Sei sulla pagina 1di 27

SPAZI E TEMPI DELLA CITTADINANZA

INTRODUZIONE : LUOGHI E STORIE COME RISORSE PER IMMAGINARE, COSTRUIRE E


RAPPRESENTARE LA CITTADINANZA ( Paolo Molinari e Elena Riva )
1- Spazi e tempi della cittadinanza e per la cittadinanza

Nell'attuale contesto di crisi sociale, economica, politica e istituzionale, le società più sviluppate si
trovano spesso a ridiscutere o ridimensionare diritti e doveri acquisiti. Per questo motivo il tema della
cittadinanza, ritorna ad essere prioritario perchè su di esso gioca una parte non secondaria del futuro
delle società e della cultura civile e politica dei paesi occidentali. La cittadinanza è, frutto di
un'esperienza che matura nel tempo e nello spazio per essere poi trasmessa ad altri, e luoghi, storia,
cultura e formazione sono risorse per la sua costruzione e la sua rappresentazione. Si ritiene
epistemiologicamente più fondato e pedagogicamente più efficace perseguire una prospettiva
culturale interdisciplinare e transdisciplinare volta a valorizzare i punti di vista che hanno saputo
sviluppare per spiegare le relazioni nel tempo e nello spazio fra sistemi umani e ambientali. E' vero
che spazio e tempo non sono categorie oggettive, ma prenderne in considerazione la declinazione
locale consente di ancorare le basi conoscitive di ognuno al proprio vissuto, che dovrà poi essere
contestualizzato con altri esempi. Le indicazioni nazionali per il curricolo del 2012 pongono lo studio
della geografia e della storia al centro di un nuovo umanesimo per le funzioni che queste discipline
assolvono nel permettere al bambino di trovare il proprio posto nel mondo e di rispondere a
domande esistenziali importanti, importanti a proposito della propria identità. La geografia e la storia
rappresentano due chiavi centrali per affrontare lo studio del territorio, quest'ultimo inteso come
elemento che si trasforma nel tempo e nello spazio attraverso le interazioni frutto di flussi, mobilità e
scambi. In quest'ottica la società offre all'individuo ciò che è necessario alla sopravvivenza, come il
cibo, l'acqua, un posto dove vivere, delle infrastrutture, la sicurezza e l'educazione. In cambio
l'individuo dà il suo contributo alla società attraverso i servizi e il lavoro, ma allo sresso tempo è causa
di problemi. Città e paesaggio sono territori di memoria e di stratificazione storica in cui le pratiche
spaziali quotidiane rinnovano incessantemente l'idea di cittadinanza e di convivenza civile per via
delle pressioni dovute alla globalizzazione, alla mobilità umana e alle migrazioni, ai cambiamenti
climatici, al mutare degli equilibri geopolitici. Esplorare e conoscere il territorio e sviluppare idee e
progetti sui luoghi della propria vita diventano un primo segno della capacità del bambino di abitare
attivamente e consapevolmente, di avere una propria collocazione nel mondo e nel tempo, di
prendersi cura e di interagire con lo spazio sociale. Da un punto di vista didattico, certamente non
potrebbe esserci educazione alla cittadinanza senza costruzione delle conoscenze sulle quali fondare i
comportamenti e le pratiche dell'oggi e del domani. Inoltre, presupposto di base dello sviluppo
dell'educazione alla cittadinanza è la progressiva maturazione e consolidamento delle competenze
logico-linguistiche degli studenti, indispensabile per l'esercizio del pensiero critico che tale educazione
richiede.
2- I contributi del presente volume
Il presente volume si compone di due parti: la prima è volta ad approfondire le specificità e le
interconnessioni disciplinari tra geografia, storia e pedagogia, a partire dalle quali è possibile
impostare una didattica attiva e fondata sull'esperienza del bambino. La seconda parte raccoglie
alcuni esempi di percorsi didattici nei quali si declinano in prassi didattica le riflessioni contenute nella
prima parte del volume. Il contributo di Paolo Molinari parte dal presupposto che la cittadinanza,
elemento in costante evoluzione, sia in primis una questione di conoscenza locale, presupposto che
permette agli abitanti di avvalersi dello spazio come risorsa o patrimonio. L'accento si sposta dunque
sulla territorialità , cioè su quel processo di costruzione del territorio che deriva dall'insieme di vissuti,
pratiche e conoscenze locali. Mettere il bambino nelle condizioni di scoprire il proprio ruolo
nell'organizzazione socio-territoriale, lavorare sulla spazialità e sul senso del luogo sono alcune delle
modalità didattiche da privilegiare per inserirlo attivamente e consapevolmente nella sua comunità
locale, elemento costituente della cittadinanza stessa. Il contributo di Elena Riva affronta il territorio
come bene comune, come patrimonio di memoria collettiva che deve essere salvaguardato
collettivamente; il contributo di Monica Adamini invece, approfondisce l'importante ruolo svolto
dall'educazione nello sviluppo della cittadinanza attiva, mettendo in evidenza la centralità dei processi
partecipativi. Il contributo di Susanna Cancelli consente di riflettere con attenzione sul valore
educativo delle discipline geografiche e storiche in connessione con le competenze-chiave europee, in
un'ottica di un più globale processo di crescita individuale. La seconda parte del volume, presenta una
serie di riflessioni didattiche geografiche e storiche sul tema della cittadinanza, sempre con l'obiettivo
di evidenziare le vaste aree di connessione presenti tra le due discipline e richiamando le implicazioni
pedagogiche e didattiche. Le autrici sottolineano che insegnando a essere la scuola è luogo
privilegiato di cittadinanza, la quale diventa attiva quando si sviluppano e si valorizzano i legami con la
propria comunità e il proprio territorio. Il successivo capitolo a opera di Elena Riva ci ricorda come
mondi d'acqua differenziati, caratterizzati da identità che si esprimono sul territorio attraverso simboli
e metafore, si generino dal rapporto che ogni comunità stabilisce con questo elemento primario. Il
contributo di Silvana Giarolli presenta una seconda riflessione in ottica didattica su quell'elemento
centrale della nostra vita quotidiana che è l'acqua e lo analizza a varie scale geografiche, planetaria,
europea, nazionale e locale. Il capitolo di Sara Mandelli illustra il progetto didattico "vivo in una
comunità: costituisco relazioni positive con gli altri"; in tale progetto si propone un percorso didattico
con gli obiettivi di mostrare ai bambini che le relazioni sono alla base di ogni comunità territoriale.

PRIMA PARTE
CAPITOLO 1: GEOGRAFIA E CITTADINANZA: RENDERE CONSAPEVOLE UN LEGAME NECESSARIO
( Paolo Molinari )
2- Una cittadinanza multilivello.

Una breve premessa terminologica risulta a questo punto necessaria , quanto meno per chiarire
meglio l'ampiezza di significati del termine cittadinanza. Di tale termine non esiste infatti un'unica
definizione e, si tratta di un concetto poliforme utilizzato da varie discipline. In letteratura, gli ormai
classici lavori di Marshall, hanno permesso di riflettere sull'evoluzione di tale concetto nel contesto
statuale britannico attraverso l'evoluzione dei diritti civili, politici e sociali. Marshall evidenzia che le
libertà individuali, la democrazia partecipativa e le condizioni economiche e sociali-garantite dai
servizi erogati dallo stato- sono concretamente attuate attraverso un'azione di spazializzazione. Nel
contesto dello stato/nazione, nonostante la presenza super partes dello stato stesso come garante
dell'uguaglianza tra gli individui e tra i territori, si è delineata una complessa geografia della
cittadinanza basata sulla discrepanza tra cittadinanza de jure e de facto: a fronte della teorica
uguaglianza giuridica, in ciascun paese ci possono di fatto essere forti differenze nel godimento dei
vari diritti in base al genere, al gruppo etnico di appartenenza, alle preferenze sessuali, religiose e
politico-culturali, ad eventuali disabilità o incapacità, al paese di nascita. Il concetto di cittadinanza fa
così riferimento alla gamma di processi formali e informali che determinano l'inclusione o l'esclusione,
delle persone in una varietà di spazi e risorse materiali e simbolici. In ambito geografico si parla di
cittadinanza multilivello e di cittadinanza plurale; nel primo caso, si fa riferimento alle diverse
prerogative e modalità con cui tale concetto può concretizzarsi dalla scala locale a quella globale, nel
secondo caso, si richiama il fatto che oggi i territori sono spesso abitati da persone formatesi in
contesti culturali diversi e ospitano valori, vissuti e pratiche polifonici. Vale anche la pena di fare
ancora alcune considerazioni sulla cittadinanza globale. In primo luogo per sottolineare che, nella
riflessione geografica è il modello "ad arcipelago" a essere privilegiato, in quanto più adeguato a
rappresentare le geometrie variabili del vissuto di ognuno. In secondo luogo, sempre negli studi
territoriali, si tende a contrapporre il localismo cosmopolita alla cittadinanza globale, nel tentativo di
amplificare la ricchezza di un luogo avendo in mente i diritti di un mondo dalle molte sfaccettature. In
terzo luogo, sempre in una prospettiva geografica, una cittadinanza planetaria si realizza facendo
"stare insieme" dimensione antropica, urbana e rurale, e dimensione ambientale in un'ottica di
sostenibilità e di responsabilità, obiettivi strategici che spesso si evocano solamente.

3- Territorialità, senso del luogo e cittadinanza: potenzialità formativo-educative e criticità di una


relazione in costante evoluzione
Recenti studi pongono peraltro in evidenza come l'esistenza di un patto sociale volto ad assicurare
uguali possibilità per tutti e giustizia sociale influenzi il benessere e la qualità della vita, che non
dipendono esclusivamente dal livello di ricchezza e da fattori meramente economici. Come postulato
in premessa, la cittadinanza è innanzitutto una questione di conoscenza locale, cioè di rapporto con il
capitale territoriale, presupposto che permette agli abitanti di vivere con maggiore consapevolezza e
di avvalersi dello spazio come risorsa o patrimonio. Per "mente locale" si intende l'espressione della
facoltà di abitare, ovvero la percezione, la definizione e l'uso dello spazio che solo chi vi appartiene
come abitante può possedere fino in fondo, consistente anche e soprattutto di tutti gli invisibili
processi che possono confluire o meno nell'edificato. Quando l'attività di creazione di luoghi non è
consentita e ogni sua traccia viene distrutta, quando gli abitanti risiedono in spazi che non possono
modellare, la mente locale si perde; di conseguenza, ci si perde nello stesso ambiente in cui si vive, si
diventa estranei, distratti, si è relegati a essere consumatori di spazi privati. La territorialità passiva
rappresenta una causa della crisi della mente locale, dalla quale consegue che la cittadinanza risulta
limitata e poco inclusiva perché non prevede il coinvolgimento attivo degli individui; il territorio non
appartiene in modo esclusivo a chi lo abita da più tempo, o a gruppi di potere locale, ma a chi se ne
prende cura, a chi vi soddisfa i propri bisogni e a chi si fa portatore di interessi collettivi legati agli
spazi urbani, ai paesaggi, alle culture e ai saperi del luogo. Oltretutto, l'approccio geografico permette
di legare la cittadinanza alla sostenibilità, declinandola nelle sue varie dimensioni perché uno sviluppo
sostenibile e responsabile non si realizza se non tiene conto dei valori politici e culturali di una
comunità.

4- Geografia e nuova educazione alla cittadinanza nella scuola dell'infanzia e primaria


Come richiamato dalle indicazioni nazionali per il curricolo, oggi l'insegnamento/apprendimento della
geografia va strettamente collegato ai temi della cittadinanza, con l'obiettivo di fornire ai bambini le
competenze necessarie per impostare un rapporto attivo con il proprio territorio e di capire e
reinterpretare il patto sociale che ci lega ad esso. Le indicazioni del 2012 sottolineano l'importanza di
formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione della collettività più ampia
e composita, e che sappiano prendersi cura di se stessi, degli altri e dell'ambiente e che favoriscono
forme di cooperazione e solidarietà. Nel caso specifico della scuola primaria, partendo da ciò che è
vicino e conosciuto si raccomanda di riconoscere le funzioni dei vari spazi e le loro connessioni. Delle
tre dimensioni di cittadinanza tradizionalmente individuate e sopra citate, è evidente che la scuola
dell'infanzia e quella primaria devono puntare non tanto sugli aspetti giuridici quanto su quelli politici
e sociali, più agevolmente sperimentabili in prima persona dai bambini.

4.1- Il bambino e la scoperta del proprio ruolo nell'organizzazione socio/territoriale


Il tema degli spazi della cittadinanza risulta essere importante in una duplice prospettiva, formativa ed
educativa. In prospettiva formativa, oggetto della geografia è la conoscenza dei diversi tipi di spazi a
scale differenti, dal locale al sovralocale e oltre. In ottica educativa, tali spazi vanno pi interrogati alla
luce di specifiche problematiche, per verificare come le questioni della giustizia, della sostenibilità,
dello sviluppo, vengono localmente declinate. Oggigiorno, la scuola di base deve mettere al centro del
processo di insegnamento/apprendimento la capacità connettiva, interpretativa e implicitamente
progettuale della geografia, ovviamente ponendo al centro di tale processo i bambini e il loro vissuto.
Concetti disciplinari centrali come quelli di città, periferia, città diffusa, campagna, paesaggio, vanno
utilizzati nel modo più consapevole possibile fin dalla più tenera età, partendo da un approccio
sensoriale e da un'osservazione attenta del proprio vissuto e del mondo esterno, evitando la semplice
trasmissione di sapere astratto. Lavorando su elementi oggettivi e soggettivi e valorizzando le
componenti funzionali, affettive, simboliche ed estetiche alla base dei propri legami con il luogo, si
offrono in questo modo ai bambini le prime esperienze e i primi strumenti per iniziare a prendere
coscienza del proprio ruolo nell'organizzazione socio-territoriale. Inoltre, stimolare competenze
specifiche come quella di sintesi geografica significa indurre i giovani cittadini a padroneggiare le
rappresentazioni mentali di un luogo per poi selezionare e gerarchizzare criticamente le informazioni
assimilate dal proprio punto di vista e con un determinato scopo: promuovere e affinare un sistema
informativo territoriale analogico di questo tipo è il primo passo per lo sviluppo di una cittadinanza
locale consapevole. In conclusione, tenendo presente le esigenze di essenzializzazione dei saperi,
lavorare su un'idea forte di spazialità, di senso del luogo e di cittadinanza consente di mettere in atto
un vero insegnamento geografico per competenze. Impostare un percorso didattico critico di studio
del territorio in ottica di cittadinanza non significa solo giungere a conoscere aspetti e concetti, ma
offrire l'opportunità di sviluppare competenze che permettono di prendere parte alla vita della polis:
in tal senso la geografia costituisce un ambito privilegiato di azione e partecipazione.

CAPITOLO 2: CITTADINANZA E TERRITORIO. UNA PROSPETTIVA STORICA ( Elena Riva )


1. L'assedio del presente
Le storie non accadono solo nel tempo, ma anche nello spazio. Potrebbe sembrare banale affermare
che la storia si svolge sia nel tempo che nello spazio, ma vero è che spesso, nella narrazione storica, la
dimensione dello spazio scompare per privilegiare quella temporale, anche se per gran parte della sua
storia l'uomo ha cercato in tutti i modi di conquistare territori per impadronirsene e per gestirli. Nel
nostro tempo la sensibilità storica sul tema dello spazio e del territorio sta mutando, complici la
velocità dei cambiamenti imposti dalla globalizzazione contemporanea e l'uso massiccio della rete, il
nuovo metaspazio mondiale, che costringono a ripensare la narrazione della storia, non solo per
adattarla a un pubblico necessariamente più ampio, ma anche per rompere l'assedio del presente in
cui siamo immersi e che sta disgregando tutte le nostre memorie collettive. Tali cambiamenti
condizionano pure il modo con cui noi percepiamo noi stessi all'interno della società, e quindi anche
dentro lo spazio in cui viviamo. Tra le possibili soluzioni a quello che è, a tutti gli effetti, un assedio del
presente, vi è la necessità di recuperare tutte le tracce storiche presenti nello spazio in cui viviamo
che siano in grado di sollecitare i nostri sensi e la nostra memoria. I luoghi vanno percepiti come
memoria individuale e collettiva perché la storia di ognuno di noi non può che essere raccontata in
rapporto ad un luogo, ma anche allo spazio in cui la nostra vita incrocia quella degli altri e costruisce
memorie collettive.

2. Il concetto di cittadinanza
La cittadinanza come paradigma storico, è un concetto che va pensato all'interno di una storia quasi
esclusivamente europea, dove quel patrimonio di tipologie al quale attinge la moderna cittadinanza si
è sviluppato concettualmente. In effetti, il concetto qui oggetto di indagine va inquadrato in fasi
storiche che hanno progressivamente visto la crescita e il rafforzamento di differenti dibattiti sui diritti
di cittadinanza: in primis il dibattito sui diritti civili, poi politici e sociali. La cittadinanza, è un concetto
multidimensionale che esprime contemporaneamente tante cose: uno status, un'attività, ma anche in
diritti civili, in welfare, in cultura. Dal punto di vista storico, la cittadinanza è un paradigma efficace se
la si considera il luogo di incontro tra l'individuo e la sua comunità di riferimento. Per cittadino si
intende l'individuo, con i suoi diritti e le sue esigenze, declinate a seconda delle epoche; per comunità,
invece, ci si riferisce a quella politica, o a un gruppo, all'interno dei quali si è mosso il cittadino nel
corso dei secolo e dai quali è stato incluso o escluso. L'analisi storica evidenzia come la dimensione
della cittadinanza si sia sempre rivelata tutt'altro che univoca e pacificata. Ogni epoca storica ha fatto
il suo cittadino, delimitando l'insieme dei diritti, dei doveri e dei poteri e determinando le norme del
loro esercizio; il cittadino non esiste in natura, ma si costruisce dentro un processo storico e in luoghi
ben precisi, tra i quali la scuola gioca un ruolo di primo piano. Il momento storico in cui oggi ci si trova
a riflettere sulla cittadinanza è quello che ci siamo abituati a definire come globalizzazione; ciò che
però distingue questa fase storica da quelle che l'hanno preceduta è la percezione immediata che noi
abbiamo dei suoi effetti. Il ritmo veloce con cui avvengono questi cambiamenti non può non
condizionare la percezione che noi abbiamo degli spazi in cui viviamo; in tal senso, i luoghi vanno
intesi come simbolo, come memoria delle nostre vite, come senso di appartenenza necessario a ogni
costruzione di identità di cittadinanza singola o collettiva. Nella cultura contemporanea il territorio
può essere percepito nelle sue dimensioni tradizionali, soggettiva ed oggettiva, a cui può essere
aggiunta quella social della nostra era virtuale che crea spazi non fisici ma che sono produttori di
cittadinanze nuove, dalle quali non si può ormai più prescindere. Il territorio e gli spazi vanno
interpretati storicamente; si tratta di un patrimonio di memoria collettiva che per essere trasportato
nel futuro ha però bisogno di essere conosciuto e analizzato. Tale patrimonio necessita di essere
considerato un bene di tutti e occorre quindi considerare il territorio come un bene comune che deve
essere salvaguardato collettivamente e messo in sicurezza affinché possa essere ereditato dalle
generazioni successive.

3. Il territorio tra cittadinanza e appartenenza


Affinché i cittadini tornino ad occuparsi del territorio occorre rafforzare il legame di appartenenza ad
esso. Da sempre la cittadinanza postula il concetto di appartenenza che, per sua natura, è soggettivo e
coinvolge naturalmente quello di territorio; si tratta di un rapporto che non deve intendersi
meramente da un punto di vista giuridico-amministrativo, ma che deve essere valutato anche
all'interno di un' ottica più complessa da intendersi come appartenenza di un individuo ad una
comunità. Il concetto di appartenenza sviluppa, infatti, sfere di diritti e di libertà che vengono ad
accrescere il corredo dei diritti umani e il cittadino si deve fare essendo prodotto di tante dinamiche.
Storicamente la creazione del legame di appartenenza del cittadino al suo territorio ha utilizzato gli
aspetti emotivi e sentimentali per generare identità e potenziare, quindi, le dinamiche di
appartenenza. Dal 1789, l'individuo si è trasformato da suddito a cittadino della Nazione. Il territorio
va quindi inteso come un nodo di trasmissione tra generazioni, un dono che quelle nuove ricevono in
eredità dal passato con il compito di restituirlo a loro volta a quelle future; un'idea di territorio che in
un periodo di grave crisi economica, può e deve trasformarsi in un luogo in cui sia possibile sviluppare
la solidarietà, che dovrebbe essere una delle prime parole chiave della cittadinanza di questo
millennio. La narrazione della cittadinanza può essere utile alla creazione di una nuova empatia tra il
cittadino e il territorio per generare un nuovo senso di appartenenza a una comunità al servizio del
bene comune; la cittadinanza attiva è fonte di energia per le motivazioni e le aspettative che suscita.

4. Il ruolo delle istituzioni


Le amministrazioni, devono assicurarsi che ci sia una buona coerenza tra la politica promossa e
esposta e la politica realizzata; le istituzioni, gli stakeholder, le amministrazioni pubbliche, rivestono
un ruolo prioritario nella trasmissione dei valori della cittadinanza. Il territorio deve essere inteso
come un bene di tutti, una proprietà collettiva che precede quella privata e che proprio per questo va
tutelato per il bene di tutti. Occorre che i cittadini sviluppino una dimensione di cittadinanza
consapevole che li conduca a rendersi conto dei loro diritti, troppo spesso calpestati da coloro che
dovrebbero invece rappresentarli. La scuola può essere utile in tal senso perché è uno dei luoghi in cui
si è costruita per eccellenza la cittadinanza; la scuola deve tornare a raccontare un passato e un
presente dove si possono riconoscere anche i bambini non europei, senza negare e senza alleggerire il
ruolo della colonizzazione che gli europei hanno giocato con i popoli extraeuropei. L'idea di
cittadinanza è quindi un laboratorio di esperienze e di ricerca che non può mai concludersi.

CAPITOLO 3: SPAZI URBANI, PARTECIPAZIONE, COMUNITA': UNO SGUARDO PEDAGOGICO ( Monica


Adamini )
1. Senso di cittadinanza
La costruzione del senso di cittadinanza è un processo evolutivo in quanto si radica nei vissuti
relazionali delle persone, nella loro capacità di stare insieme, nelle esperienze di appartenenza. Il
recupero e la valorizzazione del senso di cittadinanza passano attraverso il rafforzamento dei legami,
la costruzione della fiducia, la promozione dell'impegno. Tutti i cittadini, e lo sono anche i bambini,
esprimono il loro essere parte di una comunità e di un luogo partecipando alla vita stessa di questi
contesti. In questo processo di promozione alla partecipazione, l'educazione svolge un ruolo
determinante, creando le condizioni per lo sviluppo della cittadinanza attiva e della democrazia
partecipativa, specialmente tra i bambini.

2. Essere cittadini oggi: culture urbane e identità metropolitane


La città è sempre stata, e lo è ancor più oggi, uno spazio vario ed eterogeneo. Il suo costituirsi è il
frutto di molteplici fenomeni e la sua evoluzione è segnata da una moltitudine di processi. Le
questioni che attraversano oggi il vivere urbano sono numerose e intricate, a partire dalla
moltiplicazione delle definizioni stesse di città; non mancano inoltre conflitti urbani e tensioni, spazi
contesi e resistenze territoriali. La città non si riduce a mero setting in cui avviene la formazione
dell'identità delle persone, bensì è il luogo della condivisione, della partecipazione, dell'incontro. Una
città educante è un contesto che sa offrire forme diffuse di partecipazione nei diversi ambiti della vita
urbana, per le diverse fasce e tipologie di cittadini. Attraverso la partecipazione si innescano
dinamismi generativi, che permettono alle comunità di evolvere e alle persone di riposizionarsi in
modo più creativo e attivo dentro i loro contesti di vita.

3. Educare le nuove generazioni alla cittadinanza, attraverso le pratiche partecipative


L'introduzione di una prospettiva più partecipativa, capace di coinvolgere e valorizzare gli
stakeholders ( parti interessanti ) più piccoli e più giovani, rappresenta un'importante occasione
educativa anche per aprire nuove riflessioni sull'idea stessa di infanzia. La rappresentazione di infanzia
sottesa alla prospettiva partecipativa permette di vedere nel bambino un soggetto competente,
attivo, dinamico, ma anche un soggetto "sociale", portatore di un proprio contributo alla vita della
comunità cui appartiene. Troppo spesso il mondo adulto non favorisce il pieno protagonismo delle
nuove generazioni: sono ancora molto diffusi approcci che, celano in realtà grosse lacune proprio
rispetto al pieno riconoscimento delle competenze dei bambini, interponendo resistenze alle istanze
di cambiamento di cui le nuove generazioni sono portatrici. I bambini sono generalmente presi in
considerazione in ragione dei loro bisogni, delle mancanze che li contraddistinguono; vengono quindi
designati come meri destinatari degli interventi adulti. La logica adulta, prettamente unidirezionale,
fatica a farsi da parte, a favore di un approccio più razionale, passando dal controllo alla fiducia,
dall'eterodirezione all'autodirezione, dalla protezione all'empowerment ( processo di crescita ).
L'educazione alla cittadinanza si realizza attraverso la partecipazione, quindi postula il protagonismo
dei bambini-cittadini, attraverso la sperimentazione di forme di democrazia partecipativa di cui
beneficiano le comunità nella loro totalità; lavorare in un'ottica partecipativa con l'infanzia esige
molto rigore e flessibilità al tempo stesso.

4. Prospettive di lavoro per una pragmatica della partecipazione


Le pratiche partecipative si presentano come sfaccettate e complesse: non esistono modelli e
strumenti univoci di partecipazione. Anche in ambito urbanistico si sono diffuse significative pratiche
partecipative, animate dal desiderio di attivare la partecipazione delle nuove generazioni nella
configurazione degli spazi urbani. Tra queste pratiche vi è un dispositivo particolarmente
emblematico: quello della progettazione partecipata, che rappresenta un'efficace occasione di
educazione alla corresponsabilità, anche con i bambini, in quanto ne prevede la partecipazione
all'interno dei processi di pianificazione e programmazione. Vi sono tre macro-livelli di partecipazione:
comunicazione ( la gestione della comunicazione in modo partecipato implica l'impegno da parte degli
adulti o delle istituzioni nel rendere comprensibili per i bambini i processi che in qualche modo
toccano le loro vite ), ascolto ( il livello d'ascolto è imprescindibile in quanto garantisce in modo
autentico la possibilità offerta ai bambini di esprimere le proprie riflessioni e di esplicitare il proprio
sguardo sulla realtà ) e coinvolgimento attivo ( quello dei bambini costituisce un fondamentale
esercizio di cittadinanza, a patto che possa esprimersi attraverso autentiche pratiche di impegno, di
responsabilità e di protagonismo ). E' importante tenere sempre aperta una riflessione critica intorno
ai processi partecipativi, indagando in particolare la rappresentazione dell'infanzia che si cela tra le
pieghe delle pratiche di progettazione partecipata. Una partecipazione autentica ed efficace,
pertanto, esige un mutamento del modo di pensare e di agire degli adulti: si deve passare da un
approccio tendente all'esclusione ad un altro teso alla comprensione e alla valorizzazione dei bambini
e delle loro capacità; da una realtà definita dagli adulti ad una in cui i bambini e i ragazzi possono
contribuire a costruire il mondo in cui desiderano vivere.

5. La promozione della partecipazione dei bambini, tra riflessioni critiche e prospettive educative
E' importante riconoscere il fatto che i dispositivi partecipativi concorrono non solo a promuovere una
rinnovata cultura dell'infanzia, ma possiedono un valore aggiunto: riescono a produrre significativi
cambiamenti anche nel mondo adulto, secondo un dinamismo generativo che trasforma tutti i
soggetti coinvolti. Operando in una logica partecipativa, la diversità di conoscenze e di competenze di
cui sono portatori i bambini può diventare una risorsa, contrastando l'appiattimento e l'uniformità di
approccio ai problemi, di lettura della realtà, di progettazione degli interventi. La centralità delle
pratiche valutative contribuisce pertanto a sostenere ulteriormente la significatività della
partecipazione, ma anche a riconoscere le potenzialità dei bambini, concorrendo alla diffusione di una
rinnovata cultura dell'infanzia. Molto spesso i progetti e i processi partecipativi risentono di una
debolezza proprio nella matrice progettuale, nell'individuazione chiara degli obiettivi, nell'assenza di
effettivi indicatori o benchmarks attraverso cui valutare i progressi. Riflettere e monitorare il senso
delle pratiche partecipative nei contesti urbani e di progettazione comunitaria è fondamentale per
non tradire l'anelito alla partecipazione dei bambini. Imparare ad agire con e per gli altri, attraverso
occasioni di partecipazione attiva e pratiche di dialogo, negoziazione, condivisione risulta essere una
finalità imprescindibile per ogni contesto scolastico ed educativo in genere. Essere attivamente
coinvolti nella gestione della vita scolastica, nei processi di organizzazione di tempi, degli spazi, delle
azioni significa per gli alunni di ogni età fare esperienza di democrazia e di cittadinanza attiva. La
disposizione alla partecipazione costituisce una condizione essenziale per la formazione di un senso di
cittadinanza, che si esprime, concretamente, attraverso l'esercizio della cittadinanza attiva.

6. Riflessioni conclusive
I percorsi partecipativi con e per i bambini possono essere realmente considerati tali se il loro
protagonismo è concreto e garantito in modo coerente in ogni fase del ciclo di progetto: dalla
discussione dei problemi all'individuazione delle soluzioni, dalla raccolta delle informazioni alla scelta
degli approcci, dall'analisi dei bisogni alla valutazione. La diffusione di procedure decisionali
partecipative genera altresì un ripensamento delle logiche adulte, spesso eccessivamente
autoreferenziali. Rispetto al mondo adulto, l'ascolto dei bambini e il riconoscimento delle loro istanze
consente di riconoscere anche nelle nuove generazioni degli interlocutori privilegiati, capaci di
configurare in modo competente i propri bisogni specifici, nonchè di esprimere risorse inedite. Le
istanze partecipative e di cittadinanza attiva implicano il dovere, anche per il sapere pedagogico, di
promuovere un circuito virtuoso di legami fra ricerca, pratica ed educazione, elaborando adeguati
strumenti partecipativi, conformi ad una rappresentazione dei bambini come soggetti competenti,
attivi, dinamici. Il competence paradigm, che esprime il riconoscimento delle competenze infantili,
pone in particolare alcune istanze che stimolano la riflessione pedagogica a considerare i bambini
come agenti sociali a tutti gli effetti, ossia soggetti capaci di produrre azioni trasformative.

CAPITOLO 4: LE COMPETENZE-CHIAVE EUROPEE COME ORIZZONTE DI SENSO PER IL SAPERE


STORICO E GEOGRAFICO. ( Susanna Cancelli )
1. Miglioramento della persona e competenze
Il miglioramento della persona diviene il principale valore formativo di ogni disciplina che viene
proposta, inevitabilmente, nella logica della competenza. Nella logica della conoscenza fromare un
individuo significa dotarlo di conoscenze teoriche o procedurali; nella logica della competenza,
significa rendere possibile l'accadere di un'efficace integrazione di soggetto e contesto, nel
cambiamento interno ed esterno, verso la capacità di riprogrammare il porpio comportamento sulla
base di una nuova situazione. Nell'attività cognitiva di adattamento al mondo esterno e alle sfide
incontrate, il soggetto conosce e incrementa il personale potenziale cognitivo attraverso le azioni, le
operazioni della mente e l'organizzazione delle informazioni, in un processo unico, non replicabile.
Costruire conoscenza è attività funzionale allo sviluppo delle competenze, in ogni disciplina. La
struttura della disciplina comprende i fini che essa persegue, gli oggetti di cui si occupa, i concetti e i
termini che impiega, le strategie di indagine e i criteri di verifica, l'insieme delle qualità tipiche di chi la
pratica con successo, comprendendo sia l'insieme organizzato delle conoscenze che l'approccio
impiegato per costruirle. Il potere formativo delle discipline va quindi oltre la dimensione
strettamente cognitiva, sollecitando un coinvolgimento personale più ampio.

2. Valore formativo della geografia e della storia


Le discipline scolastiche sono strumenti di formazione, mezzi in relazione a finalità che li indirizzano.
La storia viene presentata come la disciplina nella quale si imparano a conoscere e interpretare fatti,
eventi e processi del passato e, con essa, si fa strada la consapevolezza che le conoscenze del passato
possano offrire metodi e saperi utili per comprendere e interpretare il presente. Lo studio della storia
insieme alla memoria delle generazioni viventi, contribuisce a formare la coscienza storica dei cittadini
e li motiva al senso di responsabilità nei confronti del patrimonio e dei beni comuni. La geografia è
disciplina di cerniera per eccellenza poiché consente di mettere in relazione temi economici, giuridici,
antropologici, scientifici e ambientali di rilevante importanza per ciascuno di noi. Il primo incontro con
la disciplina avviene attraverso un approccio attivo all'ambiente circostante, attraverso
un'esplorazione diretta; in questa fase la geografia opera insieme alla scienze motorie, per
consolidare il rapporto del corpo con lo spazio.

3. Verso le competenze-chiave europee


Il consiglio e il parlamento europeo hanno adottato un quadro relativo alle competenze-chiave per
l'apprendimento permanente. Il quadro individua e definisce per la prima volta a livello europeo le
competenze significative che i cittadini devono possedere per la propria realizzazione personale,
l'inclusione sociale, la cittadinanza attiva e l'occupabilità nelle nostre società basate sulla conoscenza.
Le competenze-chiave, come in generale tutte le competenze, hanno la caratteristica di presentare
una natura complessa, di essere trasferibili e utilizzabili in contesti diversi, di essere incrementabili e
di identificarsi non certo come punto di arrivo ma come riferimento capace di motivare verso il
traguardo. Gli indirizzi delle politiche formative elaborate dal Parlamento europeo hanno portato,
all'interno della costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente,
alla definizione seguente di competenza: la comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e
capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo
professionale e personale; nel contesto di tale disegno le competenze possono essere descritte in
termini di responsabilità ed autonomia. Come indicato nei documenti ministeriali, le competenze
disciplinari devono quindi essere pensate entro la competenza-chiave europea cui sono indirizzate. La
presenza della geografia nel curricolo contribuisce a fornire strumenti per formare persone autonome
e critiche, che siano in grado di assumere decisioni responsabili nella gestione del territorio e nella
tutela dell'ambiente, con un consapevole sguardo al futuro. Il territorio è segno dell'uomo ed è
composto da una serie di tracce; tutto ciò che proviene dal passato può diventare uno strumento
informativo a condizione che possa avvenire un processo di trasformazione della traccia in fonte; è il
passaggio dalla traccia alla fonte che consente la produzione di informazioni e la costruzione di
conoscenza. Comprendere l'ambiente dove si è collocati, significa anche comprendere il proprio ruolo
in esso. La riflessione geografica non indaga solo come si presenta e come si chiama ogni luogo, bensì
tenta di interpretare perché esso è così come lo si descrive, e ciò avviene in una lettura dinamica di
fenomeni naturali e antropici. Trasformazione e cambiamento sono concetti centrali nel sapere
geografico e storico che contribuisce a capire la co-evoluzione uomo-ambiente e a leggere il presente
come esito di tale evoluzione, comprendendo la storia dei popoli e le scelte fatte nel corso dei secoli
tra vincoli e risorse, consentendo l'incontro con l'alterità. La geografia e la storia contribuiscono
quindi al rafforzamento di consapevolezze ed espressioni culturali grazie alla comprensione della
propria cultura e alla costruzione di un senso di identità, per incontrare poi la diversità
dell'espressione culturale.

4. Cittadinanza attiva e scuola


Il modello corrente di educazione alla cittadinanza attiva sembra includere una serie di dimensioni
interconnesse di pensiero, credenze ed azioni; esso rimanda al modello di cittadinanza
multidimensionale intorno a obiettivi educativi che invitano ad un approccio ai problemi nella veste di
membri di una società globale, all'assunzione di responsabilità, alla comprensione e
all'apprezzamento delle differenze culturali, alla gestione costruttiva dei conflitti, al rinnovamento
dello stile di vita per la cura dell'ambiente, alla partecipazione politica a livello locale, nazionale e
internazionale. La geografia offre occasioni per avviare alla comprensione delle problematiche riferite
all'ambiente e alle componenti naturali, paesaggistiche, sociali e culturali del territorio. Secondo
alcuni autori è possibile delineare almeno tre grandi categorie di competenze legate alla cittadinanza:
cognitive, etiche e legate all'agire. La prima categoria interessa la conoscenza dei principi e dei valori
dei diritti dell'uomo e della cittadinanza democratica, il secondo campo di competenze rafforza la
conoscenza con gli aspetti etici, dove la motivazione appare legata anche all'appartenenza, al senso di
identità dei luoghi, verso la competenza legata a consapevolezze ed espressioni culturali. La terza
categoria è costituita da competenze sociali e civiche che riguardano tutte le forme di
comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita
sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificate, come anche a risolvere
conflitti. La necessità di esercitare la cittadinanza a scuola necessita di un processo di insegnamento e
apprendimento esperienziale delle competenze civiche e sociali; le attività orientate alla cittadinanza
attiva devono prevedere metodologie didattiche attive e spazi per riflettere e sperimentare,
individualmente e collettivamente. Per educare ad una cittadinanza unitaria e plurale è necessario che
gli studenti siano messi in condizione di conoscere le tradizioni del contesto in cui vivono; i docenti
hanno quindi il compito di far scoprire agli alunni il nesso tra le tracce e le conoscenze del passato, a
far usare con metodo le fonti archeologiche, museali, iconiche, archivistiche, a far apprezzare il loro
valore di beni culturali. In tal modo l'educazione al patrimonio culturale fornisce un contributo
fondamentale alla cittadinanza attiva. Il valore formativo della geografia si intreccia a tal proposito
con il valore formativo della storia e della geografia e della significatività di tale contaminazione si
trova conferma nei documenti ministeriali, laddove si indica che è importante curare le aree di
sovrapposizione tra la storia e la geografia in considerazione dell'intima connessione che c'è tra i
popoli e le regioni in cui vivono.

SECONDA PARTE : IDEE E PERCORSI DIDATTICI PER LA SCUOLA DELL'INFANZIA E PRIMARIA


CAPITOLO 1: LA CITTADINANZA A SCUOLA-UNA LETTURA DEI DOCUMENTI MINISTERIALI ( Susanna
Cancelli, Silvana Giarolli, Sara Mandelli )
1. Introduzione
In questo capitolo si intende offrire una lettura sintetica delle indicazioni nazionali per il curricolo della
scuola dell'infanzia e del primo ciclo d'istruzione e delle norme sulla promozione della cultura
umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della
creatività in relazione alle discipline e ai metodi oggetto di discussione del presente volume. Le
indicazioni nazionali, sono un testo aspetto che la comunità professionale dei docenti ha il compito di
contestualizzare elaborando specifiche scelte relative a contenuti, metodi, organizzazione e
valutazione coerenti con i traguardi formativi espressi nel documento stesso.

2. Geografia, storia e cittadinanza nelle indicazioni nazionali


La scuola risulta essere il principale ambito educativo di riflessione e messa in pratica della
cittadinanza attiva: con l'ingresso nel mondo scolastico il bambino viene inserito in una comunità
intrisa di leggi e in questo ambiente è chiamato a formarsi e a costruirsi solide basi per poter agire
responsabilmente nel futuro, egli è chiamato a crescere. La scuola è dunque luogo di cittadinanza
universale e rafforzare appartenenze e identità con il contatto e il confronto. Le indicazioni nazionali
per il curricolo delineano il contesto di riferimento all'interno del quale maturare questi obiettivi. I
docenti devono badare alla qualità dell'apprendimento di ciascun alunno e, in stretta collaborazione
con i colleghi, promuovere attività significative nelle quali gli strumenti e i metodi caratteristici delle
discipline si confrontano e si intrecciano fra loro. Sulla base di tale presupposto, le indicazioni
nazionali affermano che, fin dalla scuola dell'infanzia, tra le finalità vi è anche quella di promuovere
nei bambini dai tre ai sei anni le prime esperienze di cittadinanza, facendo attenzione alle dimensioni
etica e sociale. Accanto ai valori e alle competenze inerenti la cittadinanza, la scuola include nel
proprio curricolo anche la prima conoscenza della Costituzione della Repubblica Italiana. La geografia
e la storia risultano complementari: la geografia si occupa dei territori in stretta relazione con le
società che vi abitano e che in esso lasciano tracce, testimonianze segni; la storia amplia il discorso
andando a sondare le radici più profonde della società, dalle origini sino alla contemporaneità,
valorizzando testimonianze, fonti e tradizioni radicate nel corso del tempo. Ogni società è quindi
inserita in uno spazio geografico e in un tempo storico. L'interdisciplinarità storico-geografica
promossa a scuola può e deve favorire una didattica attiva e coinvolgente, che sappia partire dalla
conoscenza e dall'analisi del territorio vicino mediante esperienze pratiche di osservazione e
valorizzazione del patrimonio culturale, inteso esso come traccia del passato e del presente di una
società, ma anche come strumento fondamentale per la sua evoluzione nel futuro.

3. Appartenenza, territorio e apprendimento


Il nostro spazio di vita è depositario di valori territoriali, che costituiscono l'insieme dei punti di forza,
delle risorse naturali e culturali, delle credenze, delle tradizioni e dei linguaggi radicati nel territorio;
essi possono rivelarsi l'orizzonte di partenza per lo sviluppo di un progetto di vita, di cambiamento, di
trasformazione e di inclusione per le persone che in quel luogo vivono. La nostra esistenza è legata a
quella degli altri, pertanto, è necessario accompagnare le future generazioni alla scoperta dei valori
del territorio, per sviluppare all'interno della scuola una geografia umanistica che rinsaldi negli
studenti la consapevolezza di essere inseriti in una scala di relazioni e di scambi molto ampia. Al fine di
promuovere un'efficace educazione alla cittadinanza attiva che sappia valorizzare le esperienze offerte
dal territorio, la strada migliore risulti essere l'interdisciplinarità. La strada da intraprendere non è
facile, specialmente all'interno del contesto scolastico odierno, spesso chiuso entro rigidi contenitori
disciplinari; tuttavia è da promuovere un impegno attivo e un lavoro costante di tutti gli ambiti di
studio. La finalità è pertanto insegnare ad apprendere, ma soprattutto insegnare a essere: essere
cittadini attivi, responsabili e leali in grado di agire coscientemente nel mondo attraverso la
promozione di atteggiamenti di cura, valorizzazione e promozione del territorio, inteso quindi nel suo
senso più ampio di spazio umanizzato.

4. Dal dire alla possibilità di fare: a proposito della valorizzazione del territorio e del patrimonio
Il patrimonio, posto in relazione al territorio, evidenzia la pluralità di significati di cui è portatore,
divenendo fulcro di un possibile progetto formativo destinato ad insegnanti e operatori del settore.
Ciò implica lavorare sulla complessità attraverso più sguardi disciplinari, in coprogettazione e sinergia.
E' necessario che istituzioni formative e istituzioni di beni culturali si impegnino sia a promuovere
opportunità di conoscenza e fruizione di tali beni come patrimonio da riconoscere, tutelare e
conservare, sia a creare le condizioni per un effettivo partenariato tra insegnanti e operatori dei beni
culturali nell'elaborazione e realizzazione di progetti formativi all'interno del curricolo. Lavorare in
partenariato è un salto di prospettiva che porta a riflettere sui bisogni di chi apprende e a interrogarsi
su quali siano i domini culturali dei saperi di appartenenza.

CAPITOLO 2: I MONDI D'ACQUA DELLE TERRE DI LOMBARDIA. TRA CULTURA MATERIALE E UNIVERSI
SIMBOLICI ( Elena Riva )
1. I mondi d'acqua: una storia trasversale
Come è nella sua natura di scorrere e di passare attraverso, la storia dell'acqua è trasversale a tante
discipline. Come ha studiato ogni bambino nella scuola primaria, le prime grandi civiltà sono nate
proprio sull'acqua, tanto che si potrebbe scrivere la storia di una popolazione della sua capacità o
incapacità di gestire l'acqua. La storia, può aiutarci a capire che il rapporto di un territorio con l'acqua
non è mai scontato e che quello che oggi viene definito come l'oro azzurro è si un bene naturale, ma
non è mai gratuito, ha il suo prezzo e se non lo si comprende, si rischia di rovinare inesorabilmente o
addirittura perdere il rapporto con il luogo in cui si vive. Il capoluogo della Lombardia, Milano, sorge in
mezzo a molte acque e gran parte della sua storia, infatti, può essere interpretata come una lotta tra i
suoi abitanti e i corsi d'acqua, in cui vincitori non sono sempre stati gli uomini. Ancora oggi, l'acqua
possiede un legame speciale con la città e tutto il territorio circostante. Esiste un'evoluzione del
concetto dell'acqua e gli storici sono soliti identificare alcune stagioni pertinenti alla sua storia, le quali
non sono distinte, ma si sovrappongono le une alle altre. La prima è quella primaria legata ai miti,
successivamente abbiamo l'era dell'addomesticamento delle acque, poi vi è la fase definita come
epoca "secca" ed infine, la quarta fase, corrisponde alla scoperta dell'acqua come confort e allo
sviluppo della potabilità.

2. L'acqua come elemento mitico


La prima stagione dell'acqua corrisponde alla fase in cui guaritori e maghi celebrano il culto delle
fontane magiche e sacre, quindi l'era più antica, nella quale forte è il simbolismo che assimila l'acqua
corrente alla vita e l'acqua stagnante alla morte. Se è vero che l'acqua è l'elemento da cui tutto trae
origine, è altrettanto vero che la cultura, la religione e i comportamenti degli uomini sono stati
condizionati dalla necessità di controllare la sua potenza distruttrice. In questa duplice visione del
rapporto tra gli uomini e l'acqua, si è sviluppato un forte simbolismo e infatti, nella tradizione
occidentale, il simbolismo legato all'acqua è influenzato dai miti e dalle leggende del mondo pagano,
oltre che dalla forte valenza culturale introdotta dal cristianesimo. L'acqua che libera dai peccati con il
battesimo e i riti religiosi della benedizione delle campagne con l'acqua santa ne sono alcuni tra gli
esempi più noti. E' sempre quindi la religione, prima pagana e poi cristiana, a fare da intermediario tra
la Natura e l'uomo. Da sempre l'acqua ha naturalmente avuto anche un ruolo terapeutico, magico e
miracolistico.

3. L'addomesticamento delle acque


Un'altra delle stagioni dell'acqua è quella dell'addomesticamento e del dominio degli elementi che ha
inizio con le grandi civiltà dell'antichità tutte legate alla storia di un fiume. Tuttavia è nelle città che il
controllo delle acque diventa predominante, trasformando fontane e canali anche in un simbolo di
potenza; è qui, che le sorgenti si trasformano in fontane, i ruscelli in piscine e i prati incolti in
meravigliosi giardini. In Lombardia e a Milano la fase del controllo delle acque si trasformò, con il
sistema infrastrutturale dei Navigli, in una delle opere idrauliche maggiori al mondo e nella rete di
canali più antichi d'Europa. Tale intensa opera di canalizzazione permise di rimodellare il paesaggio
fisico della pianura facilitando l'evoluzione di una nuova agricoltura che, dopo uno sviluppo
plurisecolare, consentì alla regione di presentarsi puntuale all'appuntamento con l'industrializzazione
ottocentesca, forte di un consistente accumulo di capitali, di sviluppate capacità tecniche e di elevate
attitudini imprenditoriali che ne fanno ancora oggi un unicum nel panorama economico europeo. Allo
sguardo di un qualsiasi osservatore della prima metà del 500, il territorio milanese si presentava come
una terra ricca di campi lavorati e di fossi che l'opera dell'uomo aveva saputo formare sfruttando
soprattutto la forte presenza di acqua. Questa fu anche l'epoca in cui la città cominciò ad aprirsi verso
il territorio attraverso il sistema agrario delle ville che utilizzò appunto i Navigli, per cui molte famiglie
aristocratiche cittadine diedero vita a un moto di capitali centrifugo intimamente connesso con i corsi
d'acqua: esse cominciarono a trasformare i loro castelli medievali presenti nel contado in aziende-ville
o a costruirne ex-novo. Nella prima metà dell'800 il paesaggio agrario della Lombardia a sud di Milano
trovò quindi una configurazione stabile, fondata su un sistema di grandi aziende che integrava la
coltura di cereali, il prato e l'allevamento. Si trattava di un'agricoltura intensiva altamente
remunerativa, messa a punto da intere generazioni di contadini che, grazie all'acqua e alla sapiente
opera di tecnici idraulici e di governi qualche volta lungimiranti, aveva dato vita a un processo di
addomesticamento del paesaggio. Furono infatti il controllo delle acque e il rimodellamento del
paesaggio agrario a dare corpo a quella moderna organizzazione dell'agricoltura che avrebbe
permesso alla Lombardia la grande industrializzazione ottocentesca.

4. L'epoca secca e la riscoperta dell'acqua come confort


Il rapporto di Milano e del suo contado con l'acqua cambiò, proprio in piena era industriale, quando
una dapprima sottile e poi sempre più incalzante guerra contro i corsi d'acqua li costrinse nascondersi
sotto terra. Tale progressiva separazione da questa risorsa primaria segna l'inizio dell'epoca secca.
L'idea di pulire dalle sostanze malsane rimarrà sempre una costante, tanto che già alla fine dell'800
cominciò a diffondersi l'idea dell'acqua minerale, batteriologicamente pura. Poi, a livello popolare, nel
secondo dopo-guerra si diffusero l'Idriz e l'idrolitina, proprio per idrolizzare l'acqua che si beveva.
Questa riscoperta di Milano come città d'acqua rientra, in una concezione di questo elemento
primario come confort che contribuisce al benessere e alla qualità della vita individuale e comunitaria.
Dopo anni di forte spreco e inquinamento, corsi d'acqua, laghi, stazioni termali, canali, ecc., sono
oggetto di interventi di valorizzazione e rigenerazione e tornano ad essere pienamente elementi
identitari e di cittadinanza.

CAPITOLO 3: UN PERCORSO DIDATTICO SULL'ACQUA FRA GEOGRAFIA, STORIA E CITTADINANZA


( Silvana Giarolli )
1. Introduzione: acqua e cittadinanza
Nell'ambito dello sviluppo delle competenze di cittadinanza, un posto privilegiato spetta certamente
all'acqua che è parte essenziale della nostra vita: non solo ne facciamo uso quotidiano, noi stessi
siamo in gran parte acqua.

2. Acqua per la vita


Piante e animali, organismi microscopici o esseri umani, tutti abbiamo bisogno dell'acqua per vivere.
Mari e oceani, fiumi, laghi, paludi sono ambienti che pullulano di forme di vita, equilibri biologici
delicati e particolarmente esposti all'inquinamento. L'acqua è essenziale anche per la crescita di tutti i
vegetali, costituisce 2/3 del corpo umano, è presente ovunque nel nostro corpo e costituisce circa il
90% del sangue. Senza l'acqua nessuna forma di vita sarebbe possibile, ecco perché è importantissimo
avere cura dell'acqua.

2.1. L'acqua sul pianeta


La Terra è stata chiamata pianeta azzurro; la superficie della Terra è coperta per il 71% di acqua, di cui
però il 97% è acqua salata contenuta nei mari e negli oceani e non è disponibile per gli esseri viventi
delle terre emerse. Il rimanente 3% è invece rappresentato dalle acque dolci, che però per quasi il
70% sono imprigionate nei ghiacciai e nelle nevi perenni. Quasi tutta l'acqua dolce che si trova nelle
falde sotterranee, oppure sotto forma di umidità nel terreno e nell'aria, e quindi è anch'essa di difficile
utilizzo. Da questi calcoli risulta che l'uomo può attingere solo a uno striminzito 0,3% delle risorse
d'acqua dolce del Pianeta. La pioggia poi cade in modo irregolare sui diversi continenti e nella maggior
parte dei paesi europei, caratterizzati da un clima temperato, piove con moderazione; nelle regioni
equatoriali piove in abbondanza e al contrario, nelle zone tropicali, piove pochissimo ed è là infatti
che si trova la maggior parte dei deserti. A creare ulteriori squilibri ci si mette anche l'uomo, quando
per l'opera di deforestazione, per un errato sfruttamento dei sistemi d'irrigazione e per la
realizzazione di grandi progetti di sbarramento è responsabile di ulteriori fenomeni di desertificazione.
In ogni caso, nonostante i mille rivoli in cui si disperde, in linea di principio l'acqua dolce utilizzabile
potrebbe sostenere una popolazione mondiale di dimensioni doppie rispetto a quelle previste per la
fine del XXI secolo. Tuttavia questa valutazione sembra essere in contraddizione con le previsioni
secondo le quali, se rimangono invariati gli attuali modelli di consumo, entro l'anno 2025 sul nostro
pianeta due persone su tre vivranno in condizioni di tensione idrica, con una carenza d'acqua tale da
considerarla un bene raro all'origine di numerosi conflitti. Se il consumo d'acqua raddoppierà, nei
prossimi 35 anni ci servirà più acqua di quanta le piogge possano far cadere.

2.2. Il ciclo dell'acqua


Ma come si è prodotta l'acqua che ora si trova sul nostro pianeta? La Terra si è formata circa 4,6
miliardi di anni fa. Circa 4 miliardi di anni fa era ancora un pianeta caldissimo e, quando la
temperatura cominciò ad abbassarsi, il vapore poco per volta si trasformò in pioggia: fu un vero e
proprio diluvio che durò senza pause per milioni di anni e formò gli oceani. Tramite il fenomeno
dell'evaporazione delle acque superficiali di mari e oceani e dell'evapotraspirazione del terreno
dovuta all'azione del mondo vegetale, l'acqua sale nell'atmosfera. Da qui scende sulla superficie
terrestre sotto forma di pioggia: quella che cade sulla terraferma in parte penetra nel sottosuolo e
alimenta le falde acquifere, in parte dà origine a torrenti e fiumi; sia i corsi d'acqua che le falde
sotterranee hanno come destinazione finale il mare. E il ciclo ricomincia.

3. Consumare l'acqua: come si usa, come si spreca, come si sporca


Le numerose attività umane consumano l'acqua e la rendono sempre meno disponibile e soprattutto
inquinata. L'agricoltura assorbe la maggior parte delle risorse idriche, seguita dall'industria e dagli usi
civili. L'acqua gioca un ruolo fondamentale in agricoltura; in molti luoghi le coltivazioni devono essere
irrigate o innaffiate artificialmente. L'irrigazione consiste nel deviare un corso d'acqua mediante
canalizzazioni per distribuirla sull'area coltivata. L'improvviso aumento della richiesta ha determinato
l'instabilità degli equilibri idrici regionali perché gli imponenti progetti di irrigazione hanno scaricato
sull'ecosistema una quantità d'acqua superiore a quella sopportabile dal sistema naturale di
flusso/drenaggio. Inoltre se l'irrigazione inizialmente assicura migliori rendimenti, sul periodo medio-
lungo può innescare fenomeni di salinizzazione, desertificazione, degrado del suolo per erosione che
comportano la perdita di terreni anche estesi nei quali sono stati compiuti ingenti investimenti. A
livello mondiale l'efficienza dei metodi di irrigazione viene stimata inferiore al 40%: ciò significa che
più della metà dell'acqua viene sprecata perché evapora o si perde durante le fasi di raccolta e
distribuzione lungo decine o centinaia di chilometri di sistemi di canalizzazione inadeguati o obsoleti.
L'industria consuma molta acqua, sia come materia prima nella lavorazione di molti prodotti, sia per
tutte le operazioni di raffreddamento e lavaggio degli impianti; per quanto concerne gli altri usi, in
alcuni paesi come l'Italia, ogni abitante consuma mediamente, fra usi privati e collettivi, circa 290 litri
di acqua al giorno. Le città consumano moltissima acqua per la pulizia delle strade, per innaffiare i
giardini pubblici, alimentare le fontane e riempire le vasche delle piscine. L'acqua che utilizziamo nelle
nostre case ci giunge dai rubinetti, innovazione però piuttosto recente. A partire dal Medioevo e fino
alla metà del XIX secolo in molte città europee esisteva infatti un vero e proprio commercio
dell'acqua, gestito dai portatori d'acqua che riempivano i loro secchi delle fontane o nei fiumi e
andavano di via in via annunciando il loro arrivo. L'acqua che sgorga dal rubinetto di casa, a seconda
del luogo in cui si trova l'abitazione, può arrivare direttamente dalle sorgenti di montagna oppure
essere pompata dalle falde sotterranee. Alcune grandi città si riforniscono con acqua di fiume resa
potabile dagli impianti di depurazione, mentre alcuni paesi a clima arido come l'Arabia si procurano
l'acqua potabile dissalando l'acqua del mare.

3.1. Acqua, malattie e inquinamento


L’acqua fonte di vita può essere anche causa di malattie o di morte. Nei paesi caldi l'acqua che stagna
e imputridisce contiene numerosi germi portatori di malattie. Queste ultime trasmesse dall'acqua
sono tanto più presenti quanto meno vengono rispettate le condizioni igieniche, come nei paesi in cui
mancano fognature nei centri abitati, motivo per cui escrementi, rifiuti, carcasse di animali restano a
cielo aperto o vengono buttati nei fiumi. La gente che si reca a questi fiumi per lavare la biancheria e
alimenti o addirittura per bere, corre rischi enormi. Nei paesi industrializzati a fare vittime è invece il
saturnismo, un'intossicazione da piombo che colpisce in special modo gli operai che lavorano alle
condutture in piombo o le persone che bevono acqua rimasta a lungo in queste stesse tubature.
Indirettamente i processi industriali sono anche responsabili dell'inquinamento da petrolio versato in
mare, principalmente a causa di incidenti che vedono coinvolte le petroliere. Gli effetti ecologici più
gravi di questo inquinamento sono quelli che intervengono a livello di interi ecosistemi marini. Le
piogge acide, provocate principalmente dai gas emessi dalle centrali energetiche, sono ormai diffuse
in tutto il mondo e non inquinano solo il terreno su cui cadono, ma defluiscono anche nei fiumi e nei
laghi uccidendone flora e fauna. Anche le attività agricole producono inquinamento.
3.2. "Lavare" l'acqua
La proprietà fisica dell'acqua di essere un ottimo solvente la rende un messo ideale per l'eliminazione
di scorie e rifiuti, per lavare via tutto quello che riteniamo di dover eliminare. Ma chi lava l'acqua? La
risposta è complessa perché l'acqua un pò si lava da sé e un pò viene ripulita da qualcun altro. La
filtrazione attraverso i suoli e le rocce, l'assorbimento da parte delle piante, l'evaporazione sono
alcuni dei meccanismi che aiutano le acque a ripulirsi, lasciando dietro di loro grandi quantità di
sostanze che gli uomini vi hanno riversato, pronte per essere re-immesse nel ciclo naturale dove
queste sostanze, anche se nocive e sgradevoli per l'uomo, si rivelano utili ad altri organismi viventi. La
quantità di acque di scarico prodotta da paesi e città densamente popolate però è tanto elevata che
non si può far conto solo sull'opera della natura. Occorrono dei sistemi di depurazione artificiale: i
depuratori sono impianti complessi che lavano l'acqua attraverso diverse fasi. Anche l'acqua delle
sorgenti e dei fiumi, per essere resa potabile, deve subire un trattamento appropriato. La produzione
di acqua potabile viene testata e analizzata in continuazione; viene anche assaggiata da alcuni
specialisti. Generalmente l'acqua potabile viene raccolta in cisterne situate in luoghi elevati, in modo
che possa raggiungere le abitazioni sfruttando semplicemente la differenza di livello, secondo il
principio dei vasi comunicanti. L'acqua che non serve al consumo immediato viene fatta fluire in
serbatoi di riserva.

4. La forza dell'acqua
Dalle origini ai nostri giorni l'uomo ha progressivamente imparato a gestire le acque in relazione ai
propri usi e costumi; tale apprendimento è stato un processo molto lento, durante il quale si sono
modificate sia le tecniche di utilizzo dell'acqua che gli atteggiamenti mentali nei confronti di questa
risorsa

4.1. Il rapporto uomo-acqua nella storia


Inizialmente l'uomo era totalmente dipendente dalle acque e dalla loro disponibilità; quest'epoca
lunghissima è stata dominata da un atteggiamento mitico, da divinità acquatiche, acque lustrali, fonti
rigeneratrici, fontane di giovinezza. Nell'epoca compresa fra la nascita delle prime civiltà e la caduta
dell'Impero Romano, l'uomo è stato artefice di grandi opere idrauliche come canali artificiali, dighe e
acquedotti. Potremmo definire questo periodo storico come il tempo del controllo
dell'addomesticamento delle acque. La scienza idraulica trovò però la sua massima espressione
nell'epoca romana. Nel campo delle acque i Romani impiegarono i migliori architetti e ingegneri per
realizzare imponenti acquedotti lunghi anche decine di chilometri per trasportare nei centri abitati le
acque provenienti da sorgenti lontane. L'epoca successiva vede un progressivo disuso dell'acqua.
Durante le turbolenze che precedettero il Medioevo, buona parte degli acquedotti venne messa fuori
uso. Nei secoli che seguirono l'acqua tornò ad essere stagnante e per molto tempo venne attinta
nuovamente dai pozzi e dai torrenti, con un peggioramento generale delle condizioni igieniche e di
salute delle popolazioni. La quarta epoca potrebbe essere definita il tempo del benessere e del
confort. E' l'era del trionfo dell'igiene, finalmente si scopre il concetto di potabilità dell'acqua. La
disinfezione delle acque, per le conseguenze benefiche che ha portato al livello di salute della
popolazione mondiale, è sicuramente una delle più grandi conquiste dell'umanità. Purtroppo però
questa è anche l'epoca dello spreco e dell'inquinamento.

4.2. Dominare la forza dell'acqua


Mentre procedeva a costruire i grandi sistemi di canalizzazione e gli acquedotti, l'uomo cercava di
dominare a sfruttare la forza dell'acqua a vantaggio del suo lavoro quotidiano. Applicò alle macchine
da lavoro una ruota che funzionava con la forza prodotta dallo scorrimento dell'acqua. L'uomo affidò
alla corrente dell'acqua anche il trasporto di materiali pesanti e voluminosi come i tronchi degli alberi
abbattuti nelle regioni montuose perché raggiungessero le zone di pianura, dove sarebbero stati
utilizzati per le costruzioni. Questa tecnica, un tempo utilizzata ovunque, in Canada è praticata ancora
oggi. Si imparò ad usare i corsi d'acqua per la navigazione e invece, con le dighe, si sbarravano i fiumi
per creare i bacini artificiali che venivano utilizzati come serbatoi d'acqua per i momenti d'emergenza.

5. Di chi è l'acqua? Aspetti legislativi relativi alle risorse idriche


Il problema della privatizzazione dell'acqua è una questione controversa, di cui dibatte tutta la
letteratura economica sulla gestione dei servizi idrici. Privatizzare il servizio infatti presenta
opportunità non indifferenti, come l'intervento di capitali privati, che favoriscono l'aggiornamento e il
continuo miglioramento della qualità del servizio stesso. D'altra parte un servizio a carattere privato
potrebbe portare al formarsi di un vero e proprio monopolio e incentivare le attività poco trasparenti
di chi intendesse speculare sull'altissima redditività della commercializzazione di un bene
indispensabile come l'acqua. L'accesso all'acqua è ormai universalmente riconosciuto come un diritto
dell'uomo, le legislazioni dei vari paesi propongono l'acqua come un bene pubblico, della cui
disponibilità deve occuparsi lo stato.

5.1. La Carta europea dell'acqua


Il 6 maggio 1986 il Consiglio Europeo ha promulgato la Carta europea dell'acqua. Tale carta afferma
che: non vi è vita se non c'è acqua, le risorse d'acqua dolce non sono inesauribili, peggiorare la qualità
dell'acqua significa recare danno alla vita dell'uomo e di tutti gli esseri la cui sopravvivenza è legata ad
essa, la qualità dell'acqua deve rispettare le esigenze degli utilizzi cui è destinata, l'acqua è un bene
collettivo ecc.

5.2. La tutela dell'acqua nello scenario italiano


In Italia la normativa recente in materia di acque è raccolta in tre provvedimenti. Nel 1989 è stata
emanata la legge 183 che detta le norme per il riassetto organizzativo e funzionale per la difesa del
suolo. Essa istituisce le autorità del bacino che hanno il compito di gestire i fiumi nella loro interezza
considerandoli ecosistemi unitari. C'è poi la legge 36 del 1994, nota anche come legge Galli, relativa a
disposizioni in materia di risorse idriche. La legge 152 del 1999 indica le disposizioni sulla tutela delle
acque dall'inquinamento. In Italia il problema dell'acqua non è solo quello della qualità, ma anche
quello della disponibilità. Siamo il paese che preleva la più alta quantità d'acqua pro-capite di tutta la
UE, siamo al primo posto per i prelievi a uso domestico e per quanto riguarda l'uso industriale
abbiamo uno dei peggiori indici di consumo di acqua per unità di prodotto. Siamo anche uno dei paesi
che consuma la più alta quantità di acqua per ettaro irrigato. Al di là della legge, molto si può fare con
l'educazione, costruendo una cultura dell'acqua, migliorando la sensibilità dei cittadini al rispetto del
valore e a un utilizzo più oculato di tale risorsa.

6. Acqua brixiana: Brescia, città d'acque


Fin qui il problema dell'acqua è stato affrontato a varie scale, planetaria, europea, nazionale. Resta
ora da capire come sviluppare questo tema a livello locale. Il caso di studio prescelto è la città di
Brescia.

6.1. Le condizioni originarie: fiumi e sorgenti


Alla base della Torre della Pallata c'è una fontana del 1596 che raffigura Brescia affiancata da due
personaggi maschili che emettono acqua, immagini dei fiumi Mella e Garza, i due principali corsi
d'acqua che hanno interessato l'area di Brescia fin dalle origini della sua esistenza. Il Mella è un fiume
che si forma nell'area del Maniva in Val Trompia e che, sfocia nell'Oglio presso Ostiano in provincia di
Cremona. Questo fiume ha sempre costituito per Brescia un riferimento costante sia spaziale che
funzionale, nel bene e nel male: per secoli ha fornito le acque per l'irrigazione ed è stato fonte
energetica primaria per la messa in moto di ruote idrauliche di mulini, magli e più complesse
macchine industriali. Inizialmente però, ha costituito anche un problema per l'assetto viario ma fu
utile per il trasporto di materiali da costruzione; le pietre calcaree trasportate dal Mella consentirono
ai bresciani la produzione di calce, ancora oggi testimoniata dalle notissime torriarcheologico-
industriali di Ponte Crotte. Nel corso del tempo il fiume ha assunto anche importanti aspetti simbolici,
affettivi ed emotivi. Il Garza trae origine nell'area montuosa fra le valli Sabbia e Trompia, a nord di
Caino. Questo corso d'acqua è legato alla vita di Brescia, sotto il profilo economico e funzionale. Il
nome "Garza" appare in epoca longobarda e si suppone che derivi dal termine wardia, guardia, in
conseguenza della funzione difensiva assunta dal torrente in quel periodo. Per Brescia altre
fondamentali risorse idriche originarie furono le sorgenti; due di esse, quelle di Mompiano e di
Rebuffone, data la vicinanza al centro antico della città, furono particolarmente importanti, con netta
prevalenza della prima. Altre sorgenti più marginali ebbero importanza locale, come la fonte di
Sant'Eufemia e la risorgiva della Fantasina. Fu quella disponibilità d'acqua a creare in Sant'Eufemia la
tradizione delle lavanderie, un significativo settore di servizi privati della città che occupò per secoli
centinaia di donne.

6.2. I canali, le vie d'acqua


Come molti centri urbani tra l'XI e il XIX secolo, anche Brescia ebbe la sua rete di canali interni per la
messa in funzione degli impianti manifatturieri, lo smaltimento dei liquami e come via d'acqua per il
trasporto delle merci. La principale via d'acqua del contado era il fiume Oglio, del quale fin dall'XI
secolo era stata riconosciuta la proprietà esclusiva ai bresciani dagli imperatori germanici. Un
collegamento regolare fra il lago d'Iseo e la bassa bresciana venne garantito invece dalla Fusia, la più
importante roggia bresciana dell'Oglio. A Palazzolo sorgeva il porto fluviale mentre, più a valle, l'Oglio
diventava navigabile permettendo il transito a "navili de bona portata". Dall'età medioevale le sponde
del Basso Oglio divennero l'approdo di merci provenienti dall'Adriatico, sopratutto sale e olio di cui
Venezia controllava il commercio. Che anche la città di Brescia aspirasse ad avere una via di
comunicazione che la mettesse in comunicazione diretta con l'Adriatico è testimoniato dal Naviglio
Grande. Il Naviglio, attraverso un percorso di 25km, metteva in comunicazione il fiume Chiese, e
quindi la val Sabbia, con il porto cittadino di San Matteo, sotto Canton Mombello nell'attuale via
Mantova. Il Naviglio proseguiva poi per altri 48km fino a Canneto, sempre navigabile come attestano
documenti trecenteschi che prescrivono di non piantare alberi lungo le rive per consentire il transito
delle bestie da soma che dovevano trainare le imbarcazioni. La perdita del controllo politico su
Canneto nel Quattrocento fu probabilmente la causa del declino del Naviglio come via d'acqua. Dal
Quattrocento al Seicento furono avanzate numerose proposte per la navigazione nel Bresciano, ma
nessuna fu mai attuata.

6.3. L'acqua dialoga con la città


La città deve molto della sua morfologia ai corsi d'acqua presenti nel territorio: oltre ai corsi d'acqua
naturali e artificiali che hanno interessato il territorio su cui sorge Brescia, negli Statuti del XIV secolo
compaiono altri corsi d'acqua cittadini minori, come le varie seriole tratte dal Naviglio. Buona parte
della città deve la sua conformazione al Garza. Anche Brescia, come molti altri centri urbani
dell'epoca, alla fine del Duecento vide un grande sviluppo urbanistico ed economico che si basava sui
canali e sulle nuove macchine idrauliche da essi messe in funzione. Lungo il corso dei canali cittadini
non sorsero solo mulini, ma anche molti altri tipi di impianti a ruota. La fitta presenza di corsi d'acqua
permise anche il formarsi di una ricca comunità di artigiani che sui canali avevano fondato le proprie
officine; i canali venivano utilizzati anche come scarico delle immondizie. Diversi edifici vennero
appositamente costruiti sopra i canali, proprio per poter usufruire di una comoda via di espulsione dei
rifiuti più diversi. Nell'Ottocento Brescia iniziò una specie di rimozione della sua anima acquatica: gli
impianti a ruota furono espulsi dalla città, i canali interni finirono per essere usati principalmente
come rete fognaria e,infine, vennero coperti e occultati nel sottosuolo. Questo processo iniziò nel
periodo napoleonico con l'espulsione dalla città degli impianti manifatturieri pericolosi o insalubri. Già
nel Duecento le acque bresciane erano soggette a numerose regolamentazioni. Nonostante la soglia
di tolleranza igienica e culturale dell'epoca fosse infinitamente maggiore della nostra, era vietato
tenere immerse le pelli nell'acqua delle pubbliche vie, operazione consentita solo nei rigagnoli che si
trovavano nelle fosse delle mura, e solo nella parte meridionale della città, dove l'acqua scaricava
subito nelle campagne. L'acqua dei canali e dei torrenti non serviva solo ad azionare le ruote
idrauliche delle manifatture cittadine: era di importanza vitale anche per l'irrigazione della campagna.

6.4. Gli acquedotti


La storia degli acquedotti bresciani si svolge lungo il corso di duemila anni e risulta complessa. Gli
studi su questo argomento sono scarsissimi e si riducono sostanzialmente all'epoca romana. Nel
medioevo il Comune rivendicava acqua e acquedotto come sua esclusiva proprietà. Fin dai primi
statuti del Duecento sappiamo che nessuno in città poteva accedere all'acqua del condotto se non
attraverso appositi sportelli tenuti chiusi a chiave dal funzionario competente, nè poteva tenere in
casa propria una fontana privata; nel tratto fuori dalle mura era vietato abbeverare gli animali
direttamente alle bocche dell'acquedotto. Durante le guerre e gli assedi del Quattro e Cinquecento
era usanza che i nemici di Brescia deviassero le acque dell'acquedotto di Mompiano.

6.5. Le fontane
La complessa struttura dell'acquedotto consentì a Brescia di possedere molte fontane, qualità che la
rese famosa, tanto che un illustre viaggiatore del XV secolo, parlando dei più rappresentativi servizi
offerti dalla città, affermava che "Brixia è fornida de fontane, campane et putane". All'epoca non
esistevano fontane con zampilli, ma solo a cascata e solo al suolo; l'esistenza di fontane antiche è
spesso data per scontata, ma le prime testimonianze certe giungono dall'inizio dello scorso millennio.
Gli Statuti del Duecento e del Trecento regolamentano la convivenza urbana anche in merito all'uso
dell'acqua: era vietato insozzare fontane e abbeveratoi, prelevare acqua se non dalle bocche
consentite, tenere fontane private in casa propria se non nei casi previsti, lavare panni mentre, era
obbligatorio utilizzare speciali vasche predisposte per dissetare gli animali. Dagli Statuti si comprende
anche la funzione sociale delle fontane, che erano meta d'obbligo per la borgata ed inoltre, erano
necessarie anche per lo spegnimento degli incendi. Tra le fontane che ebbero una vita più lunga, i
documenti nominano la Fontana Rotonda che durò fino alla fine dell'Ottocento posta al centro di via
San Faustino. Dai documenti trecenteschi si apprende inoltre che chi usufruiva privatamente di una
fontana era tenuto a pagare un canone annuo in denaro. Gli Statuti affermavano il primato pubblico
nel settore delle acque e delle fontane; tuttavia alcuni conventi, soprattutto quello di Santa Giulia,
tendevano a gestire come proprie le acque, sino a provocare veri e propri scontri con la pubblica
amministrazione. Il Quattrocento ha lasciato una più ampia documentazione sulle fontane bresciane,
che evidenzia la tendenza al controllo delle utenze, con particolare sottolineatura della provvisorietà
delle concessioni. Le fontane bresciane del Cinquecento sono numerose, ma nessuna venne
progettata con fine ornamentale. Le nuove piazze che vennero aperte non mancarono mai di acqua,
ma si trattò sempre di vasche funzionali, dal disegno semplice e solo leggermente ornato. Nel primo
Ottocento, l'amministrazione delle fontane venne affidata ad apposite commissioni; la seconda metà
dell'Ottocento vide l'eliminazione di molte antiche fontane perché la loro posizione era diventata
inconciliabile con il traffico dei veicoli dell'epoca. Pian piano le fontane pubbliche persero ogni utilità,
se non quella ornamentale e la costruzione del nuovo acquedotto verso la fine dell'Ottocento consentì
di portare l'acqua nelle case anche ai piani superiori. L'inaugurazione della nuova struttura fu
celebrata con la costruzione di una fontana, quella dell'attuale piazza della Repubblica.

6.6. Il XX secolo
Nel XX secolo Brescia vede un importante aumento demografico e un'imponente crescita industriale,
che richiedono il ricorso a sempre nuove infrastrutture e più ampi servizi. Nel corso del secolo si
effettuano numerosi ammodernamenti e rifacimenti di parti dell'acquedotto, si scavano nuovi pozzi e
si porta l'acqua anche nelle zone più periferiche della città. Nel 1933 l'amministrazione comunale
decide definitivamente di affidare la gestione dell'acquedotto all'Azienda dei Servizi Municipalizzati,
che già si occupava dei trasporti urbani, della fabbrica del ghiaccio, della produzione e distribuzione di
energia elettrica e metano. L'arrivo dell'acqua nelle singole abitazioni cambia la qualità della vita dei
bresciani, ma l'installazione dei contatori a consumo ne fa venir meno la gratuità d'uso. Per tutto il
corso del 900 Brescia si deve confrontare anche con il problema dello sviluppo industriale e del
conseguente inquinamento delle acque, sia di superficie sia di pozzi e falda sotterranea. Nel secondo
dopoguerra l'espansione cittadina accelera la costruzione di una rete fognaria moderna, spesso
utilizzando rogge e fossi appositamente intubati.

6.7. Il servizio idrico integrato


Per secoli non è esistito un sistema pubblico di distribuzione dell'acqua potabile come lo intendiamo
oggi. Con la legge Giolitti del 1903 sui servizi pubblici, che consentiva la municipalizzazione degli stessi
quando fosse in gioco il preminente interesse delle comunità locali, anche in Italia si cominciò a dare
un assetto moderno al settore dei servizi idrici. Brescia si adeguò. Oggi l'acqua di Brescia è affidata
all'azienda A2A che gestisce il servizio idrico integrato. Con l'espressione servizio idrico integrato si
intende l'insieme dei servizi connessi all'uso civile dell'acqua, cioè la sua captazione, il trasporto, la
distribuzione e, infine, la raccolta e la depurazione delle acque reflue. I cicli dell'acqua connessi
all'agricoltura, alla zootecnica e all'industria non fanno parte del servizio idrico integrato.

7. Conclusioni e ricadute didattiche


Come abbiamo visto, l'acqua non è una risorsa fondamentale per la sopravvivenza della vita sul
Pianeta, ma ha anche un valore sociale importante. Come per ogni altra risorsa ambientale, anche per
l'acqua occorre predisporre un percorso educativo adeguato e concrete istruzioni per un suo utilizzo
consapevole. L'educazione alla cittadinanza attiva non può prescindere dal portare il bambino a
comprendere quanto sia importante il contributo di ciascuno.

CAPITOLO 4: LE RETI DI RELAZIONI PRESENTI NELLA COMUNITA'-UNA PROPOSTA DIDATTICA PER LA


SCUOLA PRIMARIA ( Sara Mandelli )
1. Introduzione
Avvicinare i bambini all'educazione alla cittadinanza richiede la consapevolezza del ruolo educativo
delle esperienze scolastiche nella formazione di menti e persone con valori, idee, opinioni in grado di
agire nel mondo. Si tratta di un compito che coinvolge l'intera esperienza del singolo, dalla sfera
emotiva, a quella sensoriale, relazionale e intellettuale: per sapere essere e sentirsi cittadini è
necessario conoscere se stessi, gli altri ed il territorio circostante come sede e dimora di intrecciate e
complesse relazioni.

2. Territorio e cittadinanza
L'ambiente di vita assume un'importanza fondamentale nel percorso di crescita della persona: il
bambino prima, e l'uomo poi, sono inseriti in uno spazio all'interno del quale avvengono significative
relazioni. Tali relazioni sono la base sicura e stabile di ogni uomo perchè ne formano la personalità e
l'identità. La strutturazione del territorio ha come obiettivo la sopravvivenza e la vita di una società:
ben presto l'uomo con le sue azioni è in grado di trasformare lo spazio circostante e il territorio
diviene portatore di segni, significati, tracce e cultura della società che la abita. Nel territorio vi è
inscritta la storia della società e viene custodito il valore più prezioso per l'umanità, il quale deve
essere tramandato alle generazioni future per garantirne la sopravvivenza. Ogni uomo riceve in
eredità da chi lo ha preceduto uno spazio colmo di caratteri socio-culturali e il suo compito è saper
valorizzare, tutelare e promuovere il territorio attraverso una significativa azione di responsabilità. La
scuola è chiamata a formare cittadini che siano in grado di conoscere ed apprezzare ciò che li
circonda; in tal senso, la geografia risulta essere una disciplina di cerniera tra i problemi odierni e la
necessità di una rinnovata ed autentica educazione: essa deve essere intesa come scienza che studia
l'organizzazione umana del territorio. Il territorio viene inteso come spazio antropizzato, luogo delle
vicende umane e sede della nascita di una società, intriso di patrimonio culturale da tutelare e
trasmettere. Per l'uomo valorizzare il proprio territorio come fulcro di storia, valori e cultura significa
dunque riconoscersi parte di una società attiva ed in continua evoluzione, la quale richiede una
responsabilità costante: essere parte di essa significa sentirsi cittadini. Educare alla cittadinanza è
ritenuta una tra le finalità della scuola di oggi e l'Italia riconosce differenti sfere di cittadinanza come
quella civile, sociale e politica. La cittadinanza attiva prevede dunque che i cittadini si organizzino al
fine di agire nell'interesse di tutti. Democrazia e cittadinanza attiva, se svolte con motivazione,
dedizione e responsabilità, motivano ciascun individuo al raggiungimento di obiettivi comuni: per far
ciò occorre riconoscersi parte di una società, di un territorio, ed instaurare relazioni con gli altri
membri. La scuola è chiamata in prima persona ad agire ed intervenire al fine di educare gli alunni a
prendere coscienza del loro posto nel mondo, della loro responsabilità e del loro ruolo in futuro.

3. Educare alla cittadinanza: un terreno di condivisione tra storia e geografia


La relazione che ciascuno di noi instaura con determinati luoghi è in grado di definire e formare
l'identità individuale; si sviluppa un senso del luogo nella misura in cui ci si sente di appartenere ad
esso, si riconosce un sentimento che implica l'attaccamento: l'individuo sente si appartenere a
qualcosa perché è tramite questa appartenenza che la sua identità si rafforza e si forma. L'emozione
influenza la nascita del senso del luogo, ovvero questo senso di attaccamento e riconoscimento. Quel
che mette in stretta relazione la cittadinanza con lo studio del territorio è l'identità territoriale che
forma l'individuo e lo identifica per tutta la vita. Il territorio dunque fa parte del tessuto sociale di vita
dell'individuo e più in generale della società, è ciò che pone le basi, ciò che influenza ogni ambito di
vita. Ciascun alunno a scuola costruisce insieme agli altri un aggregato che darà vita ad una vera e
propria società; per il bambino è importante sviluppare il senso di appartenenza alla comunità
scolastica formatasi in quanto in essa avverranno le sue principali esperienze socializzanti e formative.
Al fine di promuovere un'efficace educazione alla cittadinanza attiva che sappia valorizzare le
esperienze offerte dal territorio, la strada migliore per la scuola risulta essere l'interdisciplinarità. E'
chiaro che geografia e storia risultano complementari, in quanto da un lato la prima si occupa dei
territori in stretta relazione con le società che vi abitano e che in esso lasciano tracce; la seconda
amplia il discorso andando a sondare le radici più profonde della società, dalle origini sino ad oggi,
valorizzando testimonianze, fonti e tradizioni radicate nel corso del tempo e utili alla comprensione
del patrimonio culturale. Ogni società è inserita in uno spazio geografico e in un tempo storico e
l'interdisciplinarità storico-geografica promossa a scuola può e deve favorire una didattica attiva e
coinvolgente. Importante è promuovere lavori di gruppo, discussioni collettive, confronti e dibattiti
nei quali gli alunni non siano passivi ma piuttosto protagonisti attivi del processo di co-costruzione di
significati. L'obiettivo è di attivare la mente dell'allievo, catturarne l'attenzione e i pensieri
motivandolo alla scoperta. La cittadinanza di cui la scuola deve farsi promotrice è una cittadinanza
attiva, che smuova le coscienze dei singoli verso azioni ed obiettivi d'interesse generale. Promuovere
un'educazione alla cittadinanza nella scuola significa valorizzare la conoscenza di ciò che sta attorno ai
ragazzi, suscitare emotivamente il loro interesse e la loro partecipazione, definire regole ed obiettivi
comuni al fine di saper agire collettivamente. Essere cittadini del mondo responsabili e consapevoli, in
grado di conoscere e riconoscere i bisogni della collettività è ciò che può garantire un futuro
all'umanità in quanto genera senso di appartenenza e legalità.

4. Una scuola attiva per la promozione di una cittadinanza attiva


Compito della scuola è quello di insegnare ad apprendere, ma soprattutto insegnare a essere: essere
cittadini attivi, responsabili e leali in grado di agire consciamente nel mondo attraverso la promozione
di atteggiamenti di cura, valorizzazione e promozione del territorio. Specialmente negli anni della
scuola dell'infanzia e primaria, la conoscenza non può passare esclusivamente attraverso contenuti di
libri di testo; la didattica deve attivarsi per smuovere le coscienze degli alunni, per coinvolgerli
emotivamente e suscitare in loro stupore e meraviglia: questo apprendimento risulterà più efficace e
duraturo nel tempo. Tra gli strumenti didattici attivi, quello che permettere di cogliere i segni culturali
e immateriali intangibili, vi è l'uscita didattica. Quest'ultima concorre a una più ampia comprensione
del fatto che lo spazio non è soltanto un aggregato di elementi fisici e antropici, ma che tra di essi si
instaurano significativi legami. Insegnare a chiedersi sempre il perché delle cose che si osservano sul
terreno è uno dei principali obiettivi che ogni insegnante dovrebbe porsi. Anche la letteratura è un
valido strumento che consente una conoscenza interdisciplinare storico-geografica e può essere
utilizzata innanzitutto per arricchire la scoperta dello spazio attorno a sé, sia rispetto a ciò che pensa e
vive l'alunno, sia traendo informazioni dai testi di scrittori del passato che possono fornire uno
sguardo nuovo ai problemi e ai fenomeni osservati. Grazie agli svariati strumenti didattici gli alunni
con difficoltà di apprendimento possono avvicinarsi ai contenuti mediante un approccio più adeguato
alle loro capacità e senza per questo venire denigrati o sminuiti. L'insegnante assume il ruolo di
facilitatore, promuovendo cioè l'acquisizione dei contenuti ma senza intervenire troppo nel processo
di apprendimento.

6. Educare alla cittadinanza attiva attraverso la relazione uomo-territorio


Un'importante sfida per gli insegnanti è quella di portare il territorio nella scuola e la scuola nel
territorio. I potenti mezzi comunicativi di cui disponiamo oggi devono essere considerati e valorizzati
come fondamentali mediatori didattici: promuovendo attività e coinvolgendo i new media anche i
bambini saranno partecipi e attivi del percorso didattico. Il ruolo delle discipline storico-geografiche è
centrale nel processo di costruzione dell'identità personale oltre che territoriale, fino all'acquisizione
di competenze necessarie per far nascere una cittadinanza attiva e responsabile: conoscere il
territorio significa sentirsene parte, osservare i cambiamenti e valorizzare ogni traccia presente in
esso. Per saper essere e sentirsi cittadini è necessario conoscere sè stessi, gli altri e il territorio
circostante come sede e dimora di intrecciate e complesse relazioni

CAPITOLO 5: LE USCITE DIDATTICHE PER L'EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA ( Thomas Gilardi )


1. Geografia e cittadinanza: la dimensione didattica
Il seguente lavoro intende mettere in relazione due argomenti didattici di crescente importanza a
livello internazionale: il territorio in una prospettiva di sostenibilità e la cittadinanza in una prospettiva
di partecipazione. La cittadinanza dei bambini ha un doppio valore geografico: il primo si esprime
nella partecipazione dei bambini qui e ora, che comporta una rieducazione degli adulti in senso non
auto-referenziale, il secondo nella partecipazione degli adulti futuri attraverso l'apprendimento sul
campo dei bambini stessi. Nonostante la partecipazione dei bambini e dei ragazzi sia promossa in
Italia da ormai alcuni decenni, ancora oggi sono presenti situazioni che non permettono un'autentica
esperienza di cittadinanza. Sebbene esistano esperienze anche molto positive, in Italia la
partecipazione dei bambini è inoltre spesso caratterizzata dalla sua eccezionalità e straordinarietà,
non riuscendo a essere inserita in modo sistematico nei piani programmatici delle istituzioni che le
promuovono, e risultano essere ancora molto occasionali, nonché limitate dalle disponibilità
finanziarie.

2. Esperienze di cittadinanza e geografia


Dal punto di vista teorico e metodologico, sono possibili varie riflessioni sul tema dell'uscita didattica.
La specificità pedagogica dell'uscita didattica per la formazione alla cittadinanza ruota intorno ai
concetti di apprendimento situato, autenticità e personalizzazione, mentre da un punto di vista
pratico è possibile individuare una varietà di approcci didattici alla progettazione dell'apprendimento
in diverse modalità di uscite sul campo. L'utilizzo delle uscite sul terreno per fornire materiali didattici
ed esercizi con un feedback immediato è riconducibile all'approccio comportamentista, per il quale
l'apprendimento è efficace quando l'associazione con un particolare stimolo è rinforzata da una
risposta positiva. Questo approccio ha un'idea dell'insegnamento/apprendimento di tipo
prevalentemente trasmissivo. Le uscite didattiche si presentano come esperienze ideali per erogare e
raccogliere informazioni, anche se la qualità di tali esperienze presenta numerosi limiti non sempre
dipendenti dalle capacità progettuali degli insegnanti. Nel corso delle simulazioni ciascuno studente
affronta un'esperienza che gli consente di essere parte del sistema che sta studiando. Lo scopo di tale
approccio è quello di poter trasferire l'esperienza di apprendimento dall'uscita didattica al mondo
reale. Inoltre, la simulazione permette agli studenti di verificare in tempo reale le conseguenze delle
proprie azioni grazie all'interazione continua tra le diverse parti del sistema. Un evidente punto
debole di questo tipo di pratica è l'incertezza della trasferibilità dell'apprendimento, che avviene in un
contesto simulato, ad altre situazioni del mondo reale. Gli apprendimenti promossi attraverso
l'interazione sociale e la collaborazione tra pari possono invece essere ricondotti al costruttivismo di
Vygotskij. In questo contesto le uscite didattiche possono essere intese come esperienze che
permettono di negoziare regole di diverso tipo e condividere le proprie opinioni sul loro valore. Tali
esperienze, possono offrire dei contesti ideali per la pratica della cittadinanza dato che le uscite sul
campo necessitano il consenso di tutti i partecipanti a un regolamento comune.

3. Caccia al tesoro per un'esperienza di cittadinanza


La geografia offre numerosi spunti per l'educazione alla cittadinanza. La caccia al tesoro può fornire
un esempio più concreto di come un'esperienza spaziale locale di tipo geografico possa offrire anche
numerosi spunti proprio per un'educazione alla cittadinanza. Prendendo in considerazione una classe
è possibile organizzare un'attività ludica di esplorazione del proprio ambiente attraverso una serie di
definizioni e indovinelli interdisciplinari, che trovano una loro soluzione nella compilazione di una
carta geografica del proprio paese o nel corso di un'uscita didattica.

4. Conclusioni
Come si è visto le uscite sul campo offrono delle occasioni didattiche educative di eccezionale
ricchezza che si presentano, anche a un'efficace educazione alla cittadinanza. Senza bisogno di
organizzare una vera e propria uscita didattica è possibile organizzare una caccia al tesoro anche in un
contesto sicuro, come il giardino della propria scuola. L'insegnante può predisporre delle prove per
fare in modo che i bambini riescano a riconoscere la loro organizzazione dello spazio, inevitabilmente
soggettiva. Se l'età dei bambini lo permette, tutte le informazioni raccolte possono essere sintetizzate
in tante carte individuali, che permetteranno di sostenere, anche a lungo, interessanti discussioni sulla
diversa organizzazione dello spazio. Per i bambini le principali finalità educative in termini di
cittadinanza sono riconducibili in primis alle esperienze attraverso le quali è possibile cominciare a
maturare il bisogno di vivere in una società di regole condivise. Per i più piccoli, il gioco è la modalità
più efficace per far riconoscere questo tipo di bisogno. A questa prima finalità educativa si aggiunge
l'importante riconoscimento della valorizzazione della persona nel rapporto con le istituzioni più
vicine sul territorio, una relazione che è inevitabilmente costituita da reciproci diritti e doveri. Infine,
tra le principali finalità educative in termini di cittadinanza è possibile riconoscere, almeno per i più
grandi, anche il primo sviluppo di un senso di responsabilità nei confronti del proprio territorio e del
proprio spazio di vita. Così facendo, la sostenibilità e la partecipazione diventano due chiavi di accesso
di una cittadinanza attiva dei bambini.

Potrebbero piacerti anche