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Appunti da…

Sergio Dolabella
Francesco Filippelli
METODOLOGIE SINTETICHE ECOCOMPATIBILI (PARTE A)

1- Prevenire l'inquinamento all'origine è più conveniente rispetto a doverlo trattare


successivamente (prevenire è meglio che curare).

Bisogna adoprarsi a progettare sintesi che evitino l'uso o la formazione di sostanze nocive.

2- Economia degli atomi: le sintesi dovrebbero massimizzare l’inclusione di tutti i materiali di


partenza nel prodotto finale.

Atom economy (efficienza atomica, EA): le reazioni dovrebbero essere concepite in


modo che la maggior parte degli atomi presenti nei reagenti vada a finire nel prodotto
desiderato. Si definisce come il rapporto tra il peso molecolare del prodotto desiderato e la
somma dei pesi molecolari di tutti i prodotti di reazione.

E’ stato introdotto un altro parametro, chiamato fattore E (E da Environment) definito come il


rapporto tra massa di sottoprodotti e massa di prodotto. Tiene conto anche
della resa di reazione e dell’eventuale alimentazione di solvente fresco a causa di riciclo
inefficace. Unica eccezione è relativa all’acqua, che non viene considerata.

Ovviamente in una manifattura ideale il fattore E dovrebbe essere pari a zero.

Il fattore E caratteristico di un processo su larga scala è circa 1.09, quelli di chimica fine
possono superare anche 100.

L’elevato valore del fattore E di molte manifatture tradizionali è molto spesso legato alla
formazione di ingenti quantità di sali inorganici. Questo risultato dipende in larga misura dal
fatto che i vecchi processi sono basati su reazioni stechiometriche, e fanno ad esempio uso di
classici agenti riducenti (Na, Mg, Zn, idruri di Na o Al) o ossidanti (ossidi di Mn o Cr).

Analogamente, molte reazioni, quali solfonazioni, nitrazioni, alogenazioni, richiedono


quantità stechiometriche di acidi minerali (H2SO4, HNO3) o acidi di Lewis (AlCl3, ZnCl2, BF3),
il che comporta la produzione significativa di sottoprodotti indesiderati.

Oggi la chimica si può avvalere di nuove reazioni catalitiche in grado di usare direttamente
H2, O2, H2O2, CO, CO2 e NH3 come fonte di H, C, O e N per le sintesi.

Va tuttavia fatto rilevare che è importante tener conto dell’ammontare di sottoprodotti


indesiderati, ma anche dell’impatto che questi possono avere sull’ambiente.

Quindi si introduce un ulteriore termine, definito quoziente ambientale, EQ, che si ottiene
moltiplicando il fattore E per un termine arbitrario Q, il quale è tanto più alto quanto più
aggressiva è la sostanza in questione.

Ad esempio, NaCl può avere Q=1, mentre un sale di Cr Q=100-1000. Tuttavia, se il processo
produce ingenti quantità di NaCl, il valore di Q può aumentare; se le quantità fossero così alte
da permettere un riciclo elettrolitico il valore di Q tornerebbe a diminuire.

Un esempio di reazioni con il 100% di atom economy sono le Diels-Alder, che possono
procedere rapidamente e senza solventi dando luogo ad un unico prodotto. Al contrario, un
esempio di reazione intrinsecamente non-ecocompatibile è la reazione di Wittig, che produce
ossido di trifenilfosfina, rendendo pari a 0 l’efficienza atomica del P.
3- Le sintesi dovrebbero prevedere l'uso e la produzione di sostanze con una tossicità minima
o nulla.

Si definiscono degli indici di tossicità, i quali non sono solo relativi alla dose tossica, ma anche
al danno al quale si riferiscono (es., lacrimazione o danni neurologici); oltre che alla
reversibilità del danno. Quindi, riassumendo: i tre fattori importanti nella valutazione della
pericolosità di un composto per l'uomo sono: la dose tossica, il tipo di danno, e la sua
reversibilità.

E’ utile conoscere come le sostanze arrecano danno, quali vie utilizzano (es. assorbimento
cutaneo, inalazione, ingestione etc.); in questo modo per evitare che ad esempio un polimero
possa essere assorbito attraverso le vie respiratorie, si può far riferimento al fatto che solo
particelle di dimensioni inferiori a 10 m sono effettivamente respirabili. Analogamente,
variando la polarità di una sostanza si può evitare il suo assorbimento cutaneo.

Anche l’impatto sul modo animale, sul territorio (piogge acide date da ossidi di S e N che,
immessi in atmosfera tornano sotto forma di acidi), e al livello globale (es. problemi legati a
cambiamenti climatici, effetto serra e buco dell’ozono). Effetto serra: legato alla crescente
immissione di CO2 nell’atmosfera, nonostante sia una sostanza innocua di per sé. Buco
dell’ozono: legato alla produzione e immissione di CFC, che promuovono la decomposizione
dell’ozono negli strati alti dell’atmosfera.

Il chimico dovrebbe cercare di sostituire composti tossici dei processi con alternative innocue,
ad esempio il fosgene potrebbe essere sostituito con CO2. Infatti il fosgene a contatto con
l’acqua libera HCl, mentre la CO2 è innocua e disponibile in ingenti quantità, tuttavia essa è
chimicamente inerte, e questo rappresenta il rovescio della medagli. La sfida del chimico è
quindi quella di trovare processi innovativi, ad es. catalitici, per sfruttare la CO2 come fonte di
C al posto del fosgene.

4- I prodotti dovrebbero essere disegnati per rimanere adatti al loro scopo, pur presentando
una tossicità ridotta.

Bisogna soddisfare il bilancio tra massimizzazione di prestazione e riduzione di pericolosità.


Innanzi tutto, deve essere definito un testkit, vale a dire un certo numero di
sostanze appartenenti alla classe in esame, potenzialmente utili per l’applicazione. La
predizione è effettuata tenendo conto delle relazioni SAR (Structure-Activity Relationship) e
QSAR (Quantitative …).

La prima (SAR) è quella secondo la quale molecole simili hanno proprietà simili; l’intento è
quello di trovare dei trend, al fine di effettuare utili estrapolazioni. Ad esempio, i nitrili sono
tossici perché rilasciano CN- nel corpo umano, il meccanismo prevede la formazione di
radicali sul C alfa, quindi l’introduzione di gruppi metili al posto dell’H blocca tale reazione.

Qualora invece il meccanismo non sia noto, la correlazione tra struttura ed attività tossica può
essere sfruttata per sostituire funzioni sospette con gruppi alternativi.

La relazione QSAR è ancora più incisiva, perché esprime la dipendenza quantitativa di una
proprietà da parametri strutturali della molecola. Un classico esempio è l’equazione di
Hammett, log k/ko=ρσ.

Per determinare questi delicati effetti, può essere applicato l’approccio multidimensionale che
prevede la valutazione di cinque parametri eco-tossicologici: Velocità di Rilascio (R),
Intervallo Spaziotemporale (S), Bioaccumulo (B), Attività Biologica (B) e Incertezza (I).

Ad essi è assegnato un valore da 1 a 4.


RIABBASSA

La superficie del diagramma è tanto più grande quanto più è alto il rischio.

La Velocità di Rilascio (R) misura l’ammontare di sostanza involontariamente emessa


nell’ambiente nell’unità di tempo.

L’Intervallo Spaziotemporale (S), tiene conto se una sostanza è immessa nella


biosfera, il suo effetto sull’ambiente dipenderà dalla sua tendenza a disperdersi in esso e dalla
sua persistenza.

Il Bioaccumulo (B) indica quanto un certo composto sia in grado di accumularsi all'interno di
un organismo.

L’Attività Biologica (AB) tiene conto degli effetti di un composto sulla vita.

l’Incertezza (I) indica l’attendibilità dei parametri del test kit.

Infine il processo è valutato in termini sociali ed economici.

5- Nella manifattura di un prodotto chimico l'uso di sostanze ausiliari (solventi, agenti


separatori) dovrebbe essere evitato o limitato a sostanze innocue.

Fino ad oggi l’utilizzo di solventi è ritenuto routinario, ma si può valutare in alcuni casi se
effettivamente è necessario il loro utilizzo.

Le caratteristiche valutate nella scelta di un solvente sono:

- Deve essere in grado di sciogliere i reagenti e/o i prodotti;

- Non deve interferire con reagenti e prodotti (cioè deve essere chimicamente inerte);

- Deve essere liquido;

- Deve essere permesso il suo allontanamento, ad es. per distillazione (in tal caso è richiesto
che il solvente sia volatile);

- Deve essere disponibile in grandi quantità ed economicamente accessibile.

Tradizionalmente sono usati i VOC (volatile organic compounds), tipicamente benzene,


toluene, xileni, esano, cloroformio, cloruro di metilene, fluoroalcani. L’elevata volatilità rende
il fattore di rilascio molto elevato, ciò aumenta il loro fattore di rischio anche in termini
ambientali, considerando in aggiunta che spesso la loro tossicità è elevata e comprovata (es.
benzene). Inoltre i solventi idrocarburici sono altamente infiammabili, e sono la principale
fonte di SMOG. In aggiunta, solventi alogenati come i CFC sono responsabili del buco
dell’ozono.

L’alternativa percorribile è la selezione di solventi alternativi, quali: liquidi ionici; solventi


perfluorurati; solventi supercritici; acqua.
6- Il consumo energetico di un processo chimico dovrebbe essere minimizzato.

La generazione ed il consumo di energia sono tra i principali responsabili dell'inquinamento; il


75% dell'energia mondiale è ricavato dal petrolio.

per superare l'energia di attivazione di una reazione lenta si procede, tradizionalmente,


somministrandole l'energia termica; alternativamente l’uso di un catalizzatore provvede ad
abbassare l’energia di attivazione e questo riduce il consumo energetico.

Un caso speculare (ed anche più grave) è quando l’energia è utilizzata per il raffreddamento.

Purificazioni e separazioni sono tra le fasi più dispendiose energeticamente, dunque il disegno
di un processo dovrebbe evitare il più possibile queste fasi.

Infine, sorgenti di energia dovrebbero essere più mirate verso bersagli molecolari (es.
microoonde), piuttosto che fornire energia a tutta la fase. Ad esempio, la vulcanizzazione
della gomma utilizzando microonde come fonte di energia rende il processo 100 volte più
veloce, ottenendo prodotti di maggiore purezza.

In ogni caso qualsiasi progettazione di un processo, seppur rispettosa dei principi della green
chemistry, deve tener conto della fattibilità economica.

7- Materie prime e fonti di energia dovrebbero essere innocue per l'uomo ed il territorio.
Quelle rinnovabili dovrebbero sostituire quelle destinate a scomparire.

Scegliere come materia prima un rifiuto di una lavorazione presenta grossi vantaggi
ambientali.

L’uso di sorgenti rinnovabili (ovvero sorgenti che si rigenerano in tempi paragonabili a quelli
di consumo) dovrebbe essere incentivato.

Attualmente la fonte di energia più utilizzata è sicuramente il petrolio, che però è destinato ad
esaurirsi, e inoltre è la più grande fonte di inquinamento. A ciò si aggiunge che il petrolio
grezzo è in forma ridotta, e la chimica di ossidazione è tra le più inquinanti (poiché richiede
l’uso di metalli in alti stati di ossidazione).

Inoltre, trovare fonti alternative permetterebbe anche di conservare quantità di combustibili


fossili intatte per le future generazioni, e impedire che i costi associati all'uso del petrolio
divengano proibitivi.

La biomassa come fonte rinnovabile. il suo principale uso è alimentare. Tuttavia, una
consistente porzione è destinata o destinabile ad applicazioni diverse, come:

- produzione di carta, gomma e fibre, ed estrazione di fragranze, coloranti e molecole


bioattive;

- generazione di energia termica per combustione;

- sintesi di biocombustibili, ad esempio bietanolo;

- produzione di composti chimici base per l’industria chimica, attraverso la conversione


(preferibilmente catalitica) di cellulosa, lignina, carboidrati, oli, terpeni.

Sono dunque individuabili tre strategie:

- degradazione della biomassa a CO e H2 attraverso gassificazione: il gas di sintesi può poi


essere convertito a idrocarburi o metanolo (tuttavia questo approccio richiede molta energia);
- Bioraffineria: integra processi di conversione di biomassa per produrre
contemporaneamente carburanti e composti chimici.

- Processi diretti, attraverso sintesi a cascata catalitiche, spesso promosse anche da enzimi.

Biomassa:

Fonti ligninocellulosiche: cellulosa, terpeni, lignina;

Carboidrati;

Oli.

Cellulosa: polimero lineare formato da unità di glucosio legate in posizione 1,4.

Partendo dal polimero è possibile ottenere glucosio, che può essere utilizzato per la
preparazione di altri composti chimici; in particolare:

Lignina: struttura tridimensionale polimerica; rappresenta il più grande deposito naturale di


anelli aromatici. Viene largamente utilizzata per l’ottenimento della vanillina, attraverso
degradazione alcalina.

Terpeni:

Possono essere convertiti in intermedi utili, come p-cresolo.

Oli vegetali e carboidrati. Il loro uso dominante è nell’industria alimentare, Proprio per
questo, la loro disponibilità come materia prima per l’industria chimica è senz’altro inferiore
rispetto a quella dei materiali lignocellulosici.

Oli vegetali: sono formati da una miscela di esteri della glicerina (trigliceridi) contenenti acidi
grassi con catene R a varia lunghezza (da C12 a C18); possono essere usati sia per produrre
composti chimici sia per l’ottenimento di biodiesel.

Sono adoperati per la preparazione dei corrispondenti monoesteri (tensioattivi ad alta


biodegradabilità).
Parallelamente, per semplice trans-esterificazione con metanolo (Schema 2.8), gli oli vegetali
danno luogo alla miscela di esteri metilici degli acidi grassi, nota come biodiesel.

La produzione di una tonnellata di biodiesel è accompagnata dall’ottenimento di circa un


quintale di glicerina, molecola nota da tempo e il cui uso nell’industria farmaceutica e
cosmetica è ben consolidato.

La glicerina può essere anche utilizzata per la sintesi dell’epicloridrina, importante intermedio
industriale, attraverso un metodo più conveniente di quello classico (clorurazione della
glicerina con formazione di 2,3-dicloropropanolo).

Gli oligomeri della glicerina possono essere usati come lubrificanti.

Un’altra applicazione è legata alla formazione di tensioattivi cationici, biodegradabili e


scarsamente tossici per l’ambiente acquatico.

Inoltre, per diretta idrogenazione (catalitica) della glicerina si ottiene 1,2-propandiolo.

Carboidrati: oltre al glucosio (per cui valgono processi analoghi a quelli visti per la cellulosa),
possono essere valorizzati anche zuccheri di altra natura, come fruttosio, lattosio e chitina.

Svantaggi: conflitto fra materie prime e alimenti, con inaccettabile rincaro del loro prezzo;
inoltre c’è un’assenza di specifiche e approfondite conoscenze, dal momento che l'attività di
ricerca dell'uomo finora è stata orientata alla conversione delle sostanze derivate dal petrolio.
8- Le derivatizzazioni nelle sintesi dovrebbero essere evitate.

Infatti operazioni di derivatizzazione comportano dispendio di reagenti ed energia, e al


termine della derivatizzazione spesso è richiesto il ripristino della molecola.

9- Preferire reazioni catalitiche a quelle stechiometriche.

Molto spesso accade che uno dei materiali di partenza, A o B, deve essere usato in eccesso,
perciò, inquinerà (a danno dell’atom economy). In alternativa si può procedere per via
catalitica.

L’uso di un catalizzatore può consentire il controllo della chemoselettività, regioselettività e


stereoselettività di una reazione.

Inoltre l’uso di un catalizzatore può avere benefici anche in termini di consumi energetici.

10- I prodotti chimici non dovrebbero rimanere inalterati nell’ambiente dopo aver svolto la
loro funzione, ma dovrebbero trasformarsi in sostanze innocue.

Il chimico deve quindi cercare di prevedere il comportamento di un composto nell’ambiente,


stabilire in quali frammenti si degraderà la molecola originaria, e magari indirizzarne la
decomposizione verso sostanze a loro volta innocue, attraverso l'opportuna introduzione di
funzioni sensibili alla fotolisi, all'idrolisi e ad altre degradazioni.

11- Le metodologie analitiche dovrebbero permettere il monitoraggio ambientale ed il


controllo dell'inquinamento in tempo reale durante la manifattura dei prodotti chimici.

I metodi analitici devono quindi consentire il controllo in tempo reale della eventuale
produzione e immissione nell'ambiente, così da modificare appropriatamente e
tempestivamente i parametri operativi del processo.

12- Il design di impianti e processi deve minimizzare il rischio di incidenti.

Devono essere realizzati impianti intrinsecamente sicuri, e con ciò si intende assenza di
rischio e non controllo del rischio.

Paradossalmente, ciò può anche portare a scelte contraddittorie, perché, infatti, è possibile
aumentare il rischio di un impianto nel tentativo di minimizzare l'inquinamento che esso
produce (ad es. per il riciclo del solvente può aumentare il rischio di incendio in un impianto).

Ad es. la via classica per la produzione di acido adipico prevede l’uso di sostanze pericolose,
come NO2, e temperature e pressioni di O2 abbastanza alte, oltre alla produzione di CO2.
Una alternativa è la produzione di acido adipico tramite una forma geneticamente modificata
dl batterio E. Coli.
Un modo per valutare l’impatto di una reazione su scala di laboratorio.

Ad ogni reazione può essere assegnato un punteggio da 100 (reazione ideale) a 0 (reazione
fallimentare), dove una reazione ideale può essere definita come quella in cui un una
sostanza A reagisce con un economico ed innocuo reagente B per dar luogo ad un prodotto C
in un tempo congruo a temperatura ambiente senza rischio per l’operatore e con impatto
ambientale nullo.

EcoScale = 100 – somma delle penalizzazioni

Un punteggio superiore a 75 è eccellente, tra 50 e 75 accettabile, minore


di 50 inaccettabile.

I parametri da considerare sono: resa della reazione, prezzo di ogni singolo componente,
pericolosità delle sostanze, apparecchiature da laboratorio adoperate, tempo e temperatura di
reazione, eventuale work-up.

E’ chiaro che questa valutazione può essere condotta solo su processi in scala di laboratorio,
dove l’uso di solventi e minime quantità di sottoprodotti hanno un effetto minimo.

“Prodeg catene pres’in der, ma t’inceco Solvana!”.


Catalisi in condizioni innovative

Il catalizzatore abbassa l’energia di attivazione, non alterando le condizioni termodinamiche


che determinano l’equilibrio.

Particolare importanza è data all’idroformilazione.

Il catalizzatore di Wilikinson, [RhCl(PPh3)3], è stato uno dei primi esempi di catalizzatori in


fase omogenea.

I parametri che caratterizzano un catalizzatore sono:

- TON (Turn Over Number), definito come moli di substrato convertito rispetto alle moli di
catalizzatore presenti;

- TOF (Turn Over Frequency), definito come moli di substrato convertito, nell’unità di tempo,
rispetto alle moli di catalizzatore presenti.

Ad oggi circa l’85% dei processi industriali catalizzati avviene mediante catalisi eterogenea.

Tuttavia la catalisi omogenea risulta più competitiva in termini di resa e selettività; inoltre si
può comprendere il meccanismo e quindi effettuare opportune modifiche per migliorare le
prestazioni del catalizzatore.

Il tallone da Killer della catalisi omogenea è la difficoltà di riciclare il catalizzatore e di


purificare i prodotti da quest’ultimo. Per questo, sono stati proposti metodi innovativi, tra cui
quello della catalisi omogenea bifasica.
Catalisi omogenea bifasica

Questa tecnica prevede che il catalizzatore e i prodotti siano selettivamente sciolti in due fasi
liquide diverse (quindi immiscibili).

L’incontro tra reagenti e catalizzatore deve essere favorito da efficace mescolamento,


adeguato trasferimento di materia tra le fasi o addirittura loro completa miscibilità durante la
reazione. Al suo termine, si ristabilisce la netta separazione.

Tipicamente (ma non sempre), la fase del prodotto è costituita da un comune solvente
organico, mentre quella catalitica è scelta tra i solventi innovativi già menzionati, quali acqua,
liquidi ionici o perfluorurati, e solventi supercritici.

Accanto a quello liquido-liquido, esistono altri possibili scenari, tra cui la catalisi omogenea
con catalizzatori legati a polimeri solubili nel mezzo di reazione, in cui la separazione dei
prodotti dal catalizzatore viene effettuata sfruttando proprio la netta diversità tra le
dimensioni del polimero-catalizzatore e i prodotti, attraverso tecniche di ultrafiltrazione.

Infine, la catalisi omogenea supportata, che utilizza una matrice solida, permette quindi di
conservare le stesse prestazioni di una catalisi omogenea tradizionale, aggiungendo però i
vantaggi di una facilità di recupero del catalizzatore attraverso semplice filtrazione.

Catalisi omogenea bifasica acquosa

Vantaggi dell’acqua:

- è polare e ciò comporta facilità di separazione dai solventi organici apolari;


- non è infiammabile;
- è disponibile in grandi quantità a condizioni economiche accettabili;
- non ha odore e colore, per cui è facile riconoscerne una eventuale contaminazione;
- la sua densità è diversa da quella della maggior parte dei solventi organici;
- ha proprietà solventi molto diverse rispetto a quelle dei comuni solventi organici;
- scioglie bene molti gas, il che può avere beneficio se il reagente è un gas;
- ha comportamento anfotero secondo Bronsted;
- può influenzare in modo vantaggioso la reattività.

Uso dell’acqua in catalisi bifasica

Prevede la progettazione di un catalizzatore metallico solubile in acqua e non solubile


nell'altro mezzo solvente; tipicamente per ottenere ciò si fa uso di leganti idrofili. In
particolare:
Fosfine

Leganti fosfinici sono resi idrosolubili attraverso l'introduzione di gruppi polari


come SO3-, COO-, Me3N+, OH.

TPPMS Solubilità: 80g/L TPPTS Solubilità: 1100g/L

Nota: I gruppi SO3- sono in posizione meta.

Talvolta possono anche esserci gruppi aggiuntivi, come il F.

Esempi:

Nota: il legante 11 è un derivato del NORBOS.

Nella maggior parte dei casi, queste molecole sono preparate dalle fosfine madri non
solfonate, per reazione diretta con oleum. Il grezzo contiene il prodotto in percentuali variabili
(75-85%), il resto è costituito dall’ossido della fosfina; ciò richiede operazioni di separazione.

Sono quindi stati studiati metodi alternativi.

Per trattamento della clorodifenilfosfina con potassio metallico. Il risultante


anione è un forte nucleofilo che attacca il sale di potassio dell'acido 4-fluorobenzenesolfonico,
dando luogo al prodotto desiderato
Catalizzatori a base di TPPTS sono usati per l’idroformilazione del propene in doppia fase:

Tipicamente il metallo utilizzato per condurre la catalisi è il rodio Rh complessato con la


suddetta fosfina, [RhH(CO)(TPPTS)3].

Il catalizzatore, il propilene, il monossido di carbonio e l'idrogeno sono sciolti in acqua tenuta


sotto elevata pressione, mentre il prodotto (n-butanale) non è solubile in queste condizioni in
acqua e quindi può essere agevolmente separato.

I risultati sono eccellenti: il sistema acquoso è più selettivo (99% contro 86% di selettività),
produce meno acqua da smaltire, prevede pressione più bassa (50 contro 300 atm),
temperatura più bassa (393 K contro 423 K), non consuma vapore per riscaldamento, ma
addirittura lo produce!

Le fosfine possono essere rese solubili anche introducendo gruppi carbossilato, COO-:

Metodologia sintetica per l’ottenimento di leganti (NORBOS) simili al 18:

Nota: la reazione è una Diels-Alder, a cui segue idrolisi.

Le fosfine carbossilate hanno trovato meno impiego rispetto alle sofonate.

Possono essere introdotte anche funzioni cationiche, come nel caso delle AMPHOS, che
sfruttano sali di ammonio quaternari:

Nota: questi leganti non sono tuttora utilizzati industrialmente; stessa sorte per quelli che
introducono gruppi OH.
Difosfine

Anche le difosfine possono essere rese idrosolubili, mediante l’introduzione degli stessi gruppi
visti per le fosfine. Anche in questo caso la solfonazione è la modifica di elezione.

Il problema legato alla sintesi di questi composti è quello del controllo del grado e della
posizione di solfonazione. La reazione delle disfosfine madri in oleum è spesso poco selettiva,
e soprattutto, anche in questo caso, esiste l'elevato rischio di ossidazione dell'atomo di
fosforo. I migliori risultati si ottengono lavorando a basse temperature, con concentrazioni di
SO3 comprese tra il 25 e il 40%.

I leganti 29 e 30 hanno dato, nell’idroformilazione del propilene, risultati più soddifsfacenti del
TPPTS. Non altrettanto soddisfacente è stata l’attività del legante 31, ciò dimostra che la
presenza di un sistema aromatico esteso è importante per le prestazioni.

Leganti non contenenti fosforo

Tipici esempi sono leganti azotati, come EDTA (acido etilendiammintetraacetico).

Leganti chirali solubili in acqua

La catalisi enantioselettiva è promossa da catalizzatori metallici contenenti leganti chirali (es.


sintesi di L-DOPA, ottenuto attraverso l'idrogenazione del doppio legame di un derivato
dell'acido acetammidocinnamico).

Sono stati preparati numerosi leganti chirali capaci di rendere idrosolubili i corrispondenti
complessi.

Numerose difosfine idrosolubili sono state ottenute per solfonazione a partire dalle
corrispondenti difosfine chirali tradizionali.

Queste presentano la catena che lega i due atomi di P con lunghezza variabile, e in tali catene
sono presenti gli atomi di C chirali (evidenziati con il ‘*’).
Questo legante è invece la versione solubile della BINAP di Noyori.

Molti leganti chirali idrosolubili sono ottenuti mediante modifica di sostanze naturali
idrosolubili attraverso l'aggiunta di funzioni coordinanti. In molti casi sono stati privilegiati i
carboidrati, normalmente monosi ma anche di- e polisaccaridi.

Catalisi bifasica acquosa: problemi e soluzioni

Il principale problema connesso con l'uso dell'acqua è legato alla scarsa solubilità in questo
solvente di molti substrati organici; ad esempio mentre è stato realizzato un efficace processo
industriale per l'idroformilazione bifasica del propilene non ne è stata possibile l'estensione ad
olefine superiori. Eppure ciò sarebbe auspicabile poiché con i classici catalizzatori di tipo
Wilkinson non è vantaggioso idroformilare alcheni con più di sei atomi di carbonio, dato che i
prodotti sono allontanati per distillazione e le T necessarie in questi casi degraderebbero il
catalizzatore.

Invece, l'allontanamento dei prodotti mediante una semplice separazione di fase risolverebbe
raffinatamente questo problema.

Tra le varie soluzioni tecniche c’è l’uso di tensioattivi, e la catalisi a trasferimento di fase:

Tensioattivi

Sono composti in grado di diminuire la tensione superficiale dell’acqua (molecole anfifiliche, o


anfipatiche). In pratica le molecole di acqua in superficie interagiscono con il bulk solo per la
parte inferiore, e questo genera una forza di attrazione netta verso l’interno che rende la
superficie come una membrana tesa. L’energia necessaria per aumentare la superficie di un
corpo liquido spostandone le molecole dalla fase massiva a quella superficiale (cioè per
aumentare la superficie di una goccia di liquido trasformandola in una pellicola) è detta
tensione superficiale.

La tensione superficiale dell’acqua è circa 3 volte quella dei comuni liquidi, a causa della
presenza di legami a H. I tensioattivi rivolge la parte polare verso il bulk e le code idrofobe
all’esterno; ne consegue una netta diminuzione della tensione superficiale (dato che le forze
intermolecolari tra le catene idrofobe sono inferiori).
Tipi di tensioattivi:

Se il tensioattivo è opportunamente disegnato, all'aumentare della sua concentrazione in


acqua, dà luogo alla formazione di micelle (10-100 molecole di tensioattivo).

Le micelle acquose sono stabili termodinamicamente, ma labili da un punto di vista cinetico;


ciò può influenzare positivamente la velocità di reazioni in sistemi bifasici acquosi, poiché
consente un contatto più intimo con il catalizzatore idrosolubile.

La situazione più invitante è quella in cui il tensioattivo sia in grado di inglobare molecole di
reagente apolare sequestrandolo alla fase acquosa: se il centro catalitico si trova a breve
distanza la reazione procede efficacemente.

Per attuare questo favorevole scenario, molti studiosi hanno proposto l'uso di molecole con la
duplice funzione di leganti (per coordinare il metallo) e di tensioattivi (per favorire la
formazione di micelle):

Il caso più eclatante è quello dell’idroformilazione dell’1-tetradecene, in cui la conversione


aumenta al crescere della dimensione della coda idrofoba fino al valore n= 5, per poi
diminuire se n= 7, 9 o 11.

Modello proposto:
- Se n= 5, l'atomo di rodio è probabilmente situato quasi all'interfaccia tra quest'ultimo strato
ed il cuore della micella, quindi a stretto contatto con l'alchene che, coordinandosi ad esso,
può reagire;

- nel caso in cui n< 5 la coda idrofobica è forse insufficiente


ad assicurare una buona solubilizzazione dell'1-tetradecene;

- se n è maggiore di 5, probabilmente l'atomo di rodio viene a trovarsi ad una


distanza dal core micellare insufficiente.

Catalisi a trasferimento di fase liquido-liquido

Consideriamo questa reazione:

Se aggiungiamo una quantità catalitica di un sale di ammonio quaternario, Q+X-, si forma una
coppia ionica (Q+Y-); quindi:

All’interfaccia:

Ed il ciclo continua.

Inoltre, siccome spesso la specie idrosolubile Y- è solvatata nel solvente organico meno
efficacemente di quanto non lo sia in fase acquosa, è più reattiva.

Si noti che il catione Q+ deve essere sufficientemente liposolubile, per cui le catene alchiliche
devono essere di almeno 4 atomi di C.
La catalisi a trasferimento di fase può essere estesa a reazioni catalizzate da complessi di
metalli:

La risultante coppia ionica (Q+)m[MXn+m]m- viene trasferita nella fase organica. Ovviamente, lo
stesso tipo di ragionamento si applica anche qualora debba essere trasferita dalla fase
acquosa a quella organica una specie neutra o cationica (nel caso della cationica si può usare
un etere corona).

Una combinazione delle due metodologie ha portato alla generazione di leganti definiti
termoregolati. Ad esempio, una fosfina recante una lunga catena di polietilenglicole:

A T ambiente il catalizzatore è solubile esclusivamente in acqua, a causa di legami a idrogeno


significativi che si instaurano tra la catena ed il solvente. Tuttavia, un riscaldamento provoca
la rottura dei legami a idrogeno, rendendo così il legante solubile nella fase organica con
conseguente passaggio in essa (2), e quindi il catalizzatore può promuovere la catalisi in
condizioni omogenee tradizionali. Al termine, il raffreddamento determina la transizione di
fase inversa, consentendo la separazione dei prodotti.

Infine, un’altra frontiera è quella della catalisi inversa a trasferimento di fase, quindi dalla
fase organica alla fase acquosa. Questa si avvale di opportune molecole transfer, tra cui le
ciclodestrine, formate da unità di glucosio e dotate di siti lipofili, i quali sono in grado di
interagire con sostanze apolari formando composti solubili in acqua.
Catalisi omogenea bifasica con liquidi ionici

I liquidi ionici sono Sali con punti di fusione al di sotto dei 100°C, formati da un catione
organico di grosse dimensioni e da un anione debolmente coordinante (specie hard).

Le notevoli dimensioni del catione e dell’anione determinano una riduzione dell’efficacia


dell’interazione elettrostatica, inoltre, l’assenza di simmetria provoca una diminuzione
dell’energia reticolare.

Preparazione:

I metodi sono principalmente due:

- scambio dell’alogenuro con l’anione desiderato, favorito dalla precipitazione di alogenuro di


Ag(I) (a) o di un catione alcalino (b);

- reazioni acido-base, sia tipo Broensted-Lowry (c), sia secondo Lewis (d).

Vantaggi:

- Presentano buone proprietà solventi nei confronti di composti organici o inorganici. Anche
la solubilità di molti gas, come O2, H2 o CO, è spesso soddisfacente.

- Hanno alta stabilità termica; il punto di fusione può essere ampiamente modulato,
cambiando le proprietà dei costituenti. Sperimentalmente è verificato che il punto di fusione
decresce all’aumentare delle dimensioni dell’anione.

- Sono scarsamente, o addirittura non volatili, e ciò comporta la non infiammabilità; il riciclo è
quindi possibile poiché i prodotti possono essere separati per distillazione;

- E’ possibile modulare la polarità dei liquidi ionici, rendendoli così adatti a un determinato
composto. L’affinità per l’acqua è generalmente regolata dalla proprietà dell’anione; in genere
un liquido ionico è solibile in acqua se l’anione è ad es. Br-, mentre forma un sistema bifasico
in presenza di PF6-. Il motivo è legato alla diversa forza dei legami a H che l’anione riesce a
instaurare con l’acqua.
Una caratteristica peculiare è che è possibile rendere un sistema omogeneo ad una certa T, e
bifasico abbassando la T.

- E’ possibile modulare la miscibilità con solventi organici sfruttando sempre la natura


dell’anione;

- Analogamente, attraverso modifiche strutturali è possibile modulare la densità dei liquidi


ionici. Un esempio sono i derivati dall'imidazolo, modulabili tramite la lunghezza delle catene
organiche presenti in essi.

- Le scarse proprietà solvatanti, dovute alle caratteristiche non coordinanti degli anioni,
possono esaltare la velocità di reazione. Infatti un efficace solvatazione stabilizza le molecole.

- Molte molecole sensibili all’acqua sono stabili nei liquidi ionici, che quindi diventano solventi
di elezione per sostanze facilmente idrolizzabili, come i reattivi di Grignard.

Inoltre, mentre la catalisi in acqua prevede la progettazione di sistemi catalitici ad hoc;


l'ampia scelta di liquidi ionici consente l'uso di catalizzatori per tradizionali solventi organici.

Gli alluminati sono composti ionici contenenti AlCl4-; che idrolizza facilmente tramite la
reazione:

L’acidità del liquido ionico, in questo modo, è modulabile attraverso l’equilibrio:

Infatti, per una frazione molare di AlCl3 al di sotto di 0.5 lo ione Cl- sarà in eccesso (basico),
se la frazione molare è 0.5 si arriva a neutralità, mentre se supera 0.5 si formerà il dimero,
Al2Cl7-, che ha comportamento acido. Questo gioca un ruolo importante in molti processi
catalitici.

La situazione più favorevole è quella in cui il liquido ionico funga da catalizzatore oltre che da
solvente, l’esempio tipico è la reazione di Friedel Crafts.

E’ emerso che la velocità aumenta con l’aumentare dell’acidità del liquido ionico (quindi a un
aumento della concentrazione di Al2Cl7-).
Svantaggi:

- Sono molto costosi;

- Hanno un’elevata viscosità (a causa delle elevate forze intermolecolari), per cui i processi
che richiedono agitazione richiedono molta energia.

- La manifattura richiede l’utilizzo di sostanze pericolose, ed ingenti quantità di solventi


organici. Nella produzione mediante scambio di alogenuro, se lo scambio non è quantitativo e
restano alogenuri in soluzione, questo può compromettere l’attività catalitica
(avvelenamento) e la selettività della reazione.

Nuove generazioni di liquidi ionici

Per risolvere gli inconvenienti sopraelencati la ricerca si è spostata verso l’ottenimento di


liquidi ionici da fonti naturali rinnovabili, in particolare nell’ottenimento dei cationi (per gli
anioni chirali è meno comune). Sono state individuate due possibili strategie:

2. Alchilazione degli atomi di N presenti nel composto naturale con un alogenuro organico,
e successivo scambio dell’anione:

Y= anione scarsamente coordinante

2. Conversione di un amminoalcol o di un amminoacido nei cationi alchilammonio o


alchilpiridinio attraverso più passaggi.

Uno degli approcci è l’uso di cloruro di colina trattata con SnCl2 o ZnCl2, ciò genera un liquido
ionico che (purtroppo) presenta elevata viscosità:

L’utilizzo di fonti naturali è una delle vie preferenziali per l’ottenimento di liquidi ionici chirali,
che possono essere sfruttati in sintesi asimmetriche.

I precursori naturali possono essere amminoacidi, amminoalcoli, idrossiacidi, ammine,


alcaloidi, terpeni e carboidrati.

- Da Amminoacidi e Amminoalcoli. Vediamo ad es. una semplice protonazione di esteri di


amminoacidi comuni:

Anche strutture di tipo dialchilimidazolio sono state preparate a partire da a.a. ordinari.
- Da Ammine e Alcaloidi. Usando quale fonte naturale l’ α-fenetilammina.

Anche la nicotina può essere usata come precursore di liquidi ionici mediante una semplice
alchilazione con bromuro di etile e successivo scambio di anione:

- Da Idrossiacidi. Normalmente il gruppo OH viene esterificato con anidride triflica e


condensato con l’1-metilimidazolo. Il vantaggio è l’assenza di ioni alogenuri:

- Da Terpeni. Anche loro reagiscono con anidride triflica e 1-metilimidazolo:

- Da Carboidrati. Di solito, a partire da 1-deossi zuccheri, si fa reagire con anidride triflica e si


procede alla successiva sostituzione del triflato con un’ammina terziaria.

Uso dei liquidi ionici in catalisi

Lo scenario più semplice da immaginare è quello in cui il liquido ionico sciolga il catalizzatore,
e l'altra fase sia un solvente organico che contenga selettivamente il prodotto, o addirittura
sia lo stesso prodotto liquido. Numerosi studi indichino che la trasformazione abbia luogo nel
liquido ionico.

La possibilità di modulare le proprietà dei liquidi ionici consente spesso di ottimizzare le


condizioni operative, consentendo spesso di utilizzare catalizzatori tradizionali, potendo così
paragonare le prestazioni nei liquidi ionici e nei solventi classici.

Sia l’uso di complessi cationici, sia la presenza di funzioni polari nei leganti possono
assicurare una migliore permanenza del catalizzatore nel liquido ionico. Talvolta i leganti
possono anche contenere il motivo del liquido ionico:

Ovviamente il liquido ionico non deve sciogliersi nella controparte organica; in questo senso,
in presenza di solventi o prodotti puramente idrocarburici, la scelta di un anione ossigenato
può essere molto sensata, perché l’affinità tra le due fasi liquide risulta notevolmente ridotta.
In alcuni casi si è visto che l’utilizzo del liquido ionico permette di migliorare la selettività della
reazione. Infatti, se i reagenti possono dar luogo a più di un prodotto (ad esempio due
isomeri), e quello desiderato ha proprietà maggiormente compatibili con il solvente scelto, la
sua formazione può essere favorita rispetto a quella del prodotto non voluto.

Tra i processi industriali basati su liquidi ionici ricordiamo il Bifasol e Basil.

- Bifasol. Consiste nella dimerizzazione dell’1-butene e del 2-butene a formare otteni.

Nel processo innovativo basato su liquidi ionici, il catalizzatore è sciolto nel liquido ionico
con il catione tipo 54 e anione AlCl4-. Una seconda fase è costituita dai buteni liquidi, i quali
presentano anche discreta solubilità nel liquido ionico. Convenientemente, i prodotti di
reazione non sono solubili nel liquido ionico, e quindi possono essere agevolmente separati
attraverso decantazione.

Il processo presenta una maggiore selettività della reazione, che arriva fino al 90% a favore
degli otteni.

- Basil. La reazione prevede alcolisi della diclorofenilfenilfosfina (78) ad opera di etanolo con
sviluppo di HCl. Quest’ultimo deve essere necessariamente neutralizzato. Tipicamente si fa
ricorso ad ammine terziarie, tuttavia il sale di ammonio precipita nella miscela di reazione
come solido finissimo, rendendo quest’ultima molto densa e compatta, impossibile da
mantenere in agitazione. Il problema è risolto utilizzando 1-metilimidazolo, che è in grado di
intrappolare l’HCl con formazione del cloruro di 1-metilimidazolio (80), un liquido ionico che si
smescola immediatamente.

Per quanto riguarda l’idroformilazione, molti alcheni sono ampiamente solubili in liquidi ionici,
anche quelli a catena più lunga (a differenza di quanto accade in acqua):

Parallelamente va considerata la difficoltà legata alla separazione del prodotto, cioè l’aldeide,
dalla fase catalitica; infatti normalmente un’aldeide non si smescola spontaneamente dal
liquido ionico (come invece accade per l’acqua).

Sono stati condotti numerosi tentativi di ottimizzare le prestazioni di sistemi catalitici basati
su rodio per l’idroformilazione di alcheni in liquidi ionici. Il primo, del premio Nobel Chauvin,
consiste nell’ idroformilazione dell’1-pentene nel liquido ionico [54(R1= Me, R2= n-Bu)]PF6
sfruttando il classico catalizzatore di Wilkinson; questo però presentava il problema
dell’inquinamento della fase organica da parte del catalizzatore.
Studi successivi hanno quindi proposto di coordinare al metallo fosfine più polari, mediante
funzionalizzazioni analoghe a quelle adoperate per rendere i leganti idrosolubili, rendendo tali
fosfine maggiormente compatibili (e quindi permanenti) nella fase ionica. In questo modo era
possibile effettuare molti più ricicli.

Un altro esempio è stato quello dell’idrogenazione di alcheni, come cicloesene o 1-esene,


usando il classico catalizzatore di Wilkinson. Le prestazioni sono risultate eccellenti, anche
rispetto all’acqua, migliorando in termini di velocità e selettività (cioè, si ha la formazione di
un unico prodotto idrogenato). Il catalizzatore è selettivamente sciolto nella fase ionica, e non
si ha sostanziale perdita di metallo.

Profilo ecotossicologico dei liquidi ionici

Confronto fra due liquidi ionici e acetone:

Come vediamo, la velocità di rilascio è maggiore per l’acetone poiché quest’ultimo è molto
volatile mentre i liquidi ionici presentano volatilità molto scarsa (quasi nulla). I restanti
parametri sono, per i liquidi ionici, ancora poco definiti (incertezza molto alta).
Catalisi omogenea bifasica con solventi perfluorurati

Tipologie di solventi perfluorurati:

Vantaggi:

- Sono ecocompatibili, dato che il legame polare C-F è tra i più forti;

- Infatti, essi sono dotati di enorme inerzia chimica e stabilità termica (es. TEFLON);

- Non infiammabilità;

- Peculiare capacità di sciogliere i gas, dovuta all’assenza di polarità permanente per


simmetria; infatti la risultante dei momenti dipolari dei legami C-F è nulla. A questo si
aggiunge la scarsa disponibilità delle coppie elettroniche ad essere polarizzate;

- Scarsa tossicità (conseguenza dell’inerzia chimica);

- Sorprendente immiscibilità con la quasi totalità dei comuni solventi organici, dovuta alla
apolarità;

Un aspetto importante è che è spesso possibile convertire un sistema bifasico in un sistema


omogeneo tramite la temperatura; infatti per ogni solvente perfluorurato è definito un certo
valore della T, detta T critica, per cui il solvente diventa miscibile con la sua controparte.

Va tuttavia specificato che, anche in sistemi bifasici, in ciascuna fase spesso esiste la
coesistenza (seppur minima) di entrambe le fasi.

Svantaggi:

- Sono costosi;

- La loro sintesi prevede largo consumo di solventi organici tradizionali e sostanze pericolose
(come HF).

Uso in catalisi dei solventi perfluorurati

Tipicamente nella fase fluorosa è disciolto il catalizzatore, mentre nella fase organica sono
disciolti reagenti e prodotti. Come detto, questi possono diventare un'unica fase ad alta T.

Un altro scenario prevede l’assenza della fase organica se il prodotto è un liquido immiscibile
con solvente perfluorurato.
Affinché il catalizzatore possa essere solubilizzato nel solvente fluorurato deve subire
opportune modifiche strutturali, ad esempio introducendo funzioni fluorocarburiche. In tal
caso, l'effetto elettronattrattore degli atomi di fluoro introdotti è disciplinato attraverso
l'aggiunta di "spaziatori isolanti" tra le catene e i centri reattivi, come unità -(CH2)n- o -SiR2-

E’ importante notare che una molecola diviene solubile in un solvente perfluorurato se il


contenuto percentuale in peso di atomi di fluoro supera il 60%!

La strategia sintetica prevede inizialmente l’introduzione della catena fluorocarburica, e


successivamente del prodotto ottenuto si ricava il sale di litio (ii), usato per arilare l'atomo di
fosforo di un fosfito (iii).

Per determinare l’effettiva possibilità di impiego è opportuno valutare il coefficiente di


ripartizione fra solventi perfluorurati e solventi organici; si indica con P il rapporto tra le
concentrazioni della molecola in esame nei due solventi scelti.
La tabella 7.4 ci dice che al crescere della lunghezza delle code fluorocarburiche aumenta il
coefficiente di ripartizione a favore della fase fluorurata; effetto opposto si ha ovviamente con
l’allungamento della catena spaziatrice.

Invece la tabella 7.5 ci dice che la massima solubilità si registra con un numero di
ramificazioni pari a 2 e non 3; questo per capire come questo tipo di ricerca sia insidiosa.

Nota: analogo perfluorurato della BINAP

Una prima applicazione ad un sistema catalitico bifasico fluorurato fu fatta usando il


complesso [RhCl{P(CH2CH2C6F13)3}] nella idroformilazione di alcheni:

L’attività catalitica è praticamente la stessa del corrispondente non


fluorurato [RhCl{P(C8H17)3}], ed un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella del
catalizzatore di Wilkinson [RhCl(PPh3)3].

La fase catalitica fluorurata è stata riciclata 9 volte, con un TON di 35000 e una perdita
estremamente piccola di metallo.

Uno svantaggio è legato al fatto che è difficile controllare il rapporto tra aldeide lineare e
ramificata, per incrementarlo si utilizza un eccesso di fosfina fluorurata.

Questo sistema si è dimostrato efficace sia per olefine a catena corta che a catena lunga
(vantaggioso rispetto al classico catalizzatore di Wilkinson).
Sono stati anche fatti studi sull’idrogenazione di 1-alcheni, usando complessi del tipo
Wilkinson con le fosfine di tipo 88e (con z= 1 e x= 6 o 8) nel puro solvente fluorurato. Il
prodotto, l'ottano, è insolubile e quindi allontanabile per separazione di fase.

Dati meno incoraggianti si riferiscono alla perdita di legante, dovuta ad equilibri dissociativi.
Si riscontra anche una parziale miscibilità dei due solventi, che è stata risolta aggiungendo
più ramificazioni fluorurate (incremento del coefficiente di ripartizione, P).

Un’applicazione importante riguarda la catalisi di ossidazione, vista l'elevata solubilità


dell'ossigeno in tali solventi, e l'elevata stabilità del legame C-F rispetto proprio alla
ossidazione. In aggiunta molti prodotti sono polari e quindi facilmente separabili dalla fase
fluorurata.

Il complesso anionico di Ru(II) è risultato capace di ossidare alcheni ai corrispondenti epossidi


in ottime rese, ed in condizioni blande:

A 50°C il sistema è omogeneo, mentre a 0°C ha luogo lo smescolamento, utile per la


separazione di fase. La reazione è molto selettiva nei confronti di doppi legami interni.

Considerazioni generali sugli sviluppi dei sistemi fluorosi

Uno dei grandi limiti è costituito dal fatto che il legante deve avere il 60% in peso di atomi di
F per essere solubile in solventi perfluorurati; per questo è stata proposta un’alternativa alla
catalisi bifasica, definita come catalisi light fluorous.

sono state progettate e preparate colonne cromatografiche, contenenti silice funzionalizzata


con gruppi perfluoroalchilici:

Fase stazionaria

Questa catalisi è condotta in fase omogenea con un solvente tradizionale e un catalizzatore


fluorurato; al termine della reazione la miscela grezza viene caricata sulla colonna e viene
eluita con un solvente fluorofobico (es. metanolo/acqua). I prodotti sono quindi eluiti
istantaneamente. Una successiva eluizione con solvente fluorofilico (es. metanolo o acetone)
permette il recupero del catalizzatore.
Catalisi omogenea bifasica con anidride carbonica supercritica

L’anidride carbonica supercritica presenta grandi vantaggi:

- E’ tecnicamente accessibile, Tc=31°C, Pc=73atm;

- E’ abbondante e poco costosa;

- Non è infiammabile (rappresenta uno dei prodotti di combustione completa);

- E’ possibile modulare la sua densità variando T e P. Il potere solvente aumenta al crescere


della sua densità. Pertanto, una opportuna scelta di temperatura e pressione può consentire
di realizzare un sistema reagente perfettamente omogeneo. Al termine della reazione, una
lieve riduzione di pressione può modificare la densità del solvente al punto che alcuni
componenti si smescolino;

- Scioglie molto bene composti apolari (non presenta dipoli permanenti);

- I gas sono altamente miscibili in CO2sc, ciò è particolarmente utile per reazioni di
ossidazione;

- Le velocità di reazione risultano molto spesso accresciute a causa della ridotta capacità
solvatante della CO2sc, per cui le molecole di reagente sono poco stabilizzate.

Uso in catalisi dell’anidride carbonica supercritica

Possono essere implementati due approcci:

1. Il primo consiste nel realizzare la reazione in un sistema omogeneo; al termine della


reazione si riduce la pressione e questo determina la separazione fisica tra catalizzatore (che
precipita) e prodotti che sono allontanati insieme alla scCO2. A ciò segue una
depressuruzzazione che gassifica l’anidride carbonica, che è quindi reinviata insieme a
reagente fresco.
Un problema è la scarsissima solubilità dei catalizzatori metallici in anidride carbonica;
pertanto sono necessarie modifiche strutturali. Tipicamente si effettuano modifiche analoghe
a quelle adottate per i solventi perfluorurati.

Un’applicazione notevole riguarda l’idroformilazione di olefine a catena lunga, promossa da


catalizzatori a base di Rh(I) contenenti la fosfina P-Ph3-(CH2)2-CxF2x+1.

In questo caso l’attività risulta più elevata rispetto a quella dei solventi tradizionali
(TOF>=500 h-1).

Un altro esempio è l’idrogenazione di immine ad ammine, mediante un catalizzatore cationico


a base di Iridio. La solubilità del catalizzatore in anidride carbonica supercritica è stata
favorita dalla presenza di un controione del complesso metallico:

controione

Spesso solo attraverso esperimenti mirati si riesce a stabilire in quali condizioni operative
esso è omogeneo o eterogeneo, e quali modifiche privilegiano l'una o l'altra situazione.

2. Sistema bifasico. Formato da un solvente liquido e da anidride carbonica supercritica.


Tipicamente, nel solvente liquido è sciolto il catalizzatore, mentre l’anidride carbonica
contiene reagenti (prima) e prodotti (dopo).

Il sistema è vigorosamente agitato; a conversione avvenuta (b), la fase supercritica è


allontanata con i prodotti, i quali sono recuperati dopo una depressurizzazione, che gassifica
l’anidride carbonica. Infine, quest’ultima viene reinviata al reattore.

I solventi liquidi da usare devono essere scarsamente miscibili con scCO2, quindi polari; un
tipico accoppiamento può essere con i liquidi ionici o con l’acqua.

- scCO2 con liquidi ionici.

La scCO2 tuttavia risulta invece piuttosto solubile nei liquidi ionici, ma ciò non rappresenta un
problema.

Inoltre, molti prodotti organici apolari sono selettivamente estratti nella fase supercritica, e
questo avvantaggia la resa effettiva della reazione.

In aggiunta, la maggior parte dei catalizzatori solubili nei liquidi ionici, non lo sono affatto in
anidride carbonica supercritica; dunque il catalizzatore può essere convenientemente riciclato.

Tra le applicazioni vi è l’idroformilazione di alcheni a catena media (esene-dodecene), che è


stata ottimizzata a livelli ormai competitivi con i classici processi commerciali.
I migliori risultati sono stati ottenuti con un catalizzatore a base di Rh, contenente la fosfina
anionica monosolfonata accompagnata da un catione imidazolico:

Questa scelta consente ampia solubilità nei liquidi ionici basati sull’imidazolio.

L’aumento della pendenza della retta dell’ottile è imputabile alla maggiore affinità del
dodecene (molto apolare) per la catena ottilica, rispetto a quella butilica.

- scCO2 con acqua.

La solubilità dell’acqua e dell’anidride carbonica non è molto elevata, in particolare l’acqua


mostra minore solubilità in anidride carbonica: infatti, la sua frazione molare non supera
l’1%. Tuttavia, questo aspetto non può essere trascurato perché la presenza dell’acqua
modifica sensibilmente le proprietà solventi dell’anidride carbonica a causa dei legami a H, e
questo rende la scCO2 più polare, rendendo più difficile una successiva purificazione.

Un altro inconveniente è la presenza di equilibri del tipo:

Per questo è richiesto l’uso di tamponi, qualora fosse richiesto uno specifico pH.

Un miglior contatto fra le due fasi si ottiene aggiungendo tensioattivi (che in genere sono sali
di ammonio di polimeri perfluoropolieterei con gruppi carbossilato). Vediamo come esempio i
risultati riguardanti l’idrogenazione dello stirene:

Nota: con e senza tensioattivo

Il vantaggio è che una semplice riduzione di pressione rompe l’emulsione, permettendo di


riciclare più volte il catalizzatore.
Catalisi inversa con scCO2

Le fasi coinvolte sono le stesse (acqua e scCO2) ma hanno ruoli opposti. Quindi il
catalizzatore è sciolto nel solvente supercritico mentre reagenti e prodotti sono in acqua.

Questo offre la possibilità di convertire substrati molto polari, ad esempio composti


biologicamente attivi e di chimica fine. La parziale contaminazione della fase acquosa della
fase acquosa da parte dell’anidride carbonica non rappresenta un problema né dal punto di
vista ambientale né per quanto riguarda la purificazione dei prodotti. Infine, siccome
l’allontanamento dei prodotti dal reattore avviene con la fase acquosa, non è necessario il
dispendioso stadio di de-pressurizzazione/ri-pressurizzazione dell’anidride carbonica.

Catalisi omogenea con catalizzatori legati a polimeri solubili

La separazione dei prodotti dal catalizzatore sfrutta le dimensioni del polimero-catalizzatore, il


quale può essere allontanato attraverso tecniche di ultrafiltrazione.

I polimeri possono essere lineari e ramificati.

Polimeri lineari:

Questi possono essere dotati di appropriati gruppi coordinanti, L, o solo alle estremità o
distribuiti lungo la catena (105); in tal caso si possono legare più unità metalliche per catena.

Modalità di sintesi: prevede l’uso di un monomero contenente già una funzione coordinante;
es. polimerizzazione della 4-vinilpiridina:

Spesso l’aggiunta di tali funzioni è realizzata solo dopo la sintesi del polimero (es. polistirene
funzionalizzato per trattamento con CH2O e HCl, e successivo scambio con il sale di litio del
legante):
Polimeri ramificati:

Tipicamente sono dendrimeri (da dendron, albero), che sono macromolecole altamente
ramificate nelle quali si può sempre riconoscere un core centrale, unità ramificanti e gruppi di
superficie.

Il livello di accrescimento è definito generazione, G. Ad esempio il PAMAM


(PoliAMmidoAMmina), di cui sono riportate le generazioni 0, 1 e 2.
La sintesi può essere divergente (se parte dal core e va verso la periferia) o convergente (se
segue la direzione opposta); in ogni caso è molto delicata e prevede attenti stadi di
purificazione.

Uso in catalisi dei catalizzatori legati a polimeri solubili

Non risultano sostanziali differenze tra le prestazioni dei catalizzatori tradizionali e quella dei
corrispondenti catalizzatori legati a polimeri solubili. Nonostante ciò, questi sistemi non hanno
ancora avuto molti utilizzi dal punto di vista industriale.

Le separazioni su membrane prendono il nome, rispettivamente, di osmosi inversa (0.1-1


nm), nanofiltrazione (0.5-10 nm), ultrafiltrazione (1-100 nm) e microfiltrazione (0.1-10 m).
L’ultrafiltrazione, su larga scala, a pressioni massime di 30-40 atm si applica bene nella
separazione dei catalizzatori finora descritti.

Un parametro delle membrane da considerare è il MWCO (Molecular Weight Cut Off), che
indica il peso molecolare di un composto trattenuto dalla membrana per il 90%, in un singolo
stadio di filtraizone. Tuttavia, ciò è solo indicativo, poiché bisogna considerare anche aspetti
conformazionali.

Un ulteriore problema è la ridotta resistenza ai solventi delle membrane; ovviamente le


membrane inorganiche danno maggiori garanzie.

Esempio: idroformilazione di alcheni con un polimeri lineare, analogo polimerico del


catalizzatore di Wilkinson:

In particolare è stata effettuata l’idroformilazione dell’1-pentene a n-esanale e 2-


metilpentanale (miscela di prodotti attesa), in toluene.

Dopo la filtrazione il catalizzatore è stato in grado di avviare nuovi cicli catalitici.


Catalisi omogenea supportata

Consiste nell’ancorare a supporti solidi catalizzatori omogenei tradizionali.

Quindi permette di conservare le stesse prestazioni di una catalisi omogenea tradizionale,


aggiungendo però i vantaggi di una facilità di recupero del catalizzatore attraverso semplice
filtrazione.

Catalizzatori omogenei supportati

L'ancoraggio è realizzabile attraverso diversi modi:


a) legando il complesso alla superficie di un ossido inorganico o di un polimero
organico attraverso un legame tra il solido ed uno (o più) legante(i) in posizione
distante rispetto all'atomo donatore legato al centro metallico.

I supporti solidi devono presentare inerzia chimica, scarsa acidità, buona stabilità, elevata
area superficiale, e possedere gruppi utili per realizzare l’ancoraggio. Sono provilegiate la
silice, l'allumina e le zeoliti, dato che la presenza di gruppi –OH rende possibile l’uso di
pendagli bifunzionali X---L’, tali che il gruppo X reagisca con gli OH:

Tipiche reazioni con ancoraggio:

La reazione di coordinazione è un semplice scambio di leganti. La catena alchilica consente


mobilità e una parziale riduzione dell’ingombro sterico.

Un secondo metodo prevede la preparazione preliminare di un complesso, successivamente


ancorato alla superficie solida. Questo approccio è particolarmente indicato solo qualora il
primo non sia applicabile, perché spesso i complessi di tipo (X-----L')MLn-1 sono di difficile
purificazione.

Supporti alternativi alla silice possono essere costituiti da polimeri organici modificati, ad
esempio la copolimerizzazione della 2-vinilpiridina con l’acetato di vinile:
Le prestazioni si sono rivelate allo stesso livello della controparte omogenea (talvolta
migliori), anche se in quasi tutti i casi si è verificata perdita di metallo. Ciò ovviamente rende
impossibile il recupero del catalizzatore, pertanto l’unico processo industriale significativo è il
processo ACETICA, che utilizzando un polimero a base di vinilpiridina garantisce una perdita
di Rh trascurabile.

b) incapsulando il catalizzatore nelle cavità di un solido organico od inorganico


poroso.

L’obiettivo è quello di aumentare la stabilità del complesso (matrice-catalizzatore).

Inoltre, la presenza di specifiche cavità può consentire di controllare la selettività della


reazione. L’incapsulamento può avvenire mediante 3 strategie:

- Incapsulamento. Prevede l’introduzione del metallo nei pori di una matrice solida,
tipicamente zeoliti, mediante scambio cationico. Successivamente sono aggiunti i leganti,
tipicamente CO, fosfine e anche salen.

Il legante 120 presenta una flessibilità tale da entrare nei pori presenti nella zeolite, mentre il
dicianobenzene 121 ha dimensioni tali da potervi accedere senza difficoltà.

Il complesso rimane intrappolato come una nave nella sua bottiglia.

Reazioni di idrogenazione o ossidazione di alcheni sono state condotte, e si è osservata un


elevata selettività a causa dell’effetto sterico, sebbene questo sia spesso accompagnato da
una ridotta attività dovuta alla difficoltà di accesso dei reagenti.

- Intercalazione.
Consiste nell’introdurre il complesso metallico mediante scambio ionico tra gli strati elastici di
un adatto silicato, tipicamente complessi di Rh sono stati intercalati con successo. In seguito
all’introduzione del complesso di verifica l’allontanamento degli strati.

Nell’idrogenazione degli alcheni si registrano differenze rispetto alla catalisi omogena


tradizionale, infatti entrano in gioco motivi sterici importanti. In particolare il sistema silicato-
Rh risulta molto più selettivo di quello omogeneo, favorendo di gran lunga l’idrogenazione di
olefine terminali.

Studi hanno dimostrato che il complesso attivo di Rh(III) presenta le due fosfine in trans, e
l’asse definito P-Rh-P è parallelo agli strati:

Per l’1-esene risulta più agevole adeguarsi a queste precise regole geometriche rispetto al
cis-2-esene.

Si noti che la distanza tra gli strati può essere ampiamente modulata variando il solvente.

- Intrappolamento. Prevede l’uso del complesso quale reagente nella formazione della fase
solida, in questo modo è possibile distribuire il catalizzatore all’interno del solido attraverso il
controllo della porosità, così da consentire un agevole accesso dei reagenti. Esempio:

Questi sistemi dimostrano attività paragonabile a quella esibita in fase omogenea, e stabilità
molto elevata.
c) immobilizzando il catalizzatore omogeneo in un film di solvente (non volatile o
idrofilo) depositato su un solido, mentre reagenti e prodotti sono o in fase gassosa
o in un secondo solvente non miscibile con il primo.

Questi sistemi prendono anche il nome di catalizzatori in fase liquida supportata (SLPC da
supported liquid phase catalysts).

Il metodo trae ispirazione dalla GLC; e consiste nello sciogliere il catalizzatore metallico in
un film di solvente non volatile "spalmato" su un solido inorganico poroso ad elevata area
superficiale, mentre i prodotti sono in un’altra fase.

E’ tecnicamente possibile usare due fasi liquide. Tipicamente, il catalizzatore è disciolto in una
pellicola di solvente idrofilo (acqua, glicerina, glicole etilenico) e dotato di gruppi -OH, capace
quindi di aderire intimamente al solido (ad esempio silice porosa), attraverso legami ad
idrogeno con i gruppi -OH superficiali.

Qualora il solvente sia acqua, la tecnica prende il nome di catalisi in fase acquosa supportata
(SAPC). In questo caso il catalizzatore deve essere reso idrosolubile.

L’altra fase è costituita da un solvente organico in cui sono sciolti reagenti e prodotti. La
reazione catalitica avviene all’interfase.

E’ stata studiata l’idroformilazione di alcheni con film d’acqua e una seconda fase organica
costituita dallo stesso alchene da idroformilare.

L'attività è ovviamente maggiore nel sistema catalitico omogeneo nel solvente tradizionale
esano. Tuttavia, in quest'ultimo è proibitiva la successiva separazione del prodotto dal
catalizzatore. E' interessante però notare come i valori di TOF nel sistema SAPC non sono
molto inferiori, mentre, come detto, le prestazioni in acqua sono deludenti.

La fase organica è stata separata dal solido per semplice filtrazione, e non conteneva quantità
apprezzabili di catalizzatore (meno di 1 ppb). L’analisi del solido ha rivelato come la fase
acquosa fosse ancora perfettamente aderente alla silice, e ciò e indice di stabilità del sistema
catalitico. E’ interessante, infine, notare che l’attività del catalizzatore dipende dalla quantità
di acqua: un maggior contenuto d’acqua facilita la mobilità del catalizzatore metallico,
raggiunto l’optimum, un ulteriore aumento ostacolerebbe l’accesso dei reagenti nei pori.
Microonde

Le microonde si trovano tra la regione IR e quella delle onde radio (lunghezza d’onda
compresa tra 1mm e 1m) e frequenza di 0.3-300 GHz.

Prendiamo acqua e diossano: se irradiate con microonde la temperatura dell'acqua avrà


subito un incremento notevole, mentre quella del diossano sarà quasi inalterata.

Le microonde presentano una componente magnetica e una elettrica, quest’ultima


responsabile del riscaldamento attraverso due meccanismi: polarizzazione dipolare e
conduzione.

Polarizzazione dipolare

E’ attivo per molecole dotate di momento dipolare. Un campo elettrico metterà in rotazione
tali molecole, che tenderanno ad allineare il proprio dipolo con il campo. A basse frequenze
tutte le molecole riescono ruotare in fase con il campo elettrico esterno, quindi il
riscaldamento sarà scarso. Invece, se la frequenza è alta non hanno il tempo sufficiente per
rispondere alla sollecitazione e rimangono ferme.

Se la frequenza ha un valore intermedio, le molecole riescono a ruotare, ma non sono capaci


di essere in fase col campo elettrico. Infatti, non appena il dipolo si orienta con il campo,
quest’ultimo ha già cambiato direzione, in tal modo si crea una continua differenza di fase che
genera una rotazione irregolare e un conseguente attrito che determina aumento di T.

Conduzione

Prendiamo ad es. acqua distillata e acqua di rubinetto: nella seconda il movimento degli ioni
indotto dal campo determinerà urti aggiuntivi, e il riscaldamento subito sarà maggiore.

Si noti che sostanze con costanti dielettriche molto simili (es. acetone ed etanolo) possono far
registrare aumenti di T molto diversi. Quindi, sebbene essi abbiano la stessa capacità di
immagazzinare energia, i due solventi presentano diversa abilità nel trasformarla in calore.

È molto importante distinguere tra la situazione in cui l'intervento delle microonde produce
un semplice effetto termico, e quella in cui si abbia un risultato dovuto propriamente alla loro
presenza. Si parla di effetto specifico delle microonde qualora l’esito di una reazione sia
diverso rispetto a quello sotto riscaldamento classico.

In generale questo effetto si riflette in un aumento della velocità di reazione; considerando


l’equazione di Arrhenious, dove A è il fattore di frequenza, alcuni autori sostengono che le
microonde alterino il valore di A.

In molti altri casi l’effetto delle microonde non è specifico, ma è dovuto al rapidissimo
aumento di temperatura del sistema, ad esempio il repentino aumento di
temperatura può cambiare la selettività di una reazione, rendendo più competitiva quella a
cui compete una maggiore energia di attivazione.

Il problema può essere quello di non riuscire ad avere un controllo ottimale, per cui sono stati
sviluppati sistemi con accorgimenti tecnici più adatti. In generale la tecnologia basata sulle
microonde presenta numerosi vantaggi:

- Consente di ridurre il consumo energetico;

- L’energia può essere introdotta a distanza e avviata o interrotta rapidamente agendo


sull’interruttore;

- In molti casi aumenta la selettività;

- Si applica bene a solventi ecocompatibili come l’acqua o liquidi ionici.


Gli ultrasuoni

La sonochimica sfrutta frequenze inferiori a 20-40 kHz e potenze maggiori (rispetto a quella
diagnostica), questo interferisce con la chimica e la fisica dell’oggetto stimolato.

Comuni campi di applicazione:

Quando un’onda sonora attraversa un liquido si ha il


fenomeno della cavitazione: si generano onde di
pressione e depressione, la cui energia può superare le
forze attrattive intermolecolari, consentendo così la
formazione di bolle in una prima fase. Nella seconda
fase l'enorme pressione comprime le stesse bollicine,
fino a farle implodere con conseguente rilascio di
energia. Il collasso genera temperature e pressioni
locali elevatissime, rispettivamente fino a 5000°C e
1000 atm.

L’elevata energia consente aumentare la velocità di reazione. Purtroppo tuttavia non è stato
ancora sviluppato un adeguato modello interpretativo: in molti processi eterogenei l’uso degli
ultrasuoni ha lo stesso effetto, puramente fisico, di quello di un agitatore meccanico.

Si può parlare di effetto chimico qualora uno stadio della reazione sia sensibile alla
sonicazione. In queste condizioni può esservi beneficio per l’ambiente.

Nell’ambito della catalisi omogenea, l'effetto chimico degli ultrasuoni consiste spesso nel
promuovere trasferimento di elettroni e/o rottura di legami metallo-leganti con produzione di
specie coordinativamente insature e quindi più reattive.

Si precisa che esistono 3 modi per introdurre ultrasuoni in un sistema reagente:

- uso di reattori immersi in un bagno di liquido sottoposto a sonicazione;


- uso di una sorgente di ultrasuoni immersa direttamente nel sistema reagente;
- uso di un reattore con parenti vibranti.

I sistemi più usati sono quelli di tipo 1. Si preferisce immergere un pallone di vetro nel bagno
di sonicazione, e ciò consente di adoperare la vetreria normalmente usata in laboratorio, e
quindi anche quella adatta a reazioni in atmosfera controllata o sotto pressione. Il pallone è
generalmente posizionato nel punto in cui la soluzione risulta maggiormente disturbata.

La quantità di energia è bassa (normalmente compresa tra 1 e 5 Wcm-2). Normalmente il


liquido usato nel bagno è acqua con tensioattivi, il che pone un limite massimo di 100°C alla
temperatura di esercizio.

Le sorgenti immesse direttamente nel sistema reagente si usano qualora si desideri introdurre
maggiore energia nel sistema reagente, tramite una sonda o punta vibrante (in questo caso si
introduce una potenza di centinaia di Wcm-2).

Uno svantaggio è che in questo caso bisogna usare vetreria


specifica, soprattutto qualora si debba lavorare sotto pressione
o in atmosfera controllata.

Molti sistemi moderni consentono anche di introdurre gli


ultrasuoni in modo discontinuo, tramite impulsi di frazioni di
secondi, ciò rende più omogenea la temperatura del sistema.
METODOLOGIE SINTETICHE ECOCOMPATIBILI (PARTE A)

1- Prevenire l'inquinamento all'origine è più conveniente rispetto a doverlo trattare


successivamente (prevenire è meglio che curare).

Bisogna adoprarsi a progettare sintesi che evitino l'uso o la formazione di sostanze nocive.

2- Economia degli atomi: le sintesi dovrebbero massimizzare l’inclusione di tutti i materiali di


partenza nel prodotto finale.

Atom economy (efficienza atomica, EA): le reazioni dovrebbero essere concepite in


modo che la maggior parte degli atomi presenti nei reagenti vada a finire nel prodotto
desiderato. Si definisce come il rapporto tra il peso molecolare del prodotto desiderato e la
somma dei pesi molecolari di tutti i prodotti di reazione.

E’ stato introdotto un altro parametro, chiamato fattore E (E da Environment) definito come il


rapporto tra massa di sottoprodotti e massa di prodotto. Tiene conto anche
della resa di reazione e dell’eventuale alimentazione di solvente fresco a causa di riciclo
inefficace. Unica eccezione è relativa all’acqua, che non viene considerata.

Ovviamente in una manifattura ideale il fattore E dovrebbe essere pari a zero.

Il fattore E caratteristico di un processo su larga scala è circa 1.09, quelli di chimica fine
possono superare anche 100.

L’elevato valore del fattore E di molte manifatture tradizionali è molto spesso legato alla
formazione di ingenti quantità di sali inorganici. Questo risultato dipende in larga misura dal
fatto che i vecchi processi sono basati su reazioni stechiometriche, e fanno ad esempio uso di
classici agenti riducenti (Na, Mg, Zn, idruri di Na o Al) o ossidanti (ossidi di Mn o Cr).

Analogamente, molte reazioni, quali solfonazioni, nitrazioni, alogenazioni, richiedono


quantità stechiometriche di acidi minerali (H2SO4, HNO3) o acidi di Lewis (AlCl3, ZnCl2, BF3),
il che comporta la produzione significativa di sottoprodotti indesiderati.

Oggi la chimica si può avvalere di nuove reazioni catalitiche in grado di usare direttamente
H2, O2, H2O2, CO, CO2 e NH3 come fonte di H, C, O e N per le sintesi.

Va tuttavia fatto rilevare che è importante tener conto dell’ammontare di sottoprodotti


indesiderati, ma anche dell’impatto che questi possono avere sull’ambiente.

Quindi si introduce un ulteriore termine, definito quoziente ambientale, EQ, che si ottiene
moltiplicando il fattore E per un termine arbitrario Q, il quale è tanto più alto quanto più
aggressiva è la sostanza in questione.

Ad esempio, NaCl può avere Q=1, mentre un sale di Cr Q=100-1000. Tuttavia, se il processo
produce ingenti quantità di NaCl, il valore di Q può aumentare; se le quantità fossero così alte
da permettere un riciclo elettrolitico il valore di Q tornerebbe a diminuire.

Un esempio di reazioni con il 100% di atom economy sono le Diels-Alder, che possono
procedere rapidamente e senza solventi dando luogo ad un unico prodotto. Al contrario, un
esempio di reazione intrinsecamente non-ecocompatibile è la reazione di Wittig, che produce
ossido di trifenilfosfina, rendendo pari a 0 l’efficienza atomica del P.
3- Le sintesi dovrebbero prevedere l'uso e la produzione di sostanze con una tossicità minima
o nulla.

Si definiscono degli indici di tossicità, i quali non sono solo relativi alla dose tossica, ma anche
al danno al quale si riferiscono (es., lacrimazione o danni neurologici); oltre che alla
reversibilità del danno. Quindi, riassumendo: i tre fattori importanti nella valutazione della
pericolosità di un composto per l'uomo sono: la dose tossica, il tipo di danno, e la sua
reversibilità.

E’ utile conoscere come le sostanze arrecano danno, quali vie utilizzano (es. assorbimento
cutaneo, inalazione, ingestione etc.); in questo modo per evitare che ad esempio un polimero
possa essere assorbito attraverso le vie respiratorie, si può far riferimento al fatto che solo
particelle di dimensioni inferiori a 10 m sono effettivamente respirabili. Analogamente,
variando la polarità di una sostanza si può evitare il suo assorbimento cutaneo.

Anche l’impatto sul modo animale, sul territorio (piogge acide date da ossidi di S e N che,
immessi in atmosfera tornano sotto forma di acidi), e al livello globale (es. problemi legati a
cambiamenti climatici, effetto serra e buco dell’ozono). Effetto serra: legato alla crescente
immissione di CO2 nell’atmosfera, nonostante sia una sostanza innocua di per sé. Buco
dell’ozono: legato alla produzione e immissione di CFC, che promuovono la decomposizione
dell’ozono negli strati alti dell’atmosfera.

Il chimico dovrebbe cercare di sostituire composti tossici dei processi con alternative innocue,
ad esempio il fosgene potrebbe essere sostituito con CO2. Infatti il fosgene a contatto con
l’acqua libera HCl, mentre la CO2 è innocua e disponibile in ingenti quantità, tuttavia essa è
chimicamente inerte, e questo rappresenta il rovescio della medagli. La sfida del chimico è
quindi quella di trovare processi innovativi, ad es. catalitici, per sfruttare la CO2 come fonte di
C al posto del fosgene.

4- I prodotti dovrebbero essere disegnati per rimanere adatti al loro scopo, pur presentando
una tossicità ridotta.

Bisogna soddisfare il bilancio tra massimizzazione di prestazione e riduzione di pericolosità.


Innanzi tutto, deve essere definito un testkit, vale a dire un certo numero di
sostanze appartenenti alla classe in esame, potenzialmente utili per l’applicazione. La
predizione è effettuata tenendo conto delle relazioni SAR (Structure-Activity Relationship) e
QSAR (Quantitative …).

La prima (SAR) è quella secondo la quale molecole simili hanno proprietà simili; l’intento è
quello di trovare dei trend, al fine di effettuare utili estrapolazioni. Ad esempio, i nitrili sono
tossici perché rilasciano CN- nel corpo umano, il meccanismo prevede la formazione di
radicali sul C alfa, quindi l’introduzione di gruppi metili al posto dell’H blocca tale reazione.

Qualora invece il meccanismo non sia noto, la correlazione tra struttura ed attività tossica può
essere sfruttata per sostituire funzioni sospette con gruppi alternativi.

La relazione QSAR è ancora più incisiva, perché esprime la dipendenza quantitativa di una
proprietà da parametri strutturali della molecola. Un classico esempio è l’equazione di
Hammett, log k/ko=ρσ.

Per determinare questi delicati effetti, può essere applicato l’approccio multidimensionale che
prevede la valutazione di cinque parametri eco-tossicologici: Velocità di Rilascio (R),
Intervallo Spaziotemporale (S), Bioaccumulo (B), Attività Biologica (B) e Incertezza (I).

Ad essi è assegnato un valore da 1 a 4.


RIABBASSA

La superficie del diagramma è tanto più grande quanto più è alto il rischio.

La Velocità di Rilascio (R) misura l’ammontare di sostanza involontariamente emessa


nell’ambiente nell’unità di tempo.

L’Intervallo Spaziotemporale (S), tiene conto se una sostanza è immessa nella


biosfera, il suo effetto sull’ambiente dipenderà dalla sua tendenza a disperdersi in esso e dalla
sua persistenza.

Il Bioaccumulo (B) indica quanto un certo composto sia in grado di accumularsi all'interno di
un organismo.

L’Attività Biologica (AB) tiene conto degli effetti di un composto sulla vita.

l’Incertezza (I) indica l’attendibilità dei parametri del test kit.

Infine il processo è valutato in termini sociali ed economici.

5- Nella manifattura di un prodotto chimico l'uso di sostanze ausiliari (solventi, agenti


separatori) dovrebbe essere evitato o limitato a sostanze innocue.

Fino ad oggi l’utilizzo di solventi è ritenuto routinario, ma si può valutare in alcuni casi se
effettivamente è necessario il loro utilizzo.

Le caratteristiche valutate nella scelta di un solvente sono:

- Deve essere in grado di sciogliere i reagenti e/o i prodotti;

- Non deve interferire con reagenti e prodotti (cioè deve essere chimicamente inerte);

- Deve essere liquido;

- Deve essere permesso il suo allontanamento, ad es. per distillazione (in tal caso è richiesto
che il solvente sia volatile);

- Deve essere disponibile in grandi quantità ed economicamente accessibile.

Tradizionalmente sono usati i VOC (volatile organic compounds), tipicamente benzene,


toluene, xileni, esano, cloroformio, cloruro di metilene, fluoroalcani. L’elevata volatilità rende
il fattore di rilascio molto elevato, ciò aumenta il loro fattore di rischio anche in termini
ambientali, considerando in aggiunta che spesso la loro tossicità è elevata e comprovata (es.
benzene). Inoltre i solventi idrocarburici sono altamente infiammabili, e sono la principale
fonte di SMOG. In aggiunta, solventi alogenati come i CFC sono responsabili del buco
dell’ozono.

L’alternativa percorribile è la selezione di solventi alternativi, quali: liquidi ionici; solventi


perfluorurati; solventi supercritici; acqua.
6- Il consumo energetico di un processo chimico dovrebbe essere minimizzato.

La generazione ed il consumo di energia sono tra i principali responsabili dell'inquinamento; il


75% dell'energia mondiale è ricavato dal petrolio.

per superare l'energia di attivazione di una reazione lenta si procede, tradizionalmente,


somministrandole l'energia termica; alternativamente l’uso di un catalizzatore provvede ad
abbassare l’energia di attivazione e questo riduce il consumo energetico.

Un caso speculare (ed anche più grave) è quando l’energia è utilizzata per il raffreddamento.

Purificazioni e separazioni sono tra le fasi più dispendiose energeticamente, dunque il disegno
di un processo dovrebbe evitare il più possibile queste fasi.

Infine, sorgenti di energia dovrebbero essere più mirate verso bersagli molecolari (es.
microoonde), piuttosto che fornire energia a tutta la fase. Ad esempio, la vulcanizzazione
della gomma utilizzando microonde come fonte di energia rende il processo 100 volte più
veloce, ottenendo prodotti di maggiore purezza.

In ogni caso qualsiasi progettazione di un processo, seppur rispettosa dei principi della green
chemistry, deve tener conto della fattibilità economica.

7- Materie prime e fonti di energia dovrebbero essere innocue per l'uomo ed il territorio.
Quelle rinnovabili dovrebbero sostituire quelle destinate a scomparire.

Scegliere come materia prima un rifiuto di una lavorazione presenta grossi vantaggi
ambientali.

L’uso di sorgenti rinnovabili (ovvero sorgenti che si rigenerano in tempi paragonabili a quelli
di consumo) dovrebbe essere incentivato.

Attualmente la fonte di energia più utilizzata è sicuramente il petrolio, che però è destinato ad
esaurirsi, e inoltre è la più grande fonte di inquinamento. A ciò si aggiunge che il petrolio
grezzo è in forma ridotta, e la chimica di ossidazione è tra le più inquinanti (poiché richiede
l’uso di metalli in alti stati di ossidazione).

Inoltre, trovare fonti alternative permetterebbe anche di conservare quantità di combustibili


fossili intatte per le future generazioni, e impedire che i costi associati all'uso del petrolio
divengano proibitivi.

La biomassa come fonte rinnovabile. il suo principale uso è alimentare. Tuttavia, una
consistente porzione è destinata o destinabile ad applicazioni diverse, come:

- produzione di carta, gomma e fibre, ed estrazione di fragranze, coloranti e molecole


bioattive;

- generazione di energia termica per combustione;

- sintesi di biocombustibili, ad esempio bietanolo;

- produzione di composti chimici base per l’industria chimica, attraverso la conversione


(preferibilmente catalitica) di cellulosa, lignina, carboidrati, oli, terpeni.

Sono dunque individuabili tre strategie:

- degradazione della biomassa a CO e H2 attraverso gassificazione: il gas di sintesi può poi


essere convertito a idrocarburi o metanolo (tuttavia questo approccio richiede molta energia);
- Bioraffineria: integra processi di conversione di biomassa per produrre
contemporaneamente carburanti e composti chimici.

- Processi diretti, attraverso sintesi a cascata catalitiche, spesso promosse anche da enzimi.

Biomassa:

Fonti ligninocellulosiche: cellulosa, terpeni, lignina;

Carboidrati;

Oli.

Cellulosa: polimero lineare formato da unità di glucosio legate in posizione 1,4.

Partendo dal polimero è possibile ottenere glucosio, che può essere utilizzato per la
preparazione di altri composti chimici; in particolare:

Lignina: struttura tridimensionale polimerica; rappresenta il più grande deposito naturale di


anelli aromatici. Viene largamente utilizzata per l’ottenimento della vanillina, attraverso
degradazione alcalina.

Terpeni:

Possono essere convertiti in intermedi utili, come p-cresolo.

Oli vegetali e carboidrati. Il loro uso dominante è nell’industria alimentare, Proprio per
questo, la loro disponibilità come materia prima per l’industria chimica è senz’altro inferiore
rispetto a quella dei materiali lignocellulosici.

Oli vegetali: sono formati da una miscela di esteri della glicerina (trigliceridi) contenenti acidi
grassi con catene R a varia lunghezza (da C12 a C18); possono essere usati sia per produrre
composti chimici sia per l’ottenimento di biodiesel.

Sono adoperati per la preparazione dei corrispondenti monoesteri (tensioattivi ad alta


biodegradabilità).
Parallelamente, per semplice trans-esterificazione con metanolo (Schema 2.8), gli oli vegetali
danno luogo alla miscela di esteri metilici degli acidi grassi, nota come biodiesel.

La produzione di una tonnellata di biodiesel è accompagnata dall’ottenimento di circa un


quintale di glicerina, molecola nota da tempo e il cui uso nell’industria farmaceutica e
cosmetica è ben consolidato.

La glicerina può essere anche utilizzata per la sintesi dell’epicloridrina, importante intermedio
industriale, attraverso un metodo più conveniente di quello classico (clorurazione della
glicerina con formazione di 2,3-dicloropropanolo).

Gli oligomeri della glicerina possono essere usati come lubrificanti.

Un’altra applicazione è legata alla formazione di tensioattivi cationici, biodegradabili e


scarsamente tossici per l’ambiente acquatico.

Inoltre, per diretta idrogenazione (catalitica) della glicerina si ottiene 1,2-propandiolo.

Carboidrati: oltre al glucosio (per cui valgono processi analoghi a quelli visti per la cellulosa),
possono essere valorizzati anche zuccheri di altra natura, come fruttosio, lattosio e chitina.

Svantaggi: conflitto fra materie prime e alimenti, con inaccettabile rincaro del loro prezzo;
inoltre c’è un’assenza di specifiche e approfondite conoscenze, dal momento che l'attività di
ricerca dell'uomo finora è stata orientata alla conversione delle sostanze derivate dal petrolio.
8- Le derivatizzazioni nelle sintesi dovrebbero essere evitate.

Infatti operazioni di derivatizzazione comportano dispendio di reagenti ed energia, e al


termine della derivatizzazione spesso è richiesto il ripristino della molecola.

9- Preferire reazioni catalitiche a quelle stechiometriche.

Molto spesso accade che uno dei materiali di partenza, A o B, deve essere usato in eccesso,
perciò, inquinerà (a danno dell’atom economy). In alternativa si può procedere per via
catalitica.

L’uso di un catalizzatore può consentire il controllo della chemoselettività, regioselettività e


stereoselettività di una reazione.

Inoltre l’uso di un catalizzatore può avere benefici anche in termini di consumi energetici.

10- I prodotti chimici non dovrebbero rimanere inalterati nell’ambiente dopo aver svolto la
loro funzione, ma dovrebbero trasformarsi in sostanze innocue.

Il chimico deve quindi cercare di prevedere il comportamento di un composto nell’ambiente,


stabilire in quali frammenti si degraderà la molecola originaria, e magari indirizzarne la
decomposizione verso sostanze a loro volta innocue, attraverso l'opportuna introduzione di
funzioni sensibili alla fotolisi, all'idrolisi e ad altre degradazioni.

11- Le metodologie analitiche dovrebbero permettere il monitoraggio ambientale ed il


controllo dell'inquinamento in tempo reale durante la manifattura dei prodotti chimici.

I metodi analitici devono quindi consentire il controllo in tempo reale della eventuale
produzione e immissione nell'ambiente, così da modificare appropriatamente e
tempestivamente i parametri operativi del processo.

12- Il design di impianti e processi deve minimizzare il rischio di incidenti.

Devono essere realizzati impianti intrinsecamente sicuri, e con ciò si intende assenza di
rischio e non controllo del rischio.

Paradossalmente, ciò può anche portare a scelte contraddittorie, perché, infatti, è possibile
aumentare il rischio di un impianto nel tentativo di minimizzare l'inquinamento che esso
produce (ad es. per il riciclo del solvente può aumentare il rischio di incendio in un impianto).

Ad es. la via classica per la produzione di acido adipico prevede l’uso di sostanze pericolose,
come NO2, e temperature e pressioni di O2 abbastanza alte, oltre alla produzione di CO2.
Una alternativa è la produzione di acido adipico tramite una forma geneticamente modificata
dl batterio E. Coli.
Un modo per valutare l’impatto di una reazione su scala di laboratorio.

Ad ogni reazione può essere assegnato un punteggio da 100 (reazione ideale) a 0 (reazione
fallimentare), dove una reazione ideale può essere definita come quella in cui un una
sostanza A reagisce con un economico ed innocuo reagente B per dar luogo ad un prodotto C
in un tempo congruo a temperatura ambiente senza rischio per l’operatore e con impatto
ambientale nullo.

EcoScale = 100 – somma delle penalizzazioni

Un punteggio superiore a 75 è eccellente, tra 50 e 75 accettabile, minore


di 50 inaccettabile.

I parametri da considerare sono: resa della reazione, prezzo di ogni singolo componente,
pericolosità delle sostanze, apparecchiature da laboratorio adoperate, tempo e temperatura di
reazione, eventuale work-up.

E’ chiaro che questa valutazione può essere condotta solo su processi in scala di laboratorio,
dove l’uso di solventi e minime quantità di sottoprodotti hanno un effetto minimo.

“Prodeg catene pres’in der, ma t’inceco Solvana!”.


Catalisi in condizioni innovative

Il catalizzatore abbassa l’energia di attivazione, non alterando le condizioni termodinamiche


che determinano l’equilibrio.

Particolare importanza è data all’idroformilazione.

Il catalizzatore di Wilikinson, [RhCl(PPh3)3], è stato uno dei primi esempi di catalizzatori in


fase omogenea.

I parametri che caratterizzano un catalizzatore sono:

- TON (Turn Over Number), definito come moli di substrato convertito rispetto alle moli di
catalizzatore presenti;

- TOF (Turn Over Frequency), definito come moli di substrato convertito, nell’unità di tempo,
rispetto alle moli di catalizzatore presenti.

Ad oggi circa l’85% dei processi industriali catalizzati avviene mediante catalisi eterogenea.

Tuttavia la catalisi omogenea risulta più competitiva in termini di resa e selettività; inoltre si
può comprendere il meccanismo e quindi effettuare opportune modifiche per migliorare le
prestazioni del catalizzatore.

Il tallone da Killer della catalisi omogenea è la difficoltà di riciclare il catalizzatore e di


purificare i prodotti da quest’ultimo. Per questo, sono stati proposti metodi innovativi, tra cui
quello della catalisi omogenea bifasica.
Catalisi omogenea bifasica

Questa tecnica prevede che il catalizzatore e i prodotti siano selettivamente sciolti in due fasi
liquide diverse (quindi immiscibili).

L’incontro tra reagenti e catalizzatore deve essere favorito da efficace mescolamento,


adeguato trasferimento di materia tra le fasi o addirittura loro completa miscibilità durante la
reazione. Al suo termine, si ristabilisce la netta separazione.

Tipicamente (ma non sempre), la fase del prodotto è costituita da un comune solvente
organico, mentre quella catalitica è scelta tra i solventi innovativi già menzionati, quali acqua,
liquidi ionici o perfluorurati, e solventi supercritici.

Accanto a quello liquido-liquido, esistono altri possibili scenari, tra cui la catalisi omogenea
con catalizzatori legati a polimeri solubili nel mezzo di reazione, in cui la separazione dei
prodotti dal catalizzatore viene effettuata sfruttando proprio la netta diversità tra le
dimensioni del polimero-catalizzatore e i prodotti, attraverso tecniche di ultrafiltrazione.

Infine, la catalisi omogenea supportata, che utilizza una matrice solida, permette quindi di
conservare le stesse prestazioni di una catalisi omogenea tradizionale, aggiungendo però i
vantaggi di una facilità di recupero del catalizzatore attraverso semplice filtrazione.

Catalisi omogenea bifasica acquosa

Vantaggi dell’acqua:

- è polare e ciò comporta facilità di separazione dai solventi organici apolari;


- non è infiammabile;
- è disponibile in grandi quantità a condizioni economiche accettabili;
- non ha odore e colore, per cui è facile riconoscerne una eventuale contaminazione;
- la sua densità è diversa da quella della maggior parte dei solventi organici;
- ha proprietà solventi molto diverse rispetto a quelle dei comuni solventi organici;
- scioglie bene molti gas, il che può avere beneficio se il reagente è un gas;
- ha comportamento anfotero secondo Bronsted;
- può influenzare in modo vantaggioso la reattività.

Uso dell’acqua in catalisi bifasica

Prevede la progettazione di un catalizzatore metallico solubile in acqua e non solubile


nell'altro mezzo solvente; tipicamente per ottenere ciò si fa uso di leganti idrofili. In
particolare:
Fosfine

Leganti fosfinici sono resi idrosolubili attraverso l'introduzione di gruppi polari


come SO3-, COO-, Me3N+, OH.

TPPMS Solubilità: 80g/L TPPTS Solubilità: 1100g/L

Nota: I gruppi SO3- sono in posizione meta.

Talvolta possono anche esserci gruppi aggiuntivi, come il F.

Esempi:

Nota: il legante 11 è un derivato del NORBOS.

Nella maggior parte dei casi, queste molecole sono preparate dalle fosfine madri non
solfonate, per reazione diretta con oleum. Il grezzo contiene il prodotto in percentuali variabili
(75-85%), il resto è costituito dall’ossido della fosfina; ciò richiede operazioni di separazione.

Sono quindi stati studiati metodi alternativi.

Per trattamento della clorodifenilfosfina con potassio metallico. Il risultante


anione è un forte nucleofilo che attacca il sale di potassio dell'acido 4-fluorobenzenesolfonico,
dando luogo al prodotto desiderato
Catalizzatori a base di TPPTS sono usati per l’idroformilazione del propene in doppia fase:

Tipicamente il metallo utilizzato per condurre la catalisi è il rodio Rh complessato con la


suddetta fosfina, [RhH(CO)(TPPTS)3].

Il catalizzatore, il propilene, il monossido di carbonio e l'idrogeno sono sciolti in acqua tenuta


sotto elevata pressione, mentre il prodotto (n-butanale) non è solubile in queste condizioni in
acqua e quindi può essere agevolmente separato.

I risultati sono eccellenti: il sistema acquoso è più selettivo (99% contro 86% di selettività),
produce meno acqua da smaltire, prevede pressione più bassa (50 contro 300 atm),
temperatura più bassa (393 K contro 423 K), non consuma vapore per riscaldamento, ma
addirittura lo produce!

Le fosfine possono essere rese solubili anche introducendo gruppi carbossilato, COO-:

Metodologia sintetica per l’ottenimento di leganti (NORBOS) simili al 18:

Nota: la reazione è una Diels-Alder, a cui segue idrolisi.

Le fosfine carbossilate hanno trovato meno impiego rispetto alle sofonate.

Possono essere introdotte anche funzioni cationiche, come nel caso delle AMPHOS, che
sfruttano sali di ammonio quaternari:

Nota: questi leganti non sono tuttora utilizzati industrialmente; stessa sorte per quelli che
introducono gruppi OH.
Difosfine

Anche le difosfine possono essere rese idrosolubili, mediante l’introduzione degli stessi gruppi
visti per le fosfine. Anche in questo caso la solfonazione è la modifica di elezione.

Il problema legato alla sintesi di questi composti è quello del controllo del grado e della
posizione di solfonazione. La reazione delle disfosfine madri in oleum è spesso poco selettiva,
e soprattutto, anche in questo caso, esiste l'elevato rischio di ossidazione dell'atomo di
fosforo. I migliori risultati si ottengono lavorando a basse temperature, con concentrazioni di
SO3 comprese tra il 25 e il 40%.

I leganti 29 e 30 hanno dato, nell’idroformilazione del propilene, risultati più soddifsfacenti del
TPPTS. Non altrettanto soddisfacente è stata l’attività del legante 31, ciò dimostra che la
presenza di un sistema aromatico esteso è importante per le prestazioni.

Leganti non contenenti fosforo

Tipici esempi sono leganti azotati, come EDTA (acido etilendiammintetraacetico).

Leganti chirali solubili in acqua

La catalisi enantioselettiva è promossa da catalizzatori metallici contenenti leganti chirali (es.


sintesi di L-DOPA, ottenuto attraverso l'idrogenazione del doppio legame di un derivato
dell'acido acetammidocinnamico).

Sono stati preparati numerosi leganti chirali capaci di rendere idrosolubili i corrispondenti
complessi.

Numerose difosfine idrosolubili sono state ottenute per solfonazione a partire dalle
corrispondenti difosfine chirali tradizionali.

Queste presentano la catena che lega i due atomi di P con lunghezza variabile, e in tali catene
sono presenti gli atomi di C chirali (evidenziati con il ‘*’).
Questo legante è invece la versione solubile della BINAP di Noyori.

Molti leganti chirali idrosolubili sono ottenuti mediante modifica di sostanze naturali
idrosolubili attraverso l'aggiunta di funzioni coordinanti. In molti casi sono stati privilegiati i
carboidrati, normalmente monosi ma anche di- e polisaccaridi.

Catalisi bifasica acquosa: problemi e soluzioni

Il principale problema connesso con l'uso dell'acqua è legato alla scarsa solubilità in questo
solvente di molti substrati organici; ad esempio mentre è stato realizzato un efficace processo
industriale per l'idroformilazione bifasica del propilene non ne è stata possibile l'estensione ad
olefine superiori. Eppure ciò sarebbe auspicabile poiché con i classici catalizzatori di tipo
Wilkinson non è vantaggioso idroformilare alcheni con più di sei atomi di carbonio, dato che i
prodotti sono allontanati per distillazione e le T necessarie in questi casi degraderebbero il
catalizzatore.

Invece, l'allontanamento dei prodotti mediante una semplice separazione di fase risolverebbe
raffinatamente questo problema.

Tra le varie soluzioni tecniche c’è l’uso di tensioattivi, e la catalisi a trasferimento di fase:

Tensioattivi

Sono composti in grado di diminuire la tensione superficiale dell’acqua (molecole anfifiliche, o


anfipatiche). In pratica le molecole di acqua in superficie interagiscono con il bulk solo per la
parte inferiore, e questo genera una forza di attrazione netta verso l’interno che rende la
superficie come una membrana tesa. L’energia necessaria per aumentare la superficie di un
corpo liquido spostandone le molecole dalla fase massiva a quella superficiale (cioè per
aumentare la superficie di una goccia di liquido trasformandola in una pellicola) è detta
tensione superficiale.

La tensione superficiale dell’acqua è circa 3 volte quella dei comuni liquidi, a causa della
presenza di legami a H. I tensioattivi rivolge la parte polare verso il bulk e le code idrofobe
all’esterno; ne consegue una netta diminuzione della tensione superficiale (dato che le forze
intermolecolari tra le catene idrofobe sono inferiori).
Tipi di tensioattivi:

Se il tensioattivo è opportunamente disegnato, all'aumentare della sua concentrazione in


acqua, dà luogo alla formazione di micelle (10-100 molecole di tensioattivo).

Le micelle acquose sono stabili termodinamicamente, ma labili da un punto di vista cinetico;


ciò può influenzare positivamente la velocità di reazioni in sistemi bifasici acquosi, poiché
consente un contatto più intimo con il catalizzatore idrosolubile.

La situazione più invitante è quella in cui il tensioattivo sia in grado di inglobare molecole di
reagente apolare sequestrandolo alla fase acquosa: se il centro catalitico si trova a breve
distanza la reazione procede efficacemente.

Per attuare questo favorevole scenario, molti studiosi hanno proposto l'uso di molecole con la
duplice funzione di leganti (per coordinare il metallo) e di tensioattivi (per favorire la
formazione di micelle):

Il caso più eclatante è quello dell’idroformilazione dell’1-tetradecene, in cui la conversione


aumenta al crescere della dimensione della coda idrofoba fino al valore n= 5, per poi
diminuire se n= 7, 9 o 11.

Modello proposto:
- Se n= 5, l'atomo di rodio è probabilmente situato quasi all'interfaccia tra quest'ultimo strato
ed il cuore della micella, quindi a stretto contatto con l'alchene che, coordinandosi ad esso,
può reagire;

- nel caso in cui n< 5 la coda idrofobica è forse insufficiente


ad assicurare una buona solubilizzazione dell'1-tetradecene;

- se n è maggiore di 5, probabilmente l'atomo di rodio viene a trovarsi ad una


distanza dal core micellare insufficiente.

Catalisi a trasferimento di fase liquido-liquido

Consideriamo questa reazione:

Se aggiungiamo una quantità catalitica di un sale di ammonio quaternario, Q+X-, si forma una
coppia ionica (Q+Y-); quindi:

All’interfaccia:

Ed il ciclo continua.

Inoltre, siccome spesso la specie idrosolubile Y- è solvatata nel solvente organico meno
efficacemente di quanto non lo sia in fase acquosa, è più reattiva.

Si noti che il catione Q+ deve essere sufficientemente liposolubile, per cui le catene alchiliche
devono essere di almeno 4 atomi di C.
La catalisi a trasferimento di fase può essere estesa a reazioni catalizzate da complessi di
metalli:

La risultante coppia ionica (Q+)m[MXn+m]m- viene trasferita nella fase organica. Ovviamente, lo
stesso tipo di ragionamento si applica anche qualora debba essere trasferita dalla fase
acquosa a quella organica una specie neutra o cationica (nel caso della cationica si può usare
un etere corona).

Una combinazione delle due metodologie ha portato alla generazione di leganti definiti
termoregolati. Ad esempio, una fosfina recante una lunga catena di polietilenglicole:

A T ambiente il catalizzatore è solubile esclusivamente in acqua, a causa di legami a idrogeno


significativi che si instaurano tra la catena ed il solvente. Tuttavia, un riscaldamento provoca
la rottura dei legami a idrogeno, rendendo così il legante solubile nella fase organica con
conseguente passaggio in essa (2), e quindi il catalizzatore può promuovere la catalisi in
condizioni omogenee tradizionali. Al termine, il raffreddamento determina la transizione di
fase inversa, consentendo la separazione dei prodotti.

Infine, un’altra frontiera è quella della catalisi inversa a trasferimento di fase, quindi dalla
fase organica alla fase acquosa. Questa si avvale di opportune molecole transfer, tra cui le
ciclodestrine, formate da unità di glucosio e dotate di siti lipofili, i quali sono in grado di
interagire con sostanze apolari formando composti solubili in acqua.
Catalisi omogenea bifasica con liquidi ionici

I liquidi ionici sono Sali con punti di fusione al di sotto dei 100°C, formati da un catione
organico di grosse dimensioni e da un anione debolmente coordinante (specie hard).

Le notevoli dimensioni del catione e dell’anione determinano una riduzione dell’efficacia


dell’interazione elettrostatica, inoltre, l’assenza di simmetria provoca una diminuzione
dell’energia reticolare.

Preparazione:

I metodi sono principalmente due:

- scambio dell’alogenuro con l’anione desiderato, favorito dalla precipitazione di alogenuro di


Ag(I) (a) o di un catione alcalino (b);

- reazioni acido-base, sia tipo Broensted-Lowry (c), sia secondo Lewis (d).

Vantaggi:

- Presentano buone proprietà solventi nei confronti di composti organici o inorganici. Anche
la solubilità di molti gas, come O2, H2 o CO, è spesso soddisfacente.

- Hanno alta stabilità termica; il punto di fusione può essere ampiamente modulato,
cambiando le proprietà dei costituenti. Sperimentalmente è verificato che il punto di fusione
decresce all’aumentare delle dimensioni dell’anione.

- Sono scarsamente, o addirittura non volatili, e ciò comporta la non infiammabilità; il riciclo è
quindi possibile poiché i prodotti possono essere separati per distillazione;

- E’ possibile modulare la polarità dei liquidi ionici, rendendoli così adatti a un determinato
composto. L’affinità per l’acqua è generalmente regolata dalla proprietà dell’anione; in genere
un liquido ionico è solibile in acqua se l’anione è ad es. Br-, mentre forma un sistema bifasico
in presenza di PF6-. Il motivo è legato alla diversa forza dei legami a H che l’anione riesce a
instaurare con l’acqua.
Una caratteristica peculiare è che è possibile rendere un sistema omogeneo ad una certa T, e
bifasico abbassando la T.

- E’ possibile modulare la miscibilità con solventi organici sfruttando sempre la natura


dell’anione;

- Analogamente, attraverso modifiche strutturali è possibile modulare la densità dei liquidi


ionici. Un esempio sono i derivati dall'imidazolo, modulabili tramite la lunghezza delle catene
organiche presenti in essi.

- Le scarse proprietà solvatanti, dovute alle caratteristiche non coordinanti degli anioni,
possono esaltare la velocità di reazione. Infatti un efficace solvatazione stabilizza le molecole.

- Molte molecole sensibili all’acqua sono stabili nei liquidi ionici, che quindi diventano solventi
di elezione per sostanze facilmente idrolizzabili, come i reattivi di Grignard.

Inoltre, mentre la catalisi in acqua prevede la progettazione di sistemi catalitici ad hoc;


l'ampia scelta di liquidi ionici consente l'uso di catalizzatori per tradizionali solventi organici.

Gli alluminati sono composti ionici contenenti AlCl4-; che idrolizza facilmente tramite la
reazione:

L’acidità del liquido ionico, in questo modo, è modulabile attraverso l’equilibrio:

Infatti, per una frazione molare di AlCl3 al di sotto di 0.5 lo ione Cl- sarà in eccesso (basico),
se la frazione molare è 0.5 si arriva a neutralità, mentre se supera 0.5 si formerà il dimero,
Al2Cl7-, che ha comportamento acido. Questo gioca un ruolo importante in molti processi
catalitici.

La situazione più favorevole è quella in cui il liquido ionico funga da catalizzatore oltre che da
solvente, l’esempio tipico è la reazione di Friedel Crafts.

E’ emerso che la velocità aumenta con l’aumentare dell’acidità del liquido ionico (quindi a un
aumento della concentrazione di Al2Cl7-).
Svantaggi:

- Sono molto costosi;

- Hanno un’elevata viscosità (a causa delle elevate forze intermolecolari), per cui i processi
che richiedono agitazione richiedono molta energia.

- La manifattura richiede l’utilizzo di sostanze pericolose, ed ingenti quantità di solventi


organici. Nella produzione mediante scambio di alogenuro, se lo scambio non è quantitativo e
restano alogenuri in soluzione, questo può compromettere l’attività catalitica
(avvelenamento) e la selettività della reazione.

Nuove generazioni di liquidi ionici

Per risolvere gli inconvenienti sopraelencati la ricerca si è spostata verso l’ottenimento di


liquidi ionici da fonti naturali rinnovabili, in particolare nell’ottenimento dei cationi (per gli
anioni chirali è meno comune). Sono state individuate due possibili strategie:

2. Alchilazione degli atomi di N presenti nel composto naturale con un alogenuro organico,
e successivo scambio dell’anione:

Y= anione scarsamente coordinante

2. Conversione di un amminoalcol o di un amminoacido nei cationi alchilammonio o


alchilpiridinio attraverso più passaggi.

Uno degli approcci è l’uso di cloruro di colina trattata con SnCl2 o ZnCl2, ciò genera un liquido
ionico che (purtroppo) presenta elevata viscosità:

L’utilizzo di fonti naturali è una delle vie preferenziali per l’ottenimento di liquidi ionici chirali,
che possono essere sfruttati in sintesi asimmetriche.

I precursori naturali possono essere amminoacidi, amminoalcoli, idrossiacidi, ammine,


alcaloidi, terpeni e carboidrati.

- Da Amminoacidi e Amminoalcoli. Vediamo ad es. una semplice protonazione di esteri di


amminoacidi comuni:

Anche strutture di tipo dialchilimidazolio sono state preparate a partire da a.a. ordinari.
- Da Ammine e Alcaloidi. Usando quale fonte naturale l’ α-fenetilammina.

Anche la nicotina può essere usata come precursore di liquidi ionici mediante una semplice
alchilazione con bromuro di etile e successivo scambio di anione:

- Da Idrossiacidi. Normalmente il gruppo OH viene esterificato con anidride triflica e


condensato con l’1-metilimidazolo. Il vantaggio è l’assenza di ioni alogenuri:

- Da Terpeni. Anche loro reagiscono con anidride triflica e 1-metilimidazolo:

- Da Carboidrati. Di solito, a partire da 1-deossi zuccheri, si fa reagire con anidride triflica e si


procede alla successiva sostituzione del triflato con un’ammina terziaria.

Uso dei liquidi ionici in catalisi

Lo scenario più semplice da immaginare è quello in cui il liquido ionico sciolga il catalizzatore,
e l'altra fase sia un solvente organico che contenga selettivamente il prodotto, o addirittura
sia lo stesso prodotto liquido. Numerosi studi indichino che la trasformazione abbia luogo nel
liquido ionico.

La possibilità di modulare le proprietà dei liquidi ionici consente spesso di ottimizzare le


condizioni operative, consentendo spesso di utilizzare catalizzatori tradizionali, potendo così
paragonare le prestazioni nei liquidi ionici e nei solventi classici.

Sia l’uso di complessi cationici, sia la presenza di funzioni polari nei leganti possono
assicurare una migliore permanenza del catalizzatore nel liquido ionico. Talvolta i leganti
possono anche contenere il motivo del liquido ionico:

Ovviamente il liquido ionico non deve sciogliersi nella controparte organica; in questo senso,
in presenza di solventi o prodotti puramente idrocarburici, la scelta di un anione ossigenato
può essere molto sensata, perché l’affinità tra le due fasi liquide risulta notevolmente ridotta.
In alcuni casi si è visto che l’utilizzo del liquido ionico permette di migliorare la selettività della
reazione. Infatti, se i reagenti possono dar luogo a più di un prodotto (ad esempio due
isomeri), e quello desiderato ha proprietà maggiormente compatibili con il solvente scelto, la
sua formazione può essere favorita rispetto a quella del prodotto non voluto.

Tra i processi industriali basati su liquidi ionici ricordiamo il Bifasol e Basil.

- Bifasol. Consiste nella dimerizzazione dell’1-butene e del 2-butene a formare otteni.

Nel processo innovativo basato su liquidi ionici, il catalizzatore è sciolto nel liquido ionico
con il catione tipo 54 e anione AlCl4-. Una seconda fase è costituita dai buteni liquidi, i quali
presentano anche discreta solubilità nel liquido ionico. Convenientemente, i prodotti di
reazione non sono solubili nel liquido ionico, e quindi possono essere agevolmente separati
attraverso decantazione.

Il processo presenta una maggiore selettività della reazione, che arriva fino al 90% a favore
degli otteni.

- Basil. La reazione prevede alcolisi della diclorofenilfenilfosfina (78) ad opera di etanolo con
sviluppo di HCl. Quest’ultimo deve essere necessariamente neutralizzato. Tipicamente si fa
ricorso ad ammine terziarie, tuttavia il sale di ammonio precipita nella miscela di reazione
come solido finissimo, rendendo quest’ultima molto densa e compatta, impossibile da
mantenere in agitazione. Il problema è risolto utilizzando 1-metilimidazolo, che è in grado di
intrappolare l’HCl con formazione del cloruro di 1-metilimidazolio (80), un liquido ionico che si
smescola immediatamente.

Per quanto riguarda l’idroformilazione, molti alcheni sono ampiamente solubili in liquidi ionici,
anche quelli a catena più lunga (a differenza di quanto accade in acqua):

Parallelamente va considerata la difficoltà legata alla separazione del prodotto, cioè l’aldeide,
dalla fase catalitica; infatti normalmente un’aldeide non si smescola spontaneamente dal
liquido ionico (come invece accade per l’acqua).

Sono stati condotti numerosi tentativi di ottimizzare le prestazioni di sistemi catalitici basati
su rodio per l’idroformilazione di alcheni in liquidi ionici. Il primo, del premio Nobel Chauvin,
consiste nell’ idroformilazione dell’1-pentene nel liquido ionico [54(R1= Me, R2= n-Bu)]PF6
sfruttando il classico catalizzatore di Wilkinson; questo però presentava il problema
dell’inquinamento della fase organica da parte del catalizzatore.
Studi successivi hanno quindi proposto di coordinare al metallo fosfine più polari, mediante
funzionalizzazioni analoghe a quelle adoperate per rendere i leganti idrosolubili, rendendo tali
fosfine maggiormente compatibili (e quindi permanenti) nella fase ionica. In questo modo era
possibile effettuare molti più ricicli.

Un altro esempio è stato quello dell’idrogenazione di alcheni, come cicloesene o 1-esene,


usando il classico catalizzatore di Wilkinson. Le prestazioni sono risultate eccellenti, anche
rispetto all’acqua, migliorando in termini di velocità e selettività (cioè, si ha la formazione di
un unico prodotto idrogenato). Il catalizzatore è selettivamente sciolto nella fase ionica, e non
si ha sostanziale perdita di metallo.

Profilo ecotossicologico dei liquidi ionici

Confronto fra due liquidi ionici e acetone:

Come vediamo, la velocità di rilascio è maggiore per l’acetone poiché quest’ultimo è molto
volatile mentre i liquidi ionici presentano volatilità molto scarsa (quasi nulla). I restanti
parametri sono, per i liquidi ionici, ancora poco definiti (incertezza molto alta).
Catalisi omogenea bifasica con solventi perfluorurati

Tipologie di solventi perfluorurati:

Vantaggi:

- Sono ecocompatibili, dato che il legame polare C-F è tra i più forti;

- Infatti, essi sono dotati di enorme inerzia chimica e stabilità termica (es. TEFLON);

- Non infiammabilità;

- Peculiare capacità di sciogliere i gas, dovuta all’assenza di polarità permanente per


simmetria; infatti la risultante dei momenti dipolari dei legami C-F è nulla. A questo si
aggiunge la scarsa disponibilità delle coppie elettroniche ad essere polarizzate;

- Scarsa tossicità (conseguenza dell’inerzia chimica);

- Sorprendente immiscibilità con la quasi totalità dei comuni solventi organici, dovuta alla
apolarità;

Un aspetto importante è che è spesso possibile convertire un sistema bifasico in un sistema


omogeneo tramite la temperatura; infatti per ogni solvente perfluorurato è definito un certo
valore della T, detta T critica, per cui il solvente diventa miscibile con la sua controparte.

Va tuttavia specificato che, anche in sistemi bifasici, in ciascuna fase spesso esiste la
coesistenza (seppur minima) di entrambe le fasi.

Svantaggi:

- Sono costosi;

- La loro sintesi prevede largo consumo di solventi organici tradizionali e sostanze pericolose
(come HF).

Uso in catalisi dei solventi perfluorurati

Tipicamente nella fase fluorosa è disciolto il catalizzatore, mentre nella fase organica sono
disciolti reagenti e prodotti. Come detto, questi possono diventare un'unica fase ad alta T.

Un altro scenario prevede l’assenza della fase organica se il prodotto è un liquido immiscibile
con solvente perfluorurato.
Affinché il catalizzatore possa essere solubilizzato nel solvente fluorurato deve subire
opportune modifiche strutturali, ad esempio introducendo funzioni fluorocarburiche. In tal
caso, l'effetto elettronattrattore degli atomi di fluoro introdotti è disciplinato attraverso
l'aggiunta di "spaziatori isolanti" tra le catene e i centri reattivi, come unità -(CH2)n- o -SiR2-

E’ importante notare che una molecola diviene solubile in un solvente perfluorurato se il


contenuto percentuale in peso di atomi di fluoro supera il 60%!

La strategia sintetica prevede inizialmente l’introduzione della catena fluorocarburica, e


successivamente del prodotto ottenuto si ricava il sale di litio (ii), usato per arilare l'atomo di
fosforo di un fosfito (iii).

Per determinare l’effettiva possibilità di impiego è opportuno valutare il coefficiente di


ripartizione fra solventi perfluorurati e solventi organici; si indica con P il rapporto tra le
concentrazioni della molecola in esame nei due solventi scelti.
La tabella 7.4 ci dice che al crescere della lunghezza delle code fluorocarburiche aumenta il
coefficiente di ripartizione a favore della fase fluorurata; effetto opposto si ha ovviamente con
l’allungamento della catena spaziatrice.

Invece la tabella 7.5 ci dice che la massima solubilità si registra con un numero di
ramificazioni pari a 2 e non 3; questo per capire come questo tipo di ricerca sia insidiosa.

Nota: analogo perfluorurato della BINAP

Una prima applicazione ad un sistema catalitico bifasico fluorurato fu fatta usando il


complesso [RhCl{P(CH2CH2C6F13)3}] nella idroformilazione di alcheni:

L’attività catalitica è praticamente la stessa del corrispondente non


fluorurato [RhCl{P(C8H17)3}], ed un ordine di grandezza inferiore rispetto a quella del
catalizzatore di Wilkinson [RhCl(PPh3)3].

La fase catalitica fluorurata è stata riciclata 9 volte, con un TON di 35000 e una perdita
estremamente piccola di metallo.

Uno svantaggio è legato al fatto che è difficile controllare il rapporto tra aldeide lineare e
ramificata, per incrementarlo si utilizza un eccesso di fosfina fluorurata.

Questo sistema si è dimostrato efficace sia per olefine a catena corta che a catena lunga
(vantaggioso rispetto al classico catalizzatore di Wilkinson).
Sono stati anche fatti studi sull’idrogenazione di 1-alcheni, usando complessi del tipo
Wilkinson con le fosfine di tipo 88e (con z= 1 e x= 6 o 8) nel puro solvente fluorurato. Il
prodotto, l'ottano, è insolubile e quindi allontanabile per separazione di fase.

Dati meno incoraggianti si riferiscono alla perdita di legante, dovuta ad equilibri dissociativi.
Si riscontra anche una parziale miscibilità dei due solventi, che è stata risolta aggiungendo
più ramificazioni fluorurate (incremento del coefficiente di ripartizione, P).

Un’applicazione importante riguarda la catalisi di ossidazione, vista l'elevata solubilità


dell'ossigeno in tali solventi, e l'elevata stabilità del legame C-F rispetto proprio alla
ossidazione. In aggiunta molti prodotti sono polari e quindi facilmente separabili dalla fase
fluorurata.

Il complesso anionico di Ru(II) è risultato capace di ossidare alcheni ai corrispondenti epossidi


in ottime rese, ed in condizioni blande:

A 50°C il sistema è omogeneo, mentre a 0°C ha luogo lo smescolamento, utile per la


separazione di fase. La reazione è molto selettiva nei confronti di doppi legami interni.

Considerazioni generali sugli sviluppi dei sistemi fluorosi

Uno dei grandi limiti è costituito dal fatto che il legante deve avere il 60% in peso di atomi di
F per essere solubile in solventi perfluorurati; per questo è stata proposta un’alternativa alla
catalisi bifasica, definita come catalisi light fluorous.

sono state progettate e preparate colonne cromatografiche, contenenti silice funzionalizzata


con gruppi perfluoroalchilici:

Fase stazionaria

Questa catalisi è condotta in fase omogenea con un solvente tradizionale e un catalizzatore


fluorurato; al termine della reazione la miscela grezza viene caricata sulla colonna e viene
eluita con un solvente fluorofobico (es. metanolo/acqua). I prodotti sono quindi eluiti
istantaneamente. Una successiva eluizione con solvente fluorofilico (es. metanolo o acetone)
permette il recupero del catalizzatore.
Catalisi omogenea bifasica con anidride carbonica supercritica

L’anidride carbonica supercritica presenta grandi vantaggi:

- E’ tecnicamente accessibile, Tc=31°C, Pc=73atm;

- E’ abbondante e poco costosa;

- Non è infiammabile (rappresenta uno dei prodotti di combustione completa);

- E’ possibile modulare la sua densità variando T e P. Il potere solvente aumenta al crescere


della sua densità. Pertanto, una opportuna scelta di temperatura e pressione può consentire
di realizzare un sistema reagente perfettamente omogeneo. Al termine della reazione, una
lieve riduzione di pressione può modificare la densità del solvente al punto che alcuni
componenti si smescolino;

- Scioglie molto bene composti apolari (non presenta dipoli permanenti);

- I gas sono altamente miscibili in CO2sc, ciò è particolarmente utile per reazioni di
ossidazione;

- Le velocità di reazione risultano molto spesso accresciute a causa della ridotta capacità
solvatante della CO2sc, per cui le molecole di reagente sono poco stabilizzate.

Uso in catalisi dell’anidride carbonica supercritica

Possono essere implementati due approcci:

1. Il primo consiste nel realizzare la reazione in un sistema omogeneo; al termine della


reazione si riduce la pressione e questo determina la separazione fisica tra catalizzatore (che
precipita) e prodotti che sono allontanati insieme alla scCO2. A ciò segue una
depressuruzzazione che gassifica l’anidride carbonica, che è quindi reinviata insieme a
reagente fresco.
Un problema è la scarsissima solubilità dei catalizzatori metallici in anidride carbonica;
pertanto sono necessarie modifiche strutturali. Tipicamente si effettuano modifiche analoghe
a quelle adottate per i solventi perfluorurati.

Un’applicazione notevole riguarda l’idroformilazione di olefine a catena lunga, promossa da


catalizzatori a base di Rh(I) contenenti la fosfina P-Ph3-(CH2)2-CxF2x+1.

In questo caso l’attività risulta più elevata rispetto a quella dei solventi tradizionali
(TOF>=500 h-1).

Un altro esempio è l’idrogenazione di immine ad ammine, mediante un catalizzatore cationico


a base di Iridio. La solubilità del catalizzatore in anidride carbonica supercritica è stata
favorita dalla presenza di un controione del complesso metallico:

controione

Spesso solo attraverso esperimenti mirati si riesce a stabilire in quali condizioni operative
esso è omogeneo o eterogeneo, e quali modifiche privilegiano l'una o l'altra situazione.

2. Sistema bifasico. Formato da un solvente liquido e da anidride carbonica supercritica.


Tipicamente, nel solvente liquido è sciolto il catalizzatore, mentre l’anidride carbonica
contiene reagenti (prima) e prodotti (dopo).

Il sistema è vigorosamente agitato; a conversione avvenuta (b), la fase supercritica è


allontanata con i prodotti, i quali sono recuperati dopo una depressurizzazione, che gassifica
l’anidride carbonica. Infine, quest’ultima viene reinviata al reattore.

I solventi liquidi da usare devono essere scarsamente miscibili con scCO2, quindi polari; un
tipico accoppiamento può essere con i liquidi ionici o con l’acqua.

- scCO2 con liquidi ionici.

La scCO2 tuttavia risulta invece piuttosto solubile nei liquidi ionici, ma ciò non rappresenta un
problema.

Inoltre, molti prodotti organici apolari sono selettivamente estratti nella fase supercritica, e
questo avvantaggia la resa effettiva della reazione.

In aggiunta, la maggior parte dei catalizzatori solubili nei liquidi ionici, non lo sono affatto in
anidride carbonica supercritica; dunque il catalizzatore può essere convenientemente riciclato.

Tra le applicazioni vi è l’idroformilazione di alcheni a catena media (esene-dodecene), che è


stata ottimizzata a livelli ormai competitivi con i classici processi commerciali.
I migliori risultati sono stati ottenuti con un catalizzatore a base di Rh, contenente la fosfina
anionica monosolfonata accompagnata da un catione imidazolico:

Questa scelta consente ampia solubilità nei liquidi ionici basati sull’imidazolio.

L’aumento della pendenza della retta dell’ottile è imputabile alla maggiore affinità del
dodecene (molto apolare) per la catena ottilica, rispetto a quella butilica.

- scCO2 con acqua.

La solubilità dell’acqua e dell’anidride carbonica non è molto elevata, in particolare l’acqua


mostra minore solubilità in anidride carbonica: infatti, la sua frazione molare non supera
l’1%. Tuttavia, questo aspetto non può essere trascurato perché la presenza dell’acqua
modifica sensibilmente le proprietà solventi dell’anidride carbonica a causa dei legami a H, e
questo rende la scCO2 più polare, rendendo più difficile una successiva purificazione.

Un altro inconveniente è la presenza di equilibri del tipo:

Per questo è richiesto l’uso di tamponi, qualora fosse richiesto uno specifico pH.

Un miglior contatto fra le due fasi si ottiene aggiungendo tensioattivi (che in genere sono sali
di ammonio di polimeri perfluoropolieterei con gruppi carbossilato). Vediamo come esempio i
risultati riguardanti l’idrogenazione dello stirene:

Nota: con e senza tensioattivo

Il vantaggio è che una semplice riduzione di pressione rompe l’emulsione, permettendo di


riciclare più volte il catalizzatore.
Catalisi inversa con scCO2

Le fasi coinvolte sono le stesse (acqua e scCO2) ma hanno ruoli opposti. Quindi il
catalizzatore è sciolto nel solvente supercritico mentre reagenti e prodotti sono in acqua.

Questo offre la possibilità di convertire substrati molto polari, ad esempio composti


biologicamente attivi e di chimica fine. La parziale contaminazione della fase acquosa della
fase acquosa da parte dell’anidride carbonica non rappresenta un problema né dal punto di
vista ambientale né per quanto riguarda la purificazione dei prodotti. Infine, siccome
l’allontanamento dei prodotti dal reattore avviene con la fase acquosa, non è necessario il
dispendioso stadio di de-pressurizzazione/ri-pressurizzazione dell’anidride carbonica.

Catalisi omogenea con catalizzatori legati a polimeri solubili

La separazione dei prodotti dal catalizzatore sfrutta le dimensioni del polimero-catalizzatore, il


quale può essere allontanato attraverso tecniche di ultrafiltrazione.

I polimeri possono essere lineari e ramificati.

Polimeri lineari:

Questi possono essere dotati di appropriati gruppi coordinanti, L, o solo alle estremità o
distribuiti lungo la catena (105); in tal caso si possono legare più unità metalliche per catena.

Modalità di sintesi: prevede l’uso di un monomero contenente già una funzione coordinante;
es. polimerizzazione della 4-vinilpiridina:

Spesso l’aggiunta di tali funzioni è realizzata solo dopo la sintesi del polimero (es. polistirene
funzionalizzato per trattamento con CH2O e HCl, e successivo scambio con il sale di litio del
legante):
Polimeri ramificati:

Tipicamente sono dendrimeri (da dendron, albero), che sono macromolecole altamente
ramificate nelle quali si può sempre riconoscere un core centrale, unità ramificanti e gruppi di
superficie.

Il livello di accrescimento è definito generazione, G. Ad esempio il PAMAM


(PoliAMmidoAMmina), di cui sono riportate le generazioni 0, 1 e 2.
La sintesi può essere divergente (se parte dal core e va verso la periferia) o convergente (se
segue la direzione opposta); in ogni caso è molto delicata e prevede attenti stadi di
purificazione.

Uso in catalisi dei catalizzatori legati a polimeri solubili

Non risultano sostanziali differenze tra le prestazioni dei catalizzatori tradizionali e quella dei
corrispondenti catalizzatori legati a polimeri solubili. Nonostante ciò, questi sistemi non hanno
ancora avuto molti utilizzi dal punto di vista industriale.

Le separazioni su membrane prendono il nome, rispettivamente, di osmosi inversa (0.1-1


nm), nanofiltrazione (0.5-10 nm), ultrafiltrazione (1-100 nm) e microfiltrazione (0.1-10 m).
L’ultrafiltrazione, su larga scala, a pressioni massime di 30-40 atm si applica bene nella
separazione dei catalizzatori finora descritti.

Un parametro delle membrane da considerare è il MWCO (Molecular Weight Cut Off), che
indica il peso molecolare di un composto trattenuto dalla membrana per il 90%, in un singolo
stadio di filtraizone. Tuttavia, ciò è solo indicativo, poiché bisogna considerare anche aspetti
conformazionali.

Un ulteriore problema è la ridotta resistenza ai solventi delle membrane; ovviamente le


membrane inorganiche danno maggiori garanzie.

Esempio: idroformilazione di alcheni con un polimeri lineare, analogo polimerico del


catalizzatore di Wilkinson:

In particolare è stata effettuata l’idroformilazione dell’1-pentene a n-esanale e 2-


metilpentanale (miscela di prodotti attesa), in toluene.

Dopo la filtrazione il catalizzatore è stato in grado di avviare nuovi cicli catalitici.


Catalisi omogenea supportata

Consiste nell’ancorare a supporti solidi catalizzatori omogenei tradizionali.

Quindi permette di conservare le stesse prestazioni di una catalisi omogenea tradizionale,


aggiungendo però i vantaggi di una facilità di recupero del catalizzatore attraverso semplice
filtrazione.

Catalizzatori omogenei supportati

L'ancoraggio è realizzabile attraverso diversi modi:


a) legando il complesso alla superficie di un ossido inorganico o di un polimero
organico attraverso un legame tra il solido ed uno (o più) legante(i) in posizione
distante rispetto all'atomo donatore legato al centro metallico.

I supporti solidi devono presentare inerzia chimica, scarsa acidità, buona stabilità, elevata
area superficiale, e possedere gruppi utili per realizzare l’ancoraggio. Sono provilegiate la
silice, l'allumina e le zeoliti, dato che la presenza di gruppi –OH rende possibile l’uso di
pendagli bifunzionali X---L’, tali che il gruppo X reagisca con gli OH:

Tipiche reazioni con ancoraggio:

La reazione di coordinazione è un semplice scambio di leganti. La catena alchilica consente


mobilità e una parziale riduzione dell’ingombro sterico.

Un secondo metodo prevede la preparazione preliminare di un complesso, successivamente


ancorato alla superficie solida. Questo approccio è particolarmente indicato solo qualora il
primo non sia applicabile, perché spesso i complessi di tipo (X-----L')MLn-1 sono di difficile
purificazione.

Supporti alternativi alla silice possono essere costituiti da polimeri organici modificati, ad
esempio la copolimerizzazione della 2-vinilpiridina con l’acetato di vinile:
Le prestazioni si sono rivelate allo stesso livello della controparte omogenea (talvolta
migliori), anche se in quasi tutti i casi si è verificata perdita di metallo. Ciò ovviamente rende
impossibile il recupero del catalizzatore, pertanto l’unico processo industriale significativo è il
processo ACETICA, che utilizzando un polimero a base di vinilpiridina garantisce una perdita
di Rh trascurabile.

b) incapsulando il catalizzatore nelle cavità di un solido organico od inorganico


poroso.

L’obiettivo è quello di aumentare la stabilità del complesso (matrice-catalizzatore).

Inoltre, la presenza di specifiche cavità può consentire di controllare la selettività della


reazione. L’incapsulamento può avvenire mediante 3 strategie:

- Incapsulamento. Prevede l’introduzione del metallo nei pori di una matrice solida,
tipicamente zeoliti, mediante scambio cationico. Successivamente sono aggiunti i leganti,
tipicamente CO, fosfine e anche salen.

Il legante 120 presenta una flessibilità tale da entrare nei pori presenti nella zeolite, mentre il
dicianobenzene 121 ha dimensioni tali da potervi accedere senza difficoltà.

Il complesso rimane intrappolato come una nave nella sua bottiglia.

Reazioni di idrogenazione o ossidazione di alcheni sono state condotte, e si è osservata un


elevata selettività a causa dell’effetto sterico, sebbene questo sia spesso accompagnato da
una ridotta attività dovuta alla difficoltà di accesso dei reagenti.

- Intercalazione.
Consiste nell’introdurre il complesso metallico mediante scambio ionico tra gli strati elastici di
un adatto silicato, tipicamente complessi di Rh sono stati intercalati con successo. In seguito
all’introduzione del complesso di verifica l’allontanamento degli strati.

Nell’idrogenazione degli alcheni si registrano differenze rispetto alla catalisi omogena


tradizionale, infatti entrano in gioco motivi sterici importanti. In particolare il sistema silicato-
Rh risulta molto più selettivo di quello omogeneo, favorendo di gran lunga l’idrogenazione di
olefine terminali.

Studi hanno dimostrato che il complesso attivo di Rh(III) presenta le due fosfine in trans, e
l’asse definito P-Rh-P è parallelo agli strati:

Per l’1-esene risulta più agevole adeguarsi a queste precise regole geometriche rispetto al
cis-2-esene.

Si noti che la distanza tra gli strati può essere ampiamente modulata variando il solvente.

- Intrappolamento. Prevede l’uso del complesso quale reagente nella formazione della fase
solida, in questo modo è possibile distribuire il catalizzatore all’interno del solido attraverso il
controllo della porosità, così da consentire un agevole accesso dei reagenti. Esempio:

Questi sistemi dimostrano attività paragonabile a quella esibita in fase omogenea, e stabilità
molto elevata.
c) immobilizzando il catalizzatore omogeneo in un film di solvente (non volatile o
idrofilo) depositato su un solido, mentre reagenti e prodotti sono o in fase gassosa
o in un secondo solvente non miscibile con il primo.

Questi sistemi prendono anche il nome di catalizzatori in fase liquida supportata (SLPC da
supported liquid phase catalysts).

Il metodo trae ispirazione dalla GLC; e consiste nello sciogliere il catalizzatore metallico in
un film di solvente non volatile "spalmato" su un solido inorganico poroso ad elevata area
superficiale, mentre i prodotti sono in un’altra fase.

E’ tecnicamente possibile usare due fasi liquide. Tipicamente, il catalizzatore è disciolto in una
pellicola di solvente idrofilo (acqua, glicerina, glicole etilenico) e dotato di gruppi -OH, capace
quindi di aderire intimamente al solido (ad esempio silice porosa), attraverso legami ad
idrogeno con i gruppi -OH superficiali.

Qualora il solvente sia acqua, la tecnica prende il nome di catalisi in fase acquosa supportata
(SAPC). In questo caso il catalizzatore deve essere reso idrosolubile.

L’altra fase è costituita da un solvente organico in cui sono sciolti reagenti e prodotti. La
reazione catalitica avviene all’interfase.

E’ stata studiata l’idroformilazione di alcheni con film d’acqua e una seconda fase organica
costituita dallo stesso alchene da idroformilare.

L'attività è ovviamente maggiore nel sistema catalitico omogeneo nel solvente tradizionale
esano. Tuttavia, in quest'ultimo è proibitiva la successiva separazione del prodotto dal
catalizzatore. E' interessante però notare come i valori di TOF nel sistema SAPC non sono
molto inferiori, mentre, come detto, le prestazioni in acqua sono deludenti.

La fase organica è stata separata dal solido per semplice filtrazione, e non conteneva quantità
apprezzabili di catalizzatore (meno di 1 ppb). L’analisi del solido ha rivelato come la fase
acquosa fosse ancora perfettamente aderente alla silice, e ciò e indice di stabilità del sistema
catalitico. E’ interessante, infine, notare che l’attività del catalizzatore dipende dalla quantità
di acqua: un maggior contenuto d’acqua facilita la mobilità del catalizzatore metallico,
raggiunto l’optimum, un ulteriore aumento ostacolerebbe l’accesso dei reagenti nei pori.
Microonde

Le microonde si trovano tra la regione IR e quella delle onde radio (lunghezza d’onda
compresa tra 1mm e 1m) e frequenza di 0.3-300 GHz.

Prendiamo acqua e diossano: se irradiate con microonde la temperatura dell'acqua avrà


subito un incremento notevole, mentre quella del diossano sarà quasi inalterata.

Le microonde presentano una componente magnetica e una elettrica, quest’ultima


responsabile del riscaldamento attraverso due meccanismi: polarizzazione dipolare e
conduzione.

Polarizzazione dipolare

E’ attivo per molecole dotate di momento dipolare. Un campo elettrico metterà in rotazione
tali molecole, che tenderanno ad allineare il proprio dipolo con il campo. A basse frequenze
tutte le molecole riescono ruotare in fase con il campo elettrico esterno, quindi il
riscaldamento sarà scarso. Invece, se la frequenza è alta non hanno il tempo sufficiente per
rispondere alla sollecitazione e rimangono ferme.

Se la frequenza ha un valore intermedio, le molecole riescono a ruotare, ma non sono capaci


di essere in fase col campo elettrico. Infatti, non appena il dipolo si orienta con il campo,
quest’ultimo ha già cambiato direzione, in tal modo si crea una continua differenza di fase che
genera una rotazione irregolare e un conseguente attrito che determina aumento di T.

Conduzione

Prendiamo ad es. acqua distillata e acqua di rubinetto: nella seconda il movimento degli ioni
indotto dal campo determinerà urti aggiuntivi, e il riscaldamento subito sarà maggiore.

Si noti che sostanze con costanti dielettriche molto simili (es. acetone ed etanolo) possono far
registrare aumenti di T molto diversi. Quindi, sebbene essi abbiano la stessa capacità di
immagazzinare energia, i due solventi presentano diversa abilità nel trasformarla in calore.

È molto importante distinguere tra la situazione in cui l'intervento delle microonde produce
un semplice effetto termico, e quella in cui si abbia un risultato dovuto propriamente alla loro
presenza. Si parla di effetto specifico delle microonde qualora l’esito di una reazione sia
diverso rispetto a quello sotto riscaldamento classico.

In generale questo effetto si riflette in un aumento della velocità di reazione; considerando


l’equazione di Arrhenious, dove A è il fattore di frequenza, alcuni autori sostengono che le
microonde alterino il valore di A.

In molti altri casi l’effetto delle microonde non è specifico, ma è dovuto al rapidissimo
aumento di temperatura del sistema, ad esempio il repentino aumento di
temperatura può cambiare la selettività di una reazione, rendendo più competitiva quella a
cui compete una maggiore energia di attivazione.

Il problema può essere quello di non riuscire ad avere un controllo ottimale, per cui sono stati
sviluppati sistemi con accorgimenti tecnici più adatti. In generale la tecnologia basata sulle
microonde presenta numerosi vantaggi:

- Consente di ridurre il consumo energetico;

- L’energia può essere introdotta a distanza e avviata o interrotta rapidamente agendo


sull’interruttore;

- In molti casi aumenta la selettività;

- Si applica bene a solventi ecocompatibili come l’acqua o liquidi ionici.


Gli ultrasuoni

La sonochimica sfrutta frequenze inferiori a 20-40 kHz e potenze maggiori (rispetto a quella
diagnostica), questo interferisce con la chimica e la fisica dell’oggetto stimolato.

Comuni campi di applicazione:

Quando un’onda sonora attraversa un liquido si ha il


fenomeno della cavitazione: si generano onde di
pressione e depressione, la cui energia può superare le
forze attrattive intermolecolari, consentendo così la
formazione di bolle in una prima fase. Nella seconda
fase l'enorme pressione comprime le stesse bollicine,
fino a farle implodere con conseguente rilascio di
energia. Il collasso genera temperature e pressioni
locali elevatissime, rispettivamente fino a 5000°C e
1000 atm.

L’elevata energia consente aumentare la velocità di reazione. Purtroppo tuttavia non è stato
ancora sviluppato un adeguato modello interpretativo: in molti processi eterogenei l’uso degli
ultrasuoni ha lo stesso effetto, puramente fisico, di quello di un agitatore meccanico.

Si può parlare di effetto chimico qualora uno stadio della reazione sia sensibile alla
sonicazione. In queste condizioni può esservi beneficio per l’ambiente.

Nell’ambito della catalisi omogenea, l'effetto chimico degli ultrasuoni consiste spesso nel
promuovere trasferimento di elettroni e/o rottura di legami metallo-leganti con produzione di
specie coordinativamente insature e quindi più reattive.

Si precisa che esistono 3 modi per introdurre ultrasuoni in un sistema reagente:

- uso di reattori immersi in un bagno di liquido sottoposto a sonicazione;


- uso di una sorgente di ultrasuoni immersa direttamente nel sistema reagente;
- uso di un reattore con parenti vibranti.

I sistemi più usati sono quelli di tipo 1. Si preferisce immergere un pallone di vetro nel bagno
di sonicazione, e ciò consente di adoperare la vetreria normalmente usata in laboratorio, e
quindi anche quella adatta a reazioni in atmosfera controllata o sotto pressione. Il pallone è
generalmente posizionato nel punto in cui la soluzione risulta maggiormente disturbata.

La quantità di energia è bassa (normalmente compresa tra 1 e 5 Wcm-2). Normalmente il


liquido usato nel bagno è acqua con tensioattivi, il che pone un limite massimo di 100°C alla
temperatura di esercizio.

Le sorgenti immesse direttamente nel sistema reagente si usano qualora si desideri introdurre
maggiore energia nel sistema reagente, tramite una sonda o punta vibrante (in questo caso si
introduce una potenza di centinaia di Wcm-2).

Uno svantaggio è che in questo caso bisogna usare vetreria


specifica, soprattutto qualora si debba lavorare sotto pressione
o in atmosfera controllata.

Molti sistemi moderni consentono anche di introdurre gli


ultrasuoni in modo discontinuo, tramite impulsi di frazioni di
secondi, ciò rende più omogenea la temperatura del sistema.

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