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Omogeneità politica
e pluralismo conflittuale:
il concetto di democrazia
in Carl Schmitt e Hans Kelsen
di Antonino Scalone
.
Democrazia e crisi istituzionale
Le vicende politico-istituzionali della repubblica di Weimar rivestono un
grande interesse non solo per lo storico: nei convulsi e drammatici anni che
vanno dalla rivoluzione dei consigli al cancellierato hitleriano si sviluppa un
dibattito teorico che, partendo dalla situazione costituzionale concreta e dai
suoi problemi , mette a tema l’intera concettualità politica moderna, ponen-
done in luce contraddizioni e aporie. Infatti, se fra i giuristi e i politologi è lar-
gamente diffusa la consapevolezza della crisi dello Stato liberale del XIX se-
colo, del quale da più parti si annuncia il tramonto in favore dello Stato tota-
le , in pari tempo si avverte e si paventa la possibilità della definitiva «disso-
luzione dello Stato moderno» e dell’apparato categoriale che l’ha prodotto .
È la stessa Costituzione della repubblica, frutto compromissorio di una
contrattazione fra parti , a suscitare in primo luogo la riflessione teorica. In-
fatti, la nuova carta pone al centro del processo di formazione della volontà
politica il Parlamento , ma accanto ad esso prevede la presenza forte di un
presidente della Repubblica eletto dal popolo e robuste iniezioni di demo-
. Si tratta, come è stato giustamente osservato, non solo di une penseé de crise, ma so-
prattutto di une pensée de la crise, vale a dire «un pensiero il cui oggetto stesso è di riflettere
su una situazione percepita come insopportabile e di disegnarne le possibili uscite» (J. F. Ker-
vegan, Présentation a AA.VV., Crise et pensée de la crise en droit. Weimar, sa république et ses
juristes, ENS, Lyon , p. ).
. Cfr. C. Galli, Strategie della totalità. Stato autoritario, Stato totale, totalitarismo nella
Germania degli anni trenta, in “Filosofia politica” XI, , , pp. -.
. G. Leibholz, L’essenza della rappresentazione (), trad. it. in Id., La rappresentazio-
ne nella democrazia, Giuffrè, Milano , p. .
. Nota a questo proposito G. Duso, La rappresentanza politica. Genesi e crisi del concet-
to, Franco Angeli, Milano , p. : «Non si tratta di una semplice e indolore trasforma-
zione degli assetti istituzionali e teorici: il problema è più profondo e radicale e coinvolge lo
stesso statuto della moderna forma politica e dei modi della sua razionalità e giustificazione».
. Cfr. G. E. Rusconi, La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, Einaudi, To-
rino .
. Si può anzi dire che si tratta del primo ordinamento compiutamente parlamentare
della storia costituzionale tedesca. Sul tema cfr. E. R. Huber, Deutsche Verfassungsgeschichte
ANTONINO SCALONE
seit , Kohlhammer, Stuttgart, , vol. V; M. Stolleis, Geschichte des öffentlichen Rechts
in Deutschland, Beck, München , vol. III; F. Lanchester, Alle origini di Weimar, Giuffrè,
Milano .
. Ciò sulla base dell’art. , comma III della Costituzione, il quale prevede l’indizione
di un referendum su una proposta di legge di iniziativa popolare presentata da un decimo
degli aventi diritto al voto. Il referendum non ha luogo solo se il parlamento recepisce senza
modifiche il progetto di legge. Sull’argomento cfr. C. Schmitt, Referendum e iniziativa popo-
lare (), trad. it. in Id., Democrazia e liberalismo, Giuffrè, Milano , p. : «Nel caso
dell’art. comma [...] il popolo (l’ambiguità di questa espressione è ancora da discutere)
diventa qui produttivo come legislatore». E poco più avanti aggiunge: «Qui dall’inizio sino
alla fine di una procedura legislativa il “popolo” diventa immediatamente attivo come por-
tatore del potere legislativo e spinge in disparte gli organi legislativi ordinari» (ivi, p. ).
. Sull’argomento cfr. Leibholz, L’essenza della rappresentazione, cit.; H. Heller, La so-
vranità. Contributo alla teoria del diritto dello Stato e del diritto internazionale (), trad. it.
in Id., La sovranità ed altri scritti sulla dottrina del diritto e dello Stato, Giuffrè, Milano .
. Uno dei momenti essenziali di questo dibattito è costituito dalle analisi svolte da Max
Weber: Sul punto cfr. M. Weber, Parlamento e governo nel nuovo ordinamento della Ger-
mania (), trad. it. in Id., Parlamento e governo e altri scritti politici, Einaudi, Torino ,
pp. -.
. Cfr. C. Schmitt, Die geistesgeschichtliche Lage der heutige Parlamentarismus (La si-
tuazione storico-spirituale del parlamentarismo odierno), Duncker & Humblot, München-
Leipzig che costituisce un punto fermo della discussione sull’argomento, anche se da
un punto di vista fortemente werorientiert. La critica al parlamentarismo è comunque un
atteggiamento non isolato all’interno della Staatslehre weimariana. Significativa la posizio-
ne di R. Smend che nel suo Costituzione e diritto costituzionale (), trad. it. Giuffrè, Mi-
lano , p. , nega al parlamentarismo il carattere di Staatsform: «La forma liberale di
Stato, cioè il parlamentarismo, non è una forma di Stato poiché uno Stato non può essere
fondato né sulla sola integrazione funzionale né, parimenti, solo su quella materiale». Per
una difesa, comunque disincantata, dell’istituto e della sua perdurante validità, oltre natu-
ralmente a Kelsen, cfr. G. Radbruch, Die politische Parteien im System des deutschen Ver-
fassungsrechts, in G. Anschütz, R. Thoma (hrsg.), Handbuch des deutschen Staatsrechts,
Mohr, Berlin , vol. I, pp. -; R. Thoma, Sinn und Gestaltung des deutschen Parla-
mentarismus, in B. Harms (hrsg.), Recht und Staat im neuen Deutschland, Hobbing, Berlin
, vol. I, pp. -; E. Fraenkel, Democrazia collettiva (), trad. it. in G. Arrigo, G. Var-
daro (a cura di), Laboratorio Weimar. Conflitti e diritto del lavoro nella Germania prenazista,
Edizioni Lavoro, Roma , pp. -.
. OMOGENEITÀ POLITICA E PLURALISMO CONFLITTUALE
ritti sociali tramite una vera e propria costituzionalizzazione del lavoro : que-
sta circostanza pone, infatti, nuovi radicali problemi riguardo al rapporto che
si deve istituire fra il momento dell’unità politica e quello delle rappresen-
tanze parziali: partiti, sindacati e associazioni d’interesse. La difficoltà di con-
ciliare questi due aspetti della Verfassung produrrà un vivace e polemico di-
battito sul tema del pluralismo e, di nuovo, sul concetto di rappresentanza .
Tutti questi aspetti – che compongono un quadro politico-istituziona-
le estremamente problematico e per molti versi eccezionale – ritornano,
compendiati e radicalmente complicati, nelle riflessioni, fra loro radical-
mente divergenti, di Schmitt e Kelsen sul concetto di democrazia. Esse
vengono sviluppate in varie opere nel corso degli anni Venti e culminano
alla fine del decennio nel grande confronto intorno al tema, decisivo per le
sorti della Repubblica, del custode della costituzione .
.
Carl Schmitt: democrazia come omogeneità
. Secondo Carl Schmitt esiste una differenza radicale, anzi, una vera e
propria contrapposizione (Gegensatz è l’espressione che egli usa) fra par-
lamentarismo e democrazia. Il primo è fondato sui principi di discussione
e pubblicità , il secondo su omogeneità e identità, anzi, su “una serie di
. Sull’argomento cfr. Arrigo, Vardaro (a cura di), Laboratorio Weimar, cit.; S. Mezza-
dra, La costituzione del lavoro. Hugo Sinzheimer e il progetto weimariano di democrazia eco-
nomica, in “Quaderni di Iniziativa sociale”, , , pp. -; S. Mezzadra, Costituzionaliz-
zazione del lavoro e stato sociale: l’esperienza weimariana, in AA.VV., Ai confini dello Stato so-
ciale, Manifestolibri, Roma , pp. -.
. Oltre ai saggi citati nelle note precedenti, cfr. F. Glum, Der deutsche und französi-
schen Reichwirtschaftsrat, de Gruyter, Berlin-Leipzig ; G. Leibholz, La dissoluzione del-
la democrazia liberale in Germania e la forma di Stato autoritaria (), trad. it. Giuffrè, Mi-
lano ; E. Kaufmann, Zur Problematik des Volkswillens, in U. Matz (hrsg.), Grundproble-
me der Demokratie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt .
. Sul rapporto fra Schmitt e Kelsen cfr. E. Sterling, Studie über Hans Kelsen und Carl
Schmitt, in “Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie”, XLVII, , pp. -; P. Petta,
Schmitt, Kelsen e il “Custode della costituzione”, in “Storia e Politica”, XVI, , , pp. -
; G. Zarone, Crisi e critica dello Stato: scienza giuridica e trasformazione sociale tra Kelsen e
Schmitt, ESI, Napoli ; W. Mantl, Hans Kelsen und Carl Schmitt, in W. Krawietz, E. To-
pitsch, P. Koller (hrsg.), Ideologiekritik und Demokratietheorie bei Hans Kelsen, Duncker &
Humblot, Berlin , pp. -; M. Fioravanti, Kelsen, Schmitt e la tradizione giuridica del-
l’Ottocento, in G. Gozzi, P. Schiera, Crisi istituzionale e teoria dello Stato in Germania dopo
la prima guerra mondiale, Il Mulino, Bologna , pp. -; C. Galli, Genealogia della poli-
tica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero politico moderno, Il Mulino, Bologna , spec. pp.
ss.; A. Carrino, Scienza e democrazia. Il decisionismo critico di Hans Kelsen, in H. Kelsen,
Sociologia e democrazia, trad. it. ESI, Napoli , spec. pp. ss.; D. Diner, M. Stolleis (eds.),
Hans Kelsen and Carl Schmitt. A Juxtaposition, Bleicher, Gerlingen .
. Cfr. Schmitt, Die geistgeschichtliche Lage, cit., p. .
. Cfr. ivi, p. ; Id., Referendum e iniziativa popolare, cit., p. .
ANTONINO SCALONE
identità” . Tale differenza ha potuto rimanere nascosta nel corso della co-
mune lotta contro il monarca assoluto, ma ora, conseguita la vittoria defi-
nitiva, non può più essere celata . Anzi, è proprio l’avvento della demo-
crazia di massa, caratterizzata dalla presenza di grandi partiti organizzati, a
mostrare l’obsolescenza del parlamentarismo: «La situazione del parla-
mentarismo è oggi così critica – scrive Schmitt – giacché lo sviluppo della
moderna democrazia di massa ha ridotto a una vuota formalità la discus-
sione pubblica argomentata [...]. I partiti (che secondo il testo della costi-
tuzione scritta ufficialmente non esistono affatto) si affrontano reciproca-
mente non attraverso opinioni da discutere, ma come gruppi di potere, va-
lutano i reciproci interessi e possibilità di potere e concludono su questo
fondamento fattuale compromessi e coalizioni» . Essi riescono a racco-
gliere nelle loro fila grandi masse grazie a «un apparato propagandistico i
cui massimi risultati si fondano su un appello agli interessi e alle passioni
più elementari» . Ciò risulta assolutamente esiziale per il parlamento:
«L’argomento in senso proprio, che è caratteristico della pura discussione,
scompare. Al suo posto interviene nei negoziati fra partiti il calcolo risolu-
to degli interessi e delle chances di potere; nel trattamento delle masse l’in-
sistente suggestione pubblicitaria» .
Come si è detto, la democrazia, a giudizio di Schmitt, si basa sui prin-
cipi di omogeneità e identità. Il primo si realizza attraverso l’eliminazione
del diverso: «Ogni democrazia reale si fonda sul fatto che non solo l’egua-
le è trattato in modo eguale, ma, come conseguenza inevitabile, che il non-
eguale viene trattato in modo ineguale. Alla democrazia quindi appartiene
necessariamente in primo luogo l’omogeneità e in secondo luogo – all’oc-
correnza – l’esclusione o la distruzione dell’eterogeneo» . E ancora: «La
forza politica di una democrazia si mostra nel saper eliminare o tener lon-
tano l’estraneo e il differente che minacciano l’omogeneità» . Ne conse-
gue che la democrazia non coincide affatto con l’affermazione e il ricono-
scimento dell’universalità dei diritti umani. Tale riconoscimento è piutto-
sto patrimonio del liberalismo e della borghesia e costituisce una delle ra-
gioni della mancanza di energia politica che Schmitt, nella Teologia politi-
ca, rimprovera loro .
Ciò che si indica come tendenze e istituzioni della democrazia diretta e ciò che, co-
me già detto, è dominato del tutto dall’idea di un’identità, è certo conseguente-
mente democratico, ma non può mai realizzare un’identità assoluta, immediata, in
realitate presente in ogni momento. Sempre resta una distanza fra l’uguaglianza rea-
le e il risultato dell’identificazione .
Questo vale anche per quell’istituto che – più delle votazioni segrete e in-
dividuali, riconducibili a suo avviso ancora all’orizzonte liberale – Schmitt
ritiene caratterizzare la democrazia diretta: l’acclamatio. Anche qui il po-
polo non si dà in modo immediato, non è realmente presente, bensì si ri-
conosce come tale appunto tramite l’acclamazione del capo e l’identifica-
zione con esso .
Da tutto ciò consegue che l’unità politica è sempre una realizzazione
precaria: essa necessita di un’inesauribile energia politica capace di ridur-
re il molteplice a uno, di emarginare il diverso e costituire una sostanza
omogenea. Si capisce allora la diffidenza – quando non l’aperta ostilità –
che Schmitt in modo sempre più netto manifesterà nei confronti di partiti
e gruppi d’interesse: essi, infatti, mettono costantemente in forse unità e ca-
pacità politica della compagine statale. Ma su questo punto torneremo più
oltre, con riferimento ad altri contributi schmittiani e principalmente a Il
custode della costituzione. Ciò che per il momento può essere già posto in
luce è la circostanza singolare che per Schmitt la democrazia moderna, la
Massendemokratie, da un lato si fonda sui principi di omogeneità e iden-
tità , ma dall’altro, come si è visto, è l’espressione dello sviluppo dei mo-
derni partiti di massa, cioè di quelle entità che, veicolando ognuno interes-
si consolidati e contrapposti, appaiono piuttosto riconducibili a una con-
cezione della politica di tipo pluralista e conflittuale.
. Id., Die geistegeschichtliche Lage, cit., p. : «In quanto democrazia, la moderna de-
mocrazia di massa cerca di realizzare un’identità fra governanti e governati e incontra su que-
sta via il parlamento come un’istituzione non più comprensibile, obsoleta».
. J. F. Kervegan, Carl Schmitt e la crisi della rappresentanza, in “Diritto e Cultura”, IX,
, -, pp. .
. Schmitt, Dottrina della costituzione (), trad. it. Giuffrè, Milano , p. .
. Ivi, p. .
. Id., Die geistgeschichtliche Lage, cit., p. : «Per contro, bolscevismo e fascismo, co-
me ogni dittatura, sono certo antiliberali, ma non necessariamente antidemocratici. Nella sto-
ria della democrazia vi sono alcune dittature, cesarismi e altri esempi di metodi vistosi, inso-
liti per la tradizione liberale dell’ultimo secolo, di formazione della volontà popolare e di
creazione di un’omogeneità».
. OMOGENEITÀ POLITICA E PLURALISMO CONFLITTUALE
non essere una grandezza strutturata e non essere mai totalmente strutturabile [...].
Secondo la teoria democratica del potere costituente del popolo, esso – in quanto
titolare del potere costituente – si trova fuori e al di sopra di ogni normativa legi-
slativo-costituzionale .
Se con la legge costituzionale gli [al popolo] sono demandate talune competenze
(elezioni e votazioni), non è con ciò affatto esaurita e disbrigata la sua importanza e
la sua possibilità di azione politica in una democrazia. Accanto a tutte queste possi-
bilità di azione politica il popolo esiste come grandezza effettiva immediatamente
presente – non mediata da normative in precedenza definite, da prassi e finzioni – .
. Ibid.
. Ivi, p. .
. Ivi, p. . Sul concetto schmittiano di rappresentazione e sulla sua centralità all’in-
terno della riflessione del giurista di Plettenberg, cfr. Duso, La rappresentanza politica, cit.,
spec. i capp. IV e V; A. Adam, Rekonstruktion des Politischen. Carl Schmitt und die Krise der
Staatlichkeit. -, VHC, München , Galli, Genealogia della politica, cit.; A. Scalone,
Diritto, decisione, rappresentanza: il potere in Carl Schmitt, in G. Duso (a cura di), Il potere.
Per la storia della filosofia politica moderna, Carocci, Roma , pp. -.
. Sull’interpretazione schmittiana di Hobbes, con particolare riferimento alla nozione
di Repräsentation, cfr. Schmitt, Scritti su Thomas Hobbes, Giuffrè, Milano , spec. pp. -
. A un’esigenza analoga corrisponde il quasi coevo studio di G. Leibholz, L’essenza
della rappresentazione (), trad. it. in Id., La rappresentazione nella democrazia, cit. An-
che qui viene affermata la crucialità della rappresentazione. Essa è ricondotta esplicita-
mente al precedente hobbesiano (ivi, p. ) e appare orientata essenzialmente ad esprime-
re l’unità: «Nella sfera politica, il popolo può essere rappresentato sempre e soltanto come
ideale interezza, cosicché diventa comprensibile anche perché attraverso la rappresentan-
za possono essere fatti valere sempre e solo gli interessi del popolo intero, del “bene co-
mune”, ma non privilegi determinati e diritti di singoli gruppi della popolazione o interes-
si particolari» (ivi, pp. -). La discrepanza fra il concetto classico di rappresentanza e
la realtà costituzionale caratterizzata dalla presenza e dal peso sempre crescente dei parti-
ti di massa viene denunciata da Leibholz come foriera di pericoli per l’unità politica e – co-
me si è detto nel paragrafo introduttivo – per la stessa sopravvivenza della forma-Stato mo-
derna (ivi, p. ).
ANTONINO SCALONE
.
Hans Kelsen:
democrazia come conflitto e compromesso
La posizione di Kelsen appare specularmente opposta a quella di Schmitt:
questi ripropone con forza il concetto hobbesiano di rappresentazione co-
me cardine dell’idea moderna di Stato, enfatizza l’elemento dell’unità po-
litica, vede con sospetto il potere crescente delle parti comunque intese, in-
dividua nel compromesso un pericoloso elemento di disgregazione ; Kel-
sen, invece, critica radicalmente la nozione stessa di Stato, propone il su-
peramento puro e semplice della sovranità, attribuisce ai partiti un ruolo
essenziale nella vita pubblica e interpreta il compromesso come pratica ti-
pica e per nulla patologica del processo politico.
Nonostante la cura con cui il giurista austriaco si premura di separare
la propria riflessione giuridica, scientifica e avalutativa, da quella politica,
pure la distinzione fra le due sfere appare assai problematica, tanto che
spesso sono proprio le opere giuridiche a rivelare, quasi contro le intenzioni
stesse dell’autore, lo spessore politico dell’argomentazione kelseniana .
Ciò è riscontrabile già nella sua prima grande opera, Problemi fonda-
mentali della dottrina del diritto pubblico, apparsa nel . Qui, infatti, il
tentativo di realizzare un approccio puramente formale al diritto, depura-
to da ogni commistione con ambiti estranei alla nozione costitutiva di do-
vere, risulta infine essere funzionale a una concezione aperta, orizzontale e
conflittuale della politica. Certo, il diritto è una sfera autonoma, incentra-
ta sulla nozione di Sollen e pertanto radicalmente contrapposta alle proce-
dure tipiche delle scienze naturali. Ma questa sterilizzazione, per così dire,
dell’ambito giuridico – realizzata attraverso una brillantissima critica della
dottrina giuridica dominante e delle sue compromissioni tanto disciplinari
quanto ideologiche – mira a renderlo del tutto trasparente e permeabile ri-
spetto alla mutevole conformazione dei rapporti politici di forza.
In questo senso vanno interpretati gli sforzi che Kelsen conduce al fi-
ne di distinguere la norma giuridica dalla legge naturale e dalla legge mo-
rale , nonché l’irriducibilità dell’approccio normativo a quello causale e
a quello – apparentemente affine – di tipo teleologico . Ma in questo sen-
so va soprattutto interpretato lo sforzo di espungere dalla sfera del diritto
la nozione di volontà in senso psicologico. «La localizzazione del punto di
imputazione “volontà” – scrive Kelsen – non deve risultare necessaria-
mente nell’interiorità dell’“essere umano”; l’unità etico-giuridica della
persona non deve affatto coincidere sempre con quella zoologico-psicolo-
gica. Bisogna sottolineare con forza che è a discrezione della norma con-
ferire la qualità di persona o di volontà al singolo essere umano» . Ciò ap-
pare con chiarezza qualora si ponga mente alla distinzione giuridica fra
persone fisiche e persone giuridiche, o alla presenza degli schiavi nel di-
. Di tale politicità è ben cosciente lo stesso Schmitt che in I tre tipi del pensiero giuri-
dico (), trad. it. Giappichelli, Torino , pp. - scrive: «Per il normativista puro, il
quale ritorna sempre ad una norma quale suo fondamento giuridico di pensiero, re, capo
[Führer], giudice, Stato diventano mere norme-funzioni ed il rango superiore nella gerarchia
di queste istanze è soltanto effetto della norma superiore [...] In concreto, con ciò non si rag-
giunge altro se non che la norma o la legge vengano giocate in modo polemico-politico con-
tro il re o il capo [Führer]; la legge distrugge con questo “governo della legge” il concreto or-
dinamento del re o del capo; i signori della lex sottomettono il rex. Ciò è per lo più anche la
concreta intenzione politica di un siffatto gioco normativistico della lex contro il rex».
. Sulle prime opere kelseniane e in particolare sui Problemi fondamentali, cfr. S. L.
Paulson, Konstruktivismus, Methodendualismus und Zurechnung im Frühwerk Hans Kelsens,
in “Archiv des öffentlichen Rechts”, CXXIV, , pp. -.
. Cfr. H. Kelsen, Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico (), trad.
it. ESI, Napoli , pp. -.
. Cfr. ivi, pp. -.
. Cfr. ivi, pp. -.
. Ivi, p. .
ANTONINO SCALONE
ritto antico . Mentre «la volontà della psicologia è un fatto accertabile em-
piricamente con l’auto-osservazione», quella giuridica e morale – scrive
Kelsen – «è una costruzione fatta dal punto di vista della norma, del dove-
re, una costruzione cui nella vita psichica reale dell’individuo non corri-
sponde alcun evento concreto» .
Se non è possibile parlare di volontà in senso psicologico a proposito
della persona, a maggior ragione non si potrà farlo, pena un inammissibile
antropomorfismo, per quell’entità eminentemente fittizia costituita dallo
Stato: «L’evento ideale consistente nel ritenere la volontà degli organi sta-
tali – concepita come unità – come volontà unitaria dell’intero popolo sta-
tale costituisce comunque – finché si considera la volontà in linea di prin-
cipio come un fatto psichico – una finzione inammissibile» . Qui avviene
la rottura nei confronti della tradizione giuridica precedente e delle opzio-
ni politiche in essa contenute. Si tratta, come è stato giustamente osserva-
to, di «una vera e propria demolizione del concetto di “Stato” dominante
nella dottrina giuridica dell’Ottocento» e in particolare della dottrina jel-
linekiana dell’auto-obbligazione dello Stato. Quest’ultima si fonda sul fat-
to che, se si immagina lo Stato come persona, bisogna allora necessaria-
mente immaginare una procedura attraverso la quale esso si limiti, sotto-
mettendosi alla legge da esso stesso posta. Jellinek, ricorda Kelsen, pone al-
lora un’analogia fra obbligazione giuridica e obbligazione morale: «L’uomo
che si sottomette al suo proprio comando sembra effettivamente essere
un’immagine dello Stato, che viene obbligato dalle sue proprie leggi» . In
realtà le cose non stanno così, sol che si pensi che «l’obbligo giuridico è
qualcosa di diverso da un obbligo morale» e non è in nessun modo ricon-
ducibile ad esso giacché questo presuppone necessariamente «una psiche
individuale e una volontà individuale» .
Bisogna però rifiutare con decisione un siffatto rapporto tra Stato e diritto, per il qua-
le lo Stato è il prius, il diritto il posterius, in quanto uno Stato è tanto poco pensabi-
le senza diritto quanto un diritto senza Stato, e la ricerca storica non può mostrare
gli inizi del diritto e dell’organizzazione statale scissi gli uni dagli altri. Stato e dirit-
to devono indubbiamente essere considerati due lati differenti dello stesso fatto .
L’imputazione non va in nessun modo confusa con una volontà di tipo psi-
chico: dire che «lo Stato, a determinate condizioni, vuole qualcosa di de-
terminato» significa in realtà dire, «più precisamente, che, a determinate
condizioni, determinate azioni di certe persone (degli organi statali), van-
no imputate non a loro, ma allo “Stato”» . D’altronde, l’attribuzione allo
Stato di una personalità e di una volontà di tipo psichico porterebbe a con-
seguenze del tutto contraddittorie: lo Stato potrebbe manifestare nella Ca-
mera bassa una volontà, approvando una legge, e nella Camera alta un’al-
tra volontà bocciando quella medesima legge, oppure «potrebbe nel mo-
narca non voler sanzionare ciò che ha deciso nel parlamento come legge» .
A questo punto del ragionamento fa ingresso la nozione di società: non
lo Stato, ma la società è il prius rispetto alla sfera giuridico-statuale: «Il pro-
cesso legislativo non è una funzione dello Stato o del diritto, è un presup-
posto di entrambi che sta al di fuori dei loro confini» . La società manife-
sta la sua volontà nel processo legislativo, che da Kelsen è dunque indica-
to come funzione sociale: «Se la legislazione non può nemmeno essere qua-
lificata come attività dello Stato, bisogna però che essa venga riconosciuta
senza dubbio come funzione sociale» . Lo Stato è tanto poco autonomo ri-
spetto alla società, da essere qualificato da Kelsen come semplice forma ri-
spetto alla vera sostanza sociale: «Lo Stato è solo una forma della società,
che va pensata come l’elemento sostanziale, come il contenuto di questa
forma» . E questa sostanza si manifesta politicamente, si traduce in vo-
lontà politica appunto nel processo legislativo, inteso come il luogo in cui
la società penetra nella sfera giuridico-politica:
Tuttavia il rigido involucro – diritto e Stato sono solo prodotti irrigiditi nel flusso
della vita sociale – non è chiuso da tutti i lati. Deve necessariamente esserci un pun-
to in cui la corrente della vita sociale penetra di nuovo nel corpo statale, un luogo
di passaggio dove gli elementi amorfi della società trapassano nelle forme fisse del-
lo Stato e del diritto. È il luogo dove costumi e morale, dove interessi economici e
interessi religiosi diventano proposizioni giuridiche, contenuto della volontà stata-
le: l’atto legislativo .
Merita di essere notato come per Kelsen la società non sia per nulla un cor-
po omogeneo: essa è attraversata da conflitti, divisioni e interessi contrap-
posti, di natura economica, religiosa, morale. Il processo legislativo è il luo-
go in cui questi interessi trovano accomodamento e composizione. Ne con-
segue che la legge non è in nessun modo l’espressione di una volontà su-
periore, trascendente il piano orizzontale dei conflitti e delle divisioni so-
ciali, ma il frutto dell’accordo momentaneo delle parti o del raggiungi-
mento di una più o meno precaria maggioranza. Discutendo le tesi di Rad-
nitsky, che da un lato attribuisce al singolo deputato il ruolo di rappresen-
tante di interessi (Interessenvertreter) e dall’altro riconosce nella delibera
parlamentare presa a maggioranza l’espressione dell’interesse generale del-
lo Stato , Kelsen scrive:
E poco più avanti: «Non c’è per l’appunto alcun “interesse collettivo”, ma
sempre solo interessi di gruppi che conquistano per sé in qualche modo il
potere statale, la volontà dello Stato» . Non solo: nella stessa divisione fra
Camera bassa e Camera alta si riflette la differenza fra interessi di classe ra-
dicalmente contrapposti ; infine, lo stesso monarca, il cui intervento è ne-
cessario per sanzionare la legge approvata dai due rami del Parlamento, può
. Ibid.
. Cfr. H. Radnitzsky, Das Wesen der Obstruktionstaktik, in “Grünhuts Zeitschrift für
das Privat- und öffentlichen Recht der Gegenwart”, XXXI, pp. ss.
. Kelsen, Problemi fondamentali, cit., p. .
. Ibid.
. Ivi, pp. -: «Il sistema bicamerale presenta un quadro chiaro dei conflitti di clas-
se e di interesse del popolo. Nella camera alta e nella camera bassa sono rappresentati grup-
pi sociali differenti, che si sforzano di far valere i loro interessi particolari per il tramite del-
la partecipazione loro concessa alla formazione della volontà statale. È soltanto l’interesse
particolare di un gruppo sociale più grande o più piccolo o di più gruppi sociali che trova di
fatto espressione nella delibera della camera alta o della camera bassa».
. OMOGENEITÀ POLITICA E PLURALISMO CONFLITTUALE
essere guidato nella sua azione dal «proprio interesse personale, familiare o
dinastico» . A questo punto appare evidente che se interessi particolari ven-
gono presentati come interesse generale, se allo Stato vengono attribuiti so-
stanza politica e volontà superiore, è solo per finalità meramente politiche:
Si può perciò dire che si tratta di una finzione quanto mai superflua e inammissi-
bile, se scopi e interessi delle classi dominanti vengono spacciati come scopi col-
lettivi e interessi collettivi; ed è solo il bisogno di giustificazione etico-politica che
bisogna riconoscere quale senso e fondamento di questa finzione giuridicamente
del tutto irrilevante!
Se si strappa la maschera dal volto degli attori che sul teatro politico recitano il
dramma sociale o religioso – scrive Kelsen in Dio e Stato – allora non è più Dio che
premia o punisce, non è più lo Stato che condanna e fa la guerra, ma sono uomini
che costringono altri uomini, è il signor X che trionfa sul signor Y, o una bestia che
appaga la sua rinnovata sete di sangue .
E così come egli [Feuerbach] ha mostrato come del tutto superfluo il concetto di
un dio che vincolato alle leggi della natura governava solo secondo le leggi natura-
li, così anche un concetto dello Stato i cui atti sono possibili solo come atti giuridi-
ci si dimostra superfluo; significherebbe, infatti, volerlo lasciar sussistere come
espressione dell’unità dell’ordinamento giuridico .
La dottrina che interpreta lo Stato come ordinamento giuridico vigente nel suo
contenuto sempre mutevole e sempre modificabile e non lascia così allo Stato nes-
sun altro criterio che quello formale di un supremo ordinamento coercitivo, elimi-
na uno degli ostacoli politicamente più efficaci che in ogni tempo hanno intralcia-
to il cammino di un riforma dello Stato nell’interesse dei governati. Ma proprio per-
ciò questa dottrina si afferma come una teoria pura del diritto, in quanto essa non
fa che distruggere l’abuso politico di una pseudo-teoria dello Stato .
Quello che per Schmitt è l’anticamera della guerra civile, diventa in Kelsen
procedura del tutto normale. La presenza di partiti organizzati non solo
non minaccia l’unità politica, ma è un elemento essenziale di partecipazio-
ne alla sfera pubblica: Kelsen scorge infatti nei partiti «uno degli elementi
più importanti della democrazia reale» giacché, raggruppando «gli uomini
di una stessa opinione», essi rendono possibile «un effettivo influsso sulla
gestione degli affari pubblici» . Nella polemica antipartitica Kelsen vede
invece un riflesso autoritario e la difesa corporativa di privilegi determina-
ti: «L’ostilità alla formazione dei partiti e quindi, in ultima analisi, alla de-
mocrazia, serve – consciamente o inconsciamente – a forze politiche che
stituito dai partiti. «È chiaro – scrive Kelsen – che l’individuo isolato non
ha, politicamente, alcuna esistenza reale, non potendo esercitare un reale
influsso sulla formazione della volontà dello Stato» . L’unica possibilità è
quella di organizzarsi in partiti:
.
Il problema della democrazia
e la polemica sul “Custode della costituzione”
. Il custode della costituzione è per Schmitt a un tempo il punto di ap-
prodo della riflessione condotta negli anni precedenti sul tema delle tra-
sformazioni del plesso politica/economia e il tentativo di fornire una ri-
sposta originale in termini costituzionali ai problemi di stabilità politica che
gravano sulla Repubblica di Weimar.
Il carattere della Costituzione di Weimar è a suo avviso ambiguo: da un
lato essa «si attiene all’idea democratica dell’unità omogenea, indivisibile
di tutto il popolo tedesco, che si è dato esso stesso questa Costituzione, in
forza del suo potere costituente, con una decisione politica positiva, cioè
con un atto unilaterale» . Si tratta, come si vede, di un concetto già pre-
sente nella Dottrina della costituzione. Dall’altro, essa è affetta da «un ele-
mento pluralistico» che ne mina l’unità:
La costituzione stessa e la formazione della volontà statale che si svolge nel suo am-
bito appaiono come compromesso dei diversi soggetti del pluralismo statale e le coa-
lizioni di queste organizzazioni sociali di potere cangianti a seconda dell’ambito del
compromesso – politica estera, politica economica, politica sociale, politica cultu-
rale – trasformano con i loro metodi di negoziazione lo Stato stesso in una forma-
zione pluralistica .
In ogni Stato moderno il rapporto dello Stato con l’economia forma il vero ogget-
to delle questioni di politica interna direttamente attuali. [...] Lo Stato odierno ha
un esteso diritto del lavoro, un tariffario e una conciliazione statale delle contro-
versie salariali, mediante i quali influenza in modo determinante i salari; esso ga-
rantisce imponenti sovvenzioni alle diverse finalità economiche; esso è uno Stato
assistenziale e previdenziale e quindi al tempo stesso in misura inaudita uno Stato
delle tasse e dei tributi [...]. In una situazione simile la richiesta di non-intervento
diventa un’utopia, anzi, un’autocontraddizione .
Lo Stato manifesta insomma una spiccata tendenza a farsi totale . Ora, per
le sue nuove necessità lo Stato interventista ha bisogno di una struttura ef-
ficiente e di una elevata capacità decisionale. Invece il Parlamento, ovvero
il luogo nel quale la volontà politica dovrebbe realizzarsi, è diventato il tea-
tro dello scontro fra parti sociali organizzate le quali finiscono per paraliz-
zarne l’attività: «Da teatro di una discussione libera e costruttiva dei liberi
rappresentanti del popolo, da trasformatore degli interessi partitici in una
volontà sovrapartitica il Parlamento diventa il teatro di una divisione plu-
ralistica delle forze sociali organizzate» . La situazione è aggravata dal fat-
to che i partiti stessi manifestano un’analoga tendenza a farsi totali:
Ciò che prima è stato indicato come svolta verso il “totale”, è per una parte dei cit-
tadini in una certa misura attuato da alcuni gruppi di organizzazioni sociali, cosic-
ché noi non abbiamo più propriamente nessuno Stato totale, ma più esattamente
alcune formazioni partitiche sociali che racchiudono interamente i loro uomini fin
dalla giovinezza e che aspirano alla totalità .
sviluppato questo tipo di Stato totale» ) e Stato totale in senso qualitativo
(«Esso è totale nel senso della qualità e dell’energia, uno Stato totalitario [in
italiano nel testo] così come si dice dello Stato fascista. Un tale Stato non la-
scia sussistere al suo interno alcuna forza nemica dello Stato o che lo osta-
coli o che lo divida» ).
Nel Custode, la proposta di riconoscere al presidente della Repubblica,
forte della sua investitura plebiscitaria e pertanto svincolato dai condizio-
namenti di parte, una funzione super partes di custode della decisione fon-
damentale contenuta nella costituzione, va appunto nella direzione di rea-
lizzare uno Stato totale in senso qualitativo, uno Stato totale per energia.
Che il presidente del Reich vada inteso da Schmitt come pouvoir neutre, ri-
prendendo una definizione di Constant, non significa assolutamente che
esso sia un’istanza depoliticizzata:
Il capo dello Stato così inteso non solo vede attribuiti a sé compiti diretti di
gestione diretta in campo economico e finanziario, sulla base dei poteri rico-
nosciutigli dall’art. , ma riveste la funzione «mediatrice, tutelatrice e re-
golatrice» di un vero e proprio pouvoir préservateur . Esso appare del tutto
inconcepibile per un approccio formalistico à la Kelsen e costituisce secon-
do Schmitt una risposta nuova ai problemi costituzionali posti dal presente:
. Schmitt, Weiterentwicklung des totalen Staat in Deutschland (), in Id., Verfas-
sungsrechtliche Aufsätze aus den Jahren -, Duncker & Humblot, Berlin , p. .
. Ibid.
. Ivi, p. .
. Cfr. ivi, p. .
. Vi è forse qui una prima formulazione di quella nozione di Katechon che tanta im-
portanza rivestirà nella riflessione schmittiana successiva. Sull’argomento cfr. A. Scalone,
“Katechon” e scienza del diritto in Carl Schmitt, in “Filosofia politica”, XII, , , pp. -.
. Schmitt, Il custode, cit., p. . La polemica nei confronti dell’uso acritico di con-
cettualizzazioni rese obsolete dal mutare della concreta situazione costituzionale e in parti-
colare dell’apparato concettuale tipico del XIX secolo è già esplicita nella Prefazione alla Dot-
trina della costituzione, cit., p. , ove si legge: «Fa parte invece dei compiti della dottrina del-
ANTONINO SCALONE
Un procedimento contenzioso serve quanto meno a portare alla luce l’effettiva si-
tuazione degli interessi. Tutto questo però non si può vedere se il contrasto d’inte-
ressi viene mascherato con la finzione di un interesse comune o di una unità d’inte-
ressi che è qualcosa di sostanzialmente diverso e di sostanzialmente maggiore di ciò
che vi può essere nel migliore dei casi, vale a dire un compromesso d’interessi .
Ancora una volta, però, Kelsen non giunge fino a ridurre l’intera sfera pub-
blica al piano orizzontale degli interessi. Certo, egli contesta Schmitt quando
questi riconduce il presidente del Reich all’unità del popolo quale è espressa
nel preambolo della costituzione . Per Kelsen, infatti, l’unità del popolo
non è che l’«unità giuridica del popolo dello Stato che ogni costituzione vie-
ne a creare» . Ma tale unità non può fare a meno di una sua “presentifica-
zione” che, per quanto simbolica, pure risulta assolutamente ineludibile:
La funzione rappresentativa del capo dello Stato è anzi tanto più necessaria,
quanto più la società appare frammentata al suo interno e attraversata da
contrapposizioni d’interesse. Ciò che Kelsen contesta a Schmitt, insomma,
non sembra essere qui l’istanza rappresentativa e nemmeno la sua funzione
politica, quanto piuttosto il fatto di intendere il presidente del Reich come
espressione di un’unità effettiva e già data, come «espressione di un’unità
reale, nel senso di una effettiva solidarietà d’interessi» . La figura del capo
dello Stato, stante «il contrasto d’interessi, effettivo e radicale, che si espri-
me nella realtà dei partiti politici e nella realtà, ancora più importante, del
conflitto di classe che vi sta dietro» indica piuttosto per Kelsen un com-
pito che deve essere costantemente realizzato: esso, scrive significativamen-
te, è il «simbolo di un’unità dello Stato postulata sul piano etico-politico» .
.
Conclusioni
Nel dibattito su Il custode della costituzione il contrasto teorico e politico fra
Schmitt e Kelsen trova la sua formulazione definitiva. Schmitt enfatizza l’e-
lemento dell’unità, riferita a una sostanza politica immediata e pregiuridica,
di tipo esistenziale, per usare il linguaggio della Dottrina della costituzione .
Rispetto a questa realtà, ogni divisione di tipo partitico, sindacale o altro
. Sul contenuto del preambolo, con riferimento agli elementi di novità e a quelli di con-
tinuità rispetto all’assetto costituzionale precedente, cfr. F. Siebert, Von Frankfurt nach Bonn.
Hundert Jahre deutsche Verfassungen -, Henn Verlag, Kastellaun/Hunsrück , p. .
. Kelsen, Chi dev’essere, cit., p. .
. Ivi, p. .
. Ibid.
. Ibid.
. Ibid.
. Cfr. Schmitt, Dottrina della costituzione, cit., pp. ss.
. OMOGENEITÀ POLITICA E PLURALISMO CONFLITTUALE
. Sull’argomento, oltre ai saggi schimittiani già citati, cfr. Id., Grundrechte und
Grundpflichte (Diritti fondamentali e doveri fondamentali) (), in Id., Verfassungsrechtli-
che Aufsätze aus den Jahren -. Materialen zu einer Verfassungslehre, Duncker & Hum-
blot, Berlin , pp. -.
. Significativo dell’attenzione benevola di Gerhard Leibholz nei confronti del regi-
me mussoliniano è il saggio Zu den Problemen des faschistischen Verfassungsrechts. Akade-
mische Antrittsvorlesung, de Gruyter, Berlin-Leipzig . Un apprezzamento nei confron-
ti di tale contributo si trova in Schmitt, Wesen und Werden des faschistischen Staates (Es-
senza e sviluppo dello Stato fascista) (), in Id., Positionen und Begriffe, cit., pp. -.
Diversa l’interpretazione di P. Unruh che nel suo recente Erinnerung an Gerhard Leibholz
(-) – Staatsrechtler zwischen den Zeiten, in “Archiv des öffentlichen Rechts”, CXXVI,
, p. , sottolinea obiettività e avalutatività del saggio leibholziano ed esclude che lo si
possa interpretare «come apologia del fascismo italiano o addirittura del nazionalsocialismo
che si preparava in Germania».
. Cfr. J. H. Kaiser, La rappresentanza degli interessi organizzati (), trad. it. Giuf-
frè, Milano . Sul pensiero di Kaiser e più in generale sui problemi politico-giuridici con-
nessi alla nozione di interesse, cfr. il nostro Rappresentanza politica e rappresentanza degli in-
teressi, Franco Angeli, Milano .
ANTONINO SCALONE
. «L’epoca della statualità – scrive Schmitt – sta ormai giungendo alla fine: su ciò
non è più il caso di spendere parole [...]. Lo Stato come modello dell’unità politica, lo Sta-
to come titolare del più straordinario di tutti i monopoli, cioè del monopolio della decisio-
ne politica, questa fulgida creazione del formalismo europeo e del razionalismo occidenta-
le, sta per essere detronizzato. Ma i suoi concetti permangono e sono ormai visti come clas-
sici» (ivi, p. ).