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Briciole Italiano L2
Briciole Italiano L2
in collaborazione con
associazione El Mastaba
Briciole
Trimestrale del Cesvot - Centro Servizi Volontariato Toscana
n. 31, Gennaio 2012
Reg. Tribunale di Firenze n. 5355 del 21/07/2004
Direttore responsabile
Cristiana Guccinelli
Redazione
Cristina Galasso
Briciole è il nome che abbiamo dato alle pubblicazioni dedicate agli Atti dei Corsi di Formazione. I volu-
mi nascono da percorsi formativi svolti per conto del Cesvot dalle associazioni di volontariato della
nostra regione i cui atti sono stati da loro stesse redatti e curati.
Un modo per lasciare memoria delle migliori esperienze e per contribuire alla divulgazione delle temati-
che di maggiore interesse e attualità.
Premessa
PREMESSA
Salah Ibrahim, presidente associazione El Mastaba
L’associazione El Mastaba nasce a Firenze nel 2003 con lo scopo di promuovere la co-
noscenza e la diffusione della musica popolare egiziana. Negli anni l’associazione è cre-
sciuta e ha allargato i suoi obiettivi e attività: abbiamo organizzato incontri, seminari, ini-
ziative attraverso cui promuovere la conoscenza della tradizione musicale egiziana, araba
e mediterranea in tutte le sue forme, ma anche laboratori di fiabe e racconti, canto e danza
e poi corsi di lingua araba e di lingua italiana L2 per bambini e adulti.
Una varietà di attività tutte accumunate da un unico obiettivo: promuovere la parte-
cipazione e la socialità, la crescita culturale di tutti, dei nostri soci come dell’intera comu-
nità. Ma c’è di più.
L’esperienza di questi anni ci ha portato a riflettere a lungo su ‘intercultura’ e ‘integra-
zione’ e sui tanti approcci ‘rassicuranti’ che vengono intrapresi da enti e istituzioni. Uno
esempio fra tutti: tradurre un depliant di un qualsiasi servizio in due o tre lingue, se possibi-
le con alfabeti diversi dal latino ad es. il cinese o l’arabo, e con ciò pensare “ecco, siamo una
società interculturale”, quando invece quel depliant tradotto è un semplice atto dovuto
che ha lo scopo di facilitare ad un cittadino non italofono l’accesso ad un servizio. Niente
più di questo.
Come ci mostrano anche Alan Pona e Franca Ruolo, l’apprendimento e l’uso di una
lingua L2 sono questioni assai complesse, continuamente attraversate da condizionamenti
e pregiudizi. Per me e per quanti non sono italofoni, l’italiano è sì una seconda lingua ma,
come dicono le leggi e l’esperienza, è la lingua che mi permette di frequentare la scuola, di
lavorare, di conoscere e partecipare alla vita della città e del territorio in cui vivo.
Apprendere una lingua L2 è una questione che va ben oltre la grammatica e la sintassi
perché, come ci spiegano anche gli autori di questo libro, si tratta di pratiche ‘ambigue’ che
si possono trasformare in “politiche di integrazione linguistica forzata”. Altra cosa, invece,
è guardare all’apprendimento e all’insegnamento della lingua L2 come alla costruzione
di significati condivisi nella concretezza dello “stare insieme”, come ben sa chi opera nei
servizi, nel volontariato, nell’associazionismo.
Da qui l’importanza dei facilitatori linguistici e degli insegnanti di L2, il cui lavoro è
davvero efficace se tale è anche la loro formazione. Questo libro si rivolge proprio a loro:
un manuale teorico e pratico che nasce sul campo e propone, capitolo dopo capitolo, un
percorso multidisciplinare di formazione ma anche di consapevolezza.
Fin dall’introduzione Alan Pona e Franca Ruolo ci spingono a riflettere in modo critico sul-
le figure di insegnante/apprendente, sulle metodologie didattiche e sugli stereotipi che
spesso ci portiamo dietro quando parliamo di lingue e culture. E ci invitano soprattutto
3
a non dimenticare che le classi L2, come le nostre città, sono ‘pluringue’ e in quanto tali
sono luoghi di incontro e scambio fra esperienze di apprendimento che vanno ben oltre
le pretese del verbo insegnare.
Ringrazio dunque gli autori di questo libro e tutti coloro che l’hanno reso possibile.
4
Introduzione
INTRODUZIONE*1
Due anni di lavoro di formazione, di incontri e scontri con insegnanti e di apprendimen-
ti reciproci, costituiscono il terreno su cui si basa questo lavoro. La pubblicazione di questo
materiale, vissuto e mutevole, fluidamente aperto – ci è sembrato – alle contestazioni e
agli apporti di tutti i partecipanti, vuole essere a sua volta una visione critica della glotto-
didattica delle università, per turbarne e complicarne le certezze esibite.
La glottodidattica, quella dei manuali divulgativi e più consultati, è lontana dagli ap-
prendenti, persino da quegli apprendenti europei e universitari cui dichiaratamente (e, di-
remmo, con selezione classista) si rivolge. In questa sede, la convinzione che l’apprendente
di italiano L2 debba apprendere la lingua e la cultura italiana, idea su cui si plasma una
percentuale molto alta di materiali didattici per studenti stranieri, viene respinta perché
chi studia la lingua è ridotto a mera/o rappresentante di tradizioni e folklori, immagina-
ti da chi domanda e propone attività didattiche con la convinzione che siano intercul-
turali. L’emergere di una terminologia relativa alla “cultura”, quella delle cose tipiche che
recintano le persone, immaginandone come geograficamente connotati persino gli stili
di apprendimento, è una modalità che fa assurgere a rango di scienza la chiacchiera da
bar. Un’operazione pericolosa per la sua portata discriminatoria, che slitta costantemente
verso lo stereotipo, e lascia ben poco spazio all’apprendente, costringendolo a percorrere
strade programmate da chi si ritiene facilitatore di lingua. Questo modello di insegnante
regista, maestro delle tecniche glottodidattiche, esperto di lingua e abile intuitore dei bi-
sogni dell’apprendente, che prende le distanze da quell’insegnante della tradizione scola-
stica, autoritario e trasmissivo, si rivela perfettamente coincidente con il vecchio modello
che critica. La sua abilità consisterebbe anche nel saper usare varie tecniche glottodidatti-
che, una sorta di espediente creativo tramite cui il facilitatore riuscirebbe ad alleggerire il
“peso” del fare grammatica, a sviluppare le abilità dell’apprendente e a farle/gli acquisire
regole, motivandola/lo e facendola/lo sentire soggetto del proprio apprendere.
* Dedichiamo questo volume ai nostri studenti, che sempre ci spiegano come va il mondo.
5
il lettore sarà dunque tentato probabilmente di spaziare qua e là nel testo. Lo faccia. Lo
abbiamo fatto anche noi, che in fase di scrittura, pur trattando ciascuno la propria sezione,
ci siamo ritrovati più volte a intrecciare discorsi e parole.
L’argomento che trattiamo, l’apprendimento dell’italiano L2 nella classe plurilingue, si
coniuga in modo proficuo all’osservazione sul campo, dove l’osservatore e l’osservato mu-
tano reciprocamente il loro sguardo, secondo ottiche pluriprospettiche. Ecco perché, nella
prima parte del testo, la presenza di schemi, frutto della ricerca di linguistica applicata,
deve essere solo uno strumento guida che non cerchi mai di ridurre la particolarità dell’ap-
prendente alle generalizzazioni da laboratorio. Ed ecco anche perché, nella seconda parte,
risulta inevitabile una critica alla glottodidattica, che estrapolando da discipline scientifi-
che, spesso, a nostro avviso, ha edificato discorsi sulla lingua, sulle relazioni e sulla cultu-
ra, evidentemente pseudo-scientifici. Ci riferiamo, ad esempio, ad affermazioni smentite
dalla linguistica, dall’antropologia, dalla pedagogia, discipline alle quali attingiamo diret-
tamente e che presentiamo nel testo, corroborate dall’esperienza umana e professionale.
In altre parole, come dice Leonardo Piasere, “l’esperienza per immersione ‘ti salva’ dagli
accessi delle ipotesi deduttive, per lasciare ampio spazio di manovra all’empiria induttiva
del quotidiano”.
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PARTE PRIMA
L’italiano e l’acquisizione dell’italiano come lingua seconda
Ricadute didattiche nella classe plurilingue
di Alan Pona
Capitolo I -Terminologia introduttiva
CAPITOLO I
Terminologia introduttiva
1. Laboratorio
Imparare/acquisire
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Facilitatore linguistico/mediatore linguistico-culturale
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Apprendente/studente
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Capitolo I -Terminologia introduttiva
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Ecco una breve definizione dei termini che useremo nel nostro percorso labo-
ratoriale: imparare ed acquisire, lingua seconda (L2) e lingua straniera (Ls). Daremo,
inoltre, una definizione anche dei termini insegnante/facilitatore linguistico ed ap-
prendente1, confrontandoli con i più noti insegnante e studente.
La prima coppia di termini fa riferimento al primo “postulato” krasheniano2 (le-
arning vs. acquisition3), che specifica la differenza sostanziale tra i due processi: il
primo è un processo consapevole che mette in gioco memorie dichiarative4 e co-
noscenze esplicite; il secondo è un processo subconscio che mette in gioco so-
prattutto memorie non dichiarative (tra queste, memorie di tipo procedurale5) e
conoscenze implicite a lungo termine6. Risulta interessante, a questo proposito, la
definizione di Stefano Rastelli dei diversi “domini” che caratterizzano il processo di
apprendimento/acquisizione della seconda lingua7:
gli esiti del processo di acquisizione della seconda lingua sono ascrivibili
a tre domini nettamente separati: quello del “sapere”, del “saper fare”, e
infine del “conoscere” la seconda lingua. Dal punto di vista del cervello
che apprende, esistono – e fino ad un certo punto hanno una vita anche
indipendente – una competenza (rappresentazioni grammaticali e stati-
stiche), una capacità (processing) e infine anche una conoscenza (metalin-
guistica) della seconda lingua. (Nuzzo-Rastelli 2011: 43)
1 Si veda Masciello (2009 [2006]) per una definizione dei termini in questione.
2 Si rimanda al capitolo 3 sull’acquisizione delle lingue seconde per una puntuale trattazione della proposta di
Stephen Krashen.
3 In Italia, si è tradotto learning con ‘apprendimento’. Noi preferiamo, per chiarezza e per risolvere alcune
ambiguità derivanti dall’uso del termine apprendente, tradurre in questa sede learning con ‘imparare’. Per un
approfondimento dei motivi della nostra scelta, rimandiamo alla nota 15, più avanti.
4 L’espressione memoria dichiarativa rimanda alla possibilità di recupero verbale consapevole dei contenuti
della memoria stessa.
5 Le memorie di tipo procedurale corrispondono a quelle conoscenze acquisite in modo inconsapevole e che
permettono di eseguire procedure in modo automatico.
6 Per un approfondimento del rapporto tra memorie e linguaggio si vedano, tra gli altri, Aglioti-Fabbro (2006),
Fabbro (2004) e Marini (2008).
7 Per quanto riguarda il ruolo delle memorie nell’acquisizione della L1, riportiamo, qui di seguito, quanto scritto
da Marini (2008), che, rifacendosi agli studi di Franco Fabbro, sostiene: “si ritiene che nel corso del suo sviluppo
cognitivo […] il bambino acquisisca le competenze morfosintattiche e sintattiche in modo inconsapevole
grazie al sistema della memoria procedurale, e le competenze semantico-lessicali in modo consapevole
facendo ricorso alla propria memoria dichiarativa” (Marini 2008: 99).
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Capitolo I -Terminologia introduttiva
Burt-Krashen 1982: 11). Per Krashen la differenza tra i due processi è così netta che
non ci sarebbe collegamento tra i due né passaggio dal livello di conoscenza conscia
a quello di conoscenza inconscia.
Veniamo adesso alle altre coppie terminologiche dell’attività laboratoriale di cui
sopra. L’attenzione che poniamo alle nozioni di apprendimento (inteso come il pro-
cesso dell’imparare) e di acquisizione ci permette di rivedere i termini insegnante e
studente e di scegliere, all’interno del nostro lavoro, i termini insegnante/facilita-
tore linguistico ed apprendente, convinti come siamo che debba essere rivisto ogni
tipo di approccio/metodo glottodidattico che si incentri sulla figura dell’insegnan-
te come protagonista indiscusso di un processo di insegnamento/apprendimento
inteso come trasmissione di conoscenza. Come sostiene Anna Ciliberti,
Per quanto concerne la distinzione tra lingua seconda (L2) e lingua straniera (Ls),
riprendiamo le definizioni in Faso-Pona (2011):
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si fanno più forti laddove si voglia parlare di questioni relative alla glottodidattica.
Passiamo adesso ad una possibile definizione di approccio induttivo nei processi
di apprendimento. Attraverso l'approccio induttivo, l'insegnante ha il compito di
stimolare l'apprendente a formulare ipotesi sull'oggetto della conoscenza. Le ipo-
tesi formulate non sono da considerarsi errori, ma indicano che l'apprendente sta
riflettendo in modo coerente sul proprio modo di appropriarsi alla realtà che sta
studiando. Grazie a questa competenza, l'apprendente costruisce/de-costruisce le
proprie ipotesi e ne riformula di nuove. L'approccio induttivo si rivela uno stru-
mento efficace nel processo di apprendimento poiché lontano dall'idea che vi sia
un sapere trasmesso dall'insegnante agli apprendenti, secondo la vecchia immagine
che concepirebbe le teste degli apprendenti come imbuti in cui versare contenuti
nozionistici. L'insegnante è dunque colei o colui che crea possibilità per l'interazio-
ne in classe: si impara se, vivendo insieme agli altri, si accetta l'esistenza di differenti
interpretazioni della realtà prodotte da ciascun individuo. In tal senso, l'induzio-
ne è un approccio che stimola l'impiego di una didattica conversazionale (cfr. Freire
2004, Perticari (a cura di) 2005 [1996]) e induce ad accogliere una visione pluripro-
spettica del mondo.
Tutte queste etichette descrittive che si usano per comprendere le specifiche
situazioni di insegnamento/apprendimento delle lingue potrebbero far pensare a
situazioni dai confini netti. In realtà, come puntualizza Rosa Pugliese,
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
CAPITOLO II
Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
1. Laboratorio
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Quali sono le varietà dell’italiano? Che cosa è la varietà standard? Che cosa sono i dialetti?
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ITALIANO STANDARD
4 D Mica possiam venire, eh.
LETTERARIO
ITALIANO INFORMALE
8 H Ci dico che non potiamo venire.
TRASCURATO
Vogliate prendere atto
9 ITALIANO GERGALE I dell’impossibilità della venuta dei
sottoscritti.
Risposte: ___________________________________________________________________
8 Liberamente tratto da: Berruto, G. (1993), Le varietà del repertorio, in Sobrero A. A. (a cura di), Introduzione
all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza.
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
- Asse diastratico: dal polo alto (in alto) al polo basso (in basso);
- Asse diafasico: dal polo formale-formalizzato (in alto a sinistra) al polo in-
formale (in basso a destra).
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7. it. formale aulico
9. burocratico
... ...
(CENTRO)
1. it. standard
letterario
2. it. neo-standard
(= it. regionale colto medio) (Asse diamesico)
(Sub-standardità)
4. it. regionale
popolare
...
...
(Asse diafasico):
(Sottocodici Registri)
(PERIFERIA)
5. it. informale
trascurato
(Asse diastratico) 6. it. gergale
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
LABORATORIO
Leggere i periodi che seguono: come possiamo descriverli dal punto di vista
linguistico?10
Allora mi è venuto da pensare una cosa che ultimamente ogni tanto mi vien da pensarla [...]
descrizione:
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Dopo qualche anno mi sono accorto che a me, l’automobilismo, mi fa venir sonno.
descrizione:
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[...] Come in generale i turisti in tutte le parti del mondo dove ci vanno a dare fastidio.
descrizione:
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Cosa vuoi che sappiano la televisione di Roma quel che succede a Parma.
descrizione:
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Io adesso, non solo Reggio Emilia, io non sono mai andato nel Museo Morandi [...]
descrizione:
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[...] Non è un lavoro che si procede dal certo verso l’incerto [...]
descrizione:
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L’impero austroungarico una delle sue caratteristiche che durante la settimana gli
uomini andavano al bar [...]
descrizione:
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Cioè praticamente questo libro vien fuori per via che nel nuovo millennio postim-
pero austroungarico che ci siamo dentro [...]
descrizione:
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
[...] E gli ho chiesto ma cosa è successo, davvero, nel 1960, a Reggio Emilia?
descrizione:
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[...] Per lui era come se era una cosa che era successa in Sud America [...]
descrizione:
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[...] Gli avevo detto io a Al’bin e lui No no, mi aveva detto [...]
descrizione:
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[...] La piazza dei commerci un po’ equivoci di San Pietroburgo che c’è in tanti romanzi di
Dostoevskij che adesso ci han messo un arredamento urbano che sembra una pizzeria [...]
descrizione:
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[...] Il momento che uno legge [...] È un momento che magari nel mondo non succe-
de niente di speciale [...]
descrizione:
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[...] Però quello lì è un libro che se lo leggi nel momento buono, non so come dire.
descrizione:
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
Sarebbe utile, a questo punto, avviare una riflessione sulle varietà dell’italiano
(italiano standard o normativo, italiano neostandard o dell’uso medio, italiano re-
gionale, italiano popolare o dei semicolti) e sulle caratteristiche che lo standard
impone alla lingua dei propri parlanti nativi.
Le varietà normative tendono a incamerare riflessioni di tipo logico, che poco
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hanno a che vedere con la lingua come sistema umano innato autonomo prodotto
della facoltà del linguaggio. Non solo, le varietà standard tendono a caratterizzarsi
come prodotti storici in cui la componente sociale interviene in modo massiccio su
libere scelte linguistiche.
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
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4. Fiore di maggio
LABORATORIO
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
Fiore di maggio
Fabio Concato (1994)
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5. La sintassi della frase
LABORATORIO
Immaginare che gli enunciati a destra siano risposte a possibili domande. Quali po-
trebbero essere queste domande?
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
LABORATORIO
Dislocazione a sinistra
2 B Franca gli ha dato una caramella, a Guido.
con tematizzazione
Dislocazione a destra
3 C Guido, Franca gli ha dato una caramella.
con tematizzazione
Topicalizzazione/
7 G È a Guido che Franca ha dato una caramella.
Focus contrastivo
Risposte: ___________________________________________________________
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LABORATORIO
Usando le parole in ordine sparso, qui di seguito, rispondere alla domanda: che cosa
è successo?
1.
I
ARRIVATI
NONNI
SONO
2.
HA
EDOARDO
LETTO
MAIL
UNA
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
L’ordine della frase non marcata si caratterizza, generalmente, per una coinci-
denza dei tratti sintattico, semantico e pragmatico: si ha, generalmente, soggetto-
tema11-dato alla sinistra e predicato-rema12-nuovo alla fine.
Esempio. Franca ha dato una caramella a Guido.
Presentiamo qui di seguito le frasi con ordine marcato: la dislocazione a sinistra, il tema
sospeso, il tema libero, la dislocazione a destra, la topicalizzazione ed infine la frase scissa.
11 Il tema, nella grammatica del discorso, è ciò di cui si parla, l’argomento dell’enunciato, o meglio ancora
l’informazione accessoria che facilita la comprensione del rema. Il tema tende a trovarsi alla sinistra degli
enunciati. Esempio. I nonni sono arrivati.
12 Il rema, nella grammatica del discorso, è quella parte dell’enunciato che ne realizza lo scopo informativo. Il
rema tende a trovarsi alla destra degli enunciati. Esempio. I nonni sono arrivati.
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I costituenti dislocati possono essere pronunciati con una pausa intonativa dal
resto della frase. La virgola serve ad indicare tale pausa.
La dislocazione a sinistra prende il posto, nel parlato spontaneo, delle costruzio-
ni passive, tipiche di registri più formali della lingua: entrambe le strutture permet-
tono, infatti, di spostare in prima posizione elementi diversi dal soggetto.
Esempio. I ragazzi hanno rotto la finestra.
La finestra è stata rotta dai ragazzi.
La finestra, l’hanno rotta i ragazzi.
Il tema libero prevede elementi alla sinistra della frase non legati sintatticamen-
te al resto della medesima. Sarà il contesto linguistico ed extralinguistico ed il siste-
ma di conoscenze dell’ascoltatore (nonché lo “spazio” comunicativo condiviso da
parlante/ascoltatore) a permettere la decodifica e la comprensione del messaggio.
Esempio. Guido, Franca deve comprare altre caramelle.
La dislocazione a destra presenta costituenti dislocati alla fine della frase che si
riferiscono a qualcosa ritenuto dal parlante dato come tema del discorso. Anche in
questo caso la funzione pragmatica di questo ordine marcato è la tematizzazione di
alcuni elementi della frase.
Esempio. Franca gli ha dato una caramella, a Guido.
Accanto a questi usi della dislocazione a destra, ne esistono altri in cui la frase
non è marcata né dal punto di vista sintattico né da quello pragmatico. In questi
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
La topicalizzazione pone un costituente alla sinistra della frase, non come te-
ma-dato ma come elemento nuovo. Per la topicalizzazione, si parla generalmente
di focus contrastivo perché il rilievo del costituente dislocato implicitamente od
esplicitamente richiama il contrasto. Per indicare il focus, si usa convenzionalmente
il maiuscolo.
Esempio. A GUIDO, Franca ha dato una caramella (non a Luigina).
La frase scissa si costruisce tipicamente attraverso strutture del tipo è x che (op-
pure con una preposizione è a x che…, ecc.) ed ha la funzione pragmatica di mettere
in rilievo o enfatizzare un elemento della frase anche in termini di contrasto più o
meno esplicito.
Esempio. È a Guido che Franca ha dato una caramella.
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6. Punti di crisi dell’italiano contemporaneo
Presentiamo qui di seguito alcuni fenomeni della lingua italiana tipici dello stile
spontaneo. Cercheremo di offrire una descrizione adeguata dei suddetti fenomeni
per allontanare il sospetto che tali deviazioni dalla norma libresca suscitano nei
parlanti scolarizzati.
6.1 A me mi
LABORATORIO
A me piace…
Mi piace…
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
6.3 Lui/egli
Nell’italiano dell’uso medio (Sabatini 1985) o neostandard (Berruto 1987) o italia-
no tendenziale (Mioni 1983), i pronomi lei, lui, loro sono le normali forme di 3a per-
sona (vd. anche Vanelli 1999). Questo dipende dalle caratteristiche intrinseche dei
suddetti pronomi e dalle posizioni da essi occupate all’interno della stringa frasale.
Si prenda la frase del fiorentino: Maria la va al mercato.
Il sintagma referenziale (Maria) si può trovare o in posizione periferica di frase (vd.
Poletto 2000 per una possibile trattazione del soggetto preverbale come SpecC) o
in una posizione della frase più alta rispetto a quella del soggetto morfosintattico
(vd. Cardinaletti 2004); il pronome clitico (la) è il vero soggetto morfosintattico.
Potrebbero così trovare una possibile spiegazione diversi fenomeni come, per esem-
pio, l'uso frequente di lei/lui al posto di ella /egli nell’italiano contemporaneo:
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essi occuperebbero, infatti, posizioni diverse all’interno della frase e non sarebbero
associabili solo ai diversi registri della lingua.
Rimandiamo alla Sintassi italiana dell’uso moderno di Raffaello Fornaciari per
una descrizione del fenomeno dell’uso delle forme pronominali oggettive al posto
delle soggettive nell’italiano del XIX secolo (Fornaciari 1881: 39). Si vedano, inoltre,
Cardinaletti (2004) e Rizzi (2005), per una accurata trattazione delle posizioni sog-
getto nella frase. Si veda, infine, Sabatini (1990) per una interessante trattazione
dell’uso di lui con funzioni di tema e rema e di egli come “mera ripresa anaforica,
quando si voglia evitare la ripetizione nominale e, nello stesso tempo, si ritenga
inopportuna l’ellissi, casi che si presentano, ovviamente, quasi soltanto nelle scrit-
ture formali” (Sabatini 2011 [1990]: 97).
Qui di seguito, si illustrano casi in cui l’uso di lei/lui risulta obbligatorio pena la
grammaticalità della frase.
Chi è stato? Lui. Io e lui. È venuto lui. È lui. Solo lui. Proprio lui.
*È venuto *Proprio
Chi è stato? *Egli. *Io e egli. *È egli. *Solo egli.
egli. egli.
In italiano standard, il pronome clitico gli esprime a lui in frasi del tipo Gli ho
dato un calcio (‘Ho dato un calcio a lui’).
Nelle diverse varietà dell’italiano, gli viene usato per esprimere a loro/loro in
frasi del tipo Gli ho dato un calcio (‘Ho dato loro un calcio).
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Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
LABORATORIO
Osservare le frasi qui sotto
Mi dice…
Ti dice…
Le/gli dice…
Ci dice…
Vi dice…
Dice loro…
In che cosa consiste la differenza del pronome LORO rispetto agli altri pronomi ita-
liani cosiddetti dativi?
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in frasi del tipo Gli ho dato un mazzo di fiori (‘Le ho dato un mazzo di fiori’).
All’interno dei pronomi combinati (me lo, te la, ce le ecc.), l’unica forma possibile di
terza persona singolare/plurale e maschile/femminile è la forma gli: gliela, gliele,
glielo, glieli.
In latino, esisteva un’unica forma per a lei/a lui: ILLI e una forma, ILLIS, per a loro. Da
queste forme deriva il nostro gli.
L’uso di ci
L’uso di ci per esprimere il dativo al posto di gli/le/loro dell’italiano standard si
trova in molte varietà della penisola italiana: in molte varietà linguistiche meridio-
nali-insulari e settentrionali.
La lessicalizzazione, nelle diverse varietà dell’italiano, del dativo tramite clitico
locativo di tipo ci (es. Ci do un libro ‘Gli/le do un libro’) è stata oggetto di numerosi
lavori, tra i quali suggeriamo i lavori di Monica Berretta (1985a, 1985b) e di Manzini-
Savoia (2005, 2007, 2008). L’interpretazione dativa di ci proviene dalla sua seman-
tica di locativo direzionale: quando usiamo ci in frasi del tipo Ci do un libro stiamo
esprimendo la posizione finale dell’oggetto (nel nostro esempio un libro) alla fine
dell’evento. Niente di “illogico” od “irrazionale”.
38
Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
a.Allora mi è venuto da pensare una cosa che ultimamente ogni tanto mi vien da pensarla [...].
c. [...] Non è un lavoro che si procede dal certo verso l’incerto [...].
d. Cioè praticamente questo libro vien fuori per via che nel nuovo millennio postimpero au-
stroungarico che ci siamo dentro [...].
e. [...] La piazza dei commerci un po’ equivoci di San Pietroburgo che c’è in tanti romanzi di
Dostoevskij che adesso ci han messo un arredamento urbano che sembra una pizzeria.
f. [...] Il momento che uno legge [...] È un momento che magari nel mondo non succede niente di
speciale [...].
39
7. Alcune citazioni
40
Capitolo II - Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche
8. Possibili conclusioni
Non esistono errori all’interno delle varietà della lingua, come non ci sono
errori nelle varietà degli apprendenti stranieri di italiano L2. Ogni varietà è rego-
lata dalla nostra grammatica interna, la cosiddetta Grammatica Universale, che è
espressione della Facoltà di linguaggio di cui tutti gli uomini sono dotati sin dalla
nascita, universalmente.
I dialetti e tutte le varietà della lingua sono lingue vere e proprie in cui tutto tiene.
Ascoltiamo, quindi, gli apprendenti perché la loro è una lingua splendida, libera
espressione della nostra Grammatica Universale.
41
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
CAPITOLO III
L’acquisizione delle lingue seconde
LABORATORIO
Leggere il seguente testo autentico scritto da un apprendente di italiano come L2 e
descriverlo
Descrizione:
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Raphael
studente universitario brasiliano (veterinaria)
32 anni
da quattro mesi in Italia (Bologna, Firenze)
cerca possibilità di stage formativo in un ippodromo
44
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
T
cinese
da 4 anni in Italia
Descrizione:
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io penso così quanti trovato molto bene stare qui va bene
1) trovato:
il participio passato compare abbastanza presto nelle varietà di apprendimento per
indicare l’aspetto perfettivo, con verbi telici e puntuali. Spesso questo aspetto si
lega ad eventi non passati come nel caso di cui sopra.
2) stare qui:
gli infiniti che registriamo nelle varietà di apprendimento sin dalle prime fasi pos-
sono essere considerati o forme basiche del verbo (così come le forme sovraestese
del presente) o forme con sfumature aspettuali che esprimono la non effettiva col-
locazione dell’evento in questione in un preciso punto temporale.
Riflessione
Gli italiani, generalmente, non sono abituati a riflettere sull’aspetto verbale13 perché
la scuola pubblica li addestra all’individuazione del tempo verbale e solo su di esso
si sofferma, spesso, la riflessione metalinguistica.
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Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
LABORATORIO
Formulare una definizione personale delle seguenti espressioni
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Varietà di apprendimento (Klein – Dittmar 1979; Klein – Perdue 1992, 1997; Giacalo-
ne Ramat 1993; Andorno 2006a, 2006b):
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2.1 Le varietà degli apprendenti: alcune definizioni possibili
INTERLINGUA
Larry Selinker
Un sistema linguistico a sé stante [...] che risulta dal tentativo
(vd. Selinker 1972) di produzione da parte dell’apprendente di una norma della
LO [lingua obiettivo, lingua target].
SISTEMA APPROSSIMATIVO
48
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
VARIETÀ DI APPRENDIMENTO
L’alternativa alla prospettiva della deviazione da una lingua
target è di considerare la produzione dell’apprendente in ogni
dato momento come una manifestazione immediata della sua
capacità di parlare e di comprendere: la forma e la funzione di
tali enunciati sono governate da principi e questi principi sono
caratteristici della facoltà del linguaggio.
I primi tentativi in questa direzione si riflettono in nozioni
quali interlingua (Selinker), sistemi approssimativi (Nemser)
e nozioni correlate. Tuttavia queste nozioni si basano ancora
sull’assunzione che ci sia “la cosa reale” – la lingua target
e, similmente, la lingua di partenza -, e che ci siano sistemi
intermedi, o meglio sistemi che mancano la “la cosa reale” per
Wolfgang Klein poco. La prospettiva che ho in mente – la prospettiva delle
varietà di apprendimento – è alquanto più radicale.
(vd. Klein 1998)
[…]
49
L’interlingua è un insieme di varietà di lingua che si collocano
nel continuum che va dalla lingua di partenza alla lingua di arrivo
(lingua target): è un sistema linguistico in continua evoluzione,
Anna Giacalone Ramat organizzato sulla base di una “grammatica” specifica, cioè di
un sistema di regole (relative alla fonetica, alla fonologia,
(vd. Giacalone Ramat
morfologia ecc…) che l’apprendente “costruisce, elabora”, a
1993, 2003)
partire dalle caratteristiche dell’input (cioè “campioni” di
lingua target. Si può parlare di una vera e propria “costruzione
della grammatica”).
(vd. Pallotti 1998) Sistema linguistico elaborato dall’apprendente che risulta dai
tentativi di produrre una norma della lingua di arrivo.
(vd. Andorno 2006a) 1. Questo non significa che l’interlingua non sia una lingua che
“si serve” anche di strutture proprie della lingua di partenza e
di arrivo (anche se, specie nelle prime fasi di ricerca sulle lingue
seconde in prospettiva di interlingua, sono state adottate
anche prospettive “radicali” che escludevano specialmente il
peso della lingua di partenza), ma significa piuttosto che non
è sulla base della grammatica di queste lingue che l’interlingua
è organizzata.
50
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
Interlingua
Sistema linguistico di natura instabile che il discente di una L2
costruisce dai dati della L2 cui è esposto. La denominazione
risale a Selinker (1972). significato analogo hanno le
espressioni: “dialetto idiosincratico” (Corder 1971) e “sistema
approssimativo” (Nemser 1971). La lingua del discente viene
Anna Ciliberti (1994)
denominata “interlingua” nel senso che costituisce una lingua
a mezza via – o, meglio, una lingua che sta in un continuum
– tra la lingua madre e quella straniera, e nel senso che è una
lingua dinamica, che cambia cioè nel tempo, essendo soggetta
a processi di accomodazione ai nuovi dati con cui il discente
viene via via a trovarsi in contatto.
Gloria Cocchi
Mariangela Giusti In nessuno dei casi che precedono, infatti, si può parlare di una
arbitraria e imprevedibile deviazione dalla norma. Al contrario
Maria Rita Manzini ciascun fenomeno riflette possibilità strutturali che sono
disponibili nelle lingue e sono realizzate in alcune di esse [...]
Tiziana Mori i costrutti che affiorano non corrispondono necessariamente
a strutture presenti nella lingua materna del bambino in
Leonardo Maria Savoia questione.
(vd. Cocchi et alii 1996)
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2.2 Riflessioni
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Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
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3. I cinque postulati di Stephen Krashen
1. ACQUISIRE/IMPARARE
2. ORDINE NATURALE DI ACQUISIZIONE
3. TEORIA DEL MONITOR
4. INPUT COMPRENSIBILE e i + 1
5. FILTRO AFFETTIVO
Modello di Krashen:
PERSONALITÀ ETÀ
PRIMA LINGUA
(adattato da Dulay-Burt-Krashen 1982)
54
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
LABORATORIO14
Completare la colonna “Le nostre ipotesi” prima di leggere le pagine seguenti
Il modello di S. Krashen
Acquisire /
Imparare15
Ordine naturale di
acquisizione
Input comprensibile
ei+1
Filtro affettivo
14 Questo percorso guidato alla scoperta del modello proposto da Stephen Krashen nasce dal confronto con
l’amico e collega Edoardo Masciello sull’importanza di un approccio di tipo induttivo anche nei percorsi di
formazione degli insegnanti/facilitatori linguistici.
15 Per la distinzione tra acquisire ed imparare, si rimanda al capitolo 1 sulla terminologia introduttiva. Le
traduzioni italiane della celebre coppia di termini proposta da Stephen Krashen, acquisition/learning,
riportano acquisizione/apprendimento. Un parlante nativo di italiano, tuttavia, non può non avvertire in tali
termini soprattutto le differenze dei due suffissi: “i nomi in -mento indicano a volte un’azione in corso, mentre
quelli in -zione il fatto che ne deriva” (Ambrosini 2002: 88). Noi abbiamo, quindi, preferito, acquisire/imparare,
per mantenere la distinzione originaria tra processo subconscio (acquisizione) e consapevole (imparare), che si
perderebbe, in parte, a nostro avviso, nella traduzione in acquisizione/apprendimento.
55
Il filtro
Il filtro è quella parte del sistema interno di elaborazione che
nel subconscio seleziona l’ingresso della lingua sulla base di
ciò che gli psicologi definiscono “affetto”: i motivi dell’ap-
prendente, le esigenze, le attitudini e gli stati emozionali. Il
filtro sembra essere il primo grosso ostacolo che i dati lingui-
stici in ingresso devono affrontare prima di venire elaborati
ulteriormente. Esso determina: 1) quali modelli della seconda
lingua selezionerà l’apprendente; 2) quali parti della lingua
saranno prese in considerazione per prime; 3) quando do-
vrebbero finire gli sforzi per l’apprendimento della lingua; 4)
quanto rapidamente un individuo può imparare una lingua.
(Dulay-Burt-Krashen 1985: 84)
56
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
Il monitor
Il monitor è quella parte del sistema interno dell’appren-
dente che pare sia responsabile dell’elaborazione linguistica
consapevole (apprendimento).
Quando una persona tenta di imparare una regola leggen-
dola da una grammatica o nel corso di una lezione in cui
l’insegnante la descrive in modo esplicito, la persona è im-
pegnata nell’apprendimento cosciente della lingua. Tutte le
volte che si compie un’elaborazione linguistica consapevole,
l’apprendente fa uso del monitor. Allo stesso modo quando
si esegue un esercizio che chieda attenzione cosciente alla
forma linguistica, o quando si memorizza un dialogo, si com-
pie un’elaborazione consapevole e si fa uso del monitor.
La conoscenza linguistica ottenuta grazie al monitor può es-
sere utilizzata per formulare consapevolmente delle frasi e
per correggere la propria lingua scritta o parlata. La funzione
“correttiva” del monitor entra in gioco quando uno studente
tenta di correggere delle composizioni o delle frasi agram-
maticali nelle parti di un test linguistico, o quando autocor-
regge spontaneamente gli errori fatti durante una conversa-
zione naturale.
[…] Il grado di utilizzazione del monitor dipende almeno da
quanto segue:
1) età dell’apprendente;
2) insieme dell’istruzione formale ricevuta dall’apprendente;
3) natura e attenzione richieste dal compito verbale che si
sta eseguendo;
4) personalità individuale dell’apprendente.
57
Ipotesi dell’input
4. La linguistica acquisizionale16
16 Il presente paragrafo è il frutto di una riflessione laboratoriale di gruppo sulla Letteratura scientifica che fa
capo al Progetto di Pavia e sulle sue possibili ricadute didattiche e non solo nella Scuola; riflessione all’interno
del corso di formazione L’italiano in classe: per una costruzione del curriculum di apprendimento dei minori
non italofoni – intervento di ricercazione, tenuto dagli autori del presente volume durante l’anno scolastico
2010-2011 presso il 2° Circolo di Colle di Val d’Elsa, Firenze. Cogliamo l’occasione per ringraziare di cuore le
insegnanti del corso per il lavoro laboratoriale svolto con noi e per la dimensione umana che hanno saputo
valorizzare.
58
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
17 Per approfondimenti sulla teoria degli stili cognitivi, rimandiamo al cap. 9 del presente volume.
18 Per una trattazione dettagliata delle fasi e dei processi dell’apprendimento dell’italiano come seconda lingua,
rimandiamo a Andorno 2003, 2006a, 2006b.
59
viduali e legati al contesto di apprendimento. Tuttavia è necessario non affrettare
o forzare i tempi: spesso capita che un alunno rimasto silenzioso per tre o quattro
mesi inizi improvvisamente a parlare esprimendosi come gli altri compagni e re-
cuperando i tempi di “attesa” iniziali. Evidentemente è necessario un periodo nel
quale i dati linguistici siano elaborati e sistemati implicitamente dall’apprendente.
Questo periodo, dunque, ha un grosso valore per l’alunno. Il silenzio iniziale ha una
propria funzione nello sviluppo di una seconda lingua.
Nella programmazione è bene prevedere attività che non richiedano subito la
produzione orale da parte dell’apprendente. Il primo periodo di inserimento sco-
lastico, in pratica, dovrebbe essere dedicato all’ascolto e alla comprensione della
nuova lingua, la prima “abilità” a svilupparsi naturalmente anche nell’apprendimen-
to della lingua materna (L1).
Durante questa prima fase, l’insegnante che voglia facilitare e non ostacolare il
naturale processo di acquisizione della lingua seconda si aspetta risposte orali nella
L1 dell’apprendente oppure “risposte fisiche”.
Per concludere, quindi, è bene ricordare che anticipare i tempi non è proficuo:
spingere incessantemente gli apprendenti di italiano L2 a parlare significherebbe
spingerli a compiere passi forzati e questo non faciliterebbe l’apprendimento della
lingua seconda.
Il processo di acquisizione di una lingua segue queste fasi, o varietà:
• varietà iniziali
• varietà basiche
• varietà post-basiche:
◊◊ stadi intermedi
◊◊ varietà avanzate
◊◊ varietà quasi-native
Quindi, nel passaggio tra la prima e la seconda fase si scoprono le categorie grammati-
cali, tra la seconda e la terza fase la varietà di lingua comincia ad utilizzare la morfologia,
nell’ultima si ha un progressivo ampliamento e raffinamento a livello lessicale, sintattico e
di competenza per quanto riguarda i registri comunicativi e le tipologie testuali.
60
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
Ciascuna varietà della lingua possiede una propria dignità. Si usa il termine va-
rietà della lingua per indicare che le lingue non sono blocchi monolitici, ma sistemi
poliedrici con tante facce, ovvero tante varietà linguistiche, al loro interno: ne con-
segue che non esiste una lingua italiana, ma tante lingue italiane19 (vd. Pona 2010).
Se ascoltate e lette con sensibilità, in modo attento e senza pregiudizi, le varietà
linguistiche creano sorpresa, sono poesia, sono espressive e comunicano bellezza.
Le varietà di apprendimento dell’italiano L2 fanno parte integrante del reperto-
rio delle varietà della lingua italiana.
Varietà iniziali20
Le varietà iniziali comprendono i primi tentativi di comunicare. Consistono pre-
valentemente di elementi lessicali e di pochi elementi funzionali e seguono principi
di tipo pragmatico. Ci si esprime usando:
- costrutti fissi e formule, pezzi di lingua non analizzati: comesichiama, nonloso.
- singole parole, che possono designare oggetti, persone, azioni: zio, penna, tavo-
lo, parlare; ma anche intere situazioni: Cina, che vuol dire: ‘In Cina’, o ‘quando ero in
Cina’, o ‘la Cina’, o ‘i cinesi’ o, semplicemente, ‘prima, quando ero piccolo’.
- parole funzione, come io (‘chi parla’); non; basta, finito (‘non devo dire altro’
oppure, abbinato a un verbo ‘ho smesso di …’ o ‘non voglio …’).
- tema iniziale/rema finale: l’argomento di un enunciato è posto all’inizio dell’e-
nunciato stesso, lo scopo informativo alla fine:
- io (tema) parlare italiano bene
- bambini niente (‘non ci sono bambini’)
19 L’Italiano L2 è una varietà linguistica autonoma e specifica caratterizzata, come altre, da tentativi, ipotesi
ed elaborazioni: dei veri e propri esperimenti inconsapevoli e/o consapevoli con la lingua. È una varietà
di apprendimento della lingua di arrivo. Ogni persona apprendente manifesta strategie di apprendimento:
attraverso un’analisi attenta, si possono cogliere le operazioni e i processi utilizzati per comunicare e per
acquisire la nuova lingua.
20 Per una trattazione esaustiva delle varietà di apprendimento, si rimanda, tra gli altri, ad Andorno (2003, 2006a,
2006b), a Chini (2005), e a Giacalone Ramat (1986, 1988, 1993, 2003). Gli esempi illustrati sono, in parte, tratti
dalla copiosa Letteratura che fa capo al cosiddetto Progetto di Pavia, progetto interuniversitario di ricerca
coordinato prima da Anna Giacalone Ramat, poi da Giuliano Bernini e che ha coinvolto molti ricercatori
dell’Italia settentrionale. Le sedi universitarie che hanno partecipato al progetto sono state Pavia, Bergamo,
Milano Bicocca, Torino, Trento, Vercelli e Verona. Base comune dei diversi progetti locali è la condivisa
impostazione teorica di tipo funzionale. Spesso in letteratura si utilizzano termini come “varietà prebasiche”
per indicare le varietà iniziali: noi preferiamo quest’ultima etichetta, convinti che il termine prebasico possa
portare a contraddizioni interne al modello linguistico-comunicativo che seguiamo (come non può esistere,
per definizione di competenza comunicativa, un livello A zero (A0), così riteniamo che non possa esistere una
competenza linguistica osservata come prebasica) e a perniciose discriminazioni.
61
situazionale e discorsivo. Il massimo sforzo di apprendimento è volto al riconoscimento
e alla memorizzazione di vocaboli e alla strutturazione di enunciati. In questa fase – ma
anche nelle altre – il contesto interazionale è fondamentale per l’apprendimento.
Le varietà iniziale e basica sfumano gradualmente l’una nell’altra e paiono ri-
flettere principi organizzativi simili e indipendenti dalla lingua di partenza (lingua
materna) e da quella di arrivo (lingua seconda).
Varietà basiche
La varietà basica è caratterizzata dall’aumento degli elementi lessicali e in parti-
colare di quelli avverbiali. Non esiste ancora invece un uso della morfologia legata,
cioè delle terminazioni delle parole: le parole sono espresse in forme base non
flesse o la cui flessione è priva di valore distintivo.
I nomi non hanno marche di genere e di numero, la parte finale della parola
non ha quindi valore di marca grammaticale. “Ad es., possiamo trovare alternanze di
forme in -o e in -i nei nomi senza che si possa ancora parlare dell’acquisizione della
categoria grammaticale del numero” (Giacalone Ramat 1993: 348).
Il verbo italiano ha in questa fase una forma basica che coincide di solito con
una forma radice o con l’infinito. Infatti compare generalmente coniugato alla ter-
za/seconda persona singolare del presente indicativo ed è utilizzato per esprimere
situazioni diverse nel tempo (Io mangia). Si può trovare anche l’infinito, spesso con
valore modale cioè per esprimere necessità, intenzionalità (Dire basta problema =
“io voglio dire basta ai problemi”).
Il discorso dell’apprendente è organizzato anche sulla base degli schemi valen-
ziali del verbo, il quale, come ogni bravo regista, chiama intono a sé degli attori per
quel piccolo “dramma” che si chiama enunciato. Le frasi si strutturano maggiormen-
te in modo autonomo sulla base di modelli come:
21 L’agente è il ruolo tematico selezionato dal verbo/regista, che corrisponde a colui che compie l’azione.
Esempi. Luigina (agente) mangia gli spaghetti.
Gli spaghetti sono mangiati da Luigina (agente).
Occorre, a questo punto, fare delle precisazioni. La grammatica tradizionale, generalmente, confonde i livelli di
analisi del linguaggio e chiama soggetto “colui che compie l’azione” (l’agente: nozione semantica) o “ciò di cui si
parla” (tema, topic, argomento: nozione che pertiene alla grammatica del discorso). In realtà, il soggetto è una
funzione morfosintattica: in italiano il soggetto accorda con il verbo flesso ed è quindi facilmente individuabile
prescindendo da considerazioni di tipo semantico e/o informativo. Spesso il soggetto grammaticale è anche
agente e/o topic: da qui la confusione che, tuttavia, non deve spingere verso inutili semplificazioni.
22 L’esperiente è il ruolo tematico selezionato dal verbo/regista, che corrisponde a colui che prova un’emozione
62
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
Varietà postbasiche
Nelle varietà postbasiche c’è una graduale acquisizione delle strutture (foneti-
che, morfosintattiche, semantiche, pragmatiche, ecc.) della lingua italiana.
Per quanto riguarda l’aspetto del verbo, compare una prima distinzione nel
modo di esprimere gli eventi in corso, quindi di aspetto imperfettivo, e gli eventi
conclusi, quindi di aspetto perfettivo. In italiano queste due funzioni si realizzano
sulle forme:
o una sensazione.
Esempi. A Luigina (esperiente) piace l’equitazione.
Luigina (esperiente) ama l’equitazione.
Sia l’agente sia l’esperiente sono ruoli semantici, con esiti grammaticali diversi che dipendono dalla scelta del
verbo/regista.
63
menti lessicali (“Cina”, “domani”, “ieri”, ecc.).
In questa fase si consolidano progressivamente gli altri elementi grammaticali,
come si può osservare dalle sequenze acquisizionali che seguono.
presente/infinito > participio passato (anche con ausiliare) > imperfetto > futuro >
condizionale > congiuntivo
23 L’espressione della temporalità nelle varietà deggli apprendenti una qualsiasi L2 tende a procedere da strategie
pragmatiche (legate all’universo del discorso come, per esempio, l’uso dell’ordine cronologico) a strategie
lessicali (l’uso di avverbiali temporali), fino a stategie di tipo grammaticale (l’uso della morfologia verbale).
64
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
5 congiuntivo
4 condizionale condizionale
2a Singolare (SG) Verbi(VB) in -ere/-ire, perché è la stessa forma del presente indi-
cativo > 2a SG NEG > 2a PL > 2a SG Vb –are, perché è una forma diversa dal presente
indicativo > 2a SG ‘di cortesia’ (imperativo di cortesia, congiuntivo esortativo)
pronome anaforico (lui/lei) > articolo (la donna) > aggettivo attributivo (la donna
bella) > aggettivo predicativo (la donna è bella) > participio passato (la donna è arri-
vata)
65
5
participio
passato
4
(la donna è
arrivata)
aggettivo aggettivo
3 predicativo (la predicativo (la
donna è bella) donna è bella)
Sequenza d’acquisizione dei pronomi clitici (Berretta 1986; cfr. Pona 2009a, 2009b):
ci (+ ‘essere’) anche non analizzato > mi dativo > mi riflessivo > si impers/passivante
> si riflessivo > ti > lo flesso (lo>la>li>le) > gruppi me lo/te lo > ci locativale > dativi di
3a > ci/vi di 1a pl. e 2a pl. > ne in gruppi (non analizzato: “non me ne frega niente”) >
66
Capitolo III - L’acquisizione delle lingue seconde
ne partitivo (analizzato: “ne voglio due”) > ne accusativo genitivale (analizzato: “ne
ha parlato la maestra”)> ne locativo (dapprima non analizzato, poi analizzato: “me
ne vado”).
4.4 Riflessioni24
Qual è il ruolo dell’interferenza della lingua materna e delle strategie di appren-
dimento in generale? Qual è il ruolo della Grammatica Universale?
Come spiegare la performance di un apprendente ispanofono che produce frasi
del tipo io fare i compiti tutti i giorni (‘io faccio i compiti tutti i giorni’) o del tipo mi
piacerò andare a Parigi (‘mi piacerà andare a Parigi’)? Sicuramente l’apprendente non
sta facendo ricorso alla L1, lo spagnolo, che presenta caratteristiche strutturali simi-
li a quelle della lingua italiana per quanto riguarda il presente abituale e la struttura
argomentale del verbo gustar ‘piacere’, ma a possibilità generali della Grammatica
Universale (vd. Pona 2009a, 2009b), possibilità altrimenti definite come strategie di
apprendimento (si veda tutta la letteratura che fa capo al Progetto di Pavia).
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24 Si rimanda a VanPatten-Williams (2008) per una presentazione introduttiva delle diverse teorie e dei diversi
modelli dell’acquisizione della seconda lingua e per un confronto dei medesimi su tematiche molto dibattute
quali, per esempio, il ruolo della lingua materna e quello della Grammatica Universale nel processo di
acquisizione della L2.
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Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
CAPITOLO IV
L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
1. Laboratorio
Quando sono stato studente in un corso di lingua…
Quali erano gli aspetti positivi ai fini Quali erano gli aspetti negativi ai fini
dell’acquisizione/apprendimento della dell’acquisizione/apprendimento della
seconda lingua? seconda lingua?
69
Che cosa è la "grammatica"? Quale potrebbe essere una possibile definizione di "grammatica"?
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Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
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71
to a quella imposta nelle scuole: tanto per citarne uno, e non
recente, Manzoni;
72
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
73
no. Questa competenza, inoltre, si integra con attitudini, valori e
motivazioni che riguardano la lingua, le sue caratteristiche, i suoi
usi, fondendosi con la competenza che i parlanti hanno nell’inte-
grare la lingua ad altri codici comunicativi. (ivi: 277-278)
5. Modelli operativi
ATTIVITÀ 1
Scambiamoci delle opinioni.
ATTIVITÀ 2
Leggiamo il testo.
Ecco qui un metodo pratico per imparare una lingua straniera in classe. L’Ass. Vol. Centro
Internazionale Studenti “G. La Pira” segue, fra gli altri, anche questo metodo. Prima di tutto, il
nome: Unità di lavoro/apprendimento. Poi, le fasi che compongono l’unità. Presentiamole.
25 Questa unità didattica è liberamente tratta da Gabbanini-Goudarzi-Masciello-Pona (2010). Le attività 4), 5), 6)
non sono pensate per un percorso di autoformazione rivolto agli insegnanti, ma agli apprendenti di italiano L2.
Abbiamo deciso di lasciare tali attività per mostrare l’intera unità didattica.
74
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
75
Nell’attività di Verifica/Output o Azione si mettono in pratica, fuori dalla classe, le
cose che si sono imparate precedentemente in classe.
ATTIVITÀ 3
Mettiamo in ordine e descriviamo le diverse fasi dell’unità di lavoro/ apprendimento
76
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
ATTIVITÀ 4
Sottolineiamo, nel testo, tutti i verbi e i loro soggetti grammaticali. Osserviamo i
verbi alla terza persona plurale. Quali sono i soggetti?
ATTIVITÀ 5
Quali lingue hai studiato a scuola e come? E qual è il tuo metodo preferito?
ATTIVITÀ 6
Quando si usa “si”? Come si usa?
77
Gabbanini-Goudarzi-
Masciello-Pona
Unità di lavoro
(2010),
Unità didattica
Unità di
centrata sul testo UdL
Ci siamo! Apprendimento
Comunicare, (Balboni 2002) (Vedovelli 2002) (Pierangela Diadori
interagire, 2009)
contaminarsi con
l’italiano
Verifica della
Per capire Globalità
comprensione
Attività di
Per cercare Analisi comunicazione sul
testo
Attività di
Per usare Sintesi comunicazione dal Svolgimento
testo
Attività
Per scoprire Riflessione
metalinguistica
78
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
79
L’Attività di verifica/Output o Azione si riferisce, oltre alla possibilità di veri-
ficare formalmente quanto appreso in classe, alla possibilità di misurare fuori dal
contesto classe ciò che l’apprendente ha appreso all’interno del gruppo-classe.
Questo tipo di modello operativo permetterebbe, secondo Balboni (2002,
2008), che riprende le proposte del neurolinguista Marcel Danesi, di sfruttare la
bimodalità e la direzionalità26 del nostro cervello. Citiamo da Balboni (2008):
Benché i suddetti modelli operativi possano, a nostro avviso, avere una loro utili-
tà all’interno del processo di apprendimento/insegnamento di una seconda lingua,
qualora se ne superi la rigidità programmatica che li caratterizza e se ne consideri il
potenziale relazionale all’interno del gruppo-classe, siamo, tuttavia, d’accordo con
quanto affermato da Stefano Rastelli, il quale lamenta la mancanza di studi specifici
con riscontri empirici neurolinguistici sulla “bontà” di certe scelte didattiche e l’uso
di determinati modelli operativi. Occorre precisare che anche i modelli operativi
che abbiamo appena presentato, perché ampiamente utilizzati per l’insegnamento
26 Si veda Danesi (1998) per una trattazione diffusa delle caratteristiche neurolinguistiche dell’apprendimento di
una lingua seconda e per una riflessione attenta sulle possibilità glottodidattiche di tali caratteristiche.
80
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
dell’italiano come L2, in Italia e all’estero, non sono supportati da nessuno studio
specifico che dimostri un significativo rapporto di causa-effetto tra variazioni del
modello operativo e variazioni a livello fisiologico nel cervello degli apprendenti.27
Abbiamo scelto questi esempi perché sperimentati in diversi gruppi classe che
hanno reagito dimostrando creatività ed entusiasmo nell’affrontare dei testi perso-
nali. L’ostentata partecipazione in prima persona dell’insegnante/facilitatore lingui-
stico e la stesura di un testo marcatamente autobiografico ha spinto gli apprendenti
ad una maggiore partecipazione in prima persona e alla produzione di testi per-
sonali. Riteniamo, infatti, che l’autonarrazione non sia un mero strumento didatti-
co, ma una componente fondamentale di riduzione delle distanze in classe e che
sostenga una modalità cognitiva lontana da qualunque forma di categorizzazione,
che si tratti della provenienza dell’apprendente o del suo particolare modo di cono-
scere e apprendere la lingua. Riuscire a raccontare di sé per l’apprendente richiede
specularmente l’attenzione e la preparazione all’osservazione dell’insegnante, che
dovrebbe sempre privilegiare l’aspetto dialogico. La classe ideale può divenire un
micocosmo di avvicinamenti spontanei, in cui “viversi la lingua” coincide con un
modo naturale di parlare di sé. Per tali ragioni, siamo convinti che l’unità didattica
conservi la sua efficacia solo se orientata alla conoscenza reciproca e solo se aperta
a metamorfosi durante il suo svolgimento, ovvero a modifiche provocate dal dia-
logo tra l’insegnante/facilitatore e gli apprendenti, al punto tale che l’idea stessa
di unità didattica talvolta svanisce, lasciando spazio ad una comunicazione fluida e
reale, profonda proprio perché distante dall’artificiosità di attività programmate. Le
unità di apprendimento qui proposte privilegiano pertanto spunti autobiografici,
mai da intendersi come racconti forzati di presunte differenze immaginate dall’in-
segnante/facilitatore (il classico e violento chiedere “da noi è così. Da voi?”) 28. Da
27 “Le ipotesi che si leggono in Danesi (1990) (oggetto di ampia divulgazione) non sono supportate da nessuno
studio di neuroimmagine condotto in una classe (all’epoca le tecniche di neuroimmagine non erano state
ancora inventate)”. (Nuzzo- Rastelli 2011: 39)
28 I capp. 9 e 10 del presente volume sono dedicati ad una trattazione critica del modello di unità didattica
standard (in cui la componente autonarrativa è assente o presente in termini di etnicizzazione), e ad alcune
81
un punto di vista strettamente operativo, l’unità di apprendimento ha inizio con
un brainstorming o una elicitazione sulle espressioni quando ero bambino..., posta
elettronica, il regalo più bello... rispettivamente. Dopo questa prima fase di moti-
vazione, che ha permesso di introdurre l’universo del testo, abbiamo distribuito al
gruppo classe il seguente testo da noi elaborato e di chiara natura autobiografica29.
Lo abbiamo letto insieme ed infine siamo passati alle attività che seguono. Consi-
gliamo di accompagnare tutte le attività che seguono con della musica o dei video
clip selezionati di volta in volta insieme agli apprendenti, contrariamente a quanto
suggerito dalla suggestopedia che vedrebbe nella musica barocca un veicolo privi-
legiato di apprendimento della lingua e che, in realtà, preseleziona “culturalmente”
modelli musicali di tipo eurocentrico30.
82
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
ATTIVITÀ 1
Leggiamo il testo e rispondiamo alle domande:
Chi? .................................................................................................................................................
Dove? .............................................................................................................................................
Come? ............................................................................................................................................
Quando? .......................................................................................................................................
Azione? . ........................................................................................................................................
Perché? ..........................................................................................................................................
83
A Mezzogiorno pranzavo a casa, e, dopo pranzo, volevo tornare al mare.
Ma mia madre mi diceva sempre che non si può stare sulla spiaggia nelle
ore più calde della giornata perché i raggi violetti fanno molto male! Allora
aspettavo le 4 del pomeriggio e poi correvo a tuffarmi nell’acqua.
La sera andavo a fare quattro passi nel centro di Marina di Massa con tutte
le sue bancarelle di libri illuminate. Ovviamente compravo sempre dei libri
perché anche da bambino ero un secchione malefico! Che bei ricordi!
ATTIVITÀ 2
Leggiamo nuovamente il testo e rispondiamo alle domande:
84
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
ATTIVITÀ 3
Sottolineiamo tutti i verbi al passato. Qual è la coniugazione dell’IMPERFETTO?
tu avanti
lei / lui
noi
voi volevate
loro partivano
ATTIVITÀ 4
Che cosa facevi da bambino per le vacanze? Scrivi una breve composizione.
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
ATTIVITÀ 5
Quando si può usare l’imperfetto indicativo?
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
85
Unità didattica per il secondo ciclo delle primarie e i primi anni delle secondarie
IO, AL MARE...
86
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
87
Il mar Ligure, che non è un oceano perché è molto piccolo, è abbastanza
caldo: noi diciamo che è caldo come un brodo!
A Mezzogiorno pranzavo a casa, e, dopo pranzo, volevo tornare al mare.
Ma mia madre mi diceva sempre che non si può stare sulla spiaggia nelle
ore più calde della giornata perché i raggi violetti fanno molto male! Allora
aspettavo le 4 del pomeriggio e poi andavo nell’acqua e nuotavo.
La sera andavo a fare quattro passi nel centro di Marina di Massa con tutte le
sue bancarelle di libri. Ovviamente compravo sempre dei libri perché anche
da bambino ero un secchione! Che bei ricordi!
88
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
ATTIVITÀ 1
1. Dove andava Alan da bambino in vacanza?
_ _____________________________________________________
ATTIVITÀ 2
Cosa facevi quando eri molto piccolo per le vacanze? Scrivi una breve
composizione.
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
89
Unità didattica per giovani-adulti
PER COMINCIARE
ATTIVITÀ 1
Parliamo.
PER CAPIRE
ATTIVITÀ 2
Leggiamo.
ATTIVITÀ 3
Troviamo le affermazioni vere.
90
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
PER CERCARE
ATTIVITÀ 4
Completiamo
91
ATTIVITÀ 5
Completiamo.
Perché?
PER USARE
ATTIVITÀ 6
Scriviamo un testo con massimo 80/100 parole.
L’ultimo regalo che ho fatto alla mia migliore amica o al mio migliore amico…
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
92
Capitolo IV - L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde
PER SCOPRIRE
Attività 7
Completiamo.
A
gli comunica
le comunica
93
Capitolo V - Il quadro comune europeo di riferimento per le lingue
CAPITOLO V
Il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue
Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani
e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho
Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati
e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli
uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.
95
1. LABORATORIO
Il Qcer stabilisce dei criteri generali per definire i livelli di competenza nelle lin-
gue straniere. Qui sotto vengono riportati i sei livelli del Qcer: A1-A2 (basico), B1-B2
(indipendente), C1-C2 (competente).
A1 CONTATTO (breakthrough)
A2 SOPRAVVIVENZA (waystage)
B1 SOGLIA (threshold)31
B2 PROGRESSO (vantage level)
C1 EFFICACIA (proficiency)
C2 PADRONANZA (mastery)
Nella tabella che segue si riporta una sintesi degli indicatori per ciascuno dei livelli
di competenza comunicativa. Abbinare ciascun livello del Qcer ai propri descrittori
di competenza comunicativa.
COMPETENZA COMUNICATIVA
Livello Indicatori
31 “I livelli soglia per le varie lingue – il primo ad essere approntato fu quello per l’inglese […] – specificano quali
sono i mezzi linguistici 'minimi' per affrontare situazioni di uso comune nelle principali lingue occidentali”
(Ciliberti 1994: 215).
96
Capitolo V - Il quadro comune europeo di riferimento per le lingue
Comprende con facilità praticamente tutto ciò che sente e legge. Sa riassumere
informazioni provenienti da diverse fonti sia parlate che scritte, ristrutturando
gli argomenti in una presentazione coerente. Sa esprimersi spontaneamente
in modo molto scorrevole e preciso, individuando le più sottili sfumature di
significato in situazioni complesse.
97
Nella tabella che segue si riporta una sintesi degli indicatori per ciascuno dei livelli
di correttezza grammaticale. Abbinare ciascun livello del Qcer ai propri indicatori di
correttezza grammaticale.
CORRETTEZZA GRAMMATICALE
Livello Indicatori
98
Capitolo V - Il quadro comune europeo di riferimento per le lingue
99
LABORATORIO
Qui di seguito, vengono proposte delle griglie per l’osservazione delle competenze/
abilità linguistico-comunicative in italiano L2. Esse sono ispirate al Qcer, ma riadat-
tate al contesto scuola e all’apprendente.
Associare le quattro griglie di descrizione ai seguenti livelli: livello iniziale, livello A1,
livello A2, livello B1.
LIVELLO… Sì
100
Capitolo V - Il quadro comune europeo di riferimento per le lingue
LIVELLO… Sì
Ricezione
Distingue le lettere dell’alfabeto
singolarmente ma non legge parole complete.
Comprensione
scritta
Comprende brevi testi scritti.
Produzione orale
Produzione
Sa copiare quello che scrivono gli altri in
stampato e/o in corsivo.
Produzione
scritta
Sa scrivere sotto dettatura parole o brevi frasi.
101
LIVELLO… Sì
102
Capitolo V - Il quadro comune europeo di riferimento per le lingue
LIVELLO… Sì
Produzione
Sa raccontare una breve storia.
orale
103
3. Il Qcer e il testo come unità base dell’azione didattica
104
Capitolo V - Il quadro comune europeo di riferimento per le lingue
LABORATORIO
Fare i giusti abbinamenti tra tipologie, funzioni e generi testuali.
istruzioni
dare regole da seguire allegate, regole di
TESTO NARRATIVO
e/o istruzioni per l’uso comportamento,
regolamenti, ricette.
trasmettere pensieri e
sentimenti attraverso poesie, filastrocche,
TESTO DESCRITTIVO
il suono e il ritmo canzoni.
delle parole.
descrivere animali,
lettera, pagina di diario,
TESTO ARGOMENTATIVO persone, cose,
canzone.
ambienti ecc.
105
106
Capitolo VI - La lingua dello studio. la facilitazione e la semplificazione dei testi nella scuola
CAPITOLO VI
La lingua dello studio.
La semplificazione e la facilitazione dei testi nella Scuola
La scuola è quel luogo dove si insegnano cose utili, quelle
cose che il mondo non insegna, sennò non va bene.
1. Alcune premesse
La lingua dello studio presenta delle caratteristiche diverse dalla lingua della
comunicazione. Lo studioso canadese Jim Cummins, dividendo queste diverse com-
petenze ed abilità linguistico-comunicative, introduce nel 1979 la distinzione tra
Calp (Cognitive Academic Language Proficiency) e Bics (Basic Interpersonal Commu-
nication Skills) e sottolinea quanto diversa sia la tempistica per il raggiungimento di
tali competenze ed abilità: almeno 2 anni per il possesso della competenza e delle
abilità comunicative di base e almeno 5/7 anni per la competenza e le abilità della
lingua dello studio (questi, ovviamente, sono solo numeri indicativi: ogni appren-
dente rappresenta un microcosmo di variabili che influenzano i diversi processi di
apprendimento/acquisizione).
33 Per una trattazione sintetica ma puntuale del cosiddetto “vantaggio bilingue”, si veda, tra gli altri, Bonifacci
(2011), dal quale citiamo, qui di seguito:
oggi la maggior parte di studi ha dimostrato che il bilinguismo costituisce […] un
potenziale vettore di migliore efficienza cognitiva. L’ambito nel quale il vantaggio è stato
osservato con maggiore coerenza è quello delle funzioni esecutive: i soggetti bilingui
sono più capaci di inibire le risposte “impulsive” e di controllare più informazioni fra
loro incongruenti. Gli studi più recenti sembrano sottolineare come sia soprattutto
la componente di controllo, e quindi la capacità di inibire informazioni interferenti e
gestire indicazioni incongruenti, a essere il marcatore più significativo che caratterizza
il vantaggio bilingue. […] Essendo competenze centrali per lo svolgimento di molte altre
107
da quanto affermato in più occasioni da Jim Cummins34, e, in Italia, da Marco Mez-
zadri 2011, che parla, al riguardo, di rischio di deficit cognitivo per gli apprendenti
di origine straniera). Il vantaggio di alcuni apprendenti italofoni nell’apprendimento
della lingua dello studio (rispetto agli altri italofoni e agli studenti di origine stranie-
ra), e il loro conseguente successo scolastico, deriva allora non tanto da un maggio-
re sviluppo cognitivo generale degli stessi ma dalla vicinanza di certo linguaggio al
linguaggio della classe media a cui appartengono e il cui ordine la scuola mantiene
e preserva (vd. MacSwan 2000)35.
Occorre, inoltre, liberare la distinzione lingua della comunicazione/lingua dello
studio da giudizi di valore di natura prescrittivista legati a presunte lingue migliori
di altre. Ogni lingua, ogni dialetto, ogni varietà linguistica (per noi tutti sinonimi)
possiedono sistematicamente una propria complessità intrinseca in quanto manife-
stazioni specifiche della Facoltà del Linguaggio, caratteristica biologica della specie
umana. Non ci sono, scientificamente parlando, lingue “buone” e lingue “cattive”,
lingue semplici e lingue complesse36. Lasciamo pure questi discorsi alla chiacchiera
del bar (per un’opinione diversa, si veda Mezzadri 2011).
La scuola richiede ai suoi allievi, a volte ignorando la specifica complessità della
lingua dello studio, la compresenza di queste competenze. Se da un lato la ricerca
scientifica ha dimostrato che gli apprendenti di italiano L2 impiegano naturalmen-
te molto tempo a padroneggiare la lingua dello studio, altre ricerche rivelano che
molte difficoltà per quanto concerne tale lingua e le abilità richieste dalla scuola
sono riscontrabili anche negli apprendenti italiani (Basile et al. 2006). Questo dovreb-
be stimolare a riflettere sull’utilità della facilitazione linguistica all’interno dell’intero
gruppo-classe. Sarebbe auspicabile, quindi, favorire la facilitazione a gruppi nella clas-
se anche attraverso attività cooperative e di tutoraggio. Forse i primi tempi la quantità
operazioni cognitive, sono stati riscontrati effetti positivi anche in altri ambiti (ad es.
flessibilità cognitiva, problem solving) […] Un altro ambito nel quale è stato osservato un
relativo vantaggio in soggetti bilingui riguarda le abilità metalinguistiche […]. (Bonifacci
2011: 39)
34 Ci preme ricordare in questa sede che la nozione di “semilinguismo” (introdotta per la prima volta nel 1962,
all’interno di una trasmissione radio, dal filologo svedese Nils Erik Hansegård), di cui fa largo uso Jim Cummins
nelle sue pubblicazioni (sostituendola, poi, con la nozione di “bilinguismo limitato”), in riferimento alla
supposta mancanza di competenza linguistica di alcuni bambini di madrelingua spagnola negli Stati Uniti, non
ha fondamenti di tipo empirico. Si veda, a tal proposito, Valadez-MacSwan-Martínez (2002).
35 “This middle-class advantage relates not to some presumed superior quality of the oral language of middle-
class children, but to some special alighnment of their particular home experiences and speech registers with
those encountered at school”. (MacSwan 2000: 18)
36 “Considerable research has shown that there simply is no human language or language variety which does not
have complex grammatical structures, or the mechanisms to create new words as new situations arise, or to
make complex meanings explicit by means of language itself”. (MacSwan – Rolstad 2003: 332)
108
Capitolo VI - La lingua dello studio. la facilitazione e la semplificazione dei testi nella scuola
di programma svolto potrà diminuire; questo, tuttavia, a favore della qualità dell’ap-
prendimento e delle emozioni positive associate alla vita scolastica (vd. Fabbro 2004).
In un secondo tempo, questo metodo di lavoro si coniugherà con i tempi frettolosi
della scuola e dei programmi ministeriali armonizzando quantità e qualità.
Per quanto riguarda i termini facilitazione e semplificazione linguistica in riferi-
mento all’abilità di lettura, usiamo il primo per riferirci a tutta una serie di attività
atte a favorire la comprensione del testo scritto. Il testo, scritto nella lingua dello
studio, sarà presentato nella sua veste originaria (quella del libro di testo) e l’inse-
gnante/facilitatore linguistico e, auspicabilmente, tutto il gruppo-classe lavoreran-
no in armonia alla ricerca della decodifica di un messaggio di difficile comprensione.
Si presenta qui di seguito un possibile percorso di facilitazione del testo, sud-
diviso in fasi, che riprende e riadatta le prime due fasi dell’Unità Didattica (Ud)
presentata al cap. 4.
109
Pona 2010). Questa varietà normativa è, quindi, di difficile impiego da parte degli
apprendenti di italiano L2 e l’uso della semplificazione dei testi in una prima fase
può essere di aiuto. In una seconda fase, i testi semplificati dovranno, tuttavia, esse-
re sostituiti dai testi originali facilitati per permettere agli apprendenti di ricevere
input ed acquisire una familiarità con la lingua dei testi di studio.
Sarebbe opportuno, per concludere, non trascurare le attività di facilitazione lin-
guistica all’interno di tutto il gruppo-classe e di fare della semplificazione un utile
strumento sia di riflessione sulla lingua per gli apprendenti italofoni sia di compren-
sione guidata per gli apprendenti di italiano L2. Le attività di semplificazione diven-
tano più efficaci se portate avanti dai bambini/ragazzi, che collaborano a coppie,
a piccoli gruppi, a classe intera, condividendo, elaborando e negoziando significati.
3. Evitare le forme figurate e le espressioni idiomatiche che non siano di uso comune.
Esempio. Nei suoi romanzi, Paolo Nori pone l’accento sulla lingua della quotidia-
nità. > Nei suoi romanzi, lo scrittore Paolo Nori usa la lingua di tutti i giorni.
Tuttavia, quando si introducono nuove parole, è buona prassi offrirne parafrasi e
facilitarne la comprensione.
110
Capitolo VI - La lingua dello studio. la facilitazione e la semplificazione dei testi nella scuola
4. Evitare le nominalizzazioni.
Esempio. La costruzione del Colosseo da parte dei Romani impiegò 8 anni. > I Ro-
mani hanno costruito il Colosseo in 8 anni
Tuttavia, considerando l’importanza delle nominalizzazioni nelle microlingue disci-
plinari, se ne possono introdurre gradualmente alcune importanti (legate però a ter-
mini già acquisiti), facilitando la comprensione globale anche attraverso il contesto,
l’enciclopedia (quello che io so del mondo), e al contempo sollecitando l’attenzione
dell’apprendente alla composizione delle parole.
Esempio. L’altezza del Monte Bianco è di 4810 metri.
Quale parola semplice vi ricorda la parola altezza? Quale parola semplice troviamo
dentro altezza? Come possiamo riscrivere la frase?
Il Monte Bianco è alto 4810 metri.
2.2 Morfosintassi
111
9. Evitare la subordinazione implicita, tendenzialmente polisemica.
Esempio. Sapendo dell’imminente sconfitta del proprio esercito, il sovrano fuggì. >
Il re è fuggito poiché sapeva che il proprio esercito stava perdendo.
Meglio ancora: Il re sapeva che il suo esercito stava perdendo ed è fuggito.
12. Preferire l’uso del presente storico (ma accompagnato da chiara indicazione
temporale) o il passato prossimo/imperfetto rispetto al passato remoto.
Esempio. Cristoforo Colombo arrivò in America nel 1492 > Cristoforo Colombo arri-
va in America nel 1492. > Cristoforo Colombo è arrivato in America nel 1492.
Tuttavia, si può lavorare con gli apprendenti e aiutarli a riconoscere la radice ver-
bale, e la parziale equivalenza tra passato remoto e passato prossimo. Si può, per
esempio, richiedere agli apprendenti di sottolineare tutte le parole che esprimono
azioni, eventi, processi al passato e cercare di ricavarne delle regolarità nel para-
digma. Si può anche richiedere di immaginare quali funzioni specifiche un tempo
come il passato remoto possieda e quali usi lo caratterizzino. Per fare questo, si
può chiedere a tutto il gruppo classe di fare dei piccoli “esperimenti grammaticali”
attingendo alla propria esperienza personale.
13. Usare, quando possibile, una sintassi della frase secondo l’ordine basico Sogget-
to-Verbo-Oggetto.
Esempio. Quello che il poeta vuole esprimere è... > Il poeta vuole esprimere...
14. Evitare incidentali e sintassi troppo frammentata che separi il verbo e i suoi ar-
gomenti l’uno dall’altro.
Esempio. Mario, funzionario di banca, ha deciso, dopo lunga riflessione, di telefona-
re, suo malgrado, al collega Giorgio, da poco trasferitosi in altra sede. >…
112
Capitolo VI - La lingua dello studio. la facilitazione e la semplificazione dei testi nella scuola
2.3 Coerenza/coesione
16. Offrire ridondanza (più sintagmi nominali pieni che pronomi, poche ellissi, ripe-
tere le stesse forme piuttosto che cercare sinonimi).
18. Esplicitare i passaggi tra argomenti con connettivi semplici e frasi di collegamento.
19. Segnalare il passaggio tra diversi argomenti con una paragrafatura adeguata.
113
SECONDA PARTE
L’insegnante apprendente
La pratica etnografica nella didattica dell’italiano L2
di Franca Ruolo
Capitolo VII - Insegnare esige il saper ascoltare
CAPITOLO VII
Insegnare esige il saper ascoltare
(Paulo Freire)
Il titolo è una citazione ripresa da Paulo Freire che, nel descrivere la dinamica del
rapporto insegnante/apprendente, definisce l’ascolto una pratica necessaria e co-
stante, grazie alla quale l’educatore dubita delle proprie certezze e impara a tramu-
tare il parlare all’apprendente unidirezionale e autoritario in un dialogo. La rinuncia
all’addestramento possiede una rilevanza etico-politica: l’insegnante dialogico non
instilla contenuti nella testa degli apprendenti, ma agisce con loro.37 In altre parole,
la didattica conversazionale consente di mantenere una tensione cognitiva costan-
te verso l’oggetto della conoscenza, che è sempre una conoscenza e una compren-
sione più critica del mondo. (vd. Freire 2004, Brighi-Giornelli 2005).
Per sostenere questo cambiamento di sguardi da parte dell’insegnante, l’approc-
cio alla facilitazione della lingua italiana L2, come uno dei luoghi della pratica edu-
cativa, si avvale in questa sede di alcune discipline scientifiche, la linguistica acquisi-
zionale e l’osservazione etnografica. Esse segnano un progresso scientifico rispetto
alle indicazioni della glottodidattica e della pedagogia, ma non costituiscono un
metodo: possono essere invece usate strumentalmente, evitando l’ingabbiamento
metodologico, in quanto nessuna pratica educativa è possibile senza una diffidenza
costante nei confronti delle proprie certezze e una predisposizione alla pluridimen-
sionalità del fare didattica, contro l’assolutizzazione delle idee e l’uso acritico di
metodologie (vd. Freire 2004, 2008, Perticari 2005).
La linguistica acquisizionale costituisce lo strumento scientifico per osservare le
varietà linguistiche di italiano L2 e aiuta l’insegnante ad operare una sorta di rivolu-
zione copernicana nell’approccio alla lingua seconda parlata e vissuta dagli appren-
37 Oggi il rischio per l’insegnante di tornare o rimanere su posizioni autoritarie non è affatto remoto, se si pensa
alla visibilità e ai consensi ottenuti da un libro come Togliamo il disturbo di Paola Mastrocola, che sostiene
il ritorno allo studio nozionistico, contro le proposte pedagogiche di Don Milani e Gianni Rodari. Per una
lettura attenta del libro della Mastrocola, si veda lo scrittore Paolo Nori all’interno del suo blog (http://www.
paolonori.it/ciao).
117
denti, affinché non ne venga forzato e travisato il percorso naturale di acquisizione.
Si accompagna, per questo, ad una pratica etnografica di osservazione, che age-
vola la conoscenza e la relazione all’interno della classe. L’insegnante come etno-
grafo raccoglie dati di qualità, è competente nell’osservare gli imprevisti e flessibile
nell’accogliere i cambiamenti delle proprie ipotesi iniziali, assumendo uno sguardo
critico sul proprio modo di insegnare. La didattica dialogica s’interseca quindi ad
un’autoriflessività che è apprendimento anche per l’insegnante ed implica l’ammis-
sione di poter imparare dai propri apprendenti. (vd. Freire 2008; Perticari 2005).
Questa autoriflessività non coincide con l’interrogativo sul “che ci faccio qui?” (Zo-
letto 2007: 159) con cui l’insegnante avrebbe la pretesa di vivere il senso di estra-
neità dei propri apprendenti. Tale domanda è autoreferenziale e riconduce il fare
della scuola ad un discorso ancora monodirezionato, dove la reciprocità con gli ap-
prendenti è negata e sminuito il loro ruolo di partecipanti (vd. Baroni 2010: 48-49).
Le pratiche di osservazione aiutano a decostruire convinzioni e a costruire relazioni,
che si annodano e si arricchiscono nel quotidiano, opponendosi al bisogno di cate-
gorizzazione da parte dell’insegnante. L’osservatore che guarda e ascolta riconosce
di non essere invisibile e ammette che il suo lavoro non si predispone solo sulla
base dei dati raccolti nello spazio di osservazione, ma anche su quelli provenienti
da modifiche e reazioni suscitate in lui dalle situazioni osservate (vd. De Lauri 2008).
In altre parole, l’insegnante diventa un “apprendista perenne” (Piasere 2010: 55),
un etnografo che riconosce le voci delle molteplici agentività coinvolte nella ri-
cerca, riconfigurando la pratica etnografica a scuola come lo strumento che “rende
possibili analisi e valutazioni più approfondite, più dettagliate e meno predetermi-
nate” (Herzfeld 2006: 204).
LABORATORIO
LEGGERE IL TESTO E SVOLGERE LE ATTIVITÀ
118
Capitolo VII - Insegnare esige il saper ascoltare
Immaginiamo adesso che si verifichino due possibili situazioni dialogiche tra Erne-
sto e l’insegnante. Leggiamo i due dialoghi e le attività seguenti, liberamente tratti
da Marianella Sclavi (2003)38.
119
DIALOGO 1 DIALOGO 2
ERNESTO: Stanno giocando a pallone e lui gli dà un INSEGNANTE: Ci sono dei ragazzi che giocano a
calcio… pallone e succede qualcosa…
INSEGNANTE: Chi è che gioca a pallone? Qual è il ERNESTO: Stanno giocando a pallone e lui gli dà un
soggetto che compie l’azione? calcio e va a finire lì e rompe la finestra.
INSEGNANTE: e perché l’uomo li sgrida?
ERNESTO: Loro!
INSEGNANTE: Chi loro? ERNESTO: Loro la guardano e lui si affaccia e li sgrida
perché l’hanno rotta.
ERNESTO: I ragazzi!
INSEGNANTE: e poi qui i ragazzi scappano?
INSEGNANTE: Bravo, e allora dillo. Bisogna sempre
precisare il soggetto altrimenti chi ti ascolta non ERNESTO: Poi loro scappano e lei guarda fuori e li
capisce. E quanti sono i ragazzi? sgrida.
INSEGNANTE: Chi è ‘lui’? INSEGNANTE: Per esempio facciamo finta che sul
banco tu abbia un telefono e tu chiami una tua
ERNESTO: Uno dei ragazzi! amichetta che è a casa ammalata. Per tenerle su
il morale, le racconti quello che abbiamo fatto in
INSEGNANTE: E allora dillo! Stai iniziando una nuova classe e vuoi descriverle la vignetta. Lei non può
proposizione e di nuovo devi precisare il soggetto. vederla e quindi tu in questo caso devi dirle proprio
Ve l’ho ripetuto tante volte. Allora, uno dei tre tutto, devi essere un po’ pignolo in modo che lei
ragazzi… cosa fa? possa immaginarsi tutti i vari personaggi e quel che
succede. Vediamo se sei un bravo narratore anche in
ERNESTO: Dà un calcio alla palla e va a finire lì. questo caso…
INSEGNANTE: Lì dove? Vedi che non sei preciso? INSEGNANTE: (fingendo di fare un numero in un
Dove va il pallone? immaginario telefono) Ciao Giovanna, come stai?
Quando torni a scuola? C’è qui Ernesto che ti vuole
ERNESTO: Il pallone rompe il vetro. raccontare una storia sulla quale abbiamo lavorato
oggi. (Passa la cornetta ad Ernesto).
INSEGNANTE: Vedi che ti esprimi bene, quando
vuoi? Soggetto, verbo, complemento. Continua così. ERNESTO: Ciao Giovanna…
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Capitolo VII - Insegnare esige il saper ascoltare
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Capitolo VIII - L’illusione di insegnare la lingua
CAPITOLO VIII
L’illusione di insegnare la lingua
LABORATORIO
Quali critiche si potrebbero muovere a metodi e tecniche glottodidattiche, ritenu-
ti efficaci nell’insegnamento dell’italiano L2? Quali sono i punti deboli di queste
proposte?39
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39 Per un esame dei testi di italiano L2, in cui tali proposte vengono adottate, si può far riferimento a Mezzadri-
Balboni (2003, 2005). La maggior parte dei testi di Italiano L2, comunque, presenta una suddivisione in
unità didattiche secondo i modelli proposti da Balboni e Vedovelli. Manuali di base di glottodidattica sono
considerati P. E. Balboni (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse e M. Vedovelli
(2002), Guida all’italiano per stranieri. La prospettiva del Quadro comune europeo per le lingue.
123
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2. Analisi di materiali didattici per l’italiano L2: critica degli stili cognitivi e della
culturizzazione
LABORATORIO
Leggere e riflettere sulle seguenti affermazioni relative agli “stili cognitivi analitico/
globale” (I) e sulle proposte sui “temi culturali” (II) presenti in testi sulla didattica
dell’italiano L2.
I. STILI COGNITIVI
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Capitolo VIII - L’illusione di insegnare la lingua
Riflessioni
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Capitolo IX - Uno sguardo critico sulla glottodidattica
CAPITOLO IX
Uno sguardo critico sulla glottodidattica
40 È diffuso, in glottodidattica, il ricorso al termine cultura. Si veda Balboni (2002), Vedovelli (2002), Scalzo (2004),
127
Questo modello operativo, fortunamente, si è rivelato inefficace nella pratica
quotidana della classe: esso è concepito a prescindere dalle individualità degli ap-
prendenti, nonostante si ammetta l’esigenza di una certa “flessibilità” (vd. Balboni
2002: 100-109).
Ci si chiede quale concetto di flessibilità si possa conciliare con:
Caon-Rutka (2004), che ritengono l’insegnamento della cultura una via per l’integrazione e/o assimilazione.
In merito alla parola integrazione, ricorda Giuseppe Faso:
Ogni volta che ci si sieda a discutere di immigrazione, la maggior parte di chi sta
dall’altra parte del tavolo, quella servita dal microfono, parla di integrazione.
Non se ne rendono conto, i più, ma intendono “assimilazione”. Come si dice
“cultura” o “etnia” e si intende “razza”, si dice “integrazione” e si intende
“assimilazione”. Che stiano qui, alle “nostre” regole, che si adattino; nulla di più
rassicurante, per una fetta (sembra, indecisa) di elettori. (Faso 2008: 76)
41 I termini civiltà e cultura vengono spesso usati in modo distinto, riproponendo un approccio etnocentrico con
cui si oppone la nostra civiltà (quella del “noi”, citata nelle retoriche politiche come unica detentrice della legalità
e del progresso) alla loro cultura (quella dei migranti) (vd. Gallissot [2001] 2007, Rivera 2005, Faso 2008).
128
Capitolo IX - Uno sguardo critico sulla glottodidattica
Accanto alla lingua come veicolo di contenuti culturali e alla lingua “ostacolo”,
vi sarebbe un terzo strumento della glottodidattica: l’individuazione dei “bisogni
pragmatici futuri” degli apprendenti , per lo sviluppo della loro “competenza co-
municativa”, attraverso un esame del contesto extrascolastico (Balboni 2002: 73, 91).
La questione della conoscenza del contesto è delicata e richiede un’ analisi di tipo
scientifico: i dati sul territorio e le interviste alle famiglie, laddove hanno luogo,
spesso non solo ignorano tecnicamente la complessità di un’indagine di tipo quali-
tativo (Olivier De Sardan 2009: 27-60), ma ad un esame attento si rivelano discorsi
e pratiche di inferiorizzazione dello straniero (vd. Baroni 2010: 39-66), mostrando
come la cosiddetta accoglienza, dalla classe al contesto socio-politico più ampio,
mascheri spesso pratiche discriminanti, secondo una strategia che Aiwha Ong ha
definito “civilizzatrice salvifica” (Ong 2005). Su quali basi (a meno che l’insegnante
e la rete scolastica non dispongano di una formazione sociologica o antropologica
e di analisi approfondite dei contesti) la conoscenza della realtà extrascolastica e
delle famiglie degli apprendenti, dovrebbe essere impiegata praticamente per co-
struire un curricolo o una programmazione? Non rischia l’insegnante di impiegare
dati in modo superficiale, rafforzando o elaborando modelli lontani dalla comples-
sità dei dati reali?42
Con queste premesse, la glottodidattica invita insegnanti e apprendenti a vivere
la classe come un luogo di banalizzazioni, dove vengono stimolati la produzione e lo
scambio di infiniti luoghi comuni, che rischiano di far emergere contenuti xenofobi
e razzisti in nome dell’interculturalità43.
Quando si dichiara che “come sempre lo stereotipo contiene probabilmente un
fondo di verità”, avvertendo al contempo del rischio di generalizzazioni (Mezzadri-
Balboni 2005d: 38), ci si domanda su quali presupposti scientifici poggi questa af-
fermazione. La conseguenza è che si accettino per vere spiegazioni culturaliste che
derivano dal senso comune44:
42 Per una analisi sulla complessità delle esperienze migratorie si veda Riccio (2007).
43 Un testo esemplare in questo senso e su cui si è discusso in altra sede (vd. Ruolo-Pona 2010) è Foto parlanti.
Immagini lingua e cultura (Tettamanti-Talini 2004), in cui il “fare intercultura” diviene pretesto per costruire
una unità didattica discriminante contro i Rom.
44 Al paragrafo 2 di questo capitolo, sono riportati brani tratti da alcuni noti manuali di didattica di italiano
L2, in cui emergono stereotipi e pregiudizi. La prima difficoltà riscontrata nell’impiego dell’unità di
apprendimento riguarda, infatti, proprio le proposte sui temi culturali (Balboni 2002: 102). Molti materiali di
didattica di Italiano L2, pensati per apprendenti di qualunque età (bambino, adolescente, adulto), presentano
129
nascendo dal luogo comune, lo stereotipo è molto prossimo al banale,
al déja vu, al giudizio dato a priori. Il termine designa associazioni di idee
condivise dai membri di un gruppo, idee così radicate che è difficile con-
testarle o rimetterle in discussione. (Kilani 2007: 337)
Con questi atti di nominazione dell’alterità, quale meta educativa può vantare
di perseguire la glottodidattica?45 La creazione di stereotipi semplifica la pratica
didattica e annulla qualunque processo pedagogico.
Il nodo cruciale, qui, consiste proprio in questo: l’apprendente non appare “il
primo attore del processo educativo e didattico” (Balboni 2002: 28-29): si trova
invece in un contesto in cui viene costruita una conoscenza fittizia, non solo
perché il processo conoscitivo è ricondotto alla meccanicità del domandare e
del rispondere, ma anche perché l’apprendente è etnicizzato e al contempo in-
dotto a etnicizzare la cultura italiana. Il facilitatore di lingua, che seleziona testi
o input per l’insegnamento dell’italiano L2, diventa un “esecutore di banalità”
(von Foerster-Pörksen 2001: 61-72): il dialogo scolastico sostituisce il dialogo
naturale. Chiedere e rispondere non sono concepiti come una ricerca intorno
all’oggetto di conoscenza e possibilità di conoscenza tra le persone che vivono
e agiscono all’interno della classe, ma il dialogo è limitato a tutta una serie di
domande che svuotano il senso di una didattica realmente dialogica, oltretutto
in una dimensione culturalista e pertanto già falsata46.
i cosiddetti argomenti culturali in termini banalizzanti. Vengono reintrodotte generalizzazioni e cliché sulle
presunte abitudini degli italiani e sulle differenze tra nord e sud d’Italia, spesso ricorrendo ad argomenti tipici
dell’antimeridionalismo, come quando si afferma che, nonostante la forte richiesta di manodopera nel nord
d’Italia, i giovani meridionali disoccupati “non sono disposti a emigrare al nord, preferendo restare in famiglia
fino a 30, 35 anni in attesa di trovare un posto al sud” (Mezzadri-Balboni 2005c: 33) contrapponendolo ad un
modello di famiglia nord-settentrionale, dove “sia l’uomo che la donna devono lavorare” (Mezzadri-Balboni
2005d: 12). Le affermazioni di Mezzadri e Balboni risultano prive di basi scientifiche e non si comprende a
quali studi si rifarebbero. Oltretutto, i due glottodidatti ignorano gli studi sulla ripresa di migrazioni interne,
che nel 2005 (anno di pubblicazione del testo di Mezzadri e Balboni) erano ben conosciute e in atto già
dalla prima metà degli anni novanta, come confermano i rapporti dello Svimez (Associazione per lo Sviluppo
dell’Industria nel Mezzogiorno) e studi socio-antropologici sulle migrazioni dal Sud al Nord Italia (vd.Bonifazi-
Heins 2005, Pugliese 2006, Berti-Zanotelli 2008).
45 Quando Balboni sostiene che una delle mete educative dell’educazione linguistica è la “culturizzazione,
cioè la conoscenza e il rispetto (e in alcuni casi l’assunzione) di modelli culturali e di valori di civiltà dei
paesi dove si parla la lingua straniera ” (Balboni 2002: 92), si sta sostenendo un lessico diffuso, quello del
“razzismo democratico” (Faso 2008), che esclude o assimila attraverso un esteso elenco di diversità culturali,
incoraggiando “l’integrazione nel senso dell’assimilazione” (ivi: 76), e un “differenzialismo culturale, che
è notoriamente la più insidiosa forma odierna del razzismo” (Faso 2005: 4). A proposito del neorazzismo
differenzialista, l’antropologa Annamaria Rivera precisa che il concetto genetico della razza, la cui assoluta
infondatezza è stata ampiamente dimostrata in ambito scientifico, viene sostituito da presunte differenze
culturali, immaginate come naturali, per cui al posto del determinismo biologico chiaramente espresso tramite
la parola razza, vengono utilizzate le nozioni di cultura o di etnia secondo una modalità che cela o legittima la
discriminazione (Rivera 2007: 295-296).
46 Si arriva a concepire la classe plurilingue come un universo codificabile in formule matematiche (Vedovelli
130
Capitolo IX - Uno sguardo critico sulla glottodidattica
2002: 116-126) e l’unità di apprendimento, con le sue tecniche, i suoi approcci e modelli, è vista come “una
griglia di categorie strutturanti l’interazione […]”, dove la tecnica didattica è considerata “l’arte del maestro di
lingua” e lo strumento per “gestire correttamente la sempre nuova realtà sociale e comunicativa in cui si trova
inserita e che crea con la sua presenza” (ivi: 135-136). Questa metodologia didattica concepisce “il processo di
insegnamento e apprendimento della L2 […] un contatto tra culture e si nutre di un gioco di rinvii intertestuali
al quale gli apprendenti sono esposti” (Vedovelli 2002: 118). Di seguito, è riportato il brano tratto da Vedovelli
(2002: 117-118), da cui il lettore è libero di trarre le proprie conclusioni:
il Gruppo classe (GS) è, nella nostra proposta, un Universo di socialità (US):
è costituito da tutti i soggetti coinvolti nel processo di apprendimento/
insegnamento. I rapporti di socialità si stabiliscono fra i soggetti in una duplice
dimensione: l’Interazione sociale (IS) fra di loro (e pertanto i ruoli istituzionali
e spontanei che hanno e assumono) e lo Scambio comunicativo (Sc) che in
essa si sviluppa. L’ IS è caratterizzata dai ruoli sociali, dagli atteggiamenti, dalle
motivazioni, dalle identità culturali degli attori della comunicazione didattica.
Lo SC è costituito dai flussi di comunicazione che si sviluppano entro l’US.
Possiamo formalizzare tale rapporto come segue:
GC= US = IS + SC
[…] dal punto di vista semiotico, la Lingua (L) è costituita da testi (T), che
intrinsecamente costituiscono la Cultura (C). La lingua è perciò intrinsecamente
cultura in quanto istanza di formazione, di creazione di identità mediante la
forma del codice:
L=C
47 La bibliografia su questo tema è vasta. Si veda, tra gli altri, Abu-Lughod (1991), Amselle (1999), Fabietti (1999),
(2004), Hannerz (2001), Matera (2008), Remotti (2010), Rivera (2007), Wagner (1992).
131
avviso, potenzialmente più pericolosa, operando quelle semplificazioni che abbia-
mo affrontato sopra: semplificazioni didattiche e culturaliste e dove anche i bisogni
degli apprendenti sono ridotti a interpretazioni schematizzate.
Esattamente come i vecchi modelli che critica, l’unità di apprendimento esami-
nata non aiuta a creare in classe le condizioni reali di mutuo riconoscimento (vd.
Perticari 2005). L’insegnante di lingua (il cosiddetto facilitatore) crede di favorire il
processo di apprendimento e ritiene qui di aver perso il suo ruolo direttivo, propo-
nendo attività libere o guidate di comprensione e di riflessione sul testo, ma ripro-
duce gli stessi modelli autoritari biasimati e si pone nella prospettiva dell’ideologia
dominante48.
Interrogarsi sulla qualità dialogica del domandare e del rispondere evita l’abitu-
dine di “fare e ricevere domande illegittime” (Perticari 2005: 77), ovvero quelle che
nascono nel contesto dialogico contraffatto delle risposte già attese dall’insegnan-
48 Si pensi ai test d’intelligenza somministrati ai bambini italiani in Germania nel corso del XX secolo, a cui
accenna Cesare Cornoldi, il quale afferma che tali test riflettevano i condizionamenti culturali, i modelli e
i valori di chi li aveva costruiti, manipolando i risultati sul presunto deficit intellettivo dei bambini testati
(Cornoldi 2007). Leonardo Piasere riporta la stessa critica riguardo ai test che negli anni Settanta dovevano
valutare a scuola i bambini Rom e finivano per “provarne” anch’essi il deficit intellettivo. Basati sull’idea di
una supposta oggettività, non essendo mai problematizzati, tali test si orientavano addirittura su teorie
di deprivazione culturale dei Rom (Piasere 2010). Il problema dell’equità dei test è oggi drammaticamente
attuale, a causa dell’introduzione dei test di lingua ai migranti per ottenere la carta di soggiorno. Sul pericolo
di assenza di eticità, vd. Faso-Pona (2011).
132
Capitolo IX - Uno sguardo critico sulla glottodidattica
te, che non accetta opinioni inattese e non impara dagli imprevisti a scuola a ricer-
care e proporre “domande legittime” (ibid.). Il dialogo è efficace solo se si basa sulla
legittimità delle domande: su una curiosità autentica, legittima, che contraddistin-
gue una relazione epistemologica, poiché il dialogo possiede un carattere sociale,
ossia è una modalità dell’apprendere e conoscere non solo l’oggetto di studio, ma
anche del conoscersi reciproco (vd. Freire 2008). L’input proposto dall’insegnante
è il testo su cui si negozia e si affrontano insieme domande e risposte fuori dalla
cornice costrittiva delle attività di vero/falso o di qualunque altra domanda nel
contesto artefatto del dialogo scolastico. L’errore dell’apprendente non comporta
un semplice “atto di tolleranza” (vd. Balboni 2002) da parte dell’insegnante: la pro-
spettiva conversazionale vede nel dialogo naturale l’avvicinamento dell’insegnante
alle modalità di conoscenza che l’apprendente mette in atto (Perticari [1996] 2005).
In questo senso, l'insegnante esecutore di banalità è colui che, non imparando da
una conversazione naturale dai suoi apprendenti, diventa un prevaricatore di prin-
cipi etici.
La classe, invece, è un luogo in cui quotidianamente si possono eludere i vincoli
meccanicistici e sperimentare quello che von Foerster definisce la de-banalizzazio-
ne delle pratiche di insegnamento (vd. von Foerster-Pörsken 2001). L’insegnante, con
le sue richieste preordinate, crea silenzi e chiusure attribuiti spesso alla presunta in-
capacità di comprendere o, peggio, a quelle caratteristiche ancora una volta etniche
dell’apprendente49. Invece, facilitare comporta riuscire a fare in concreto qualcosa
percepita e vissuta come importante da chi impara (Faso 2005), in cui l’apprenden-
te diventa soggetto critico, in grado di ricostruire o riformulare ciò che apprende
e di esserne partecipe (vd. Freire 2004). Ciò comporta anche evitare domande e
percorsi didattici folclorizzati o che ricostruiscano situazioni realistiche a prescin-
dere dall’apprendente, il quale risponderà sul chi e sul perché, sul vero e sul falso,
ma non sarà stimolato a comunicare il suo sguardo e i suoi racconti (vd. Giornelli-
Maioli 2003). La creazione di percorsi realmente condivisi con lo studente crea un’
esperienza di scombussolamento, negata nel modello operativo di unità didattica
49 Come facilitatrice di italiano L2 nella scuola pubblica, ho avuto modo di annotare molti episodi di
categorizzazione avvenuti in classe con la presenza di alunni stranieri (vd. Faso 2005). L’insegnante di italiano
di una seconda media giustificava così il proprio disagio nei confronti di un ragazzo albanese che parlava
e scherzava con i compagni italiani, rifiutandosi di “aprire bocca in classe” durante le ore di lezione, per
due anni: “all’inizio pensavamo che fosse disabile, poi abbiamo capito che è testardo e duro, come tutti gli
albanesi”. Questa impellenza di categorizzazione è radicata non solo fra molti insegnanti, ma anche facilitatori
di L2, quando affermano che “i cinesi sono chiusi, parlano solo tra loro e non capiscono nulla di italiano”, “i
giapponesi sono timidi e riservati”, “i peruviani parlano poco”. In definitiva, “accozzaglie di stereotipi etnici che
funzionano da modello e da spauracchio al tempo stesso” (Kilani 2007: 354-355).
133
(Balboni 2002, Vedovelli 2002)50, ma che è invece fondamentale: essa consente di
giocare “con gli eventi per trasformali in occasioni” per dirla come Michel De Cer-
teau il quale, parlando di sociabilità e di quotidianetà, riconosce alla capacità di
inventare il quotidiano un potere altamente creativo (De Certeau 2005: 15).
La classe come spazio in cui l’apprendimento “procede soprattutto mediante
un chiarimento attraverso disorientamenti” (Herzfeld 2006: 24), dove sia possibile
una didattica che fa emergere la complessità di una visione multifocale. Una di-
dattica dell’incontro, la cui dinamica articolata non può essere ridotta alla logica
del dialogo semplice con l’alterità (vd. De Lauri 2008: 9-25) ma si sottrae ad un
modo riduttivo di intendere l’insegnamento delle lingue, distanziandosi da quella
“galleria di stranezze esotiche” (Callari Galli 2000: 23) messe in atto ogni qualvolta
si parli di intercultura.
50 Nell’illustrare i “problemi” dei codici non verbali e della “comunicazione interculturale”, Balboni ritiene
che rappresentino “turbative alla serenità […], elementi che possono concorrere a una valutazione errata
dell’interlocutore” (Balboni 2002: 69), e sostiene che
l’insegnante di lingua straniera, che voglia contribuire a creare una competenza
comunicativa interculturale, non può “insegnarla”, date le dimensioni del
problema e la sua continua variabilità, ma può insegnare a “osservarla”. (ivi: 70)
134
Capitolo IX - Uno sguardo critico sulla glottodidattica
TAVOLE SINOTTICHE
NO SÌ
[Le persone] estroverse [...] sarebbero persone Utilizzando la distinzione gestaltica tra
più sociali e quindi avvantaggiate dall’approccio persone analitiche/sincretiche e persone
comunicativo. (Balboni 2002: 44) globali/olistiche in maniera classificatoria, è
compiuta un’operazione semplicistica, spesso
un ragazzo “sincretico”, “olistico”, che da qualche accompagnata da affermazioni pseudo-
anno fa il poliziotto, ha assunto una forma scientifiche, che attribuiscono uno stile cognitivo
mentis che chiede grammatiche esplicite, a al luogo d’origine dello studente.
differenza del suo gemello che è andato invece
in pellegrinaggio in Oriente. (Balboni 2002: 46) La teoria degli stili cognitivi è un’idea categoriale.
Come afferma Paolo Perticari, la questione
Insegnando le lingue straniere dobbiamo degli stili cognitivi è da riportare su un piano di
insegnare diverse forme di concettualizzazione; maggiore complessità:
un americano concettualizza secondo enunciati
che vanno straight to the point, un latino usa Questa distinzione olistico/seriale è utile, ma
enunciati interrotti da digressioni in cui si molto probabilmente si dovrebbe moltiplicare
esprimono condizioni, premesse, commenti e una immagine del genere per il numero dei casi
così via, un orientale concettualizza secondo in cui una persona utilizza l’uno o l’altro stile, per
una spirale che lentamente giunge all’obiettivo, il numero dei partecipanti, per il numero delle
per avvicinamenti successivi, e ritiene che andare materie, argomenti e sottoargomenti affrontati
straight to the point sia volgare… (Balboni 2002: in una sequenza […] fino agli elementi dello stile
61) che sono inconoscibili, ai moltri altri elementi
dell’apprendimento che sono indeterminabili
Un altro punto debole degli studenti cinesi è la […]. Ne salta fuori un quadro sicuramente
comprensione globale di quello che si ascolta. complesso. Si potrebbe dire che confrontarsi con
Siccome gli studenti cinesi generalmente sono l’enigma dello stile è una risorsa per cominciare a
abituati a fare attenzione ai particolari e alle limitare i tassi di banalizzazione che pervadono i
sfumature, qualche volta anche eccessivamente, meccanismi di insegnamento/apprendimento di
gli insegnanti dovranno promuovere tecniche cui siamo parte. (Perticari 2005: 47)
che favoriscano un approccio mirato alla
comprensione globale dei contenuti e delle
informazioni. (Maggini 2006: 4-5)
135
3. Contro l’idea che “non si insegna solo la lingua, ma anche la cultura che le sta dietro”
NO
136
Capitolo IX - Uno sguardo critico sulla glottodidattica
(Jiddu Krishnamurti)
(Mondher Kilani)
Di seguito sono elencati brani tratti da noti manuali di italiano L2. Le attività di
“civiltà e cultura”, così come teorizzate in glottodidattica (Balboni 2002, Vedovel-
li 2002) e solitamente previste come parte finale dell’unità didattica, nell’intento
di stimolare gli apprendenti a riflettere su aspetti culturali, si configurano come
reiterazione e reificazione di stereotipi. In questi testi, l’appropriazione non scien-
tifica del termine cultura, ben lontana da una formulazione che ne restituisca la
complessità del dibattito antropologico, induce a considerare la classe plurilingue
uno spazio di alterità, secondo una logica schematica fortemente ideologizzata del
“noi” e “loro”, che costruisce recinti intorno agli individui anche nella retorica delle
pratiche dell’incontro interculturale, poiché, che si erigano confini per allontanare
o per incontrare gli Altri, con l’atto della separatezza si è già sulla strada della loro
cancellazione (vd. Remotti 2001, Herzfeld 2006).
137
Cliché sui temi culturali nei libri di italiano L2
Ci sono molte differenze tra una parte e l’altra del paese […] soprattutto al centro-
nord, in una famiglia sia l’uomo che la donna devono lavorare. (Il negozio, i soldi,
Mezzadri-Balboni 2005d: 12).
Come abbiamo visto parlando di prossemica, i corpi hanno bisogno di una distanza
di sicurezza: viviamo dentro una sorta di bolla che ha il raggio di un braccio teso: chi
entra nella bolla ci assale. Ma un mediterraneo entra senza problemi nella bolla altrui,
tocca l’interlocutore, lo prende a braccetto, il che infastidisce gli italiani del nord – ma
lo stesso italiano del nord non si rende conto che provoca altrettanto fastidio in un
inglese, in quanto in quella cultura è il doppio braccio teso a rappresentare il confine
della bolla. (I codici non verbali, Balboni 2002: 69)
[…] Allora, professore, gli uomini italiani sono ancora dei latin lover? […] Che peso
ha l’educazione familiare nella figura di un latin lover? Grandissimo: specialmente al
Sud ci sono ancora tante famiglie che considerano i figli maschi più importanti delle
femmine. È per questo che molte ragazze, appena ci riescono, si allontanano dalla
loro famiglia per avere una vita più indipendente e più libera. (Facciamo un’intervista!,
Trifone-Filippone-Sgaglione 2008: 168).
“NOI” E “LORO”
Faccia notare che è abitudine degli italiani lavarsi le mani prima di mangiare. Quando si hanno
138
Capitolo IX - Uno sguardo critico sulla glottodidattica
ospiti si prepara un asciugamano pulito per loro. (La famiglia, Mezzadri-Balboni 2005c: 35).
La maggior parte degli italiani vivono in appartamenti di due stanze da letto, sala,
cucina e bagno, spesso con cantina e garage. (La casa, Mezzadri-Balboni 2005c: 40).
In molti paesi parlare del tempo e soprattutto seguire l’evoluzione del tempo
meteorologico in tv o alla radio fa parte della quotidianità […]. Gli italiani mediamente
non sono così legati al tempo […]. (Il tempo, Mezzadri-Balboni 2005d: 38).
È ovvio, per un italiano, che la giornata inizi con l’alba, mentre è ovvio a molti asiatici
e africani pensare che la giornata inizia al tramonto (…). Il concetto di puntualità ad
esempio è molto cangiante a seconda dell’industrializzazione, quindi della gestione
del tempo per fini produttivi: ne consegue che la chiave psicologica e i ruoli sociali dei
partecipanti possono essere espressi dalla puntualità, da un lato, e dal fare anticamera,
all’estremo opposto. (Il concetto di tempo, Balboni 2002: 66)
No, questo non si fa! L’educazione a tavola: in Italia e nel tuo Paese le regole sono le
stesse?
Generalmente, per non disturbare, un italiano evita di telefonare a casa d’altri dopo le
10 di sera e prima delle 8 del mattino. (Scrivere e telefonare, Marin-Magnelli 2006: 55).
Gli italiani sono un popolo elegante e sono molto attenti alla moda. Tant’è vero che
spendono parecchio per l’abbigliamento, anche se non tutti si possono permettere i
capi firmati dei grandi stilisti. La maggior parte, infatti, si rivolge a tanti altri stilisti,
meno conosciuti all’estero, che offrono alta qualità e prezzi più bassi. (In giro per i
negozi, Marin-Magnelli 2006: 146).
139
Gli italiani amano molto la musica, ma anche cantare. Oggi la musica leggera italiana
piace sempre di più a livello internazionale e fa parte della cultura del Belpaese. (Un
concerto, Marin-Magnelli 2006: 182).
Un arabo, per quanto fluido sia il suo inglese, sarà in alcune situazioni incapace di dire
“I’m sorry”, se ritiene che scusarsi gli faccia perdere la faccia (Balboni 2002: 67).
La testa che annuisce significa sì per noi ma significa no dai Balcani al Medioriente
al Mediterraneo del sud; i nostri occhi fissano direttamente qualcuno per indicare
franchezza e sincerità, ma in molte culture comunicano una sfida; gli occhi ancora
possono restare semichiusi, il che in Europa significa noia, ma in Giappone può voler
dire no se si tratta di un sorriso silenzioso. Mani e braccia non solo informano sulla
nostra tensione, ma gli italiani le agitano troppo, quindi vengono percepiti dagli
anglosassoni come ridicoli, caricaturali, se non come aggressivi e scalmanati, e questo
è sufficiente a compromettere la comunicazione; i gesti cambiano da cultura a cultura
[…]. Il corpo emana odori e produce rumori che in alcune parti del mondo sono vietati:
soffiarsi il naso in Oriente è simile a defecare in pubblico da noi, quanto a effetto,
mentre un rutto sonoro sta a significare il piacere di un buon pranzo […]. Il corpo parla
con i suoi gesti, ma anche con i suoi vestiti: una giacca cammello, per quanto raffinata
e costosa, non va bene per un ambiente lavorativo in USA, che considera il marrone
adatto per il week-end e il grigio indispensabile per il lavoro […] (Balboni 2002: 68-69).
San Silvestro. Piccoli riti per il nuovo anno. Attenzione alla prima persona che incontrate
dopo la mezzanotte. Se è un barbone si profila un anno finanziario strepitoso! (Un
anno in Italia, Toffolo-Merklinghaus 2005: 113).
140
Capitolo IX - Uno sguardo critico sulla glottodidattica
un altro punto debole degli studenti cinesi è la comprensione globale di quello che
si ascolta. Siccome gli studenti cinesi generalmente sono abituati a fare attenzione
ai particolari e alle sfumature, qualche volta anche eccessivamente, gli insegnanti
dovranno promuovere tecniche che favoriscano un approccio mirato alla comprensione
globale dei contenuti e delle informazioni (Maggini 2006: 4-5).
LE “RAZZE”
Gli zingari causano solo problemi e vanno emarginati? Tu da che parte stai?
Leggi attentamente le affermazioni.
• Gli zingari sono una delle cause dell’aumento della microcriminalità.
• Gli zingari non devono vivere chiedendo l’elemosina, ma lavorare come fanno tutti.
• Gli zingari sono un costo per la comunità e non dovrebbero avere il permesso di
vivere in Italia.
• Gli zingari sfruttano le donne e i bambini quindi sono un esempio negativo.
• È giusto che gli zingari difendano le proprie tradizioni e il proprio modo di vivere.
• Hanno usanze molto diverse e “contaminano” la nostra cultura.
• La nostra società sta diventando sempre più multirazziale perciò bisogna educare
tutti alla tolleranza.
• Con l’apertura alle altre culture anche la nostra si arricchisce.
Cerca nella classe gli studenti che hanno le tue stesse opinioni e formate dei gruppi.
Avete 10/15 minuti di tempo per discutere insieme ed elaborare una serie di pro e contro.
Ogni gruppo deve presentare e sostenere il proprio punto di vista.
La discussione è libera. Sedetevi in cerchio e intervenite liberamente. Se necessario,
potete chiedere aiuto all’insegnante. (Dammi qualcosa!, Tettamanti-Talini 2003: 43).
141
C’è un secondo Diluvio Universale. Noè costruisce l’Arca per salvare gli animali. Tu
sei un cane di razza Dobermann. Corri verso la barca per essere il primo della tua
razza a salvarti. Ma davanti alla porta trovi questo manifesto: “Sull’Arca di Noè vietato
l’ingresso ai cani dobermann. I cani di razza dobermann non stati creati dal Signore
e quindi non sono ammessi sull’arca. Inoltre i dobermann, benché siano certamente
belli, possiedono evidenti problemi caratteriali di aggressività e pericolosità che
rischierebbero di creare seri problemi sulla nave. Stiamo stilando una lista con tutti
gli animali nati da incroci creati dall’uomo, come il Mulo e molte specie di cani e gatti.
Invitiamo quindi tutti gli animali di questo genere a non cercare di salire sull’Arca”.
Scrivi una lettera a Noè per sostenere la tua utilità e i tuoi pregi, invitandolo a farti
salire sull’Arca. (Opinione, Guastalla 2004: 89).
LABORATORIO
Leggere:
Molte sono le parole che hanno contribuito in questi ultimi anni a diffondere,
riprodurre, legittimare il razzismo in Italia. Una buona parte ha seguito un percorso
discensionale, dalla bocca e dalla penna di uomini, o almeno con buon accesso ai
media, fino alle dicerie da cortile e da bar. Altre, presenti nel senso comune, sono
state avallate, come del resto alcune leggende urbane, da chi si presenta nella sfera
pubblica come detentore di un sapere accreditato. […]
Si tratta di scelte tutt’altro che innocenti. Come tutt’altro che innocenti sono
le strategie sottese non solo alla scelta del lessico, talora denigratorio fino alla di-
sumanizzazione, con cui si parla di immigrati, ma alla posizione delle parole, ai giri
sintattici alle forzature semantiche e agli slittamenti di senso, per non parlare delle
manipolazioni dei dati statistici e dei sondaggi d’opinione. [Si tratta di] una strategia
comunicativa discriminatoria. (Faso 2009: 29-30)
Raccogliere materiali (da giornali, libri, slogan pubblicitari) in cui si ritiene siano
presenti parole e concetti discriminanti e razzisti.
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Capitolo X - Parlare insieme
CAPITOLO X
Parlare insieme
LABORATORIO
Leggiamo insieme il testo.
Molti anni fa un mercante non riuscì a pagare un grosso debito che aveva con un
usuraio. Il mercante doveva andare in prigione, ma quando l’usuraio, che era vecchio e
brutto, vide la bella e giovanissima figlia del mercante, ebbe un’idea: “Se la ragazza si
sposa con me, io ti cancello il debito e tu non andrai in prigione”- gli disse.
Il mercante e sua figlia rifiutarono la proposta, allora l’usuraio disse: -“Sapete che non
potete dire di no. Ma io sono buono e onesto, così ho deciso che lascerò decidere alla
sorte. Vi propongo un gioco: metto in questa borsa vuota due sassolini, uno bianco e
uno nero. Tu devi prenderne uno senza guardare e hai tre possibilità:
143
• Per riflettere un po’ sul testo, svolgiamo queste attività:
• Quali parole della storia conosco e quali non conosco: cerchiamo sul
vocabolario le parole difficili.
• Cosa ho capito/non ho capito: confrontiamoci con i compagni e,
insieme, chiariamo le parti più difficili del testo.
• Confrontiamo le nostre idee sul testo e, se abbiamo capito cose diverse,
discutiamone insieme.
• Nel testo troviamo tanti verbi al passato. Riscriviamo i verbi trovati nella tabella
qui in basso.
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Capitolo X - Parlare insieme
• La storia letta insieme parla di una ragazza che deve decidere come comportarsi
in una situazione difficile.
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2. Confronti
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51 Per le unità didattiche standard, si può fare riferimento a Mezzadri-Balboni (2003, 2005).
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Capitolo X - Parlare insieme
TAVOLE SINOTTICHE
Motivazione
NO SÌ
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Globalità, analisi, sintesi, riflessione, rinforzo
Durante la fase di Globalità, l’insegnante presenta un testo (scritto, audio, video), che
viene scoperto progressivamente dagli studenti. Questa fase prevede: un’esplorazione
del paratesto (immagini, titolo, aspetto del testo ecc.), con ipotesi enunciate dagli
studenti e un’analisi del testo con attività di verifica della comprensione.
Durante la fase di Analisi, lo studente ricerca nel testo funzioni comunicative (analisi
funzionale) e elementi linguistici (analisi grammaticale) o culturali (analisi culturale).
Durante la fase di Sintesi, lo studente riutilizza le informazioni sulle ‘funzioni comuni-
cative’ esaminate per “rispondere ai propri bisogni comunicativi”.
Durante la fase di Riflessione/Attività metalinguistica, lo studente scopre le strutture
grammaticali con un approccio di tipo induttivo.
Durante la fase di Rinforzo, lo studente svolge attività /esercizi sulla lingua.
NO SÌ
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Capitolo XI - Lo spazio comune delle relazioni
CAPITOLO XI
Lo spazio comune delle relazioni
LABORATORIO
Riflettere sul concetto di ‘intercultura’ e scrivere una definizione.
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Capitolo XI - Lo spazio comune delle relazioni
Al concetto di cultura, pensata con tratti distintivi e immutabili aderisce una mo-
dalità cognitiva che genera confini e che, come prevede lo spazio delimitato di un
contenitore, valuta l’elemento categorizzato per essere collocato al suo interno o al
suo esterno (vd. Piasere 2010). La conseguenza è quella di creare gli altri, di impor-
re identità, situandosi su un sentiero scivoloso dove anche la buona intenzione di
“congiungere trasversalmente popoli e culture e, nello stesso tempo, di raccontare
della loro specificità” (Favaro 2002), richiama inevitabilmente un argomento auto-
contraddittorio (vd. Herzfeld 2006), quello della “difesa dei propri principi” (Favaro
2002: 112), che conferma il pericolo dello slittamento dall’individuazione e dal ri-
spetto delle differenze alla loro eliminazione (vd. Remotti 2001: 29). Ad entrare in
relazione sono invece gli individui, che non si assimilano né si separano ma operano
151
delle connessioni, oltrepassando i rispettivi confini e gli sbarramenti, seguendo an-
che procedure di ritessitura (vd. Remotti 2001).
Una visione sostanziale della cultura crea tipizzazioni e l’appropriazione del ter-
mine cultura, attraverso pratiche di etnicizzazione, assume un carattere performati-
vo sulla realtà (Fabietti [1995] 2010). Verena Stolke identifica la retorica culturalista
che si cela dietro la parola “cultura”, fondando ideologie e pratiche di esclusione
sociale nei confronti dell’Altro. L’Autrice definisce queste retoriche “fondamentali-
smo culturale” (Stolcke 1995: 2): esso consiste nell’evidenziare le differenze cultura-
li, ritenendo al contempo che la cultura sia un “insieme compatto, ben demarcato,
localizzato e storicamente radicato di tradizioni e valori trasmessi di generazione in
generazione” (ivi: 4). L’accezione del termine in chiave culturalista è quella di cui si è
appropriata il senso comune (anche in ambito politico), dove “è pleonastico sottoli-
neare che nelle strategie retoriche del neorazzismo cultura, identità, etnia, risultano
sovente nient’altro che sostituti funzionali di razza” (Rivera 2008: 60). Questo fon-
damentalismo culturale è applicabile ad ogni forma di politica di integrazione o di
riconoscimento, in cui si parli di facilitare il contatto tra culture ed in cui si reifichi-
no identità fittizie: atti di nominazione tramite cui sono stabilite relazioni di potere
e che producono l’effetto di far esistere ciò che annunciano e ci si rappresenta e,
per questo, non risultano mai innocui (Stolcke 1995, Sayad 2008).
Sull’idea di culture isolate, con caratteristiche di fissità e invariabilità, deriva in
modo analogico il termine “intercultura”, dove il prefisso inter specifica un collega-
mento tra quelle culture inscatolate. Con l’idea dell’ingabbiamento culturale si raf-
forza la convinzione che vi siano dei tratti culturali genetici o tipici, in altre parole
razze, che sostengono
152
Capitolo XI - Lo spazio comune delle relazioni
153
invece, una progettualità del coinvolgimento. Sul piano sociale, il coinvolgimento
comporta non solo una riflessione critica sulla costruzione dei concetti di domina-
zione dell’Altro e sulle conseguenze che ne derivano (Herzfeld 2001), ma anche una
pragmatica dello stare insieme, dove la costruzione di significati assomiglia più ad
uno “sforzo di coerentizzazione” (Remotti 2010), ossia ad un tentativo di corrispon-
dere ad una identità. Quest’ultima non presenta però caratteristiche di fissità: essa
è sottoposta a variabili diacroniche e sincroniche.
Per ricondurre il discorso sul piano della pratica educativa, se a scuola circolari e
documenti suggeriscono prassi fondate sulla relazione con l’Alterità52 e se in classe
l’insegnante attribuisce ai suoi alunni stranieri identità che incorporano problemi e
comportamenti etnicizzati, il piano di una possibile relazione e la sfera educativa
sono già invalidate. Mentre riconoscere uno sforzo verso la coerenza (e non arrivare
mai ad essa) (Remotti 2010) significa prendere atto che nella pratica dell’incontro,
ciascun individuo possiede una pluralità di sé, come l’alunno che afferma “io sono
italiano, albanese e interista”53, opponendo all’ideale abito fittizio di un’identità
monolitica che la scuola vorrebbe cucirgli addosso, la concretezza della moltepli-
cità di relazioni intessute con i compagni. Francesco Remotti afferma che ogni per-
sona è l’insieme delle relazioni in cui è coinvolta e che gli altri sono già dentro il
nostro mondo (Remotti 2010). “Per togliere quel bavaglio invisibile che non fa uscire
la voce” (Giornelli 1996: 318), a scuola, come in ogni sfera sociale e politica, risulta
efficace abbandonare il campo delle retoriche interculturali (Baroni 2010).
Quando si chiede ad un apprendente di italiano L2 di parlare, questa non è una
52 Sul rapporto tra il discorso interculturale (o delle differenze culturali) e gli effetti di assoggettamento da esso
prodotti, Walter Baroni (2010) fa una analisi lucida, esaminando alcuni testi sull’ intercultura, in cui si reificano
concetti fittizi, di fatto pregiudizi, come quello dello straniero portatore di diversità o dello straniero visto
come una risorsa (vd., tra gli altri, Demetrio-Favaro 2002, Zoletto 2007).
Preoccupa il fatto che nel documento ministeriale La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione
degli alunni stranieri del 2007, tutt’ora in vigore, permanga una visione incentrata sulla valorizzazione delle
differenze culturali e sull’idea che un alunno straniero sia una risorsa per la scuola italiana, suggerendo di
adottare la prospettiva interculturale, la promozione del dialogo e del confronto tra le
culture […].come paradigma dell’identità stessa nella scuola del pluralismo, come occasione
per aprire il sistema a tutte le differenze[…]. Le strategie interculturali evitano di separare
gli individui in mondi culturali autonomi ed impermeabili,promuovendo invece il confronto,
il dialogo ed anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed
affrontare i conflitti che ne derivano [per] la ricerca di una coesione sociale […] in cui si
dia particolare attenzione a costruire la convergenza verso valori comuni. (Osservatorio
nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, 2007)
Per un’analisi sul rischio di una politica di “integrazione forzata” e sulla complessità dell’incontro tra differenti
identità culturali si vd. Callari Galli, Guerzoni, Riccio 2005.
53 La frase è di Erjon, un ragazzo di origine albanese, in Italia da 3 anni, che in un tema sulle differenze culturali
proposto in classe dall’insegnante di italiano, rispose così, opponendosi all’identità immaginata dalla scuola,
sulla quale si chiedeva di scrivere e di confrontarla con una altrettanto immaginata identità italiana.
154
Capitolo XI - Lo spazio comune delle relazioni
semplice pratica informativa per l’insegnante (che dovrebbe, per altro, mettersi
sempre in gioco e comprendere la natura non neutrale della sua presenza in classe
) (vd. Freire 2004 ). Con il dialogo reale e legittimo si compie una sorta di viaggio
in cui il “capire attraverso la frequentazione” comporta un senso di sradicamen-
to, ma anche un “lasciar macerare acquisizioni che non avvengono tramite semplici
concatenazioni lineari, ma con procedimenti complessi” (Piasere 2002: 56-57). Un
coinvolgimento che avviene nel mondo reale dell’esperienza, non sul riduzionismo
di un attività didattica precostituita.
Instaurare la relazione fra gli individui, fra le soggettività implicate, significa saper ascol-
tare anche racconti, non come esercizio di dialogo banalizzante interculturale, ma con
155
ne dell’incontro interculturale (Glissant 2007), in definitiva dal controllo inferiorizzante di
chi ha la presunzione di capire e rispettare le differenze.
3. Con-vivenze
LABORATORIO
Osservare e descrivere le competenze di M., autrice di questo testo54.
(M., 17 anni)
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Capitolo XI - Lo spazio comune delle relazioni
Osservazioni
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Nel mio gruppo di alunni cinesi che studiano italiano, è accaduto un fatto: i ra-
gazzi producono controrappresentazioni. La proposta di realizzare un video tutti
insieme è nata con l’intento di contrapporre alle immagini arbitrarie che la scuola
produce sui ragazzi cinesi una propria costruzione di significati.
La scelta di fotografare oggetti importanti per gli studenti, accompagnati da una
serie di didascalie esplicative per esprimere pensieri ed emozioni, ha l’obiettivo di
rovesciare l’immaginario costruito su una presunta alterità chiusa, “tipica dell’es-
sere cinese”. Questa categorizzazione racchiude uno spettro ampio di stereotipi,
da negativi a 'positivi', in cui l’immagine-schema della chiusura fornirebbe la chiave
interpretativa dei comportamenti dei ragazzi cinesi e delle misure che la scuola ha
adottato per integrarli, secondo una visione evoluzionistica in cui l’istituzione sco-
lastica è convinta spesso di rappresentare un’opportunità di miglioramento.
La co-costruzione di questo video, in cui i ragazzi hanno scattato e selezionato
le foto, scritto testi, scelto la musica, rappresenta una forma di piccola protesta, un
tentativo sperato di decostruire la produzione di retoriche culturaliste.
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L. F.: “Prof, io dico ma tu scrivi bene, eh? Questo, attenta:
Ti ricordi il tuo sogno da bambino? Avevo tre anni, voglio diventare un pilota, ero otto anni
voglio diventare musicista, dodici anni voglio diventare scrittore, quindici anni voglio diven-
tare astronomo. Oggi i miei genitori mi chiedono: chi vuoi diventare in fondo? Rispondo che
possibile sono la fantasma. Voglio dire che il mio futuro è come un foglio si disegnare da me”.
(L. F., 16 anni, gruppo di italiano L2)
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Capitolo XII - L’insegnante-apprendente
CAPITOLO XII
L’insegnante-apprendente
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1. Punti di vista
LABORATORIO
In che senso questa immagine può essere rappresentativa del rapporto tra l’inse-
gnante e l’apprendente?
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Capitolo XII - L’insegnante-apprendente
Dopo aver letto il brano dell’antropologo Olivier De Sardan, riflettere su questi punti:
Cosa comporta, nella relazione in classe, che l’insegnante abbia una forte propen-
sione a scoprire soltanto quello che si aspetta?
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2. Il paradosso dell’osservatore
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Capitolo XIII - Osservare le relazioni
CAPITOLO XIII
Osservare le relazioni
1. Sguardi etnografici
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Riflettere sui seguenti concetti e darne una descrizione, indicando in che modo pos-
sono contribuire alla costruzione (o all’ostacolo) delle relazioni/conoscenze in classe.
• decentramento
• spiazzamento/spaesamento
• esperimento di un’esperienza
• negoziazione
• co-esistenza e condivisione
2. Riflessioni finali
163
L’osservazione partecipante è principalmente una pratica, in cui l’osservatore
(l’insegnante-etnografo) s’incontra con la realtà che vuole studiare. Non s’inten-
de qui fornire una metodologia sull’approccio all’osservazione, che renderebbe il
discorso sulle relazioni in classe un manualetto pratico sull’intercultura (Herzfeld
2001: 178-181). S’intende piuttosto illustrare una teoria e una pratica della riflessività,
quella sull’osservazione etnografica: essa parte dal presupposto che ogni giudizio
formulato è sempre sottoposto ad una auto-riflessione, in cui l’interazione esce dal-
lo schema ideologizzato dell’io/altro per entrare nella complessità e fluidità delle
relazioni in cui è coinvolto, in “modi che le formule semplicistiche non possono
rilevare e che, di fatto, possono solo distorcere” (ivi: 181).
Nell’interazione, la componente dell’osservazione (essere spettatori) e quella
della partecipazione (essere co-attori) si realizzano contemporaneamente e tutto
ciò che viene osservato può essere trasformato o registrato in un dato (prendere
appunti, segnare una risposta, porsi una domanda, selezionare alcuni fatti ritenuti
importanti) e può essere successivamente rielaborato .
Il prendere appunti su ciò che succede in classe o fuori dalla classe comporta,
come abbiamo visto, una consapevolezza da parte dell’insegnante:
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Capitolo XIII - Osservare le relazioni
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di due discipline specialistiche, l’antropologia dell’educazione e la pedagogia inter-
culturale56. Tale de-centramento non significa però identificare differenze sostan-
ziali o tratti culturali supposti come caratteristici dei nostri apprendenti, secondo
un’ottica, non è superfluo ribadire, distante dalle retoriche culturaliste. Il decentra-
mento implica invece una modifica della distanza interpersonale, e una disponibili-
tà a riconoscere come esperienza emotiva la sperimentazione e la consapevolezza
del punto di vista di ciascuno. La riduzione dello spazio sociale, l’avvicinamento fra
due persone con esperienze eterogenee, richiede una competenza empatica, con-
divisa perché fondata su un sistema di corporeità simile che fa esperire e conoscere
il mondo ed in cui le dinamiche relazionali appaiono come una “disomogenea con-
tinuità sfumata” (Piasere 2002: 129-130).
Afferma Paulo Freire che l’nsegnamento è “una forma di intervento sul mondo”
(Freire 2004: 78) e questa affermazione si applica ogni volta che emerge la necessità
di distanziare e separare, omologare l’apprendente ad un modello culturale, che sia
quello della madrelingua o quello della lingua di studio, perché significa riprodurre
questioni di potere e comporta discriminazione (vd. Piasere 2002), a dispetto di una
apparente aurea progressista e moderna di modelli via via proposti.
Come espresso precedentemente, il dibattito antropologico sottolinea l’impor-
tanza di considerare l’interazione fra i differenti individui, la loro capacità di in-
fluenzare il cambiamento di un dato senso comune, attraverso esperienze costruite
e condivise, in cui la tracciabilità dei confini, sfumati e mai netti, si rivela una pratica
56 Per approfondimenti, vd. Callari Galli (2000), Gobbo (2004), Piasere (2010).
166
Capitolo XIII - Osservare le relazioni
57 È qui espresso il concetto di “serendipità”, la quale “comporta che il ricercatore segua la corrente e, al tempo
stesso, si accorga degli eventi critici […]. Impossibile da programmare, la serendipità può essere tuttavia faci-
litata cercando di mantenere una condizione mentale disponibile alle eventualità […]” (Gobbo 2003: 11). Come
afferma l’etnografo Peter Woods, “seguire la corrente pone l’accento sul processo e implica intuizione, sponta-
neità, entusiasmo e divertimento. La serendipità nella ricerca è qualcosa di simile, poiché spesso i risultati più
esaltanti capitano nei momenti più inaspettati” (Woods in Gobbo 2003: 35).
167
Capitolo XIV - Possibili letture
CAPITOLO XIV
Possibili letture
Qui di seguito, si presenta una possibile rassegna di materiali teorici sulla pedagogia
linguistica dell’italiano L2.
CILIBERTI, A.
1991 Grammatica, pedagogia, discorso, Firenze, La Nuova Italia.
1994 Manuale di glottodidattica. Per una cultura dell’insegnamento linguistico,
Firenze, La Nuova Italia.
DE MARCO, A.
2002 (a cura di) Manuale di glottodidattica. Insegnare una lingua straniera,
Roma, Carocci.
GIUNCHI, P.
1990 (a cura di) Grammatica esplicita e grammatica implicita, Bologna, Zanichelli.
169
RASTELLI, S.
2009 Didattica acquisizionale, Roma, Carocci.
2010 (a cura di) Italiano di Cinesi, Italiano per Cinesi. Dalla prospettiva della di-
dattica acquisizionale, Perugia, Guerra Edizioni.
BAKER, M. C.
2003 Gli atomi del linguaggi. Le regole della grammatica nascoste nella mente,
Milano, Hoepli.
BECCARIA, G. L.
1994 (a cura di) Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino,
Einaudi.
BERRUTO, G.
1987 Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica.
1995 Fondamenti di sociolinguistica, Roma-Bari, Laterza.
170
Capitolo XIV - Possibili letture
BETTONI, C.
2006 Usare un’altra lingua. Guida alla pragmatica interculturale, Roma-Bari, Laterza.
CHIERCHIA, G.
1997 Semantica, Bologna, Il Mulino.
CHOMSKY, N.
1998 Linguaggio e problemi della conoscenza, Bologna, Il Mulino.
2002 On nature and language, Cambridge, Cambridge University Press.
2010 Il linguaggio e la mente, Torino, Bollati Boringhieri.
CORDER, S. P.
1983 Introduzione alla linguistica applicata, Bologna, Il Mulino.
CRYSTAL, D.
1984 Who cares about English usage? An entertaining guide to the common prob-
lems of English usage, London, Penguin.
2006 The Fight for English. How language pundits ate, shot, and left, New York,
Oxford University Press.
DE BENEDETTI, A.
2009 Val più la pratica. Piccola grammatica immorale della lingua italiana, Roma-
Bari, Editori Laterza.
DONATI, C.
2002 Sintassi elementare, Roma, Carocci.
2008 La Sintassi. Regole e strutture, Bologna, Il Mulino.
171
FABBRO, F.
1996 Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Roma, Astrolabio.
2004 Neuropedagogia delle lingue. Come insegnare le lingue ai bambini, Roma,
Astrolabio.
GRAFFI, G.
1994 Sintassi, Bologna, Il Mulino.
2008 Che cosa è la grammatica generativa, Roma, Carocci.
HAEGEMAN, L.
1996 Manuale di grammatica generativa. La teoria della reggenza e del legamen-
to, Milano, Hoepli.
JACKENDOFF, R.
1998 Linguaggio e natura umana, Bologna, Il Mulino.
LABOV, W.
1969 The study of Nonstandard English, Washington, DC, National Council of
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192
Appendice
APPENDICE
Piccolo scritto sulle “parole parassite”
di Franca Ruolo
“Le parole parassite” è un’espressione con cui, nella prefazione a Lessico del raz-
zismo democratico di Giuseppe Faso, lo scrittore Paolo Nori definisce quelle parole
che si annidano nei nostri pensieri (Nori in Faso 2008). Ma che non si fermano lì,
perché le parole “sono tutt’altro che innocenti” (Faso 2009: 29). Parole e frasi paras-
site che agiscono.
A scuola (e non solo) sopravvivono queste parole, a proposito di chi arriva ed è
subito extracomunitario. E siccome non sa niente, la scuola provvederà ad un corso
di alfabetizzazione, per affrontare l’emergenza.
Quell’alfabetizzazione che, a ben guardare, si rivela un utilizzo appartenente ad
una terminologia privativa. Alfabetizzare, dice il dizionario Devoto-Oli, è “liberare
dall’analfabetismo insegnando a leggere e scrivere”. E quindi, tanti manuali e corsi
per alunni di livello 0 che aiutano a contrastare il problema grave e urgente, come
se la scuola fosse diventata una sorta di pronto soccorso per curare dal virus che
avrebbe colpito la lingua italiana (paradossalmente, poi, quella normativa e nozioni-
stica dei libri, che non è viva, né mai lo è stata).
193
quella bambina o di quel bambino al limite si rilevano conoscenze e competenze
nella propria madrelingua, una prassi certamente importante e indispensabile, ma
spesso un’arma a doppio taglio perché riduce l’osservazione solo alle competenze
linguistiche nella lingua d’origine, contrapposte o affiancate alle mancanze dell’a-
lunno nella lingua italiana, quando si afferma a scuola che non capisce, non sa parla-
re, non sa leggere, non sa scrivere in italiano.
Il problema non riguarda solo la lingua, perché è anche attraverso i gesti che si
rischia di dare un’interpretazione alle reazioni di chi ci ascolta e ci osserva, quando
pensiamo di aver individuato il tratto culturale evidente: “loro sono così, è la loro
cultura…”. Allora, poi, si fa intercultura, perché è necessario che loro si integrino e
accogliamo progetti dai titoli che ci sembrano veramente interculturali e che, spes-
so, evidenziano la mappa concettuale del folklore che equivale, con tutte le buone
intenzioni, ad un vera e propria mancanca di riconoscimento della soggettività degli
individui.
Scrive ancora Giuseppe Faso:
La classe con bambine e bambini che parlano lingue diverse è invece uno dei
luoghi da cui iniziare a cancellare “parole parassite”, perché, come ci ricorda il pe-
dagogista brasiliano Paulo Freire, la disuguaglianza sociale è resa invisibile dall’uso
di un certo linguaggio che distorce e condiziona la realtà, mentre essere insegnante
comporta il dovere etico di “intervenire e sfidare gli studenti a impegnarsi nel loro
mondo, per poter agire su di esso” (Freire 2008: 52).
194
Glossarietto
GLOSSARIETTO
Un altro esempio di accordo è quello tra il nome e gli elementi che tipicamente
si accompagnano ad esso.
Esempi. Il (maschile singolare) mio (maschile singolare) gatto (maschile singolare).
I (maschile plurale) miei (maschile plurale) gatti (maschile plurale).
Nelle frasi (2) e (3) cambia la struttura sintattica, ma i ruoli semantici restano
invariati: la scena è sempre la stessa. Nella frase (3), le gazzelle sono il soggetto e ac-
cordano con il verbo, però non compiono l’azione ma la subiscono: sono il paziente
o l’oggetto della frase.
195
Alfabeto. L’alfabeto è uno dei tanti sistemi di rappresentazione grafica delle lin-
gue. Con l’alfabeto, questa rappresentazione avviene tramite segni convenzionali
(grafemi) che tentano di riprodurre i suoni (foni) della lingua.
Il risultato è soltanto parziale. Ci sono lingue come l’italiano in cui esiste una
buona corrispondenza tra la lettera dell’alfabeto (grafema) e il suono (fono): a volte,
però, una lettera può rappresentare più suoni (il grafema < c > corrisponde, general-
mente, ai suoni [ k ] e [ tò ]) o, viceversa, sono necessarie più lettere per trascrivere
un suono (il grafema < sci > corrisponde, se seguito da altre vocali, al suono [ ò ]); ci
sono lingue come l’inglese in cui questa corrispondenza è meno forte: una lettera
rappresenta tipicamente più suoni (mum [ mʌm ] / put [ pʊt ]).
Non solo, l’alfabeto non rappresenta, se non parzialmente, informazioni come
l’intonazione, l’intensità di pronuncia, l’accento, ecc.
Per rendere veramente rappresentabili le lingue attraverso dei segni convenzio-
nali, si sono creati dei sistemi fonetici di trascrizione: il più noto è l’Alfabeto Fo-
netico Internazionale (comunemente conosciuto come IPA, International Phonetic
Alphabet).
196
Glossarietto
Ausiliari. Gli ausiliari (dal latino auxilium ‘aiuto, soccorso’) sono quei verbi che ri-
corrono con altri verbi ed hanno funzione grammaticale (morfosintattica) perdendo
la propria autonomia semantica (di significato): servono, infatti, a formare i tempi
composti e le costruzioni passive.
Gli ausiliari essere e avere, seguiti da un participio passato, si utilizzano per for-
mare i tempi composti (sono andato, ho mangiato, ero andato, avevo mangiato,
ecc.); l’ausiliare essere si utilizza per formare le frasi passive (La gazzella è mangiata
del leone). Nelle frasi passive possiamo utilizzare, come ausiliare, il verbo venire
che, rivestendo questa sua nuova funzione, perde la propria autonomia (semantica)
e si mette al servizio (grammaticale) del verbo che lo segue.
197
o ad aggettivi (Aurora è una bambina molto vivace), o ad avverbi (Mangio molto
velocemente), o può riferirsi a un’intera frase (Sicuramente, Aurora preferirà andare
ad atletica che al cinema).
La grammatica tradizionale ha spesso considerato la categoria dell’avverbio
come categoria “ripostiglio”: se una parola non rientrava chiaramente all’interno di
una categoria, diventava per i grammatici un avverbio.
198
Glossarietto
Dato. In ogni momento del discorso è dato ciò è attivo nella mente del ricevente.
Esempio. Dove è la mamma? L’ho vista al mercato.
L’informazione data (la mamma) può ricevere scarso rilievo informativo attraver-
so mezzi linguistici modesti (come, in questo caso, il pronome clitico la).
Ciò che è psicologicamente dato tende ad essere realizzato linguisticamente alla
sinistra della frase, tramite proforma e senza prominenza intonativa (o tramite for-
me non realizzate foneticamente).
(Vd. Nuovo)
I costituenti dislocati possono essere pronunciati con una pausa intonativa dal resto
della frase. La virgola serve ad indicare tale pausa.
(Vd. Dato, Tema)
199
La frase può essere semplice e in tal caso prende il nome di proposizione (Lu-
dovico legge un bel libro di linguistica), o composta da più frasi semplici e in tal
caso prende il nome di frase complessa o periodo (Ludovico legge un bel libro di
linguistica perché desidera migliorare la propria conoscenza dei meccanismi di fun-
zionamento delle lingue).
Frase scissa. La frase scissa si costruisce tipicamente attraverso strutture del tipo
è x che (oppure con una preposizione è a x che…, ecc.) Ed ha la funzione pragmatica
di mettere in rilievo o enfatizzare un elemento della frase anche in termini di con-
trasto più o meno esplicito.
Esempio. È a Guido che Franca ha dato una caramella.
200
Glossarietto
usi letterari: impongono una varietà di tipo standard e non si interessano degli usi,
ovvero degli aspetti dell’esecuzione. Esistono anche delle grammatiche linguistiche
meno dogmatiche che si concentrano non sulla norma ma sull’uso della lingua, evi-
denziandone, tra l’altro, la natura diatopica (legata allo spostamento nello spazio
geografico), diafasica (legata ai diversi contesti d’uso e alle diverse situazioni co-
municative), diastrica (legata alle diverse componenti sociali) ed infine diamesica
(legata al mezzo di trasmissione, scritto od orale). Esempi di buone grammatiche
linguistiche sono la Grande grammatica italiana di consultazione di Lorenzo Renzi,
Giampaolo Salvi e Laura Vanelli, la Nuova grammatica italiana di Giampaolo Salvi e
Laura Vanelli, ed infine La grammatica italiana di Cecilia Andorno.
3) Le grammatiche pedagogiche, rivolte agli apprendenti di L2, hanno l’obiettivo
di presentare una selezione dei fatti linguistici in modo da facilitarne l’acquisizione
negli apprendenti. Hanno carattere marcatamente non esaustivo.
L’italiano letterario prende le origini dal fiorentino del Trecento ed è stata per
molti secoli la lingua dell’arte, delle classi colte, usata nei testi scritti ufficiali ed è ri-
masta pressoché immutata fino al romanzo di Alessandro Manzoni I promessi sposi.
Per gli usi quotidiani, la popolazione usava il dialetto e ha continuato a farlo
praticamente fino alla metà del Novecento. È grazie alle migrazioni interne, all’au-
mento della scolarizzazione, all’avvento della radio e quindi della televisione, dell’i-
struzione obbligatoria e del servizio militare di leva che si è cominciato ad usare una
lingua italiana comune.
Italiano standard
Perché una lingua sia considerata standard è necessario che soddisfi tutti o la
maggioranza dei seguenti requisiti:
• Che sia di riferimento per tutta la società;
201
• Che sia la più usata;
• Che sia la meno marcata da un punto di vista sociolinguistico;
• Che sia sovraregionale;
• Che sia descritta e codificata da grammatiche e dizionari;
• Che sia usata da parlanti appartenenti alle classi sociali dominanti;
• Che sia utilizzabile come lingua scritta per tutti gli usi;
• Che sia utilizzabile come lingua orale per parlare di qualsiasi argomento.
Ad oggi non tutti i linguisti sono concordi nell’identificare quale sia l’italiano
standard. Per quanto riguarda la pronuncia alcuni lo identificano con il fiorentino
contemporaneo depurato della gorgia, cioè l’aspirazione di alcuni suoni consonan-
tici (tipicamente, in alcuni contesti, [k] diventa [h], [t] diventa [ɵ], ecc.). Per quanto
riguarda l’aspetto grammaticale, l’italiano standard sarebbe rappresentato dall’ita-
liano dell’ottocento e del Novecento dopo Manzoni. Questa tipologia di italiano è
stata prevalentemente utilizzata per i testi scritti aventi un carattere formale.
Ad oggi la vitalità dell’italiano standard è messa in forte discussione non solo
perché non rintracciabile nell’oralità ma anche nei testi scritti: molte norme e forme
codificate come standard vengono, infatti, sempre più sostituite dalle corrispon-
denti ed equivalenti norme e forme orali, spesso esistite ed usate per secoli pro-
duttivamente a fianco delle prime e considerate, tuttavia, meno affettate di queste.
Italiano neostandard
L’italiano “neostandard” (Berruto 1987), indicato anche con i termini “comune”,
“dell’uso medio” (Sabatini 1985), “tendenziale” (Mioni 1983), è identificabile con la
lingua di questi ultimi cinquant’anni. È una varietà scritta e parlata, che coincide in
gran parte con l’italiano standard, ma accetta molti aspetti che in precedenza erano
percepiti come non accettabili: fenomeni linguistici caratteristici del parlato che
sono, ad oggi, accettati anche nello scritto.
In particolare, a livello morfosintattico, il neostandard accoglie forme apparte-
nenti alle diverse varietà (diatopiche, diastratiche, diafasiche, diamesiche); vi è la
contaminazione con il lessico proveniente da linguaggi diversi (sportivo, tecnico,
scientifico, ecc.) E anche da lingue straniere (oggi molte parole inglesi sono abitual-
mente usate nell’oralità e nello scritto).
Oggi il neostandard è parlato e scritto dalla maggioranza della comunità italiana
come varietà di media formalità.
Italiano regionale
L’italiano regionale è descritto dai linguisti come una varietà di italiano, molto
202
Glossarietto
influenzata dal dialetto, che si distingue dall’italiano standard e dagli altri italiani re-
gionali per elementi tipicamente locali. L’italiano regionale è la conseguenza dell’as-
sorbimento dei dialetti nell’italiano neostandard secondo il seguente percorso:
Italiano popolare
L’italiano popolare è stato anche definito l’ “italiano dei semicolti” perché sareb-
be usato dalle fasce meno istruite della popolazione accanto al dialetto e presenta
quindi forti caratteri regionali. Si è parlato – e si continua a parlare – di “semplifica-
zione” rispetto all’italiano standard o normativo, relativamente all’italiano popola-
re: da questo ne deriva una forte censura sociale applicata a chi è parlante nativo di
queste varietà linguistiche.
Il nostro punto di vista sull’italiano popolare ribalta questa prospettiva:
• Non vediamo la lingua standard come modello, né la usiamo come continuo
riferimento per sanzionare le altre varietà linguistiche;
• Osserviamo le caratteristiche linguistiche di queste lingue come possibilità for-
mali offerte dalla nostra dotazione genetica: una forma non è mai, dal punto di
vista linguistico, migliore rispetto a un’altra; semmai esistono convenzioni che
danno maggiore prestigio ad una forma a danno di un’altra.
• Riteniamo che occorra essere capaci di alternare le diverse varietà linguistiche
nelle varie situazioni concrete di utilizzo della lingua.
203
L2. Parliamo di L2 quando l’apprendimento della lingua non materna avviene in
un contesto situazionale nel quale essa venga utilizzata come lingua di comunica-
zione quotidiana (per esempio l’italiano appreso in Italia attraverso i normali scambi
comunicativi quotidiani).
Marcato. Si dice che un elemento della lingua all’interno di una coppia di elementi
correlati è più marcato se segnala esplicitamente la proprietà, l’informazione, il tratto,
la marca appunto, che lo distingue dall’altro elemento cosiddetto meno marcato.
Esempi. Studente/studentessa
Student/students
Modali (verbi). I verbi modali (detti anche verbi servili per la loro funzione ancil-
lare, servile nei confronti del verbo principale) sono quei verbi che si accompagna-
no ad altri verbi (all’infinito) modificando la modalità di realizzazione dell’evento
espresso dal verbo principale.
In italiano, i verbi generalmente considerati modali o servili sono, per esempio,
potere, volere e dovere: essi sono specializzati ad esprimere come il parlante si pone
verso ciò che dice.
204
Glossarietto
Spesso, ma non sempre, i nomi si riferiscono a entità fisiche come gli oggetti, le
persone, gli animali, ecc.
Nuovo. In ogni momento del discorso è nuovo ciò che psicologicamente non è
attivo nella mente del ricevente.
Esempio. Ieri ho visto un cane zoppo.
205
VERBI INACCUSATIVI (ausiliare essere): cadere
Che cosa è successo alla torre? La torre [dato] è caduta [nuovo].
Che cosa è successo? È caduta la torre [nuovo].
(Vd. Dato, Nuovo)
206
Glossarietto
– lineetta
* asterisco
Rema. Il rema, nella grammatica del discorso, è quella parte dell’enunciato che
ne realizza lo scopo informativo.
Il rema tende a trovarsi alla destra degli enunciati.
Esempio. I nonni sono arrivati.
Soggetto. Il soggetto non è sempre “colui che compie l’azione” (agente) né tan-
tomeno sempre “ciò di cui si parla” (topic); il soggetto è, in italiano, quell’elemento
della frase che accorda con il verbo. Questa analisi morfosintattica è l’unica possi-
bile e l’unica che non cade in contraddizione. Nell’inglese it’s raining, il soggetto sin-
tattico it non ha un referente (non si riferisce a niente e a nessuno) e non ha nessun
ruolo tematico: non compie l’azione né corrisponde a ciò di cui si parla; è soltanto
un elemento grammaticale.
Ci sono lingue che hanno soggetti espressi necessariamente (inglese) e lingue
che possono omettere il soggetto (italiano). La differenze tra questi due tipi di lin-
gua consiste in una scelta parametrica.
Esempio. Piove. (soggetto non espresso)
It’s raining. (soggetto espresso)
207
Tema. Il tema, nella grammatica del discorso, è ciò di cui si parla, l’argomento
dell’enunciato, o, meglio ancora, l’informazione accessoria che facilita la compren-
sione del rema.
Il tema tende a trovarsi alla sinistra degli enunciati.
Esempio. I nonni sono arrivati.
(Vd. Rema)
Tema libero. La struttura della frase cosiddetta a tema libero prevede elementi
alla sinistra della frase non legati sintatticamente al resto della medesima. Sarà il
contesto linguistico ed extralinguistico ed il sistema di conoscenze dell’ascoltatore
(nonché lo spazio comunicativo condiviso da parlante e ascoltatore) a permettere
la decodifica e la comprensione del messaggio.
Esempio. Guido, Franca deve comprare altre caramelle.
Tema sospeso. La struttura della frase cosiddetta a tema sospeso presenta ca-
ratteristiche simili alla dislocazione a sinistra, soprattutto relativamente alla sua
funzione pragmatica di tematizzazione, ma ha caratteristiche sintattiche diverse: il
tema sospeso non si accompagna agli indicatori sintattici (le eventuali preposizioni)
e richiede necessariamente una ripresa (generalmente, un pronome clitico).
Esempio. Guido, Franca gli ha dato una caramella.
Valenza. La valenza del verbo si può spiegare come quel determinato numero di
posti vuoti, controllati dal verbo, da riempire all’interno della frase. Ogni verbo ha
un numero di posti vuoti (argomenti) da riempire secondo il suo significato. Ogni
verbo esprime una scena con degli attori (detti partecipanti o attanti) che possie-
dono ruoli specifici (ruoli tematici).
Esempio. Edoardo dà un fiore a Cristina.
208
Glossarietto
Varietà linguistiche. Il modo con cui si usa la lingua può variare per situazioni,
canali di trasmissione, luoghi, tempo. Per questo motivo, in letteratura si usa fare
una distinzione tra:
• Varietà diamesica: la variazione linguistica determinata dal canale di trasmissio-
ne (lingua orale/lingua scritta) dell’evento comunicativo;
• Varietà diatopica: la variazione linguistica determinata dall’uso della lingua che
si fa in un determinato luogo geografico (l’italiano parlato in Toscana ha delle
peculiarità sue proprie rispetto a quello parlato, per esempio, in Lombardia o
nel Lazio);
• Varietà diafasica: la variazione linguistica determinata dal contesto d’uso della
lingua (italiano formale, italiano burocratico, italiano colloquiale, italiano infor-
male trascurato);
• Varietà diastratica: la variazione linguistica determinata dalla situazione socio-
culturale del parlante.
(Vd. Registro)
209
Verbi. I verbi (dal latino verbum ‘il dire’) hanno una flessione che esprime, al suo
interno, persona, numero, tempo, aspetto e modalità.
Esempio. Ieri sono andato al mare.
Sono andato:
Persona e numero: 1a persona singolare
Tempo: passato prossimo
Aspetto: perfettivo (evento concluso, isolato)
Modo: indicativo
Spesso i verbi indicano un’azione, una cosa che si fa (es. Ludovico cammina).
Tuttavia, possono anche indicare: un processo, cose che capitano (es. Ludovico è
caduto); una proprietà del soggetto (es. Ludovico è basso e magro); uno stato (es.
Ludovico esiste); una sensazione (es. Ludovico ama Elisa).
I verbi possono essere transitivi, se possono essere seguiti da un oggetto diretto
e possono essere trasformati in passivi, e intransitivi, se hanno le caratteristiche
opposte.
Esempi. Edoardo ama Cristina. (verbo transitivo)
(Cristina è amata da Edoardo).
Edoardo dorme. (verbo intransitivo)
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226
CHIAVI DELLE ATTIVITÀ
PRIMA PARTE
L’italiano e l’acquisizione dell’italiano come lingua seconda. Ricadute didattiche
nella classe plurilingue.
227
ATTIVITÀ cap. 2, par. 4
Fiore di Maggio
228
ATTIVITÀ cap. 2, par. 5
La sintassi della frase
1F
2E
3B
4G
5C
6A
7D
229
ATTIVITÀ cap. 5, par. 3.3
Le tipologie e i generi testuali
comunicare i propri
TESTO ESPRESSIVO- lettera, pagina di diario,
pensieri, le proprie
PERSONALE canzone.
emozioni.
trasmettere pensieri e
sentimenti attraverso il poesie, filastrocche,
TESTO POETICO
suono e il ritmo delle canzoni.
parole.
230
SECONDA PARTE
L’insegnante apprendente. La pratica etnografica nella didattica dell’italiano L2.
231
lisemanticità, è un muoversi in attesa di una possibile bisocia-
zione delle rispettive matrici percettivo-valutative. La con-
statazione che tale bisociazione ha dei fondamenti (Ernesto
dimostra una coerenza nel suo non rispetto delle norme…) ri-
manda a ulteriori esplorazioni in attesa che l’accumularsi dei
piccoli particolari, dei segnali metacomunicativi permetta di
interpretare con un grado soddisfacente di approssimazione
non solo il comportamento di Ernesto, ma l’intera dinamica e
gioco dei reciproci equivoci. (Sclavi 2003: 109-112)
232
parare da loro. Potremmo dire che è con questa terza modalità, secondo noi, che
si concretizza una didattica efficace: essa si basa su un concetto di insegnamento
che diventa accogliente ed efficace solo se abbandona l’idea del dialogo scolastico
(quello delle risposte attese dall’insegnante: vd. Perticari 2005).
• AA.VV. 2011, Cronache di ordinario razzismo. Secondo libro bianco sul razzismo
in Italia, Roma, Edizioni dell’Asino.
• Faloppa, F. 2011, Razzisti a parole (per tacer dei fatti), Roma-Bari, Laterza.
• Faso, G. 2008, Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono, Roma,
Edizioni DeriveApprodi.
• Faso, G. 2009, La lingua del razzismo: alcune parole chiave, in Naletto G. (a cura
di), Rapporto sul razzismo in Italia, Roma, Manifestolibri: 29-36.
233
significati dall’alto, ma li condivide e li negozia con gli apprendenti, stimolando l’ela-
borazione di domande che possano mettere in crisi le spiegazioni date e sollecitino
a nuove ipotesi esplicative. In questa attività si propone di concepire la didattica
come luogo in cui riflettere significa ammettere le proprie incertezze, confrontan-
dole con altre incertezze e procedendo verso nuove scoperte. Per questa ragione,
la riflessione sulla grammatica è proposta non attraverso tecniche insiemistiche e
procedurali, molto in voga nei testi di italiano L2 (vd. Balboni 2002: 258-261): esse
ripropongono un modello didattico di tipo impositivo (e l’imposizione, come ha
sempre sottolineato un grande educatore come Alberto Manzi, non produce e non
crea conoscenza). Si è preferito invece stimolare un ragionamento sulla grammatica
sollecitando gli apprendenti a riflettere partendo dalla propria competenza sulla
lingua (vd. Lo Duca 2004). Infine, la richiesta di elaborare una possibile soluzione di
“un problema difficile” non si configura come una proposta su elementi di “civiltà
e cultura” (vd. Balboni 2002, Vedovelli 2002), che riporterebbe ad una dimensione
di spiegazioni culturaliste, banalizzando la didattica in classe (vd. capp. 9-11). Le do-
mande dell’attività non chiedono il “racconto di sé” secondo un’ottica che ristabili-
sce una visione dell’apprendente “patologizzato” (vd. Baroni 2010): durante l’esecu-
zione dell’attività in classe è possibile che emergano dei racconti spontanei di espe-
rienze personali, ma questa proposta vuole stimolare l’apprendente ad esprimere
soluzioni possibili e creative. In essa la creatività non è semplice fantasia, ma è vista
come “la capacità produttiva della ragione ed è connessa alla fantasia, che serve per
affrontare, senza limitazioni e pregiudizi, ogni problema […]. La creatività [è] saper
riconoscere un problema e saper realizzare i modi per trovare una soluzione […], è la
capacità di rompere conformismi e adattamenti”. È quindi un’attività costante che
non può essere programmata: è un approccio che stimola alla scoperta e si scontra
con il mondo della velocità (vd. gli appunti di Alberto Manzi, scaricabili dal sito
http://www.centroalbertomanzi.it/linguistica.asp).
234
riguardano la sfera “percettiva” del lettore/insegnante, che assegna una propria in-
terpretazione al testo. Esso offre una lettura parziale, opaca, non necessariamen-
te suscettibile di una lettura chiaramente decifrabile, come a rivendicare da parte
dell’apprendente il diritto di sottrarsi alle interpretazioni dell’insegnante (vd. Glis-
sant 2007).
235
GLI AUTORI
Alan Pona, nato a Prato nel 1978, è dottore di ricerca in linguistica. Si è dedicato
soprattutto allo studio di alcuni aspetti della morfosintassi della lingua italiana e
dell’apprendimento dell’italiano come L2. Ha collaborato a pubblicazioni di didatti-
ca della L2. Al momento lavora come facilitatore linguistico di italiano L2 e forma-
tore di docenti in Toscana.
Franca Ruolo, nata in Sicilia nel 1970, è facilitatrice linguistica di italiano L2 nelle
scuole primarie e secondarie e in corsi di italiano L2 e di letto-scrittura per migran-
ti adulti. È formatrice di didattica dell’italiano come lingua seconda in Toscana, con
particolare attenzione all’approccio etnografico nella didattica della seconda lingua.
237
INDICE
Introduzione ......................................................................................................................................... 5
PRIMA PARTE
L’italiano e l’acquisizione dell’italiano come lingua seconda.
Ricadute didattiche nella classe plurilingue, di Alan Pona .............................................. 7
Capitolo I
Terminologia introduttiva ............................................................................................................. 9
Capitolo II
Il linguaggio, le lingue naturali e le varietà linguistiche . ............................................... 15
1. Laboratorio .................................................................................................................................. 15
2. La variazione diafasica, diastratica e diamesica .......................................................... 16
3. Leggendo Noi la farem vendetta di Paolo Nori .............................................................19
4. Fiore di maggio .......................................................................................................................... 26
5. La sintassi della frase .............................................................................................................. 28
6. Punti di crisi dell’italiano contemporaneo .................................................................... 34
6.1 A me mi .................................................................................................................. 34
6.2 Soggetto, verbo .................................................................................................. 35
6.3 Lui/egli ................................................................................................................... 35
6.4 Il dativo in italiano . ........................................................................................... 36
6.5 Che nelle frasi relative ..................................................................................... 38
7. Alcune citazioni ....................................................................................................................... 40
8. Possibili conclusioni ................................................................................................................ 41
Capitolo III
L’acquisizione delle lingue seconde ......................................................................................... 43
1. Analisi/descrizione di testi autentici . ............................................................................. 43
2. Le varietà degli apprendenti . .............................................................................................. 47
2.1 Le varietà degli apprendenti: alcune definizioni possibili ................. 48
2.2 Riflessioni .............................................................................................................. 52
239
3. I cinque postulati di Stephen Krashen ............................................................................. 54
4. La linguistica acquisizionale ................................................................................................. 58
4.1 Che cosa è una Lingua Seconda ................................................................... 58
4.2 Fasi (e processi) acquisizionali ...................................................................... 59
4.3 Le sequenze acquisizionali ............................................................................. 64
4.4 Riflessioni .............................................................................................................. 67
Capitolo IV
L’insegnamento/apprendimento delle lingue seconde ................................................. 69
1. Laboratorio ................................................................................................................................. 69
2. Una possibile definizione di grammatica ....................................................................... 71
2.1 Tipi di grammatiche .......................................................................................... 72
3 Una possibile definizione di competenza comunicativa .......................................... 73
4. Oltre la competenza comunicativa: la competenza d’azione ................................ 74
5. Modelli operativi . .................................................................................................................... 74
5.1 Unità di lavoro/apprendimento .................................................................. 77
5.2 Esempi di unità di lavoro/apprendimento .............................................. 81
Capitolo V
Il quadro comune europeo di riferimento per le lingue . .............................................. 95
1. Laboratorio ................................................................................................................................ 96
2. I livelli del Qcer e il loro possibile riadattamento a Scuola .................................. 99
3. Il Qcer e il testo come unità base dell’azione didattica ........................................ 104
3.1 Una possibile definizione di testo . ........................................................... 104
3.2 Il testo nel Qcer . .............................................................................................. 104
3.3 Le tipologie e i generi testuali .................................................................... 105
Capitolo VI
La lingua dello studio. La facilitazione e la semplificazione dei testi
nella scuola . ...................................................................................................................................... 107
1. Alcune premesse .................................................................................................................... 107
2. Tecniche di semplificazione testuale ............................................................................. 110
2.1 Lessico .................................................................................................................. 110
2.2 Morfosintassi ....................................................................................................... 111
2.3 Coerenza/coesione . ........................................................................................ 113
240
SECONDA PARTE
L’insegnante apprendente. La pratica etnografica nella didattica
dell’italiano L2, di Franca Ruolo ................................................................................................ 115
Capitolo VII
Insegnare esige il saper ascoltare ............................................................................................ 117
1. Un bambino va alla guerra (o forse no) .......................................................................... 118
Capitolo VIII
L’illusione di insegnare la lingua ............................................................................................. 123
1. Analisi di materiali didattici: le contraddizioni dei metodi e delle tecniche
in glottodidattica ................................................................................................................... 123
2. Analisi di materiali didattici per l‘italiano L2: critica agli stili cognitivi e
alla culturizzazione ................................................................................................................ 124
Capitolo IX
Uno sguardo critico sulla glottodidattica .......................................................................... 127
1. I rischi della banalizzazione nei modelli operativi standard nella didattica
dell’italiano L2. ........................................................................................................................ 127
2. Contro la teoria semplicistica degli stili cognitivi . .................................................. 134
3. Contro l’idea che “non si insegna solo la lingua, ma anche la cultura che
le sta dietro” . ........................................................................................................................... 136
4. Stereotipi e pregiudizi nei libri di italiano L2 .............................................................. 137
5. Lingua italiana e razzismi . ................................................................................................... 142
Capitolo X
Parlare insieme ................................................................................................................................ 143
1. Una proposta didattica ........................................................................................................ 143
2. Confronti ................................................................................................................................... 146
3. Le fasi dell’unità di apprendimento: critica al modello di unità didattica
e proposte per un percorso possibile ............................................................................ 147
241
Capitolo XI
Lo spazio comune delle relazioni ........................................................................................... 149
1. Quello spazio fra due punti ............................................................................................... 149
2. Lettura sul concetto di intercultura ............................................................................... 150
3. Con-vivenze .............................................................................................................................. 156
4. “Qualche piacevole sentimento”: un piccolo racconto sull’importanza
delle contro-rappresentazioni nella didattica dell’italiano L2 ........................... 157
Capitolo XII
L’insegnante-apprendente ......................................................................................................... 159
1. Punti di vista ............................................................................................................................. 160
2. Il paradosso dell’osservatore ............................................................................................. 162
Capitolo XIII
Osservare le relazioni ................................................................................................................... 163
1. Sguardi etnografici ................................................................................................................. 163
2. Riflessioni finali ....................................................................................................................... 163
Capitolo XIV
Possibili letture . .............................................................................................................................. 169
Appendice
Piccolo scritto sulle “parole parassite” di Franca Ruolo .................................................. 193
242
Finito di stampare nel mese di maggio 2012
Grafica, Impaginazione e Stampa
blucomunicazione.com