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Già dagli anni settanta del XX secolo hanno cominciato a diffondersi affermazioni secondo cui la popolazione
umana avrebbe raggiunto livelli così alti da superare di gran lunga il numero totale di esseri umani vissuti in tutte le altre
ere dell'umanità, ma tale tesi sembra priva di oggettivi fondamenti.
Per quanto difficili e delicate, varie nel tempo sono le stime scientifiche proposte sul numero totale di esseri
umani vissuti in tutte le epoche. Una fu preparata nel 1995 da Carl Haub per conto dell'organizzazione non-profit
Population Reference Bureau, poi aggiornata nel 2002. La stima aggiornata indica un numero pari a un di circa 106
miliardi di esseri umani vissuti sulla terra. Haub ha qualificato questo numero come una stima ottenuta a partire dai livelli
di popolazione in determinati momenti della storia umana, dall'antichità fino all'epoca contemporanea, applicando i tassi
di natalità stimati per ciascun periodo
Confrontando, ad esempio, questa stima con la popolazione globale dell'anno 2002 (pari a circa 6,2 miliardi), si
deduce che la popolazione vivente nel 2002 costituisce solo il 6% del totale di uomini vissuti in tutte le epoche: quindi
non una schiacciante maggioranza, ma un'esigua minoranza. Diversi altri studi prodotti nella prima decade del XXI
secolo, hanno dato luogo a stime aggirantesi su un intervallo compreso tra i 100 e i 115 miliardi.
Il tasso di crescita della popolazione è diverso da regione a regione: la crescita della popolazione nelle diverse
aree geografiche dal 2000 al 2005 è stata:
Si nota che nel XX secolo l'enorme incremento della popolazione umana è avvenuto per diverse cause: per la
diminuzione del tasso di mortalità di molti paesi, per i progressi della medicina moderna e per l'enorme incremento della
produttività agricola, definito come rivoluzione verde.
Nel 2000 le Nazioni Unite stimarono che la popolazione mondiale è cresciuta ad un tasso dell'1,14%, pari a 75
milioni di persone all'anno, comunque in diminuzione rispetto al picco di 86 milioni avvenuto nel 1987. In pochissimi
secoli, il numero di persone viventi sulla Terra è aumentato di diverse volte. Nel 2000 il pianeta ospitava 10 volte gli
abitanti di 300 anni prima. Secondo dati forniti dalla CIA nel 2005 e nel 2006 la popolazione umana aumentava di
203.800 persone al giorno. Nel 2007 la stessa CIA ha rettificato il dato a 211.090 persone al giorno. Complessivamente,
dal picco del 2,19% del 1963, il tasso di crescita della popolazione terrestre sta regolarmente diminuendo, ma tale
crescita rimane elevata nel Medio Oriente e nell'Africa subsahariana.
In alcuni paesi, specialmente nell'Europa Centrale e nell'Europa dell'Est, si assiste ad un decremento della
popolazione, dovuto principalmente alla diminuzione del tasso di fertilità, mentre nell'Africa meridionale la diminuzione
della popolazione è dovuta all'alto numero di persone decedute a causa dell'AIDS. Entro i prossimi dieci anni anche
paesi come il Giappone e alcuni paesi Occidentali dovranno fare i conti con un tasso di decremento della popolazione.
Quando la crescita delle popolazione supera la capacità di sostentamento di una determinata area geografica si
parla di sovrappopolazione. Al contrario, tale area viene considerata "sottopopolata" se il numero di abitanti non è
abbastanza elevato per mantenere attivo il sistema economico. Tuttavia coloro che sottovalutano il problema della
sovrappopolazione non prendono in considerazione che la sostenibilità di un sistema economico è minacciata dal
degrado ambientale e dall'impatto ecologico della popolazione esistente. Le Nazioni Unite stimano che la crescita della
popolazione stia rapidamente declinando a causa della transizione demografica. Pertanto ci si aspetta un picco della
popolazione di 9,2 miliardi di abitanti nel 2050.
Queste cifre mostrano come la popolazione mondiale sia triplicata in 72 anni, e raddoppiata in 38 anni, al 1999.
Da notare che, nel corso del secondo millennio, ogni raddoppio ha richiesto all'incirca la metà di anni rispetto al
raddoppio precedente.
Nel 1994 la popolazione mondiale era di circa 5,6 miliardi di unità; le aree a più alta densità risultano essere la
pianura dell'Indo-Gange, la pianura della Cina settentrionale, il bacino del Sichuan, il delta del Nilo, il Giappone
meridionale, l'Europa occidentale, l'isola indonesiana di Giava, l'America centrale e la megalopoli statunitense di
BosWash (l'area compresa tra le città di Boston e Washington).
L'Asia ospita oltre il 60% della popolazione mondiale, con 3,8 miliardi di persone. La Repubblica Popolare
Cinese e l'India da sole ne contano rispettivamente il 20% e il 17%. Segue l'Africa con 840 milioni, il 12% del totale,
mentre l'Europa (710 milioni, 11%) e il Nord America (514 milioni, 8%) sono dietro. Chiudono Sud America (371, 5,3%) e
Oceania (21 milioni).
La popolazione mondiale è composta da centinaia di gruppi etnici. Il più grande gruppo etnico del mondo è
quello degli Han, che rappresenta il 19,73% della popolazione globale. Per confronto, il 6,06% della popolazione del
pianeta è di parziale o totale ascendenza spagnola e, con un livello di aggregazione più ampio, il 14,2% della
popolazione terrestre ha antenati Sub-Sahariani (in genere identificati come neri).
Secondo il CIA World Factbook del 2006, circa il 27% della popolazione mondiale è sotto i 15 anni di età.
Prima della crescita del tasso di mortalità gli anni '90 videro la più grande esplosione di nascite mondiale,
specialmente negli anni successivi al 1995, nonostante il tasso di nascite non fosse più alto come negli anni '60. In
realtà, a causa dei 160 milioni di nuove nascite all'anno dopo il 1995, il tempo che ci volle per raggiungere il successivo
109 fu il minimo della storia (solo 12 anni), tanto che la popolazione mondiale crebbe fino a 6 miliardi di persone nel
1999; la maggior parte dei demografi all'inizio del decennio aveva invece stimato che questo traguardo sarebbe stato
superato nell'anno 2000. Oggi le persone nate in quegli anni hanno tra i 7 e i 17 anni.
Gli anni tra il 1985 e il 1990 furono in termini di valore assoluto il periodo con la crescita annuale più rapida mai
avvenuta nella storia mondiale. Nonostante ciò, nei primi anni '60, ci fu un tasso di crescita maggiore di quella di metà e
fine anni '80, e la crescita di popolazione oscillò intorno agli 83 milioni di persone nel suddetto lustro, con la crescita
annuale più grande di tutti i tempi (circa 88 milioni nel 1990). La ragione va trovata nel fatto che la popolazione tra la
metà e la fine degli anni '80 era di gran lunga maggiore (circa 5 miliardi) di quella degli anni '60 (circa 3 miliardi); per
questo il tasso di crescita degli anni '80 non fu visto come un fattore di drammatico sconvolgimento nella demografia
mondiale. Le persone che nacquero in quegli anni hanno, ad oggi, un'età compresa tra i 17 e i 22 anni.
Nel lungo periodo, la futura crescita della popolazione è di difficile previsione. Il tasso natale si sta in media
lentamente abbassando, ma con enorme differenza tra i paesi già sviluppati (dove spesso il tasso di crescita è zero se
non negativo), i paesi in via di sviluppo ed in relazione alle diverse etnie. Il tasso di morte può variare improvvisamente a
causa di malattie, guerre o catastrofi, o progressi in campo medico. L'ONU stesso ha avanzato diverse proiezioni della
futura popolazione mondiale, ognuna basata su differenti ipotesi. Dopo gli ultimi 10 anni, l'ONU ha rivisto
consistentemente le proprie previsioni al ribasso, fino a che il 14 marzo del 2007 fu ritoccata la previsione del 2006,
portando il tasso medio di crescita stimato a 273 milioni.
Da uno studio fatto dallo United States Census Bureau venne innalzata una previsione di incremento della
popolazione mondiale per l'anno 2050 fino a circa 9,4 miliardi di persone (ovvero la stessa previsione dell'ONU fatta nel
2006 per il 2050), da 9,1 miliardi. Una nuova revisione dell'US Census Bureau del 18 giugno 2008, ha nuovamente
ritoccato in avanti questa cifra, portandola a 9,5 miliardi di persone nel 2050.
Altre proiezioni riguardano il fatto che prima o poi la popolazione mondiale dovrà trovare una espansione
massima, ma non è chiaro né quando, né come. In alcuni scenari, tale limite sarà toccato con i 9 miliardi nel 2050, o 10,
o 11 miliardi, a causa di un decremento graduale del tasso di nascite.
In altri scenari le conseguenze disastrose dalla scarsità di risorse, a sua volta causata dall'incremento della
richiesta dovuta a una popolazione crescente, porteranno ad un improvviso calo della popolazione stessa, o addirittura
una catastrofe Malthusiana, dal nome di T. Malthus che la teorizzò sul finire dell’Ottocento..
Nel 1798 Thomas Malthus previde che la crescita della popolazione avrebbe ecceduto le disponibilità di cibo
entro la metà del XIX secolo. Nel 1968 Paul R. Ehrlich riprese queste argomentazioni nel proprio testo The Population
Bomb, prevedendo carestie per gli anni settanta e ottanta. Le fosche previsioni di Ehrlich e di altri neo-malthusiani furono
duramente contrastate da vari economisti. La ricerca agronomica, che era a quei tempi già sulla strada di quella che
sarebbe stata la rivoluzione verde, portò a bruschi incrementi nelle rese agricole. La produzione agricola ha retto per
molti anni il passo della crescita demografica. ma i neo-malthusiani sottolineano che non potrà in eterno sostenere il
ritmo verificatosi durante la rivoluzione verde tra il 1950 e il 1985 quando ha trasformato l'agricoltura del mondo e la
produzione di cereali è cresciuta del 250%.
La diversità delle tesi è dovuta al fatto che i risultati della Rivoluzione Verde erano resi possibile da energia
fornita da combustibili fossili sotto forma di produzione di fertilizzanti (che richiede gas naturale) e di metodi di irrigazione
azionati grazie all'uso di idrocarburi, risorse destinate a scemare.
Il picco nella produzione mondiale di idrocarburi potrebbe essere un buon test per le previsioni di Malthus ed
Ehlrich. Infatti nel maggio del 2008 il prezzo dei cereali è stato spinto verso l'alto dall'aumentato uso dei prodotto agricoli
come biocarburanti, il prezzo mondiale del petrolio ha raggiunto i 140 $ per barile e la popolazione globalmente continua
a crescere; sono inoltre in corso rilevanti cambiamenti climatici, una perdita di terreno coltivabile dovuta allo sviluppo
abitativo e industriale e una forte crescita della domanda dei consumatori indiani e cinesi. Disordini dovuti alla scarsità di
cibo sono recentemente scoppiati in vari paesi del mondo.
La popolazione mondiale è cresciuta di circa 4 miliardi di persone dall'inizio della Rivoluzione Verde e molti
credono che, senza questa rivoluzione, ci sarebbero nel mondo più fame e denutrizione di quanto documentato dalle
Nazioni Unite (circa 850 milioni di persone che soffrivano di malnutrizione cronica nel 2005).
D'altro canto un buon numero di persone sostiene che i tassi di fertilità attualmente bassi in Europa, America
del Nord, Giappone e Australia, combinati con l'immigrazione di massa, avranno gravi conseguenze negative per queste
parti del mondo.
La povertà infantile è stata collegata al fatto che le persone facciano nascere i propri figli prima di avere i mezzi
economici per prendersi cura di loro.
Distribuzione percentuale storica e futura della popolazione per percentuale sulla popolazione mondiale
Regione 1750 1800 1850 1900 1950 1999 2050 2150
Mondo 100 100 100 100 100 100 100 100
Africa 13,4 10,9 8,8 8,1 8,8 12,8 19,8 23,7
Asia 63,5 64,9 64,1 57,4 55,6 60,8 59,1 57,1
Europa 20,6 20,8 21,9 24,7 21,7 12,2 7,0 5,3
America Latina e Caraibi 2,0 2,5 3,0 4,5 6,6 8,5 9,1 9,4
Nord America 0,3 0,7 2,1 5,0 6,8 5,1 4,4 4,1
Oceania 0,3 0,2 0,2 0,4 0,5 0,5 0,5 0,5
L'urbanesimo o inurbamento è quel processo consistente nella migrazione di grandi masse di popolazioni dalle
campagne alle città, Da un punto di vista sociale, essa è riconducibile all'assunzione di uno stile di vita urbano da parte
di masse contadine (urbanizzazione).
Il fenomeno è noto dalla nascita delle città, ha tuttavia visto la sua forma più radicale dall'industrializzazione
dell'Occidente nel XIX e XX secolo. Seppure con modalità differenti, è in atto anche in epoca contemporanea.
Storicamente, i fenomeni di urbanesimo sono esistiti sin dalla nascita delle città, avvenuta con la rivoluzione
neolitica. Tuttavia, si è trattato di spostamenti modesti, riconducibili ora alla fondazione di nuove città, come nel caso di
una nuova colonia romana, ora al particolare prestigio che una specifica città assumeva in un certo periodo storico,
come nel caso delle grandi capitali come Roma imperiale, Parigi o Londra. Inoltre, a periodi di modesto urbanesimo
seguivano periodi di disurbanizzazione, spesso riconducibili a carestie, cui corrispondevano pestilenze, che avevano
nelle città un bersaglio privilegiato.
Caratteristiche fondamentali di questo primo periodo storico furono:
• una bassa produttività dei campi: ogni contadino produceva poco cibo. Statisticamente, nell'Europa
preindustriale, vi erano 9 contadini ogni cittadino. Un rapporto maggiormente favorevole alla città avrebbe portato nel
breve periodo a carestie.
• inefficienti reti di trasporto: laddove possibile via acqua per i (rari) trasporti di media e lunga distanza, e
via terra per il trasporto a breve distanza, tendenzialmente dal contado al mercato della città.
• inefficienti modalità di conservazione degli alimenti, come l'essicazione o la conservazione sotto
olio/sale.
Ovviamente dal neolitico al XIX secolo ci furono moltissime innovazioni, ma nessuna è paragonabile a ciò che
avvenne nel XIX secolo per l'impatto sui processi urbanizzativi.
Le caratteristiche sopra delineate aiutano a comprendere la forte vulnerabilità alle carestie, dato che era
impossibile muovere grandi quantità di viveri da una città all'altra in tempi rapidi e senza incorrere in un celere
deperimento.
Fino al XVIII secolo l’andamento demografico aveva subito oscillazioni di aumento o diminuzione della
popolazione in dipendenza da carestie, epidemie e guerre anche pluridecennali. Dal ’700 l’aumento demografico in
Europa ha un nuovo carattere perché è generale ed interrotto, con costante diminuzione della mortalità e prolungamento
della durata della vita.
In altri continenti continuano invece a verificarsi oscillazioni: in Asia la popolazione è stata più numerosa nel
1795 che nel 1800; mentre in Africa la diminuzione o la stagnazione demografica è determinata dalle frequenti razzie di
schiavi compiute in quel paese.
Durante la rivoluzione del ‘700 gli elementi costanti sono stati:
• la trasformazione dell’agricoltura, con un aumento della produzione e quindi il miglioramento
dell’alimentazione;
• l’aumento delle nascite;
• la diminuzione della mortalità soprattutto infantile;
• il progresso della medicina, con il vaccino contro il vaiolo e l’assunzione del chinino contro la malaria e
altre “febbri”;
• un miglioramento delle condizioni di igiene pubblica e di igiene personale con la diffusione dell’uso del
sapone e della camicia;
• la rarefazione di carestie.
Il primo stato ad aver subito questo tipo di rivoluzione è stata la Gran Bretagna, infatti la popolazione britannica
attorno al 1700 ha iniziato a crescere sempre più rapidamente. Le cause di questo sviluppo vennero inizialmente
attribuite alla riduzione della mortalità e al progresso in campo medico. L’aumento demografico è dato dall’effetto forbice:
riduzione del tasso di mortalità e aumento del tasso di natalità; determinati da fattori economici, primo fra tutti è il
miglioramento alimentare portato dalla rivoluzione agricola. L’aumento del tasso di fecondità totale è attribuito ai
matrimoni più precoci e alle nascite illegittime, che hanno accompagnato lo sviluppo urbano e la vita di fabbrica.
L’abbandono delle campagne avviene sia spontaneamente sia perché i contadini vengono cacciati dai proprietari che
fanno coltivare i terreni ad affittuari o a salariati, ed apportano notevoli miglioramenti nel modo di coltivare la terra di cui
vendono i prodotti agli abitanti delle città. Inoltre, nei campi vengono applicate nuove tecniche come la rotazione
quadriennale e nuove coltivazioni, quali: patate, pomodori, mais e frumento; tutti prodotti importati dall’America.
Le condizioni sopra delineate vengono meno grazie alle grandi trasformazioni di fine XIX secolo, creando le
condizioni per l'urbanizzazione. In primo luogo, la rivoluzione agricola, porta la produttività dei campi a crescere a
dismisura e causa fenomeni di disoccupazione di massa presso la popolazione contadina, che migrano verso i centri
urbani. In dettaglio: se grazie alla macchine, per ogni contadino si producono quantità sempre maggiori di cibo, per il
proprietario terriero sarà necessario assumere meno contadini. I piccoli proprietari, invece, difficilmente potranno reggere
la concorrenza dell'agricoltura meccanicizzata, né potranno permettersi l'acquisto dei nuovi macchinari, quindi
venderanno i propri terreni, cercando fortuna altrove. Senza entrare nel merito degli impatti della rivoluzione agraria,
basti sapere che tutto ciò ebbe come risultato il formarsi di masse di contadini disoccupati, che si spostarono verso le
città alla ricerca di nuove forme di reddito. Conseguenza fu il loro inurbamento e l'assunzione presso i nuovi impianti
industriali. A questi grandi processi migratori si accompagnarono problematiche sociali (povertà, sfruttamento della
manodopera infantile, ecc) e sanitarie (epidemie come il colera) di enorme rilievo, che portarono alla diffusione delle
ideologie socialiste, allo sviluppo della disciplina urbanistica e all'adozione di leggi per risolvere i problemi collegati.
Questo primo processo spiega in gran parte il fenomeno dell'urbanesimo del XIX secolo, che tuttavia fu enormemente
amplificato dagli altri due processi.
Un secondo fattore che sconvolge il quadro precedente è la rivoluzione dei trasporti, contemporanea alla
rivoluzione industriale, che porta anche allo sviluppo del sistema ferroviario. Storicamente, grandezza e forma delle città
sono state determinate dal mezzo di trasporto dominante. Nelle città preindustriali, questi erano i piedi, cui
corrispondevano nuclei urbani di dimensioni ridotte. Il trasporto su rotaia, con una velocità più elevata, fornisce quindi
un'ulteriore spinta ai processi in atto. A livello regionale collega fra di loro le città di maggiori dimensioni, permettendo di
vendere su mercati diversi i surplus di cibo, mentre a livello locale permette, grazie ai tram, spostamenti urbani più
veloci. Il mezzo su rotaia, a livello urbano, collega soprattutto le aree residenziali con quelle lavorative, i grossi
stabilimenti industriali.
Un terzo fattore è costituito dalle tecniche di conservazione dei cibo, come la conservazione in latta o la
refrigerazione, che hanno ulteriormente contribuito a impedire il rischio di carestie, sostenendo la diffusione di varietà di
cibo nei mercati.
In sintesi, l'urbanesimo è possibile laddove vi sia un aumento del surplus di cibo prodotto dalle campagne, ed è
base per la rivoluzione industriale. Successivamente, la rivoluzione industriale stessa incrementa il processo in atto, con
l'ulteriore aumento della produttività dei campi, lo sviluppo delle reti di trasporto, che permettono un maggiore trasporto
interno alle città ma anche un collegamento fra città diverse (quindi la creazione di mercati più vasti che richiedono
l'ampliamento delle industrie esistenti, un ulteriore incentivo all'urbanizzazione). Infine, le tecniche di conservazione del
cibo agevolano le trasformazioni in atto. Tuttavia, tutto questo non è indolore: l'urbanesimo è anche un processo che
provoca disagi enormi, come le epidemie di colera (spesso i quartieri operai non avevano le più elementari forme di
sistemi fognari) o il degrado (si pensi alle baraccopoli e alle workhouse inglesi). Tutto questo crea il terreno per la
diffusione delle ideologie socialiste, che nascono e si diffondono in ambiti urbani.
L'urbanizzazione, oltre a essere un fenomeno fisico di espansione della città sulla campagna, è quindi anche un
fenomeno sociale, di persone che abbandonano lo stile di vita delle campagne a favore di quello cittadino. Questo è
particolarmente evidente nelle seconde generazioni.
La ferrovia ha avuto una notevole importanza nello sviluppo delle città, ma questo sviluppo si sarebbe presto
arrestato se non fosse stato accompagnato dallo sviluppo dei trasporti urbani. Da allora è cominciata una crescita
impetuosa delle città secondo due modelli differenti: quello "a cerchi concentrici" e quello "a macchia d'olio".
• cerchi concentrici: In questo caso gli edifici e in generale i quartieri si sviluppano e si dispongono
intorno al centro, sfruttando ogni spazio disponibile per espandersi poi ordinatamente sempre più in periferia.
• macchia d'olio: in questo caso la crescita è molto più irregolare ed avviene soprattutto lungo le grandi
vie di comunicazione (dove il tessuto produttivo è più attivo).
Il primo importante mezzo di trasporto urbano fu il tram elettrico, che si diffuse nelle grandi città nell'ultimo
decennio del XIX secolo. Grazie a questo mezzo il raggio degli spostamenti aumentò notevolmente e lungo la via
tranviaria sorsero i quartieri popolari (quelli più elevati restavano comunque al centro). Poco dopo anche la bicicletta fece
la sua comparsa ed ebbe subito una rapida diffusione tra i ceti popolari. Ma il vero grande balzo in avanti si ebbe con la
motorizzazione di massa (dopo la seconda guerra mondiale): grazie alle automobili si aprirono nuove prospettive sia al
trasporto urbano sia al trasporto extraurbano. Molte città crebbero a dismisura oltre le proprie periferie, inglobando non
solo tutti gli spazi della campagna circostante ma anche i paesi e le piccole città vicine. Le città si erano così trasformate
in metropoli.
Nel 1800, solo 2 persone su 100 vivevano in città; agli inizi del XX secolo 15 su 100; nel XXI secolo, più della
metà della popolazione vive in città. L'urbanesimo degli ultimi tempi è stata caratterizzata principalmente da un generale
aumento delle metropoli: nel 1950 l'1% della popolazione abitava in una città con più di un milione di abitanti; adesso,
l'8% vive in una città milionaria. Da questo tipo di metropoli si è passato alla formazione di "giganti urbani" con più di 10
milioni di abitanti: nel 1950 solo New York superava i 10 milioni di abitanti; oggi, sono 26 e alcune di esse hanno creato
vaste regioni urbanizzate, le megalopoli (la megalopoli atlantica si estende per 740 km lungo la fascia costiera atlantica
degli Stati Uniti; la megalopoli giapponese per 500 km e raccoglie oltre 70 milioni di giapponesi).
La megalopoli BosWash
BosWash conta circa 44 milioni di abitanti, ovvero il 16% della popolazione statunitense.
Le città comprese sono Manchester (New Hampshire), Worcester e Springfield (Massachusetts). Providence
(Rhode Island). Hartford, New Haven e Stamford (Connecticut), New York (New York). Jersey City e Newark (New
Jersey), Filadelfia (Pennsylvania), Wilmington (Delaware), Baltimore (Maryland).
Questa è una lista delle prime 15 aree metropolitane più popolose del mondo, basata su stime del 2010. La
popolazione si riferisce agli abitanti presenti non solo nell'area urbana della metropoli, ma anche nelle città circumvicine
che gravitano intorno ad essa.