familiarità nei confronti di un’azione sarà quindi
in possesso di più informazioni sui costi e benefici che la caratterizzano e sui
fattori di controllo che la influenzano, e sarà conseguentemente in grado di
utilizzare tali informazioni all’interno del proprio processo decisionale.
East (1992) ha individuato e analizzato tre studi minori. Queste ricerche
supportano l’ipotesi secondo cui l’esperienza sposterebbe la base della deci-
sione d’acquisto dalla norma soggettiva alla componente di atteggiamento.
Due degli studi esaminati sono inediti e realizzati nel contesto della teoria
dell’azione ragionata. In un caso si è riscontrato come il primo acquisto di un
personal computer fosse basato principalmente sulla norma soggettiva; in
questo studio manca il confronto con acquirenti di computer esperti, ma sa-
rebbe strano se un prodotto come questo, così ricco di credenze comporta-
mentali, fosse oggetto di un acquisto condotto su base normativa da parte di
consumatori esperti. Il secondo studio, il già citato lavoro di East, Whittacker e
Swift (1984), metteva a confronto in due gruppi di individui l’intenzione di
guardare o meno il programma televisivo Breakfast TV, programma non anco-
ra trasmesso in Gran Bretagna al tempo della ricerca. Uno dei due gruppi (quello
dei consumatori non esperti) non era esposto ad alcuna informazione sul ser-
vizio: in questo caso SN costituiva il principale determinante dell’intenzione.
Il secondo gruppo (esperti) aveva invece avuto la possibilità di accedere a spez-
zoni e dettagli della Breakfast TV americana e australiana. Il secondo gruppo,
in cui il determinante principale dell’intenzione è risultato essere Ab, ha altresì
esibito una migliore capacità di previsione delle intenzioni di visione. Il terzo
studio, condotto da Knox e de Chernatony (1994), aveva rilevato che i non
utilizzatori di acqua minerale erano molto più influenzati dalla norma sogget-
tiva rispetto ai consumatori abituali. In genere, in questi studi non si fa riferi-
mento alla relazione tra l’esperienza e le variabili della teoria del comporta-

Cap6.p65 194 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 195

mento pianificato, ma Beale e Manstead (1991) hanno trovato una correlazio-


ne positiva tra esperienza e PC.
East (1992) ha verificato l’ipotesi utilizzando due studi sulla richiesta di
azioni nell’ambito di processi di privatizzazione posti in essere dal governo
britannico; prima che questi studi fossero intrapresi erano già state avviate
molte privatizzazioni, quindi tra i potenziali sottoscrittori il grado di cono-
scenza del fenomeno e delle modalità di gestione delle azioni era molto vario.
East ha confrontato gli utenti esperti nell’acquisto di questo tipo di azioni con
i non esperti, ma i risultati si sono rivelati ambigui ed è emersa la necessità di
acquisire di un maggior numero di studi per testare in modo efficace l’ipotesi.
A oggi sono stati condotti 10 ulteriori studi e vengono previsti due nuovi ef-
fetti (correlati):
1. La misura dell’esperienza passata sarebbe correlata in misura maggiore ad
Ab e PC rispetto a SN.
2. Se si aggiunge la misura dell’esperienza passata all’analisi di regressione
per la previsione dell’intenzione, la riduzione dei coefficienti di regressioni
standardizzati (b) relativi a PC e Ab sarà maggiore in valore assoluto rispet-
to alla corrispondente riduzione dei b di SN. Ciò dovrebbe verificarsi per-
ché SN è relativamente immune all’influenza dell’esperienza.
La Tabella 6.4 mostra le correlazioni con l’esperienza passata riscontrate in 10
studi. In 9 casi su 10 la correlazione dell’esperienza passata con AB è risultata
maggiore rispetto alla correlazione con SN; analogamente, in 9 casi su 10 la
correlazione con PC era superiore a quella con SN. Questi dati sostengono il
primo effetto previsto.
Anche il secondo effetto ha trovato conferma. Dal lavoro esaminato si de-
duce che i soggetti esperti utilizzano meno SN e fanno maggiore ricorso a AB

Tabella 6.4 Correlazioni con l’esperienza passata

Comportamento Attitudine Norma soggettiva Controllo


comportamentale
percepito
Prenotazioni azioni della BT 0,34 0.25 0,31
Ricerca di risarcimento 1 0,43 0,08 0,26
Ricerca di risarcimento 2 0,20 0,21 0,37
Andare a teatro 0,41 0,35 0,38
Lamentarsi al ristorante 0,36 0,03 0,41
Andare in pensione 0,31 0,24 0,43
Giocare alla National Lottery 1 0,66 0,41 0,16
Ricerca di risarcimento 3 0,24 0,16 0,54
Ricerca di risarcimento 4 0,05 0,03 0,17
Giocare alla National Lottery 2 0,56 0,27 0,38
Media (non adattata) 0,36 0,20 0,34

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196 Capitolo 6

e PC nel proprio processo decisionale; tutto ciò è molto importante nel marke-
ting, in quanto suggerisce la necessità di promuovere un prodotto in modo
differenziato, in funzione del grado di esperienza del gruppo target. Il richia-
mo ai referenti sociali dovrebbe essere utilizzato solo se il target di acquirenti
è costituito da consumatori poco esperti e, man mano che il prodotto si evolve
verso la maturità, spostare l’enfasi sui fattori che influenzano Ab e PC.

Riepilogo della teoria


del comportamento pianificato
La teoria del comportamento pianificato, nel suo sviluppo storico, rappresen-
ta un caso di successo. Gli psicologi sociali sono usciti dal tunnel del 1969,
anno in cui Wicker affermò che la connessione tra atteggiamento e comporta-
mento era minima o addirittura inesistente. Oggi disponiamo di un modello
per la previsione e la spiegazione che funziona in modo efficiente, pur per-
mangono dei punti irrisolti che ho cercato, in questa sede, di esporre.
È utile, inoltre, considerare la teoria nel complesso, come insieme di idee
unite in una forma coerente. A tal proposito ci si potrebbe chiedere, tra l’altro,
se la teoria descriva componenti riconoscibili del nostro pensiero. A mio pare-
re, gran parte del fascino della teoria è proprio riconducibile al fatto che le
variabili globali sono aspetti intuitivi della nostra coscienza, e la distinzione
tra le propensioni guidate dall’interno (SN) e quelle guidate dalle reazioni
dell’ambiente (Ab) è facilmente riconoscibile. Analogamente, nel corso delle
nostre azioni tendiamo sempre a prendere in considerazione le opzioni dispo-
nibili nelle diverse circostanze, e ciò rende PC un fattore facilmente identifica-
bile all’interno del processo di scelta.
Le variabili sommatoria presentate nella teoria hanno corrispondenti meno
chiari nella nostra coscienza. Non utilizziamo infatti in modo consapevole l’arit-
metica cognitiva implicita nelle misure sommatoria, ma non a caso i fautori
dell’azione ragionata e del comportamento pianificato non ne fanno menzio-
ne; essi ipotizzano invece che l’aritmetica riassuma gli effetti delle diverse cre-
denze, sollevando così un quesito: quali sono i meccanismi che connettono le
credenze e le variabili globali? Potremmo aver sviluppato i nostri atteggia-
menti e le nostre norme soggettive da una serie di esperienze di apprendi-
mento in cui le credenze diventano sempre più connesse tra loro; oppure po-
tremmo semplicemente “vedere” le relazioni e modificare gli atteggiamenti alla
luce di considerazioni razionali. Ajzen e Fishbein (1980) si orientano verso la
seconda modalità:
In generale, la teoria muove dal presupposto che gli esseri umani siano
abbastanza razionali e facciano un uso sistematico delle informazioni a loro
disposizione…Noi riteniamo che le persone prendano in considerazione le
implicazioni delle proprie azioni prima di decidere di adottare o meno un de-
terminato comportamento.

Cap6.p65 196 15/01/2003, 16.20


L’azione: come prevederla e come spiegarla 197

Nello sforzo di analisi che è alla base di questo lavoro è risultata evidente la
necessità di ulteriori ricerche sperimentali sugli effetti dinamici delle nuove
informazioni sulle componenti del modello. Alcuni lavori si sono occupati del-
l’impatto dell’informazione, ma le prime analisi dimostrano che i cambiamen-
ti non sembrano discendere a cascata attraverso le componenti del modello in
modo lineare e prevedibile. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le nuove
informazioni nuove devono essere ripetute per rinforzarne il radicamento e
quindi superare le strutture di memoria consolidate; quest’ipotesi enfatizza
l’esistenza di un processo di apprendimento, ed è connessa all’opera di Fazio.
E’ infine necessario un uso più efficace della teoria nel campo del marke-
ting. Si potrebbe utilizzarla per studiare le attività degli operatori di marke-
ting, per scoprire perché scelgano di fare uso o di evitare determinate pratiche
commerciali (ad esempio Elliott, Jobber e Sharp, 1995), applicandosi a una
moltitudine di azioni relative ai consumatori. L’utilità della teoria è peraltro
limitata quando è chiamata a spiegare la preferenza per una marca rispetto a
un’altra; ciò è in parte dovuto al fatto che è più facile applicare il modello al
fare A o al non fare A, rispetto alla scelta tra A e B; le minime differenze esi-
stenti tra molte marche sono alla base del fatto che non è facile studiare scelte
di questo genere usando una teoria che si concentra sulle motivazioni anziché
sulle abitudini. L’acquisto discrezionale di particolari tipi di prodotto e le scel-
te fra sottocategorie fra loro distintive (come, ad esempio, le vacanze in luoghi
particolari) sono emerse quali applicazioni adeguate.
I ricercatori di mercato fanno largo uso di ricerche qualitative; la teoria del
comportamento pianificato prende le mosse dall’identificazione delle creden-
ze salienti, una procedura qualitativa, ma procede assegnando un’importanza
relativa ai diversi fattori estrapolati. I ricercatori usano anche tecniche quali il
multidimensional scaling per il posizionamento, e la conjoint analysis nel pro-
cesso di sviluppo di un nuovo prodotto. La ricerca basata sulla teoria del com-
portamento pianificato non sostituisce queste tecniche, ma presenta dei van-
taggi che esse non possiedono. In particolare, il processo di identificazione dei
fattori causali è molto più ampio ed esaustivo, e grazie a esso i fattori che
controllano il comportamento, in particolare fattori normativi e di controllo,
non vengono trascurati come accade invece accadere ricorrendo ad altre tec-
niche.

Sommario
Due teorie hanno contribuito a spiegare la relazione tra credenze, atteggia-
menti, intenzioni e comportamento: la teoria dell’azione ragionata (Ajzen e
Fishbein, 1980) e la teoria del comportamento pianificato (Ajzen; 1985; 1988;
1991). La teoria dell’azione ragionata ha come obiettivo la previsione dell’in-
tenzione ad agire (tramite il ricorso all’atteggiamento nei confronti dell’azio-
ne e alla norma soggettiva); l’intenzione è legata al comportamento reale, ma
è in parte influenzata da fattori contingenti che non rientrano nei poteri della

Cap6.p65 197 15/01/2003, 16.20


198 Capitolo 6

persona che compie l’azione. La teoria del comportamento pianificato si con-


centra sul comportamento, e utilizza il controllo comportamentale percepito
come parametro addizionale per la previsione dell’intenzione e, separatamen-
te, del comportamento, dato che un giudizio sul proprio grado di controllo
percepito personale include parte del controllo reale effettivamente esercitato
sul comportamento.
Le teorie forniscono differenti livelli di spiegazione del comportamento. A
livello pratico, facilitano l’identificazione di un numero limitato di specifici
fattori particolarmente correlati al comportamento.
Gran parte della ricerca sul comportamento pianificato ha testato il model-
lo in un contesto statico; solo un numero limitato di studi ha preso in conside-
razione gli effetti delle variazioni che intercorrono nelle credenze specifiche. I
risultati non sono uniformi; gli effetti, pur manifestandosi in generale nella
direzione prevista, sono quasi sempre deboli.
Permangono dei problemi nella selezione delle credenze salienti da inseri-
re nel questionario, i bassi valori di correlazione tra le variabili sommatoria e
le variabili globali, e la linea di demarcazione tra azione intenzionale e azione
spontanea.
Le misure del comportamento passato forniscono stime dell’intenzione e
del comportamento che si aggiungono a quelle derivate dall’atteggiamento
nei confronti del comportamento (AB), dalla norma soggettiva (SN) e dal con-
trollo comportamentale percepito (PC). Questa capacità predittiva “ad-
dizionale” non è spiegabile come una semplice deficienza nella misurazione
delle variabili globali, o come la conseguenza dell’omissione della norma mo-
rale dai modelli testati; esistono, infatti, processi di apprendimento automatici
che possono produrre tale effetto. Sono stati infine citati alcuni lavori, indica-
tivi del fatto che le persone più esperte basano in maggior misura le proprie
decisioni su AB e PC rispetto a SN.

Approfondimenti
Approfondimenti
Madden, T.J., Ellen, P.S. e Ajzen, I. (1992) A comparison of the theory of plan-
ned behavior and the theory of reasoned action, Personality and Social Psycho-
logy Bulletin, 18: 1, 3-9:
Ajzen, I. (1991) The theory of planned behavior. In Locke, E.A. (ed.) Organiza-
tional Behavior and Human Decision Processes, 50, 179-211.

Cap6.p65 198 15/01/2003, 16.20

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