Sei sulla pagina 1di 2

IL ROMANZO IPOTETICO

Ora, dal momento che hai aperto questo volume, esigo da parte tua la massima collaborazione.
Anche se, come il saggio di Nietzsche, ciò che stai tenendo tra le mani (mi auguro, dato che il formato digitale è
ridicolo perché senza un minimo di contatto un pensiero non si può per nulla sfiorare) è “per tutti e per nessuno”,
io ho comunque intenzione di provare ad appropriarmi della tua esistenza penosa e gettarti nel mio abisso morente,
dal quale solo tu, mettendoti alla prova, potrai nel peggiore dei casi trarne un significato oppure nel migliore dei
casi uscirne rabbrividito.

Non è una prova di intelligenza, di logica, o di tutti i restanti metodi di raziocinio che sono troppo antichi, superati
e generalizzanti, e non è nemmeno uno di quei test spilorci che mettono sui siti internet per intrattenerti in modo
spiccio facendoti credere di essere ciò che probabilmente non sei.
Ahimè, in questo caso la volontà di credere a quelle fandonie dipende solamente dal livello della tua ignoranza.
Se ci credi buon per te, ma non voglio per nulla esserti amica e faresti meglio a gettare subito il mio pensiero tra le
fiamme per liberare sotto forma di fumo la mia anima che, chissà per quale fenomeno, è racchiusa in codeste
pagine di cellulosa.

Scrivendolo a serate sbronze metterò sicuramente al suo interno ciò che fa di me una ragazza distrutta.
D'altronde, come potrei essere altrimenti, dato che possiedo seguaci che si fermano solamente a giudicare la
struttura, la musicalità che traspare dai miei scritti, invece di assaporare la sostanza e di morire avvelenati
simpatizzando con me? Non sono tutti dei pervertiti e purtroppo non posso aiutarli perché le persone comuni sono
delle “cappe piene”: non sono più disposti ad apprendere ciò che ormai va oltre le loro comuni abitudini.

Sono dei pezzi di merda, puri stronzi fumanti che contaminano l'aria del pianeta, ogni volta che esco di casa mi
tocca assaporare il loro fetore e non è per nulla piacevole. Per questo ho voglia di raggiungere un luogo isolato al
più presto possibile perché non respiro da quando sono nata e potrei volontariamente suicidarmi.
Scherzo, fisicamente non lo farei mai, anche perché è troppo semplice sparire con metodi che possono anche
essere considerati romantici, ma comunque troppo easy per sconfiggere una volta per tutte questa nostra natura
dolente. Preferisco continuare ad immergermi nel mar rosso che corrode la mia scatola cranica, ficcarmi un dito
nella vagina e spingere dentro, scatenando a volte anche degli tsunami che mi tengono buona per tutto il resto della
notte. Provo piacere anche, da pietosa bestia, nel mordermi o pugnalarmi il braccio con la forbice per cercare di
distrarmi dal male di vivere, ma così facendo mi reco solamente del male aggiuntivo e non risolvo nulla.

Non posso fare altrimenti, mi piace farmi del male. Solo in questo modo riesco ad alimentare la mia coscienza.
E poi, diciamocelo, tutti noi siamo un po' masochisti.

Il dolore è molto piacevole ed incarna ciò che nell'antichità i greci definivano psyche, cioè l'anima, che
platonicamente è imprigionata in ognuno di noi per scontare una pena che può andare dall'impersonare un grande
riccone, che sgancia money per poter respirare, al guidare un eremita, che invece muore per poter respirare.
Ma chi è, quindi, l'anima più fortunata? Che domanda da babbei. Nessuna.
Tutti, a proprio modo, cercano di scappare dalla sofferenza, ma inutilmente.

Il ricco, chiamato anche “botte bucata”, il quale vive costantemente con il cappio al collo, vizioso e arrogante
come un poppante, un passivo sessuale che viene frustato dai propri vizi che col tempo non fanno altro che
aumentare. Per quanto possa cercare di esaudire i propri desideri, ne nasceranno sempre altri, ancora più difficili
da realizzare, perciò non potrà mai raggiungere la piena soddisfazione, o “felicità” come vi ostinate a chiamare.
L'eremita, che per quanto possa allontanarsi dall'orrido frastuono della convivenza sociale, non potrà mai ottenere
la pacifica solitudine perché, scappando dagli uomini, è diventato oggetto di se stesso: come un tritacarne
l'introspezione scinde il suo essere in così tante personalità che non saprà mai considerarsi propriamente solo.
Ed infine c'è la plebe, che meglio definisco classe dei lavoratori.
Usciti dall'utero, si attaccano ingenui alle mammelle, succhiano egoisticamente dal capezzolo tutti i desideri
repressi della madre e la morale che poi li indirizzerà a diventare delle efficienti api operaie.
Definiscono sogni delle professioni sociali e si auto-convincono di essere felici, amati e realizzati.
Alcuni si sposano e altrettanti divorziano, altri si rifugiano nella prostituzione, altri si annebbiano con le sostanze
stupefacenti ed altri ancora cercano di sparire andando in coma etilico per acquietare i propri istinti violenti.
Nessuno è più importante di nessuno, siamo tutti uguali difronte alla legge naturale. Questo è l'unico governo che
sappia rientrare nell'ideale dei rivoluzionari francesi lmao. Nessun eroe, nessun pezzente, tutti dei pezzi di merda.
Come ben disse anche Aristotele, esistiamo solo con lo scopo di preservare la specie. In noi non risiede alcuna
valenza religiosa, non siamo figli di Dio, anzi, è proprio Dio ad essere nostro figlio, in quanto è frutto di menti
speranzose e spaventate dall'idea di dover un giorno vagare nell'oblio.
Arrendetevi e accettate di non avere alcun senso, in quanto regnante il caos, nasciamo da un lancio di dadi in una
realtà puramente contingente. Possiamo esistere come no, non siamo dettati dal destino e per di più non siamo
degli ologrammi che vagano nella mente fantasiosa di nessuno, come è invece ne “Il Mondo di Sofia”.

Ed io ho pensato, tanto vale morire. E' un pensiero prettamente illogico ma ragionevole in un certo senso.

Potrebbero piacerti anche