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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

La Ricerca della felicità


Gli Stadi della Meditazione

Lama Geshe Gedun Tharchin

A cura di Geshe Gedun Tharchin e dell’Istituto LamRim di Roma


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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Indice
_____________________________________________________________________________________

Nota dell’Autore ___________________________________________________________ 5


Parte prima _______________________________________________________________ 7
1. Introduzione ______________________________________________________________ 7
2. Motivazione______________________________________________________________ 10
3. La radice di tutto il Dharma ________________________________________________ 15
Parte Seconda ____________________________________________________________ 19
4. Mente e meditazione ______________________________________________________ 19
5. La Bodhicitta ____________________________________________________________ 24
6. Lo Jong – Trasformazione della Mente _______________________________________ 25
7. Gli Otto Versi della Trasformazione della Mente _______________________________ 29
Parte Terza_______________________________________________________________ 30
8. L’Amore cristiano - la Compassione buddista. _________________________________ 30
9. Gli otto dharma mondani __________________________________________________ 35
10. La radice del samsara - visione illusoria ______________________________________ 38
Conclusioni ______________________________________________________________ 41
Biografia dell’Autore_______________________________________________________ 42

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Nota dell’Autore

Nel buddhismo si dice che per vivere una vita autentica e in buona salute sia
essenziale coltivare la pratica quotidiana della meditazione. Seguendo questa via renderemo
noi stessi più calmi, tranquilli, sereni trasformandoci in persone felici e, di conseguenza, in
migliori membri della società. In tibetano ci sono due termini “rang don” e “shen don”
tradotti rispettivamente in “scopo per se stessi” e “scopo per gli altri”.
Per poter essere di beneficio al mondo dobbiamo prima aver cura ed essere di
beneficio a noi stessi. Nella pratica del Dharma questa è la motivazione corretta ed è la base
della meditazione.
In tibetano il termine meditazione è “gom” che letteralmente significa familiarizzare
la mente con un concetto, con l’apparenza dell’essere, con un tema. In questo contesto
significa familiarizzare la propria mente con l’essenza spirituale integrandola nel fluire della
coscienza.
Il Maestro Kamalashila (VIII° secolo) ha elaborato la quintessenza della meditazione
nel manuale “Gli Stadi della Meditazione”. In esso descrive la natura della mente e come
realizzare, penetrando nella realtà, la calma duratura, la perfetta chiarezza e la stabilità.
L’insegnamento di Dharma è stato dato durante il weekend del 17 – 18 dicembre 2005
al “Centro Milarepa” che ha sede ad Avigliana (Torino); è stato tradotto dall’inglese in
italiano da Sandra Craighead, registrato su CD e poi trascritto dall’amica di Dharma Renata
Simonotti e ringrazio per questo tutti gli amici del Centro Milarepa. Ho riletto personalmente
con molta attenzione il testo apportandovi alcune modifiche e una suddivisione in capitoli,
così come sono indicati nell’indice.
Che questo lavoro possa essere di beneficio ad un numero illimitato di esseri senzienti,
nutrimento nell’essenza del Dharma, apportatore di pace e tranquillità.

Lama Geshe Gedun Tharchin

Roma, 30 marzo 2006

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Parte prima

1. Introduzione
Mi sento sempre a mio agio al Centro Milarepa, perché è molto simile ad un’abitazione
tibetana, così piena di immagini, di tanka e quest’atmosfera mi ricorda il tempo in cui ero a
casa con i miei genitori.
Nell’antica tradizione e cultura tibetana la casa è come un tempio e trasformare la propria casa
in un tempio corrisponde a trasformare se stesso in meditante, in yogi e così deve essere
condotta la propria vita. Purtroppo però la società attuale ne ha perso lo spirito; ho visitato
famiglie tibetane che avevano messo l’altare nel corridoio, mentre la stanza più bella della
casa era stata adibita a camera da letto, ma ciò sarebbe stato assolutamente impensabile
nell’antico Tibet e indica che si è perduto lo spirito del Dharma, il senso profondo della vita
umana, ci si è trasformati in una parte dell’ingranaggio meccanico. La società moderna, con la
delega tecnologica, tende a trasformare gli esseri umani in parti di una grande macchina, ed è
un atteggiamento estremamente pericoloso tanto che in Giappone, paese altamente
tecnologico, si verifica il maggior numero di suicidi del mondo.
Dov’è dunque la presenza della saggezza? Nella cultura antica o nella tecnologia
moderna?
C’è maggior pace e tranquillità mentale nella cultura antica, o nella società moderna?
La risposta è inequivocabile. Nel mondo antico le persone vivevano semplicemente, con rari
beni essenziali, ma possedevano la saggezza; oggi tutti lavorano con il computer, hanno
un’infinità di cose, ma hanno perduto la saggezza, sono perennemente stressati e infelici.
Il Centro Milarepa rappresenta un po’ la cultura antica all’interno della società moderna, è
necessario però essere sempre vigili, non perdere mai di vista il valore dell’umanità, pur
nell’ambito tecnologico più sofisticato, bisogna preservare e integrare entrambe le situazioni.
Non vogliamo contrapporci alla modernizzazione e alla tecnologia, che hanno in sé grandi
potenzialità, ma siamo contrari alla disumanizzazione, alla perdita dei valori spirituali.
Dobbiamo saper conservare l’antica cultura all’interno del mondo tecnologico, realizzando
così una proficua azione di integrazione, collaborazione, cooperazione, organizzazione e
associazione.
Cosa significa associazione? Ce ne sono tantissime, ma qual è il senso di questo termine? E’
l’insieme di cooperazione, collaborazione, armonia e integrazione. L’unione di tutte queste
particolarità costituisce l’armonizzazione di ogni aspetto della vita, senza conflitti. Queste
sono le basi della meditazione.
Avendo posto le fondamenta in così solida visione meditativa è importante poter utilizzare ciò
che offre la tecnologia moderna, anche il computer di ultima generazione. Oggi non si può
prescindere dall’alto sviluppo tecnologico e la meditazione deve procedere di pari passo
all’interno di esso e, più diventerete persone tecnologicamente avanzate, più avrete la
possibilità di essere meditatori di alto livello, questo è il futuro.
Da cosa dipende il futuro del mondo? Dall’unione, dall’incontro della tecnologia, della
scienza, con la meditazione.
Quando i più illustri scienziati si trasformeranno in grandi meditatori anche il mondo diverrà
un luogo di vera pace, e, finalmente, le elevate conoscenze scientifiche non saranno più
utilizzate per la costruzione di armi micidiali.

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Oggi sul pianeta esiste un evidente conflitto tra coloro che ricercano la pace, la tranquillità
della mente, la serenità e coloro che vogliono distruggere ogni armonia. Non cercate di
sfuggire a questa situazione, non pensate che il rifugio in una grotta sull’Himalaya possa
isolarvi dal mondo, anche l’Himalaya non ha più luoghi solitari e potrebbe essere chiamata
“computerlaya”. Non lasciatevi fuorviare dall’illusione, oggi la pace e la serenità potranno
nascere solo dall’integrazione di questi due elementi, la saggezza del passato e la tecnologia
moderna, la scienza.
Dunque, un futuro mondo armonioso e pacifico si realizzerà quando i più importanti scienziati
diverranno anche buoni meditatori, al momento però i tempi non sono maturi e, se pur si
inizia ad intravedere qualche inversione di tendenza in alcuni scienziati che si stanno
interrogando circa la possibilità di integrazione dei due mondi, per molti di loro è difficile
accettare l’aspetto spirituale della realtà, così come per le persone spirituali è difficile
accettare le scoperte scientifiche tendenti ad una spiegazione solo razionale e materialistica.
Perché è assolutamente fondamentale oggi tenere unite queste due realtà?
Se ci si allontana dalla situazione sociale in cui si è inseriti, rifugiandosi esclusivamente nella
lettura degli importantissimi testi di antichi maestri, si perde la visione della vita quotidiana,
degli aspetti fondamentali che la compongono, e questo rende assolutamente impossibile ogni
meditazione, perché ci si ritrova in una situazione di totale dissociazione.
E’ dunque importante non scindere mai questi due aspetti fondamentali nell’esistenza umana;
è indispensabile utilizzare le tecnologie, quanto la scienza offre e, contemporaneamente,
ricordare gli insegnamenti dei saggi e cercare i luoghi più adatti alla spiritualità e alla
meditazione.
La capacità di integrazione di tutti gli aspetti dell’esistenza comporta che non si assuma mai
l’atteggiamento dell’essere “contro”, ma sempre quello dell’essere “con”. Se si pensa di
poter meditare avendo un atteggiamento di negazione verso qualcosa, si otterrà solo un
implemento della sofferenza, già insita in tale chiusura mentale.
Se invece si lascia andare il “contro” la meditazione progredirà poco alla volta e avverrà
sempre più naturalmente l’accoglimento della realtà in tutti i suoi aspetti, si avrà un cuore
aperto, una maggior sensibilità e una pacifica armonia in sé. Questa è la pratica del Dharma.
La pratica del Dharma non è legata ad una determinata cultura e tradizione, è connessa al
proprio modo di essere, all’individualità di ognuno; il mio modo di praticare il Dharma sarà
diverso dal tuo, che sarà diverso dal suo, e da quello di tutti gli altri, noi pratichiamo insieme,
ma ognuno secondo le proprie caratteristiche personali. E’ come essere invitati ad un buffet,
ci sono molti tipi di pietanze, a disposizione di tutti e ognuno si serve secondo le proprie
necessità e preferenze. Il Dharma è cibo, nutrimento per la mente, dunque bisogna praticarlo
con la stessa modalità. Vi piacerebbero gli spaghetti tutti i giorni? Se ad esempio cucinaste un
buon piatto di spaghetti al dente e lo offriste ai tibetani, lo troverebbero orribile, non cotto, per
il loro gusto il volume deve aumentare di almeno dieci volte; quindi la bontà del piatto, non
dipende dagli spaghetti, ma da come sono cucinati. Rimanendo nella metafora, se non sapete
cucinare, anche il vostro Dharma si guasterà. Se vi dessi un pacco di spaghetti identico
chiedendovi di cucinarlo nella vostra casa secondo il vostro gusto, i risultati sarebbero tutti
differenti. Altrettanto succede con il Dharma, quando io cerco di insegnarlo dico a tutti le
stesse cose, ma ciò non significa che voi dobbiate applicarlo esattamente allo stesso modo,
come se fosse una perfetta fotocopia, se fate così sarete nei guai.
Negli incontri di Dharma esiste l’effettivo pericolo che le persone ritengano erroneamente più
semplice eseguire le istruzioni copiandole rigidamente, trasformando la meditazione in una
fotocopia: “il lama agisce secondo questo schema, allora anch’io farò esattamente allo stesso
modo così potrò diventare a mia volta un maestro qualificato velocemente”, ma nulla è più

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sbagliato! Voi dovete comprendere l’essenza profonda dell’insegnamento e applicarlo di


conseguenza secondo le vostre necessità.
Si pratica insieme, ma ognuno a livello personale, non c’è conflitto, è il significato di
associazione, l’incontro di particolarità diverse, perché se non ci fossero differenze non
potrebbe esserci associazione alcuna. Con l’apporto di ogni qualità individuale si genera un
valore aggiunto alla pratica e si compone il sangha.
Coloro che invece ritengono più sicura la “pratica da fotocopia”, non vedendo nessun
risultato, pensano che la colpa sia della fotocopiatrice, (che in realtà non dovrebbe nemmeno
esistere). Prima dell’invenzione delle fotocopiatrici si utilizzava la carta carbone e si potevano
al massimo battere tre copie, pure sbavate, poi tutto è diventato facilissimo e allora qualcuno
ha pensato che sia altrettanto semplice fotocopiare la pratica del Dharma, ma questo è
impossibile, perché la pratica del Dharma è la pratica della saggezza; una fotocopia non
richiede nessuna elaborazione mentale, mentre la meditazione, il Dharma, implica saper
pensare, praticare la saggezza.
Ognuno ha livelli diversi di saggezza, di conseguenza ognuno deve avere livelli diversi di
pratica.
Queste sono informazioni di carattere generale, necessarie ad una visione ampia e chiara del
significato della pratica, perché se ci si butta in essa senza una panoramica d’insieme, si
potranno avere seri problemi. Le persone incapaci di tale analisi, anche se meditano molto,
non potranno che peggiorare la loro confusione sino a sentirsi impazzire.
Non viviamo nell’epoca remota in cui vi era più saggezza, oggi ci affanniamo nel caos, con
l’acceleratore al massimo e se, nel tentativo di rilassarci, afferriamo la pratica con la mente
chiusa aggraveremo ogni problema.
Praticare il Dharma non è chiudere la propria mente, ma aprirla. Nell’apertura mentale si
accoglie la realtà così com’è, senza opporvisi e si diventa sempre più armonici, pacificati e
felici. I problemi, la sofferenza, nascono invece dai conflitti, dalla chiusura della mente. La
meditazione può essere vista come una tecnica per aprire il proprio cuore.
Gli occidentali hanno una mentalità più aperta dei tibetani e può apparire contraddittorio che
questi ultimi, che appartengono ad una società tra le meno civilizzate, possano insegnare agli
italiani, un popolo davvero intelligente e geniale che vanta personaggi come Leonardo da
Vinci. Com’è possibile che ciò avvenga? È un conflitto, quindi voi dovreste prendere per
buono solo il 5% di quello che dico e il 95% rimandatelo indietro, se prendete tutto allora
l’Italia diventerà come il Tibet. Per me è estremamente difficile insegnare agli italiani.
L’altro giorno ho letto sul notiziario di Dharamsala che il Dalai Lama ha detto che il
buddhismo è l’unica cosa che noi tibetani abbiamo. E’ una realtà bella, ma anche molto triste,
perché la maggior parte dei tibetani non ha più nemmeno il buddhismo, oggi lo si sta
perdendo, e allora che cosa ci rimane? E’ una situazione critica e non è facile per noi tibetani
insegnare ad una società civilizzata. In futuro, chissà, forse saranno gli italiani che si
sposteranno in Tibet per spiegare il buddhismo.
Se un italiano integrasse pienamente la conoscenza del buddhismo così da poterla insegnare,
porterebbe in sé i due aspetti positivi, quello spirituale e la conoscenza scientifica -
tecnologica, però è anche difficile che gli italiani possano diventare maestri buddhisti, non è
così facile.

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2. Motivazione
Ora possiamo affrontare la pratica vera e propria e, per generare la corretta motivazione,
recitiamo insieme per tre volte la preghiera del Rifugio e delle Quattro Aspirazioni
Incommensurabili:
Presa di Rifugio e Generazione della Motivazione del Risveglio
Nel Buddha, nel Dharma e nella Sublime Assemblea
Prendo rifugio fino al Risveglio
Per i meriti ottenuti con la pratica della generosità e delle altre virtù
Possa io realizzare lo stato di Buddha per il bene di tutti gli esseri.

Le quattro Aspirazioni Incommensurabili


Possano tutti gli esseri possedere la felicità e la causa della felicità!
Possano tutti gli esseri essere separati dalla sofferenza e dalle cause della sofferenza!
Possano tutti gli esseri mai lasciare la Santa Felicità, priva di ogni sofferenza!
Possano tutti gli esseri risiedere nella Grande Equanimità, priva di ogni inclinazione e di
ogni avversione parziale!

Questo è il modo per stabilizzare la motivazione, prendere rifugio nei tre gioielli e generare la
mente di bodhicitta.
Prendere rifugio nei tre gioielli è come affermare il nostro obiettivo, il sentiero che seguiremo.
“Prendere rifugio in Buddha”, quanti Buddha ci sono?
Michele: Infiniti
Lama: Si, anche questo va bene, ma c’è un punto importante, due aspetti fondamentali del
Buddha, quali sono?
Francesco: La nostra mente di Buddha
Ci stiamo avvicinando, i due aspetti del Buddha sono:
• il primo è il protettore che ci assiste nel momento della pratica;
• il secondo è il protettore di ciò che noi siamo in relazione all’obiettivo che dobbiamo
raggiungere, è il futuro della nostra stessa mente.
Quando prendiamo rifugio nel Buddha è come prendere rifugio in un Buddha esterno che ci
faccia da guida verso l’illuminazione.
Prendere rifugio non è chiedere di essere protetti da un eventuale incidente stradale, da danni
alla nostra casa, o dalla bancarotta, non è un portafortuna!
A volte le persone fraintendono, soprattutto nei paesi in cui il buddhismo è più diffuso, e
considerano il Buddha come talismano dimenticando completamente il vero senso della
pratica. Dunque, gli occidentali che guardano a questi buddhisti e ne diventano la fotocopia,
perdono completamente l’essenza del buddhismo, il vero significato della pratica.
Penso che il Dharma non sia legato ai soli paesi buddhisti, India, Tibet, ma rappresenti un
valore universale, per tutta l’umanità, e la pratica del Dharma è prima di tutto non considerare
il Buddha come amuleto, ma avere consapevolezza della profonda implicazione in noi e di ciò
che significa prendere rifugio. La non comprensione del suo reale significato vanifica il senso
di ogni pratica.
Il primo livello è “Prendere Rifugio nel Buddha” come guida verso l’illuminazione. Solo un
Buddha è in grado di condurci all’illuminazione perché ne ha già vissuta l’esperienza.
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L’obiettivo finale non è solo il percorso con la guida del Buddha verso l’illuminazione, ma è
ritrovare in noi stessi il Buddha personale perché, come diceva Francesco, la nostra mente ha
la capacità di raggiungere lo stato dell’illuminazione, può trasformarsi nella mente illuminata.
Quindi, prendere rifugio in Buddha è avere il Buddha come nostro futuro, ultimo protettore.
Queste sono le due ragioni per cui pratichiamo il Dharma.
La seconda affermazione “Prendere Rifugio nel Dharma”, è la cura del sentiero che
conduce verso lo stato dell’illuminazione. La pratica che cerchiammo di imparare è il Dharma
che si fonda nel prendere rifugio nel Buddha.
Prendere rifugio nel Buddha non è legato ad una particolare ideologia o filosofia è prendere
rifugio nella natura umana, riconoscerne lo stretto legame esistente.
Infine “Prendere Rifugio nel Sangha”; quando si intraprendere un viaggio è bene essere
accompagnati da persone di fiducia così da poter confrontare eventuali problemi o incertezze,
e, rassicurati, condividerne tutti gli aspetti. Nel nostro viaggio verso l’illuminazione è dunque
importante avere leali compagni, il Sangha.
Prendiamo rifugio nel Buddha, nel Dharma, nel Sangha come ricercatori della liberazione,
dell’illuminazione.
Il Buddha, il Dharma e il Sangha sono i protettori di coloro che ricercano la liberazione.
Coloro che non sono alla ricerca della liberazione non hanno bisogno dei tre protettori e,
anche se si considerano culturalmente buddhisti, non lo sono affatto.
Considerarsi buddhisti solo su un piano dialettico e culturale produce, riguardo al rifugio nei
tre gioielli, karma negativo, è quindi importante non lasciarsi trarre in inganno e conoscere
esattamente il significato del rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha.
Il passo successivo indica il modo con cui ottenere la mente di bodhicitta:
“Possa io raggiungere l’illuminazione attraverso la pratica delle sei perfezioni per il
beneficio di tutti gli esseri senzienti”.
Con la bodhicitta si sottintendono due aspirazioni, quali sono Michele?
Michele: bodhicitta assoluto e bodhicitta relativo.
Lama: (gran risata) sei un buon praticante, molto spontaneo, ma la risposta non è corretta,
esse sono indicate nelle frasi:
1. “Che io possa raggiungere l’illuminazione”, la prima aspirazione;
2. “Per il benessere di tutti gli esseri senzienti” la seconda aspirazione.
Quali di queste aspirazioni è prioritaria? Sebastiano?
Risposta: Non lo so…
Lama: Buona risposta!...
Risposta: Sono inseparabili, perché il nostro bene è il bene degli esseri, perché non deve
esistere l’io.
Lama: avanti, altre risposte, vi faccio domande altrimenti dimenticate tutto in fretta.
Risposta: L’aspetto principale è il raggiungimento dell’illuminazione degli altri.
Lama: ci sono due aspirazioni, una rivolta a se stessi, alla propria illuminazione, e la
seconda è il voler essere di beneficio, di aiuto, agli altri esseri.
Risposta: Quindi prima ci siamo noi che dobbiamo raggiungere l’illuminazione, è questa la
più importante, in un secondo momento potremo essere di aiuto gli altri.
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Risposta: No, prima ci sono gli altri.


Lama: perfetto, è così, perché è rischioso porre come prioritaria la propria illuminazione, e
poi, con calma, considerare l’eventualità di essere di aiuto agli altri. E’ un errore.
Inizialmente la prima aspirazione non esisteva, ci si concentrava totalmente sull’aspetto
altruistico auspicando ogni beneficio per gli altri, però è spontaneamente sorta la domanda:
“come portare beneficio a tutti gli esseri senzienti?” la risposta la si trova nella prima
aspirazione: “per poter aiutare tutti gli esseri senzienti io devo raggiungere l’illuminazione
attraverso lo sviluppo della mente altruistica”.
La bodhicitta è la massima attitudine altruistica che nasce dall’amore e dalla compassione nei
confronti della sofferenza altrui.
Osservando la sofferenza degli altri esseri ci si interroga naturalmente su come aiutarli ad
uscirne e la risposta viene da sé, “posso realmente aiutarli solo attraverso il raggiungimento
della mia illuminazione”.
La due aspirazione di bodhicitta si realizzano nella pratica delle sei perfezioni.
Ricordate quali sono le sei perfezioni o paramita?
Risposta: La Generosità, la Moralità, la Pazienza, la Perseveranza entusiastica, la
Concentrazione, la Saggezza.
La pratica del Dharma consiste nell’applicare le sei perfezioni.
Questi passaggi fondamentali devono essere molto chiari e alla domanda: “cosa possiamo fare
per aiutare gli altri?” l’unica risposta possibile è : “praticare le sei perfezioni”.
Ad una lettura superficiale la preghiera del Rifugio nei tre Gioielli e delle Quattro Aspirazioni
Incommensurabili può apparire facile e semplice, ma non è così, non è un portafortuna, è
invece estremamente profonda e impegnativa nel cammino verso la mente illuminata.
1. La prima aspirazione incommensurabile è che tutti gli esseri senzienti possano ottenere la
felicità, le cause della felicità;
2. La seconda è che tutti possano essere liberi dalla sofferenza e dalle sue cause;
3. La terza è che tutti gli esseri senzienti non siano mai separati dalla felicità e dalle sue
cause e possano rimanere nella gioia;
4. La quarta auspica che tutti gli esseri senzienti possano risiedere nell’equanimità,
completamente liberi da ogni avversione e attaccamento.
I Quattro Pensieri, o Aspirazioni Incommensurabili sono così definiti:
1. il primo l’ Amore;
2. il secondo la Compassione
3. Il terzo la Gioia
4. il quarto l’Equanimità
Che differenza c’è tra Amore e Compassione?
Risposta: La compassione è un sentimento di comunione nei confronti di sconosciuti, mentre
l’amore è un sentimento forte verso persone che si conoscono e che piacciono.
Lama: Questa potrebbe essere una spiegazione valida solo nel linguaggio occidentale.
Risposta: Compassione è non riuscire a sopportare la sofferenza degli altri.
Risposta: Compassione è “soffrire con” condividere la sofferenza.

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Nel contesto delle quattro aspirazioni incommensurabili, amore e compassione sono molto
simili, ma ci sono sottili differenze.
Esattamente com’è scritto, Amore è: “che tutti gli esseri senzienti possano incontrare la
felicità e le sue cause”;
Compassione invece: “che tutti gli esseri senzienti possano essere separati dalla sofferenza e
dalle sue cause”.
Quindi, qual è la differenza?
L’Amore è focalizzare direttamente l’aspetto della felicità nella vita degli esseri senzienti;
invece la compassione è centrare l’attenzione sulla sofferenza presente nella vita degli esseri
senzienti. Entrambi sono universali, sono quasi uguali, ma cambia la prospettiva di
osservazione.
Di fronte ad una persona che soffre le si augura di trovare la felicità oppure di essere separata
dalla sofferenza. In entrambi i casi si vuole essere di aiuto.
Il terzo aspetto è la gioia che nasce quando si vede la felicità degli esseri senzienti, quando si
coglie in qualcuno un momento di contentezza, ed è esattamente l’opposto dell’invidia e della
gelosia, sentimento devastante che annulla ogni compassione e amore.
Di fronte ad una persona felice non sorge il desiderio che trovi la felicità o che sia allontanata
dalla sofferenza, perché è già in una condizione perfetta, ma si può comunque avere amore e
compassione partecipando alla sua gioia e auspicando che questa persona possa non essere
mai separata da tale felicita.
La quarta, importantissima, aspirazione incommensurabile è l’equanimità, che consiste
nell’augurio che tutti gli esseri siano liberi da ogni avversione o attaccamento.
Una persona potrebbe essere felice, ma essere ancora soggetta alla schiavitù di attaccamento o
avversione, quindi l’auspicio migliore per la realizzazione della sua vera felicità è che essa
possa essere completamente libera da tale sofferenza.
La libertà da attaccamento o avversione è la base dell’essenza della compassione.
A volte si confonde il sentimento di amore e compassione con l’emozione della pietà, ma
sono due cose diverse e, per evitare di confonderle, è necessario avere equanimità, essere
liberi da ogni avversione e attaccamento.
La pietà è una risposta emotiva ad una situazione momentanea, invece l’amore, la
compassione e la gioia, sono aspetti fondamentali e stabili della vita, basati sulla realtà dei
fatti.
L’equanimità è la completa libertà dall’avversione, che si associa spesso all’avere nemici, e
dall’attaccamento, collegato con gli amici, alternanza senza fine che produce sofferenza.
I nemici e gli amici cambiano continuamente con conseguente aumento di caos e problemi;
l’America ad esempio al tempo della guerra fredda era amica di Bin Laden, ora gli interessi
sono mutati e ne è diventata acerrima nemica, così come prima era amica di Saddam Hussein
e adesso ha scatenato una guerra contro l'intero popolo iracheno.
Così avviene sempre in tutto il mondo, e anche a livello individuale; ogni giorno le stesse
situazioni, create al di fuori dell’equanimità, sono causa di conflitti e sofferenza. Quando
perdiamo la stabilità della mente nell’equanimità, noi perdiamo l’amore, la compassione, la
gioia e la felicità.
L’amore, la compassione e la gioia non sono necessariamente connessi ad uno stato emotivo,
ma sono profondamente radicati nella stabilità della mente equanime, non condizionata da
eventi esterni, dimorante nella pace.

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Che cos’è la pace?


La pace è equanimità, lo stato mentale dell’equanimità.
Dobbiamo distinguere il concetto di “pace nel mondo” e “pace della mente” che è equanimità.
La pace del mondo è un obiettivo da conquistare, si deve combattere per l’affermazione dei
diritti umani e spesso è necessario ricorrere all’uso delle armi e ciò avviene al di fuori
dell’amore e della compassione, non è equanime e non può dunque essere pace autentica. A
questo proposito preferisco sempre dire “Doveri umani” e non “Diritti Umani”. La pratica
del Dharma è un dovere umano, la pratica della pace è un dovere umano, doveri a cui siamo
destinati naturalmente.
Il termine “Dharma” nel linguaggio moderno dovrebbe essere tradotto con “Pace”. Gli
studiosi anglofoni non sono ancora riusciti a trovare il corrispettivo inglese di Dharma, ciò
significa che il contenuto di questa parola non è facile da afferrare. In base alla mia ricerca ed
esperienza personale sono giunto alla conclusione che la pratica del Dharma è la pratica della
Pace.
Pace significa essenzialmente lo stato mentale equanime, che è l’essenza dell’amore e della
compassione, e quindi l’essenza del Dharma.

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3. La radice di tutto il Dharma


Nella pratica del “Gom-Rim”, “Gli Stadi della Meditazione” di Kamalashila, è scritto:
“Coloro che vogliono raggiungere l’illuminazione al più presto, sono coloro che praticano la
compassione (non nel senso occidentale del termine, ma come descritta nelle quattro
aspirazioni incommensurabili), la bodhicitta, e la pratica delle sei perfezioni”.
Il contenuto del trattato è riassunto in quest’unica frase e coloro che vogliono raggiungere
l’illuminazione devono prima praticare la compassione, perché essa è la fondamentale causa
di tutte le qualità del Buddha, è la radice di tutto il Dharma, la radice di tutta la pratica del
Dharma. Dalla compassione scaturiranno naturalmente la bodhicitta e la pratica delle sei
perfezioni.
La lettura di questo testo è magnifica, ma non sarebbe sufficiente fermarsi a quanto
propongono le traduzioni inglese o italiana, è necessario comprendere il contesto in cui e stato
scritto, trasponendone il profondo contenuto nella situazione attuale. Da un punto di vista
linguistico tradurre non è così difficile, ma è assai più complesso mantenere intatto il
significato e contemporaneamente adattarlo alla società di oggi, applicarlo e capirlo.
Questo documento è stato composto nel nono secolo e se voi vi immedesimaste totalmente in
quel periodo cercando di meditare su quella base, la vostra meditazione crollerebbe in tre
giorni perché priva della comprensione fondamentale che può essere data solo dal vivere
pienamente nel presente contesto sociale.
La radice di tutto il Dharma è la compassione e coloro che vogliono praticare il Dharma
devono prima di tutto praticare la compassione. In un sutra si dice che l’Arya Avalokitesvara,
rivolgendosi al Buddha, notasse: “i Bodhisattva non dovrebbero imparare così tante cose se
non il tenere tutto il Dharma nel palmo della mano. Il vero unico Dharma è la grande
compassione.
La grande compassione fa sì che tutti gli insegnamenti, tutto il Dharma, tutte le qualità del
Buddha, possano stare nel palmo di una mano, è come se la grande compassione fosse
l’anima del Dharma. Se quest’anima è presente anche tutte le altre facoltà lo saranno, in caso
contrario, no. Nella grande compassione si realizza tutto il Dharma, senza di essa non potrà
mai esserci nessun Dharma.
Una persona motivata dalla grande compassione prenderà in considerazione prioritariamente
sempre il benessere degli altri. Simile attitudine comporta inoltre l’accumulazione di meriti
tramite lo sforzo.
Avendo compassione per tutti gli esseri senzienti si sperimenta la sofferenza. La pratica del
Dharma non è sfuggire la sofferenza, essa è superiore alla sofferenza; la pratica del Dharma è
utilizzare la sofferenza, è trasformarla.
Per un autentico praticante la sofferenza è un abile mezzo, non è un ostacolo, semplifica
l’accesso alla grande compassione, ed è così in tutte le religioni; nel cristianesimo si enfatizza
questo aspetto con il termine “Amore”, in tibetano con “Grande Compassione”, sono due
parole diversamente tradotte, ma cariche dello stesso significato.
Se volete ad ogni costo distinguere tra l’amore cristiano e la grande compassione buddhista
significa che non avete capito il senso profondo di nessuno dei due e quindi non sarete in
grado di praticare né uno né l’altro.
In Italia è fortissima l’influenza della cultura cristiana, la società ne è permeata e, di
conseguenza, la pratica del Dharma deve essere armoniosamente integrata in questa
tradizione, senza forzatura alcuna, senza imposizioni di nessun genere.
E’ fondamentale essere consapevoli che, per poter essere realmente di beneficio agli altri, in
Italia dobbiamo conoscere, rispettare e vivere la cultura di questa società.
A cura di Geshe Gedun Tharchin e dell’Istituto LamRim di Roma
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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Notate forse differenze tra l’Insegnamento Buddhista e il Discorso della Montagna del
Vangelo?
Nel Vangelo sono riportate frasi significative come: “se qualcuno vi da uno schiaffo porgete
l’altra guancia”, e, “se qualcuno chiede la vostra giacca voi dategli anche il mantello”; si
insegna chiaramente a non reagire mai con la rabbia agli insulti e alle aggressioni, si dice
invece di rispondere con amore e compassione. E’ la stessa grande compassione buddhista, la
radice di tutti i Dharma.
Nella meditazione profonda con mente limpida, sincera e onesta si vede chiaramente che tutti
i valori spirituali hanno esattamente lo stesso significato; se ne ha comprensione profonda
nella propria mente.
Si possono leggere molti libri, ma solo aprendo la mente è possibile avere esperienza diretta
di questi valori, nella mente stessa e al di sopra di essa.
Affrontare il Dharma su un piano troppo intellettuale può essere un ostacolo, per questo
preferisco mantenere vigile il rapporto con la realtà quotidiana e traduco il termine “Dharma”
con “Pace”, anche se ancora nessun dizionario l’ha scritto, è una traduzione del cuore, non
corrispondente all’aspetto letterale.
Si ha conoscenza della parola “Dharma” da tempi lontanissimi, e se ne fa particolare
riferimento all’epoca di Asoka, un re che aveva conquistato molti territori e che, per farsi
capire da tutti, inviava messaggi ad ogni latitudine utilizzando la lingua greca. Già allora sorse
il problema di come tradurre il termine Dharma in greco. Non fu però mai tradotto in latino e
nemmeno nelle moderne lingue derivate, possiamo dunque prendere per buona la traduzione
moderna con la parola “Pace”.
Non è però la pace del mondo che deve essere conquistata con i combattimenti; non è quella
dei politici che parlano continuamente di pace e fanno la guerra, una gravissima
contraddizione che condanna definitivamente la pace.
Il Dharma come Pace è equanimità, è la base della compassione che genera la bodhicitta, la
radice di tutto il Dharma.
Per gli italiani, inseriti in un determinato contesto culturale, è più facile comprendere la
grande compassione attraverso l’amore cristiano,
L’amore e la compassione sono un dono universale e praticarli un dovere umano, è
l’espressione di una capacità naturale.
La pratica del Dharma è un percorso individuale che conduce ad uno stato di pace attraverso
la pratica dell’amore e della compassione.
Domanda: Si può intendere l’equanimità come sentirsi uguale a tutti gli altri?
Lama: L’equanimità, dal punto di vista dell’amore e della compassione, è il rispetto nei
confronti degli altri. Il rispetto è il più corretto approccio all’amore e alla
compassione, qualità che devono essere attivate nel primo stadio della
meditazione.
Oggi si ha spesso una visione completamente distorta della meditazione, si seguono le mode e
la si intende come andare in palestra, sedersi un’ora in silenzio, magari con una musichetta
rilassante, e …puf!....ogni problema è risolto!...
Nel Dharma la meditazione è ben altro, prima di tutto si pratica l’amore e la compassione, poi
la bodhicitta, e infine le sei perfezioni:
• generosità,
• moralità,
• pazienza.
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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Le prime tre sono soprattutto consigliate a chi non ha molto tempo per praticare la
concentrazione e appartengono all’accumulazione dei meriti.
Le altre tre:
• perseveranza entusiastica, che è equamente suddivisa tra i due gruppi;
• concentrazione che è molto importante per la pratica della meditazione, ma non è
ancora l’effettiva meditazione.
• L’effettiva meditazione è la sesta: la saggezza, che può realizzarsi solo dopo aver
sviluppato perfettamente la concentrazione.
Le sei perfezioni, o paramita, sono fondamentali e graduali. Quando si giunge alla sesta si
realizzano tutti gli aspetti della saggezza dei sutra e dei tantra.
Gli stadi della meditazione sono complessi e impegnativi e non possono certo essere confusi
con l’immobilità nell’atmosfera tranquilla di una palestra, cullati da musica sedativa. La
meditazione riguarda l’accumulazione dei meriti e della saggezza.
Domanda: Per praticare le sei perfezioni dobbiamo seguire un percorso consequenziale,
iniziando a lavorare su un aspetto affinché il resto avvenga in un secondo tempo?
Lama: Si, ma piano piano, non si realizza nulla in un unico momento, il primo e
fondamentale stadio è l’amore e la compassione, senza questo passaggio tutto il
resto non esiste, tantra e mantra saranno inutili.
In Tibet c’è poca varietà di alimenti, solo burro, formaggio, carne e orzo e si prepara un unico
tipo di torta, il “Tü”, un impasto di formaggio secco grattugiato e burro che si può conservare
a lungo e che ha un sapore ottimo grazie alla combinazione equilibrata degli elementi; il
formaggio da solo non sarebbe così buono e rimarrebbe solo una palla di formaggio secco, ciò
che dà un sapore particolare e che trasforma l’impasto in torta è il burro. Così avviene con
tutte le pratiche del Dharma, i Tantra e i Mantra, che assumono significato grazie alla
presenza dell’amore e della compassione, della bodhicitta.
La meditazione buddhista tibetana non è utile per volare, per levitare, o per aprire il terzo
occhio. Anche noi tibetani, per secoli e secoli, abbiamo interpretato il Dharma in modo
sbagliato e il risultato è il Tibet che vedete oggi.
Sono pochi i praticanti seri e studiosi, la maggior parte dei tibetani, interpretando
erroneamente gli insegnamenti, sono diventati facili oggetti di manipolazioni politiche che
hanno prodotto scontri di potere e sofferenza.
L’essenza della pratica del Dharma è amore e compassione da sviluppare tramite la
meditazione.
La nostra mente-cuore è così pesante, dura come una pietra, come una palla di ferro, e per
questo soffriamo, è il nostro dolore, la nostra malattia. Dobbiamo guarire, sciogliere questa
pesantezza, trasformarla e godere della pace, della tranquillità, della felicità, della gioia.
Milerapa, il più famoso grande praticante del Tibet, era un mendicante senza abiti, senza
ciotola, appariva a chi lo incontrava quasi come un demone, ma il suo cuore era illuminato,
coraggioso, aperto. Noi invece soffochiamo nella paura, chiudiamo il nostro cuore a tutto e ci
isoliamo nella sofferenza, non siamo capaci di essere flessibili e di aprirci agli altri, eppure
per essere felici e per poter dare felicità è necessario vivere nell’amore e nella compassione.
Nell’ultimo incontro intensivo a Roma, dopo aver parlato dell’Amore e della Compassione,
un partecipante ha fatto notare che il concetto da noi espresso in quella sede era molto diverso
da quello degli psicologi che suggeriscono di mantenere vivo l’ego, di sostenerlo. Io non
conosco esattamente l’approccio psicologico, tuttavia sottostare all’ego non è mai utile,
produce solo sofferenza ed è un ulteriore peso da portare, dobbiamo invece rinunciare all’ego
e servire gli altri attraverso l’amore e la compassione.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Che cos’è l’insegnamento del Dharma?


La risposta è data dal Buddha e da Gesù Cristo che andavano in giro offrendo insegnamenti,
consigliando, confortando, senza nessuna organizzazione né programmazione, in modo
semplice e diretto. Ogni parola detta con amore e compassione è insegnamento del Dharma.
Se non avete amore e compassione nel cuore, se non li esprimete concretamente nel
quotidiano, potete leggere tutti i sutra e un’infinità di libri, ma non c’è Dharma in voi.
La società oggi esige in tutto programmazione e per incontrare grandi Lama e personalità
autorevoli è necessario superare i filtri di un’organizzazione complessa, tanto che è quasi
impossibile ricevere i loro insegnamenti. Ciò ha mutato notevolmente rispetto al passato il
modo di trasmettere il Dharma e i cambiamenti indotti dalla modernità che hanno aspetti
positivi, possono anche creare malintesi e fraintendimenti.
Gli insegnamenti di Dharma sono spesso troppo organizzati e si trasformano in festival, ma
così non deve essere; l’insegnamento del Dharma è quello di Buddha, di Gesù Cristo, di San
Francesco e di tanti altri santi.
Sto cercando di spiegare l’essenza del Dharma perché non è facile arrivare al punto centrale.
Abbiamo speso bene il nostro tempo oggi?
Domanda: E’ attaccamento anche quello che si prova verso i cari scomparsi ? o riguarda solo
la mancanza di equanimità nei confronti degli amici? Perché il mio problema è
proprio quello di non riuscire a lasciar andare la presa nei confronti dei miei
morti.
Lama: Attaccamento è ovunque, qualsiasi cosa nel samsara è contaminata dall’attaccamento,
è molto difficile liberarsene e il nostro compito è proprio quello di trasformarlo
in amore e compassione, è il modo saggio di avvicinare gli altri; l’attaccamento è
invece l’approccio sbagliato. Nei nostri rapporti con gli altri dobbiamo essere
motivati da amore e compassione e non da attaccamento, questi due opposti sono
sempre presenti però più ci avviciniamo all’amore e alla compassione e più ci
liberiamo dall’attaccamento, se invece restiamo ancorati ad esso ne diventiamo
schiavi, vittime.
Domanda: Non so se divinizzare o demonizzare il denaro, perché l’attaccamento al denaro
distrugge la vita.
Lama: E’ il modo in cui si usa il denaro, come lo si tiene, come lo si riceve, come lo si
spende, che fa la differenza. Perché si può ricevere e dare con amore e
compassione e si può ricevere e dare con attaccamento; la prima è un’esperienza
di felicità e la seconda di sofferenza, entrambe hanno a che fare con il denaro.
Domanda: Come nutrire la compassione? È una questione di volontà?
Lama: La compassione si nutre con la compassione, non con la rabbia. A volte ho visto
persone molto arrabbiate, aggressive e in guerra con tutto in nome della pace, un
atteggiamento veramente assurdo e schizofrenico, la pace deve essere nutrita con
la pace, così la compassione è nutrita e si sviluppa con la compassione.
Domanda: Siamo travolti dalla rabbia cosmica oggi.
Lama: Molti affermano che la rabbia deve essere manifestata, ma questo non è corretto, la
rabbia deve essere trasformata. Se esprimete la rabbia essa aumenta, alcuni
consigli popolari sono veramente sbagliati.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Parte Seconda

4. Mente e meditazione
Ci ritroviamo questa mattina per proseguire nella pratica del Dharma e in particolare
studieremo gli stadi della meditazione di Kamalashila.
Siamo veramente fortunati avendo l’opportunità di intraprendere questo percorso perché,
come dico spesso ai miei amici, seguire un sentiero di Dharma è incamminarsi in una via di
pace che può portare solo benefici, nulla di male può accadere, questo è il grande significato
del Dharma.
Il Dharma è buono all’inizio, è buono nel mezzo ed è buono alla fine.
La pratica del Dharma è mantenere il buon cuore. Nel mondo, nella vita di tutti i giorni, siamo
travolti da un’infinità di distrazioni che non ci permettono di mantenere la pace mentale. Con
la perdita della pace, della tranquillità, ci allontaniamo dal Dharma per entrare in una
situazione non felice e, nella sofferenza, non abbiamo più alcuna possibilità di aiutare gli altri,
di dar loro la felicità.
Rimanere nello stato di tranquillità e pace è la condizione fondamentale che ci permette di
trasmettere tale benessere agli altri in modo naturale, senza clamore, senza una inutile e
sciocca pubblicità. Il dono della pace e della felicità dovrebbe avvenire in segreto, senza
chiasso e, se si avverte il bisogno di renderlo pubblico, significa che c’è qualcosa di sbagliato.
Un proverbio tibetano dice: “Se c’è un pezzo di oro sepolto nella terra la sua presenza sarà
indicata nel cielo”; supponiamo che ci sia una miniera d’oro nelle profondità della terra, la
sua esistenza sarà segnalata nel cielo.
Se avete dentro di voi la bodhicitta, la compassione, la grande compassione, essi saranno
percepiti con naturalezza e saranno di grande beneficio agli altri, voi non ve ne dovete
minimamente preoccupare, il vostro aiuto scaturisce spontaneamente, senza bisogno di
pubblicità.
Si ricorre alla pubblicità quando qualcosa non va e si vuole manipolare la verità. Anche la
pubblicità televisiva tende a confondere e ingannare, non ha certo l’obiettivo di fornire giuste
informazioni.
Per essere di beneficio agli altri occorre mantenere la propria pace mentale, tranquillità e
felicità. La società insiste spesso sulla generosità, ma in modo non corretto.
Tutti gli esseri umani hanno spontaneamente il fondamento del buon cuore però, a causa di
fraintendimenti, lo usano male rovinandolo, intraprendono un sentiero sbagliato che li porta
ad una destinazione sbagliata.
Noi tutti desideriamo fare il bene e questa è la fonte della nostra felicità e delle nostre qualità;
una spiegazione più approfondita la si ricerca nelle caratteristiche della mente e a questo
punto il concetto si complica:
Cos’è la mente? Come funziona? Come catturare la mente?
Affrontiamo il tema più complesso del buddhismo, la meditazione e le qualità umane sono
connesse alla mente e, quando ci addentriamo in essa con comprensione profonda, sorgono le
difficoltà, perché la qualità di base dell’umanità esiste nascosta nella mente, è come un tesoro
e la meditazione è lo strumento necessario alla sua scoperta.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

La meditazione non è semplicemente un approccio intellettuale, non si possono comprendere


o afferrare le caratteristiche della mente attraverso lo studio o la ricerca intellettuale, per
raggiungere questa realizzazione è necessaria la meditazione.
E’ un compito difficile perché si tratta di capire cosa andiamo a scoprire e quale strumento
utilizzare per scoprirlo. Se voi seguite un approccio intellettuale nell’osservazione e
nell’analisi del fenomeno dovete sempre riferirvi ad un soggetto e ad un oggetto, mentre nella
meditazione ciò che scopriremo è qualcosa di nascosto in noi, le qualità umane di base, il
prezioso tesoro custodito segretamente.
Nell’approccio meditativo non esistono due componenti diverse, il soggetto da scoprire e
l’oggetto strumento con cui effettuare tale scoperta, perché si va al di là, oltre l’analisi
scientifica.
Come ho detto ieri il destino futuro degli scienziati è quello di diventare buoni meditatori,
solo così potranno pervenire a scoperte realmente soddisfacenti. La ricerca scientifica oggi è
basata sull’uso di strumenti come il microscopio, il telescopio e altri ancor più sofisticati, ma
sarà sempre limitata e insufficiente, perché non potrà mai raggiungere la comprensione della
realtà ultima di questa esistenza. La realtà ultima dei fenomeni può essere scoperta solo
attraverso la meditazione e finché non la si troverà non si potrà mai essere appagati.
Attraverso l’approccio meditativo, l’umanità del XXI° secolo potrà essere composta da
meditatori civilizzati.
Non mi stancherò mai di ripetere che ciò che facciamo oggi non deve essere la fotocopia dei
meditatori del passato, sarebbe un grave errore.
Nel passato San Francesco, Milarepa, erano liberi di trovare ovunque un luogo isolato in cui
meditare senza essere disturbati, ma per voi questo non sarebbe possibile, vi arresterebbero
immediatamente o vi porterebbero in ospedale psichiatrico. Oggi dovete imparare a meditare
anche con la tecnologia più avanzata, solo così potrete realmente diventare dei Buddha del
XXI° secolo.
Spesso penso a come sarebbero Buddha o Gesù oggi, se vivessero in quest’epoca, forse
assomiglierebbero a Gandhi. Gandhi utilizzava le tecnologie del suo tempo, era molto istruito
e, allo stesso tempo, un grande meditatore. Così deve essere un Buddha del XXI° secolo.
Einstein affermò che il buddhismo sarebbe stata l’unica espressione religiosa possibile nel
XXI° secolo, certamente quella era la sua opinione, determinata proprio dalle conoscenze
scientifiche che lo inducevano a intravedere un possibile contatto futuro tra scienza e
buddhismo, unica espressione religiosa in grado di permettere tale unione.
Raccomando sempre ai miei amici di Roma di non considerare il gruppo di meditazione
buddhista come un master di psicoterapeuti. Con la meditazione ci si apre all’apprendimento,
si diventa persone civilizzate, prive di limitazioni mentali.
La meditazione sostiene l’integrazione del mondo esteriore con quello interiore, favorisce la
coesistenza e l’armonizzazione dell’aspetto materiale con quello spirituale.
La meditazione e la pratica del Dharma non entrano in conflitto con nulla, sono pace assoluta,
armonia, tranquillità, così si dice nel “Mahamudra”.
Il Mahamudra rappresenta una natura che copre tutto e i cui fenomeni non hanno in sé nessun
conflitto, è la realtà ultima e unica di tutti i fenomeni.
Creare armonia, cooperazione, mettere insieme, non vuol dire unire semplicemente due cose
completamente separate, ma è creare le condizioni alla loro unione e integrazione
nell’osservazione del significato comune dei fenomeni.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Dal punto di vista del Mahamudra, Samsara e Nirvana sono uguali, non ci sono nemici o
amici, non c’è né negativo né positivo, esiste solo l’equanimità.
Letteralmente “Mahamudra” è stato tradotto non correttamente con “Grande Sigillo”, come se
si trattasse di un timbro, invece significa la “Grande Posizione”, cioè il modo di essere. Nella
pratica di determinati rituali tibetani si muovono le mani con gesti particolari che sono i
“mudra” e ogni gesto indica un modo di essere, una determinata visualizzazione.
Imparare ad usare i mudra è nel buddhismo tibetano molto complicato perché ogni pratica di
Sadhana, che corrisponde alle divinità, ha diversi mudra relativi ad altrettante visualizzazioni
in cui si rappresentano le tre caratteristiche: il potere della concentrazione, il potere del mantra
e il potere del gesto.
Nella visualizzazione di una divinità è utile usare il potere della concentrazione, utilizzare un
determinato mantra, e rappresentarla con un gesto particolare, il mudra.
Il Mahamudra è dunque il grande gesto che dimostra il modo equanime di essere presente in
tutti i fenomeni.
La pratica del Dharma, la meditazione, porta a questa profonda realizzazione, non è
psicoterapia.
E’ necessario smuovere la mente attraverso queste osservazioni così da far emergere l’essenza
dei pensieri; come se dovessimo produrre del burro scuotendo a lungo la panna, a prima vista
sembrerebbe che la stiamo rovinando, invece ne risulterà un ottimo burro, questa è la
meditazione analitica.
Qualcuno potrebbe pensare: “lui sta parlando, noi stiamo ascoltando, non è meditazione”,
perché se ne ha una visione distorta, convinti che sia sufficiente sedersi, farsi cullare da una
musichetta, accendere l’incenso e rilassarsi, ma a me sembra che questa sia ginnastica, non
meditazione, è una “palestrizzazione” della meditazione.
La meditazione analitica è invece fondamentale; quando parlo non riferisco qualcosa che ho
preparato nella mente, ma vi trasmetto la mia analisi e voi che ascoltate, seguendo
quell’analisi scoprirete qualcosa di essenziale perché attraverso la meditazione analitica
raggiungerete comprensioni, conoscenza, realizzazioni del Dharma.
Abbiamo analizzato il significato della meditazione, la sua importanza e il senso della nostra
presenza qui, così ricca di significato, che non termina con la conclusione dell’incontro, ma è
qualcosa di valido e utile per tutti gli esseri senzienti. Voi potreste obiettare che nessuno sa
quello che stiamo facendo ma, come ho detto prima, ciò non è importante, qualsiasi cosa si
faccia per gli altri non necessita di pubblicità, anzi è tanto più potente quanto più occultato.
Ora vi state chiedendo come potete essere di aiuto agli altri standovene qui seduti a meditare,
ma questo dipende esclusivamente dall’intenzione, dalla motivazione e dalla dedica dei meriti
accumulati. Quindi, quale motivazione si deve avere?
Se pensiamo: “ciò che io sto facendo qui è solo per me stesso per il mio beneficio”, tutte le
attività saranno molto faticose e interminabili, invece, se consideriamo che tutto ciò che
facciamo qui e ora è dedicato al beneficio degli altri, ogni attività diventerà piacevole e
leggera.
Siamo insieme per praticare il Dharma, ma se volessimo ottenere solo un risultato personale,
non lo trasformeremmo in vero Dharma, resterebbe un “non-Dharma”.
La pratica del Dharma non dipende da ciò che appare, dal tipo di attività, ma dall’intenzione
che la determina.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

La pratica del Dharma basata solo sull’apparenza e motivata dal proprio interesse è un’azione
così negativa che crea un karma negativo, che nel cristianesimo corrisponde ad un peccato
mortale.
Un peccato mortale che può essere attivato solo dai praticanti di Dharma, se non lo fossero ne
sarebbero esenti, ciò significa che i praticanti di Dharma devono essere molto attenti e vigili
nei confronti di questo reale pericolo. Ciò vale anche per me, quando mi accordo di perdere la
consapevolezza è come se la pratica del Dharma fosse lì solo per sostenere il mio ego e il
Dharma diventa un non-Dharma.
La pratica del Dharma è molto difficile da realizzare, non può essere trasformata in un
sostegno all’ego, perché in tal caso si trasforma in pesantissimo fardello, ma, al contrario,
deve essere un supporto per ridurre l’ego così da divenire costante arricchimento spirituale.
Il pericolo di una cattiva pratica può essere superato dalla comprensione profonda della radice
del Dharma, la compassione, la grande compassione.
Quando c’è presenza di compassione e di grande compassione, allora c’è presenza di Dharma;
quando c’è assenza di compassione e di grande compassione, allora c’è assenza di Dharma.
Avere la compassione, la grande compassione è come tenere tutto il Dharma nella propria
mano. Ci sono domande?
Domanda: Io avrei una domanda, forse non tanto attinente e più collegata a quanto è stato
detto circa l’uso della tecnologia. Ieri ho letto sulla Stampa il resoconto di una
ricerca scientifica in cui si tendeva a dimostrare che il mondo vegetale è dotato
di un’intelligenza propria, come se fosse popolato da esseri senzienti, però mi
pare che nel buddhismo le piante non siano considerate tali, quindi questo apre
una differente modalità di rapportarci con il Dharma, ad esempio i vegetariani
che per non uccidere animali si nutrono di vegetali, in realtà uccidono
ugualmente esseri senzienti. Nel buddhismo c’è qualche precisa indicazione in
proposito?
Lama: Domanda interessante, è molto difficile distinguere tra esseri senzienti e non-
senzienti a livello fisico, ma commettere karma negativo non dipende mai da una
situazione oggettiva è sempre una realtà soggettiva, quindi non possiamo
distinguere se un vegetale abbia una coscienza o meno, ma ciò non vuol dire che
usare un vegetale possa creare karma negativo o positivo.
Ad esempio una pietra probabilmente non ha coscienza, né sensibilità, ma anche
attraverso l’uso di quella pietra si può creare karma negativo o positivo. In base
agli insegnamenti del Buddha se tu tagli una pianta perché spinto dalla rabbia
crei un karma negativo.
In Tibet si racconta di un meditatore che praticava in una grotta il cui ingresso
era parzialmente ostruito da una pianta e ogni volta che lui doveva uscire od
entrare era colpito dai suoi rami, tanto che un giorno, in un impeto di rabbia, la
tagliò e questo gesto ha creato un karma negativo.
Avere karma positivo è nutrire rispetto verso tutta la natura. Il rispetto è una
caratteristica della nostra mente e non dipende da come cataloghiamo gli oggetti
perché sul piano puramente teorico è difficile dividere nettamente ciò che può
essere considerato essere senziente e cosa no.
La pratica del Dharma suggerisce di avere rispetto per tutto ciò che esiste, sia
considerato senziente o non-senziente, è un atteggiamento mentale che definisce
in modo chiaro e certo come si può creare il karma negativo o positivo, anche se
a livello del mondo fisico non è affatto chiara la distinzione tra esseri senzienti e
non-senzienti. Tutte le relazioni con esseri senzienti o non-senzienti dipendono
sempre dall’atteggiamento mentale, dalla compassione.
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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Anche l’azione di spostare una tazza da un posto all’altro dovrebbe essere fatta
con compassione, eppure sicuramente la tazza non è un essere senziente. Il
Bodhisattvacaryavatara consigliava di aprire la porta delicatamente, con
compassione, senza alcuna distinzione tra cose, esseri senzienti o non senzienti,
nella Mahamudra non c’è alcuna distinzione, esiste un unico modo di
comportamento.
Domanda: Si possono considerare karma negativo gli eventuali errori nella pratica?
Lama: Anche gli errori possono essere fatti con compassione, dipende dal tuo
atteggiamento che è suddiviso su due livelli, quello della causa e quello del
risultato.
L’atteggiamento mentale a livello della causa è, per esempio, che tu sia venuto
sin qui, da Milano, per questo ritiro, è la tua motivazione.
L’atteggiamento che hai avuto invece quando sei arrivato qui è a livello di
risultato, perché se tu avessi pensato: “questo posto è così freddo, così isolato,
non sarei dovuto venire, il maestro è molto chiacchierone, parla sempre e non
meditiamo,” il tuo atteggiamento sarebbe cambiato rispetto a quello iniziale.
Il livello iniziale, della causa, è il principale e tu l’hai mantenuto con la forza
della decisione presa, anche se ora a livello di risultato non ti sembra più così
positivo e potresti considerare l’essere venuto qui un errore legato alla tua
pratica; in realtà questo eventuale errore ha come causa un atteggiamento
positivo in grado di trasformare in buon karma anche un risultato
apparentemente negativo.
E’ sempre necessario distinguere tra i due livelli, quello di causa, che è
fondamentale, e quello del risultato, che è secondario. Se invece la motivazione
fondamentale, la causa, fosse stata sin dall’inizio sbagliata allora la situazione
sarebbe più difficile.
Domanda: Da un punto di vista mentale, realizzare la vacuità o raggiungere l’illuminazione
sono la stessa cosa?
Lama: La realizzazione della vacuità non è la piena illuminazione. La realizzazione della
vacuità è un mezzo per raggiungere l’illuminazione. E’ un concetto piuttosto
complesso.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

5. La Bodhicitta
Come ricordato nello studio degli stadi della meditazione che conducono all’illuminazione,
coloro che vogliono raggiungere in fretta la realizzazione sono coloro che praticano la
compassione, la bodhicitta e le sei perfezioni.
Kamalashila indicava questo percorso, prima bisogna praticare la compassione, di
conseguenza si sviluppa la bodhicitta e così è possibile praticare le sei perfezioni.
Ieri abbiamo analizzato la compassione e la grande compassione e spero che il concetto vi sia
chiaro, oggi invece parleremo del passaggio dalla compassione alla bodhicitta, articolata su
due livelli, e poi entreremo nel dettaglio della pratica delle sei perfezioni.
Comunque, la cosa più difficile da comprendere per noi è la compassione, la radice di tutto il
Dharma.
Le persone che hanno radici nel cristianesimo possono comprendere il significato della
compassione attraverso il concetto dell’amore cristiano. Gli italiani, per capire la compassione
buddhista, devono prima capire l’amore cristiano, e ciò vale per ogni società, altrimenti i
buddhisti potrebbero erroneamente pensare che la compassione buddhista sia ad un livello più
alto dell’amore cristiano o, viceversa, i cristiani, che l’amore cristiano sia superiore alla
compassione buddhista. Un simile malinteso è un grave errore perché entrambi sono la stessa
qualità della mente umana.
L’amore cristiano è una qualità della mente, la compassione buddhista è una qualità della
mente, le due qualità della mente diventano una e questa influenzerà la personalità di ognuno
così da sciogliere l’atteggiamento egocentrico.
La pratica dell’amore e della compassione non è un mezzo per arrivare ad un livello
superiore, ma è semplicemente il modo per sciogliere l’atteggiamento egocentrico.
L’attitudine a voler raggiungere livelli sempre più elevati è una manifestazione dell’ego,
mentre l’amore e la compassione sono esattamente l’opposto, dissolvono l’ego e ci collocano
nella posizione più bassa, questo è difficile, la pratica della compassione e della grande
compassione è l’attitudine a servire tutti gli esseri senzienti.
Non è un “servizio” come lo intende il mondo, come lo attuano i politici che si presentano
sempre come i servitori della gente, creando conflitto e confusione nella società, perché, nella
realtà mirano ad essere dei leader, dei capi. Questo è il grande pericolo che vedo oggi nel
mondo politico, ma la stessa cosa avviene nelle istituzioni religiose. Il vero grande lama è
colui che è nella posizione più bassa, di servitore.
L’amore e la compassione dovrebbero condurre al livello più basso, del servizio alle persone,
così come hanno fatto Mahatma Gandhi, San Francesco, Madre Teresa, restando su un piano
pratico.
E’ molto difficile praticare amore e compassione genuini e in questo senso è difficile
raggiungere l’illuminazione, e allora cosa facciamo?
Questi sono tempi di degenerazione. Nel Tibet del X° secolo ‘erano molti Geshe Kadampa
che non avevano gerarchie, vivevano in semplicità assoluta e la stessa parola “Geshe”
significa “Amico Spirituale”, purtroppo essi sono scomparsi, ma lo spirito della loro pratica
ha avuto continuità e influenza nel buddhismo tibetano. La loro pratica principale era il “Lo
Jong” termine tradotto in inglese con “trasformazione della mente” che fondamentalmente è
la pratica del bodhicitta.
In Tibet oggi non esiste più la corrente Kadam, sono rimaste le quattro grandi e gerarchiche
scuole: “Nyingma”, “Kagyü”, “Gelug”, “Sakya”. Ci si è smarriti nell’aspetto più formale dei
vari cappelli, bianchi gialli, rossi, neri e si è perduta l’essenza profonda del Dharma.

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6. Lo Jong – Trasformazione della Mente


Nella pratica della compassione e della bodhicitta si deve prendere come modello
l’atteggiamento dei Geshe Kadampa, il “Lo Jong” è molto famoso e importante ed è
bellissimo il testo degli “Gli Otto Versi della Trasformazione della Mente” del Kadampa
Geshe Langri Tangpa che ci guida nella concentrazione sulla radice di tutto il Dharma che è la
grande compassione, così descritta nel primo verso:
“Considerando tutti gli esseri senzienti
superiori alla gemma che esaudisce i desideri
per realizzare il fine supremo
possa io costantemente prenderli a cuore”
Una leggenda narra che la gemma che esaudisce i desideri è una pietra preziosa che si trova
nell’oceano e molti sono andati a cercarla, ma pochi riescono a trovarla. Chi ha questa grande
fortuna deve posare il gioiello luminosissimo in alto e sul pulito, e poi pregare affinché i suoi
desideri siano esauditi. Così, se voi desiderate ricchi abiti, ne sarete ricoperti, se volete del
buon cibo una pioggia di prelibatezze arriverà sulla vostra tavola!....
Questa è la leggenda, ma non si può pregare per avere la bodhicitta, non si può pregare per
avere la compassione, la gemma può offrire ogni beneficio e ricchezza materiale, ma non
quella spirituale. Ecco perché tutti gli esseri senzienti sono più preziosi della gemma che
esaudisce tutti i desideri mondani, ma che non potrà mai dare la compassione, solo gli esseri
senzienti hanno tale potere e per questo sono più preziosi di ogni altra cosa.
Il “fine supremo” si riferisce allo stato dell’illuminazione, lo stato di Buddha, che può essere
raggiunto unicamente tramite la compassione, la grande compassione, che solo gli esseri
senzienti possono farci ottenere. Quindi, “che io possa tenere gli esseri senzienti come la
realtà più preziosa che mai potrei incontrare”.
Una spiegazione più approfondita di questo concetto è contenuta nel trattato di Santideva
“Bodhicaryavatara” che letteralmente significa “Il modo di vivere del Bodhisattva”, che
potete trovare nelle edizioni italiane di Ubaldini o Chiara Luce, tradotte in inglese da testi
differenti, uno dal tibetano e l’altro dal sanscrito. La versione in italiano è un po’ come il the
annacquato, la prima tazza ha un buon sapore, poi si aggiunge acqua e il sapore già cambia, e
questa è la traduzione inglese, e poi ancora acqua, e abbiamo il testo italiano, non buono
perché privo del necessario controllo e confronto con il testo originale sanscrito, è già filtrato
dall’inglese e spesso contiene errori di interpretazione che inducono confusione e
fraintendimenti?
Ritornando alla lettura degli otto versi apprendiamo che gli esseri senzienti sono l’unica fonte
dell’illuminazione e solo grazie ad essi è possibile sviluppare la compassione. Su questa base
tutti abbiamo la stessa possibilità di diventare come Gandhi, come madre Teresa, come
Kadampa Geshe.
Il termine “Geshe” è un’abbreviazione di “ge wei she nyen” che significa letteralmente “colui
che aiuta a fare azioni virtuose”, cioè “Amico spirituale virtuoso”, non è quindi, come molti
credono, un titolo, la sua traduzione in dottore o maestro è sciocca e ha smarrito il senso
originale.
I Kadampa Geshe non hanno mai usato questo termine con l’intenzione di qualificarsi
accademicamente, il termine è un riconoscimento rispettoso della funzione di amico
spirituale. Geshe Langri Tangpa e tanti altri Geshe Kadampa non hanno dovuto superare
alcun esame, o partecipare a particolari cerimonie o distinguersi con decorazioni e berretti di
differenti colori, la loro vita è stata semplicissima, come la vita di San Francesco,
assolutamente povera, umile, dedita alla pratica del bodhicitta, attenta agli aspetti sociali, al
servizio dei più diseredati, ad esempio dedicavano amorevoli cure ai lebbrosi, da tutti evitati.
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Milarepa era un Kadampa Geshe, un praticante, uno yogi molto semplice.


Oggi purtroppo spesso i grandi Lama non fanno più nulla di tutto ciò, vivono bene in posti
belli, ben serviti, con buon cibo, e la loro attenzione è rivolta alla raccolta di fondi, e allora è
difficile che ci sia una corrispondenza con un’autentica, originale compassione, con la
bodhicitta. E’ dunque anche difficile per le persone semplici riferirsi a validi esempi, al
contrario, confrontandosi con un cattivo esempio di potere e ricchezza, tutti pensano “anch’io
devo diventare così”.
La pratica del Dharma, la motivazione, è “non diventare così”. Allontanarsi dalla visione
umile e pura è un grave errore che anche la società tibetana del passato ha commesso.
Nella seconda strofa leggiamo:
“Quando sarò con gli altri,
riterrò me stesso come il meno importante,
e mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come se ognuno fosse il più elevato degli esseri”
Ogni volta che incontro gli altri io porrò me stesso a livello più basso e dal profondo del mio
cuore li riterrò come persone preziose. Michele sei d’accordo?
Risposta: Si, se tutti facessero così io sarei a posto!...
Ecco l’atteggiamento sbagliato! E’ tipicamente italiano, di fronte ad un problema, o ad una
qualsiasi necessità, la prima domanda è: “perché io?” “perché io devo praticare la
compassione e non l’altro”, “se prima lo faranno gli altri poi lo farò anch’io”, e così via,
ma questa non è compassione. L’obiezione immediatamente seguente è: “non è giusto”.
Le due tipiche espressioni italiane: “perché io?” e “non è giusto” possono procurarci molto
dolore e panico anche. Quando sento i miei amici ripetere continuamente “è giusto”, “non è
giusto” non posso non ridere sinceramente divertito, perché è così difficile capire cosa sia
giusto e cosa no. Solo la compassione è giusta.
Domanda: Quest'attitudine però si presenta, non solo in particolari situazioni, ma a livello
ordinario quasi come intercalare, per esempio se dico a mio figlio “porta fuori il
cane” lui mi risponde “perché io, non è giusto”, ma forse è soltanto un modo dire
molto banale.
Lama: Si trasmette l'atteggiamento di fondo anche ai bambini, e poi diventa una reazione
automatica. Ines, avvocato, che dici? Gli avvocati si specializzano nel “giusto” o
“non giusto!..”.
Ines: No, il vero avvocato è cosciente che il concetto di giusto e non giusto non è
corretto, ma esiste l’ordine, e la sua funzione è proprio quella di garantire
l’ordine. Volevo invece dire che spesso si sublimano le parole, la preghiera è sul
piano assoluto, ma io essere umano, vivo anche sul piano relativo e sono due
livelli paralleli che scorrono insieme. Nel mio quotidiano so che se sul piano
relativo sono in grado di iniziare ogni giornata recitando e sentendo nel profondo
del cuore queste parole, non posso mantenere tale predisposizione sul lavoro
perché sarei immediatamente aggredita, demolita pezzo per pezzo. Non voglio
dire di dover rispondere con aggressività ma, se conservassi simile
atteggiamento compassionevole pensando che l’altro è la gemma più preziosa
che esista, non potrei sopravvivere. E’ il concetto del porgere l’altra guancia, ma
per favore, dimmi come posso conciliare il piano relativo con quello assoluto.
Lama: E’ vero, nelle situazioni quotidiane le difficoltà sono molte, ma puoi trovare la
risposta osservando la vita di Gandhi. Anche lui era avvocato e al suo ritorno in
India dall’Inghilterra, assunse la difesa di una povera donna, ma era molto
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timido, aveva difficoltà a parlare in tribunale e così perse la causa. Questa prima
esperienza finì male sul piano mondano, fu un fallimento, anche se nel suo cuore
vi era molta compassione, ma forse non ancora così matura da fargli superare la
timidezza causa del disastro.
In seguito, per conto un uomo d’affari mussulmano andò in Sudafrica dove ebbe
modo di vedere tutta l’ingiustizia dell’apartheid e iniziò a combatterla con
nonviolenza, senza che la sua opposizione entrasse mai in contraddizione con la
sua profonda compassione. Se qualcuno lo colpiva si lasciava colpire, non
reagiva, e il momento di convinzione della non violenza fu lo stesso in cui la sua
grande compassione maturò.
Gandhi era in grado di combattere ogni ingiustizia mantenendo sempre inalterata
la pace mentale, Si oppose fermamente all’ingiustizia senza mai danneggiare gli
altri, per questo anche il governo inglese era costretto a trattarlo con grande
rispetto.
Dentro di lui non c’era alcun desiderio di danneggiare gli inglesi, questo
dimostra un livello molto maturo della sua compassione, Puoi combattere le
ingiustizie senza perdere la tua pace mentale nell’amore e compassione, uguale
per tutti gli esseri senzienti.
Gandhi era un personaggio unico, la sua pratica di amore e compassione non era
nata in questa vita, sicuramente era il risultato di vite precedenti, perché in lui
scaturiva con estrema naturalezza.
L’Amore e la compassione sono lo strumento più potente per combattere
l’ingiustizia, il modo esiste, ma dipende da ogni situazione, dal karma, dal
grande karma. Questo in teoria, ma a livello pratico dipende da molteplici fattori,
da condizione appropriate.
Gandhi ha incontrato condizioni adatte per esprimere la sua grande compassione
e ha così potuto raggiungere il successo. Spesso le qualità spirituali sono
presenti, realizzate, ma mancano le condizioni adeguate che permettano il
raggiungimento dell’obiettivo, per questo dobbiamo aspettare con molta
pazienza, accumulare meriti e saggezza per poter incontrare le giuste condizioni.
In un famoso romanzo di Hermann Hesse “Siddharta” vi sono alcune descrizioni
molto interessanti, e tra queste mi ha colpito la risposta di Siddharta in merito
alle sue capacità, egli dice di saper fare solo tre cose: “come digiunare, come
aspettare e come pensare”. Con tre semplici azioni descrive le qualità importanti
nella vita: la saggezza, la rinuncia, la compassione, la pazienza. Avere la
capacità di rimanere nella calma mentale, senza disperarsi anche quando si è
senza cibo, e la capacità di aspettare le giuste condizioni, il giusto momento.
Quando arriverà il giusto momento ci sarà anche il cibo. Essere in grado di
pensare, di riflettere, senza disperazione per la mancanza di cibo, rimanere nella
calma mentale, in altre parole, saper digiunare, aspettare e pensare è il Dharma,
la meditazione.
Domanda: E’ strano pensare che la compassione sia un aspetto della mente, mi sembra invece
che ciò possa avvenire solo attraverso un’azione trasformatrice, perché a me pare
piuttosto che la nostra mente sia propensa all’egoismo, e a tutto ciò che non è
compassione, perciò si dice di trasformare la mente?
Lama: Il fatto che la compassione sia una qualità della mente non significa che avvenga
naturalmente, richiede uno sforzo. Se non fosse una qualità della mente
avverrebbe spontaneamente.
Domanda: Non capisco, che significa “se non fosse una qualità della mente avverrebbe
spontaneamente”?

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Lama: La qualità della mente sottintende che la mente abbia la capacità di sviluppare
quella qualità, è una caratteristica distintiva della mente. Gli aspetti negativi
della mente non sono connaturati alla mente, ne sono estranei, la disturbano
entrano in essa e confondendola, perciò devono essere eliminati. Le qualità della
mente per loro natura non possono mai disturbare la mente, la compassione non
può in nessun caso essere di turbamento. Su questi aspetti si deve riflettere.
A conclusione della mattinata leggiamo tutti insieme il testo che stiamo analizzando, al fine di
sviluppare la compassione e la grande compassione.

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7. Gli Otto Versi della Trasformazione della Mente


di Kadampa Geshe Langri Tanga

Considerando tutti gli esseri senzienti


superiori alla gemma che esaudisce i desideri
per realizzare il fine supremo 1
possa io costantemente prenderli a cuore.

Quando sarò con gli altri,


riterrò me stesso come il meno importante,
e mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come se ognuno fosse il più elevato degli esseri.

Vigile, ogni volta che sorge un’emozione negativa 2


Che possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò e l’eliminerò
senza indugio.

Vedendo esseri in preda alla malvagità


Intenti a violente azioni negative 3 , sopraffatti da sofferenze 4 ,
avrò sempre cura di tali creature così rare,
come se avessi trovato un tesoro prezioso.

Quando altri, per invidia, mi maltratteranno,


mi insulteranno o faranno cose simili,
accetterò la sconfitta e offrirò la vittoria.

Quando qualcuno a cui ho fatto del bene


e in cui ho riposto grandi speranze
mi infligge un danno terribile,
lo considererò il mio santo amico spirituale 5 .

In breve, direttamente e indirettamente, offro


Ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri 6 ;
possa io segretamente prendere su di me
tutte le loro azioni negative e sofferenze.

Possa la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate


dalle otto preoccupazioni mondane 7 ,
e, consapevole che tutte le cose sono illusorie,
possa io, privo di attaccamento, essere libero dal samsara 8 .

1
Fine supremo: lo stato di completa illuminazione, lo stato di Buddha.
2
Emozione negativa: (in tibetano nyon mong) le contaminazioni mentali quali rabbia, attaccamento, ignoranza
3
Azioni negative: (in tibetano dig pa) una disposizione mentale causata da un’azione negativa commessa.
4
Sofferenze: (in pali dukkha) la verità della Sofferenza, che ha tre livelli: sofferenza del dolore, sofferenza del
cambiamento, sofferenza del samsara.
5
Amico spirituale: (in tibetano ge wei she nyen, Geshe) colui che aiuta a fare azioni virtuose.
6
Madri: - tutti gli esseri senzienti sono state nostre madri. – La persona più cara e quella più giovevole.
7
Otto preoccupazioni mondane: le idee generate dal guardare attraverso gli occhi dell’attaccamento e
dell’avversione, sono: piacere e dispiacere, vittoria e perdita, lode e biasimo, gloria e disgrazia.
8
Samsara: (termine sanscrito, in tibetano khor wa) attaccamento bramoso alle cose mondane che fa permanere
nel circolo della sofferenza e dell’insoddisfazione.
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Parte Terza

8. L’Amore cristiano - la Compassione buddista.


Sono stati posti due interrogativi:
1. “qual è la radice del Dharma?” e la riposta è: “la compassione”;
2. “perché la compassione è alla radice di tutti i Dharma?” e adesso, meditatori,
rispondete.
Risposta: Perché la compassione genera la bodhicitta….
Risposta: E’ la bodhicitta che genera la compassione…..
Kamalashila negli “Stadi della Meditazione” indica che: “Se avete la compassione allora
possedete il Dharma di tutti i Buddha”.
Quando c’è la presenza della compassione c’è la presenza di tutti i Dharma. Con una metafora
si rappresenta la compassione come l’anima di tutti i Dharma e se vi è compassione tutte le
facoltà umane hanno senso, ma senza di essa le stesse facoltà sono assolutamente prive di
ogni significato.
Sono fondamentali i due interrogativi “qual è la radice di tutti i Dharma” e “perché la
compassione è alla radice di tutti i Dharma”, entrambi in tutte le religioni danno il senso alla
pratica dell’amore e della compassione.
Noi viviamo nel XXI° secolo, in una società multietnica e multiculturale, è dunque
indispensabile comprendere profondamente la fonte dei consigli spirituali dati nelle diverse
religioni.
Non è possibile, oggi, continuare ad arroccarsi su posizioni del passato e affermare “la
compassione buddhista è un passo avanti all’amore cristiano” o, viceversa, “l’amore cristiano
è comunque superiore alla compassione buddhista”. Se voi siete legati a simili
discriminazioni è segno che siete ancora non civilizzati.
Solo se avete una visione ampia e praticate l’amore e la compassione con cuore aperto sarete
di grande beneficio a voi stessi e agli altri.
Se invece pretendete di praticare l’amore e la compassione rimanendo arroccati su posizioni
integraliste del passato, otterrete solo l’infelicità e la chiusura della mente.
Tenendo a mente questi due aspetti essenziali, procediamo nell’analisi degli otto versi di
Kadampa Geshe. La terza strofa:
“Vigile, ogni volta che sorge un’emozione negativa
Che possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò e l’eliminerò
senza indugio.”
Si pone l’accento sull’importanza della consapevolezza, della presenza mentale vigile,
attitudine indispensabile alla pratica dell’amore e della compassione.
Ci si può chiedere se sia sufficiente la pratica della consapevolezza per praticare il Dharma,
ma sicuramente non si può prescindere da essa in nessun caso, è necessario mantenersi
sempre vigili, sapere in ogni momento della vita ciò che sta succedendo e perchè. Dobbiamo
conoscere le motivazioni, le intenzioni che inducono le nostre azioni quotidiane, consapevoli
di ciò che sta succedendo nella mente e nel cuore.

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Alcuni gruppi buddhisti dedicano una particolare attenzione e approfondiscono la pratica


della consapevolezza sapendo quanto ciò sia rilevante per la pratica del Dharma. Non è però
sufficiente avere la consapevolezza, perché è necessario riflettere sulla considerazione
immediatamente seguente: “di cosa voglio essere consapevole?”
E’ bene essere sempre vigili e attenti ad ogni istante, ma perché, per che cosa? Per la
consapevolezza del Dharma; cioè la consapevolezza dell’amore e della compassione.
Può succedere che osservando un evento voi riusciate ad essere attenti e consapevoli però, se
non avete amore e compassione, non c’è Dharma, è solo consapevolezza.
Se invece osservate quello stesso evento vigili nell’amore e nella compassione attuate il
Dharma; è la consapevolezza dell’amore e della compassione, la consapevolezza del Dharma.
Se non si è sempre vigili è facile cadere in fraintendimenti, e la consapevolezza è un
importantissimo mezzo per la pratica del Dharma.
Se nella vostra mente c’è amore e compassione tutto ciò che vi passa davanti è filtrato dalla
consapevolezza del cuore, e in questo modo è facilmente eliminabile qualsiasi influenza
negativa venga verso di voi. Questo è il significato della terza strofa:
Vigile, ogni volta che sorge un’emozione negativa
Che possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò e l’eliminerò
senza indugio.
Le negatività non si possono eliminare con la forza, con la violenza ma, naturalmente, come
conseguenza diretta dell’amore e della compassione.
Come si combatte l’attacco delle emozioni negative? Come si può avere la capacità di
annullarle immediatamente?
Non con la sola consapevolezza, ma con la consapevolezza dell’amore e della compassione,
con la costante presenza mentale. E’ un buon antivirus!
La quarta strofa:
“Vedendo esseri in preda alla malvagità
Intenti a violente azioni negative, sopraffatti da sofferenze, avrò sempre cura di tali creature
così rare,
come se avessi trovato un tesoro prezioso.”
Potreste pensare che questo sia al di là delle vostre capacità, ma non è così, se in voi
albergano l’amore e la compassione, il loro potere rende possibile la realizzazione di ogni
armonizzazione.
Se non riuscite ad accettare una situazione così grave significa che dentro di voi c’è conflitto,
invece nell’amore e nella compassione è possibile armonizzare anche gli aspetti più negativi,
questo è il Dharma.
Affrontare una persona molto negativa è un’opportunità rara e preziosa, è rarissimo incontrare
persone negative.
Gruppo: (Si sentono spontanei Noo!….)
E’ un’opportunità rara, alcuni miei amici, quando incontrano una situazione sfortunata o
negativa dicono: “che disgrazia”, “porta sfortuna”, ma per la bodhicitta e la compassione non
esiste la sfortuna o la disgrazia, esiste solo la grande sfida di stabilizzare in sé l’amore e la
compassione.
La prima volta che vi confrontate con una realtà negativa provate dolore, ma dovete andare
oltre, osservarlo rilassati. Se analizzate la situazione difficile potete vedere che avete gli

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

strumenti per superarla, e quindi vi tranquillizzate. Se invece non affrontate mai condizioni
problematiche non avrete la possibilità di sentirvi rilassati, è paradossale, ma è così. Solo
affrontando le difficoltà superandole è possibile provare un profondo rilassamento. Con
l’amore e la compassione il futuro sarà sempre buono, anche quando vi troverete di fronte a
problemi e a realtà dure.
La quinta strofa:
“Quando altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi insulteranno o faranno cose simili,
accetterò la sconfitta e offrirò la vittoria.”
Posso offrire la vittoria agli altri e accogliere la sconfitta; se ricevo insulti e male parole o
sono accusato, li accetto come purificazione, perché la persona che mi offre tale possibilità
potrebbe essere un Bodhisattva o un Buddha, io non posso saperlo. La situazione è
semplicemente il risultato del mio karma negativo.
Si legge nel Dharmapada, famoso canone buddhista sutra, la raccomandazione a non
rispondere mai agli insulti e alle cattive parole con lo stesso tono aggressivo. Buddha ha detto
che la rabbia non sarà mai superata con la rabbia, ma con la pazienza.
Anche nel Vangelo Gesù offre lo stesso insegnamento; nel cristianesimo si usa la parola
“tolleranza” e nel buddhismo “pazienza”, ma entrambe esprimono la stessa realtà interiore.
Quando una persona ci apostrofa con parole dure ne siamo feriti perché non abbiamo
tolleranza e, non a causa di quelle parole. Le parole, anche le peggiori, non hanno alcun
potere, non sono nulla, sono solo parole, malgrado ciò, nella nostra fragilità essendo privi
della protezione della tolleranza, ne siamo colpiti. Se invece il nostro cuore possiede la difesa
della tolleranza, nell’amore e nella compassione posiamo offrire la vittoria agli altri con
facilità, con gioia.
Intervento: Ma è difficile!...
Lama: Al momento può sembrare difficile, ma se ti impegni con sforzo, con consapevolezza
la situazione interiore può davvero trasformarsi. Ci vuole un po’ di coraggio.
Sesta strofa:
“Quando qualcuno a cui ho fatto del bene
e in cui ho riposto grandi speranze
mi infligge un danno terribile,
lo considererò il mio santo amico spirituale”
Ci ritroviamo frequentemente in circostanze così dolorose perché siamo soggetti
all’attaccamento, all’attesa di un corrispettivo adeguato alle nostre buone azioni nei confronti
del prossimo. In questo caso le nostre “buone azioni” non sono pure.
Siamo soprattutto coinvolti con i parenti, con gli amici: “Com’è possibile, ho fatto del mio
meglio, solo del bene, e adesso sono ripagato con una totale ingratitudine e cattiveria…”. Ma
è frutto del karma, dunque la persona che ci permette tale purificazione è davvero un santo
amico spirituale. E’ possibile comprendere il significato profondo di un simile dono solo se in
noi c’è presenza autentica di amore e compassione. Questa è una grande capacità e qualità
dell’amore e della compassione.
Le pratiche dei Kadampa Geshe sono così, sempre attive, quando dormono, quando lavorano,
in ogni momento della loro vita, sono l’interesse principale del loro cuore.
La settima strofa è il riassunto dell’intera pratica del Bodhisattva:
“In breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

possa io segretamente prendere su di me


tutte le loro azioni negative e sofferenze.”
“Direttamente e indirettamente” significa che incontriamo alcune persone direttamente,
mentre tocchiamo in modo indiretto altre. Offro ogni beneficio e felicità agli altri e prendo su
di me tutte le loro sofferenze e problemi.
Nella società attuale questa intenzione induce alla fuga molte persone, spaventate all’idea di
prendere su di sé tanta sofferenza, ma nell’amore e nella compassione tutto è realizzabile,
senza nessun problema, accrescendo infinitamente l’amore e la compassione stessi.
L’identico concetto è espresso nel cristianesimo da Gesù che prende su di sé tutte le
sofferenze del mondo, è la generazione dell’amore e della compassione. Lui, nel dono senza
riserve, è riuscito a sopportare tutto, trasformando il dolore in gioia.
Intervento: Magari un po’ ha sofferto…
Secondo un’interpretazione umana, soprattutto quella dei registi i quali, per attrarre il
pubblico, hanno realizzato film veramente terribili. Pur non conoscendo nulla dell’aspetto
spirituale i registi si concentrano soprattutto sugli effetti speciali, evidenziano gli aspetti
politici dell’epoca e sollecitando reazioni emotive. Se invece si approfondisce la realtà
spirituale, si può comprendere il vero messaggio e non vi è nulla di negativo nel vedere Gesù
Cristo come un Bodhisattva.
Domanda: La sofferenza di Cristo però è descritta nei vangeli, non è un’invenzione dei
registi. Gesù la esprime chiaramente quando prega il Padre di allontanare da lui
il calice amaro.
Lama: Le azioni dei Bodhisattva sono sempre misteriose, sono al di là delle interpretazioni
umane, dell’immaginazione degli esseri umani.
Domanda: I Bodhisattva sono normali esseri umani o sono altro?
Lama: Fisicamente i Bodhisattva potrebbero essere persone assolutamente normali, ma
all’interno del loro cuore vi è la bodhicitta e la grande compassione.
Domanda: Si nasce Bodhisattva o si diventa?
Lama: Si diventa, quando si sviluppa la bodhicitta si diventa Bodhisattva.
Domanda: Però un cattolico si offenderebbe se tu affermassi che Gesù è un Bodhisattva, lo
considererebbe riduttivo, blasfemo, perché per lui Cristo è Dio, non è il
mediatore tra l’assoluto e l’essere ordinario, è l’incarnazione divina, il figlio
unigenito di Dio.
Lama: Questo succede a chi non possiede una comprensione spirituale ricca, ma persone
che hanno una profonda conoscenza spirituale troveranno sempre un punto di
incontro, una realtà comune.
Qualche mese fa la Rai trasmise un’intervista al cardinal Martini, persona molto
amata e importante nel mondo cattolico, gli si chiedeva un’opinione sul dialogo
interreligioso e lui rispose raccontando una bellissima esperienza: “Un giorno, in
Asia, ebbi l’occasione di incontrare un monaco buddhista, io gli parlai di Dio e
lui della Vacuità, alla fine scoprimmo che entrambi stavamo parlando della
stessa cosa, stavamo esprimendo un unico concetto”.
Coloro che hanno un’esperienza religiosa profondamente autentica non si
fermano alle parole, alla lettera dei termini, non cercano superficialmente ogni
possibile motivo di divisione, confrontano le loro esperienze profonde cercando
tutti i punti di unione.
Poco dopo partecipai ad una conferenza in Vaticano e vi incontrai un amico, ora
arcivescovo della curia vaticana, che in quell’occasione fungeva da moderatore
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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

dell’evento, anche lui aveva ascoltato l’intervista al cardinal Martini e mi disse:


“si è vero, a volte Dio è proprio come un buco nero”. Erano presenti anche
giovani mussulmani, molto intelligenti, che affermarono entusiasticamente che il
concetto di “vacuità” è importantissimo nella tradizione islamica, è lo zero, in
sanscrito la vacuità è sunyata e corrisponde allo zero. Nell’Islam lo zero è il
simbolo di Dio.
E’ stato uno scambio di esperienze arricchente e magnifico, quando ci si incontra
in modo armonioso, senza fanatismo, per parlare della pratica spirituale si
scoprono connessioni interessanti.
Pensate ad un buffet, sulla tavola ci sono gli stessi piatti, non importa se chi si
serve sia mussulmano o cattolico o buddhista, ognuno mangia con gli altri in
armonia, ma poi può succedere che queste stesse persone, terminato il buffet,
sedute al tavolo di discussione, diventino delle tigri, afferrandosi alle proprie
identità, ritenute ovviamente superiori, “noi siamo monoteisti, voi politeisti, voi
non credete in Dio….”, e la discussione diventa durissima, tutto si trasforma in
marmo, senza alcuna possibilità di reale scambio dei valori religiosi delle diverse
e arricchenti esperienze, ci si ferma alla sola terminologia dove non esiste né
amore né compassione, è un incontro tra persone incivili. E’ grande la differenza
degli incontri tra persone autenticamente spirituali o tra coloro che solo
superficialmente e apparentemente si proclamano religiose.
L’amore e la compassione sono un’unica realtà, uguale per tutti, quindi possa dare io felicità e
beneficio a tutti e prendere su di me tutta la loro sofferenza.

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9. Gli otto dharma mondani


Ottava strofa:
“Possa la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
dalle otto preoccupazioni mondane,
e, consapevole che tutte le cose sono illusorie,
possa io, privo di attaccamento, essere libero dal samsara."

Le otto preoccupazioni mondane sono: piacere e dispiacere - vittoria e perdita - lode e


biasimo - gloria e disgrazia.
Le prime due riguardano il piacere che si prova se si ottiene qualcosa, e il disappunto se lo si
perde.
La pratica del Dharma non dovrebbe essere influenzata da nessuna delle otto preoccupazioni
mondane.
Vi voglio raccontare la storia del grande yogi tibetano, il Kadampa Geshe Bengunje, prima
però è necessario comprendere il significato del termine Kadampa: “Ka” è “insegnamento del
Buddha”, “Dam” “istruzione”, quindi “Kadam” è il completo l’insegnamento del Buddha
accolto come istruzione per la pratica del Dharma.
Tale definizione è attualissima, ed è l’esatto opposto della tendenza della società moderna a
volersi ancorare al passato nella sicurezza di identità consolidate e statiche. In Tibet è quasi
una necessità identificarsi con una delle grandi scuole: “io sono Kagyupa, io invece Gelupa,
io Nyingmapa, io Sakyapa!...” e in Italia altrettanto: “io sono Theravada, io Vipassana, io di
Thich Nath Han, io Zen, io Chan, io invece appartengo a questa o a quest’altra scuola del
buddhismo tibetano!....” Tutto ciò non ha alcun senso, è una vera e grave malattia del
buddhismo. Allo stesso modo non c’è motivo di volersi definire categoricamente “io sono
cristiano, io sono buddhista…”; tutto è uguale!
Kadam significa esattamente che non esistono distinzioni negli insegnamenti del Buddha. Un
Kadampa vero non dirà mai questo è un insegnamento theravada, oppure quest’altro è
Hinayana, non è possibile, perché qualsiasi insegnamento del Buddha fa parte delle istruzioni
per la pratica del Dharma; i Kadampa Geshe ne hanno colto l’essenza profonda, e infatti la
scuola Kadampa non esiste istituzionalmente.
Domanda: Istituzionalmente significa formalmente, ma informalmente?
Lama: Informalmente puoi essere kadampa.
Kadampa è qualcosa di molto speciale e il Kadampa Geshe è l’amico spirituale virtuoso, e i
buddhisti italiani dovrebbero diventare Kadampa Geshe eliminando ogni etichetta, così da
trasformarsi in autentici praticanti del Dharma.
Ritorniamo alla storia di Bengunje, un famoso e temutissimo ladro. Un giorno incontrò una
povera donna che, non possedendo nulla, non poteva essere derubata, ma conosceva
comunque la fama e il nome del pericoloso malfattore. La donna, incontrandolo gli chiese
com’è d’abitudine in Tibet: “Come ti chiami?” e udendo “sono Bengunje, ebbe un tale
spavento che fu colpita da un collasso e, in quel preciso istante, in Bengunje maturò il seme
del Dharma.
Egli si rese conto della gravità delle sue azioni quando, al solo sentire pronunciare il suo
nome, la povera donna era stramazzata, così decise di cambiare vita e divenne uno yogi
kadampa. Non era istruito, ma cominciò a praticare il Dharma, cambiò atteggiamento nella
consapevolezza: “vigile ogni volta che sorge un’emozione negativa che possa nuocere me o
gli altri, l’affronterò e l’eliminerò senza indugio”.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Cominciò pazientemente a praticare alla maniera tibetana, raccolse molte pietre bianche e
nere e meditò, senza palestra, senza musichetta, senza incenso, se ne stava seduto in terra,
vigile, e se era colto da un’emozione negativa spostava pietra nera, se invece l’emozione era
positiva, una pietra bianca. Alla fine della giornata contava le pietre dividendole, all’inizio
quelle nere erano molto più numerose di quelle bianche, ma poi, pian piano, continuando a
meditare, le pietre nere erano sempre meno, mentre aumentavano quelle bianche. Alla fine
divenne un grande Geshe Kadampa.
Un giorno, mentre era assorbito nello stato meditativo, seppe che stava arrivando il suo
benefattore e si dette immediatamente da fare per preparare bene l’altare, preoccupato di
presentarsi nel migliore dei modi e ci mise tutto l’impegno malgrado vivesse senza nulla in
una grotta in montagna con soli sassi, poi, terminato il lavoro, riprese la meditazione e allora
si rese conto che il suo era un atteggiamento sbagliato, così raccolse una manciata di terra e la
gettò sull’altare.
In quello stesso istante, nell’India meridionale, il grande maestro Pa Dampa Sangyé ebbe la
visione di questo fatto e sorrise soddisfatto, e, poiché solitamente era uno yogi serio e severo,
uno dei suoi discepoli, stupito, gli chiese perché sorridesse, ed egli rispose “c’è una persona
che è riuscita a lanciare terra contro le otto maggiori preoccupazioni mondane”. Infatti
Bengunje aveva preparato l’altare con tanta cura solo per pavoneggiarsi con il benefattore
che, vedendo quanto lui fosse un buon meditatore, lo avrebbe premiato con ulteriori offerte.
Tale atteggiamento concentrava tutte le otto preoccupazioni mondane che, non solo
producevano karma negativo, ma avevano anche ottenebrato la consapevolezza.
Ritornando alla meditazione Bengunje aveva potuto rendersi conto della situazione e
sporcando di terra l’altare aveva eliminato le otto preoccupazioni mondane, il gesto non
esprimeva certamente rabbia contro l’altare, ma la volontà di annullare la sua disposizione
mentale negativa.
L’esempio di Bengunje ci fa comprendere come la pratica del Dharma non dovrebbe mai
essere contaminata dalle otto preoccupazioni mondane, e la loro eliminazione, così necessaria,
è una grande pratica che solo i più coraggiosi riescono a fare.
Non è facile praticare il Dharma, può essere affascinante e allettante fermarsi all’esteriorità, ai
bei templi, a maestosi troni, ad altari ricchi di oggetti preziosi, ma la pratica del Dharma è
tuttaltra cosa e ci è indicata dai kadampa Geshe che, indifferenti all’apparenza, sono rimasti
saldi e concentrati sulla bodhicitta, sulla grande compassione.
Riprendiamo dunque l’analisi delle due prime preoccupazioni mondane: quando si consegue
un guadagno si è felici, e quando si soffre una perdita si diventa infelici. Ma, se siete
praticanti nella compassione, quando ottenete qualcosa ciò è normale, quando subite una
perdita è altrettanto normale, rimanete nell’equanimità; la compassione è uno stato mentale
equanime.
Le preoccupazioni di vittoria e perdita, lode e biasimo sono costantemente presenti nella
nostra vita e rappresentano un enorme problema: quando siamo apprezzati e qualcuno di loda
dicendo “come sei bravo, perfetto, bello….”, siamo felici, ma, al contrario, se siamo
disprezzati e criticati ci sentiamo profondamente infelici, in entrambe le situazioni non c’è
Dharma. Per un vero praticante la lode o il biasimo sono la stessa cosa, pura equanimità,
questo è il Mahamudra, il grande gesto.
Atre preoccupazioni sono gloria e disgrazia: se vi succede un evento particolarmente
fortunato e favorevole, ad esempio vincete alla lotteria, siete entusiasti e vi sentite felici, ma
quando qualcosa va male precipitate nell’infelicità, entrambe le condizioni non sono Dharma.
Il Dharma è equanimità, dal punto di vista dell’amore e della compassione sono uguali.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Piacere e dispiacere: quando siete in buona salute vi sentite felici, e quando vi ammalate
assolutamente infelici, entrambi i casi rientrano nel dharma mondano che non è il Dharma
puro. Un praticante invece sa che quando è malato è la stessa persona di quando è sano, è
esattamente la stessa persona, nulla cambia, perché nella bodhicitta, nella compassione, si ha
l’autentica personalità stabile.
La grande compassione non è influenzata né dallo stato fisico né dagli avvenimenti della vita,
né dal giudizio altrui, da nulla, perché va oltre, al di là, questo è il Dharma.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

10. La radice del samsara - visione illusoria


La mente deve riconoscere tutti i fenomeni come illusori, questa è la visione del vuoto della
vacuità.
Possa io essere liberato dall’attaccamento alle cose, agli avvenimenti perché l’attaccamento è
legato alla visione illusoria.
Una volta che ci si rende conto che tutte le cose sono illusione si è automaticamente liberati
dall’attaccamento. L’attaccamento ai fenomeni illusori è la radice del samsara, mentre la
radice del Dharma è la compassione.
Ci sono dunque due radici, la radice del Dharma, che porta alla liberazione, e la radice del
samsara, che porta invece alla sofferenza senza fine del permanere nel samsara.
Gli “Otto Versi della Trasformazione della Mente” sono importantissimi perché ci indicano
come sviluppare la compassione, la grande compassione e la bodhicitta. Ho scelto questo
testo perchè è chiaro e accessibile, se la spiegazione fosse più teorica e astratta ci sarebbero
maggiori difficoltà di comprensione.
La compassione è sviluppata in tutte le pratiche buddhiste e fa parte della natura umana, in
ognuno di noi è presente naturalmente il sentimento di compassione, chiaro segno che la
nostra natura di base è positiva e rende possibile la costruzione della grande compassione.
La grande compassione consiste nel considerare e trattare tutti gli esseri senzienti allo stesso
modo, senza distinzioni, nella grande equanimità. Se offrissimo amore e compassione solo ad
alcuni, secondo un criterio discriminante, trasformeremmo il dono in fonte inesauribile di
sofferenza, non sarebbe realizzato nell’equanimità.
Che cosa è portare beneficio in modo equo a tutti gli esseri senzienti? lavorare per il
benessere di tutti? offrire la miglior soluzione per risolvere i loro problemi?
Risposte: l’insegnamento - offrire il Dharma - la compassione, la benevolenza, la pace…
Tecnicamente esiste una spiegazione più chiara, ciò che possiamo offrire a tutti gli esseri
senzienti per il loro reale beneficio, è la soluzione definitiva, portare tutti gli esseri senzienti
allo stato dell’illuminazione. Questo deve essere molto chiaro, e come lo possiamo fare?
Risposte: Con la consapevolezza dell’amore e compassione - Diventando illuminati -
L’unico modo per portare tutti gli esseri senzienti allo stato dell’illuminazione, definitivo, è
tramite la realizzazione di tale stato in noi stessi, quindi, come fare?
Risposte: Applicare il Dharma - Praticando le sei perfezioni -
Si, attuando le sei perfezioni, ma sto tentando di spiegarvi la bodhicitta, che è l’intenzione di
condurre tutti gli esseri senzienti allo stato di illuminazione. Però non è sufficiente la buona
volontà, è necessario che io prima entri in quello stato in modo da poterli guidare in esso. Se
io non avrò raggiunto tale capacità non sarò in grado di portarvi altri.
Domanda: Però per arrivare tu in quello stato devi avere il pensiero di voler illuminare
loro….
Certamente, l’intenzione altruistica è fondamentale, in caso contrario sarebbe un’impresa
impossibile. Le due aspirazioni all’illuminazione sono inscindibilmente connesse e
costituiscono la bodhicitta. La domanda successiva potrebbe essere: “perché devo illuminarmi
prima io per portare gli altri all’illuminazione, e non viceversa? Perché non potrebbero essere
gli altri che portano me?”
Risposte: Perché prima di tutto dobbiamo liberarci noi dalla sofferenza - Perché se non
t’illumini tu non t’illumina nessuno - Tutti gli altri possono illuminarsi, ma se tu
non hai l’intenzione di illuminarti non raggiungerai mai l’obiettivo - Perché è più
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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

economico, si illumina uno per illuminare tutti, come diceva Santideva “perché
foderare tutto il mondo di cuoio, è sufficiente un paio di scarpe”…
E’ necessario sviluppare la mente pura, in tibetano il termine è lhak sam e significa “io lo
farò” senza aspettare che siano gli altri a farlo per me, dunque la tipica domanda degli
italiani: “perché proprio io?” non ha senso.
Lhak sam è fondamentale, per esempio ora siamo qui tutti insieme e se c’è qualcosa da fare e
abbiamo il cuore puro, indispensabile allo sviluppo della bodhicitta, non pensiamo: “forse lo
farà qualcun altro”, ma: “lo farò io”.
(a questo punto qualcuno, scherzando, obietta che è un’attitudine fortemente egocentrica)
Lama: bellissima interpretazione!.. le cose positive le faccio io, le cose negative le fanno gli
altri, ecco l’egocentrismo.
Il lhak sam, la volontà di portare tutti gli esseri senzienti all’illuminazione, da dove
viene?
Risposte: Dal fatto che se non lo fai tu non lo fa nessuno - Dalla compassione - Dalla
consapevolezza che la natura primordiale della mente è pura da sempre -
Dall’attitudine, nel senso che quando intraprendi questo percorso non lo puoi
abbandonare, ne sei completamente coinvolto.
Lhak sam sorge dalla grande compassione, e la grande compassione da cosa viene?
Risposte: Dalla consapevolezza, dall’amore verso gli altri.
La consapevolezza c’è sempre, la grande compassione scaturisce dalla gentilezza
amorevole. Che differenza c’è tra gentilezza amorevole e grande compassione?
Risposte: Forse la gentilezza amorevole è rivolta a qualcuno, mentre la grande compassione
non ha un oggetto particolare - C’è connessione, la sofferenza fa la
distinzione….
La grande compassione è vedere gli esseri senzienti nella loro natura di sofferenza, concerne
soprattutto l’aspetto di sofferenza dell’esistenza, invece la gentilezza amorevole è qualcosa
che si sente da vicino, osservando gli altri esseri senzienti è come se in ogni essere voi vedeste
sempre una persona cara, amata, come se fosse vostro figlio o vostra madre.
Da dove viene la gentilezza amorevole?
Risposte: Dall’equanimità.
Perfetto, nell’equanimità non ci sono più né amici né nemici, non c’è attaccamento o
avversione. Dal punto di vista del Dharma non c’è differenza, non esiste chi ami di più, chi
odi, chi ignori, tutti soffrono allo stesso modo, tutti sono preziosi allo stesso modo.
Equanimità!
Domanda: Come si può essere equanimi nella vita quotidiana, se ad esempio si è sposati, si
ha una famiglia, com’è possibile non discriminare e occuparsi di tutti allo stesso
modo? la condizione umana è comunque limitata.
Lama: Puoi farlo solo a livello spirituale, a livello materiale è impossibile, questo è il “Lo
Jong” la risposta è in “direttamente e indirettamente”, leggi il settimo verso:
“In breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri
possa io segretamente prendere su di me
tutte le loro azioni negative e sofferenze.”
E’ importante il prendersi cura degli altri “direttamente e indirettamente”; direttamente è
possibile offrire aiuto a livello materiale, ma indirettamente no. Ad esempio ci può essere una
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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

situazione in cui tu stai litigando con una persona, oppure non sei in grado di aiutarla
concretamente, però, indirettamente, puoi sempre trasmetterle amore e compassione. E’ anche
fondamentale offrire ogni beneficio “segretamente”.
Il processo di sviluppo della compassione, della grande compassione e della bodhicitta, la
radice di tutto il Dharma, avviene con la seguente successione: prima di tutto l’equanimità,
poi la gentilezza amorevole, poi la grande compassione, poi il cuore puro e, infine, la
bodhicitta.
Rileggiamo ora insieme gli otto versi e poi meditiamo sull’amore e sulla compassione.

(Segue lettura degli otto versi e meditazione)

Mi rendo conto di quanto sia difficile la realizzazione, ma non si può pretendere di ottenerla
immediatamente, è un processo di crescita lungo, è come se piantassimo i semi nella mente, e
poi, come è successo a Bengunje, il momento opportuno si presenterà quando il frutto sarà
maturo; Le buone cause e condizioni faranno germogliare i semi, crescere la pianta e maturare
il frutto. L’aspirazione alla bodhicitta è ottima ma è difficile diventare bodhisattva
immediatamente.
Ricordate, è importantissimo applicare sempre sia la meditazione analitica che la
contemplazione.
Siamo così giunti al termine del nostro incontro e possiamo, insieme, concludere con la
pratica di Chenrezig. Il mantra di Avalokitesvara “OM MANI PEME HUM” ha purificato
tutto il Tibet, con la pratica del tong len, dare la propria gioia e prender su di sé la sofferenza
altrui. Un tempo il Tibet era la terra di Avalokitesvara, il nome “Potala”, dato alla dimora del
Dalai Lama a Lhasa, indica la pura terra di Avalokitesvara. Molti tibetani pensano che la terra
pura di Avalokitesvara sia una realtà fuori da sé, e lo stesso Avalokitesvara è visto come
un’entità esterna, in realtà tutte queste raffigurazioni sono qualità interiori, la purezza della
propria mente è Avalokitesvara.
Avalokitesvara significa Amore e Compassione e Manjusri significa Saggezza, tutte
qualità interiori, è un punto molto importante da comprendere e ricordare.
Abbiamo spiegato gli stadi della meditazione, la compassione e la bodhicitta, quindi ora
dobbiamo fare del nostro meglio per svilupparli nella mente, in questa vita in tutte le vite,
quindi non pensiate che ciò possa avvenire domani o dopodomani.

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Conclusioni

Grazie per essere stati con me, il Centro Milarepa è sempre molto gentile nel programmare e
organizzare questi incontri, i praticanti sono autentici, con il cuore semplice, e trasmettono la
semplicità e genuinità di Lama Giang Chub.
Generalmente il popolo tibetano è molto speciale, realmente onesto, semplice e puro, anche
se, certamente, ci sono gli stupidi che possono rovinare l’immagine dell’intera nazione. Io non
sono mai stato in Tibet, ma ho incontrato comunità tibetane in India, in Nepal, dove ho
vissuto l’infanzia con i miei genitori e ho potuto constatare quanta purezza di cuore ci sia
ancora in queste persone.
Invece la nuova generazione di tibetani è purtroppo molto diversa, in Tibet crescono educati
secondo i metodi e la mentalità cinese; fuori dal Tibet invece nella cultura del paese ospitante,
India o Nepal ed è quasi impossibile che riescano a mantenere la cultura tibetana autentica che
oggi rischia di essere persa per sempre Voi state conservando, mantenendo viva l’antica
cultura di un intero popolo e per questo siete molto speciali per loro.
Personalmente ho una grandissima ammirazione per gli anziani tibetani, che purtroppo stanno
morendo, e con loro tutto scomparirà, ma questa è la storia dell’umanità.
Sul territorio italiano c’è la piccolissima Repubblica di San Marino, che non ha più di 60.000
abitanti, eppure riesce a vivere indisturbata in piena tolleranza, conservando autonomia e
cultura, ed è un magnifico fenomeno tipicamente europeo perché in Asia questo non sarebbe
possibile, i grandi vogliono dominare i piccoli, cancellare completamente ogni ricordo della
loro esistenza indipendente. Se voi riuscite a mantenere viva l’antica cultura tibetana fate una
cosa grande, perché essa è lo spirito del cuore del popolo tibetano.
Uno dei compiti della mia vita è anche quello di conservare questa tradizione perché, anche se
non sono nato in Tibet, sono stato allevato come un tibetano, nella pura cultura, e mi sento
fortunato perché non è cosa che avvenga facilmente. Abbiamo un interesse comune e per
questo ci troviamo e pratichiamo insieme, abbiamo un karma comune.
Ciò che stiamo facendo è speciale, prezioso e raro, ma è necessario conoscere esattamente
cos’è la pura cultura tibetana e ricordare l’affermazione del Dalai Lama: “tutto quello che noi
tibetani abbiamo è il buddhismo” Il buddhismo è dunque sinonimo di cultura tibetana, lo
spirito del buddhismo tibetano è ciò che rimane nel cuore del popolo. Quando non ci saranno
più i puri tibetani anche la loro cultura sparirà.

Grazie a tutti.
***

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LA RICERCA DELLA FELICITA’ Gli Stadi della Meditazione

Biografia dell’Autore

Gedun Tharchin, Lama Tibetano, è nato nel 1963 in una comunità tibetana in esilio in Nepal.
Ha avuto l’educazione di base in una scuola tibetana e ha completato il classico addestramento nel
Buddhismo Tibetano al Collegio Jangtse dell’UNIVERSITA’ MONASTICA GADEN in India.
Ha ricevuto l’ordinazione a novizio dal Lama Yong-Zin-Ling Rinpoche e l’ordinazione
completo da Sua Santità il quattordicesimo Dalai Lama. Ha ricevuto la completa trasmissione del
Sutrayana e Mantrayana nel Buddhismo della tradizione Geluk, da questi due grandi maestri e da molti
altri istruttori a GADEN e a GYUDMED durante 18 anni del corso intensivo di formazione.
Si è specializzato nei cinque grandi trattati del Buddhismo: la Prajnaparamita, la Madyamika,
l’Abhidharma, la Pramana e il Vinaia, conseguendo così i gradi di Karam, Lopon e Lharam del
Gelukpa University. Nel 1992, con i preziosissimi auspici del quattordicesimo Dalai Lama, ha scritto
in tibetano il volume “Introduzione all’Abhidharma”.
Nel 1993 gli è stato conferito il titolo di Geshe Lharampa in occasione della cerimonia della
grande preghiera di “Monlam Chenmo”.
Durante la permanenza in monastero ha assolto a diverse responsabilità, fungendo da
segretario presso la sua comunità Gajang Gyalrong Khangtsen, lo Jangtse Dratsang, il Gaden Lachi,
membro della commissione d’esame della Gelukpa University e ha insegnato filosofia nei monasteri
Gaden e Gyudmed. Ha anche partecipato a numerosi seminari in India come delegato del monastero.
Ha seguito un corso di lingua Inglese presso lo Studio School a Cambridge, U.K. e ha studiato
Filosofia e Religione Occidentale al Beta College e all’Università Angelicum a Roma. È stato docente
all’Istituto di Studi Orientali e Africani (ISIAO - ISMEO) a Roma e collaboratore al progetto del
catalogo della Collezione Tucci. Nel 2000 è stato invitato dall’Istituto di Studi Buddhisti Chung-Hwa
a Taipei come insegnante ospite.
Dal 1996 insegna filosofia e meditazione Buddhista in molti centri in Italia e all’estero. Ha
organizzato una rete di aiuto e sostegno economico a favore di centinaia di bambini, studenti, anziani e
ammalati residenti nei monasteri e nelle Comunità Tibetane in India e in Nepal. Attualmente è
fondatore e Direttore Spirituale dell’Istituto Lamrim di Roma. Pubblica periodicamente articoli su vari
giornali e riviste, e nel 2003 è stato pubblicato il suo primo volume in italiano “La Via del Nirvana, Il
Dharma del Buddha” edito da Ellin Salae.

E’ possibile essere aggiornati sui suoi programmi e attività entrando nel sito:
www.geduntharchin.it

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