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Se piove acqua dal tetto del condominio chi

paga?
Il tetto, in base a quanto stabilisce l'art. 1117 del codice civile, rientra sempre tra i beni comuni.
Quindi tutti i condomini ai quali il tetto funge da copertura sono tenuti alla sua manutenzione. In
base a questo principio sono tenuti anche al risarcimento causato dalle infiltrazioni dovute alla
mancata manutenzione del tetto. Quindi nel caso specifico dovranno pagare anche i condomini della
scala D se le spese per la riparazione del tetto sono anche a carico loro. Lo stesso nel caso in cui
l'infiltrazione non venisse dal tetto ma da danni alla facciata. Anche la facciata, infatti, è uno dei
beni comuni e sono tenuti alla sua manutenzione tutti i proprietari dell'immobile a prescindere da
dove si trovino i loro appartamenti.

Infiltrazioni di acqua dal terrazzo comune dell’edificio: come vengono ripartite le


spese tra i proprietari?

Se nel nostro appartamento cadono delle gocce d’acqua provenienti dal tetto dell’edificio
condominiale e la causa delle infiltrazioni è la cattiva manutenzione del suddetto terrazzo, come
vanno divise le spese per la riparazione? A chiarirlo è stata la giurisprudenza con numerose
sentenze. La soluzione però dipende in parte da chi ha l’uso del terrazzo, se cioè appartiene a tutti i
condomini o solo a uno. Nel primo caso, infatti, se piove acqua dal tetto del condominio, a
pagare le spese di manutenzione straordinaria saranno tutti i condomini la cui abitazione cade nella
linea d’aria del tetto stesso (ossia quelle coperte dal terrazzo); nel secondo caso, invece, un terzo
della spesa cade sul titolare del terrazzo, mentre i due terzi residui vanno ripartiti tra gli altri
condomini (quelli appunto coperti da esso).
Sulla questione, peraltro, è intervenuta la Cassazione con una sentenza che cercheremo di spiegare
qui di seguito [1].
Se piove acqua dal tetto del condominio, la prima cosa da fare è verificare è di chi sia la proprietà
di tale spazio che il codice civile chiama «lastrico solare» ma che spesso viene anche definito
«terrazza». Nella gran parte dei casi, questa rientra tra le parti comuni dell’edificio e, quindi, spetta
a tutti i condomini in parti uguali. Ciascuno cioè è libero di utilizzare l’apertura per come meglio
crede, purché non impedisca agli altri di fare pari uso. Il che significa, ad esempio, installare
pannelli fotovoltaici, antenne tv satellitari, ma anche stendere i panni, adibire un angolo a ripostiglio
per scope o altri attrezzi o riporre le piante per creare un piccolo orticello “urbano”. Ovviamente
non vi devono essere particolari ostacoli nel regolamento condominiale, che va quindi letto con
attenzione.
Tetto di proprietà comune
Immaginiamo ora un condominio con lastrico solare di proprietà comune. In tale ipotesi, se le
infiltrazioni di acqua dipendono dalla cattiva manutenzione dello stesso chi deve risarcire?
Secondo una interessante sentenza del giudice di Pace di Taranto [2], che peraltro richiama un
orientamento costante della Cassazione [3], quando la terrazza che copre il palazzo appartiene a
tutti i condomini (e non a uno soltanto), è il condominio nel suo insieme a dover risarcire i danni
procurati agli appartamenti sottostanti. Dunque se dalla copertura del terrazzo piove acqua sin
dentro le mura dell’edificio, la richiesta di risarcimento va inoltrata all’amministratore e questi
dovrà incaricare immediatamente una ditta per la manutenzione. Le spese di manutenzione, poi,
dovranno essere ripartite tra tutti i condomini secondo millesimi. O meglio: non tutti i condomini,
ma solo quelli la cui abitazione è compresa, in linea d’aria, sotto il tetto da riparare. Quindi, ad
esempio, se si tratta di edificio a più scale o a più livelli, a pagare sono solo i proprietari degli
appartamenti coperti dal lastrico solare in questione. Non vale che, ad essere coperte dal predetto
lastrico siano anche parti comuni dell’edificio – come le scale o l’ascensore – per far partecipare
alla spesa anche altri appartamenti non rientranti nella colonna d’aria del terrazzo [1].
Tetto di proprietà individuale
Immaginiamo ora la situazione in cui il lastrico solare sia di proprietà di un solo condomino. In tal
caso i costi della ristrutturazione andranno ripartiti nel seguente modo: il titolare pagherà un terzo
della spesa mentre gli altri due terzi andranno ripartiti, per millesimi, tra gli altri condomini. Anche
in questo caso, vale la regola che ad essere interessati all’esborso sono solo i proprietari di
appartamenti compresi nella proiezione verticale del lastrico solare, quelli cioè cui detto lastrico
funge da copertura.
Il codice civile [4] obbliga infatti tutti i condomini dell’edificio o della parte a cui il lastrico solare
serve a partecipare alle spese per la riparazione del lastrico ad uso esclusivo nella misura di due
terzi, riferendosi ai proprietari delle unità immobiliari «comprese nella proiezione verticale del
manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei
condomini ai cui appartamenti il lastrico stesso non sia sovrapposto».

[1] Cass. sent. n. 11484/17 dell’11.05.2017.


[2] GdP Taranto, sent. n 103/16 del 19.01.2016.
[3] Cass. sent. n. 26051/2008 e Cass. sent. n. 12211/2003.
[4] Art. 1126 cod. civ.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 7 aprile – 10 maggio 2017, n. 11484


Presidente Petitti – Relatore Scarpa
Fatti di causa e ragioni della decisione
Mi.An.Ma. , M.R. e M.A. propongono ricorso per cassazione articolato in unico motivo avverso la sentenza della Corte
d’Appello di Milano n. 2642/2015 del 22 giugno 2015. La sentenza impugnata, in parziale riforma della decisione di
primo grado resa dal Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, ha dichiarato che le spese inerenti il
rifacimento dei lastrici solari siti al quinto ed al sesto piano della scala B dell’edificio del Condominio (OMISSIS) ,
oggetto della deliberazione assembleare del 23 giugno 2011, debbano essere sostenute per un terzo dai proprietari
esclusivi dei lastrici e per due terzi da tutti i restanti condomini. La Corte d’Appello di Milano ha posto in evidenza
come i lastrici solari insistono su “porzione di immobile in seno alla quale si trovano anche parti di proprietà comune
dell’intera Comunione (galleria pedonale, portico pedonale, portineria, atrio, piani interrati, corselli box)”, e quindi
costituiscono “copertura non solo delle unità immobiliari site ai piani sottostanti e di proprietà esclusiva dei rispettivi
comunisti, ma pure, appunto, di tali parti comuni”.
Per questo, a dire dei giudici dell’appello, non vi sarebbe ragione alcuna per cui i condomini della scala B debbano
farsi esclusivo carico di parti che ricadono nella proprietà comune anche della scala A. Inoltre, la Corte d’Appello ha
messo in rilievo come l’art. 8 del Regolamento Condominiale preveda che le spese riguardanti le parti comuni si
suddividano in proporzione della quota millesimale di proprietà di ciascuno dei comproprietari.
L’unico complesso motivo del ricorso di Mi.An.Ma. , M.R. e M.A. , denuncia il travisamento degli artt. 1126 c.c. e 68
disp att. c.c..
Resiste con controricorso S.C. .
Rimangono intimati, senza svolgere attività difensiva, il Condominio (OMISSIS) , Ca.Fa. , INTIS s.r.l., F.S.M. , C.B.G. ,
C.M.G. e P.M. .
Ritenuto che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di
cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore, il presidente ha
fissato l’adunanza della camera di consiglio.
L’unico motivo di ricorso è fondato.
La decisione della Corte d’Appello di Milano contrasta con la giurisprudenza di questa Corte consolidatasi sulla base
di risalente e costante orientamento.
L’art. 1126 c.c., obbligando a partecipare alla spesa relativa alle riparazioni del lastrico solare di uso esclusivo, nella
misura di due terzi, “tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve”, si riferisce
evidentemente a coloro ai quali appartengono unità immobiliari di proprietà individuale comprese nella proiezione
verticale del manufatto da riparare o ricostruire, alle quali, pertanto, esso funge da copertura, con esclusione dei
condomini ai cui appartamenti il lastrico stesso non sia sovrapposto (cfr. Cass. Sez. 2, n. 7472 del 04/06/2001; Cass.
Sez. 2, n. 3542 del 15/04/1994; Cass. Sez. 2, n. 244 del 29/01/1974; anche Cass. Sez. 2, n. 2726 del 25/02/2002).
Come meglio ancora spiegato da Cass. Sez. 2, n. 2821 del 16/07/1976, l’obbligo di partecipare alla ripartizione dei
cennati due terzi della spesa non deriva, quindi, dalla sola, generica, qualità di partecipante del condominio (come
invece ha ritenuto la Corte d’Appello di Milano), ma dall’essere proprietario di un’unità immobiliare compresa nella
colonna d’aria sottostante alla terrazza o al lastrico oggetto della riparazione. Del resto, è pressoché inevitabile che la
terrazza a livello o il lastrico di uso esclusivo coprano altresì una o più parti che siano comuni a tutti i condomini, e
non solo a quelli della rispettiva ala del fabbricato, come, ad esempio, il suolo su cui sorge l’edificio, la facciata, le
fondazioni, ma se bastasse ciò per chiamare a concorrere alle spese del bene di copertura tutti i condomini, l’art. 1126
c.c. non avrebbe alcuna pratica applicazione.
Giacché, peraltro, l’art. 1126 c.c. non è compreso tra le disposizioni inderogabili richiamate dall’art. 1138 c.c.,
certamente il regolamento del condominio può stabilire la ripartizione delle relative spese in modo pattizio, pure
ponendo le stesse a carico di tutti i condomini, ma a tal fine occorre che sia adottata una convenzione espressa di
deroga al criterio legale, e tale certamente non si rivela l’art. 8 del Regolamento condominiale cui fa cenno la Corte
d’Appello di Milano, il quale, disponendo che le spese per le parti comuni si suddividono in proporzione alla quota
millesimale di proprietà di ciascuno, risulta mera traslitterazione dell’art. 1123, comma 1, c.c..
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di
Milano, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Il giudice di rinvio deciderà uniformandosi al seguente principio di diritto:
“In tema di condominio negli edifici, agli effetti dell’art. 1126 c.c., i due terzi della spesa delle riparazioni o
ricostruzioni del lastrico solare di uso esclusivo sono a carico non di tutti i condomini, in relazione alla proprietà delle
parti comuni esistenti nella colonna d’aria sottostante, ma di coloro che siano proprietari individuali delle singole
unità immobiliari comprese nella proiezione verticale di detto lastrico, alle quali, pertanto, esso funge da copertura”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di
Milano anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

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Aspetti risarcitori e responsabilità condominiali sulle infiltrazioni d’acqua e


condensazioni: alcune divagazioni tecniche

§. 1. Ricercare le cause.
Purtroppo capita spesso che l’appartamento del singolo condomino venga danneggiato da
infiltrazioni d’acqua provocate da rottura di tubazioni condominiali o, in genere, da strutture
comuni dell’edificio. L’immediata reazione del condomino in siffatte situazioni, è quello di
informare l’amministratore e di pensare al risarcimento dei danni che riceverà dall’assicurazione del
Condominio.
Spesso però non sono facilmente individuabili le cause delle infiltrazioni verificatesi. Si spiega
allora, la copiosa giurisprudenza che ormai si è formata in tema di infiltrazioni.
Avere il proprio appartamento danneggiato da infiltrazioni, infatti, comporta per il condomino, oltre
che un materiale esborso per il ripristino delle parti ammalorate, anche un non indifferente disagio
nelle relazioni sociali.

§. 2. Chi è responsabile?
Salve particolari ipotesi, è il Condominio che è tenuto al risarcimento del danno, intendendosi per
tale, preliminarmente, il dovere di provvedere immediatamente ad eseguire i lavori di ripristino,
oltrechè al pagamento degli arredi, dei suppellettili, dei rivestimenti.
Il Condominio è tenuto alla custodia ed alla manutenzione delle parti e degli impianti comuni
dell’edificio talché il singolo condomino, ponendosi come terzo nei confronti del Condominio
stesso, può agire nei confronti di quest’ultimo per il risarcimento dei danni sofferti per il cattivo
funzionamento di un impianto comune o per la difettosità di parti comuni dell’edificio, dalle quali
provengono le infiltrazioni d’acqua pregiudizievoli per gli ambienti di sua proprietà esclusiva.
Può accadere pero:
che le infiltrazioni trovino origine nella omessa o insufficiente collocazione di teli protettivi al
termine di ogni giornata nel corso dei lavori di riparazioni del tetto condominiale. In tale ipotesi,
deve escludersi la responsabilità del Condominio per i danni arrecati all’appartamento del
condomino proprietario dell’unità immobiliare immediatamente sottostante il tetto, essendo essi
imputabili alla negligenza usata dall’impresa nell’esecuzione dei lavori. L’azione per ottenre il
risarcimento dei danni dovrà essere svolta dal condomino danneggiato direttamente nei confronti
della ditta appaltatrice alla quale erano stati affidati i lavori di rifacimento del manto di copertura
dell’edificio condominiale: ciò in conseguenza del fatto che per tutto il tempo dell’esecuzione
dell’appalto il potere di controllo e di vigilanza sul bene passa dal Condominio all’appaltatore[1].
Nel caso in cui, invece, i danni siano provocati da infiltrazioni derivanti dalla fognatura è però
opportuno verificare preliminarmente se le stesse provengono dalla parte della fognatura
condominiale che arriva sino al punto di innesto con la fognatura stradale o piuttosto dalla rete
fognaria esterna al condominio. Solo nella prima ipotesi il Condominio sarà tenuto a risarcire i
danni, potendo poi richiedere al costruttore dello stabile la rifusione di quanto corrisposto al singolo
condomino danneggiato, se il danno consegue a difetto di costruzione.

§.3. Chi paga i danni derivanti da infiltrazioni di acqua?


Una recente sentenza della Corte di Cassazione[2] offre interessanti spunti per approfondire un
tema estremamente attuale: e cioè, l’individuazione, in caso di infiltrazioni d’acqua, provenienti da
parti comuni dell’immobile, di coloro che ne sono i responsabili e, pertanto, di coloro che sono
tenuti al dovuto risarcimento.

§. 3.1 La responsabilità del costruttore quando è anche venditore.


In particolare, la Cassazione ha innanzitutto rilevato che la presenza di umidità negli appartamenti
dei singoli condomini, conseguente ad inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali
dell’edificio, costituisce, laddove ne venga compromessa in modo notevole l’abitabilità ed il
godimento del bene, grave difetto dell’edificio, come tale suscettibile di ricadere nell’ambito di
applicazione della normativa d cui all’art. 1669, Codice Civile, che introduce una responsabilità a
carico del costruttore[3].
Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denuncia, che deve essere avanzata, a pena di
decana, entro un anno dalla scoperta del danno lamentato[4].
Dalla suddetta norma scaturisce una responsabilità a carattere extracontrattuale, che si qualifichi in
termini di specialità rispetto alla disposizione generale contenuta all’art. 2043 Codice Civile, tesa a
tutelare esigenze di ordine pubblico alla conservazione e funzionalità degli edifici destinati per loro
natura a lunga durata.
Ciò comporta che tale disposto di legge possa essere invocato a prescindere dall’esistenza di un
vincolo contrattuale tra le parti coinvolte, e quindi possa essere azionato non solo a carico
dell’appaltatore da parte del committente, ma anche a carico del costruttore da parte dell’acquirente,
avente causa del committente-venditore.
La presunzione di responsabilità del costruttore, introdotta dall’art. 1669, può essere vinta non già
con la prova dell’essere stata da lui usata tutta la diligenza possibile nella scelta dei materiali
nell’esecuzione dell’opera bensì mediante la specifica dimostrazione della mancanza di una sua
responsabilità conclamata da fatti positivi, precisi e concordanti[5].
Il che significa che il costruttore deve fornire prova della responsabilità esclusiva del committente,
del direttore dei lavori o del progettista, avendo esso appaltatore eseguito, senza margine di
autonomia, i lavori richiesti, a causa dell’insistenza del committente e a suo specifico rischio. Tale
onere probatorio si giustifica solo se si tiene conto del fatto che il costruttore è sempre e comunque
tecnico qualificato, che deve disporre di tutte quelle nozioni e conoscenze tali da poter valutare la
bontà o meno e, quindi, la fattibilità dei valori richiesti dal committente, così da essere in grado, in
ogni caso, di correggere eventuali errori e omissioni presenti nei progetti da realizzare.
L’azione promossa in base all’art. 1669 consente di richiedere la condanna dell’appaltatore o, in
alternativa, il pagamento delle somme di denaro corrispondenti al costo delle opere necessarie per
l’eliminazione dei vizi lamentati, ovvero, la diretta esecuzione delle opere stesse.

§. 3.2 La responsabilità del condominio.


Nella fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, non vi era stata, né da parte del condominio, né da
parte dei condomini richiedenti il risarcimento del danno dovuto, la chiamata in causa del
costruttore-venditore, pertanto la Cassazione si è vista costretta, stante l’oggetto della domanda, a
decidere della sussistenza o meno della responsabilità del condominio ai sensi dell’art. 2051,
Codice Civile, essendo questo l’unico “soggetto” contro cui era stata avanzata la domanda del
relativo risarcimento.
In ordine a tale punto, la sentenza citata non si discosta dai principi sanciti dalla giurisprudenza
precedente[6]. La Cassazione precisa che, qualora una porzione di proprietà esclusiva, all’interno di
edificio condominiale, risulti danneggiata a causa della presenza di vizi relativi a parti comuni (vizi,
seppure imputabili all’originario costruttore-venditore), deve comunque riconoscersi al titolare di
detta porzione di proprietà esclusiva la facoltà di esperire azione risarcitoria anche nei confronti del
condominio.
Ciò, non in forza dell’art. 1669 citato, dato che il condominio (seppure successore a titolo
particolare del costruttore nella titolarità delle parti comuni) non subentra nella responsabilità posta
a carico del costruttore da detta norma, ma, piuttosto, sulla base di quanto disposto dall’art. 2051,
laddove ed ovviamente, la presenza di tali danni sia ricollegabile all’inosservanza da parte del
condominio stesso dell’obbligo di provvedere, quale custode, ad eliminare le caratteristiche dannose
della cosa custodita.
Irrilevante a tali fini è il fatto che il condominio possa o meno agire in rivalsa nei confronti del
suddetto costruttore[7].
Tale decisione è assolutamente ineccepibile. Essa si fonda sul dovere che incombe a qualsiasi
soggetto, che abbia un effettivo e non occasionale potere sulla cosa, di vigilare sulla stessa, affinché
da essa non scaturiscano situazioni di pericolo o di danno a carico di terzi. Nel caso di specie,
pertanto, il condominio avrebbe dovuto agire immediatamente per eliminare i vizi presenti:
convocando in giudizio il costruttore-venditore per ottenere o il pagamento delle spese effettuate
per tali opere se eseguite da altro soggetto, ovvero per farlo condannare a realizzare lui stesso i
lavori necessari per rimuovere i vizi e i danni lamentati.
È evidente che, laddove vi sia la presenza dei presupposti indicati, al condomino danneggiato
conviene, sempre e comunque, agire sia nei confronti del costruttore, sia nei confronti del
condominio (essendo la responsabilità di quest’ultimo autonoma, e quindi concorrente con quella
dell’appaltatore), al fine di individuare comunque un soggetto solvibile.
In casi come questi, il condominio può liberarsi da tale responsabilità solo dando la prova del caso
fortuito, cioè dimostrando che l’evento dannoso è derivato in via esclusiva dal fatto del terzo,
ovvero dalla colpa del danneggiato (per esempio condomino che non abbia tempestivamente
denunciato il pericolo lamentato).
§. 4. L’amministratore ha i suoi obblighi?
Che cosa deve quindi fare l’amministratore in casi come quello esaminato? Ebbene,
l’amministratore, qualora vi siano i presupposti di cui all’azione prevista dall’art. 1669, poiché essa
rientra tra gli atti conservativi di competenza dell’amministratore stesso (art. 1130, n. 4 del Codice
Civile), può (e deve) agire in giudizio autonomamente, senza la necessità di una preventiva
autorizzazione da parte dell’assemblea condominiale per conseguire quanto di diritto[8].
In caso di responsabilità del condominio, laddove evidentemente non vi sia preventivamente
provveduto ad eliminare i danni lamentati dai singoli condomini, l’amministratore deve agire in
rivalsa nei confronti del costruttore, in modo da tessere indenne il condominio (qualora vi siano vizi
riconducibili all’operato del costruttore) nelle ipotesi di sua condanna al risarcimento dei danni
prodotti alle parti di proprietà esclusiva.
Perciò è importante che l’amministratore intervenga, in caso di emergenza, facendo eseguire le
opere necessarie ad eliminare la causa dei danni, ovvero, solleciti l’assemblea affinché ne deliberi
l’esecuzione. Nel contempo è opportuno agire nei confronti dell’appaltatore se i vizi sono originati
dalla costruzione.

§.5.Aspetti tecnici della coibentazione dei tetti e delle pareti confinanti


Uno dei rimedi più utilizzati per evitare che le singole unità immobiliari possano essere oggetto di
forti sbalzi di temperatura,. con tutte le problematiche derivanti, è senz’altro quello rappresentato,
dalla coibentazione del tetto/pareti ovvero la creazione di una adeguata protezione termica in modo
che negli ambienti sottostanti/confinanti non si manifesti la fastidiosa e insopportabile sensazione di
caldo umido che crea seri problemi di vivibilità sia di giorno, sia di notte, o di eccessivo freddo
derivante dalla permanenza di lastre di ghiaccio sulle superfici sovrastanti. Il manto impermeabile,
sotto qualsiasi forma e stato, attraverso l’impiego di specifici prodotti, può essere ricondizionato e
utilizzato come supporto di un sistema di isolamento termico.
I materiali necessari per formare un “pacchetto di isolamento” sono molteplici e, a seconda
dell’impiego e dei risultati che si intendono raggiungere, prevedono tipologie di lavori diversi. I
prodotti trovano larga diffusione di mercato, nascono o derivano da tecnologie molto consolidate,
garantiscono ottimi risultati e offrono tutti i presupposti necessari per ottenere corretta esecuzione e
durabilità dell’intervento.

Il sistema coibentante
Un sistema impermeabilizzante e coibentante è formato da una serie di elementi o componenti che
vengono applicati in funzione di un preciso calcolo, previsto dalla legge 10/1991, delle
caratteristiche della superficie da proteggere, della condizione climatologica dei luoghi e,
principalmente, delle prestazioni che si vogliono ottenere. Queste variabili generano schemi
funzionali diversi tra loro che determinano le caratteristiche sia dei componenti, sia delle modalità
di posa e, soprattutto, il costo. Gli insieme degli elementi utilizzati in un sistema di
impermeabilizzazione e coibentazione viene comunemente definito stratigrafia o pacchetto di
stratificazione. In sintesi, quindi, illustreremo le funzioni degli strati che compongono i diversi tipi
di stratigrafia, forniremo i requisiti tecnici dei materiali e i relativi costi.
È l’elemento strutturale del manufatto da impermeabilizzare e coibentare, sul quale verrà posato il
pacchetto di stratificazione più idoneo. In sostanza, l’elemento portante è rappresentato dal solaio di
copertura. Questo, in condizioni di posa del sistema impermeabilizzante, dovrà presentarsi liscio,
libero da detriti e altre irregolarità che possano arrecare danni per punzonamento al pacchetto
stesso. Nel caso il pacchetto impermeabilizzante esistente, anche se vetusto, si offra come supporto
alla posa del sistema di coibentazione dovrà, comunque, presentarsi depolverizzato, asciutto e
bisognerà accertarsi, principalmente, che sotto il manto non sussistano condizioni di umidità e, in
ogni caso, presenza di acqua, formazioni vegetali, asperità che non favoriscono il normale defluire
dell’acqua meteorica.
Se il sistema impermeabilizzante esistente si presenta con una non perfetta adesione al fondo
sottostante, purché in una modalità discontinua, possono adottarsi meccanismi di ripristino sia a
fiamma sia meccanici ed evitare le opere di rimozione e riapplicazione del manto.

Strato di regolarizzazione
Ha lo scopo di assicurare l’uniformità superficiale dell’elemento portante per evitare che
imperfezioni, detriti o altre irregolarità possano arrecare danno allo strato impermeabile o ad altri
elementi del pacchetto di stratificazione. Lo stato di regolarizzazione, di solito, è formato da feltri in
tessuto-non tessuto con grammatura variabile da g 200 fino a g 800 per mq. Questo materiale va
sempre posato a secco con bordi sovrapposti. Possono essere utilizzati, per lo stesso scopo, anche
pannelli rigidi di polistirene o altro materiale espanso con spessori compresi tra mm 10 e mm 20;
anche i pannelli andranno posati a secco, avendo cura di accostare bene i bordi delle lastre.
Strato di schermo o barriera vapore
Ha lo scopo di impedire al vapore acqueo, risalente dagli ambienti sottostanti, di penetrare
nell’elemento termoisolante consentendo di controllare il fenomeno della condensa all’interno della
copertura. L’inserimento della barriera vapore si rende necessario quando si ha la certezza che si
possano verificare particolari condizioni ambientali di temperatura e di umidità. Molto spesso sono
pose di manti impermebilizzanti non eseguite in modo corretto, oppure ristagni da infiltrazioni
indirette che favoriscono la formazione di vapore acqueo in misura considerevole e innescano
condizioni irreversibili che, oltre a provocare formazione di condensa negli ambienti sottostanti,
determinano e favoriscono il deterioramento degli strati impermeabilizzanti e coibenti. La barriera
vapore non è un elemento che può essere inserito senza un opportuno calcolo del punto di caduta di
rugiada e delle temperature della stratigrafia; sarà, quindi, cura del progettista tracciare i diagrammi
delle temperature e individuare il posizionamento, la qualità del materiale e la densità dello stesso.
Per la formazione della barriera vapore, solitamente, vengono impiegati: film di alluminio, film di
poliestere o manto di polietilene. In tutti i casi la posa è sempre a secco con bordi sovrapposti o
incollati con banda biadesiva.

Elemento termoisolante (strato coibente)


Ha lo scopo di portare a un determinato valore la resistenza termica della copertura, limitando la
dispersione di calore e consentendo, nei vani sottostanti la copertura, il mantenimento di condizioni
termoigrometriche compatibili con la destinazione dei vani stessi. I valori di dispersione termica
sono dettati da precise norme previste dalla legge 10/1991.
L’elemento termoisolante deve avere caratteristiche di rigidità, basso assorbimento di umidità,
spessore adeguato alle esigenze. Possono essere impiegati pannelli pretrattati e combinati con manti
impermeabili o cartoni, oppure pannelli semirigidi; la scelta dell’elemento dipende dal tipo di
sistema adottato, dal posizionamento nel profilo stratigrafico e dal tipo di manto.
I materiali impiegati sono: pannelli di polistirene espanso o estruso oppure pannelli di puliuretano.
Vanno posati in opera a totale indipendenza, accostando in successione i lati battenti dei pannelli.
Possono essere impiegati pannelli di polistirolo o loro derivati posati in aderenza sempre che i
valori di calcolo e le condizioni di posa lo prevedano dando certezza sul buon esito dell’intervento.
I pannelli, in genere, sono prodotti con vasta gamma di grammatura e spessore, rivestiti o protetti
con superfici lisce o corrugate per impiego sotto malta, in qualche caso protetti da strati di malta
cementizia che sostituisce o costituisce elemento di zavorra. La quantità e la qualità di prodotti
commercializzati sul mercato nazionale coprono tutta la casistica di impiego.
Sono diffusi, inoltre, altri sistemi diversi quali, per esempio, le schiume poliuretaniche che “gettate”
direttamente in opera fungono anche da impermeabilizzante e i feltri di lana di roccia o di lana
minerale. L’impiego e la scelta del materiale sono sempre determinati dalla tipologia di tetto
esistente, dalla tipologia di tetto da eseguire e dalle condizioni termoambientali.

Strato di separazione
Ha lo scopo di separare fisicamente e chimicamente due elementi contigui del pacchetto che per
effetto di temperature elevate o per incompatibilità chimico-fisiche non possono essere in contatto.
Polistirene o polistirolo, sughero e tanti altri materiali possono essere o ritenersi incompatibili, per
cause diverse, con elementi solventi o composti da leganti a base bituminosa: infatti, la presenza
massiccia di sostanze derivanti del petrolio andrebbe ad alterare le caratteristiche di densità e di
consistenza rendendo inutile, se non addirittura dannoso, l’intervento eseguito.
Lo strato di separazione è costituito da feltro in tessuto-non tessuto con grammatura variabile tra i g
100 e i g 500 per mq. Se le condizioni di progetto lo permettono possono essere utilizzati anche altri
elementi o addirittura possono combinarsi componenti tali che l’impiego di un unico componente
funge sia da barriera vapore sia da strato di separazione. Il tessuto-non tessuto va sempre posato a
secco con bordi sovrapposti.
Strato impermeabilizzante
Ha la funzione di conferire alla copertura, in modo durevole, la totale impermeabilità dall’acqua.
mercato offre una vasta gamma di prodotti e marche. È possibile, facilmente, individuare il manto
adatto alle proprie esigenze.
Manti plastomerici, armati di tessuto-non tessuto in poliestere, sono i più utilizzati per coperture
piane con buona resistenza a tensioni meccaniche. Disponibili in spessori diversi, se ne consiglia
l’utilizzo in spessore da mm 4 con massa 3,5-4 kg per mq., costituiti da bitumi-polimero con
armatura a filo continuo in poliestere, consigliati per impieghi dove le sollecitazioni meccaniche
possono influire nel tempo per il deterioramento del manto. Adatti all’impiego in condizioni di
climi freddi, presentano ottima resistenza meccanica ad allungamento con movimenti di dilatazione.
Se ne consiglia l’uso in spessori da mm 4 con massa da 3,5-4,5 kg per mq.
Manti elastoplastomerici, considerati “speciali,” costituiti da bitumi-polimero additivati con resine e
armatura a filo continuo in poliestere, con caratteristiche di resistenza meccanica elevata. Utilizzati
sotto tegola, in presenza di tetti o solai in legno oppure dove si prevede posa con reggiatura o
chiodatura. Garantiscono ottima resistenza ad azioni di punta e forti movimenti del supporto. La
resistenza di allungamento meccanico rimane inalterata anche a temperature particolarmente rigide.
Se ne consiglia l’uso in spessori da mm 4 con massa da 3,5-5 kg per mq., sintetici, realizzati con
PVC plastificato ottenuto per spalmatura. Composti da plastisol di differenti proprietà chimico-
fisiche con l’inserimento di fibra in velo vetro. Offrono il maggior grado di resistenza ai raggi
ultravioletti e agli agenti atmosferici, assenza di ritiro dimensionale, resistenza al punzonamento,
sufficiente elasticità e adattabilità per movimenti strutturali, mantengono costante la flessibilità alle
basse temperature e offrono ottima permeabilità al vapore. Trovano impiego in qualsiasi situazione
e possono essere posati sia con sistemi meccanici sia con sistemi termosaldanti. Commercializzati
in spessori che partono da un minimo di mm 1,2 sino a un massimo di mm 3. Per
impermeabilizzazioni definibili “ordinarie” possono essere impiegati con assoluta tranquillità
spessori compresi tra mm 1,2 e mm 1,5. Questo tipo di manto offre notevole durabilità nel tempo e
non prevede cicli manutentivi.
Strato filtrante
Ha lo scopo di permettere il passaggio dell’acqua meteorica, trattenendo e filtrando sabbie, detriti e
altri materiali che potrebbero entrare in contatto con gli strati impermeabilizzanti danneggiandoli.
Lo strato filtrante di solito è composto da feltri in tessuto-non tessuto con le caratteristiche già
precedentemente illustrate. Anche in questo caso possono essere realizzate stratigrafie che
consentono la combinazione di più componenti utilizzando il medesimo elemento.
Strato di zavorra
Ha lo scopo di impedire che eventi meteorologici arrechino danni all’intero sistema, specie quando
le pose impiegate sono a secco e non prevedono l’uso di ancoraggi meccanici.
Gli strati di zavorra possono essere, a seconda delle esigenze, creati con ghiaia di pezzatura mm 10-
30 nello spessore di cm 3-4 – minimo o con quadri di pavimentazione in cemento poggiati con
supporti in plastica per una posa non in aderenza. Esistono supporti termoisolanti già provvisti di
strati di zavorra, a base di malta cementizia; questi trovano corrente applicazione quando non si
deve assicurare pedonabilità o quando l’intero sistema impermeabilizzante e coibente non deve
influire molto in termini di peso sulle strutture sottostanti. La scelta dell’elemento di zavorra non
sempre nasce dall’esigenza di ottenere una copertura pedonabile. È possibile realizzare strati di
massi con relative pavimentazioni, in tal caso l’intera stratigrafia deve essere studiata in funzione
dei carichi e delle sollecitazioni che il caso impone.
I diversi sistemi di coibentazione
Fondamentalmente, le modalità di esecuzione per ottenere un “pacchetto” di coibentazione si
basano su due differenti sistemi: quelli che prevedono l’impiego del materiale isolante sotto guaina
e quelli che prevedono l’impiego del materiale isolante sopra la guaina (tetto rovescio) e,
naturalmente, sia per il primo sia per il secondo esistono stratigrafie diverse che determinano opere
di preparazione, posa, protezione e di rifinitura del materiale. In ambo i casi, si possono prevedere
sistemi pedonabili o meno, così come si possono prevedere diverse protezioni meccaniche, quali le
pavimentazioni e l’impiego di ghiaia.
I pacchetti statigrafici sotto descritti offrono soluzioni per qualsiasi caso o condizione.

Coperture a tetto caldo


Sono comunemente definite “coperture a tetto caldo” le tipologie di intervento che richiedono
l’inserimento dell’elemento termoisolante sotto lo strato impermeabilizzante. Lo scopo che
determina questa scelta esecutiva è dovuto dal fatto che i parametri imposti dalla legge 10/1991
hanno per obiettivo impedire la dispersione termica e mantenere gli ambienti sottostanti la copertura
al grado di temperatura voluto in relazione alla loro destinazione. Questa soluzione stratigrafica è
consigliabile solo quando le condizione climatiche determinano calcoli termotecnici che prevedono
minimi spessori dell’elemento termoisolante. Infatti, l’utilizzo di forti spessori coibenti (mm 40-60)
determina shock termici, sia giornalieri sia stagionali, allo strato impermeabilizzante dovuto alla
resistenza termica dell’isolante.
La tipologia stratigrafica in esame prevede l’uso di appositi materiali quali, per esempio, pannelli in
schiuma poliuretanica rivestiti di cartone bitumato che permette la posa a mezzo di bitume sulla
superficie di supporto. Possono essere utilizzate anche stratigrafie che prevedono la posa del
pannello a secco; in questo caso, però, la stabilità dell’intero sistema deve necessariamente essere
assicurata da un zavorra in ghiaia o da pavimentazioni poggiate su sostegni. Bisognerà, inoltre,
prevedere regolari interventi manutentivi in quanto l’eventuale strato di separazione favorisce la
crescita di piante.
Coperture a tetto rovescio
Sono coperture che richiedono la posa dell’elemento termoisolante sopra lo strato
impermeabilizzante. Questo sistema trova facile ed economica applicazione nel ricondizionamento
di un pacchetto impermeabilizzante, dove la guaina esistente potrà fornire supporto adeguato a tutta
la stratigrafia dell’isolamento termico. Analizziamo, sinteticamente, i maggiori vantaggi che questo
sistema offre:
a. lo strato impermeabile non subisce shock termici e mantiene, durante tutto l’arco dell’anno, una
temperatura superficiale ottimale e pressoché costante;
b. la stratificazione non necessita dell’inserimento dello strato di schermo o barriera vapore in
quanto il punto teorico di caduta della temperatura di rugiada si trova sempre al di sopra dello strato
impermeabile;
c. il manto impermeabile, non essendo esposto, non subisce attacchi di agenti atmosferici né di
raggi ultravioletti e rimane sempre ben protetto meccanicamente dallo strato di zavorra.
Coperture a tetto sandwich
È una tipologia di copertura che richiede un doppio strato di isolamento sia sotto sia sopra lo strato
impermeabile.
applicazione quando il sito di posa non dà sufficienti garanzie di stabilità. Infatti, pur rispettando le
caratteristiche di un tetto caldo lo strato di base per la compensazione viene sostituito da uno strato
impermeabile. Anche questa soluzione si adatta molto bene nel ricondizionamenti di un tetto e viene
consigliata quando non si hanno sufficienti garanzie della tenuta meccanica dello strato di posa.
Offre i medesimi vantaggi del tetto rovescio, infatti:
a. lo strato impermeabile non subisce shock termici e mantiene, durante tutto l’arco dell’anno, una
temperatura superficiale ottimale e pressoché costante;
il manto impermeabile, non essendo esposto, non subisce attacchi di agenti atmosferici né di raggi
ultravioletti e rimane sempre ben protetto meccanicamente dallo strato di zavorra.

§.6.Come risanare il fenomeno delle condensazioni e come intervenire


La figura di un consulente-progettista si rende necessaria per ottenere una corretta informazione e i
relativi calcoli previsti, come abbiamo già detto, dalla legge 10/ 1991. Il maggior risparmio si
ottiene, sicuramente, quando possono essere sfruttati i manti esistenti che, comunque, sia con
ripristini di fissaggio meccanici sia con ricondizionamenti possono essere adattati a ricevere una
qualsiasi stratigrafia termoisolante. Ricondizionare un vecchio manto impermeabile affinché possa
ricevere una stratigrafia termoisolante. In presenza di guaine nere è necessario procedere, dopo una
accurata depolverizzazione, all’applicazione di primer a solvente. I rigonfiamenti e le ondulazioni
vanno tagliati a croce e con l’uso di fiamma si procede al reincollaggio. Nelle zone di raccordo,
negli angoli e in tutti i punti che manifestano tensioni e fessurazioni, si procederà applicando strisce
di rinforzo o specifici profilati per lo smusso degli angoli.
Il vecchio manto dovrà presentarsi accuratamente pulito, depolverizzato e senza vegetazione
eventualmente attecchita. Nel caso si voglia ottenere maggior garanzia sullo strato
impermeabilizzante, dopo aver accuratamente impresso con primer a base di solvente tutta la
superficie e avendo cura della perfetta essiccazione del prodotto (i tempi sono vanno dalle 2 alle 4
ore a seconda del prodotto e dei fattori climatici) si potrà procedere alla stesa di un ulteriore manto.
Gli interventi di risanamento che vengono solitamente attuato allo scopo di bloccare il fenomeno
delle condensazioni superficiali e la conseguente formazione di muffe, sono essenzialmente di tre
tipi, spesso usati complementariamente, indirizzati: a migliorare le caratteristiche dell’involucro
dell’edificio sia sotto l’aspetto termofisico (resistenza ed inerzia termica) sia riguardo la
permeabilità al passaggio del vapore; a dotare gli ambienti interni di una opportuna climatizzazione
per i diversi periodi dell’anno e con un razionale posizionamento delle fonti di diffusione del calore;
a garantire una ventilazione interna che venga ad interessare soprattutto quegli ambienti
dell’abitazione dove maggiormente si verifica una produzione di vapore d’acqua.
Per migliorare le prestazioni termiche di una parete si può aumentare lo spessore e quindi il
peso/massa della muratura, permettendo alla parete di smorzare all’internodi sé le variazioni di
temperatura esterna, oppure si può isolare la muratura con pannelli isolanti posizionati sulla sua
faccia interna o su quella esterna (quest’ultimo il cosiddetto isolamento “a cappotto”). I pannelli
prefinti vengono giuntati ad incastro o accuratamente sigillati tramite stuccatura dei giunti. Il
materiale che ne fornisce la “forza” coibente può essere sughero naturale compresso, lana di vetro,
pvc rigido alveolato estruso, ecc.
Un adeguato isolamento termico si rende necessario anche in copertura, per evitare il rischio di
condensazioni superficiali sulla sua faccia interna, negli ambienti immediatamente sottostanti.
I materiali isolanti tendono in genere ad assorbire quantità anche notevoli di umidità, che nel tempo
portano ad una diminuzione della capacità di coibenza termica . quindi di norma vengono loro
associate opportune membrane che fingono da “schermi al vapore”. Queste comunque ne
permettono il passaggio in quantità limitata, consentendo un minimo di traspirabilità alla parete tale
da garantire lo smaltimento del vapore che si sviluppa all’interno delle abitazioni. A questo
accorgimento va comunque associato un adeguato ricambio d’aria. In copertura la circolazione
dell’aria si attua tramite intercapedine nell’intradosso, che assicura una ventilazione tale da
impedire all’aria umida di diventare satura (tale sistema presenta anche il vantaggio, nei periodi
caldi, di ridurre, tramite i voti convettivi dell’aria, il calore incidente sugli ambienti interni).
Qualora non si possa operare tale intervento sull’esistente, sicuramente oneroso, nel caso di
copertura a falde si può rimediare con una ventilazione sottotegola con entrata ed uscita dell’aria
attraverso opportune aperture, realizzate in genere con elementi di serie (aeratori).
Gli interventi che abbiamo descritto, mirati ad aumentare le caratteristiche termofisiche
dell’involucro, non sono sufficienti da soli ad eliminare o limitare il fenomeno della condensa
all’interno di un’abitazione, ma richiedono di essere abbinati ad una opportuna ventilazione e ad un
sufficiente riscaldamento degli ambienti.
Di norma l’immissione di aria esterna attraverso dei ricambi basta a smaltire l’umidità presente
all’interno degli ambienti. Nelle abitazioni, nell’arco di una giornata, si ha una notevole produzione
di vapore d’acqua determinato dalla preparazione dei cibi, delle operazioni di bucato, di igiene
personale e dell’attività in genere delle persone stesse. La realizzazione di uno schema di
ventilazione naturale nell’intera abitazione permette di operare una regolazione ed una continuità di
immissione e di estrazione dell’aria, soprattutto in maniera funzionale alle esigenze che si vengono
a creare nei diversi ambienti dell’abitazione.
Tale schema deve prevedere bocchette di immissione dell’aria esterna sulle finestre (a griglie
regolabili con filtri antipolvere) e, dove è maggiore la produzione di vapore, di bocchette di uscita a
tiraggio naturale o, nel caso, per estrazione meccanica tramite aspiratore. Bisogna comunque tenere
presente che, se un frequente ricambio d’aria favorisce il mantenimento di buone condizioni
ambientali all’interno dell’alloggio, comporta peraltro nel periodo invernale forti consumi
energetici. In questo caso occorrer trovare un equilibrio fra le due necessità, abbinando l’uso di
piccoli apparecchi deumidificanti negli ambienti dove vi è maggiore produzione di vapore acqueo.
Anche per l’impianto di riscaldamento, risulta parimenti funzionale il posizionamento dei corpi
radianti lungo le pareti dell’involucro più critiche come resistenza termica, in genere sottofinestra e
lungo le pareti esposte a nord.
1] Tribunale di Milano, 21 gennaio 1991.
[2] Cass. Civ., sez. II, il 15 aprile 1999, n. 3753.
[3] Questa norma, dettata per regolamentare i rapporti scaturenti dai contratti d’appalto prevede (qualora si tratti di
edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata) che l’appaltatore continui ad essere
responsabile nei confronti del committente per una durata di dieci anni dal compimento dell’opera, purché essa
presenti gravi difetti riconducibili a carenze della costruzione realizzata.
[4] Oltre a questa ipotesi, la norma di cui all’art. 1669 precisa che sussiste responsabilità del costruttore anche in caso
di avvenuta rovina totale o parziale dell’edificio, ovvero nel caso di pericolo attuale, certo ed obiettivo di rovina:
ciascuna di queste tre ipotesi deve essere legata da un provato nesso di causalità a un difetto di costruzione o a un vizio
del suolo preesistente alla costruzione stessa. Tale dispositivo di legge presenta una evidente autonomia rispetto alla
normativa generale dettata in materia di appalto e ha lo scopo di garantire una sostanziale tutela dalle conseguenze
dannose dovute a vizi costruttivi, eventualmente presenti nelle opere realizzate, tali da incidere negativamente e in
maniera profonda su elementi strutturali e funzionali dell’opera stessa, influenzandone in modo significativo la solidità
ed efficienza.
[5] Vedi Cass. Civ., n. 2123/91.
[6] Cfr. Cass. Civ., n. 6856 del 1993.
[7] Cfr. Cass. Civ., n. 3209/91.
[8] Cfr. Cass. Civ., n. 6585/866 e Cass. Civ., n. 53/90.

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Condominio: infiltrazioni dal tetto, ecco chi paga


Le sezioni unite chiariscono la ripartizione delle spese in uno dei casi più classici della vita condominiale
Quella delle infiltrazioni d'acqua provenienti dalla copertura dell'edificio (lastrico solare o terrazzo), è una delle ipotesi
più classiche della vita condominiale che, nondimeno, è sempre stata oggetto di diverse interpretazioni da parte dei
giudici. Questo sinora. A fare definitiva chiarezza sulla questione sono intervenute infatti le sezioni unite della
Cassazione che, con la sentenza n. 9449/2016 depositata ieri (qui sotto allegata), hanno specificato natura della
responsabilità e relative conseguenze sulla ripartizione delle spese.
Senza dubbio, hanno premesso gli Ermellini, chi ha l'utilizzo esclusivo del lastrico solare o della terrazza si trova, in
rapporto alla copertura del palazzo condominiale, in una posizione specifica che oltre a consentirne il pieno utilizzo lo
eleva a custode della superficie del lastrico o della terrazza stessa. La conseguenza è dunque quella di essere titolare di
una responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c.
Ciò non toglie, tuttavia, che il condominio sia tenuto a compiere gli atti conservativi e le opere di manutenzione
straordinaria perché pur appartenendo in proprietà o essendo in uso esclusivo di uno dei condomini, il lastrico solare per
la sua funzione di copertura dell'edificio rientra tra le parti comuni.
Da qui, la regola della ripartizione delle spese è quella dell'art. 1126 c.c.: ossia un terzo a carico del proprietario/
utilizzatore e due terzi a carico di tutti gli altri condomini.
Questo ovviamente in assenza della riconducibilità del danno alla condotta colpevole del proprietario o titolare del
diritto di uso esclusivo. Nel caso in cui, infatti, costui sia l'unico responsabile delle infiltrazioni d'acqua (per via appunto
di una sua condotta colpevole) le spese saranno addebitabili a lui soltanto.

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