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Attività volta al raggiungimento della conoscenza necessaria ad assicurare la salute umana, nella più vasta
eccezione del termine, attraverso interventi di prevenzione, di diagnosi e di terapia.
Utilizza approcci di multidisciplinari integrati che si servono di modelli sperimentali con funzioni
complementari:
A. Molecolare
B. Cellulare
C. Organismo
D. Popolazione
QSAR ( quantitative structure activity relationship )interazione struttura attività delle sostanze di
interesse. Questo permette attraverso la predizione di una struttura di una molecola capire qual è
la sua attività farmacologica.
Piattaforma toxtree: ricostruisce in maniera tridimensionale le immagine di strutture
- Ex vivo:
Integrità anatomica e
funzionale dell’organo
Valutazioni attività
metaboliche (analisi di fluidi
di perfusione)
Indipendenza dall’
interazione con altri organi,
sistemi e apparati
ORIGINE MONOCLONALE
Secondo la teoria dell’origine monoclonale, ogni tumore origina dalla trasformazione di un’unica cellula, ossia
che dalla trasformazione di una cellula si forma un CLONE.
l’origine di ogni clone si attribuisce alla trasformazione di una singola cellula; più cellule di uno stesso organo
possono trasformarsi in tumore.
Tuttavia all’interno di uno stesso organo ci possono essere più foci tumorali, ognuna delle quali è derivata dalla
trasformazione di una sola cellula.
Ma nel corso della proliferazione cellulare, la cellula introduce altre mutazioni per due motivi:
1. La cellula è ancora esposta al cancerogeno che ha causato la mutazione iniziale
2. L’aumentata proliferazione determina un aumento della probabilità di mutazioni.
l’evoluzione clonale è maggiore tanto più una cellula prolifera.
QUINDI nelle prime fasi un tumore è monoclonale, ossia formata da una sola tipologia di clone, ma col tempo
si sommano mutazioni che originano nuovi sub-cloni; nelle fasi terminali il tumore è policlonale, ossia formato
da più sub-cloni, ognuno avente differenti mutazioni.
la formazione di nuovi cloni prende il nome di EVOLUZIONE CLONALE, ed è una delle fasi della progressione
tumorale.
NB. un tumore policlonale, per via dell’elevata eterogeneità genetica delle mutazioni, ha minore probabilità di
cura mentre un tumore clonale, caratterizzato da omogeneità di mutazione, è più facile da aggredire.
la difficoltà di cura dei tumori policlonali è da attribuire alla presenza di differenti sub-cloni geneticamente
diversi, ognuno con mutazioni diverse che possono conferire resistenza a differenti terapie.
Dal punto di vista dell’invecchiamento, l’età è un fattore che predispone al tumore in quanto una maggiore età
corrisponde a maggiori tempi di esposizioni al cancerogeno.
Tuttavia, nella giovane età, sia maschi sia femmine, i tumori prevalenti sono le leucemie e i tumori cerebrali
mentre nella sesta decade prevale il tumore al polmone.
Da numerosi studi epidemiologici è emersa la relazione tra la comparsa di un tumore con l’ambiente e lo stile
di vita, i quali differiscono per le esposizioni agli agenti chimici e fisici, alle radiazioni, alle abitudini alimentari, al
fumo.
Sulla comparsa dei tumori hanno un grande impatto gli agenti infettivi, fumo, abitudini alimentari, fattori
ambientali, obesità.
i tumori maligni metastatizzanti invadono organi lontani determinando effetti sistemici, quali la cachessia.
TUMORE BENIGNO:
Cellule neoplastiche non mostrano anaplasia ma sono ben differenziate, ovvero che è possibile
riconoscere i tratti differenziativi delle cellule parenchimatiche da cui deriva il tumore.
Circoscritto da capsula connettiva che ha funzione di confinamento; il confinamento facilita la
rimozione chirurgica dei tumori benigni.
crescita di tipo espansivo all’interno della capsula connetivale, formata da matrice extracellulare
depositata dai fibroblasti stromatici.
I tumori benigni causano la compressione degli organi adiacenti; gli effetti necessitano di tempi lunghi
per manifestarsi.
EFFETTI LOCALI, NO CACHESSIA.
NO INVASIVITÀ o METASTASI.
Normale rapporto nucleo-citoplasma, polarità normale.
SUFFISSO TUMORI BENIGNI: - OMA al tipo cellulare + organo; per esempio adenoma della tiroide.
BIOLOGIA DEL CANCRO
Con il passare del tempo si accumulano sia mutazioni sia modificazioni epigenetiche; le mutazioni geniche di
interesse sono modificazioni del DNA che consistono in sostituzioni di basi azotate, delezioni cromosomiche,
ecc mentre le modificazioni epigenetiche alterano il grado di superavvolgimento del DNA e quello di
accessibilità e stabilità del trascritto.
CELLULA NEOPLASTICA: una cellula per essere definita neoplastica deve possedere almeno 5-7
mutazioni su geni drivers, fondamentali nella proliferazione, mantenimento omeostasi, riparazioni danni, morte
cellulare.
Lo sviluppo spontaneo di un tumore a causa dell’accumulo di mutazioni è molto lungo, con un periodo di
sviluppo di circa 7-10 anni dall’esposizione iniziale al cancerogeno; per questo motivo, i 2/3 della vita del tumore
sono trascorsi in modo silente (tempistiche di sviluppo delle mutazioni): spesso la crescita lenta del tumore è
occultata da segni di malessere generale.
nella fase tardiva il tumore presenta una crescita rapida per via della perdita di alcuni oncosoppressori, quali
p53.
B. CRESCITA IN LONTANANZA DAI VASI SANGUIGNI : le cellule tumorali ricevono poco ossigeno e
nutrienti; in questo caso le cellule tumorali vanno incontro a diverse possibilità:
1. MORTE PER NECROSI (70-80%): morte per via della mancata produzione di ATP,
malfunzionamento delle pompe di membrana e necrosi.
2. DORMIENZA (5-10%): cellule tumorali esprimono geni di autofagia che permettono la
sopravvivenza nella condizione di dormienza, la quale è alla base del relapse, ossia della
ripresa metabolica del tumore in seguito alla rimozione chirurgica del 90% della massa e
chemoterapia.
dormienza permette sopravvivenza delle cellule tumorali.
3. NEOANGIOGENESI: cellule tumorali con il gene del VEGF mutato secernono continuamente
tale fattore, promuovendo la proliferazione dei vasi sanguigni in modo da ricevere l’apporto
dei nutrienti.
se i nuovi vasi sanguigni arrivano entro 300 um dalle cellule dormienti, esse vengono
riattivate metabolicamente e si verifica il relapse del tumore.
CARCINOGENESI
Il processo di carcinogenesi è un processo multifase:
1. INIZIAZIONE: fase in cui degli agenti inizianti causano danni permanenti al DNA, sia mutazioni geniche
sia modificazioni epigenetiche, che devono poi essere fissate (tramandate) nelle generazioni
successive; l’iniziazione è quindi irreversibile e additiva.
gli agenti inizianti trasformano la cellula e la rendono potenzialmente in grado di dare origine a
neoplasia ma NON SONO SUFFICIENTI.
Quindi, un cancerogeno iniziante è una sostanza in grado di alterare il DNA e quindi di trasformare
irreversibilmente la cellula.
INIZIAZIONE È FASE DI MUTAGENESI di ONCOGENI/ONCOSOPPRESSORI CELLULA INIZIATA
All’inizio, le singole cellule trasformate di un organo prendono il nome di noduli o foci neoplastici, i quali
andranno incontro a proliferazione nella successiva fase di promozione.
NB. i fattori promoventi stimolano l’infiammazione, la risposta immunitaria, con forte richiamo di
fibroblasti, secrezione di citochine infiammatoria (IL-1, TNF), neoangiogenesi e metastasi.
NB. in vivo le fasi di iniziazione e promozione si sovrappongono per via della continua esposizione sia
ad agenti inizianti sia a fattori promoventi, quali fattori ambientali, stili di vita e abitudini alimentari.
3. PROGRESSIONE: insieme di processi che hanno come risultato la formazione del tumore nello stadio
finale; tra gli eventi più rilevanti si verificano:
a. Evoluzione clonale: sommazione delle mutazioni con origine di nuovi sub-cloni alla base
dell’insorgenza di un tumore policlonale in cui le diverse caratteristiche genetiche dei cloni
contribuiscono alla resistenza e alla sopravvivenza del tumore; per esempio un clone privo di
motilità è in grado di proliferare grazie al clone adiacente, il quale produce costitutivamente
metalloproteasi.
policlonalità = cloni chemoresistenti, metastatizzanti, mutagenesi di recettori per fattori di
crescita, inattivazione di enzimi apoptotici resistenza a terapie antitumorali.
QUINDI, durante la fase di progressione le cellule tumorali acquisiscono così tante mutazioni (policlonalità) da
svincolarsi dai promoventi per proliferare, fino a formare un microambiente tumorale in grado di fornire al
tumore tutti i fattori di crescita necessari.
NB. durante la progressione tumorale, l’accumulo di mutazioni causa la morte apoptotica del 90% delle cellule
tumorali mentre il 10% dei cloni sopravvive e continua ad addizionare numerose mutazioni, di cui alcune sui
geni driver.
CARATTERISTICHE MOLECOLARI GENERALI
a. Alla base della carcinogenesi risiede una mutazione che può essere causata da agenti esogeni o
ereditata dalla linea germinale.
b. Origine monoclonale dei tumori: un tumore si forma in seguito ad espansione clonale di una singola
cellula trasformata che ha subito una mutazione.
Sono state identificate 4 classi di geni target delle mutazioni cancerogene: i proto-oncogeni, che
promuovono la crescita, i tumor-suppressor, che inibiscono la crescita, i geni che regolano la morte
cellulare apoptotica e i geni coinvolti nel riparo del DNA.
Durante il processo di carcinogenesi si verifica l’accumulo di mutazioni complementari che
contribuiscono allo sviluppo del fenotipo maligno:
- Mutazioni alla base degli hallmarks del cancro quali crescita incontrollata, invasività, metastasi.
- Driver mutations: mutazioni in geni fondamentali che contribuiscono allo sviluppo del fenotipo
maligno.
per essere definita trasformata, una cellula deve avere almeno 5-7 driver mutations.
c. Una volta formatisi, durante la fase di progressione i tumori evolvono geneticamente sotto la pressione
evolutiva della selezione naturale (sopravvivenza del migliore); grazie al fenomeno dell’evoluzione
clonale, il tumore diventa policlonale, ossia formato da differenti sub-cloni, ognuno geneticamente
diverso e in grado di conferire vantaggi alla sopravvivenza, aggressività e invasione del tumore.
i differenti sub-cloni, che sono il risultato della selezione evolutiva del più forte, sono alla base
dell’aggressività e della resistenza alle terapie antitumorali.
MUTAZIONI EPIGENETICHE: oltre alle mutazioni geniche ricoprono un ruolo fondamentale nello sviluppo del
fenotipo maligno le mutazioni epigenetiche (metilazione del DNA, deacetilazione istoni); rispetto all’effetto delle
mutazioni geniche, quello delle epigenetiche si manifesta più rapidamente e consiste nella regolazione
dell’espressione genica. Per esempio la metilazione del DNA tende al silenziamento genico dei tumor suppressor
genes.
2. Insensibilità a molecole inibitorie della crescita : per via di mutazioni in tumor suppressor genes
coinvolti nel pathway di segnalazione di tali molecole.
perdita di inibizione da contatto.
3. Alterato metabolismo cellulare: switch metabolico verso glicolisi anaerobica chiamato Warburg Effect,
che permette l’anabolismo per sostenere una rapida crescita.
4. Evasione dell’apoptosi: i tumori sono resistenti alla morte apoptotica grazie alla mutagenesi dei geni
apoptotici.
7. Invasività e metastasi
Come detto in precedenza, nelle cellule tumorali ci sono 4 classi di geni regolatori che sono principalmente
mutati:
A. LOSS OF FUNCTION: mutazioni non sense, per esempio del sito di indirizzamento o di targeting, che
causano la loss of function della proteina.
Le loss of function sono comuni negli oncosoppressori, determinando quindi un minore controllo e
regolazione della proliferazione tumorale.
NB. generalmente entrambi gli alleli di un oncosoppressore devono essere mutati ( RECESSIVITA’ )
affinchè si verifichi la perdita di funzione della proteina codificata, di conseguenza la perdita di un solo
allele non risulta nella loss of function.
entrambi gli alleli devono essere silenziati, altrimenti l’allele controlaterale sopperisce alla perdita
dell’altro allele.
ECCEZIONI:
1. APLOINSUFFICIENZA: alcuni oncosoppressori sono aploinsufficienti, ossia che richiedono entrambi
gli alleli per essere funzionali; di conseguenza negli oncosoppressori aploinsufficienti, la perdita di
un solo allele comporta la loss of function della proteina.
esempio: Beclin1
2. Mutazione di loss of function che causa anche una gain of function di altre funzioni; per esempio
mutazioni che causano loss of function di p53 come oncosoppressore ne inducono gain of function
di proliferazione cellulare.
B. GAIN OF FUNCTION: mutazioni che portano all’acquisizione di una nuova funzione negativa, per
esempio attraverso
l’iperattivazione della
proteina. Capita negli
oncogeni.
è sufficiente
mutagenizzare uno solo dei
due alleli dell’oncogene (
DOMINANZA )
NON TUTTE LE PROLIFERAZIONI SONO TUMORI
Non tutti i cambiamenti che si verificano nei tessuti sono un tumore; tuttavia, alcuni cambiamenti possono
trasformarsi, se non trattati, in cancro, ed è bene mantenerli monitorati.
Ne sono un esempio:
L’iperplasia si verifica quando le cellule di un tessuto si dividono più velocemente del normale,
causando un accumulo di cellule che provoca un aumento delle dimensioni di un determinato
organo o tessuto. Può essere causata da diversi fattori e condizioni, tra cui l’irritazione cronica.
La displasia è una condizione più seria dell’iperplasia e indica una variazione morfologica,
quantitativa e qualitativa di una struttura cellulare di un determinato tessuto, spesso epiteliale. In
caso di displasia, le cellule appaiono quindi “anormali”, per forma, colore o struttura, in quanto
hanno assunto caratteristiche diverse rispetto a quelle sane.
Il carcinoma in situ è una proliferazione di cellule epiteliali anormali, che presentano caratteri
morfologici e biologici di malignità, ma che non possiedono la capacità di invadere i tessuti oltre la
membrana basale: ciò significa che non può raggiungere vasi sanguigni, vasi linfatici e, dunque, non
può creare metastasi. Alcuni carcinomi in situ però possono evolvere in cancro e pertanto in genere
vengono trattati.
MARKER TUMORALE
Alcuni tumori liberano prodotti che possono essere dosati su campioni di sangue, e quindi essere utilizzati
come marcatori tumorali.
La ricerca di marcatori tumorali nel siero dei pazienti è un ottimo strumento sia per la diagnosi dei tumori
che per il monitoraggio del loro andamento nel tempo, ad esempio in corso di terapia.
In caso di recidiva, i livelli ematici si innalzano prima che la diagnostica per immagini possa
svelare la neoplasia.
I marcatori tumorali possono essere prodotti direttamente dalle cellule tumorali oppure da
cellule normali (tipicamente dagli epatociti) in risposta alla presenza di un tumore: è il caso
dello LDH, o della ferritina, o delle globuline alfa-2.
NB: I tumori benigni producono solo un eccesso di proteine normali.
La presenza di marcatori ectopici e di proteine embrionali, normalmente non espresse nel
tessuto adulto, è indice di TRASFORMAZIONE MALIGNA, cattiva prognosi e presenza di
METASTASI
Post resezione: se dopo l’asportazione chirurgica del tumore i livelli sierici di marcatori tumorali
rimangono alti significa che l’asportazione non è stata completa o che siamo in presenza di
metastasi.
In chemioterapia: valutare l’andamento dei marcatori è un indicazione di efficacia della terapia e
può essere utile anche per la scelta del farmaco più adatto ad ogni singolo caso.
L'antigene carcino-embrionale CEA
Se alterate o prodotte in maniera illimitata comportano la perdita della inibizione per contatto
ATTIVITÀ DI GLICOSILTRANSFERASI
Permette di misurare l’aumento dell’attività delle glicotransferasi o la presenza di glicosilazioni anomale su
alcune proteine come quelle dei gruppi sanguigni o delle mucine.
ONCOPROTEINE
Simili a prodotti normali dei proto-oncogeni ad eccezione del fatto che hanno perso la capacità di essere
regolate nella loro attività da parte di segnali di attivazione esterni.
P185 ( cerB2 )
Principale marcatore per il tumore della mammella e dell’ovaio, aumenta nel 25/30% dei casi. È il migliore
indicatore prognostica per le recidive che come indice di sopravvivenza superato solo dalla presenza di
linfonodi postivi.
È utile per identificare quelle pazienti che risponderanno meglio ad alte dosi di chemioterapia adiuvante
CYFRA 21-1
Aumenta indicativo nella prognosi nel caso di carcinoma a cellule squamose nel polmone
Cromogranina A
Principale proteina solubile dei granuli cromaffini. Viene rilasciata dalle cellule midollari del surrene insieme
alle catecolamine dopo stimolazione del nervo splacnico.
Cicline
Deputate alla regolazione delle varie fasi del ciclo cellulare. Il loro livello è stato trovato aumentato in
numerosi tumori umani
SOPPRESSORI TUMORALI
Codificano per proteine che inibiscono la proliferazione cellulare. Se accumulo delezioni o mutazioni
perdono la loro funzione di controllo.
P53
Fosfoproteina responsabile dell’inibizione del ciclo cellulare, si lega direttamente al DNA in corrispondenza
di siti di regolazione della trascrizione. Alterato in circa la metà dei tumori umani di diversa origine.
Non è rilevabile nel sangue poiché ha una emività molto breve. Per studiarla bisogna andare ad
osservare il pathway di P53 per capirne i livelli di espressione.
BRCA2:
Responsabile del 70% dei tumori ereditari della mammella non causati da BRCA1
BRCA1
PREVENZIONE: Una dieta sana con vegetali, spezie e soia previene alterazione sporadiche in BRCA1; diete
invece ricche in carni rosse aumentano la probabilità di insorgenza di tumore alla mammella.
TRATTAMENTO: chemioterapia
MELANOMA CUTANEO UMANO
Il melanoma è un tumore maligno che origina dal melanocita, una cellula preposta alla sintesi
della melanina. La melanina è un pigmento scuro responsabile parzialmente del colore della pelle.
Analogamente ai nevi, il melanoma può
insorgere in tutti i distretti corporei in cui sono
normalmente presenti i melanociti (quindi
la cute con predilezione particolare per le
zone fotoesposte).
Tumore da nevi: 25%
Tumore normale: 65%
Sono stati utilizzati due inibitori, uno per BRAF e uno per MEK, combinandoli la risposta è stata più
duratura. Ciò ha fatto pensare che una azione combinata dei chemioterapici fosse più efficace rispetto al
trattamento con un singolo farmaco.
Gli apporci moderni si basano sull’utilizzo dell’immunoterapia per l’eradicazione delle masse tumorali.
IMMUNOTERAPIA
Base della medicina attuale.
I ricercatori sul cancro sono in grado di progettare progetti complessi e promettenti terapie che mirano a
cambiamenti errati e alla fine bloccano il loro effetto
1) Bloccare o disattivare i segnali che dicono alle cellule tumorali di crescere e dividersi
2) Impedire alle cellule di vivere più a lungo del normale
3) Distruggere le cellule tumorali
Hormone therapy: Usato come terapia adiuvante per ridurre la rischio che il cancro si
ripresenti dopo il chirurgia
Es: cioè l'ormone estrogeno promuove il crescita delle cellule tumorali: abbassando il quantità di
estrogeni nel corpo o blocco l'azione degli estrogeni sulle cellule di cancro al seno.
Target therapy: Farmaci o altre sostanze che bloccano la crescita e diffusione del cancro
interferendo con specifiche molecole («bersaglio molecolare») coinvolte in crescita, in progressione
e in proliferazione (includere terapia ormonale, inibitore della trasduzione dei segnali, gene
modulatore di espressione, induttore di apoptosi, immunoterapie ).
Es: HER-2 recettore.
In una cellula normale è importante per la proliferazione cellulare. In una cellula tumorale questi
sono iperespressi e di conseguenza legano sempre ligandi che indurranno una iperproliferazione
sregolata.
L’anticorpo monoclonale Herceptin è in grado di legarsi al recettore HER2 e bloccarne l’attività.
RIGUARDO ALLA TARGET THERAPY: ANTICOPRI MONOCLONALI
Gli anticorpi monclonali sono sostanze sintetiche, prodotte in laboratorio, in grado di distruggere specifiche
cellule tumorali, limitando al minimo il danneggiamento delle cellule sane. La loro funzione è quella di
riconoscere determinate proteine (recettori), presenti sulla superficie di alcune cellule tumorali.
Quando l’anticorpo monoclonale riconosce il suo recettore sulla superficie di queste cellule, vi
si aggancia (maccanismo chiave-serratura).
Questo stimola il sistema immunitario dell’organismo ad aggredire le cellule neoplastiche e può indurre
quest’ultime anche ad autodistruggersi, oppure blocca il recettore, impedendogli di legarsi ad una proteina
diversa che stimola la crescita delle cellule neoplastiche
NB. essendo proteine solubili, gli anticorpi sono presenti in tutti i fluidi corporei, eccetto nelle urine.
Gli anticorpi sono sintetizzati solamente dai linfociti B a livello dei centri germinativi dei linfonodi e possono
essere di due tipologie:
I. Anticorpi legati alla membrana: anticorpi che formano il B-cell receptor, partecipano al
riconoscimento dell’antigene da parte dei linfociti B naive; in seguito al riconoscimento, i linfociti B
naive sono attivati e, grazie agli stimoli dei T helper, differenziano in plasmacellule, le quali producono
anticorpi della stessa specificità di quelli presenti in membrana.
nel B-cell receptor si trovano le IgM e le IgD.
II. Anticorpi secreti: forma solubile presente nel plasma, nelle secrezioni delle mucose, nei liquidi
interstiziali; hanno la funzione di protezione da microbi attraverso la loro neutralizzazione, attivazione
del sistema del complemento, opsonizzazione dei patogeni per potenziare la fagocitosi, citotossicità
cellulo-mediata anticorpo-dipendente (ADCC), in cui gli anticorpi targettano le cellule infette affinché
esse siano eliminate da cellule del sistema immunitario.
questa struttura condivisa è formata da due catene pesanti (heavy) identiche e due leggere (light) identiche
ai lati; sia le catene leggere sia quelle pesanti sono formate da:
La regione variabile della light chain (VL) e quella della heavy chain (VH) formano
il SITO DI LEGAME DELL’ANTIGENE; quindi, in ogni anticorpo sono presenti due
siti di legame per gli antigeni.
ci sono 2 siti di legame dell’antigene in un anticorpo e prendono il nome di
regione FAB (Fragments antigen binding).
regione FAB (VL-VH) LEGA ANTIGENE.
NB. le differenze in sequenza e variabilità presenti negli anticorpi sono attribuibili a tre
stretch amminoacidici (10 aa ognuno) che estrudono dalla regione VL e VH, chiamati
regioni ipervariabili o CDR.
classificazione in base a micro-differenze amminoacidiche della catena pesante che differisce MA anche in
base alla funzione:
IgG: monomeriche, di secrezione, con sequenza gamma; sono le principali e più abbondanti
immunoglobuline nel plasma; sono prodotte soprattutto nella risposta anticorpale secondaria
(attivazione dei linfociti B memoria).
Le IgG sono in grado di attraversare la barriera placentare, fornendo quindi immunità passiva al
nascituro per i primi 3 mesi di vita.
In grado di fissare il complemento (IgG1, IgG3).
4 sottoclassi: IgG1, 2, 3, 4.
Funzione di opsonizzazione: direzionano macrofago.
IgE: monomeriche, di secrezione, sequenza epsilon (); presenti sui mastociti, intervengono in modo
predominante nelle reazioni allergiche; legano i recettori presenti sui mastociti e cellule basofile,
inducendone la degranulazione, con conseguente infiammazione e allergia (granuli contenenti istamina,
serotonina).
NB. l’antigene chiamato prende il nome di allergene.
IgA: monomeriche o dimeriche, di secrezione, sequenza ; ritrovate solamente nei secreti in forma
dimerica, come sudore, liquido lacrimale, muco, latte. Hanno funzione di sequestro e inattivazione di
antigeni solubili presenti nei secreti.
IgD: monomeriche, non si trovano in circolo ma esclusivamente a costituire il B-cell receptor insieme
alle IgM; sono coinvolte nel riconoscimento dell’antigene solubile e nell’attivazione del linfocita B.
RISPOSTA ANTICORPORALE IN VIVO E’ POLICLONALE
L'anticorpo policlonale è una miscela
di anticorpi ottenuti
dall'immunizzazione di
un animale (attraverso iniezione sottocuta
nea, intramuscolare o endovenosa) con
un antigene. Gli anticorpi che risultano da
questa immunizzazione
saranno geneticamente diversi (perché
prodotti da plasmacellule diverse) e
ognuno di essi riconoscerà
un epitopo diverso dello stesso antigene.
Si distinguono
dai monoclonali (geneticamente uguali,
perché prodotti da cloni di una plasmacellula) in quanto questi sono diretti contro un solo
epitopo dell'antigene.
Due CES di topo: 1 con mutazione ablativa dei geni per AB murini, 1 con inserzione geni AB
umani.
Si otterrà uno Xenomouse mediante incroci tra ceppi di topo: lo xenomouse viene selezionato
osservando i topo in grado di produrre AB umani e non murini.
Lo xenomouse verrà dunque esposto ad un AG di interesse così che le sue plasmacellule producano AB
umani.
Una volta ottenuta questa linea ingegnerizzata di plasmacellule/linfociti B dalla milza, si procede con la
fusione di cellule di mieloma in modo tale da avere ibridomi che producono AB umani verso AG specifici
e che siano immortali.
Dal punto di vista produttivo qualsiasi ibridoma è in grado di produrre grandi quantità di AB umani verso un
AG di interesse. La produzione è molto semplice e costa relativamente poco.
Il terreno su cui sono allevati gli ibridi è di tipo selettivo, conosciuto con il nome di HAT
(Hypoxantine-AminopterinThymidine), che per la sua composizione, inibisce la crescita sia dei
mielomi che delle cellule di milza non fuse, ma non dell’ibridoma, che completa le due linee
parentali.Le cellule di mieloma non hanno alcuni enzimi come HGPRT e Timidina chinasi e di
conseguenza non pososno usare l’ipoxantina e timidina come sorgente per la sintesi del DNA.
Gli anticorpi monoclonali fanno parte della terapia a «bersaglio molecolare». Possono essere paragonati
a dei proiettili intelligenti, capaci di mirare alla sola cellula tumorale senza attaccare quelle sane.
Diretta: l’AB lega direttamente, attraverso FAB, un AG come recettori o proteine medianto
direttamente una funzione.
Indiretta: funzione esplicata mediante la porzione FC
1. Citotossicità cellulare anticorpo mediata: CD8+, Macrofagi, NK
2. Complemento: cascata enzimatica che culmina nella lisi cellulare
3. Immunoconiugazione con profarmaco: bloccaggio PD1 e CTL4A
I CTL saranno in grado di uccidere dunque le cellule tumorali
FENOTIPO LEUCOCITARIO
Nelle analisi cliniche e in diagnosi viene valutata la percentuale di diverse popolazioni e sottopopolazioni
dei leucociti, in particolare CD4+ e CD3+.
Questi permettono di distinguere lo stadio evolutivo del tumore, se sono presenti alterazioni a
livello di organi o tessuti.
Attraverso l’immunofenotipizzazione si
può identificare antigeni di superfice,
citoplasmatici o nucleari, per mezzo di
MAB coniugati con fluorocromi. La
presenza di un dato Ag è infatti un
indicatore dell’appartenenza di una cellula
ad uno stipite o un definito stadio
differenziativo.
Mediante immunofenotipizzazione è
possibile enumerare le diverse popolazioni
cellulari e capire, in base alle diverse
percentuali di presenza, dove è presente la
patologia.
ANTICORPI MONOCLONALI ED IMPIEGHI
a. TUMORI SOLIDI
Trastuzumab ( Herceptin ): diretto verso il
recettore HER2 espresso in un terzo dei tumori
mammari, efficaci in associazione con chemioterapia.
In una cellula normale è importante per la
proliferazione cellulare. In una cellula tumorale questi
sono iperespressi e di conseguenza legano sempre
ligandi che indurranno una iperproliferazione
sregolata.
L’anticorpo monoclonale Herceptin è in grado di
legarsi al recettore HER2 e bloccarne l’attività.
Alcuni tipi di cellule immunitarie, come le cellule T e alcune cellule tumorali, hanno certe proteine,
chiamate PROTEINE DEL PUNTO DI CONTROLLO, sulla loro superficie che le mantengono le risposte
immnuitarie sotto controllo. Quando le cellule tumorali hanno grandi quantità di queste proteine, non
verranno attaccati e uccisi dai linfociti T. Gli Inibitori del checkpoint immunitario bloccano queste proteine e
aumentano la capacità delle cellule T di uccidere le cellule tumorali.
MAB PER IL SARS-COV-2
Nell’envelope virale del COVID sono
presenti . Il virus entra nella cellula ospite
e sintetizza il suo mRNA virale, produce
progenie e ci infetta.
Altri bersagli nell'immunoterapia per COVID-19 che sembrano essere promettenti sono le citochine. Tra
le citochine, la specificità di IL-6 in COVID-19 deriva dal fatto che l'IL-6 elevata è correlata alla gravità
della tempesta di citochine infiammatorie. Pertanto, il targeting dell'IL-6 e del suo recettore (IL6R) da parte
di Siltuximab e anticorpi monoclonali tocilizumab (mAb) potrebbe mitigare i sintomi correlati alla tempesta
di citochine nei pazienti COVID-19 gravi.
Nonostante i grandi progressi nello sviluppo dell'immunoterapia passiva basata su anticorpi monoclonali
per l'infezione da coronavirus, non esiste un anticorpo monoclonale in commercio. Ciò che limita l'uso di
anticorpi è che la produzione su larga scala di anticorpi monoclonali per applicazioni cliniche, in qaunto
risulta essere laboriosa, costosa e richiede tempo. Quindi progettare e sviluppare piattaforme avanzate
per la produzione di proteine e sistemi di espressione è urgente per fornire anticorpi monoclonali efficienti
a un costo accessibile in breve tempo.
MAB E PRODUZIONE IN ANIMALI
I PMP ( Plant made pharmaceuticals ) hanno già ottenuto la convalida preclinica in una serie di modelli
malattie come l'epatite B, la rabbia ecc. Le piante hanno la capacità naturale di produrre proteine umane e
animali. Una proteina bersaglio può essere espressa in un singolo tessuto vegetale o durante uno specifico
fase di sviluppo del ciclo di crescita delle piante. Così la produzione di qualsiasi la proteina target può essere
attentamente controllata per garantire la sicurezza e la protezione produzione di prodotti di valore.
Capacità di rinnovamento
Capacità di differenziazione
Le cellule staminali (CS) sono cellule immature non specializzate, in grado di dare origine a cellule mature
di uno o più tessuti diversi.
Si distinguono in cellule staminali EMBRIONALI ed ADULTE a seconda dello stadio di sviluppo e
delle potenzialità differenziative.
CELLULE STAMINALI EMBRIONALI (prelavate da embrioni umani che sono stati fecondati in laboratorio
o in vitro) fisiologicamente sono rappresentati dall’ovocellula fecondata e dalle cellule da essa derivate per
duplicazioni successive (nei primi giorni della vita embrionale). Con il susseguirsi delle duplicazioni vanno
incontro a perdita progressiva delle potenzialità differenziative e si dividono in:
Vengono prelevate dal liquido amniotico che viene scartato nelle amniocentesi. Queste sembrano
possedere caratteristiche simili a quelle delle MSCs primitive e dimostrano simili capacità rigenerative.
Questa scoperta apre una strada tutta da esplorare, ma eticamente sostenibile in quanto non necessita di
creare o distruggere embrioni per utilizzarli a scopo di ricerca scientifica.
Una cellula multipotente adulta può produrre cellule staminali del sangue e cellule staminali del midollo
osseo: differenziando produrranno piastrine, eritrociti e leucociti.
Sono in grado di differenziarsi in vitro (cioè in determinate condizioni di coltura sterile in laboratorio) ed in
vivo (nell’animale da esperimento e nell’uomo) in tessuti tra loro molto diversi per origine embrionale e
funzione (tessuto adiposo, osseo, cartilagineo, tendineo, muscolare-scheletrico e cardiaco, cellule epatiche
o polmonari).
Le MSCs hanno una pluripotenzialità che ricorda quella delle ESCs (senza le implicazioni etiche sottese a
quest’ultime). Possono migrare in siti molto diversi da quelli di origine e partecipano a fenomeni di
rigenerazione tissutale, suggerendo enormi potenzialità applicative nell’ambito di diverse malattie
neurodegenerative, traumatiche, congenite e neoplastiche, e autoimmunitarie.
Sono in grado di ridurre e controllare le manifestazioni cliniche della malattia del trapianto verso l’ospite
dopo il trapianto di midollo osseo da donatore.
A livello dello zigote, formatosi a seguito dello sviluppo
della blastocisti, sono presenti CS totipotenti.
Fino a qualche tempo fa si pensava che tessuti come il SNC non poteva andare in contro ad
autorinnovamento.
Oggi si sa che con le CS possiamo, attraverso cellule progenitrici, veicolare queste per
differenziarle in cellule del SNC. È comunque molto dispendioso, difficile e rischioso.
COME FANNO A SOSTENERSI LE CELLULE STAMINALI?
Nicchia di staminalità: è il microambiente che si trova
attorno alle cellule staminali che fornisce supporto e
segnali che regolano i processi di autorigenerazione e
differenziamento. La nicchia staminale è composta da
lementi cellulair, metaboliti che arrivano alla nicchia e da
segnali prodotti localmente che regolano la staminalità o
il differenziamento.
NB: Meccanismi che regolano il modo in cui le nicchie vengono stabilite, mantenute e modificate per
supportare specifiche funzioni delle SC dei tessuti, sono in fase di studio.
Il Microambiente nel quale risiedono le CS, costituito da tutti i fattori cellulari e molecolari, che
interagiscono con queste, regola le funzioni e presiede al loro mantenimento. È costituita da cellule
somatiche con disposizione spaziale e localizzazione tessuto specifiche, deputato al mantenimento del pool
delle SC, di cui quel tessuto dispone.
La nicchia è una struttura caratteristica per ogni tessuto e in generale è formata da: CELLULE ADIACENTI DI
SUPPORTO CAPILLARI SANGUIGNI STRUTTURE EXTRACELLULARI (LAMINA BASALE ED ECM) Controllano
l’autorinnovamento e modulano l’espressione di molecole di adesione.
TIPOLOGIE DI NICCHIA:
Dallo studio delle nicchie staminali e da numerosi studi in vitro e in vivo è stata definita la cosìdetta
GERARCHIA STAMINALE: ogni compartimento staminale adulto è organizzato quindi secondo una precisa
struttura che dalla nicchia (dove risiede la cellula staminale per eccellenza) si allontana via via verso la
periferia dell’organo o dell’organismo.
Quando una staminale si divide la progenie sarà per metà differenziata e per metà staminale: questo
fenomeno avviene per la simmetria ambientale e per la asimmetria divisionale.
Simmetria ambientale: da una staminale si originano due figlie che si differenziano per i fattori
ambientali
Asimmetria divisionale: le cellule figlie sono già diversa alla nascita
Si possono sfruttare questi meccanismi in modo da ricostruire in vitro il modello delle nicchie e
differenziare CS a nostro piacimento.
CELLULE STAMINALI E APPROCCI TERAPEUTICI IN MALATTIE
la terapia staminale viene impiegata molto in
malattie del sistema sanguigno e
neurodegenerative.
IPPOCAMPO
BULBO OLFATTIVO
NEUROEPITELIO OLFATTIVO
AREE NEOCORTICALI ASSOCIATIVE (prefrontale, temporale inferiore, parietale posteriore) solo nei
primati
Gli stessi FATTORI DI CRESCITA che regolano lo sviluppo dei precursori embrionali potrebbero controllare la
proliferazione dei progenitori nel SNC maturo. Per esempio il fattore di crescita epidermico (EGF) stimola la
proliferazione di cellule staminali multipotenti sia nel SNC embrionale sia nel SNC adulto. Anche il fattore di
crescita fibroblastico (FGF) stimola la proliferazione di vari precursori embrionali neuronali.
Solo una piccola percentuale di cellule conserva la staminalità, altre invece vanno incontro a
differenziamento spontaneo.
È stato dimostrato che le cellule staminali neurali riconoscono e migrano verso i tumori cerebrali. Questa
abilità migratoria le rende vettori ideali per veicolare farmaci a livello della zona tumorale. Studi condotti
sui topi, utilizzando questo approccio sperimentale, hanno dimostrato una riduzione della massa tumorale
dell’80%. Queste scoperte appaiono particolarmente interessanti perché aprono nuove possibilità
terapeutiche nella lotta ai tumori maligni cerebrali, le cui cellule sono altamente invasive ed aggressive.
In Parkinson:
In PD, la morte dei neuroni
dopaminergici risulta in una perdita
della funzione motoria. Usando
cellule staminali neuronali, si
possono produrre neuroni
dopaminergici altamente efficienti,
consentendo un nuovo percorso
verso le terapie di sostituzione
cellulare o portare
all’identificazione di nuovi drugs
che possono rallentare o fermare la
progressione della malattia (PD).
Verranno prese CS adulte da un soggetto, verranno colturate e fatte crescere. Successivamente vengono
fatte differenziare in neuroni dopaminergici che verranno inoculati nel paziente.
Le cellule staminali embrionali pluripotenti sono ottenute dalla massa cellulare interna dello stadio di
sviluppo della blastocisti ( non si puà per questioni etiche ). Queste cellule hanno il potenziale per
svilupparsi in qualsiasi tipo di tessuto. Una varietà di diversi trattamenti o "cocktail" sono stati ideati per
convincere queste cellule a svilupparsi in una stirpe neuronale e poi in autentici neuroni DA. Questi
vengono utilizzati per le terapie di sostituzione cellulare nell’area del cervello in cui i neuroni nigrostriatali
DA sono danneggiati.
In Alzhaimer:
Le cellule staminali embrionali pluripotenti sono
ottenute dalla massa cellulare interna dello
stadio di sviluppo della blastocisti ( non si può
per questioni etiche ). Queste cellule hanno il
potenziale per svilupparsi in qualsiasi tipo di
tessuto. Una varietà di diversi trattamenti o
"cocktail" sono stati ideati per convincere queste
cellule a svilupparsi in una stirpe neuronale e poi
in autentici neuroni DA. Questi vengono utilizzati
per le terapie di sostituzione cellulare nell’area
del cervello in cui i neuroni nigrostriatali DA
sono danneggiati.
Processamento proteolitico incontrollato della proteina β amiloide (APP) risulta in un’eccessiva produzione
di peptidi Aβ amiloidi (depositi). APP è idrolizzata attraverso due diversi meccanismi:
Qualora non si riuscisse a bloccare la B/G secretasi o a inibire l’acetilcolinesterasi si può andare a
utilizzare CSE o CSA mesenchiamli per rimpiazzare i neuroni danneggiati.
In Leucemia:
Il trattamento efficace per la leucemia si concentra sulla rimozione di tutti i leucociti anormali nel paziente
permettendo a quelli sani di crescere al loro posto. Quando la chemioterapia non è possibile, viene
eseguito il trapianto di midollo osseo.
Nel trapianto di midollo osseo, le cellule staminali del midollo osseo del paziente vengono
sostituite con quelle di un donatore sano. Per fare questo, nei pazienti leucemici, i leucociti
anomali vengono prima rimossi / uccisi usando la chemioterapia e le radiazioni.
Dal midollo osseo e dal sangue le staminali possono essere selezionate ed stratte. Successivamente le
cellule selezionate possono essere trasfuse direttamente ai pazienti per rigenerare ad esempio il midollo
osseo, oppure, stimolate a trasformarsi in cellule mature appartenenti a un particolare organo o tessuto.
Quando le cellule staminali reinfuse sono quelle del paziente stesso, il trapianto si definisce autologo.
Quando le cellule staminali provengono da un donatore, il trapianto si definisce allogenico.
Il trapianto allogenico di CSE consiste nella reinfusione di cellule staminali ematopoietiche (CSE) di un
donatore (il soggetto sano) in un ricevente (il soggetto malato) dopo che il ricevente è stato “condizionato”
cioè preparato con la somministrazione di chemioterapia e/o radioterapia ad alta intensità, per questo
detta “sovra-massimale” e denominata di “terapia di condizionamento”. I primi tentativi di trapianto di
CSE sono stati effettuati tra gli anni ’50 e ’60 subito dopo la scoperta del sistema maggiore di
istocompatibilità (Major Histocompatibility Complex – Human Leukocyte Antigen, MHC-HLA) ed il primo
trapianto, effettuato con successo secondo i criteri di compatibilità tessutale donatore/ricevente.
Questa procedura è oggi largamente impiegata nel trattamento di molte patologie ematologiche, sia
neoplastiche che non neoplastiche, e rappresenta una valida opzione terapeutica anche per alcune
patologie dismetaboliche congenite e gravi deficit immunitari. Contrariamente a quanto accade per il
trapianto autologo di CSE, il razionale del trapianto allogenico non si basa solo sulla capacità della
chemioterapia e/o radioterapia di condizionamento di eradicare la malattia, ma anche sull’effetto
immunologico del trapianto stesso, cioè sulla capacità dei linfotici T del donatore di eliminare, con un
meccanismo noto come “Graft Versus Leukemia” (GVL), le cellule neoplastiche del ricevente eventualmente
ancora presenti nel ricevente nonostante la terapia di condizionamento.
In Distrofia muscolare:
la distrofina mutata produce una perdita continua di
muscolo, fibrosi e ischemia.