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RICERCA BIOMEDICA:

Attività volta al raggiungimento della conoscenza necessaria ad assicurare la salute umana, nella più vasta
eccezione del termine, attraverso interventi di prevenzione, di diagnosi e di terapia.
 Utilizza approcci di multidisciplinari integrati che si servono di modelli sperimentali con funzioni
complementari:
A. Molecolare
B. Cellulare
C. Organismo
D. Popolazione

A loro volta le varie discipline si avvalgono di divere metodologie:

A. In silico ( dry lab )


Approccio informatico computazionale predittivo.

- Simulazione, statica o dinamica, di processi cellulari o fisiologici, anche molto complessi.


- Sviluppo di modelli matematici per simulare, analizzare e predire l’interazione tra le variabili
coinvolte nell’efficacia di un trattamento (nuove fonti per terapie farmacologiche).
- Video imaging e della ricostruzione tridimensionale delle immagini.

Tra le metodologie dry lab più diffuse troviamo

 QSAR ( quantitative structure activity relationship )interazione struttura attività delle sostanze di
interesse. Questo permette attraverso la predizione di una struttura di una molecola capire qual è
la sua attività farmacologica.
 Piattaforma toxtree: ricostruisce in maniera tridimensionale le immagine di strutture

B. Biologici ( wet lab )


Utilizzo di molecole purificate, colture cellulari, organi isolati e perfusi, organismi animali, uomo incluso

- In vitro: crescita ci cellule controllata in lab con


parametri di controllo. Non rappresenta la condizione
“vera” che si presenta negli organismi.

Studio della funzione cellulare indipendentemente dal


contesto ambientale
Screening di molecole ad attività farmacologica
Trasfezione e/o infezione con vettori di tipo plasmidico o
retrovirale (inserimento di geni- sintesi proteica)
Soppressione genica- inibizione selettiva dell’attivit{ di
singoli geni

Primarie: linea cellulare con crescita definita e limitata


Secondarie: linee cellulari immortalizzate
- In vivo: studio del modello in organismi viventi per valutare le reali interazioni
dell’organismo, rappresenta la “vera” condizione.
Effetti di nuovi farmaci (terapeutici/avversi)
Creazioni di modelli di patologia umana
Studio dei meccanismi fisiopatologici
Applicazioni per ingegneria genetica

Animali knock-out: perdita


selettiva della funzione di un
singolo gene
Animali transgenici:
inserzione nel genoma di uno
o più geni funzionalmente
attivi che non gli
appartengono.

- Ex vivo:
Integrità anatomica e
funzionale dell’organo
Valutazioni attività
metaboliche (analisi di fluidi
di perfusione)
Indipendenza dall’
interazione con altri organi,
sistemi e apparati

Il termine ex vivo si riferisce ad una tipologia di sperimentazioni effettuate su


un tessuto vivente all'esterno dell'organismo. Le procedure ex vivo più comuni riguardano ad
esempio il prelievo di cellule viventi o tessuti da un organismo e coltivate attraverso specifiche
apparecchiature di laboratorio, sotto opportune condizioni di sterilità. Gli studi ex vivo sono
dunque portati avanti attraverso procedure molto simili a quelle delle tecniche in vitro,
sebbene l'uso di queste due locuzioni non sia sovrapponibile.

C. Epidemiologici: studi condotti su popolazione


ONCOLOGIA
Neoplasia in situ: quando il tumore è sopra la membrana basale.
Tumore invasivo: cellule neoplastiche invadono la membrana basale, attraversando l’interstizio ed entrando
nel circolo sanguigno o nei vasi linfatici.

ORIGINE MONOCLONALE
Secondo la teoria dell’origine monoclonale, ogni tumore origina dalla trasformazione di un’unica cellula, ossia
che dalla trasformazione di una cellula si forma un CLONE.
 l’origine di ogni clone si attribuisce alla trasformazione di una singola cellula; più cellule di uno stesso organo
possono trasformarsi in tumore.
Tuttavia all’interno di uno stesso organo ci possono essere più foci tumorali, ognuna delle quali è derivata dalla
trasformazione di una sola cellula.

Ma nel corso della proliferazione cellulare, la cellula introduce altre mutazioni per due motivi:
1. La cellula è ancora esposta al cancerogeno che ha causato la mutazione iniziale
2. L’aumentata proliferazione determina un aumento della probabilità di mutazioni.
 l’evoluzione clonale è maggiore tanto più una cellula prolifera.

QUINDI nelle prime fasi un tumore è monoclonale, ossia formata da una sola tipologia di clone, ma col tempo
si sommano mutazioni che originano nuovi sub-cloni; nelle fasi terminali il tumore è policlonale, ossia formato
da più sub-cloni, ognuno avente differenti mutazioni.
 la formazione di nuovi cloni prende il nome di EVOLUZIONE CLONALE, ed è una delle fasi della progressione
tumorale.
NB. un tumore policlonale, per via dell’elevata eterogeneità genetica delle mutazioni, ha minore probabilità di
cura mentre un tumore clonale, caratterizzato da omogeneità di mutazione, è più facile da aggredire.
 la difficoltà di cura dei tumori policlonali è da attribuire alla presenza di differenti sub-cloni geneticamente
diversi, ognuno con mutazioni diverse che possono conferire resistenza a differenti terapie.

EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI


UOMO: tumore della prostata, polmone, colon e retto.
DONNA: tumore al seno, polmoni, colon e retto.

Dal punto di vista dell’invecchiamento, l’età è un fattore che predispone al tumore in quanto una maggiore età
corrisponde a maggiori tempi di esposizioni al cancerogeno.
Tuttavia, nella giovane età, sia maschi sia femmine, i tumori prevalenti sono le leucemie e i tumori cerebrali
mentre nella sesta decade prevale il tumore al polmone.
Da numerosi studi epidemiologici è emersa la relazione tra la comparsa di un tumore con l’ambiente e lo stile
di vita, i quali differiscono per le esposizioni agli agenti chimici e fisici, alle radiazioni, alle abitudini alimentari, al
fumo.
Sulla comparsa dei tumori hanno un grande impatto gli agenti infettivi, fumo, abitudini alimentari, fattori
ambientali, obesità.

NOMENCLATURA DEI TUMORI


Il termine neoplasia si riferisce alla neocrescita di tessuto mentre l’oncologia costituisce lo studio dei tumori.
Tutti i tumori presentano 2 caratteristiche basiche:
1. Parenchima tumorale: costituito da cellule neoplastiche, derivate dalla trasformazione delle cellule
parenchimatiche dell’organo.
2. Stroma reattivo: formato da tessuto connettivo, vasi sanguigni e cellule immunitarie
TUMORI MALIGNI E BENIGNI
È possibile distinguere i tumori in maligni e benigni in base alla loro capacità di dare metastasi, ossia la capacità
di diffondersi in altri siti del corpo:
- MALIGNO: se non curato, un tumore maligno darà metastasi; se preso in situ, un tumore maligno non
ha ancora compiuto metastasi, tuttavia possiede tutte le caratteristiche di motilità e invasività per
potersi diffondere.
- BENIGNO: tumore incapace di dare metastasi e che rimarrà localizzato in situ.

DIFFERENZA: SE È METASTATICO E INVASIVO

TUMORE MALIGNO o CANCRO:


 Completamente anaplastico, ossia che le cellule neoplastiche mostrano una totale perdita dei caratteri
differenziativi (morfologici e funzionali).
 ANAPLASIA È MARKER DI MALIGNITÀ.
 Capsula connettiva frammentata , priva di funzione di contenimento.
 Invasività: i tumori maligni sono altamente metastatici e caratterizzati da una crescita infiltrativa che
permette loro di invadere tessuti a distanza.

 i tumori maligni metastatizzanti invadono organi lontani determinando effetti sistemici, quali la cachessia.

L’anaplasia, o mancanza di differenziamento, è spesso associata a:


- ALTERATO RAPPORTO NUCLEO-CITOPLASMA: il rapporto nucleo-citoplasma può raggiungere i
valori di 1:1 rispetto ai fisiologici 1:4 o 1:6.
- PLEOMORFISMO: variazioni in dimensioni e forma.
- ATIPIA CELLULARE: all’interno della stessa massa tumorale possono comparire cellule diversificate,
tra cui cellule tumorali giganti con mitosi aberranti in grado di generare sub-cloni con assetto
genetico diverso.
Es: atipia dei mitocondri e modificazioni del citoscheletro.
- PERDITA DI POLARITÀ: alterazione dell’orientazione della cellula anaplastica.

SUFFISSI TUMORI MALIGNI:


1) SARCOMI: tumori sviluppatisi da tessuti mesenchimali solidi; es: fibrosarcoma, condrosarcoma
2) LEUCEMIE: tumori che si sviluppano dalle cellule del sangue.
3) LINFOMI: tumori dei linfociti o dei loro precursori.
4) CARCINOMI: tumori che si sviluppano da cellule epiteliali.

TUMORE BENIGNO:
 Cellule neoplastiche non mostrano anaplasia ma sono ben differenziate, ovvero che è possibile
riconoscere i tratti differenziativi delle cellule parenchimatiche da cui deriva il tumore.
 Circoscritto da capsula connettiva che ha funzione di confinamento; il confinamento facilita la
rimozione chirurgica dei tumori benigni.
 crescita di tipo espansivo all’interno della capsula connetivale, formata da matrice extracellulare
depositata dai fibroblasti stromatici.
 I tumori benigni causano la compressione degli organi adiacenti; gli effetti necessitano di tempi lunghi
per manifestarsi.
 EFFETTI LOCALI, NO CACHESSIA.
 NO INVASIVITÀ o METASTASI.
 Normale rapporto nucleo-citoplasma, polarità normale.

SUFFISSO TUMORI BENIGNI: - OMA al tipo cellulare + organo; per esempio adenoma della tiroide.
BIOLOGIA DEL CANCRO
Con il passare del tempo si accumulano sia mutazioni sia modificazioni epigenetiche; le mutazioni geniche di
interesse sono modificazioni del DNA che consistono in sostituzioni di basi azotate, delezioni cromosomiche,
ecc mentre le modificazioni epigenetiche alterano il grado di superavvolgimento del DNA e quello di
accessibilità e stabilità del trascritto.

CELLULA NEOPLASTICA: una cellula per essere definita neoplastica deve possedere almeno 5-7
mutazioni su geni drivers, fondamentali nella proliferazione, mantenimento omeostasi, riparazioni danni, morte
cellulare.

 dal pdv probabilistico è difficile sviluppare il tumore.

Lo sviluppo spontaneo di un tumore a causa dell’accumulo di mutazioni è molto lungo, con un periodo di
sviluppo di circa 7-10 anni dall’esposizione iniziale al cancerogeno; per questo motivo, i 2/3 della vita del tumore
sono trascorsi in modo silente (tempistiche di sviluppo delle mutazioni): spesso la crescita lenta del tumore è
occultata da segni di malessere generale.
 nella fase tardiva il tumore presenta una crescita rapida per via della perdita di alcuni oncosoppressori, quali
p53.

CRESCITA E RELAZIONE CON I VASI SANGUIGNI


A. CRESCITA IN PROSSIMTÀ DI VASI SANGUIGNI: le cellule tumorali ricevono nutrienti in abbondanza,
sono caratterizzate da un maggiore tasso di crescita.
NB. la distanza minima delle cellule dai vasi affinchè ricevano nutrimento è di 300 um, in quanto i
nutrienti si muovono per diffusione.

B. CRESCITA IN LONTANANZA DAI VASI SANGUIGNI : le cellule tumorali ricevono poco ossigeno e
nutrienti; in questo caso le cellule tumorali vanno incontro a diverse possibilità:
1. MORTE PER NECROSI (70-80%): morte per via della mancata produzione di ATP,
malfunzionamento delle pompe di membrana e necrosi.
2. DORMIENZA (5-10%): cellule tumorali esprimono geni di autofagia che permettono la
sopravvivenza nella condizione di dormienza, la quale è alla base del relapse, ossia della
ripresa metabolica del tumore in seguito alla rimozione chirurgica del 90% della massa e
chemoterapia.
 dormienza permette sopravvivenza delle cellule tumorali.
3. NEOANGIOGENESI: cellule tumorali con il gene del VEGF mutato secernono continuamente
tale fattore, promuovendo la proliferazione dei vasi sanguigni in modo da ricevere l’apporto
dei nutrienti.
 se i nuovi vasi sanguigni arrivano entro 300 um dalle cellule dormienti, esse vengono
riattivate metabolicamente e si verifica il relapse del tumore.

CARCINOGENESI
Il processo di carcinogenesi è un processo multifase:
1. INIZIAZIONE: fase in cui degli agenti inizianti causano danni permanenti al DNA, sia mutazioni geniche
sia modificazioni epigenetiche, che devono poi essere fissate (tramandate) nelle generazioni
successive; l’iniziazione è quindi irreversibile e additiva.
 gli agenti inizianti trasformano la cellula e la rendono potenzialmente in grado di dare origine a
neoplasia ma NON SONO SUFFICIENTI.
Quindi, un cancerogeno iniziante è una sostanza in grado di alterare il DNA e quindi di trasformare
irreversibilmente la cellula.
INIZIAZIONE È FASE DI MUTAGENESI di ONCOGENI/ONCOSOPPRESSORI CELLULA INIZIATA
All’inizio, le singole cellule trasformate di un organo prendono il nome di noduli o foci neoplastici, i quali
andranno incontro a proliferazione nella successiva fase di promozione.

2. PROMOZIONE: applicazione di fattori promoventi i quali promuovono la proliferazione di cellule


precedentemente iniziate ma che non sono cancerogeni di per sé: in questa fase il tumore inizia ad
aumentare di dimensioni e nel numero di cellule.
stimolando la proliferazione, aumenta la probabilità che si accumulino nuove mutazioni, potendo
quindi osservare l’evoluzione clonale, ossia la formazione di nuovi sub-cloni che porta alla generazione
di un tumore policlonale.
QUINDI, gli agenti promuoventi:
Promuovono la crescita di cellule già iniziate, conseguentemente aumentando la probabilità
di accumulo di nuove mutazioni.

NB. i fattori promoventi stimolano l’infiammazione, la risposta immunitaria, con forte richiamo di
fibroblasti, secrezione di citochine infiammatoria (IL-1, TNF), neoangiogenesi e metastasi.

PROMOZIONE È FASE DI STIMOLAZIONE DI PROLIFERAZIONE, INFIAMMAZIONE e METASTASI

Un fattore promovente è un qualsiasi fattore in grado di promuovere proliferazione cellulare, come


per esempio ormoni, citochine, fattori di crescita, farmaci, agenti chimici, fibre minerali (asbesto).
 nel lungo termine, i promoventi possono portare allo sviluppo del tumore per via dell’aumento della
probabilità di sviluppare mutazioni spontanee in seguito al maggiore tasso di proliferazione.

NB. in vivo le fasi di iniziazione e promozione si sovrappongono per via della continua esposizione sia
ad agenti inizianti sia a fattori promoventi, quali fattori ambientali, stili di vita e abitudini alimentari.

3. PROGRESSIONE: insieme di processi che hanno come risultato la formazione del tumore nello stadio
finale; tra gli eventi più rilevanti si verificano:
a. Evoluzione clonale: sommazione delle mutazioni con origine di nuovi sub-cloni alla base
dell’insorgenza di un tumore policlonale in cui le diverse caratteristiche genetiche dei cloni
contribuiscono alla resistenza e alla sopravvivenza del tumore; per esempio un clone privo di
motilità è in grado di proliferare grazie al clone adiacente, il quale produce costitutivamente
metalloproteasi.
 policlonalità = cloni chemoresistenti, metastatizzanti, mutagenesi di recettori per fattori di
crescita, inattivazione di enzimi apoptotici  resistenza a terapie antitumorali.

b. Infiammazione: stato di infiammazione con richiamo di cellule immunitarie, fibroblasti

QUINDI, durante la fase di progressione le cellule tumorali acquisiscono così tante mutazioni (policlonalità) da
svincolarsi dai promoventi per proliferare, fino a formare un microambiente tumorale in grado di fornire al
tumore tutti i fattori di crescita necessari.

NB. durante la progressione tumorale, l’accumulo di mutazioni causa la morte apoptotica del 90% delle cellule
tumorali mentre il 10% dei cloni sopravvive e continua ad addizionare numerose mutazioni, di cui alcune sui
geni driver.
CARATTERISTICHE MOLECOLARI GENERALI
a. Alla base della carcinogenesi risiede una mutazione che può essere causata da agenti esogeni o
ereditata dalla linea germinale.

b. Origine monoclonale dei tumori: un tumore si forma in seguito ad espansione clonale di una singola
cellula trasformata che ha subito una mutazione.
 Sono state identificate 4 classi di geni target delle mutazioni cancerogene: i proto-oncogeni, che
promuovono la crescita, i tumor-suppressor, che inibiscono la crescita, i geni che regolano la morte
cellulare apoptotica e i geni coinvolti nel riparo del DNA.
Durante il processo di carcinogenesi si verifica l’accumulo di mutazioni complementari che
contribuiscono allo sviluppo del fenotipo maligno:
- Mutazioni alla base degli hallmarks del cancro quali crescita incontrollata, invasività, metastasi.
- Driver mutations: mutazioni in geni fondamentali che contribuiscono allo sviluppo del fenotipo
maligno.
 per essere definita trasformata, una cellula deve avere almeno 5-7 driver mutations.

c. Una volta formatisi, durante la fase di progressione i tumori evolvono geneticamente sotto la pressione
evolutiva della selezione naturale (sopravvivenza del migliore); grazie al fenomeno dell’evoluzione
clonale, il tumore diventa policlonale, ossia formato da differenti sub-cloni, ognuno geneticamente
diverso e in grado di conferire vantaggi alla sopravvivenza, aggressività e invasione del tumore.
 i differenti sub-cloni, che sono il risultato della selezione evolutiva del più forte, sono alla base
dell’aggressività e della resistenza alle terapie antitumorali.

MUTAZIONI EPIGENETICHE: oltre alle mutazioni geniche ricoprono un ruolo fondamentale nello sviluppo del
fenotipo maligno le mutazioni epigenetiche (metilazione del DNA, deacetilazione istoni); rispetto all’effetto delle
mutazioni geniche, quello delle epigenetiche si manifesta più rapidamente e consiste nella regolazione
dell’espressione genica. Per esempio la metilazione del DNA tende al silenziamento genico dei tumor suppressor
genes.

NB. le mutazioni epigenetiche sono potenzialmente reversibili.

Meccanismi epigenetici agiscono su 3 livelli:

1. Ipermetilazione del promotore es: PTEN


2. Deacetilazione dell’istone con superavvolgimento del DNA (regolazione negativa, soppressione) DNA
non è accessibile per essere trascritto.
3. RNA interference: es: oncomi-RNA
FENOTIPO DELLE CELLULE NEOPLASTICHE
Sono stati identificate 8 caratteristiche fenotipiche che contraddistinguono le cellule neoplastiche e che sono
considerate hallmarks del cancro:

1. Proliferazione incontrollata e indipendente dai segnali di crescita : in seguito ad attivazione di oncogeni,


per esempio. I recettori che mediano il signalling di proliferazione.

2. Insensibilità a molecole inibitorie della crescita : per via di mutazioni in tumor suppressor genes
coinvolti nel pathway di segnalazione di tali molecole.
 perdita di inibizione da contatto.

3. Alterato metabolismo cellulare: switch metabolico verso glicolisi anaerobica chiamato Warburg Effect,
che permette l’anabolismo per sostenere una rapida crescita.

4. Evasione dell’apoptosi: i tumori sono resistenti alla morte apoptotica grazie alla mutagenesi dei geni
apoptotici.

5. Immortalità: i tumori possiedono un potenziale di replicazione illimitato grazie a una capacità di


proliferazione senza limiti.

6. Prolungata angiogenesi che permette continuo rifornimento delle cellule neoplastiche.

7. Invasività e metastasi

8. Capacità di evadere il sistema immunitario ospite


ONCOGENI E ONCOSOPPRESSORI
Nel mantenimento dell’omeostasi cellulare è essenziale il mantenimento dell’equilibrio tra proliferazione e
morte cellulare, ottenuto attraverso la regolazione del ciclo cellulare tramite i vari checkpoint.

Come detto in precedenza, nelle cellule tumorali ci sono 4 classi di geni regolatori che sono principalmente
mutati:

1. Proto-oncogeni: promuovono la proliferazione; la loro mutazione porta alla formazione di oncogeni, i


quali sono responsabili della proliferazione incontrollata.
 oncogeni subiscono mutazioni di gain of function.
2. Oncosoppressori: geni che inibiscono la proliferazione, generalmente attraverso l’induzione
dell’apoptosi o autofagia
 oncosoppressori subiscono generalmente mutazioni di loss of function.
3. Geni regolatori dell’apoptosi: P53
4. Geni regolatori della stabilità del DNA: MMR, FANCA e FANCB, BLM, XPA

Quali mutazioni possono subire queste classi di geni?

A. LOSS OF FUNCTION: mutazioni non sense, per esempio del sito di indirizzamento o di targeting, che
causano la loss of function della proteina.
Le loss of function sono comuni negli oncosoppressori, determinando quindi un minore controllo e
regolazione della proliferazione tumorale.
NB. generalmente entrambi gli alleli di un oncosoppressore devono essere mutati ( RECESSIVITA’ )
affinchè si verifichi la perdita di funzione della proteina codificata, di conseguenza la perdita di un solo
allele non risulta nella loss of function.
 entrambi gli alleli devono essere silenziati, altrimenti l’allele controlaterale sopperisce alla perdita
dell’altro allele.
ECCEZIONI:
1. APLOINSUFFICIENZA: alcuni oncosoppressori sono aploinsufficienti, ossia che richiedono entrambi
gli alleli per essere funzionali; di conseguenza negli oncosoppressori aploinsufficienti, la perdita di
un solo allele comporta la loss of function della proteina.
 esempio: Beclin1

2. Mutazione di loss of function che causa anche una gain of function di altre funzioni; per esempio
mutazioni che causano loss of function di p53 come oncosoppressore ne inducono gain of function
di proliferazione cellulare.

B. GAIN OF FUNCTION: mutazioni che portano all’acquisizione di una nuova funzione negativa, per
esempio attraverso
l’iperattivazione della
proteina. Capita negli
oncogeni.
 è sufficiente
mutagenizzare uno solo dei
due alleli dell’oncogene (
DOMINANZA )
NON TUTTE LE PROLIFERAZIONI SONO TUMORI
Non tutti i cambiamenti che si verificano nei tessuti sono un tumore; tuttavia, alcuni cambiamenti possono
trasformarsi, se non trattati, in cancro, ed è bene mantenerli monitorati.
Ne sono un esempio:

 L’iperplasia si verifica quando le cellule di un tessuto si dividono più velocemente del normale,
causando un accumulo di cellule che provoca un aumento delle dimensioni di un determinato
organo o tessuto. Può essere causata da diversi fattori e condizioni, tra cui l’irritazione cronica.

 La displasia è una condizione più seria dell’iperplasia e indica una variazione morfologica,
quantitativa e qualitativa di una struttura cellulare di un determinato tessuto, spesso epiteliale. In
caso di displasia, le cellule appaiono quindi “anormali”, per forma, colore o struttura, in quanto
hanno assunto caratteristiche diverse rispetto a quelle sane.

 Il carcinoma in situ è una proliferazione di cellule epiteliali anormali, che presentano caratteri
morfologici e biologici di malignità, ma che non possiedono la capacità di invadere i tessuti oltre la
membrana basale: ciò significa che non può raggiungere vasi sanguigni, vasi linfatici e, dunque, non
può creare metastasi. Alcuni carcinomi in situ però possono evolvere in cancro e pertanto in genere
vengono trattati.
MARKER TUMORALE
Alcuni tumori liberano prodotti che possono essere dosati su campioni di sangue, e quindi essere utilizzati
come marcatori tumorali.
La ricerca di marcatori tumorali nel siero dei pazienti è un ottimo strumento sia per la diagnosi dei tumori
che per il monitoraggio del loro andamento nel tempo, ad esempio in corso di terapia.
 In caso di recidiva, i livelli ematici si innalzano prima che la diagnostica per immagini possa
svelare la neoplasia.

In oncologia in genere col termine marcatori tumorali, o indicatori tumorali o marker tumorali, vengono


indicate delle sostanze riscontrabili nel sangue o meno spesso nel liquido ascitico che presentano un
aumento significativo della loro concentrazione in alcuni tipi di neoplasia. Un livello elevato di un marcatore
tumorale può indicare la presenza di un cancro, anche se possono esistere altre cause d'innalzamento dei
loro valori.

 I marcatori tumorali possono essere prodotti direttamente dalle cellule tumorali oppure da
cellule normali (tipicamente dagli epatociti) in risposta alla presenza di un tumore: è il caso
dello LDH, o della ferritina, o delle globuline alfa-2.
NB: I tumori benigni producono solo un eccesso di proteine normali.
La presenza di marcatori ectopici e di proteine embrionali, normalmente non espresse nel
tessuto adulto, è indice di TRASFORMAZIONE MALIGNA, cattiva prognosi e presenza di
METASTASI

Due caratteristiche fondamentali necessitano dei buoni market tumorali:

 Sensibilità: capacità di individuare tutti i pazienti con tumore


Misura della positività  deve essere affidabile per non dare falsi pos o neg
 Specificità: capacità di distinguere pazienti con tumore maligno da quelli con tumore benigno

I marker tumorali vengono quantificati in due situazioni:

 Post resezione: se dopo l’asportazione chirurgica del tumore i livelli sierici di marcatori tumorali
rimangono alti significa che l’asportazione non è stata completa o che siamo in presenza di
metastasi.
 In chemioterapia: valutare l’andamento dei marcatori è un indicazione di efficacia della terapia e
può essere utile anche per la scelta del farmaco più adatto ad ogni singolo caso.

UTILIZZO DEI MARKER TUMORALI


a) Screening tumore primitivo: verificare predisposizione
b) Diagnosi tumore primitivo: verificare presenza
c) Prognosi: identificare malattia e percorso
d) Monitoraggio terapia in corso: markers utilizzati per capire recidiva/aumento massa tumorale
e) Follow-up: controllo
Nessun cambiamento: MT non scende sotto il 50% valore iniziale
Miglioramento: MT scende sotto il 50% valore iniziale
Risposta positiva: MT scende sotto il 10% valore iniziale
TIPOLOGIE DI MARCATORI TUMORALI UTILIZZATI

MARCATORI DI DIFFERENZIAZIONE CELLULARE

 L'antigene carcino-embrionale CEA

È una glicoproteina coinvolta nell'adesione cellulare. Viene normalmente prodotta durante lo sviluppo


fetale, ma la produzione di CEA si ferma prima della nascita. Comunque, non si trova normalmente nel
sangue degli adulti in buona salute, anche se i suoi livelli possono innalzarsi nei fumatori.

Il plasma proveniente da individui affetti da carcinoma colonrettale, gastrico, pancreatico, polmone,


del seno, della porzione midollare della tiroide] presenta livelli maggiormente elevati di CEA rispetto ad
individui sani.
La misurazione del CEA viene utilizzata per identificare la recrudescenza del tumore dopo la sua resezione
chirurgica. I livelli elevati del CEA dovrebbero ritornare a valori normali dopo l'asportazione chirurgica del
tumore, l'aumento del CEA successivo all'asportazione è un probabile indicatore della re-insorgenza del
tumore.

 Alfa feto proteina AFP


L'alfa-feto proteina (AFP) è una proteina prodotta nell'embrione e nel feto durante la loro fase di sviluppo,
precisamente dal sacco vitellino e dal fegato fetale.
L'AFP è nota come marker dei tumori epatici (il 50% degli epatocarcinomi, per l'aumentata rigenerazione
delle cellule epatiche) ma, come molti altri marker tumorali, è poco sensibile e quindi non viene usata per la
diagnosi precoce e negli screening, poiché la sua negatività non permette di escludere la presenza del
tumore.
È invece utile per monitorare l'andamento di una neoplasia già nota: una riduzione della alfa-feto proteina
può indicare una buona efficacia del trattamento (dopo un'operazione chirurgica) e l'assenza di recidive,
poiché gli alti livelli di AFP sarebbero legati alle dimensioni della massa tumorale (infatti le cellule tumorali
sono indifferenziate e presentano sulla loro superficie proteine simili a quelle fetali, quindi i valori
dell'esame dipendono strettamente dalla "quantità" e dalla "grandezza" della neoplasia).

MOLECOLE DI ADESIONE CELLULARE


Le forme solubili possono essere rilevate nel siero dei pazienti con tumori maligni. Possono essere suddivise
in 4 gruppi principali:
 Caderine
 Selettine
 Imunoglobuline
 Integrine

Se alterate o prodotte in maniera illimitata comportano la perdita della inibizione per contatto

FATTORI IMPLICATI NEL PROCESSO METASTATICO


Indicativi del rischio o della presenza di metastasi e quindi di cattiva prognosi.
 Fattori angiogenetici
La capacità di indurre l'angiogenesi è considerata uno degli "hallmark of cancer" necessari allo sviluppo
delle neoplasie maligne. Per una neoplasia sarebbe infatti molto difficile continuare a crescere in assenza di
nuovi vasi sanguigni poiché virtualmente ogni cellula dell'organismo deve trovarsi entro 100 μm da un
capillare per ricevere un adeguato apporto di ossigeno. Nell'angiogenesi tumorale sono coinvolti gli stessi
mediatori (es. VEGF) che sono responsabili dell'angiogenesi fisiologica, ma la loro produzione è sregolata,
cosicché i vasi che vengono formati sono anormali, presentando un andamento tortuoso ed una
permeabilità eccessiva che generano un flusso sanguigno irregolare .
 La neoformazione di vasi sanguigni fa parte del processo di sviluppo e di proliferazione dei
tumori metastatici.

ATTIVITÀ DI GLICOSILTRANSFERASI
Permette di misurare l’aumento dell’attività delle glicotransferasi o la presenza di glicosilazioni anomale su
alcune proteine come quelle dei gruppi sanguigni o delle mucine.

ONCOPROTEINE
Simili a prodotti normali dei proto-oncogeni ad eccezione del fatto che hanno perso la capacità di essere
regolate nella loro attività da parte di segnali di attivazione esterni.

 P185 ( cerB2 )

Principale marcatore per il tumore della mammella e dell’ovaio, aumenta nel 25/30% dei casi. È il migliore
indicatore prognostica per le recidive che come indice di sopravvivenza superato solo dalla presenza di
linfonodi postivi.

È utile per identificare quelle pazienti che risponderanno meglio ad alte dosi di chemioterapia adiuvante

 CYFRA 21-1

Aumenta indicativo nella prognosi nel caso di carcinoma a cellule squamose nel polmone

 Cromogranina A

Principale proteina solubile dei granuli cromaffini. Viene rilasciata dalle cellule midollari del surrene insieme
alle catecolamine dopo stimolazione del nervo splacnico.

I livelli aumentati si riscontrano nel carcinoma del polmone a piccole cellule

 Cicline
Deputate alla regolazione delle varie fasi del ciclo cellulare. Il loro livello è stato trovato aumentato in
numerosi tumori umani

SOPPRESSORI TUMORALI
Codificano per proteine che inibiscono la proliferazione cellulare. Se accumulo delezioni o mutazioni
perdono la loro funzione di controllo.

 P53

Fosfoproteina responsabile dell’inibizione del ciclo cellulare, si lega direttamente al DNA in corrispondenza
di siti di regolazione della trascrizione. Alterato in circa la metà dei tumori umani di diversa origine.

 Non è rilevabile nel sangue poiché ha una emività molto breve. Per studiarla bisogna andare ad
osservare il pathway di P53 per capirne i livelli di espressione.

 BRCA2:

Responsabile del 70% dei tumori ereditari della mammella non causati da BRCA1

 BRCA1

Si parla infatti di tumori sporadici o familiari/ereditari. Il 75%


circa dei tumori mammari è di tipo sporadico, cioè si sviluppa
nella popolazione generale in assenza di familiarità ed è per lo
più correlato a fattori ambientali. Il restante 25% dei tumori
mammari è invece di tipo familiare o ereditario

Il ciclo cellulare è un meccanismo piuttosto complesso che


richiede diversi meccanismi di controllo in diversi punti. Questi
due geni intervengono nella regolazione del sito chiamato G2
cioè controllano le modalità con cui avviene il ciclo
cellulare prima della mitosi.

Se BRCA1 o BRCA2 sono mutati viene perso il controllo del


ciclo cellulare. La cellula quindi potrà dare origine a cellule
figlie con mutazioni del DNA: questo significa suscettibilità alla
formazione di neoplasie.
Mutazioni di BRCA sono frequenti nel carcinoma
mammario pertanto vengono utilizzate come marcatori
biologici e sussidio alla diagnosi della neoplasia.

PREVENZIONE: Una dieta sana con vegetali, spezie e soia previene alterazione sporadiche in BRCA1; diete
invece ricche in carni rosse aumentano la probabilità di insorgenza di tumore alla mammella.

TRATTAMENTO: chemioterapia
MELANOMA CUTANEO UMANO
Il melanoma è un tumore maligno che origina dal melanocita, una cellula preposta alla sintesi
della melanina. La melanina è un pigmento scuro responsabile parzialmente del colore della pelle.
Analogamente ai nevi, il melanoma può
insorgere in tutti i distretti corporei in cui sono
normalmente presenti i melanociti (quindi
la cute con predilezione particolare per le
zone fotoesposte).
 Tumore da nevi: 25%
 Tumore normale: 65%

È particolarmente comune tra i caucasici,


soprattutto negli europei nord-occidentali che vivono in luoghi soleggiati. Vi sono tassi elevati di questa
malattia in Oceania, Nord America, Europa, Sudafrica e America Latina. Questo schema geografico è
correlato alla causa primaria: l'esposizione alla luce ultravioletta in combinazione con la quantità di
pigmentazione della pelle nella popolazione.
Crescita del melanoma:
 Crescita radiale: La crescita radiale è contraddistinta da cellule con citoplasma chiaro, atipie
cellulari, mitosi non frequenti, non è interessato tutto lo spessore dell'epidermide, possono esserci
gruppi di cellule neoplastiche al di sotto della membrana basale. La crescita radiale è associata
ancora a buona prognosi.
 Crescita verticale: La crescita verticale è invece uno stadio più maligno del tumore, sono più
evidenti e frequenti le atipie e le mitosi, le cellule hanno acquisito un forte impulso proliferativo,
occupano tutto lo spessore dell'epidermide e possono raggiungere finanche il tessuto adiposo
sottocutaneo. Questo evento si associa ad aumentato rischio di metastasi, vista l'intensa
vascolarizzazione che si ha scendendo nel derma.
All'immunoistochimica si riconosce la positività per la
vimentina e la proteina S-100. Spesso può esistere una
risposta infiammatoria che riduce le dimensioni del
melanoma, ma non ne cambia la prognosi.

Il trattamento varia in base allo stadio in cui si trova il melanoma.


Quello di elezione (il cosiddetto gold standard) prevede la
rimozione del tumore primario mediante biopsia escissionale ed
è applicabile soltanto agli stadi precoci della malattia. Se viene
rilevato e rimosso precocemente, quando è ancora piccolo e
sottile, allora la probabilità di guarigione è alta. La probabilità che
ritorni (recidiva) o si diffonda dipende da quanto profondamente ha invaso gli strati della cute. Per
melanomi recidivanti o che si diffondono (metastasi) i trattamenti includono la chemioterapia,
la terapia modulatori dei checkpoint immunitari) e/o la radioterapia.

Mutazioni precurore del melanoma:


BRAF chinasi attiva a successione altre chinasi ( MEK ed ERK )
inducendo proliferazione, angiogenesi, sopravvivenza etc.

 Una mutazione di BRAF, BRAFV600E ( sostituzione


Valina in Acido glutammico in posizione 600 ) , attiva
costitutivamente MEK ed ERK inducendo
immortalizzazione e proliferazione cellulare.

Terapia clinica per il melanoma e BRAF600E

Il Vemurafenib e Dabrafenib, due farmaci approvati dal FDA,


venogno impiegati in uso clinico come inibitori di BRAF600E.

 Entrambi danno chemioresistenza alla terapia:


dopo 2/3 mesi il farmaco diventa resistente e non
produce più benefici nei confronti delle cellule
neoplastiche.

Data la chemioresistenza si è cercato di capire i motivi della


acquisizione, da parte della massa tumorale e di BRAF600E,
della resistenza nei confronti dei farmaci:

 Patwhay di MAPK e PI3K riattivato


 Meccanismi non noti

Sono stati utilizzati due inibitori, uno per BRAF e uno per MEK, combinandoli la risposta è stata più
duratura. Ciò ha fatto pensare che una azione combinata dei chemioterapici fosse più efficace rispetto al
trattamento con un singolo farmaco.

 Il tempo di ricaduta da chemioresistenza si è verificato dopo 1 anno, rispetto ai 2/3 mesi


precedenti dati solo dall’utilizzo singolo di un farmaco.

Gli apporci moderni si basano sull’utilizzo dell’immunoterapia per l’eradicazione delle masse tumorali.
IMMUNOTERAPIA
Base della medicina attuale.

I ricercatori sul cancro sono in grado di progettare progetti complessi e promettenti terapie che mirano a
cambiamenti errati e alla fine bloccano il loro effetto

1) Bloccare o disattivare i segnali che dicono alle cellule tumorali di crescere e dividersi
2) Impedire alle cellule di vivere più a lungo del normale
3) Distruggere le cellule tumorali

Come su può agire sulla terapia?

 Chemioterapia: farmaci anti-cancro, chiamati anche citotossici, che mirano a distruggere


cellule tumorali (trattamento sistemico)

 Hormone therapy: Usato come terapia adiuvante per ridurre la rischio che il cancro si
ripresenti dopo il chirurgia
Es: cioè l'ormone estrogeno promuove il crescita delle cellule tumorali: abbassando il quantità di
estrogeni nel corpo o blocco l'azione degli estrogeni sulle cellule di cancro al seno.

 Target therapy: Farmaci o altre sostanze che bloccano la crescita e diffusione del cancro
interferendo con specifiche molecole («bersaglio molecolare») coinvolte in crescita, in progressione
e in proliferazione (includere terapia ormonale, inibitore della trasduzione dei segnali, gene
modulatore di espressione, induttore di apoptosi, immunoterapie ).
Es: HER-2 recettore.
In una cellula normale è importante per la proliferazione cellulare. In una cellula tumorale questi
sono iperespressi e di conseguenza legano sempre ligandi che indurranno una iperproliferazione
sregolata.
L’anticorpo monoclonale Herceptin è in grado di legarsi al recettore HER2 e bloccarne l’attività.
RIGUARDO ALLA TARGET THERAPY: ANTICOPRI MONOCLONALI
Gli anticorpi monclonali sono sostanze sintetiche, prodotte in laboratorio, in grado di distruggere specifiche
cellule tumorali, limitando al minimo il danneggiamento delle cellule sane. La loro funzione è quella di
riconoscere determinate proteine (recettori), presenti sulla superficie di alcune cellule tumorali.
 Quando l’anticorpo monoclonale riconosce il suo recettore sulla superficie di queste cellule, vi
si aggancia (maccanismo chiave-serratura).
Questo stimola il sistema immunitario dell’organismo ad aggredire le cellule neoplastiche e può indurre
quest’ultime anche ad autodistruggersi, oppure blocca il recettore, impedendogli di legarsi ad una proteina
diversa che stimola la crescita delle cellule neoplastiche

Ibridoma per produzione MAB:


Un ibridoma è una cellula ingegnerizzata per la produzione
massiva di anticorpi monoclonali, cioè anticorpi
monospecifici perché prodotti da un singolo tipo di cellula
madre. Essi sono quindi identici tra loro. Per produrre
ibridomi le cellule B (un tipo di leucociti) sono rimosse
dalla milza dell'animale immunizzato (ratto o coniglio), e poi
fuse con mielomi (linee tumorali delle cellule B), per la loro
immortalizzazione.
La procedura di ibridizzazione inizia con l'iniezione di
un antigene in un topo (o un altro mammifero), provocando
una risposta immunitaria. Un tipo di leucociti, cellule
B produce anticorpi che legano all'antigene iniettato. Questi
anticorpi neoprodotti sono poi ottenuti dal topo. Queste
cellule B isolate sono fuse a turno con una linea di cellule B
tumorali immortalizzate, di tipo mieloma, per produrre un una linea cellulare ibrida chiamata ibridoma, che
possiede sia l'abilità di produrre anticorpi delle cellule B sia longevità e riproduttività esasperate tipiche del
mieloma. Gli ibridomi possono crescere in coltura, ciascuna coltura inizia con una cellula vitale di ibridoma,
producendo colture ciascuna delle quali consiste di ibridoma geneticamente identici che possono produrre
un anticorpo per coltura (monoclonale) piuttosto che complessi di anticorpi differenti (policlonali).
ANTICORPI IN GENERALE
Gli anticorpi, o immunoglobuline, sono proteine solubili prodotte in risposta all’esposizione ad antigeni e
costituiscono i mediatori della risposta adattativa umorale.

NB. essendo proteine solubili, gli anticorpi sono presenti in tutti i fluidi corporei, eccetto nelle urine.

Gli anticorpi sono sintetizzati solamente dai linfociti B a livello dei centri germinativi dei linfonodi e possono
essere di due tipologie:

I. Anticorpi legati alla membrana: anticorpi che formano il B-cell receptor, partecipano al
riconoscimento dell’antigene da parte dei linfociti B naive; in seguito al riconoscimento, i linfociti B
naive sono attivati e, grazie agli stimoli dei T helper, differenziano in plasmacellule, le quali producono
anticorpi della stessa specificità di quelli presenti in membrana.
 nel B-cell receptor si trovano le IgM e le IgD.

II. Anticorpi secreti: forma solubile presente nel plasma, nelle secrezioni delle mucose, nei liquidi
interstiziali; hanno la funzione di protezione da microbi attraverso la loro neutralizzazione, attivazione
del sistema del complemento, opsonizzazione dei patogeni per potenziare la fagocitosi, citotossicità
cellulo-mediata anticorpo-dipendente (ADCC), in cui gli anticorpi targettano le cellule infette affinché
esse siano eliminate da cellule del sistema immunitario.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI (ca 160 kDa)


Tutti gli anticorpi, o immunoglobuline, condividono una struttura comune basica ma che mostra variabilità nella
porzione che lega gli antigeni, caratteristica che permette a differenti anticorpi di legare numerosi antigeni.

 questa struttura condivisa è formata da due catene pesanti (heavy) identiche e due leggere (light) identiche
ai lati; sia le catene leggere sia quelle pesanti sono formate da:

 Regioni VARIABILI (regioni VH e VL): porzione amino-terminale, partecipano al


riconoscimento dell’antigene.
 la sequenza amminoacidica delle regioni variabili varia notevolmente tra i vari
anticorpi.
NB. 2 tipi di light chain: K e 
I diversi antigeni sono riconosciuti dalle differenti regioni variabili, mentre la
parte costante può essere uguale.
ES. albumina di cavallo e di topo sono riconosciute da anticorpi che differiscono
nelle porzioni variabili.

La regione variabile della light chain (VL) e quella della heavy chain (VH) formano
il SITO DI LEGAME DELL’ANTIGENE; quindi, in ogni anticorpo sono presenti due
siti di legame per gli antigeni.
 ci sono 2 siti di legame dell’antigene in un anticorpo e prendono il nome di
regione FAB (Fragments antigen binding).
 regione FAB (VL-VH) LEGA ANTIGENE.

 Regioni COSTANTI (regioni C): porzione carbossi-terminale, risulta costante in


QUASI tutti gli anticorpi.
 la regione C-terminale, coinvolta nelle funzioni effettrici, prende il nome di
regione FC (frammento cristallizzabile).
NB. la regione C delle heavy chains interagisce con altre cellule immunitarie per
mediare le azioni biologiche (funzioni effettrici) degli anticorpi.
DIFFERENZE STRUTTURALI NELLE REGIONI VARIABILI

NB. le differenze in sequenza e variabilità presenti negli anticorpi sono attribuibili a tre
stretch amminoacidici (10 aa ognuno) che estrudono dalla regione VL e VH, chiamati
regioni ipervariabili o CDR.

 in un anticorpo, le 3 regioni ipervariabili di VL sono unite alle 3 regioni ipervariabili


di VH a formare il sito di legame dell’antigene.

QUINDI: 3 CDRs di VL + 3 CDRs di VR formano l’antigene binding site.

DIFFERENZE STRUTTURALI NELLE REGIONI COSTANTI: CLASSIFICAZIONE DEGLI


ANTICORPI
In base alle differenze strutturali delle regioni C delle heavy chains, gli anticorpi possono essere divisi in classi o
isotipi (IgA, IgD, IgE, IgG e IgM), ognuna delle quali esplica differenti funzioni effettrici per via delle differenze
nelle regioni C, le quali sono responsabili delle azioni biologiche degli anticorpi.

 classificazione in base a micro-differenze amminoacidiche della catena pesante che differisce MA anche in
base alla funzione:

 IgG: monomeriche, di secrezione, con sequenza gamma; sono le principali e più abbondanti
immunoglobuline nel plasma; sono prodotte soprattutto nella risposta anticorpale secondaria
(attivazione dei linfociti B memoria).
Le IgG sono in grado di attraversare la barriera placentare, fornendo quindi immunità passiva al
nascituro per i primi 3 mesi di vita.
In grado di fissare il complemento (IgG1, IgG3).
4 sottoclassi: IgG1, 2, 3, 4.
Funzione di opsonizzazione: direzionano macrofago.

 IgM: monomeriche se di membrana (B-cell receptor) o pentameriche se di secrezione, sequenza


mu (); insieme alle IgD fanno parte del B-cell receptor, esplicando la funzione di riconoscimento
dell’antigene.
Prodotte nella risposta immunitaria specifica primaria, hanno vita breve.
Attivano efficacemente la fissazione del complemento (C1q lega facilmente IgM pentameriche).

 IgE: monomeriche, di secrezione, sequenza epsilon (); presenti sui mastociti, intervengono in modo
predominante nelle reazioni allergiche; legano i recettori presenti sui mastociti e cellule basofile,
inducendone la degranulazione, con conseguente infiammazione e allergia (granuli contenenti istamina,
serotonina).
NB. l’antigene chiamato prende il nome di allergene.

 IgA: monomeriche o dimeriche, di secrezione, sequenza ; ritrovate solamente nei secreti in forma
dimerica, come sudore, liquido lacrimale, muco, latte. Hanno funzione di sequestro e inattivazione di
antigeni solubili presenti nei secreti.

 IgD: monomeriche, non si trovano in circolo ma esclusivamente a costituire il B-cell receptor insieme
alle IgM; sono coinvolte nel riconoscimento dell’antigene solubile e nell’attivazione del linfocita B.
 RISPOSTA ANTICORPORALE IN VIVO E’ POLICLONALE
 L'anticorpo policlonale è una miscela
di anticorpi ottenuti
dall'immunizzazione di
un animale (attraverso iniezione sottocuta
nea, intramuscolare o endovenosa) con
un antigene. Gli anticorpi che risultano da
questa immunizzazione
saranno geneticamente diversi (perché
prodotti da plasmacellule diverse) e
ognuno di essi riconoscerà
un epitopo diverso dello stesso antigene.

 Si distinguono
dai monoclonali (geneticamente uguali,
perché prodotti da cloni di una plasmacellula) in quanto questi sono diretti contro un solo
epitopo dell'antigene.

MECCANISMO D’AZIONE DEGLI MAB:


 Blocco dell’azione di specifiche molecole: fattori di crescita, citochine, mediatori
dell’infiammazione

 Targeting a cellule specifiche di enzimi, tossine, DNA

 Funzione di signaling: crosslinking di recettori e attivazione di vie trasduzionali collegate, azione


agonista su specifici recettori in determinate popolazioni cellulari.
 ADCC (citotossicità cellulare dipendente dall’anticorpo):
La cellula tumorale viene riconosciuta dall’anticorpo il quale attiva cellule NK in grado di distruggere
la cellula.
 CDC (citotossicità dipendente dal complemento):
Lisi cellulare mediata dal complesso MAC
 STC ( citotossicità dipendente dalla trasduzione del segnale )
Gli anticpori che si legano sulla cellule tumorale vanno ad inibire i segnali di proliferazione
 Immunomodulazione:
Una volta che l’anticorpo lega il recettore favorisce un rilascio selettivo sul sito di azione. Abbimao
un farmaco che si lega al MAB, legandosi al recettori si attaccherà alla cellula tumorale bersaglio e
veicolerà di conseguenza il farmaco nei confronti di una proteina o recettori di interesse.

MECCANISMI DI RISPOSTA DEGLI MAB IN ONCOLOGIA


LINFOCITI B: Uniche cellule in grado di produrre gli anticorpi, i mediatori della risposta adattativa
umorale; i linfociti maturano da precursori nel midollo osseo e successivamente vengono dislocati in tutto
il corpo: rappresentano il 10-20% dei linfociti circolanti e sono localizzati principalmente nei linfonodi e
nella milza. In seguito al riconoscimento dell’antigene grazie al B-cell receptor, i linfociti B vengono
attivati e differenziano in plasmacellule grazie a citochine (IL-4) rilasciate dai T helper 2; successivamente
la plasmacellula inizia a produrre migliaia di anticorpi specifici per l’antigene legato.
 il differenziamento in plasmacellule è mediato dai T helper.
 in seguito ad attivazione, le plasmacellule produrranno anticorpi della stessa specificità di quelli
presenti nel B-cell receptor.

MIELOMA: Il mieloma multiplo (MM), noto anche come malattia di Kahler-Bozzolo è


una neoplasia sostenuta dalla proliferazione di un clone neoplastico di natura plasmacellulare, cellule
appartenenti al sistema immunitario presenti soprattutto nel midollo osseo che hanno la funzione di
produrre anticorpi. Si tratta per lo più di una patologia dell'anziano, dato che solo il 18% dei pazienti in
media è più giovane di 50 anni alla diagnosi.
Caratteristiche:
 Immortale: caratteristica sfruttata nella tecnica di creazione dell’ibridoma
 Non produce AB
 Manca di HGPRT e di Timidina chinasi: sono enzimi richiesti per la sintesi di DNA mediante la via
alternativa a partire da ipoxantina e timidina.

IBRIDOMA:  è una cellula ingegnerizzata per la produzione massiva di anticorpi monoclonali, cioè


anticorpi monospecifici perché prodotti da un singolo tipo di cellula madre. Essi sono quindi identici tra
loro. Per produrre ibridomi le cellule B (un tipo di leucociti) sono rimosse dalla milza dell'animale
immunizzato (ratto o coniglio), e poi fuse con mielomi (linee tumorali delle cellule B), per la loro
immortalizzazione.
 Gli anticorpi monoclonali sono dunque prodotti da 1 Plasmacellula + 1 Cellula di mieloma:
l’MAB che si creerà è omogeneo per specificità, affinità e isotipo. In questo senso possiamo
scegliere l’anticorpo che ha le caratteristiche desiderate e impiegarlo nella terapia.

Una topo viene immunizzato con un determinato


componente antigenico: verranno prese le plasmacellule
che producono AB per quel determinato antigene e fuse
con cellule di mieloma, immortalizzate e incapaci di
produrre AB.
Si originano ibridi stabili che vengono selezionati in terreni
di coltura selettivi nei quali le cellule di mieloma sono fuse
con le plasmacellule.
L’idea di fondo è generare un mutante di topo che, a partire da cellule staminali embrionali del topo stesso,
sia incapace di produrre AB murini ma sia invece capace di generare AB umani.

 Due CES di topo: 1 con mutazione ablativa dei geni per AB murini, 1 con inserzione geni AB
umani.
Si otterrà uno Xenomouse mediante incroci tra ceppi di topo: lo xenomouse viene selezionato
osservando i topo in grado di produrre AB umani e non murini.

Lo xenomouse verrà dunque esposto ad un AG di interesse così che le sue plasmacellule producano AB
umani.

Una volta ottenuta questa linea ingegnerizzata di plasmacellule/linfociti B dalla milza, si procede con la
fusione di cellule di mieloma in modo tale da avere ibridomi che producono AB umani verso AG specifici
e che siano immortali.

Dal punto di vista produttivo qualsiasi ibridoma è in grado di produrre grandi quantità di AB umani verso un
AG di interesse. La produzione è molto semplice e costa relativamente poco.

 Il terreno su cui sono allevati gli ibridi è di tipo selettivo, conosciuto con il nome di HAT
(Hypoxantine-AminopterinThymidine), che per la sua composizione, inibisce la crescita sia dei
mielomi che delle cellule di milza non fuse, ma non dell’ibridoma, che completa le due linee
parentali.Le cellule di mieloma non hanno alcuni enzimi come HGPRT e Timidina chinasi e di
conseguenza non pososno usare l’ipoxantina e timidina come sorgente per la sintesi del DNA.
Gli anticorpi monoclonali fanno parte della terapia a «bersaglio molecolare». Possono essere paragonati
a dei proiettili intelligenti, capaci di mirare alla sola cellula tumorale senza attaccare quelle sane.

Gli anticorpi in generale hanno due attività:

 Diretta: l’AB lega direttamente, attraverso FAB, un AG come recettori o proteine medianto
direttamente una funzione.
 Indiretta: funzione esplicata mediante la porzione FC
1. Citotossicità cellulare anticorpo mediata: CD8+, Macrofagi, NK
2. Complemento: cascata enzimatica che culmina nella lisi cellulare
3. Immunoconiugazione con profarmaco: bloccaggio PD1 e CTL4A
I CTL saranno in grado di uccidere dunque le cellule tumorali

FENOTIPO LEUCOCITARIO
Nelle analisi cliniche e in diagnosi viene valutata la percentuale di diverse popolazioni e sottopopolazioni
dei leucociti, in particolare CD4+ e CD3+.
 Questi permettono di distinguere lo stadio evolutivo del tumore, se sono presenti alterazioni a
livello di organi o tessuti.

Attraverso l’immunofenotipizzazione si
può identificare antigeni di superfice,
citoplasmatici o nucleari, per mezzo di
MAB coniugati con fluorocromi. La
presenza di un dato Ag è infatti un
indicatore dell’appartenenza di una cellula
ad uno stipite o un definito stadio
differenziativo.

Mediante immunofenotipizzazione è
possibile enumerare le diverse popolazioni
cellulari e capire, in base alle diverse
percentuali di presenza, dove è presente la
patologia.
ANTICORPI MONOCLONALI ED IMPIEGHI

 Anti TNF-Alfa: Utilizzati nell’artrite reumatoide,


morbo di chron e psoriasi

a. TUMORI SOLIDI
 Trastuzumab ( Herceptin ): diretto verso il
recettore HER2 espresso in un terzo dei tumori
mammari, efficaci in associazione con chemioterapia.
In una cellula normale è importante per la
proliferazione cellulare. In una cellula tumorale questi
sono iperespressi e di conseguenza legano sempre
ligandi che indurranno una iperproliferazione
sregolata.
L’anticorpo monoclonale Herceptin è in grado di
legarsi al recettore HER2 e bloccarne l’attività.

 Cetuximab/Panitumumab: diretto verso il recettore


per il fattore di crescita EGF esp resso in più dell’80% dei Ca
del colon metastatico.
Il EGFR è una proteina transmembrana attivata da TGF alfa e
EGF: attraverso un meccanismo chiave serratura viene
attivata la trasduzione del segnale che induce inibizione di
apoptosi e promozione di proliferazione, metastatizzazione e
differenziamento.
La cellula differenzia per bypassare il sistema immunitario.
Il Cetuximab inibisce l’azione chiave-serratura tra EGFR e
TNFalfa/EGF inibendo così la repressione dei fenomeni
apoptotici e inibendo la proliferazione cellulare.

 Bevacizumab: diretto verso VEGF


La secrezione del VEGF (fattore di crescita endoteliale vascolare) è intensa nei tessuti a rapida
proliferazione (come quelle tumorali), dove stimola il processo di angiogenesi, che permette una
maggiore crescita del tumore(fornendo ossigeno e nutrienti) e facilita la diffusione metastatica.
b.TUMORI EMATOLOGICI
 Alemtuzumab: leucemie e linfomi
 Gentuzumab: efficace nella leucemia mieloide acuta, riduce la conta dei blasti periferici
 Rituximab: efficaci nei linfomi di origine B-cellulare: remissione 85% dei soggetti trattati
 CD38: proposto per il trattamento del mieloma multiplo
 PD-1 inhibitor: PD1 è una
proteina presente sulla superficie
delle cellule T che aiuta a tenere
sotto controllo le risposte
immunitarie del corpo. Quando PD-1
si lega a un'altra proteina chiamata
PD-L1 su una cellula cancerosa,
impedisce alla cellula T di uccidere la
cellula tumorale.
L’AB anti PD-1 permette il ripristino
della risposta immunitaria da parte
delle cellule T.

 CTL4A inhibitor: CTL4A è una proteina sulla superficie


dei linfociti T che aiuta a mantenere il corpo risposte
immunitarie sotto controllo. Quando CTLA-4 si lega a
un'altra proteina chiamata B7 su una cellula tumorale,
impedisce alla cellula T di uccidere le cellule tumorali.

IMMUNE CHECKPOINT INHIBITOR: AZIONE DI PD1/CTLA4 INHIBITORS


Trattamento che utilizza il sistema immunitario del paziente per combattere il cancro. Le sostanze prodotte
dall'organismo o in laboratorio vengono utilizzate per potenziare, dirigere, o ripristinare le difese naturali
del corpo contro il cancro. Questo tipo di cancro il trattamento è chiamato anche BIOTERAPIA o TERAPIA
BIOLOGICA

Alcuni tipi di cellule immunitarie, come le cellule T e alcune cellule tumorali, hanno certe proteine,
chiamate PROTEINE DEL PUNTO DI CONTROLLO, sulla loro superficie che le mantengono le risposte
immnuitarie sotto controllo. Quando le cellule tumorali hanno grandi quantità di queste proteine, non
verranno attaccati e uccisi dai linfociti T. Gli Inibitori del checkpoint immunitario bloccano queste proteine e
aumentano la capacità delle cellule T di uccidere le cellule tumorali.
MAB PER IL SARS-COV-2
Nell’envelope virale del COVID sono
presenti . Il virus entra nella cellula ospite
e sintetizza il suo mRNA virale, produce
progenie e ci infetta.

Poiché le proteine Spike mediano


l’entrata del virus nel nostro organismo
attraverso i recettori ACE2, ed essendo
questi distribuiti in tutto il nostro corpo, il
COVID è in grado di infettare molti nostri
tessuti:
 Macrofagi
 Cellule epiteliali
 Cellule della microglia
 Cellule neuronali

Oggi il SARS-COVID-2 è considerato


come una sindrome a organi multipli:
non solo la porzione polmonare è
coinvolta.
Invade muscoli, neuronale, muscolatura cardiaca.

Terapia MAB per COVID:

Si usa il plasma di un paziente già stato


a contatto con il virus: questo produrra
AB verso il COVID.

Il plasma verrà poi utilizzato in una


seconda persona affetta da covid.
Il plasma è separato grazie a
Plasmaforesi e attraverso ELISA si
valutano le proprietà degli AB.
Il plasma purificato con gli AB contro
COVID vengono inoculati nel paziente.
Non è comunque la cura definitiva.

Poiché sia SARS-CoV che SARS-CoV-2 (2019-nCoV)


hanno lo stesso recettore per l'ingresso del virus, si
potrebbero utilizzare potenziali bioterapici per
prevenire l'ingresso della SARS. Tra gli approcci
immunoterapici per bloccare l'attaccamento o
l'ingresso del virus, gli anticorpi monoclonali sono preferiti per la loro specificità, purezza, basso rischio di
contaminazione da agenti patogeni per via ematica e sicurezza rispetto alla terapia sierica e ai preparati di
immunoglobuline per via endovenosa. I risultati promettenti nel mirare alle proteine spike in SARS-CoV e
MERS-CoV da anticorpi monoclonali incoraggiano i ricercatori a utilizzarli nella lotta contro 2019-nCoV. Il
cocktail di anticorpi monoclonali o la combinazione di diversi anticorpi monoclonali che riconoscono
epitopi diversi sulla superficie virale può aumentare l'efficacia della neutralizzazione del virus.

Altri bersagli nell'immunoterapia per COVID-19 che sembrano essere promettenti sono le citochine. Tra
le citochine, la specificità di IL-6 in COVID-19 deriva dal fatto che l'IL-6 elevata è correlata alla gravità
della tempesta di citochine infiammatorie. Pertanto, il targeting dell'IL-6 e del suo recettore (IL6R) da parte
di Siltuximab e anticorpi monoclonali tocilizumab (mAb) potrebbe mitigare i sintomi correlati alla tempesta
di citochine nei pazienti COVID-19 gravi.

Nonostante i grandi progressi nello sviluppo dell'immunoterapia passiva basata su anticorpi monoclonali
per l'infezione da coronavirus, non esiste un anticorpo monoclonale in commercio. Ciò che limita l'uso di
anticorpi è che la produzione su larga scala di anticorpi monoclonali per applicazioni cliniche, in qaunto
risulta essere laboriosa, costosa e richiede tempo. Quindi progettare e sviluppare piattaforme avanzate
per la produzione di proteine e sistemi di espressione è urgente per fornire anticorpi monoclonali efficienti
a un costo accessibile in breve tempo.
MAB E PRODUZIONE IN ANIMALI

Una capra o mucca, mediante produzione


del latte, produce insieme ad esso il MAB
di interesse.
Possiamo iniettare nell’oocita dell’animale
il gene che codifica per le IG umane con il
promotore della caseina mediante tecnica
del DNA ricombinante.
Ciò porta alla produzione di una specie
transgenica che produrrà tutti gli anticorpi
solamente nel tessuto della ghiandola
mammaria: raccogliendo il latte
dell’animale e isolando/purificando le IG
otterremo i nostri MAB.

Il vantaggio di questo approccio è la costante produzione di latte/IG, di conseguenza si avranno grandi


quantità dell’IG di interesse.

MOLECULAR PHARMING IN PIANTE


Le piante sono bioreattori efficaci ed efficienti per la produzione di proteine ricombinanti
farmaceuticamente preziose. Varietà di specie vegetali che vengono esplorati per fungere da bioreattori
verdi, ciascuno con il proprio vantaggi e svantaggi
 Le piante transgeniche mostrano bassi costi di produzione, alta produttività, nessun rischio
contaminazione e facile conservazione rispetto agli animali transgenici. Così esso serve
un'alternativa ai sistemi di fermentazione convenzionali che utilizzano batteri, lieviti o cellule di
mammifero.

I PMP ( Plant made pharmaceuticals ) hanno già ottenuto la convalida preclinica in una serie di modelli
malattie come l'epatite B, la rabbia ecc. Le piante hanno la capacità naturale di produrre proteine umane e
animali. Una proteina bersaglio può essere espressa in un singolo tessuto vegetale o durante uno specifico
fase di sviluppo del ciclo di crescita delle piante. Così la produzione di qualsiasi la proteina target può essere
attentamente controllata per garantire la sicurezza e la protezione produzione di prodotti di valore.

Il pharming molecolare è la produzione di prezioso


proteine ricombinanti in organismi transgenici in
agricoltura scala
Il pharming molecolare si riferisce alla nuova area della scienza che combina l'uso della biotecnologia e
delle piante per produrre prodotti di valore (biofarmaci, nutraceutici, cosmeceutici)
Le proteine prodotte in piante hanno una resa 100 volte superiore rispetto a quelle prodotte
industrialmente.
Gli anticorpi vengono prodotti in strutture precise della pianta come semi o tuberi. Il processo richiede solo
4 settimane rispetto a 9 mesi utilizzando la coltura di cellule di mammifero.
Nonostante ciò, purtroppo solo alcune molecole possono essere prodotte dalle piante.

Proteine prodotte in piante per il molecular pharming:


1. Terapie parentali e intermedi farmaceutici
2. Proteine industriali (enzimi)
3. Anticorpi monoclonali (contro colera, artrite reumatoide, malaria, HIV, rinovirus, influenza, virus
dell'epatite B, virus dell'herpes simplex)
4. Antigeni per vaccini commestibili (antigeni specifici di un individuo il tumore del paziente viene
espresso nel tabacco, raccolto, purificato e amministrato al paziente.
CELLULE STAMINALI
Le cellule staminali sono cellule primitive, non specializzate,
dotate della capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del
corpo attraverso un processo denominato differenziamento
cellulare. Sono oggetto di studio da parte dei ricercatori per curare
determinate malattie, sfruttando la loro duttilità.

 Capacità di rinnovamento
 Capacità di differenziazione

NB: man mano che va avanti nei processi replicativi perde


plastacità e aumenta il differenziamento. Può produrre un
numero sempre più limitato di tipologie di cellule staminali.

Le cellule staminali (CS) sono cellule immature non specializzate, in grado di dare origine a cellule mature
di uno o più tessuti diversi.
 Si distinguono in cellule staminali EMBRIONALI ed ADULTE a seconda dello stadio di sviluppo e
delle potenzialità differenziative.

CELLULE STAMINALI EMBRIONALI (prelavate da embrioni umani che sono stati fecondati in laboratorio
o in vitro) fisiologicamente sono rappresentati dall’ovocellula fecondata e dalle cellule da essa derivate per
duplicazioni successive (nei primi giorni della vita embrionale). Con il susseguirsi delle duplicazioni vanno
incontro a perdita progressiva delle potenzialità differenziative e si dividono in:

 TOTIPOTENTI in grado di produrre qualsiasi tipo di cellula matura e di tessuto


 PLURIPOTENTI capaci di produrre diversi tipi di cellule mature/tessuti, ma non di tutti. Danno origine
alle cellule staminali adulte

CELLULE STAMINALI ADULTE possono essere:


 MULTIPOTENTI capacità differenziativa ulteriormente diminuita. Danno origine a cellule mature di uno
specifico tessuto (Es: cellule staminali ematopoietiche che producono globuli rossi, bianchi e piastrine)
o di diversi tessuti (c.s. mesenchimali)
 UNIPOTENTI possono dar luogo solo ad uno specifico tipo di cellula matura (Es: c.s. del limbo corneale)

Nell’embrionale le cellule staminali sono


totipotenti. Dopo poche settimane diventano
miste, sia toti che multipotenti.

Dopo 1 mese le cellule sono multipotenti. Se


volessimo prelevare cellule embrionali
staminali le potremmo acquisire
esclusivamente dal cordone ombelicale

È bandito prelevare CES dal liquido


amniotico o dal bambino ( ovviamente ).
CELLULE STAMINALI EMBRIONALI
Da blastocisti (4-5 gg dopo la fecondazione) di
coniglio vengono ottenute delle cellule che,
coltivate in vitro, formano aggregati (embryoid
bodies) o monostrati che possono essere
propagati per diverse generazioni e congelati.

 Nel caso di umani il procedimento


viene eseguito prelevando le CES dal
cordone ombelicale.

Le cellule staminali PLURIPOTENTI possono dare


origine a tutti i tipi cellulari. Per fare ciò devono essere
sottoposte a dei segnali di differenziazione.

 In colutra posso trattarle con molecole di


segnalazione che permettono il
differenziamento tessuto/organo
specifico.

Cellule staminali del liquido amniotico

Vengono prelevate dal liquido amniotico che viene scartato nelle amniocentesi. Queste sembrano
possedere caratteristiche simili a quelle delle MSCs primitive e dimostrano simili capacità rigenerative.
Questa scoperta apre una strada tutta da esplorare, ma eticamente sostenibile in quanto non necessita di
creare o distruggere embrioni per utilizzarli a scopo di ricerca scientifica.

CELLULE STAMINALI ADULTE


Si differenziano in multipotenti e unipotenti. Cellule che si
trovano nel tessuto post-natale, in grado di produrre
SOLO i tipi di cellule specializzate del tessuto da cui hanno
origine (si ottengono da tessuto umano vivente)

 Cellule staminali ematopoietiche – danno origine alle


cellule del sangue
 Cellule staminali mesenchimali – danno origine alle
cellule dei tessuti connettivi e delle ossa
 Cellule staminali del cordone ombelicale –
rappresentano una ricca fonte di cellule staminali
ematopoietiche
 Cellule staminali nel liquido amniotico (potrebbero
essere più flessibili delle staminali adulte)

Una cellula multipotente adulta può produrre cellule staminali del sangue e cellule staminali del midollo
osseo: differenziando produrranno piastrine, eritrociti e leucociti.

CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI


Le cellule staminali mesenchimali (MSCs) sono cellule staminali adulte differenziate ottenute e
caratterizzate dal midollo osseo (bone marrow) e ottenibili anche da altri tessuti, come il tessuto adiposo, il
sangue del cordone ombelicale, i tessuti linfatici quali milza, timo, linfonodi.

Sono in grado di differenziarsi in vitro (cioè in determinate condizioni di coltura sterile in laboratorio) ed in
vivo (nell’animale da esperimento e nell’uomo) in tessuti tra loro molto diversi per origine embrionale e
funzione (tessuto adiposo, osseo, cartilagineo, tendineo, muscolare-scheletrico e cardiaco, cellule epatiche
o polmonari).

Possono differenziare in osteoblasti, adipociti e isole pancreatiche, ma anche in neuron-like cells.


Recentemente sono state scoperte MSCs nella gelatina del cordone ombelicale ( cellule staminali
mesenchimali primitive rispetto alle mesenchimali del midollo osseo e del sangue del cordone ombelicale).
Hanno maggiore capacità differenziativa, proliferativa e immunomodulante.

Le MSCs hanno una pluripotenzialità che ricorda quella delle ESCs (senza le implicazioni etiche sottese a
quest’ultime). Possono migrare in siti molto diversi da quelli di origine e partecipano a fenomeni di
rigenerazione tissutale, suggerendo enormi potenzialità applicative nell’ambito di diverse malattie
neurodegenerative, traumatiche, congenite e neoplastiche, e autoimmunitarie.

Sono in grado di ridurre e controllare le manifestazioni cliniche della malattia del trapianto verso l’ospite
dopo il trapianto di midollo osseo da donatore.
A livello dello zigote, formatosi a seguito dello sviluppo
della blastocisti, sono presenti CS totipotenti.

Successivamente dopo poco tempo queste si trovano


miste a CS pluripotenti.

Andando avanti si troveranno solamente CS


multipotenti che man mano perdono la capacità plastica
e si differenziano sempre di più in CS unipotenti.

Man mano che aumenta infatti il grado di


differenziazione diminuisce il grado di plasticità.

 Alla fine saranno in grado di generare un


unico tipo cellulare.

COME RIGENERARE I TESSUTI ATTRAVRSO LE CELLULE STAMINALI?


Verrà utilizzata una CS primordiale in grado di autorinnovarsi, che si divide raramente e che possiede una
buona potenza e che non è presente in tutti i tessuti.
 Queste saranno orientate v erso il tessuto di interesse che si vuole generare.

Fino a qualche tempo fa si pensava che tessuti come il SNC non poteva andare in contro ad
autorinnovamento.
 Oggi si sa che con le CS possiamo, attraverso cellule progenitrici, veicolare queste per
differenziarle in cellule del SNC. È comunque molto dispendioso, difficile e rischioso.
COME FANNO A SOSTENERSI LE CELLULE STAMINALI?
Nicchia di staminalità: è il microambiente che si trova
attorno alle cellule staminali che fornisce supporto e
segnali che regolano i processi di autorigenerazione e
differenziamento. La nicchia staminale è composta da
lementi cellulair, metaboliti che arrivano alla nicchia e da
segnali prodotti localmente che regolano la staminalità o
il differenziamento.

Il mantenimento e la sopravvivenza delle cellule


staminali è regolato da fattori prodotti del
microambiente che le circondano, spesso definito come
la «nicchia delle cellule staminali»
 La nicchia rappresenta un comparto
anatomico che fornisce i segnali alle cellule
staminali in forma di molecole di superficie e
cellulari che controllano:
1. il tasso di proliferazione
2. Il destino delle cellule staminali figlie
3. La protezione delle cellule staminali dalla morte

NB: Meccanismi che regolano il modo in cui le nicchie vengono stabilite, mantenute e modificate per
supportare specifiche funzioni delle SC dei tessuti, sono in fase di studio.

Ogni CS ha la propria nicchia staminale specifica:

Il Microambiente nel quale risiedono le CS, costituito da tutti i fattori cellulari e molecolari, che
interagiscono con queste, regola le funzioni e presiede al loro mantenimento. È costituita da cellule
somatiche con disposizione spaziale e localizzazione tessuto specifiche, deputato al mantenimento del pool
delle SC, di cui quel tessuto dispone.

La nicchia è una struttura caratteristica per ogni tessuto e in generale è formata da: CELLULE ADIACENTI DI
SUPPORTO CAPILLARI SANGUIGNI STRUTTURE EXTRACELLULARI (LAMINA BASALE ED ECM) Controllano
l’autorinnovamento e modulano l’espressione di molecole di adesione.
TIPOLOGIE DI NICCHIA:

 Nicchia germinale: Cellule staminali germinali specializzate (CSG) si


trovano negli organismi che producono continuamente sperma e uova fino
a quando sono sterili. È il sito iniziale della produzione dei gameti (che si
compone di c.s. somatiche, c.s.g e altre cellule somatiche).

 Nicchia somatica: riferita alle CS adulte. Si trova in epidermide, cripte


intestinali, rene, osteoblasti etc.

Dallo studio delle nicchie staminali e da numerosi studi in vitro e in vivo è stata definita la cosìdetta
GERARCHIA STAMINALE: ogni compartimento staminale adulto è organizzato quindi secondo una precisa
struttura che dalla nicchia (dove risiede la cellula staminale per eccellenza) si allontana via via verso la
periferia dell’organo o dell’organismo.

 Man mano che ci sia allontana diminuisce il potenziale di self-renewal.


 Man mano che ci si allontana aumenta il potenziale differenziativo.

Quando una staminale si divide la progenie sarà per metà differenziata e per metà staminale: questo
fenomeno avviene per la simmetria ambientale e per la asimmetria divisionale.

 Simmetria ambientale: da una staminale si originano due figlie che si differenziano per i fattori
ambientali
 Asimmetria divisionale: le cellule figlie sono già diversa alla nascita

Si possono sfruttare questi meccanismi in modo da ricostruire in vitro il modello delle nicchie e
differenziare CS a nostro piacimento.
CELLULE STAMINALI E APPROCCI TERAPEUTICI IN MALATTIE
la terapia staminale viene impiegata molto in
malattie del sistema sanguigno e
neurodegenerative.

 La CS va a rivascolarizzare gli organi


che sono risultati ischemici o cellule
che sono andate incontro ad
invecchiamento etc.
In generale dove si ha un danno si
cerca di ovviare il problema con la
sostituzione.

In sistema nervoso centrale:


Il tessuto del sistema nervoso maturo è stato per lungo tempo considerato incapace di rinnovarsi e di
rimodellarsi, soprattutto nei mammiferi. Fino a non molto tempo fa si pensava che la genesi di neuroni e
glia nel sistema nervoso centrale terminasse precocemente, nel periodo post-natale.

Nel SNC una persistente neurogenesi appare ristretta in tre siti:

 IPPOCAMPO
 BULBO OLFATTIVO
 NEUROEPITELIO OLFATTIVO
 AREE NEOCORTICALI ASSOCIATIVE (prefrontale, temporale inferiore, parietale posteriore) solo nei
primati

Gli stessi FATTORI DI CRESCITA che regolano lo sviluppo dei precursori embrionali potrebbero controllare la
proliferazione dei progenitori nel SNC maturo. Per esempio il fattore di crescita epidermico (EGF) stimola la
proliferazione di cellule staminali multipotenti sia nel SNC embrionale sia nel SNC adulto. Anche il fattore di
crescita fibroblastico (FGF) stimola la proliferazione di vari precursori embrionali neuronali.

Solo una piccola percentuale di cellule conserva la staminalità, altre invece vanno incontro a
differenziamento spontaneo.

È stato dimostrato che le cellule staminali neurali riconoscono e migrano verso i tumori cerebrali. Questa
abilità migratoria le rende vettori ideali per veicolare farmaci a livello della zona tumorale. Studi condotti
sui topi, utilizzando questo approccio sperimentale, hanno dimostrato una riduzione della massa tumorale
dell’80%. Queste scoperte appaiono particolarmente interessanti perché aprono nuove possibilità
terapeutiche nella lotta ai tumori maligni cerebrali, le cui cellule sono altamente invasive ed aggressive.
In Parkinson:
In PD, la morte dei neuroni
dopaminergici risulta in una perdita
della funzione motoria. Usando
cellule staminali neuronali, si
possono produrre neuroni
dopaminergici altamente efficienti,
consentendo un nuovo percorso
verso le terapie di sostituzione
cellulare o portare
all’identificazione di nuovi drugs
che possono rallentare o fermare la
progressione della malattia (PD).

Verranno prese CS adulte da un soggetto, verranno colturate e fatte crescere. Successivamente vengono
fatte differenziare in neuroni dopaminergici che verranno inoculati nel paziente.

Le cellule staminali embrionali pluripotenti sono ottenute dalla massa cellulare interna dello stadio di
sviluppo della blastocisti ( non si puà per questioni etiche ). Queste cellule hanno il potenziale per
svilupparsi in qualsiasi tipo di tessuto. Una varietà di diversi trattamenti o "cocktail" sono stati ideati per
convincere queste cellule a svilupparsi in una stirpe neuronale e poi in autentici neuroni DA. Questi
vengono utilizzati per le terapie di sostituzione cellulare nell’area del cervello in cui i neuroni nigrostriatali
DA sono danneggiati.

In Alzhaimer:
Le cellule staminali embrionali pluripotenti sono
ottenute dalla massa cellulare interna dello
stadio di sviluppo della blastocisti ( non si può
per questioni etiche ). Queste cellule hanno il
potenziale per svilupparsi in qualsiasi tipo di
tessuto. Una varietà di diversi trattamenti o
"cocktail" sono stati ideati per convincere queste
cellule a svilupparsi in una stirpe neuronale e poi
in autentici neuroni DA. Questi vengono utilizzati
per le terapie di sostituzione cellulare nell’area
del cervello in cui i neuroni nigrostriatali DA
sono danneggiati.

Processamento proteolitico incontrollato della proteina β amiloide (APP) risulta in un’eccessiva produzione
di peptidi Aβ amiloidi (depositi). APP è idrolizzata attraverso due diversi meccanismi:

1. pathway non amiloidogenico (produzione di peptidi non patogenici)  Alfa secretasi


2. pathway amiloidogenico (produzione di peptidi patogenici, induzione di neurotossicità e
neuroapoptosi nel SNC)- attivazione delle microglia e meccanismi infiammatori associati  B/G
secretasi
Si deve inibire la B/Gamma secretasi per avere un fenotipo non patologico.

Proteine Tau (intracellular


microtubule-associated protein)
svolgono un ruolo chiave nella
stabilizzazione del microtubulo.
Iperfosforilazione della proteina
tau e la formazione di grovigli
neurofibrillari intracellulari,
carenza del neurotrasmettitore
acetilcolina (Ach) a causa della
sua maggiore idrolisi da parte
dell’enzima acetilcolinesterasi
( AchE), stress ossidativo e
disfunzione mitocondriale
determinano il processo di
neurodegenerazione.

Si deve inibire la acetilcolinesterasi per ottenere un fenotipo non patologico.

Qualora non si riuscisse a bloccare la B/G secretasi o a inibire l’acetilcolinesterasi si può andare a
utilizzare CSE o CSA mesenchiamli per rimpiazzare i neuroni danneggiati.

In Leucemia:
Il trattamento efficace per la leucemia si concentra sulla rimozione di tutti i leucociti anormali nel paziente
permettendo a quelli sani di crescere al loro posto. Quando la chemioterapia non è possibile, viene
eseguito il trapianto di midollo osseo.

 Nel trapianto di midollo osseo, le cellule staminali del midollo osseo del paziente vengono
sostituite con quelle di un donatore sano. Per fare questo, nei pazienti leucemici, i leucociti
anomali vengono prima rimossi / uccisi usando la chemioterapia e le radiazioni.

Dal midollo osseo e dal sangue le staminali possono essere selezionate ed stratte. Successivamente le
cellule selezionate possono essere trasfuse direttamente ai pazienti per rigenerare ad esempio il midollo
osseo, oppure, stimolate a trasformarsi in cellule mature appartenenti a un particolare organo o tessuto.

Quando le cellule staminali reinfuse sono quelle del paziente stesso, il trapianto si definisce autologo.
Quando le cellule staminali provengono da un donatore, il trapianto si definisce allogenico.

 Un alto livello di CD34+ è un buon indicatore della risoluzione della malattia.

Il trapianto allogenico di CSE consiste nella reinfusione di cellule staminali ematopoietiche (CSE) di un
donatore (il soggetto sano) in un ricevente (il soggetto malato) dopo che il ricevente è stato “condizionato”
cioè preparato con la somministrazione di chemioterapia e/o radioterapia ad alta intensità, per questo
detta “sovra-massimale” e denominata di “terapia di condizionamento”. I primi tentativi di trapianto di
CSE sono stati effettuati tra gli anni ’50 e ’60 subito dopo la scoperta del sistema maggiore di
istocompatibilità (Major Histocompatibility Complex – Human Leukocyte Antigen, MHC-HLA) ed il primo
trapianto, effettuato con successo secondo i criteri di compatibilità tessutale donatore/ricevente.
Questa procedura è oggi largamente impiegata nel trattamento di molte patologie ematologiche, sia
neoplastiche che non neoplastiche, e rappresenta una valida opzione terapeutica anche per alcune
patologie dismetaboliche congenite e gravi deficit immunitari. Contrariamente a quanto accade per il
trapianto autologo di CSE, il razionale del trapianto allogenico non si basa solo sulla capacità della
chemioterapia e/o radioterapia di condizionamento di eradicare la malattia, ma anche sull’effetto
immunologico del trapianto stesso, cioè sulla capacità dei linfotici T del donatore di eliminare, con un
meccanismo noto come “Graft Versus Leukemia” (GVL), le cellule neoplastiche del ricevente eventualmente
ancora presenti nel ricevente nonostante la terapia di condizionamento.

In Distrofia muscolare:
la distrofina mutata produce una perdita continua di
muscolo, fibrosi e ischemia.

Le cellule satelliti UNIPOTENTI sono cellule mononucleate,


normalmente quiescenti (ossia non replicanti), situate
nello spessore del sarcolemma, tra la membrana
plasmatica della fibra muscolare e la lamina basale; in
questa sede non esprimono caratteristiche differenziative
di una fibra muscolare. In seguito ad una lesione che
comporta la perdita o la degenerazione della fibra
muscolare, la cellula satellite è stimolata a replicare
formando una progenie di cellule che sono in grado di
ripetere un processo miogenico analogo a quello svolto
dai mioblasti durante lo sviluppo embrionale del muscolo.
Dopo un certo numero di mitosi, queste cellule si fondono
tra loro formando strutture sinciziali che sono in grado di
esprimere i prodotti differenziati propri delle fibre e di
ricostituire l’integrità del tessuto.

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