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26/1/2018 Volontà di potenza - Studentville

FILOSOFIA DEL 18…


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Volontà di
potenza
12 luglio 2011

Già  ai tempi di “Aurora” Nietzsche aveva


asserito che “il primo effetto della felicità  è
il sentimento della potenza: esso vuole
estrinsecarsi, sia verso noi stessi che verso
altri uomini, idee o realtà  immaginarie. Le
modalità  più consuete del sue
estrinsecarsi sono: donare, decidere,
annullare”. Affiora qui il tema della volontà 
di potenza (in tedesco wille zur macht),
centrale anche nella “Gaia scienza” e sul
quale Nietzsche ha lasciato numerosi
appunti, che formeranno poi la base
dell’opera postuma pubblicata dalla sorella
(in chiave filo-nazista) con questo titolo: “La
volontà  di potenza. Un saggio sulla
trasmutazione di tutti i valori”. La volontà 
di potenza, propria dei viventi, non ha
obiettivi fuori di se stessa, nemanco quello

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dell’autoconservazione. E’ stata la morale


tradizionale a parlare di fini e di intenzioni,
ma questa menzogna ha nascosto che alla
radice di ogni azione vi è sempre e
comunque la volontà  di potenza. Infatti,
anche quando si fa del bene ad altri, lo si fa
in realtà  per mostrare che è vantaggioso
per essi rimanere in nostro potere e, allo
stesso modo, il sacrificio del martire
dipende dalla sua avidità  di potenza. Già 
nello Zarathustra Nietzsche affermava:
“Ogni volta che ho trovato un essere
vivente, ho anche trovato volontà  di
potenza; e anche nella volontà  di colui che
serve ho trovato la volontà  di essere
padrone. Il debole è indotto dalla sua
volontà  a servire il forte, volendo egli
dominare su ciò che è ancora più debole: a
questo piacere, però, non sa rinunciare. E
come il piccolo si dà  al grande, per avere
diletto e potenza sull’ ancora più piccolo:
così anche ciò che è più grande dà  se
stesso e, per amore della potenza, mette a
repentaglio la sua vita. “. La volontà  di
potenza è alla base della stessa volontà  di
verità  e di ogni posizione di valori. Ma in
queste forme la volontà  di potenza è
puramente reattiva, si afferma solo come
reazione agli altri e quindi in qualche modo
dipende ancora da essi. In ogni caso, non
sono nò i fini nò le intenzioni a costruire la
forza che dà  l’impulso all’azione, ma una

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quantità  di energia accumulata la quale


non attende che di esplicarsi: l’unica forza
agente è la volontà  di potenza. La volontà 
non dipende dall’esistenza di un presunto
io o di una presunta anima, ma dalla vita,
che è continuo divenire e necessario
superamento di se stessa. Tale volontà ,
tuttavia, non è tanto volontà  di vivere,
ovvero di autoconservarsi, ma la volontà  di
potenza: la conservazione può essere
solamente una conseguenza indiretta di
essa. La volontà  di potenza in senso
nietzscheano si distingue dalla semplice
volontà  di vivere di cui aveva parlato
Schopenhauer, il quale aveva anche
indicato nella compassione e
nell’ascetismo i mezzi per liberarsi dalla
sofferenza intrinsecamente legata alla vita.
Per Nietzsche, invece, la volontà  di
potenza si configura come un sì alla vita, in
ogni momento e in ogni aspetto, anche al
dolore che essa comporta e contiene: non è
mai negazione della vita nò è subordinata a
fini trascendenti ancora da venire. Solo la
disciplina formativa del grande dolore, non
la compassione, è creatrice di ogni
eccellenza umana. Certi della loro potenza,
i più forti non temono i pericoli e le
disgrazie, nò hanno bisogno di
subordinarsi a princìpi di fede; in questo
senso essi non sono fanatici, nò dogmatici,
in quanto non hanno lo scopo di imporre se

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stessi come modello agli altri, perchò


questo sarebbe come rendere condivisibile
la propria superiorità  e quindi sarebbe
come rimpicciolirla. In “Al di là  del bene e
del male”, Nietzsche sostiene che non
abbia senso dire: “Quel che è giusto per uno
deve essere giusto per l’altro” o, in altri
termini, che ciò che è vero per uno debba
essere vero anche per altri. A parere di
Nietzsche non esistono fatti oggettivi, ma
solo interpretazioni e ogni interpretazione
è violenza, unilateralità , aggiunge o toglie
qualcosa: “Non esistono fatti, ma solo
interpretazioni”. Ciò non significa che tutte
le interpretazioni, a cui dà  adito la vita,
siano equivalenti, ma il criterio per
distinguerle e stabilire preferenze tra esse
non è dato dalle opposizioni vero-falso,
giusto-ingiusto, bensì dalla relazione che
ciascuna di esse intrattiene con la vita: si
tratta, in altre parole, di considerare in che
misura ciascuna interpretazione
contribuisce a potenziare o indebolire la
vita, ossia di valutare la quantità  di
volontà  di potenza che si esprime in
ognuna di esse. Il criterio sarà , dunque,
dato dalle opposizioni tra salute e malattia;
forza e debolezza, attività  o reattività ,
creatività  o risentimento. La volontà  di
potenza è infatti essenzialmente volontà 
che vuole continuamente se stessa come
potenza e, quindi, tende continuamente a

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potenziarsi e accrescersi. Quando non è


puramente reattiva e frutto del
risentimento, essa conduce l’uomo ad
andare continuamente “oltre (in tedesco
à¼ber) se stesso”: il superuomo (in tedesco
à¼bermensch) è appunto l’espressione del
continuo oltrepassamento che caratterizza
la volontà  di potenza, non un io o un’anima
potenziata, perchò non esiste un sostrato
permanente e stabile al di sotto delle
azioni, che sia causa delle medesime.
Questo non significa che il superuomo
persegua intenzionalmente lo scopo di
dominare gli altri, perchò in tal caso
sarebbe operante una volontà  di potenza
puramente reattiva, che considera rilevanti
gli effetti che può produrre su altri. A coloro
che si affidano alla volontà  di potenza,
esclusivamente reattiva e mascherata,
tipica del passato, i filosofi dell’avvenire,
liberi dai pregiudizi della morale, capaci di
comandare e legiferare, potranno
insegnare, stando a Nietzsche, che “l’uomo
non è ancora esaurito per le sue possibilità 
più grandi”. La volontà  di potenza infatti è
sostanzialmente creazione: con la morte di
Dio, l’uomo diventa libero di creare, per
mezzo della volontà , se stesso. Zarathustra
è appunto presentato da Nietzsche come
“uno che vede e vuole e crea, egli stesso un
futuro e un ponte verso il futuro”. Ciò a cui
Nietzsche guarda quando descrive l’aspetto

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incessantemente creativo della volontà  di


potenza, torna ad essere l’arte. La figura del
superuomo sembra modellarsi su quella
dell’artista, non l’artista deluso e
insoddisfatto, risentito o ascetico della
tradizione romantica, ma quello libero e
sano, che dice sì alla vita e non ha bisogno
di rassicurazione filosofiche o religiose o di
modelli da seguire.

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