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SIAMO TUTTI ANOMALISA

Immaginate di abitare una realtà in cui ogni essere umano attorno a voi abbia la stessa identica voce
e lo stesso identico impersonale volto. Siete alla fermata dell'autobus e le vicende dei vostri vicini si
accavallano confuse e quasi indecifrabili, come se provenissero dalla medesima persona, capace di
raccontare mille storie con una sola rumorosa emissione d'aria. Siete in coda alle casse di un
supermercato e non riuscite a distinguere in alcun modo la fisionomia della cassiera da quella del
signore di mezza età che vi ha appena salutato, chissà poi chi sarà quell'uomo...non lo avete affatto
capito. E i bambini, anche i bambini non sono che adulti dalla prosodia infantile: stessi tratti, stesse
espressioni, stesso identico timbro. Spaventoso no?
E’ questa la situazione in cui si trova Michael Stone, protagonista di Anomalisa, film del 2015 di
Charlie Kaufmann, Leone d’argento 2015 a Venezia, realizzato interamente con la tecnica dello
stop-motion.
Michael Stone è un uomo di mezza età, dall’aspetto ordinario, consulente per la qualità del servizio
clienti e conosciuto nel suo settore grazie ad un libro che presenta in conferenze molto frequentate
viaggiando in tutti gli Stati Uniti. Michael Stone è inquieto, annoiato, spento, ogni essere vivente
dinanzi a lui è una figura anonima che non riesce ad emergere dal magma respirante della folla:
sembra essere l’unico ad avere un volto diverso, una voce diversa, dei desideri diversi mentre tutto
placido scorre come un tedioso largo e lungo fiume di giorni. E’ sposato ed è padre, è figlio ed è
collega, ma pare dover incarnare questi differenti ruoli, unico a possedere una precisa individualità,
rapportandosi con una grande ed unica identità per giunta orribilmente poco interessante. Michael è
alla ricerca di una scintilla di vita che gli comunichi di non essere all’interno di un cinico scherzo à
la Truman Show: la cerca nel suo passato, ricontattando una donna abbandonata un decennio prima,
per la forsennata sete di rivivere tra le lenzuola un ricordo felice e per indagare cosa sia andato per
il verso sbagliato in lei, tanto da renderla parte dei Borg che ormai perseguitano i suoi giorni. Illusa,
ferita e messa in fuga quindi una persona già fragile, attirata nella rete della nostalgia e nella
promessa del ritorno di un amore, Michael ormai ebbro di vodka si lascia sconvolgere
dall’apparizione di una voce diversa: una voce femminile, gioviale, a cui l’uomo si aggrappa con
tutte le sue forze fino a farla sua in un atto dallo slancio esageratamente drammatizzato. L’uomo
riempie Lisa, un’ammiratrice appena incontrata, timida e con una scarsa fiducia nel suo aspetto e
nella sua personalità, di complimenti ed esternazioni lusinghiere: poiché è l’unica oltre se stesso a
possedere un volto ed una voce differente, la donna diviene l’essere umano più appassionante e
straordinario di tutti, sola meravigliosa fonte di aria nuova, prospettiva di sicura felicità. E così la
seduce, si congiungono in un onda di promesse ed ostentazioni di sentimenti, fino al mattino dopo,
momento in cui il nostro Michael si rende conto che la sua Lisa è come tutti gli altri: fa rumore con
la forchetta mentre mangia, non è poi così bella come ricordava qualche ora prima, pian piano il suo
viso ed il suo timbro perdono i loro tratti distintivi e si liquefanno nell’anonimato dell’unica grande
identità citata qualche rigo più in su. Sconfitto dall’inesorabilità degli eventi, come un bambino che
al mattino trova morta la lucciola intrappolata nel barattolo la sera precedente, il nostro eroe lascia
Lisa senza alcuna spiegazione, e torna alla consueta esistenza apparentemente popolata dallo stesso
individuo clonato in molteplici copie: apparentemente perché si noterà che lontano da Michael le
persone tornano ad avere i propri connotati e la propria personalissima voce. Dunque dove si situa il
problema? Perché tutti sotto il suo sguardo hanno lo stesso volto? Michael Stone guarda la realtà
con i suoi occhi, come tutti noi, filtrando ed organizzando le informazioni tramite schemi mentali
che contribuiscono a categorizzare e relazionarsi adeguatamente con ciò che volta per volta
sopraggiunge, esattamente come tutti noi. Ma per alcuni giunge il tempo in cui gli schemi, formatisi
negli anni grazie alle esperienze, ai ricordi, alle paure, alle aspettative, alle frustrazioni, divengono
così forti e strutturati, così ingombranti e lattiginosi da deformare la percezione della realtà. Capita
a volte ad ognuno di noi quando graniticamente attribuiamo le caratteristiche negative di un vecchio
amico che ci ha traditi ad una nuova conoscenza ancora incolpevole, oppure quando diamo per
scontato il comportamento di qualcuno che frequentiamo da tempo, o ancora quando siamo certi di
sapere già come andrà a finire una circostanza che ci si è appena presentata. La nostra mente
funziona così: cerca di ordinare gli input per prevedere l’andamento degli eventi ed agire di
conseguenza; ma cosa accade quando le lenti con cui guardiamo la realtà, da essere d’aiuto
diventano oscuranti, ne modificano i colori, le forme? Accade che non stiamo più esperendo la
realtà, stiamo guardando e ascoltando ciò che il cervello pensa di guardare ed ascoltare: come se
occhi ed orecchie fossero rivolti all’interno e non all’esterno, quasi incantati ed assuefatti dai
racconti della mente. Emmanuel Lévinas, filosofo francese vissuto nel XX secolo, nel suo saggio
Totalità ed Infinito descrive magistralmente il ruolo del volto nella percezione dell’Altro: il volto
umano è presenza viva dell’Altro, spaccatura nell’isolamento del soggetto da cui riesce a sgorgare il
suo essere, punto di rottura che mette in crisi le varie forme a cui tentiamo di ricondurre l’Altro.
Quando incontriamo qualcuno il suo volto stravolge i nostri paradigmi presentando allo sguardo
nuovamente vergine gli indizi balenanti di un’altra soggettività, dissimile da ogni altra, irriducibile
ed inconoscibile; un Altro che ci riguarda, nel duplice senso del termine francese regarder,
guardare qualcosa con cura ed occuparsi di quel qualcosa. Incrociare un volto è dunque
un’esperienza sconvolgente che ci pone di fronte assieme alla irrisolvibile solitudine della coscienza
e al grande mistero della condivisione delle esistenze: al di là delle forme e delle categorie l’altro
nell’unicità del volto apre una finestra sulla realtà per cui occorre essere svegli. Michael non è più
capace di distinguere i volti a causa delle lenti sfalsanti che si frappongono tra sé e l’Altro, continua
a vedere riproposto sui suoi schermi interiori un interminabile incubo in cui è totalmente solo,
nessuna increspatura ad urlargli che poco fuori dalla sua scatola cranica la terra brulica di vite.
Michael si è sottratto all’enigma dell’Altro, che sia uomo, donna, cane, cavallo o mucca, per non
sentire quello strappo a cui l’Altro espone ad ogni sguardo, per non ricominciare daccapo ad ogni
“piacere, sono Michael”, per non doversi accontentare di segni da interpretare e per evitare quello
sforzo estenuante di sgorgare in sottili filigrane di essenza da un sorriso, un broncio, un’espressione
stupita, conscio di non poter mai essere globalmente compreso nella propria totalità. Per accogliere
l’esperienza dell’Altro è necessario invece fare un passo nel terreno dell’intersoggettività, luogo in
cui manifestiamo vicendevolmente le nostre unità corpo-espressività, come sottolineato da Husserl
nelle Meditazioni Cartesiane. Provare a deporre le nostre affilate armi gnoseologiche per lasciarsi
invadere dall’unicità del fenomeno, accettare il fatto che ognuno abiti la propria coscienza e non
possa essere certo dell’esistenza della coscienza altrui, scegliere per tal motivo di provare a
raccontarsi, ma soprattutto ad ascoltare ed intuire i segnali dell’Altro, come impronte sulla neve,
nell’inebriante ricerca di un qualche attimo di vicinanza, di sintonia.
Attorno a noi ogni volto è differente. Attorno a noi ogni voce è differente. E se ci sembrerà di
conoscere qualcuno, dovremmo dimenticarlo. E se ci sembrerà di riconoscere qualcuno dovremmo
dimenticarlo. Per dare a lui o lei la possibilità di essere, come fosse la prima volta. Per dare a noi la
possibilità di meravigliarci di quanto si perda forzando gli schemi mentali su ogni circostanza. Per
poter essere sempre noi eppure sempre nuovi. Per tentare di toccarci, senza poterci mai raggiungere,
come stabili galassie interagenti. Siamo tutti Anomalisa.

Bibliografia

Filmografia

Scaturito dalla penna e dall’occhio responsabili di capolavori quali Eternal Sunshine of the Spotless
Mind (2004, dall’infelice traduzione italiana Se mi lasci ti cancello) e Being John Malkovich (1999,
Essere John Malkovich), Anomalisa è un lungometraggio magistrale sia dal punto di vista
fotografico, grazie al contributo del direttore Joe Passarelli, che da quello prettamente legato al
delicato procedimento di creazione frame-by-frame a cura dello staff di Duke Johnson; ma ciò per
cui prenderemo ad esempio questa pellicola non riguarda gli aspetti artistico estetici, pur pregevoli e
degni di nota.

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