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LA VITA NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO E I

SIMBOLI DEL LORO ABBIGLIAMENTO

La vita nei campi di concentramento


Il viaggio dei deportati incominciava dalle città natali quando l’esercito nazista strappava dalle loro case
tutti coloro che erano riconosciuti come ebrei. I bagagli venivano confiscati dagli ufficiali delle SS e non
tornavano più ai loro proprietari. Gli uomini erano quindi caricati su vagoni merci che erano di piccole
dimensioni se considerate in rapporto al numero di persone che vi erano stipate. Alcune persone morivano
di freddo, di fame, di soffocamento, durante il viaggio che poteva durare anche diversi giorni a seconda
della destinazione e dal luogo di imbarco. A bordo non venivano concesse né razioni di cibo né d’acqua, né
la possibilità di conoscere la meta o di espletare alle proprie funzioni fisiologiche. I vagoni erano bui e le
feritoie chiuse da filo spinato; la gente si accalcava vicino agli spiragli di luce per scorgere il mondo al di
fuori del veicolo. Alcuni impazzivano e avevano allucinazioni.

La vita nei campi di concentramento era insostenibile e durissima. Le persone deportate nei lager erano
sottoposte a condizioni proibitive fin dall’arrivo. Appena scesi dai convogli erano smistati in due categorie: i
più deboli erano portati nelle camere a gas, dove venivano uccisi, mentre gli uomini e i giovani in grado di
lavorare erano condotti in una stanza dove, spogliati e rasati, entravano nelle docce, da cui sgorgava solo
acqua gelida o bollente. I funzionari del campo davano loro delle lacerate e sottili uniformi a righe, sempre
sporche e sgualcite, e delle scarpe spaiate e scomode. Bambini coperti solo da leggere uniformi a righe. Si
cominciava allora la registrazione. Si annotavano le generalità del prigioniero e lo si marchiava con un
numero tatuato il numero era inoltre stampato su una stoffa e cucito sui pantaloni e sulla blusa dei
detenuti e, affianco a questo, era posto un triangolo colorato, di tonalità diversa secondo il motivo
dell’arresto.

Con un disarmante rigore scientifico i nazisti avevano calcolato che un ebreo in grado di lavorare avrebbe
dovuto sopravvivere nel campo circa tre mesi e la razione di cibo giornaliera era calcolata secondo questo
principio. Le calorie che i detenuti assimilavano sarebbero sufficienti oggi ad una persona che trascorresse
la sua vita sdraiata, ma nei lager la vita era caratterizzata da un lavoro duro e spossante. I corpi diventavano
sempre più magri e smunti riducendo progressivamente le forze del fisico che, una volta che non più abile
al lavoro, veniva eliminato. La malnutrizione causava malattie e gravi squilibri che portavano, tra l’altro, le
donne ad interrompere i loro cicli fisiologici. Il cibo constava di una zuppa molto liquida e di pane.

I simboli del loro abbigliamento


I simboli dei campi di concentramento nazisti, principalmente colori, lettere, numeri,
facevano parte di un sistema semiologico di identificazione dei prigionieri dei lager.
Il sistema di codifica dei contrassegni serviva a classificare i prigionieri,
generalmente in base a gruppi creati sulla base dei motivi dell’arresto. I simboli
erano in stoffa, affibbiati sulla divisa, sulla casacca, all’altezza del petto, sulla
sinistra, e sui pantaloni, all’altezza della coscia destra. I criteri per l’identificazione
degli internati variavano però a seconda dei luoghi di detenzione, e del trascorrere
del tempo. L’assegnazione di un prigioniero a una categoria dipendeva in ogni caso
dall’arbitrio della Gestapo; le suddivisioni si confusero e persero poi di valore con
l’aumentare dei deportati da molti paesi e con il progressivo sgretolamento del
Terzo Reich.
 Un triangolo invertito sovrapposto a un triangolo di colore giallo indicava che
il prigioniero era un ebreo; ad esempio, un triangolo nero sovrapposto a un
triangolo giallo indicava un prigioniero “asociale” ebreo, oppure un triangolo
giallo sovrapposto a un triangolo rosa indicava un prigioniero omosessuale
ebreo;
 la sagoma di un triangolo, bordata di nero, sovrapposta a un triangolo giallo,
indicava un ebreo “profanatore della razza”, Rassenschänder, ossia accusato
di violare la “legge per la protezione del sangue”, Blutschutzgesetz , poiché
aveva avuto una relazione con una donna “ariana”.
 Un triangolo giallo sovrapposto a un triangolo nero, indicava una donna
“ariana”, “profanatrice della razza”, Rasseschänderin, ossia accusata di avere
una relazione con un uomo ebreo.
Determinate lettere utilizzate all’interno dei triangoli indicavano il paese di origine.

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