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Sommario: I. Nozione di addebito - II. Effetti sui regimi patrimoniali - III. Effetti di diritto
ereditario - IV. Obbligo di mantenimento - V. La casa familiare - VI. Attribuzioni economiche
alternative all'assegno - VII. Criteri di determinazione della misura del mantenimento - VIII.
La tutela - IX. Gli alimenti - X. Revoca o modifica dei provvedimenti - XI. Concorso con
l'azione di responsabilità extracontrattuale

…omissis….

IV. Obbligo di mantenimento

Al coniuge cui non sia addebitata la separazione spetta da parte dell'altro coniuge un assegno di
mantenimento, qualora il primo non abbia adeguati redditi propri e sia privo di una capacità
lavorativa.

Considerata la sua natura, esso non rientra tra i crediti alimentari per i quali, ai sensi delle norme
di cui agli artt. 1246, 1° co., n. 5, e 447 c.c., non opera la compensazione legale (C. civ., Sez. III,
19.7.1996, n. 6519). A tal proposito, però, si segnala la recente C. civ., Sez. VI - 3, Ord., 14.5.2018,
n. 11689, nella quale si afferma come il carattere sostanzialmente alimentare dell'assegno di
mantenimento a beneficio dei figli, in regime di separazione, comporti la non operatività della
compensazione del suo importo con altri crediti. Sulla scorta di tale presupposto, la Suprema
Corte ha così escluso la compensazione tra credito per spese di lite e credito derivante dal
mancato pagamento di ratei dell'assegno di mantenimento cumulativamente dovuto per l'ex
coniuge e le figlie.

I presupposti per l'ottenimento di tale assegno sono due: che uno dei coniugi non abbia adeguati
redditi propri, tali da consentirgli di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio
e che a questi non sia addebitata della separazione. Come si afferma in giurisprudenza, nella
separazione personale l'obbligo di assistenza materiale trova, di regola, attuazione nel
riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore del coniuge che versa in una posizione
economica deteriore e non è in grado, con i propri redditi di mantenere un tenore di vita analogo
a quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi in costanza di convivenza matrimoniale
(C. civ., Sez. I, 16.5.2017, n. 12196). La medesima posizione è riaffermata da C. civ., Sez. VI - 1, Ord.,
4.12.2017, n. 28938, che precisa come dalla separazione derivi solo la sospensione degli obblighi
di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione; per questa ragione, l'assegno di
mantenimento ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto
dell'assegno di divorzio.

Non costituisce, invece, presupposto la convivenza. Sicché l'assegno potrebbe essere dovuto
anche se i coniugi, successivamente al matrimonio non abbiano, deliberatamente, convissuto. La
mancata convivenza può, infatti, trovare ragione nelle più diverse situazioni o esigenze, e va
comunque intesa, in difetto di elementi che dimostrino il contrario, come espressione di una
scelta della coppia, di per sé non escludente la comunione spirituale e materiale, dalla quale non
possono farsi derivare effetti penalizzanti per uno dei coniugi ed alla quale comunque non può

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attribuirsi efficacia estintiva dei diritti e doveri di natura patrimoniale che nascono dal
matrimonio (C. civ., 22.9.2011, n. 19349).

È, invece, indifferente che al coniuge sul quale grava l'obbligo di mantenimento sia, o meno,
addebitata la separazione. In quanto tale assegno non ha la funzione di sanzionare il
comportamento colpevole del coniuge, ma una funzione meramente assistenziale ( C. civ., Sez.
VI - 1, Ord., 1.3.2017, n. 5251 ).

In genere, si esclude il diritto all'assegno se al coniuge possa essere assicurato il tenore di vita
coniugale da altri soggetti, quali un nuovo convivente more uxorio o altri parenti.

A tal proposito, è stato affermato che l'instaurazione da parte del coniuge separato di una
convivenza more uxorioche, caratterizzandosi per i connotati della stabilità, continuità e
regolarità, dia luogo alla formazione di una famiglia di fatto, rescindendo ogni connessione con
il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa
venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità a suo favore dell'assegno di
separazione (C. civ., Sez. VI-1, ord., 9.9.2015, n. 17856). A tal proposito, di recente, è stato precisato
che la nuova convivenza more uxorio può, sì, comportare la cessazione o l'interruzione
dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento che grava sull'altro (dovendosi
presumere che le disponibilità economiche di ciascuno dei conviventi siano messe in comune
nell'interesse del nuovo nucleo familiare); ciò non di meno, resta salva la facoltà del coniuge,
richiedente l'assegno, di provare che la convivenza di fatto non migliora le proprie condizioni
economiche, così permanendo una condizione di inadeguatezza reddituale (C. civ., Sez. I, 27.6.2018,
n. 16982).

La giurisprudenza, anche successivamente alla riforma del diritto di famiglia mantiene distinto il
mantenimento, quale prestazione per conservare il tenore di vita occorso durante il matrimonio,
e gli alimenti (C. civ., Sez. I, 23.4.1998, n. 4198).

Il diritto al mantenimento comprende tutto quanto occorre per un tenore di vita adeguato alla
posizione economica e sociale dei coniugi e va commisurato avendo riguardo al tipo di vita che i
coniugi osservavano in costanza di matrimonio e nei limiti dei bisogni che, secondo normalità, si
ricollegano alla posizione sociale della famiglia (C. civ., Sez. I, 20.11.1989, n. 4955; A. Roma,
18.7.2007).

Come precisa C. civ., 3.4.2015, n. 6864, nella determinazione dell'assegno di mantenimento deve
tenersi conto del tenore di vita "normalmente" godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia,
e, pertanto, colui al quale è riconosciuto il diritto a quell'assegno può chiedere, per tale titolo, le
somme necessarie ad integrare entrate sufficienti a soddisfare le sue esigenze di vita personale
in relazione al medesimo livello già raggiunto durante il matrimonio, dovendosi, peraltro,
escludere, di regola, importi che consentano atti di spreco o di inutile prodigalità del suo
destinatario.

Al contempo, nella valutazione comparativa delle situazioni dei coniugi in regime di


separazione, al fine non solo del riconoscimento, ma anche della quantificazione dell'assegno di

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mantenimento, il ricorso del giudice del merito a presunzioni semplici deve ritenersi consentito
e non configura, perciò, un'indebita sostituzione dell'iniziativa d'ufficio a quella della parte cui fa
carico l'onere della prova, tenuto conto che tale onere può essere assolto anche mediante la
prospettazione al giudice medesimo dell'esistenza di elementi presuntivi (C. civ., Sez. VI - 1, Ord.,
15.2.2018, n. 3709).

Peraltro, ai fini del riconoscimento e della determinazione dell'assegno di mantenimento, la


valutazione delle capacità economiche del coniuge obbligato deve essere operata sul reddito
netto e non già su quello lordo, poiché, in costanza di matrimonio, la famiglia fa affidamento sul
reddito netto, e ad esso rapporta ogni possibilità di spesa (C. civ., Sez. VI - 1, Ord., 31.5.2018, n.
13954).

In ogni caso, perché si possa imporre l'obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento, è


necessario appurare, per un verso, che il coniuge avente diritto non sia in grado concretamente
di procurarsi, con la propria attività, dei redditi e che il coniuge sul quale graverebbe l'obbligo
abbia redditi tali da consentirgli di sopportare questo onere economico. Non di meno,
l'attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo qualora venga riscontrata in termini di
effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in
considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni
astratte ed ipotetiche (C. civ., Sez. I, 13.1.2017, n. 789; nello stesso senso, C. civ., Sez. VI - 1, 9.3.2018,
n. 5817).

Di recente, la giurisprudenza di legittimità, ha anche osservato che l'obbligo di corrispondere gli


alimenti non può essere per l'onerato tale da impedirgli di conservare l'originario tenore di vita.
Aprendo, dunque, a istanze solidaristiche provenienti da diversi luoghi, la giurisprudenza
ammette che l'assegno di mantenimento, se per un verso, deve consentire all'onorato di
conservare il medesimo tenore di vita avuto in costanza del matrimonio, d'altro canto, deve
garantire la medesima condizione anche all'onerato. Il giudice deve, dunque, procedere ad
un'attendibile ricostruzione delle rispettive posizioni economiche e reddituali dei coniugi, nel
bilanciamento dei reciproci interessi, così da garantire il permanere del medesimo tenore di vita
attraverso la corresponsione del contributo economico (C. civ., 20.2.2013, n. 4178).

L'insufficienza del reddito rileva anche nel caso in cui un coniuge, pur avendo un'astratta capacità
lavorativa specifica, sia involontariamente disoccupato, ovvero impossibilitato a svolgere la
propria attività lavorativa per ragioni di incompatibilità legate con le esigenze familiari. Diverso,
invece, il caso in cui il coniuge, pur avendo un'astratta capacità lavorativa, non svolga
deliberatamente alcun lavoro ovvero non si prodighi per svolgerlo.

In tal caso dovrebbe escludersi, ove pure ricorressero gli altri presupposti, l'obbligo al
mantenimento, potendo divenire, altrimenti, uno strumento di coercizione e di pressione
psicologica esercitato dal coniuge beneficiario a danno di quello obbligato.

Perché un coniuge abbia diritto all'assegno di mantenimento debbono ricorrere le seguenti


circostanze: non addebitabilità della separazione; mancanza nel beneficiario di adeguati redditi,
tali da consentirgli di mantenere un tenore di vita equivalente a quello goduto in costanza di

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matrimonio; sussistenza di una disparità economica tra i due coniugi (C. civ., Sez. I, 28.4.1995, n.
4720; C. civ., Sez. I, 11.5.1987, n. 8153; A. Roma, 25.7.2007). A tal fine, la congruità dell'assegno di
mantenimento deve commisurarsi al contesto sociale in cui i coniugi hanno vissuto durante la
convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità dei bisogni emergenti del
soggetto richiedente lo stesso (C. civ., 23.10.2012, n. 18175).

Occorre, quindi, al fine di determinare la misura dell'assegno anche avere riguardo alle variazioni
in positivo che possa avere subito il reddito di uno dei coniugi e l'eventuale decremento del
reddito dell'altro, anche se verificatosi nelle more del giudizio di separazione (A. Roma, 19.9.2007).

Si noti, peraltro, che l'attitudine al lavoro dei coniugi, quale elemento di valutazione della loro
capacità di guadagno, può assumere rilievo, ai fini del riconoscimento e della liquidazione
dell'assegno di mantenimento, solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di
svolgimento di un'attività retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed
ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche. Nel caso di specie, la Suprema
corte ha confermato la sentenza impugnata che, nel quantificare l'assegno di mantenimento
riconosciuto alla moglie, aveva valutato il titolo di studio universitario e l'abilitazione
professionale da lei posseduti ma anche le sue presumibili difficoltà nell'inserimento nel mondo
del lavoro dovute all'età ed alla mancanza di precedenti esperienze professionali (C. civ., Sez. VI
- 1, Ord., 4.4.2016, n. 6427. Nello stesso senso, C. civ., Sez. VI - 1, Ord., 20.7.2017, n. 17971 ).

Il coniuge separato non può né cedere, né rinunziare al diritto al mantenimento, stante la sua
natura strettamente personale e indisponibile.

L'assegno di mantenimento deve tenere conto anche del mantenimento dei figli. La misura
dell'obbligo di mantenimento, nella parte disposta nell'interesse dei figli, è dovuta fin tanto che
costoro non abbiano raggiunto un'autosufficienza economica (C. civ., Sez. I, 17.11.2006, n. 24498).
Si noti, peraltro, che il contributo per il mantenimento del figlio minore è determinato in una
somma fissa mensile, in funzione delle esigenze rapportate all'anno, e, quindi, prescinde dalla
modalità di frequentazione e di soggiorno della prole presso ciascun genitore, anche nell'ipotesi
in cui sia stato disposto l'affidamento condiviso e, tuttavia, il figlio sia stato prevalentemente
collocato presso uno dei genitori o, comunque, sia stato disposto un assegno di mantenimento a
carico di un genitore (T. Padova, Sez. I, 26.7.2016).

Secondo la suprema Corte, peraltro, nella ipotesi in cui uno dei coniugi abbia chiesto un assegno
di mantenimento per i figli, la domanda, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di
espresse limitazioni, dalla data della sua proposizione e non da quella della sentenza. Alla parte
che ha richiesto la corresponsione di un tale assegno deve essere riconosciuta la facoltà di
chiedere un adeguamento del relativo ammontare, non costituendo tale richiesta una domanda
nuova (C. civ., 19.2.2015, n. 3348).

Da ultimo, secondo una pronuncia della Corte di Cassazione, alla riduzione dell'assegno di
mantenimento erogato da un genitore in favore dei figli non corrisponde, in automatico, un
innalzamento di quello versato al coniuge separato. Anche se alla diminuzione dell'importo del
mantenimento ai figli consegue un arricchimento del dante causa, al contempo gli altri aventi

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diritto non possono pretendere un incremento della propria quota. L'unica eccezione coincide
con l'ipotesi ove il coniuge, che reclama la maggiorazione, fornisca la prova di aver beneficiato di
un assegno, ridotto nell'importo, a causa di ulteriori oneri di mantenimento sopportati dall'ex (C.
civ., Sez. I, 9.8.2017, n. 19746).

Possono, invece, costituire oggetto di rinunzia le prestazioni assistenziali scadute (così, C. civ.,
7.3.1978, n. 1116).

Secondo un certo orientamento, sarebbero da considerare nulli gli accordi preventivi tra i coniugi,
con i quali i medesimi regolano i loro rapporti economici per il tempo in cui saranno separati o
divorziati. Secondo la giurisprudenza la ragione della nullità deve rintracciarsi nella limitazione
che essi determinerebbero al diritto di difesa (C. civ., 20.3.1998, n. 2955).

Secondo una dottrina (BIANCA, Diritto civile, II, La famiglia e le successioni, Milano, 2001, 203) tali
accordi sarebbero nulli sotto il profilo dell'indeterminatezza dell'oggetto, in quanto gli effetti
economici non potrebbero essere valutati ex ante, e cioè prima che vengano in essere i
presupposti del se e del quanto.

Tuttavia, si consideri che una recente sentenza ha reputato valido, escludendo che possa
considerarsi un patto prematrimoniale, l'accordo in forza del quale i coniugi avevano convenuto
che in caso di fallimento del matrimonio l'uno avrebbe dovuto cedere all'altro un suo immobile,
quale indennizzo delle spese sostenute da quest'ultimo per la ristrutturazione di altro immobile
da adibirsi a casa coniugale. Si tratta, secondo la Corte, di un contratto, atipico, meritevole di
tutela, nel quale il fallimento del matrimonio è assunto a mera condizione lecita del contratto (C.
civ., 21.12.2012, n. 23713).

Più in generale, è stato recentemente affermato che gli accordi con i quali i coniugi fissano, in
sede di separazione, il regime giuridico - patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio
sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di
radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall'art. 160 c.c. Pertanto, di
tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del
coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto è necessario per soddisfare le
esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente dette esigenze, per il rilievo che una
preventiva pattuizione - specie se allettante e condizionata alla non opposizione al divorzio -
potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del
matrimonio. La disposizione dell'art. 5, c. 8, L. 1.12.1970, n. 898 nel testo di cui alla L. 6.3.1987, n.
74 - a norma del quale, su accordo delle parti, la corresponsione dell'assegno divorzile può
avvenire in un'unica soluzione, ove ritenuta equa dal tribunale, senza che si possa, in tal caso,
proporre alcuna successiva domanda a contenuto economico - , non è applicabile al di fuori del
giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secundum ius, non
possono implicare rinuncia all'assegno di divorzio (C. civ., Sez. I, 30.1.2017, n. 2224).

Il coniuge non può rinunziare al diritto al mantenimento e, anche in caso di rinunzia, può sempre
far valere il proprio diritto (C. 173/1961).

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Secondo una recente pronuncia, il pagamento al coniuge o ex coniuge di assegni di mantenimento
in base a provvedimento dell'Autorità Giudiziaria non deve essere effettuato necessariamente
attraverso assegni, bonifico, bollettino postale o altre modalità formalizzate (Commiss. Trib. Prov.
Umbria Terni, Sez. I, 15.11.2016).

Si noti, infine, come una recente pronuncia di merito precisi come possa presentare domanda
di accesso al "fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno", istituito con la L. n.
208 del 2015 (art. 1, commi 414-416), il solo coniuge a favore del quale, a seguito della separazione,
è disposta l'erogazione dell'assegno di mantenimento, mentre una simile possibilità è esclusa se
sono i figli a percepire l'assegno, erogato a loro favore ai sensi dell'art. 337 ter, il quale prevede
che i genitori devono provvedere al loro mantenimento (T. Milano, Decreto, 13.4.2017).

Da ultimo, una recente sentenza ha precisato come la pronuncia, che renda esecutiva nello
Stato la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario tra le parti, successiva al
passaggio in giudicato della sentenza di separazione, faccia venir meno le statuizioni economiche
relative al rapporto tra i coniugi in essa previste. Infatti, a differenza di quanto avviene nel caso
di precedente passaggio in giudicato della sentenza di cessazione degli effetti civili del
matrimonio, le cui statuizioni in ordine all'assegno divorzile restano efficaci in forza del principio
di solidarietà post coniugale, la sentenza di separazione, che stabilisce il diritto al mantenimento
a favore del coniuge separato, trova il suo fondamento nella permanenza del vicolo coniugale e
nel dovere di assistenza materiale tra coniugi, sicché, venuto meno il vincolo matrimoniale, non
possono sopravvivere le statuizioni accessorie dal quale esse dipendono (C. civ., Sez. I, Ord.,
11.5.2018, n. 11553).

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