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Coniuge divorziato e diritti successori: il diritto alla

pensione di reversibilità
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October 15, 2018

Il coniuge divorziato ha dei diritti successori a seguito del decesso dell’ex?

Con la pronuncia di scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, il


soggetto divorziato perde la qualità di legittimario riconosciuta dal codice civile al
coniuge superstite anche nei casi di intervenuta separazione personale[1].

Pertanto, salvo che non sussista un’espressa volontà testamentaria, nessuna pretesa
potrà essere vantata sul patrimonio dell’ex coniuge a seguito di divorzio.

Ma nel nostro ordinamento si rinvengono due norme che attribuiscono particolari


diritti ai soggetti divorziati scaturenti proprio dall’evento morte degli ex consorti. Si
tratta degli artt. 9 e 9 bis della legge 868/1970 e succ. mod..

–L’assegno periodico a carico dell’eredità

L’art. 9 bis della legge sul divorzio prevede che al coniuge divorziato possa essere
attribuito il diritto a percepire un assegno periodico a carico dell’eredità. Il
riconoscimento non è automatico. È necessaria la verifica del tribunale della sussistenza
di un effettivo stato di bisogno, che deve essere altresì valutato in correlazione ad altri
fattori, tra i quali l’entità dell’asse ereditario, la qualità e le condizioni economiche degli
eredi.

Presupposto imprescindibile è che il predetto soggetto abbia percepito o percepisca


l’assegno di divorzio, essendo espressamente escluso nei casi in cui l’assegno sia stato
versato in un’unica soluzione ai sensi dell’art. 5, comma 8, l. 868/1970.[2]

–La pensione di reversibilità

Il medesimo presupposto della titolarità dell’assegno divorzile è richiesto anche per il


riconoscimento dell’ulteriore diritto sancito dall’art. 9, commi 2 e 3, della legge sul
divorzio: il diritto a percepire la pensione di reversibilità o quota della stessa in
concorso con un eventuale coniuge superstite. E proprio tale requisito è stato oggetto di
contrasti giurisprudenziali, risolti dalle Sezioni Unite con la recente pronuncia n.
22434/2018[3].

Ma analizziamo preliminarmente il suddetto diritto.

Abbiamo spesso analizzato le scelte del legislatore in tema di regolamento dei rapporti
patrimoniali a seguito dello scioglimento del vincolo matrimoniale, le quali, in
attuazione del principio di solidarietà, tendono a riconoscere all’ex coniuge debole un
sostentamento economico.
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Sostentamento che può prorogarsi anche dopo la morte del dante causa, non solo con la
possibilità di ottenere il sopra indicato assegno a carico dell’eredità, ma anche con la
previsione espressa del diritto alla pensione di reversibilità.

Occorre evidenziare che il diritto sussiste, anche in caso di concorso con il diritto di
altri soggetti, ma solo se:

il rapporto previdenziale era già esistente in epoca anteriore alla sentenza di


divorzio;
il richiedente non abbia contratto nuove nozze e, come indicato;
sia titolare dell’assegno di divorzio.

Problemi applicativi, abbiamo evidenziato, sono insorti proprio relativamente


all’interpretazione della lettera della norma indica appunto la titolarità dell’assegno
quale presupposto per il riconoscimento della pensione, ed in particolare se la stessa
debba essere attuale o possa ritenersi sussistente anche in caso di erogazione una
tantum.

Se da un lato è stato chiarito che il diritto all’assegno di divorzio e quello alla pensione
di reversibilità non sono assimilabili, avendo il secondo natura previdenziale[4],
dall’altro ne è stata riconosciuta la medesima funzione solidaristica. “La funzione
assolta dalla pensione di reversibilità è di tipo solidaristico, sia nei confronti del
coniuge superstite[…], sia nei confronti dell’ex coniuge, il quale, avendo diritto a
ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato
sostentamento, vede riconosciuta, per un verso, la continuità di questo sostegno e, per
altro verso, la conservazione di un diritto, quello alla reversibilità di un
trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui
sussisteva il rapporto coniugale”[5].

Tale impostazione ha avuto quale conseguenza che nei casi in cui il coniuge divorziato
avesse scelto di percepire l’assegno di divorzio in un’unica soluzione, non si vedeva
riconoscere il diritto a percepire il trattamento pensionistico di reversibilità, in
considerazione del fatto che la liquidazione una tantum assolve pienamente alla
funzione di sostegno richiesta al momento dello scioglimento del matrimonio,
escludendo ulteriori domande economiche (ex art. 5, cfr. nota 2).

Tale impostazione è stata però contestata da un difforme orientamento, che basandosi


sulla natura prettamente previdenziale del diritto alla reversibilità ne ha affermato la
totale autonomia rispetto alla modalità di erogazione (periodica o in unica soluzione)
dell’assegno di divorzio, e ciò anche per evitare disparità di trattamento tra soggetti che
comunque sono stati riconosciuti titolari del medesimo diritto.

Tale corrente della Suprema Corte ha infatti affermato che “è quindi certo il
riconoscimento giudiziale della titolarità dell’assegno, elevato dalla norma invocata a
presupposto per l’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità; mentre
resta irrilevante, ai fini che qui interessano, la modalità solutoria del debito,
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una tantum, espressamente consentita dallo stesso art. 5, ottavo comma, legge n.
898/1970, in via alternativa all’ordinaria corresponsione periodica”[6].

I contrasti esistenti hanno pertanto indotto i Giudici della Prima Sezione a richiedere
l’intervento delle Sezioni Unite.[7]

Gli Ermellini, nell’analisi della questione, hanno dato maggior rilievo alla funzione della
pensione di reversibilità volta a sopperire la perdita che l’ex coniuge subisce con il
decesso del soggetto che, con l’erogazione periodica dell’assegno divorzile, apportava un
concreto sostegno economico.

Viene affermato che “se la finalità del legislatore è quella di sovvenire a una situazione
di deficit economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, l’indice per
riconoscere l’operatività in concreto di tale finalità è quello della attualità della
contribuzione economica venuta a mancare; attualità che si presume per il coniuge
superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell’assegno, intesa come
fruizione attuale di una somma versata periodicamente all’ex coniuge
come contributo al suo mantenimento”.

Secondo il nuovo principio fissato, per l’esistenza ed il riconoscimento del diritto al


trattamento pensionistico in parola, è necessaria la sussistenza della contribuzione
dell’assegno divorzile al momento della morte dell’ex coniuge dante causa.

In base alla lettura operata dalla Corte la “ titolarità”, richiesta dall’art. 9 per
l’attribuzione del diritto alla pensione di reversibilità, “presuppone sempre la
concreta e attuale fruibilità ed esercitabilità del diritto di cui si è titolari”.

Da ultimo la pronuncia ribadisce la natura previdenziale della reversibilità, che non può
essere considerata una continuazione post mortem dell’assegno erogato in vita, ma
afferma che sono uguali le finalità sottese ai due distinti diritti (assegno divorzile e
assegno pensionistico): il sostentamento economico del soggetto beneficiario.

Il percorso ermeneutico dei giudici porta pertanto ad escludere l’esistenza del diritto
alla pensione di reversibilità in capo al coniuge divorziato che abbia visto interamente
soddisfatto il suo diritto all’assegno divorzile, in quanto con il percepimento dello stesso
in unica soluzione si esaurisce la relativa titolarità, e nessuna altra richiesta economica
può essere successivamente formulata e/o soddisfatta.

[1] Gli artt. 548 e 585 cod. civ. regolano espressamente la riserva e la successione del
coniuge a seguito di separazione definitiva:

Art. 548. Riserva a favore del coniuge separato. – Il coniuge cui non è stata
addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, ai sensi del secondo
comma dell’articolo 151, ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato.

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Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha
diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione
godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle
sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di
entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta. La medesima disposizione
si applica nel caso in cui la separazione sia stata addebitata ad entrambi i coniugi.

Art. 585.Successione del coniuge separato-Il coniuge cui non è stata addebitata
la separazione con sentenza passata in giudicato ha gli stessi diritti successori del
coniuge non separato.

Nel caso in cui al coniuge sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in
giudicato, si applicano le disposizioni del secondo comma dell’articolo 548.

[2] Art. 5, comma 8, L. 898/1970 – “Su accordo delle parti la corresponsione può
avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non
può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.”

[3] Cassazione Civile, Sez. Un., sentenza n. 22434 del 24.09.2018.

[4] Cassazione Civile, Sez. Un., sentenza n. 159/1998

[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 419/1999.

[6] Ex multis: Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 16744/2011; Cass. Civ., Sez. I, sent. n.
13108/2010; : Cass. Civ., Sez. I, sent. n.21002/2008.

[7] Cass. Civ., Sez. I, ordinanza interlocutoria n. 11453/2017.

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