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Stefano Vaselli

Due dogmi dell’individualismo.

1. Uno spettro si aggira per un mondo di soli individui…


Scriveva più di venti anni fa, B. Williams: «Ci avviciniamo al pensiero
antindividualista con l’idea che, se gli effetti sono considerati su una scala
sufficientemente ampia, gli individui non fanno differenza. Non è che non abbiano alcun
impatto, ma non lo hanno in quanto singoli, e se un determinato agente non fosse mai
esistito o non avesse agito in quel modo, qualcun altro avrebbe fatto qualcosa con effetti
simili. Gli individui, in questa prospettiva, sono fungibili»1. Logica vorrebbe, dunque, se
Williams avesse colto nel segno, che per potersi avvicinare all’atteggiamento filosofico
opposto, l’individualismo sostanziale, sia sufficiente scorrere da questo vertice la
diagonale del quadrato logico aristotelico fino al vertice opposto, ed enunciare la posizione
antipodale: anche se considerassimo la storia e la società su una scala molto ampia di
campioni, fenomeni di massa, correlazioni causali tra agenzie collettive, classificazioni
fattoriali di gruppi molto numerosi, gli individui continuerebbero a fare – eccome – la
loro "differenza che fa la differenza", conservandosi perfettamente capaci di un proprio
impatto causale sulla storia, e in grado di compiere anche delle "cose straordinarie". Per
cui, ciascun individuo non potrebbe mai essere, e in alcun modo, fungibile da un altro
proprio simile, stante l’unicità essenziale di ogni individuo; vieppiù di una specie
altamente evoluta e complessa come la nostra. Questa, in effetti, è la posizione resa, sine
glossa, di autori come Berlin, Popper, e Hayek. Essa prende il nome di individualismo
metodologico radicale2. Senza voler mancare di rispetto ai partigiani (purché non
ideologici) di detta ideologia, si è portati a vedere in alcuni dei suoi principî, che qui
esamineremo, l’assetto teorico di veri e propri dogmi, non suscettibili dello stesso livello di
revisione, interpretazione critica, e di miglioramento che, viceversa, i lemmi e i principî di
una scienza (a fortiori se umana o sociale) dovrebbero essere in grado di soddisfare. Tali
"due dogmi dell’individualismo"3 sono:
(1) Il nominalismo sociale, vale a dire l’idea che gli individui non siano solo gli enti
fondamentali di un’ontologia sociale realisticamente più "ricca e plurale", ma i soli enti
esistenti, le uniche "sostanze" ammissibili da una seria metafisica sociale – assieme a
poche altre proprietà. Potremmo definirla una sorta di "monadologia post-moderna" delle
scienze sociali, dove la monade è, per l’appunto, l’individuo. Il nominalismo sociale, è,
come ogni studioso del liberalismo sa bene, già implicito nella forma di individualismo
propugnata a suo tempo da un autore fondamentale come K. Menger, uno dei padri della
"Scuola Austriaca". Non di meno è esplicitamente rivendicata come l’unica ontologia
compatibile con una moderna scienza sociale da autori quali F. A. Von Hayek4, K.
Popper5, e R. Nozick6. In un’intervista rilasciata da Popper alla RAI-Radiotelevisione
Italiana, l’epistemologo austro-inglese dichiarava che «parlare di società è estremamente
fuorviante. Naturalmente si può usare un concetto come la società o l’ordine sociale; ma
non dobbiamo dimenticare che si tratta solo di concetti ausiliari. Ciò che esiste veramente
sono gli uomini, quelli buoni e quelli cattivi – speriamo non siano troppi questi ultimi –
comunque gli esseri umani, in parte dogmatici, pigri, diligenti o altro. Questo è ciò che

1
WILLIAMS, (2006, 83 – 98); p. 95.
2
BOUDON (1994 Vol. 4), LAURENT, (1994), RIESMAN, (1954), ANTISERI e PELLICANI, (a cura di, 1995).
3
Il riferimento, forse pretenzioso, è al celebre saggio di W. V. O. Quine, Due dogmi dell’empirismo, al cui titolo
ci siamo ispirati.
4
HAYEK (1986, voll. 2 e 3). Il testo fondamentale di Hayek sull’individualismo resta, in ogni caso, HAYEK,
(1948).
5
POPPER, (1999, Capp. I- II),
6
NOZICK (1981).

1
esiste davvero. […] ma ciò che non esiste è la società. La gente crede invece alla sua
esistenza e di conseguenza dà la colpa di tutto alla società o all’ordine sociale7»
(2) L’ontologia della Mano Invisibile, l’idea, cioè, che la migliore rappresentazione
apologetica dell’individualismo at work nell’economia di mercato possa essere fondata
letteralisticamente (cioè non metaforicamente, né simbolicamente, né in modo
strumentalisticamente predittivo) su argomenti "emergentisti", che affermino, cioè,
l’esistenza di un reale meccanismo "ontologicamente inemendabile" di auto-equilibrazione
e di ottimizzazione delle preferenze individuali e dei desideri soggettivi, da cui possa
derivare la soddisfazione di bisogni sociali oggettivi. Tale dogma dovrà essere, di contro,
distinto da un’idea che spesso viene facilmente confusa con il principio in questione (anche
se strettamente correlata ad esso), vale a dire l’ideale sociopolitico (più utopico che
realistico) di un ordine spontaneo, soggiacente naturalmente all’affermazione dei desideri
individuali attraverso l’espressione delle capacità invalse nella "mano invisibile". Vedremo
come e perché le due idee, da un punto di vista logico non coincidano affatto, e come, anzi,
costringerle entro una struttura di identificazione, di equivalenza o di bi-implicazione
faccia correre il serio rischio di incappare in una vera e propria fallacia naturalistica (per
cui: dall’esser-così della mano invisibile deve derivare l’esser-necessario del miglior ordine
spontaneo).

2. La religione dell’individualismo radicale e le sue aporie.


Proviamo, ora, a passare al vaglio della critica filosofica informata alle metodologie
dell’ontologia sociale e della metafisica analitica8, quelli che, a parere nostro, si rivelano
essere, in ultima analisi, i due già presentati "articoli di fede" dell’individualismo.
Partiamo dal primo dogma, la proposizione (1): L’unica realtà sociale esistente sono
solo e soltanto gli individui e le loro preferenze. L’ontologia sociale propriamente
scientifica è quella che ha nei soli individui i suoi unici mattoni ontici fondamentali ed
irriducibili. Tutto ciò che non è "individuo" non sarebbe altro, così, che una mera façon de
parler, un espediente del linguaggio. Chiamerò tale primo dogma il postulato
nominalistico o (semplicemente) nominalismo sociale (NS). Fittizi ed inesistenti, per il NS,
sul piano della realtà fisica, sarebbero "cose" come lo Stato, i gruppi sociali (classi, caste,
corporazioni, categorie professionali), i partiti e i movimenti politici, la Società (con la "S"
maiuscola), le associazioni, i gruppi etnici, i gruppi linguistici, e più in generale tutto ciò
che, rischiando di reificarsi o meglio ancora di "ipostatizzarsi", altro non è che un insieme
strutturato, di più soggetti individuali (non solo le società nazionali, ma l’intera Società
Internazionale, forse addirittura l’Umanità intera)9. Questa, come è noto, è la strada
filosoficamente già percorsa da Roscellino da Compiegne a Guglielmo d’Ockam in epoche
medievali, ripresa in tempi contemporanei grazie a filosofi come N. Goodman, ed è una via
che va sotto il nome di eliminazione nominalistica degli Universali per mezzo di termini
generali. Ma, strano a dirsi, non sono (o non sarebbero) "fittizie" per gli autori che, pure, si
richiamano a NS – almeno leggendo i contributi più significativi dell’Individualismo
Metodologico – cose come la famiglia (almeno per gli individualisti metodologici
"ispirati" da qualche forma di cristianesimo criptocalvinista o veterocattolico), l’impresa,
(quindi: le società economico-finanziarie, dalle piccole S.r.l. alle più vaste corporations
con i propri, variabili, assets) il mercato (o meglio: i mercati), il capitale, la domanda,
l’offerta, il consumo, il risparmio, la moneta, e quindi l’inflazione monetaria, il tasso di
crescita, il prodotto interno lordo di un intero paese, il tasso di occupazione, il debito
pubblico, il disavanzo pubblico e per alcuni sostenitori dell’individualismo metodologico
(d’ora in poi IM), il sistema economico capitalistico finanziario/industriale, l’economia
nazionale, la borghesia, le minoranze creative, le libere associazioni, le classi dirigenti,
7
Citata in ANTISERI, (2005, 51).
8
Per un’utilissima rassegna si veda VARZI, (a cura di, 2008).
9
ANTISERI, (2005, 52)

2
per non parlar di quelle che, per alcuni "teo-con", sarebbero cose come l’Occidente, le
radici cristiane dell’Europa, la Chiesa, gli ordini religiosi, la Comunione dei Santi (che,
però, è un vero Dogma del Cristianesimo), i movimenti ecclesiali, la Globalizzazione,
eccetera. Inoltre, se l’individuo e la sua privata avidità fossero l’unica vera fonte di virtù
economica per il pubblico interesse di tutti, allora non avrebbe neanche alcuna ragion
d’essere una qualunque analisi strutturale e sistemica di tutti gli individui agenti sulla base
di questa descrizione dell’essere sociale, perché qualunque teoria intenzionata a parlare
della realtà sociale in termini di cose reali come la società, le comunità, ecc. sarebbe
semplicemente falsa. Come dire: se l’individuo è il solo tipo di ente che esiste, e se quindi
non esiste neppure una società (come credeva Popper), allora neppure l’individualismo può
esistere, dal momento che individualismo è pur sempre la descrizione di un determinato
modo di concettualizzare la realtà sociale in termini di individui. Occorre rivedere,
dunque, l’intuizione alla base di questo principio "misterico", per evitarne la trappola
dogmatica, che conduce all’auto-contraddizione. Del resto, lo stesso concetto di persona
che, strettamente parlando, è affatto distinto da quello di individuo (basti riflettere sulle
loro rispettive etimologie), secondo i nominalisti sociali, potrebbe essere tranquillamente
ammesso nel novero delle entità/proprietà/relazioni di cui una sana ontologia sociale
parsimoniosamente ispirata all’applicazione dell’Ockam’s razor può affermare l’esistenza,
in nome dello stesso "criterio di eccezione", per cui lo Stato e la collettività non esistono
effettivamente, ma il mercato e il capitale sì. D’altra parte, ben bizzarra sarebbe la
posizione di chi afferma senza se e senza ma che nella realtà (sociale?) esistono solo gli
individui e contemporaneamente si batte a spada tratta per la difesa del mercato. Se il
"mercato è sempre innocente10" (come sostengono autori al seguito di Hayek) allora deve a
fortiori esistere come tutti coloro che sono innocenti, ed esistere come qualcosa di dotato
di una propria (seppur particolare) autonomia ontica!
Il secondo dogma di IM, già presentato in (2), è quello che potremmo rappresentare
secondo due versioni, vale a dire da un’angolatura ontologica ovvero da un’angolatura
assiologico-cognitiva. Trattasi, in quest’ultimo caso, del celebre e celebrato Mito
Filosofico che, nella Favola delle Api, l’olandese Bernard Mandeville riassume nella
celebre massima per cui «il peggiore di tutta la moltitudine/fece qualcosa per il bene
comune»11 partendo da "vizi privati" e arrivando a "pubbliche virtù". Questa è l’idea per
cui, come abbiamo già spiegato in apertura, l’assetto distributivo ottimale di beni, risorse e
servizi, in una società libera, progredita ed avanzata, è quello per cui si rende possibile che
dalle azioni economicamente e finanziariamente rilevanti, poste in essere sulla base di
preferenze strettamente individuali e quindi rigorosamente stimolate da desideri egotici,
(la classe di cause ben "trasparenti" alla coscienza e alla volontà e "apparentemente
viziate" dalla motivazione individualistica) possano "spontaneamente" derivare tutte quelle
conseguenze involontarie, inconsce, inconsapevoli, inintenzionali, (o per usare una
terminologia delle scienze cognitive "subpersonali") che rappresentano molteplici effetti
economici positivi per tutti. Questo dogma, in realtà, considerato sotto il profilo cognitivo
ancor prima che sotto quello assiologico/valoriale, è il frutto o il conseguente di un’altra
implicazione (pseudologica), il cui diretto antecedente è ciò che molti metodologi delle
scienze sociali chiamano, due secoli e mezzo dopo Mandeville, la teoria hayekiana della
dispersione delle conoscenze la quale «ci dice che la soluzione della maggior parte dei
problemi (e, dunque, il soddisfacimento dei bisogni umani) deve venir lasciata a quanti
sono in possesso di quelle conoscenze particolari di tempo e di luogo disperse tra milioni
e milioni di uomini, conoscenze di cui non potrà mai disporre neppure il più potente
governo né il più sapiente o potente tiranno 12». Ma, sottolinea un ultra-liberale (e assai
benevolo) critico di Hayek, il Nobel per l’economia D.C. North: «l’intenzionalità non è
10
ANTISERI, (2005, Introduzione).
11
MANDEVILLE, (1961). Il passo è citato da HAYEK, (1978).
12
ANTISERI, (2005, 57).

3
spontanea: gli uomini cercano deliberatamente di determinare il loro futuro, e per la verità
non hanno altra alternativa, se non l’anarchia o il caos 13». La globalizzazione degli ultimi
quindici anni, rappresenta, da questo punto di vista, un esempio di come molti "bisogni"
umani abbiano fruttato grandissimi profitti proprio grazie al rapido superamento di
"dispersioni hayekiane" di tipo epistemico e tecnologico; un superamento pianificato da
almeno due generazioni di web-designer14.
L’altra faccia questo secondo dogma, è quella ontologica, vale a dire il Mito,
ipostatizzato da una metafora in modello reale, della mano invisibile, (d’ora in poi MI), che
secondo l’economista e storico A. Roncaglia, sarebbe stato il più grande e micidiale
travisamento della storiografia economica marginalista contemporanea di alcuni brani del
filosofo scozzese Adam Smith15. Secondo tale misunderstatement, così come il passaggio
di un certo dosaggio di volt di energia elettrica in alcuni corpi metallici provoca, in modo
inesorabilmente naturale, il diramarsi di veri e propri campi magnetici (è sufficiente
effettuare lo scolastico test della limatura di ferro per vederli disegnati su di un foglio di
carta), così un sistema economico lasciato liberamente in preda ai "meccanismi di
riequilibrazione" del mercato, che sono meccanismi ciechi, inintenzionali, non finalizzati
alla pianificazione conscia, razionale, deliberata ed intenzionale del soddisfacimento della
società, farà "emergere" da questo "apparente nulla" un meccanismo omeostatico di
ridistribuzione e riequilibrazione di costi e benefici: la cosiddetta "mano invisibile". La
mano invisibile sarebbe, così, la controparte ontologica della morale assiologica della
Favola delle api di Mandeville (dietro l’alveare delle Api viziose si nasconde una Laica
Provvidenza per cui dai vizi privati deriverebbero pubbliche virtù), costituendo il nucleo
ontico della teoria della dispersione delle conoscenze, e le due teorie, unendosi,
formerebbero un circolo virtuoso. Essa andrebbe, in realtà, distinta dall’assioma sociale
dell’ordine spontaneo. Come mostra molto bene la teorica liberale A. E. Galeotti 16, non v’è
ragione di credere che questi due concetti (mano invisibile e ordine spontaneo) debbano
necessariamente coincidere (ad esempio, per il già citato Menger non coincidevano
affatto), ed in più è possibile avanzare il dubbio che dal considerare l’esistenza
(ontologica) di una MI al derivarne l’idea (assiologica) dell’esistenza di un ordine sociale
che sarebbe libertariamente il migliore possibile, ci passi un abisso, uno iato solcabile solo
sul ponte sospeso di una gigantesca fallacia naturalistica: dall’esser-così di un
meccanismo concettuale di previsione degli equilibri economici, MI, si deriva il dover-
essere di un ordine che è il migliore possibile, l’ordine spontaneo. Paradosso della storia
delle idee! In nome della fede in un frainteso principio (MI) di un filosofo scozzese
(Smith) si finirebbe, così, con il violare un principio tra i più famosi della filosofia
scozzese: la Legge di Hume, per cui è impossibile derivare dall’essere il dover essere.
Ordine spontaneo significa, del resto, qualcosa di ancora più forte dello stesso presupposto
ontologico della mano invisibile, come è facile desumere dalle parole stesse di uno dei suoi
massimi profeti, Hayek:
Solo le regole possono unificare un ordine esteso […] Né tutti i fini perseguiti, né tutti i mezzi usati sono
conosciuti, o devono essere conosciuti da tutti, per essere presi in considerazione entro un ordine spontaneo.
Un tale ordine si forma da sé stesso. […] Se dovessimo applicare le regole immodificate e non represse (della
presa in cura per fare del "bene" visibile) […] della piccola banda o del gruppo, o delle nostre famiglie […]
all’ordine esteso della cooperazione attraverso i mercati, come i nostri istinti e desideri emotivi spesso ci
spingono a voler fare, noi lo distruggeremmo. Parimenti, se volessimo applicare le regole (competitive)
dell’ordine esteso ai nostri raggruppamenti più intimi, noi li frantumeremmo17.

13
NORTH, (2006, 78).
14
Stiamo parlando, ovviamente, di Wikipedia, Knol, Google, E-bay, My Space, Second Life, ecc.
15
RONCAGLIA (2005, Cap. I). I due testi "classici" del battesimo smithiano della mano invisibile sono SMITH,
(1991, 248 – 249) e (1995, 39).
16
GALEOTTI, (1988, 137 – 142 e 168 – 171).
17
HAYEK, (1997, 52).

4
3. Il symbolon individualistico.
È facile, quasi intuitivo, vedere come i due dogmi siano strettamente interrelati in un
unico credo, in un symbolon. Non si può credere nel secondo senza impegnarsi anche a
favore del primo e come è facilmente verificabile da subito, del resto, anche il primo e il
secondo articolo di fede dell’IM sono intrecciati da una connessione assiomatica. Se,
infatti, la realtà sociale non fosse costituita di, e formata, in ultima analisi, solo e soltanto,
da individui, allora non avrebbe neppure senso interrogarsi sui meriti e sui talenti dei
"portatori" individuali di chissà quali inconsapevoli, inintenzionali, inconsci, involontari
(ma potremmo, senza peccare di lapidaria sintesi riassumere tutti questi aggettivi in: non
pianificati) atti, che sarebbero, a quanto pare, in grado di produrre tante e tali virtuose (e
portentose) conseguenze benefiche. Viceversa, se le cause di tanta e tale fruttuosa e
reticolare armonia di conseguenze sociali non fossero le preferenze poste in essere dai
desideri soggettivi degli individui, allora l’individualista metodologico radicale avrebbe un
bel da fare a convincere i suoi interlocutori dell’importanza e del valore che andrebbero
attribuiti alla non pianificabilità delle conseguenze virtuose dei sistemi economici, perché
se vi è – al contrario – una matrice cognitiva, emotivo/conativa e pragmatica di tutto ciò
che non può essere pianificabile per antonomasia, questa è, per eccellenza, l’inconscio
individuale umano. L’inconscio, mentre "suggerisce", subliminalmente, alla vanità di
un’adolescente, ben tarata sul proprio peso forma, ma che si sta guardando insoddisfatta
allo specchio: «certo, con una taglia 42 sembreresti una modella da sfilata di alta moda»,
finisce per mettere in moto tutta una serie di meccanismi "a catena" che possono avere, al
proprio termine, nientemeno che l’aumento del PIL di un intero sistema-paese (anche se,
stranamente, all’interno di un’ontologia coerentemente individualistica un sistema-paese è
solo una façon de parler). Provare per credere: la vanità della ragazza la farà andare in un
centro estetico, dove essa dimagrirà e rassoderà la sua fisiologica cellulite, contribuendo al
profitto del gestore del centro, che avrà da pagare gli stipendi per le sue dipendenti,
dietologhe e massaggiatrici, le quali potranno così, a propria volta, soddisfare i propri
desideri facendo lo stesso con una vacanza premio, facendo guadagnare il proprietario di
un’agenzia viaggi che potrà così pagare le sue segretarie commerciali, e così via….
Stranamente, sul più bello, la "catena" o il meccanismo "a domino" delle spiegazioni
fornite da un ferreo sostenitore della virtuosità dell’individualismo metodologico, viene
lasciata proseguire ad libitum come se sin dai tempi di Ennio, Cicerone e Tacito ad libitum,
in latino, possa significare, sempre strictu senso, la stessa cosa che ad infinitum. Purtroppo
non è così, e lo sappiamo tutti. Tra la vanità della ragazza di cui sopra (che, magari, rischia
seriamente di ammalarsi di una grave forma di anoressia) e la possibilità delle segretarie
commerciali di un’agenzia viaggi di guadagnare di più (magari vendendo un bel pacchetto
turistico per un "viaggio d’avventura" in Yemen o in Nigeria), vi è un solo ed unico
collante/ponte causale, vale a dire la contingente casualità resa sempre meno precaria e
sempre più convergente verso valori di alta probabilità dal fattore causale ed ontologico
meno attraente per qualunque individualista metodologico dogmatico: l’esistenza di una
società di tipo urbano, post-moderna e metropolitana (anzi, ormai megalopolitana)
tendente sempre più ad un denso e intricato processo di globalizzazione sovrastale e
sopranazionale di relazioni economiche, finanziarie, monetarie, informatiche.
Queste sono, in sostanza, le prime aporie di cui sembrerebbero soffrire i dogmatici
teoremi dell’IM. Da un lato, nel momento stesso in cui un coerente individualista
metodologico sembra disposto a sostenere usque ad finem che nella realtà sociale vi sono
solo e soltanto individui, egli finisce per avvolgersi in una serie di interminabili difficoltà
che giungono con il coincidere con il profilo inquietante di vere e proprie contraddizioni.
Si analizzi, per esempio, la definizione di MI, fornita in (2). Come appare evidente, questa
definizione, che è accettata in modo a volte trivialmente pedissequo da quasi tutti i

5
sostenitori più illustri di IM18, contiene dei veri e propri ossimori. Solo per fare un esempio:
che cosa è, in un’ontologia nominalistico-individualistica di tipo rigorosamente monistica
un ente, una struttura di enti o un processo sociale del tipo: "assetto distributivo ottimale di
beni, risorse, e servizi"? E ancora: se nella dimensione sociale esistessero solo gli
individui, allora logica conseguenza vorrebbe che siano solo e soltanto gli individui ad
essere liberi, progrediti ed avanzati, giammai la società, che è solo un flatus vocis o un
"nome di termine generale" – altrimenti dovremmo ammettere che dall’esistenza nominale
del concetto di cavallo è derivabile l’esistenza di concetti di cavallo che nitriscono
realmente. Inoltre, come sa bene ogni storico dell’economia, è in un reticolo causale di
domanda ed offerta di beni, servizi, merci, che la MI degli individualisti marginalisti
finisce per dispiegare tutta la sua Provvidenziale e Parsimoniosa Presenza, come ben
deduciamo dalla lettura dell’ermeneutica marginalista degli scritti di A. Smith. Abbiamo
detto: dalla lettura dell’ermeneutica marginalista di Adam Smith, ma non certo dallo
stesso Smith, che (da parsimonioso scozzese) ne fece un uso assolutamente metaforico,
simbolico, come è possibile desumere dalle parole con cui il sintagma MI entrò nella storia
della idee con il suo ufficiale "battesimo linguistico": «malgrado il loro egoismo e la loro
ingordigia [scil: i ricchi imprenditori] da una mano invisibile sono guidati a fare quasi la
stessa distribuzione dei beni necessari che sarebbe stata fatta se la terra fosse stata divisa
in parti uguali tra tutti i suoi abitanti; e così senza volerlo e senza saperlo promuovono gli
interessi della società.»19 Di nuovo: come potrebbe esistere qualcosa come un reticolo di
cause ed effetti come quello rappresentato da un intrico combinatorio di domande ed
offerte di beni, in un’ontologia individualistica disposta a concedere solo l’esistenza di
individui e azioni individuali? Ma questa non è una semplice contraddizione; è una vera e
propria aporia.
La teoria ontologica di MI sembra affermare una cosa non meno bizzarra e stravagante
di quella sostenuta da chi, guardando l’arcobaleno in un’enorme cascata naturale, finisca
per pensare che i colori e i giochi di luce di quella meraviglia naturale siano il frutto
inintenzionale ed inconscio della mano invisibile della Forza di Gravità (che lascia che le
molecole di H2O siano "libere di cadere", o "spontaneamente attratte dal fondo del fiume").
Non è un caso che a leggere nell’ottica di un’interpretazione così fisicalistica dei fenomeni
come l’equilibrio economico, siano stati autori come W. Stanley Jevons, L. Walras, V.
Pareto, e C. Menger, tutti autori che guardavano alla scienza "forte" per eccellenza nel XIX
secolo, la fisica, come al paradigma di ogni scienza propriamente detta (la stessa nozione
di equilibrio economico generale di Walras, fu desunta da una metafora di origine
meccanica: l’equilibrio delle forze). Purtroppo però, in questo modo, cercando di
naturalizzare dei fenomeni umani, il che non è solo legittimo, ma addirittura necessario per
una metodologia scientifica delle scienze umane, si finisce, paradossalmente, per
antropomorfizzare, all’opposto, la natura delle cose. È assolutamente insensato attribuire
ad un mercato dove, tra l’altro, si crede che esistano solo unità ontologiche minimali e
puntiformi come gli individui, delle capacità sistemiche di natura teleologica o
teleonomica come l’ottimizzazione omeostatica e auto-equilibrante, attuata da una MI, così
come è assurdo (e semipsicotico) attribuire letteralmente dei "meriti" alla forza di gravità
per la risultante estetica dei flutti di una cascata, le cui uniche componenti sarebbero
(nominalisticamente) le molecole di H2O. In questo vi è, di nuovo, del misticismo
romantico, più che del genuino e sano, spirito scientifico. Quel misticismo che, come è
sottolineato altrove da autori come A. Sen o come Galeotti, rischia di confondere la
spontaneità del processo deliberativo con la libertà "tout court", saltando il problema della
libertà sociale, fatta di diritti, doveri, opportunità 20. A meno che, anti-nominalisticamente,
18
ANTISERI, (2005).
19
SMITH, (1991, 248 – 249).
20
GALEOTTI, (1988, 168 – 171). Si veda anche la distinzione tra libertà come processo e libertà come
opportunità/diritti in SEN, (2003, Capp. I- III).

6
non si accetti bona fide l’esistenza di enti naturali come le Cascate del Niagara e del Rio
Orinoco, così come i fiumi, gli oceani, le nuvole e le tempeste tropicali o degli stormi di
uccelli migratori, che sono, però, tutte cose che il nominalista non può accettare come
esistenti se non al livello di "termini generali", almeno quando si parla di "acqua" (che in
quanto tale non esiste, al contrario delle singole molecole di H2O).
4. L’intenzionalità collettiva di Searle e la mano invisibile.
Ora, uno dei rari intellettuali anglosassoni ad essersi reso conto di tali rischiose
inconcludenze sotto il profilo dell’applicazione dell’ontologia sociale individualistica alla
filosofia politica non è stato né un economista, né un politologo, né, tantomeno, un
sociologo, bensì un autorevole filosofo analitico, John Searle. In alcuni suoi scritti
sull’argomento21, Searle sostiene l’esistenza di un’invisibile sovrastruttura meta-individuale
(ma, perfettamente compatibile con l’ontologia individualista) indispensabile per render
conto dell’esistenza dei fatti sociali/ istituzionali, struttura che Searle chiama intenzionalità
collettiva. L’esempio con cui Searle illustra l’esistenza di un livello ontologico emergente
o supervenient rispetto a quello dei meri comportamenti individuali, il livello della realtà
sociale istituzionale, creato ad hoc, per mezzo di quelli che egli chiama poteri deontici è
talmente brillante che merita di essere citato interamente:
Entro in un caffè a Parigi e siedo a un tavolino. Viene il cameriere e io pronuncio un frammento di una frase
francese. Dico: Un demi, Munich, à pression, s’il vous plaît. Il cameriere porta la birra e io la bevo. Lascio
del denaro sul tavolo e me ne vado. […] il cameriere non è effettivamente il proprietario della birra che mi
ha portato, ma è assunto dal ristorante, al quale la birra appartiene. Al ristorante viene richiesto di registrare
una lista dei prezzi di tutte le bevande, e anche se non vedrò mai quella lista si esige da me di pagare soltanto
il prezzo registrato. Il proprietario del ristorante è autorizzato a esercitare dal governo francese. Come tale, è
soggetto a un migliaio di norme e regolamenti di cui non so nulla. Io ho diritto di essere qui in primo luogo
perché sono un cittadino degli Stati Uniti, in possesso di un passaporto valido, e perché sono entrato
legalmente in Francia22.

Quelle indicate da Searle in questo esempio sarebbero tutte esemplificazioni di


intenzionalità collettiva, tra le più quotidiane quanto più inosservate ed invisibili. Tra le
prime capacità che l’intenzionalità collettiva permette di spiegare, a detta di Searle, vi è
quella di come possa darsi una realtà sociale in un mondo fatto solo di particelle, ma
soprattutto di come possa esistere una realtà politica (cioè socialmente istituzionale) in una
realtà naturalisticamente (e quindi realisticamente) rappresentabile completamente dalle
leggi della fisica. Le due nozioni/chiave, i due pivotal claims che Searle assume nel suo
costrutto teorico, sono quelli di regola deontica costitutiva e di funzione di status
(attraverso opportune regole costitutive, in quel caffè parigino Searle immagina di poter
riconoscere ed attribuire tutta una serie di funzioni di status del tipo "X conta come Y nel
contesto C" che assegnano a certe strutture astratte, determinati ruoli istituzionali,
"costituendoli deonticamente"). Inoltre, cosa di non poco conto, per Searle esistono due
livelli di realtà nel mondo che ci circonda: un livello observer dependent (denaro,
istituzioni, società, economia, banche, contratti, leggi, ecc.) e un livello observer
independent (atomi, leggi di natura, enti matematici, fenomeni naturali, ecc.). Se almeno
due o più observer esistono nella realtà fisica, allora tramite l’attribuzione di funzioni di
status, e per mezzo di opportuni poteri deontici, una intenzionalità collettiva può far sì che
venga "costitutivamente" creata una nuova forma di norma, come quella che – ad esempio
– fissa la totale libertà del mercato di stabilire da solo i propri prezzi (una volta definito
cosa sia il mercato, con appropriate regole costitutive e delle rispettive funzioni di status, il
gioco è fatto). Il vero problema, al di là di tutte le difficoltà che sono state giustamente
segnalata all’indirizzo di questa proposta teorica, è costituito soprattutto da due
gigantesche difficoltà: (i) Quanto è davvero realista la teoria della intenzionalità collettiva

21
SEARLE, (2003, 27 – 44).
22
SEARLE, (2006, 9).

7
nel definire gli oggetti intenzionali collettivi, i contenuti mentali collettivi della
intenzionalità collettiva, come observer dependent – objects? La definizione che Searle
vorrebbe utilizzare per istituire questo livello di realtà sembrerebbe sfidare direttamente
quello che è un implicito postulato di ogni realismo che sia realmente tale: il postulato di
inerzia meta-intenzionale. Ciò che è reale (come oggetto, stato di cose, evento, proprietà,
relazione) è per definizione qualcosa che è non solo indipendente dalla capacità o meno di
essere conosciuto da delle menti umane (come, per es., il patrimonio di Berlusconi) ma è,
al tempo stesso qualcosa che risulta essere ipso facto inerte alla capacità o meno di una
mente umana di poterlo anche solo rappresentare (il fatto che io possa rappresentarmi –
fantasmagoricamente – il patrimonio di Berlusconi non mi permette in alcun modo di
potervi attingere fisicamente ipso facto). Per questa concezione, come ho tentato di
spiegare in un mio intervento23, la realtà propriamente detta non consta solamente di
eventi, oggetti o stati di cose, proprietà/relazioni autonomi/indipendenti dai processi
mentali/psicologici atti a rappresentarli, ma anche (e soprattutto) di eventi, oggetti, stati
di cose, proprietà/relazioni del tutto autonomi dai contenuti intenzionali degli stessi atti
che si dirigono intenzionalmente su dette realtà (che risultano, quindi, meta-
intenzionalmente "inerti"). Ora un oggetto propriamente observer-dependent sembrerebbe
violare tale condizione. Io non posso (à la Brentano) "intenzionare" una funzione di status
del tipo "X conta come una cosa del tipo Y nel contesto C", e poi attribuire a tale funzione
un livello di realtà come quello goduto da elettroni, atomi, leggi naturali, ecc, perché nel
primo caso io creo per mezzo di un fiat ontologico qualcosa che è molto più che observer
dependent, in quanto creato da un agente, mentre nel secondo sono costretto a cercare quel
qualcosa in una regione dell’essere molto più ricca ed autonoma dalle mie capacità di
conoscerla, la realtà extramentale bona fide, seguendo la ben nota distinzione tracciata
proprio da B. Smith ed altri autori24. Da un lato, cose come il valore monetario, il tasso di
interesse, il PIL di un sistema paese, il reddito pro-capite, sono tutte cose che esistono
indipendentemente dalla capacità di un individuo di venirne o meno a conoscenza in modo
completo (posso rendermi sommariamente conto di quanto guadagno in un anno con il mio
lavoro, farmi un idea di quanto guadagnano le persone che nel mio paese fanno il mio
stesso lavoro, ma ignorare per il resto l’andamento della produzione e della distribuzione
dell’intera ricchezza in questo stesso paese) e, ciò non di meno – ecco l’intuizione,
legittima, di Searle – sono tutte entità o funzioni-di-entità che hanno bisogno di attanti
individuali, soggettivi per poter essere assegnate ed istituite nella realtà sociale.
Propongo, dunque, di definire tali entità, seguendo in questo una classica proposta
teorica che si deve in buona parte agli scritti pionieristici degli anni ’60 e ’70 dello
psicologo canadese J. J. Gibson e agli sviluppi di B. Smith, come strutture di "affordances"
artificiali del tipo "oggetti fiat"25. Esse pre-esistono alla percezione di questo o
quell’osservatore (esse sono, quindi, observer independent), perché sono un’indiretta
potenzialità d’uso disponibile a livello di "ex-attamento" 26 meta-evolutivo a partire da
azioni, comportamenti, processi decisionali e scopi intenzionalmente convergenti di reali
esseri umani intelligenti e dotati di una relativa razionalità, ma necessitano della presenza
di questi ultimi, per poter mettere a disposizione dell’apparato cognitivo/economico
dell’agente individuale tutte le loro particolari affordances o "potenzialità d’uso
ecologiche", come ebbe a definirle lo stesso Gibson27 (un po’ come il campo magnetico:

23
VASELLI, (2007).
24
SMITH, (2006, 58 – 86)
25
È questa la tesi originale di SMITH, (1999, 48 – 62).
26
In biologia evoluzionistica, le mutazioni, cioè le variazioni del DNA che producono a loro volta variazioni del
prodotto genico, sono spesso sfavorevoli. Le mutazioni "neutrali", invece, possono allora rappresentare quelle che oggi
vengono definite "exaptations" ovvero "caratteristiche evolutive [nate] per altri usi (o per nessun tipo di funzione) ed in
seguito "cooptate" per il loro ruolo attuale" come spiegano GOULD e VRBA, (1982, 4-15).
27
GIBSON, (1999, 221).

8
esso preesiste all’osservatore, ma solo il test del foglio di carta e della polvere di metallo
può metterne in luce la peculiare morfologia ambientale). Questo perché a differenza delle
gibsoniane affordances naturali (specie-specifiche, ecologiche, veicolate da sorgenti di
energia luminosa, acustica, ecc.) esse sono create tramite un "fiat" ontologico dalla mente
umana e attivamente trasferite nell’ambiente sociale(che si compone di esse) per mezzo di
operazioni di riutilizzo ex-attativo di strutture preesistenti alla costituzione deontica. Le
costituzioni ontiche sociali, dunque, a partire dalle regole costitutive, sono un ri-utilizzo
ex-attativo di determinate affordances pre-sociali (quindi biologiche, psicologiche ed
etologiche) con le quali da frammenti ecologici di ambiente percettivo e sensomotorio, si
passa, per mezzo di un loro riutilizzo a livello superiore, a creare per costituzione ontica
(per fiat) delle "qualità di quarto livello", (essendo le affordance qualità terziarie) le
strutture sociali28. Alcuni fenomeni sociali come il branco, la territorialità, la gelosia,
l’invidia, ma soprattutto l’imitazione e l’empatia (solo per elencarne alcuni), preesistono
alla nascita tramite fiat delle istituzioni sociali, dal momento che si manifestano in natura
come fatti ed eventi di tipo etologico. Essi forniscono ciò non di meno (come avrebbe detto
lo psicologo della Forma K. Lewin) dei "caratteri di invito" (aufforderungscharakter)29, che
però, a guardar bene, solo un riutilizzo meta-evolutivo, può elevare tramite un processo di
exattamenti al rango di vera e propria funzione secondaria, tramite la scoperta e l’uso
(specie-specificamente orientata) di determinate potenzialità d’uso o affordances. Questa
prima difficoltà, quindi, è abbastanza superabile, a patto però, che (rispetto alle principali
intenzioni iper-realistiche di Searle) la necessità di inserire all’interno di una ontologia
naturalistica adeguatamente realista, venga affrontata con una strumentazione teorica,
almeno a parere di chi scrive, ben più adeguata di quella proposta da Searle.
(ii) La seconda difficoltà è ancora più seria della prima, e pregiudica la possibilità di un
oggetto sociale di essere il contenuto intenzionale di una intenzionalità collettiva, per cui
quest’ultima non potrebbe, a propria volta, fungere da "struttura collante" per un fenomeno
o un processo catalizzatore delle meta-intenzioni individuali come la mano invisibile ed il
suo, presunto, miglior ordine spontaneo. Se essa non può svolgere tale funzione viene a
mancare quell’importante possibilità che, a detta di Barry Smith, permetterebbe
all’intenzionalità collettiva (d’ora in poi: I. C.) di reificare nella realtà sociale quello che
sono i fenomeni par excellence del trionfo dell’individualismo capitalista, e cioè il capitale
e la capitalizzazione finanziaria30. In effetti, essendo tale "sovrastruttura invisibile" il frutto
più importante del processo inintenzionale causato dall’avidità economica degli individui
per mezzo della più omnicomprensiva sovrastruttura della mano invisibile, se quest’ultima
non fosse in grado di superare un test di livello logico molto semplice come quello di
essere un veicolo di intenzioni collettive, men che mai potrebbe farcela nello spiegare
come possano emergere fatti ancor più complessi del mero livello individuale al livello
sovrastrutturale della collettività economica. È il ben noto problema della partecipazione
(al livello della IC) di credenze perfettamente false al processo di assegnazione di funzioni
di status e di regole costitutive, per cui la razionalità ottimale di una funzione di status
collettiva potrebbe addirittura venire a mancare completamente o quasi completamente al
livello di IC. Esiste, da questo punto di vista, una letteratura più che convincente, cui
rimando volentieri31, che sembrerebbe mettere in seria difficoltà il progetto di Searle. In
questo saggio preferiremmo segnalare come esempio preclaro il caso del ben noto
paradosso della votazione32 che permette di comprendere in modo trasparente come e

28
In questo senso il baratto precede la moneta non solo storicamente, ma anche e soprattutto ex-attativamente (il
primo è una condizione ecologica necessaria perché venga sviluppata anche la seconda).
29
LEWIN, (1935, 1936).
30
SMITH, (2003).
31
CELANO, (2003, 71 – 98).
32
Scoperto per primo da J.A.N. de Caritat-Condorcet in CONDORCET, (1785), è alla base dell’enunciato del
celebre teorema di impossibilità valso a K. J. Arrow il P. Nobel per l’economia nel 1972 (ARROW, 2003). Il teorema fece

9
perché IC non supera il test di attribuzione di credenze false agli individui e, al tempo
stesso, il test di conservazione della razionalità al livello più che individuale.
Supponiamo che  sia una collettività di elettori di un piccolissimo centro montano del
nord est italiano, abitato da soli tre individui , , , che hanno a disposizione come
candidati da eleggere al Parlamento A, B, e C (i. e.: un candidato di destra, un democratico
e un indipendente anti-abortista). , in quanto (seppur piccola) collettività di individui
possiede per ipotesi una IC la quale, a propria volta, è in grado (per definizione) di
esprimere delle preferenze collettive (questo segue dal fatto, sottolineato da Searle, che se
un collettivo di individui gode di intenzionalità collettiva, allora possono esistere anche
delle preferenze di tipo collettivo, le quali devono conservare il grado di razionalità
espressa da ogni scelta individuale anche al livello collettivo). Una maniera molto intuitiva
di sviluppare una graduatoria di dette preferenze collettive sarebbe quello di dire che
un’alternativa è preferita ad un’altra, se la maggioranza della comunità preferisce la prima
alla seconda, se – quindi – preferirebbe la prima anziché la seconda, se queste ultime
fossero le uniche scelte possibili. Indichiamo pure con A, B, C, le tre alternative e con , ,
, i tre elettori. Per ipotesi accade che  preferisce A a B e B a C (da cui  preferisce A a C,
per transitività), che  preferisce B a C, e C ad A (e quindi B ad A), e che  preferisca C ad
A, e A a B (e quindi C a B). Ne segue che una maggioranza preferisce A a B e un’altra
maggioranza preferisce B a C. Seguendo la teoria di Searle dovremmo concludere che il
collettivo di individui  (l’unico modo con il quale l’ontologia nominalistica
dell’individualismo metodologico ci permette di parlare di quella comunità elettorale, sine
multiplicare praeter necessitatem) preferisce A a B e B a C. Se oltre ad essere un mero
"angelo custode" di quella comunità di individui, la mano invisibile della IC operasse in
modo tale da rendere le scelte intenzionali di , , , inintenzionalmente razionali nel modo
più ottimale (come deve essere, sempre per ipotesi), allora sarebbe razionale concludere
che conseguenza inintenzionale (ma ottimale) delle scelte razionali di , , , è che la
maggioranza di  preferisca A a C (per la legge di transitività reiterata al livello della sola
maggioranza complessiva). Ma, in realtà la maggioranza di  preferisce C ad A, come è
possibile verificare da un completo conteggio dei voti (intenzionali) di preferenza (la
preferenza C su A vince con due soli voti). Ne segue che, come minimo, il più semplice
metodo di calcolo per passare dal conteggio delle preferenze individuali a quello che la IC
dovrebbe ricomporre nelle più razionali preferenze dell’intenzionalità collettiva, o non
conserva, a livello sovraindividuale, una condizione minimale di razionalità come la non
contraddittorietà, o attribuisce alle scelte dell’intenzionalità collettiva delle credenze di
preferenza del tutto false dal punto di vista intenzionale dei singoli individui (e quindi è del
tutto incompatibile, contra Searle, con IM). Se a degli elettori sostituissimo dei
consumatori e alle liste elettorali dei prodotti (come una marca di telefonia cellulare, o di
sistemi operativi per PC) la situazione non cambierebbe per nulla. La Mano Invisibile,
considerata come Intenzionalità Collettiva à la Searle, non è in grado di preservare la
razionalità individuale (la sola che, per ipotesi, IM ammette nella sua ontologia) dei
soggetti economici.
Conclusioni
Come è possibile questa conclusione? L’individualista, come minimo, protesterà che è
un fatto innegabile in ogni società liberale degna di questo nome, che le rappresentanze
istituzionali siano la risultante cumulativa di tante scelte individuali, e che quindi non vi è
nulla di illegittimo, fatta salva la premessa del nominalismo ontologico sociale, nel
sostenere che esista una IC, concepita come una libera e spontanea associazione di
intenzioni individuali cooperanti. In ambito cattolico, un illustre rappresentante di questo
indirizzo di pensiero è stato l’ex docente del Liceo Berchet di Milano, L. Giussani,

affermare ad un altro Nobel per l’economia (1970), P. Samuelson: «la devastante scoperta di Arrow è, per la politica, ciò
che il teorema di Gödel è per la matematica» (SAMUELSON, 1974). Si veda anche ODDIFREDDI, (2001).

1
fondatore del Movimento di Comunione e Liberazione, che solo pochi anni fa scriveva: «Il
desiderio è come la scintilla con cui si accende il motore. Tutte le mosse umane nascono
da questo fenomeno, da questo dinamismo costitutivo dell’uomo […] Ci sono altri uomini
che, sentendo lo stesso desiderio, cercano di soddisfarlo, e capiscono che, mettendosi
insieme, soddisfano insieme il proprio desiderio in modo più facile e più grande 33». Queste
parole svelano una pia illusione (anche se davvero originale, in ambito cattolico)
contraddetta dalla quotidianità. Infatti, visto che Giussani parla di "motori", un semplice
esperimento di pensiero tratto dalla vita autostradale di tutti i giorni, può far luce sulla
fragilità predittiva del secondo dogma, il dogma economicistico di IM, in merito alla
capacità della mano invisibile di far quadrare i conti sociali di una intenzionalità collettiva
che vuole ottenere la stessa cosa delle sue intenzionalità individuali, con l’esistenza di una
società di individui capricciosi (o semplicemente desiderosi della stessa cosa). In una cosa
assolutamente collettiva, quanto innegabilmente esistente, detta "città", un’ipotetica città
europea, vivono circa tre milioni e mezzo di persone adulte, quasi tutti lavoratori
quotidiani, ognuno dei quali manifesta un bisogno oggettivo primario, comune a tutti gli
altri, vale a dire la necessità di andare al proprio posto di lavoro dal proprio domicilio e di
tornare a quest’ultimo dall’ufficio dopo la giornata lavorativa, per poter rinfrancarsi. Ad
essi si aggiungono i pendolari dell’hinterland, altra eccentrica entità fiat (come la
definirebbe B. Smith), visibile a colpo d’occhio solo su apposite cartine, ma ciò non di
meno esistente. Ognuno di essi sceglie liberamente di mettere in atto il proprio desiderio
individuale di usare una vettura a propulsione termica (di qualunque tipo, dalla due volumi
al SUV) o, nel migliore dei casi, qualche grosso scooter o delle piccole minicar, e il
"motore" di Giussani si accende. L’individualista metodologico difende la scelta di ognuno
di questi tre milioni e mezzo di operatori economici (esclusi i più fortunati o i più furbi che
sono domiciliati a pochi passi dall’ufficio o dalla fabbrica) sulla semplice base del fatto che
il loro uso quotidiano del mezzo a quattro ruote o di quello a due ruote (magari con motore
a quattro tempi e targa immatricolata) è una notevole fonte di guadagno per produttori di
autoveicoli, proprietari di concessionarie, produttori e distributori di carburante, benzinai,
meccanici, assicuratori, pubblicitari e creativi, lavavetri, ecc, e quindi per tutto un indotto
di lavoratori ed operatori economici collegati (entità ben poco "individuale", a dire il vero,
l’indotto), molti dei quali sono tra quei tre milioni di lavoratori pendolari. Inoltre, last but
not least, ciò è semplicemente quello che ognuno di questi tre milioni di individui desidera
fare, ergo è legge per Hayek e Giussani. La MI che sorregge tale "indotto" è, quindi, già
all’opera prima ancora che giriate la chiave nella serratura d’accensione del vostro mezzo,
ogni mattina che state andando al lavoro con la vostra autovettura. Il problema è che
appena, poniamo, tre milioni di autoveicoli si mettono in circolazione per le strade della
predetta metropoli, nell’arco di un’ora circa, il traffico diviene ingestibile, feriti più o meno
gravi (e anche qualche morto, purtroppo), si susseguono giorno dopo giorno a causa della
quasi assoluta impossibilità di convogliare in modo omogeneo i grossi ingorghi di
autoveicoli, l’inquinamento provocato raggiunge e supera livelli di guardia, in grado di
intossicare con polveri sottili ed altre sostanze cancerogene anche altri individui non dediti
all’utilizzo di quei veicoli (bambini, anziani, malati, donne incinte), ed il consumo di
carburante (pure quello ecologicamente meno tossico) si fa iniquamente sproporzionato
anche rispetto alle disponibilità più facoltose di molti automobilisti. Per non parlare del
formarsi, quasi spontaneo (questo sì), di due o anche tre file di auto parcheggiate di fronte
a negozi ed uffici, un vero e proprio colesterolo meccanico, questo, che finisce per
provocare (evitabili) trombosi ed infarti alle principali arterie stradali metropolitane.
Inoltre, cosa non di poco conto, il tempo necessario per arrivare puntualmente al lavoro,
fattore non secondario per l’ottimizzazione della produttività, all’aumentare del numero di
autoveicoli, restando costante la quantità di asfalto stradale percorribile, tende ad
aumentare. Il traffico autostradale metropolitano (un oggetto chiaramente del tipo fiat, non
33
GIUSSANI, (2000, 173 e 176).

1
solo per B. Smith) non dispensa pubbliche virtù a partire da vizi privati, ma private nevrosi
sommate a private patologie (cardiovascolari e, purtroppo, oncologiche) a tanti privati (e
sempre più provati) cittadini. Nel contesto del traffico (come in altri contesti) non c’è
niente da fare per le conseguenze inintenzionali delle preferenze e dei desideri individuali
degli automobilisti. A lungo andare, esse, anziché favorire, ostacolano il raggiungimento e
il mantenimento dei bisogni oggettivi di ciascuno di quei tre milioni e mezzo di individui e
a lungo termine rendono indesiderabile ciò che prima era massimamente preferibile:
andare al lavoro in macchina o con il motorino. Quando il bisogno è unico nonché
primario, anche se travestito da migliaia di desideri di diverso modello (belli, brutti,
spartani o di lusso, di grossa o meno grossa cilindrata), la mano invisibile deve quindi
trasformarsi in tante ben visibili paia di mani – incessantemente all’opera in qualche
cantiere (pubblico o privato) per costruire una nuova linea di Metrò.

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