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In una prospettiva del tutto opposta a quella sin qui descritta, si inserisce
l’orientamento più recente della Suprema Corte, avvallato, altresì dalla Corte
Costituzionale.
La Suprema Corte osserva, infatti, che il parametro della durata legale del
matrimonio non costituisce l’esclusivo criterio di valutazione ai fini del
trattamento di reversibilità ma occorre prendere in considerazione anche altri dati
di riferimento che attengano alle condizioni economiche delle parti ed alla natura
assistenziale e solidale dell’assegno divorzile, di cui la quota della pensione di
reversibilità spettante al coniuge divorziato rappresenta la prosecuzione.
Con lo scioglimento del matrimonio a seguito di divorzio, infatti, sul piano
successorio i coniugi perdono ogni reciproco diritto. Tuttavia, la legge ha previsto
che l’ex coniuge superstite, già titolare dell’assegno, può vantare alcuni diritti in
occasione della morte dell’altro coniuge iure proprio.
In tale contesto, si inserisce l’assegno divorzile previsto dall’art.5 L.74/87, a cui
la giurisprudenza riconosce natura assistenziale e funzione solidaristica,
inquadrandolo, in tal modo, nell’obbligazione alimentare ex art.433 ss. cc.,
obbligo che permane anche a seguito del divorzio in forza del vincolo di affinità
sorto dal matrimonio.
Gli alimenti, infatti, sono posti a carico soltanto di certe persone e a favore di
certe altre; essi rappresentano un vincolo personale compreso nell’ambito della
famiglia, che, dunque, lega fra loro persone facenti parte del medesimo gruppo
familiare.
Il fondamento dell’obbligazione alimentare è da rinvenirsi nel cosiddetto “diritto
alla vita” di colui che versa in stato di indigenza; più in particolare, nella tutela
accordata dall’ordinamento giuridico a quei rapporti sociali ritenuti talmente saldi
da non consentire che uno dei soggetti di siffatti rapporti venga ridotto
all’indigenza quando l’altro si trovi, invece, in condizioni economiche da poter
alleviare, senza eccessivi sacrifici, lo stato di indigenza.
Quanto alle persone obbligate a prestare gli alimenti a favore di colui che versa in
stato di bisogno, il coniuge è al primo posto. Egli assolve a quella funzione di
sostentamento prevista per il coniuge economicamente più debole. Tale funzione
di sostegno assume significato anche nell’ambito dell’art.9 comma 3 come una
forma di proiezione, oltre la morte, del contegno assistenziale tenuto in vita dal de
cuius e persegue lo scopo di preservare il coniuge superstite dall’eventuale stato
di bisogno che potesse derivare dalla morte del coniuge.
Tale assunto ha ricevuto l’avvallo decisivo della Corte Costituzionale, con la
sentenza n. 419/99, in sede di verifica di legittimità costituzionale della norma di
cui all’art.9 L.74/87 in riferimento agli artt.3 e 38 Cost.
Secondo la pronuncia della Corte, l’art.9 comma 3, pur imponendo al giudice di
tenere presente l’elemento temporale di durata dei rispettivi matrimoni, non
postula che la ripartizione del trattamento di reversibilità debba avvenire
necessariamente sulla base del criterio matematico, rigidamente assunto, della
durata legale del matrimonio ma prende in considerazione anche altri elementi di
valutazione. Atteso, infatti, che il legislatore, attraverso la riforma in esame, ha
inteso assicurare all’ex coniuge, cui sia stato attribuito l’assegno di divorzio, la
continuità del sostegno economico connesso al permanere della solidarietà
familiare, non si può prescindere dalla funzione solidaristica svolta dalla stessa
pensione di reversibilità. In primis, nei confronti del coniuge superstite come una
sorta di ultrattività della solidarietà coniugale che consente la prosecuzione del
sostentamento già assicurato dal reddito del coniuge deceduto; in secundis, nei
confronti dell’ex coniuge (divorziato) a cui è riconosciuta, parimenti, la continuità
del sostegno.
Ed è proprio muovendo dal carattere solidaristico della pensione di reversibilità
che la norma di cui all’art.9 comma 3 considera, ai fini della ripartizione della
stessa pensione, l’elemento valutativo della durata del matrimonio quale misura
prescrittiva ma non esaustiva.
Nel suo apprezzamento, il giudice potrà, dunque, valutare ulteriori elementi da
utilizzare quale criteri correttivi del profilo temporale. Tra gli elementi
considerati, assumono particolare significato l’ammontare dell’assegno goduto
dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge e le condizioni
economiche (es. stato di bisogno) dei soggetti coinvolti nella vicenda
matrimoniale.
Da ultimo, la Cassazione, intervenendo sul punto ancora una volta, con la
sentenza 19/02/03 n.2471 ha fatto proprie le conclusioni sopra esposte,
affermando, altresì, che il giudice del merito potrà considerare anche l’esistenza
di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge con il de cuius.
L’assegno a carico dell’eredità
(Principali riferimenti normativi e giurisprudenziali: art. 9 bis L.898/70; Cass.
17/07/92 n. 8687).
Profili processuali
Si è detto che vi è un’ipotesi in cui l’erogazione dell’assegno non può essere
domandata direttamente all’INPS ma occorre il filtro del provvedimento
giudiziale. Tale ipotesi è prevista dal secondo comma dell’art.9 L.898/70, il quale,
oltre al coniuge divorziato, configura la presenza di un coniuge superstite. In tale
ipotesi, non è neppure prevista la necessaria chiamata in giudizio dell’ente
erogatore.
Pertanto, essendoci un ulteriore soggetto obbligato, competente a ricevere la
domanda è lo stesso tribunale che ha in precedenza pronunciata la sentenza di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La domanda va proposta con ricorso e decisa con sentenza all’esito di un
procedimento camerale, in cui il giudice stabilirà le modalità ed individuerà gli
obbligati alla corresponsione dell’assegno.
Quindi è il tribunale civile che attribuisce al coniuge divorziato una quota parte
della pensione e degli altri assegni ad essa collegati, ad integrazione dell’assegno
di divorzio previsto dall’art.5 della L.898/70. Nell’ipotesi di rifiuto ad adempiere
a quanto stabilito dal tribunale civile da parte dell’amministrazione tenuta alla
corresponsione della pensione e degli altri assegni, il coniuge divorziato può
proporre davanti al G.A. ai sensi dell’art.37 L.1034/71 il ricorso per ottenere
l’ottemperanza dell’amministrazione medesima al giudicato del G.O.