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Accademia Editoriale

Linguaggio e programma poetico in Pindaro


Author(s): Paola Angeli Bernardini
Source: Quaderni Urbinati di Cultura Classica, No. 4 (1967), pp. 80-97
Published by: Fabrizio Serra Editore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20537554
Accessed: 05-01-2016 14:19 UTC

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Linguaggio e programma po?tico
in Pindaro*
di Paola Angel? Bernardini

Nella pi? recente un posto di rilievo


critica pindarica spetta ai
due saggi di E. L. Bundy1 che hanno avuto il m?rito di proporre una

interpretazione nuova della poesia di Pindaro e di richiamare Fat


tenzione su un problema non sempre tenuto nel giusto conto da

quegli studiosi che hanno inteso evidenziare ogni aspetto pi? origi
nale ed individ?ale della personalit? pindarica2. ?, cosi, rimesso in
" "
discussione il mito di un poeta che riflette su se stesso e sulla

propria arte e si abbandona ad allusioni personali che investono la


religione, la morale, la professione stessa, ed ? additato il pericolo
di intendere in chiave troppo moderna quelle affermazioni e quei
moduli espressivi pi? f?cilmente classificabili come convenzioni poe
tiche. discorso vale per gran parte della
arcaica greca,
Questo " poesia "
in cui ? sempre problem?tico individuare personale il nei con
tenuti e nelle forme, ma vale soprattutto per la lirica c?rale, mag
"
giormente legata alia tradizione e alie norme imposte dalF occa
"
sione e dal contesto sociale.
Ha dunque un senso parlare per Pindaro di programma po?tico
o ? pi? esatto parlare di convenzione, di formule, di t?pica gn?mica?

* I numeri in grassetto ai
rinviano luoghi pindarici riportati in appen
dice. Le citazioni sono secondo Tedizione di B. Snell, Pindari carmina cum

fragmentis. Pars prior, Epinicia, Leipzig 41964; Pars altera, Fragmenta, Leip
zig 81964. Anche per Bacchilide il testo seguito ? quello di B. SneU, Bacchylidis
carmina cum Leipzig 81961.
fragmentis,
1 Studia Pindarica I. The Eleventh
Olympian Ode', II. The First Isthmian
Ode, Berkeley and Los Angeles 1962 (Univ. of California Publ. in Class.
Philol. 18, 1-2).
2 e
Cfr. tra le pubblicazioni pi? recenti: G. M?autis, Pindar le Dorien,
Neuch?tel 1962; C. M. Bowra, Pindar, Oxford 1964.

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" "
L'espressione programma po?tico sottintende, infatti, l'atteggia
mento di chi, pi? o meno consapevolmente, costruisce la propria
poesia in una direzione, per cosi dire, prefigurata e la vuole rispon
dente a quei criteri che egli stesso talvolta si complace di enunciare.
Ed ? presente tale preoccupazione in Pindaro?
Perch? una risposta sia possibile, occorrer? vedere di volta in
volta se, nei casi in cui il poeta interviene direttamente, i riferimenti
ad una teor?a po?tica siano riconducibili ad una esigenza program
matica realmente sentita o rappresentino la manifestazione di un
usus imperante nel genere.
Nello schema e nella struttura dell'inno trionfale, come si pu?
psservare in Pindaro e in Bacchilide e come ? naturale in ogni poesia
celebrativa e ufficiale, le parti proemiali rivestivano particolare im
portanza e avevano una precisa funzione
nell'economia della compo
sizione po?tica: sottolineare di fronte all'uditorio la singolarit? del
l'avvenimento che il poeta si accingeva a celebrare e la solennit?
del canto epinicio. Le invocazioni alie Muse e alie Cariti, cosi frequenti
nei proemi pindarici e bacchilidei o gli appelli ad altre divinit?, come

Apollo, Verit?, Fortuna, Fama, rispondevano a quest'esigenza di


enfatizzare il momento iniziale.
I primi versi della Pitica 1 o Fimmagine della coppa con cui
si apre YOlimpica 7 o, ancora, la met?fora del tesoro di inni all'inizio
della Pitica 6 obbediscono a quel principio che Pindaro teorizza
"
n?lY Ol?mpica 6 (2) : AlF opera che inizia va posta3 una fronte che lungi

risplenda "4. Analogo ? il senso di quanto egli si propone in 8 e in


155. Ma quale Foriginalit? di queste affermazioni ? Un'analisi lin
guistico-comparativa rivela che per esprimere questo concetto il
poeta usa una terminolog?a che gli deriva dalFarchitettura e dalla
scultura e che finisce col sembrare convenzionale proprio per la fre
" "
quenza con cui ricorre nella sua poesia; xpYjm? ad indicare la base

3 In ? presente sia la generalizzazione un


xP'h di principio po?tico, sia il
motivo del xp?o?, il debito che il poeta sente verso il vincitore. Su quest'ultimo
insiste .
motivo Pindaro spesso (0.3,7; 10,8; P.8,34; 1.3/4,7 sg. .) conside
rando il canto di lode come una n?cessita morale e sentendo il rapporto vicen
devole che sussiste tra vittoria e canto come un etico-sociale.
rapporto
4 II "
cit. p. 55 vede neU'affermazione solo una
Bundy, op. generalizza
"
zione del lodatore verso il suo un'esor
gn?mica dell'atteggiamento soggetto;
tazione, cio?, ad iniziare l'inno trionfale con un senza riserve.
elogio
5 che i versi iniziali rivestono nell'economia dell'ode
L/importanza ?
stata da ultimo sottolineata da C. M. Bowra, op. cit. pp. 323-325.

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del canto si trova in 8 e in 33,
7up?orco7rovin 2 e nella P. 6, 14, vziyiZfi?
nella P. 6, 9 e in 33, tsxtovs? nella P. 3, 113.
Anche in Bacchilide, come si ? gi? visto, il proemio giuoca un
ru?lo importante, presentandosi per lo pi? nella tradizionale forma
delTinvocazione e contenendo espliciti riferimenti al proprio valore
di poeta6, ma ? assente il momento della riflessione critica, manca
cio? ogni forma di enunciazione te?rica di quel principio che il poeta
deve rispettare. Enunciazione che, del resto, neanche in Pindaro
pretende ad un'effettiva originalit?, in quanto riflette una consuetu
dine comune e che, tuttavia, si esplica in immagini che non sono di
per s? convenzionali, ma che tali diventano all'interno dell'opera
pindarica stessa, costruendosi su analogie linguistiche e strutturali
interne.
Con maggior sicurezza possiamo parlare di t?toi e di terni e
" "
motivi convenzionali propri del genere quando alle coincidenze
concettuali e lessicali interne si aggiungano quelle con Bacchilide
e Simonide. Sia Pindaro che Bacchilide ricorrono ad esempio dopo
i versi iniziali del proemio ad analoghe espressioni metaforiche per
enunciare la moltitudine dei terni e le molteplici possibilit? di canto;
queste le corrispondenze pi? evidenti:

Tcb? vuv xai <?>[xot jxupta nivrct. x?Xso&o? Bacchilide 5, 31


7
?'cm fxoi otecov sxaTi (xupia 7uavTa x?Xeu&o? Pindaro 27

nipzGTi {xupia x?Xsu&o?| afx?poaiwv [xsXscov Bacchilide 19, 1-2


[xup?at 8' ?pycov xaXcov.x?Xsu^oi Pindaro, /. 6, 22 8.

Sulla base
di tali af?init? espressive sembra l?gico far rientrare le
sentenze di questo tipo nella sfera dei loci communes, ma ancor pi?
interessante ? vedere se in Pindaro la sequenza t?pica resti fine a
se stessa o diventi la premessa per un pi? personale ripensamento.

6 Sul carattere e il tono dei cfr. B. Gentili, Bac


proemi bacchilidei,
chilide. Studi, Urbino 1958, pp. 16-17.
7 Sulla o
discussa questione della priorit? delTuno delTaltro carme e,
quindi, sul dibattuto problema delFimitazione si veda R. C. Jebb, Bacchy
lides. The Poems and Fragments, 1905, p. 273 e B. Gentili, cit.
Cambridge op.
pp. 29-30.
8 II nesso
[Lopioci pi? sostantivo ? fr?quente sia in Pindaro ehe in Bac

chilide; cfr. Pind. N. 3,42; 10,3; Bacch. 14,8 ((xuptai?pexa?); 10,38 (cupial ?rac
Tafxat); frr. 20 C, 19-20 ((xupiat T&xyoa); 34 (^upiat ?pyai).

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Come si regola il poeta con la variet?
di soggetti e la ricchezza
della materia encomi?stica e mitica? Nella
Pitica 10 (11), la prima
delle odi scritte da Pindaro, dopo aver ricordato il soggiorno di Per
seo presso gli Iperborei ed aver accennato a due altre imprese, Fuc
cisione della Gorgone e Fimpietrimento degli isolani di Serifo, egli
si richiama all'attualit?
"
enunciando dopo un principio
subito gen?rale
di condotta po?tica: il fiore degli inni com'ape da un tema ad un
altro si sposta ", vale a dire: chi compone un epinicio deve rispettare
la pluralit? di temi in esso consacrata dalla tradizione e dalle esigenze
del committente. Due sono le immagini che si allineano nei vv. 51-54;
prima quella del poeta paragonato al nocchiero che deve trattenere
la barca, poi quella dell'ape. La seconda completa e giustifica la prima:
ad una norma occasionale, motivata dalla particolare contestualit?,
segue la norma generalizzata valida non solo per quel particolare

componimento, ma per tutta la sua poesia. Con un procedimento

an?logo ed anche con un significativo parallelismo verbale Pindaro


conclude nella Pitica 11 (12) la narrazione delle vicende di Oreste
richiamandosi sulla dopo aver vagato
dritta come barca marina
via

spinta dal vento fuori della rotta, e allargando poi la sfera tem?tica
dal momento contingente all'inno trionfale in genere. Id?ntica la
struttura:
i primi due versi hanno la funzione di interrompere il mito

/ xctaocv ay?crov, tocy? S'avxopav ,, , ?r? ^, \


? i l , ^ V? tic ?vefjioc?l<? 7tX?ouJ
_ epeicrov x&ov?
11 ft oV?xotTov IvvaX?av ; 12
I 7rpcj>poMrs,xoipaoo? aXxap ?
f 7u?Tpac1

gli altri due fungono da ponte fra la parte mitica e quella pi? propria
mente encomi?stica

= Motera...
?eyxoafJL?c?vy?p ?caxoc ufxvcov J
fee' ?XXox' ?XXov . . . ft?vsi = . . . ?XXox' Ta- (
jxp>] j
?XX$ \2
X?yov paaa?fxsv i

Anche in questo caso Pindaro non fa altro che dare una forma

personale, ricorrendo a peculiari moduli espressivi, ad una norma che


doveva essere ben nota ai poeti corali9, ma nello stesso tempo non

9 a D.
Anche per Stesicoro, secondo quanto si pu? ricavare dal fr. 25
attribuito precedentemente a Simonide, la deve toccare
poesia molteplici

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si limita a questo, spingendosi oltre nella formulazione di un pro
gramma da seguir?.
La variet? dei motivi impone necessariamente un criterio di
scelta e a questo egli obbedisce quando vuol far risaltare (ttoix?XXslv)
ma un
poche cose, essenziali in vasto argomento (10)10. Qui la voce
pindarica si riconosce pi? autentica e pi? concreta diventa la possi
bilit? di cogliere un rapporto effettivo tra teor?a e poesia. Corne non
pensare, infatti, alla t?cnica narrativa che Pindaro segue nella pre
sentazione del mito, cosi diversa da quella bacchilidea?
La frequenza con cui il principio espresso nella Pitica 9 si ri
propone in altre odi e il particolare linguaggio in cui esso si traduce
avvalorano del resto
impressione e consentono tale
conclusioni pi?
concrete. 1 (6) nei due versi che interrompono
Nella Pitica l'elogio
di Ierone e Dinomene e danno inizio alla serie di consigli che Pindaro

rivolge al figlio di Ierone11, egli proclama di nuovo la n?cessita di


condensare in un breve discorso molti argomenti. L'antitesi quanti
tativa tra il molto e il poco e il lungo e il breve ? ottenuta come in
10 dairaccostamento di termini antitetici:

7toXXcuv 7TsipaTa . . . ?v ?pa^st = S' sv


6 ?aia (jtaxpoujt, noixiXkzw 10

ma ? difficile sapere vero senso avesse l'affermazione nel


argomenti; quale
l'ambito di una contestualit? che purtroppo non ci ? dato di conoscere. Cfr.
H. Fr?nkel, Wege und Formen fr?hgriechischen Denkens, M?nchen 21960,
p. 95, ehe ravvisa nella poesia di Pindaro la pi? pura realizzazione di questo
principio.
10 Controversa ? Vinterpretazione di tutto il passo e soprattutto della

espressione axo? coepo?? : delle due spiegazioni date dagli scoliasti, la seconda
sembra la pi? probabile e da muovono sia L. R. Farnell, Critical Com
questa
"
mentary to the Works of Pindar, London 1932, pp. 205-206 che intende: to
fashion a short tale on a theme is good for the wise ",
fairly lengthy hearing
sia B. L. Gildersleeve, Pindar. The Olympian and Pythian Odes, New York

1890, p. 344, sia R. W. Burton, Pindar*s Pythian Odes, Essays in Interpre

tation, London 1962, p. 45. Egli in particolare attribuisce a aoyoi il senso di


" "
men of culture che aoepot non sono solo i poeti, ma anche
specificando gli
ascoltatori colti che possono apprezzare la t?cnica del canto. Per un
quadro
pi? dettagliato delle diverse interpretazioni (Fennell, Sandys, Wil?mowitz)
si veda L. R. Farnell, loe. cit.
11 I commentatori e non
antichi solo essi (cfr. L. R. Farnell, op. cit.

p. ritenevano che Pindaro si a Ierone, mentre U. von Wil?


116) rivolgesse
mowitz, Pindaros, Berlin 1922, pp. 302-303 e da ultimo R. W. Burton, cit.
op.
p. 108 sostengono con validi che i vv. 85-93 dovevano essere indi
argomenti
rizzati a Dinomene.

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mentre il valore programmatico-positivo ? espresso in ambedue i

luoghi dal termine xatp?c nell'accezione di momento opportuno che


il poeta deve
cogliere saper nella disposizione dei terni e nello
stesso tempo di giusta misura quantitativa che egli deverispettare
per non provocare la saziet? e quindi la noia dell'uditorio12.
Analoga la funzione di passaggio che le due massime rivestono:
nella Pitica 9 dopo aver concluso il mito di Cirene ed essere tornato
al momento dell'attualit? con Felogio di Telesicrate, Pindaro intro
duce con nessoun copulativo il mito Iolao che seppe
del vecchio

raggiungere il xaip?c nell'azione esemplare dell'uccisione di Euri


steo; la gnome ? 8s xaipo? o[jio?g>? 7uavxo? ?yzi xopucp?v opera, cosi,
in una duplice direzione, poetico-artigianale da un lato, eroico-ago
nale dall'altro. S?milmente nella Pitica 1 Fesortazione a seguir? il

xaip?c, investendo due mondi distinti, quello del poeta (poetico


artigianale) e quello del signore della citt? (eroico-agonale), mette
in connessione Fu?a e Faltra parte.
La tem?tica del xaip?c non ? nuova nella poesia greca arcaica;
ad indicare una norma di vita e una suprema regola esistenziale il
termine si trova gi? in Esiodo (Op.694), in Teognide (401) e in Bacchi
lide 14, 17, ma in Pindaro esso ricorre con significativa frequenza
e investe, come si ? visto, la sfera delF etica e delFarte. Il fatto poi
che in alcuni casi (3, 13) la norma sia scaduta a formula cristalliz
zata e pi? chiara sia la sua funzione
trait d'union, non sminuisce
di
il senso pindarico della
poesia Mi come
sembra, infatti, che le
scelta.
due tesi di stereotipia ling?istica da un lato e di consapevole atten
zione ai valori della po?tica programmatica dall'altro non siano
inconciliabili. In un linguaggio che non pretende all'originalit? e
che finisce, tal volt a, col di ventare banale neH'ambito della sua poesia,
Pindaro pot? oggettivare quella naturale tensione che lo spingeva
"
a costruire il mito e Fode stessa concentrando in breve molti ar
"
gomenti (6) e quell'aspirazione alia giusta misura che fu propria
di tutta la poesia greca arcaica.
L'insegnamento di Corinna e il suo invito a seminare con la
mano, non con tutto il sacco (Plut. De gloria Ath. 4, 347 f-348 a)
sembrano aver avuto un'eco durevole nella poesia di Pindaro che pi?
volte insiste sulla impossibilit? di esporre gli avvenimenti nella loro
compiutezza se non si vuole uscire di tono e di misura. Anche questo

12 La di Pindaro, Messina
Cfr. M. Untersteiner, formazione po?tica 1951,
p. 65 sgg.

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motivo della gn?mica tradizionale
t?pica viene incontro al poeta
in particolari punti della composizione o?rendogli un facile pretesto
per abbreviare elenchi di vittorie, interrompere l'esaltazione del vin
citore, passare da un argomento air altro. Ma sia la frequenza con cui

egli manifesta la consapevolezza di do ver rispettare i limiti imposti


dal Ts&fx?c e dal tempo, sia la contestualit? stessa13, avvalorano Tipo
tesi che non si tratti di vuote formule di transizione prive di qualsiasi
valore significante.
In Bacchilide, per esempio, come formula di transizione si trova
per lo pi? Favverbio temporale vuv che, strutturalmente, ha la stessa
funzione delle pi? personali osservazioni pindariche e che, pi? in

particolare, delimita il passaggio dal proemio al tema immediato

(cfr. 10, 9; 11, 9; 14, 20; 19, 8)14.


Anche Pindaro per puntualizzare il semplice momento di pas
saggio usa sia vuv che ?XX?, ma quando vuole sottolineare qualche
ommissione o qualche repentina interruzione si serve della massima
che, nella sua tradizionale validit?, lo giustifica di fronte alTuditorio
e al committente: le omissioni possono essere fatte dal poeta nel
Tenumerazione di vittorie (25, 26), di personaggi o imprese mitiche

(9, 17, 24); le interruzioni in racconti di una certa lunghezza (4, 7).
L'aspirazione alia misura trova la sua giustificazione l?gica e
formale nel timor? di provocare con la sproporzione nella disposizione
dei terni la noia e la saziet? di chi ascolta. La parola chiave diventa
in questo senso x?poc che si deve intendere non come fastidio che
nasce da una gen?rica saziet?, ma neir?mbito particolare del rapporto
tra poeta e pubblico, poeta e committente15. II motivo del x?poc
nella sua pi? ampia accezione non ? nuovo nella poesia greca arcaica;
accanto a Omero si possono citare Teognide, Solone, Eschilo16 ;

13 usare una
Cio?, sia F aspetto quantitativo, sia quello qualitativo per
terminologia che ha avuto particolare fortuna tra gli studiosi della ling?istica
quantitativa.
14Nella Tuso di un formulario
poesia bacchilidea ? pi? facile individuare
destinato alie var?eparti ; si pensi alia maniera di introdurre i miti con le espres
sioni X?youatv, ?aaL A tal proposito cfr. B. Gentili, op. cit. p. 31.
15 Cos? il Burton, "The risk of
op. cit. p. 107: xopo? is always present in
his thoughts: it is not a state of mind in the audience but
merely passive
a emotion that may issue in some sort of offensive action ".
positive
16 Accanto a come
xopo? saziet? (di battaglie, di pianti, della ricchezza),
in Pindaro (O. 13,10), in Erodoto (8,77) e in Eschilo (Ag. 763 sg.) si trova Kopo?
come figlio di Hybris, mentre da Solone e da Teognide Kopo? ? considerato,
al contrario, come padre di Hybris.

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nelFIliade (13, 636) si parla anche di xopo? \iokKr?c yXoxspTJ? e in
Teognide 693-94 vi ? un nesso di causalit? tra [xsxpov e xopo?.
Ma in Pindaro, nei luoghi che interessano questa indagine, la sfera
in cui opera il concetto di xopo? si restringe da un lato al laudandus
che voleva sentir? rievocare le sue vittorie e quelle degli antenati
ed udire Felogio della citt? (in 9, in 19 e in 24 il poeta dopo aver af
fermato che ? rischioso af?rontare la noia degli uomini insistendo troppo
su un argomento passa subito dopo ad elencare le vittorie del vincitore) ;
dall'altro all'uditorio che si infastidisce se ascolta troppo a lungo
le lodi degli altri (6).
NelFambitodi questo rapporto e nelF ?mbito del rapporto xai

po?-xopo? acquistano un particolare rilievo alcune parole del les


sico pindarico che connotano momenti particolari del suo programma
po?tico: su&u|i?a in 2617 indica la soddisfazione del poeta per non
aver ecceduto nella trattazione di un tema; ?vdbiaoai? in 19 designa
il momento in cui il poeta lascia unargomento; eufxaxav?a in 27 e
in 30 denota la sua abilit? nel disporre la ricca materia. A questa
situazione teorico-programmatica si possono in parte ricondurre le
numer?se immagini metaforiche che
rappresentano Fode corne un
intreccio in cui si alternano e si accordano i vari motivi (0. 6, 89;
2118; fr. 179).
Resta da esaminare un'altra categor?a di espressioni ricorrenti
nei punti di sutura della composizione e riconducibili in ultima analisi
"
al concetto base della proporzione di contenuto e della giusta in
tonazione"; mediante metafore abbastanza consunte, attinte per
lo pi? dai settori del mondo agonale (4; N. 1, 7; 23; 28), della vita
dei marinai
" " (N.
3, 26-28;
"
17; N. 5, 50; 18) e dal campo sem?ntico
della via e del cammino ", Pindaro concretizza Finvito ad af
frontare un nuovo tema o il rimprovero per aver oltrepassato la
misura.

I riscontri con Bacchilide (5, 31 ; 10, 51 ; 19, 1 ; 19, 13) indicano che
" "
soprattutto i riferimenti all'ode concepita come una strada da per
correre dovevano essersi cristallizzati nel formulario della lirica c?rale;
cosa che non eselude, del resto, da parte di Pindaro un sapiente

17 La accezione in cui il termine ? usato da Pindaro ? stata


particolare
messa in rilievo da E. L. Bundy, op. cit. p. 75.
18 dell'ode simile a una corona nella la Musa intrec
Suirimmagine quale
cia Toro, il candido avorio e il bianco corallo in una sintesi coordinata cfr. B.

Snell, La cultura greca e le del pensiero europeo, trad. it. Torino 1963,
origini
pp. 132-133 e M. Untersteiner, cit. pp. 96-97.
op.

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e consapevole adattamento della formula al contesto poetico-narra
tivo. In 7 questa consuetudine pindarica trova una chiara esempli
ficazione: al v. 247 egli interrompe bruscamente il racconto della
conquista del vello d'oro con l'affermazione [xaxp? \ioi ve?aSm xoct'
?[xa^t,T?v che esprime un concetto comune sia alla tradizione epica
(II. 12, 176) che a quella c?rale (Bacch. fr. 2719; Pind. 17; 29), ma
subito dopo aggiunge xoct tivoc o?(jlov ?g<x.[li ?pa^uv* noKko?Gi S'
ayvjixai
Goy?oLc, sTspoi?, forse pensando alla t?cnica narrativa seguita nel
Tesposizione del mito degli sua successiva,
Argonauti20 r?pida e alla
conclusione. Con procedimento an?logo nel Peana 7 b (30) egli
si esorta a non percorrere il battuto sentiero di Omero, Tpi]7rrov
xoct' ?fxa^T?v 21,ma ad andar? con nuovi cavalli, poich? ha aggiogato22
" "
Talato carro delle Muse; dietro le immagini consuete della via
e del carro delle Muse si cela la consapevolezza dell'opera di rinnova
mento che investe non solo la nuova versione di qualche vecchio
mito trattato da Omero23, ma anche il diverso modo di sviluppare
Tazione nel tessuto narrativo e la costruzione dell'epinicio stesso.
E tanto pi? significativo diventa il senso di questo rinnovamento
se si tiene presente la sequenza della Nemea 8 (23) in cui Pindaro
sottolinea il rischio di trovar cose nuove e presentarle alla pro va;

?^supe?v vsap? denota Tattivit? quasi artigianale24 del poeta che


trova con le sue capacita innate sempre nuovi temi25.
Lo stesso verbo ??supstv ricorre nel fr. 5 di Bacchilide ove,
come ? noto, si tocca il problema deU'atteggiamento del poeta nei

19
L'espressione bacchilidea 7rXaTeta xsXeu&o? potrebbe forse a
ric?llegarsi
questa categor?a di metafore.
20 In senso
questo intende anche il Wilamowitz, op. cit. p. 391, che sug
gerisce il confronto con P. 9,78. Cfr. anche R. W. B. Burton, cit. 153.
op. p.
21 II termine ?^a?iTO? l'idea di una strada da molti,
implica frequentata
mentre Pindaro vuol sottolineare la sua aspirazione ad un cammino nuovo e

originale. Si veda in tal senso la contrapposizione tra e in 7.


?[ia^TO? oIjjlo?
22 I da B. Snell i vv. 13 e 14: ocu[toI ??
supplementi proposti per
7i]Tav?v_ave?a](jL?v o a?jroi_I?eu?a][xev si accordano con
perfettamente
il linguaggio usato in luoghi simili: cfr. I. 2,2 ?? Si?pov Mota?v o P. 10,
g?atvov
65 t?S' e?su?ev ?pfxa ILspt?cov Tsxp?opov.
23
Cosi C. M. Bowra, op. cit. p. 33.
24 In
questa accezione sia la forma ??eupe?v che supetv ricorrono spesso
nella cfr. 0.3,4; P. 1,60; JV. 8,20; 7,16 ...
poesia pindarica:
25
Quest'aspirazione alla variet? di terni e di forme da esibire di fronte
ad un pubblico ? forse anche ultimi versi della Nemea 7. Cfr.
presente negli
M. Untersteiner, op. cit. p. 101.

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confronti della e della
tradizione
cultura dei suoi predecessori26;
"
mentre Tespressione bacchilidea non ? facile trovare le porte di
"
canti non ancora detti suggella il riconoscimento del debito verso
le esperienze precedenti27, la frequenza con cui Pindaro insiste sulla
novit? del suo canto rivela una maggior consapevolezza della propria
individualit? art?stica, anche se appare eccessiva rispetto alla reale
portata del rinnovamento che egli si attribuisce e che gli attribuiscono
i critici moderni. N? ? facile definir? i termini della vantata novit?
e individ?ame gli aspetti pi? tecnici e formali.
In 1, per esempio, Pindaro dice di aver trovato, con Faiuto
della Musa un nuovo splendido modo di adattare al ritmo d?rico
la voce, alludendo ad un'innovazione nelFaccompagnamento musi
cale che veniva adattato dal
poeta stesso al ritmo m?trico; ma di
tale innovazione non possiamo sapere nulla di preciso.
Con un accenno alie nuove prospettive che si presentano ai

poeti di ditirambi e, forse, pi? in particolare, alla propria opera di


rinnovamento si apre anche il Ditirambo 2. Nel costrutto t?pico del
Tantitesi28 Pindaro contrappone alia recitazione del ditirambo come
si svolgeva al tempo di Laso di Ermione, quasi cinquanta anni prima,
un modo nuovo 29 che le due soluzioni di cui si
rinnega parla nei primi
due versi. Che analisi,
tale, sembra essere il senso del verso
in ultima

7cp?v [jisv ep7T? GypwoTzvzii t' ?oiSa Si&upajji?cuv e delFannotazione


sulla natura del a?v; Tattributo cr/oivoT?ve?a parrebbe alludere ad
una ?ycoyY] ditirambica ormai superata, nella sua particolare acce

26 Assai ? che con versi Bacchilide volesse


probabile Fipotesi questi
ribattere airaf?ermazione pindarica contenuta nell'O. 2,83-86. Cfr. quanto
scrivono R. C. op. cit. pp. 23-24 e B. Gentili, cit.
sull'argomento Jebb, op.
pp. 26-27.
27 La della dalla tradizione sembra non
coscienza dipendenza preclu
dere, comunque, la novit? ; cfr. G. Lanata, Po?tica pre-platonica. Testimonianze
e frammenti, Firenze 1963, p. 103. Le allusioni alla novit? del suo canto sono
tuttavia assai meno numer?se che in Pindaro e sia in 19,8-11 ehe in 4,10 la
lettura non ? sicura. Sui poeti che Bacchilide ha realmente imitato si veda
B. Snell, carmina cum fragmentis cit. p. 22*.
Bacchylidis
28 strutturata in modo si ?pre Y ?stmica si
Con un'antitesi an?logo 2;
veda scrive sul proemio dell'ode C. Pavese, 'XpiqfjiaTa, x?W^ ?vyjp ed il
quanto
motivo della liber alita nella seconda ?stmica di Pindaro ', in questi Quaderni
2,1966, pp. 103-112.
29 ai vv. vuv
II supplemento di Grenfell-Hunt 4-5 Starrere[T]a[vToci Se tpo??]
Tc?Xa[i x?]xXoiai sembra assai probabile, anche per l'analogia che il passo pre
senta con i vv. 10-14 del Peana 7 b.

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zione di tempo r?tmico e, insieme, di tempo di dizione30, mentre

30 Per '
le varie interpretazioni del termine rimando alla mia Rassegna
pindarica' in questi Quaderni 2, 1966, p. 184. Qui vorrei solo aggiungere che alla
base di esse vi ? la convinzione ehe nell'aggettivo oyotvoTsvetoc sia implicita
Timmagine della lunghezza (Puech, Bowra) o, tutt'al pi?, della direzione (Far
nell). La glossa di Esichio axotvoTev??* op&?v. jzaxp?v sembra avvalorare, del resto,
Dall'idea della muove anche ilWil?mowitz che sug
queste ipotesi. lunghezza
gerisce Tinterpretazione pi? convincente: "Die axoivox?veta ?otS? kann also
nur
schleppende, ungegliederte, sei es Diktion, sei es Rhythmo sei es Melodie,
"
bedeuten cit. p. 342). Ma non ? inopportuna ancora altra
poeie (op. qualche
osservazione. In un passo del De M?sica (c. 29) lo Pseudo Plutarco rimprovera
a Laso di aver mutato i ritmi secondo ditirambica e di essersi ser
P?ycoy^
vito di Tzk?oG? Te <p&oyyoi? xai 8ieppt[x[iivoi? provocando, cosi, un cambiamento
nella m?sica del tempo. Ma quale il senso di ?ycoyi?jnel contesto ?Una risposta
esauriente ? data da G. A. Privitera, Laso di Ermione, Roma 1965, p. 76,
n. 15 in cui si "Nel testo di Ps. Plutarco valore com
legge: ?ycoyy) ha, dunque,
: si rif erisce non solo al ritmo e alla sua realizzazione stilistica, ma anche
prensivo
al tempo di dizione, che trattandosi di canti corali era dalla m?sica,
regolato
oltre che dal ritmo ". Sul valore del termine ?ycoy/) cfr. in particolare L. E.
"
Rossi, Metrica e critica stilistica. Il termine ciclico" e /'aycoyirj ritmica, Roma
1963. Laso, cio?, impresse ai ritmi non ditirambici r?ycoyrj tipica dei ritmi diti
"
rambici e, ancora secondo Privitera, alla inusitata tessitura m?trica fece cor
una m?sica "ditirambica" estranea tradizionalmente a
rispondere quelle
odi", una m?sica in cui numerosi erano i suoni e distanziati
pi? (izkzioai) pi?
intervalli. Cfr. anche H. Weil - Th.
De
(8ieppt(A[x?voi?) gli Plutarque. Reinach,
la musique, Paris p. 117 e F. Lasserre,
1900, Plutarque. De la musique, Olten
Lausanne 1954, p. 37. A questa particolare ?ycoy/j ditirambica potrebbe forse
riferirsi Pindaro quando parla dell* ?ot&x dei ditirambi che se ne andava cr/pi
vor?vsia. A questo ci si pu? chiedere se il senso della debba ne
punto parola
cessariamente ricondursi airimmagine della o se, corne
lunghezza gi? suggerl
O. Schroeder, Pindari carmina, Leipzig 1900, p. 416, ci si possa servir? della

glossa di Esichio oxoivtvvjv cpcov^v ty]v aa&p?v xai Sisppcoyutav per intendere meglio
" ' '
il valore dell*attribute ; cosi egli scrive: neque vocem dilatatam quam
testatur Hesychius exponens, multum abesse arbitror ". Un altro passo dello
Pseudo Plutarco sembrerebbe far luce su intonazione della
questa particolare
voce e sulla sfera cultuale dalla deriverebbe il termine Nel
quale o/oivoT?veio?.
De M?sica 4 tra gli antichi v?pioi aulodici ? citato il vopto? Sxotvicov, il nomos
dei Giunchi che, secondo osserva il Lasserre, cit. p. 23, derivava
quanto op.
la propria denominazione o dal rito della raccolta dei FEurota
giunchi lungo
(Plut. Vit. Lycurg. 16,13) o dalle flagellazioni annuali degli efebi, le quali ave
vano a davanti air altare di Orthia Laced. II 9;
luogo Sparta (Xenoph. Resp.
Plut. Vit. Vit. Arist. - Th.
Lycurg. 18,2; 17, 10) ; cfr. H. Weil Reinach, op.
cit. p. 17, n. 41. In conclusione, credo abbastanza verisimile Fipotesi che Fal
lusione pindarica investa Y ?ycayri) ditirambica nell'accezione che si ? precisata
e che non sia da escludere la possibilit? di servirsi di questa seconda di
glossa
Esichio per definir? uno degli aspetti di quella ?yco-p?).

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xi??Y)Xoc potrebbe indicare la pronuncia sof?ocata e ambigua del
suono a?v introdotta per evitare lo sgradevole ef?etto della sibilante31
e gi? abbandonata dai coreuti del tempo di Pindaro.
Siamo definitivamente usciti dai circoscritti confini della t?pica

gn?mica e ci troviamo di fronte ad un poeta che riflette sui mezzi


di cui dispone e sulla natura della propria poesia; un poeta che non
? certo estraneo ai fenomeni che interessano la lirica arcaica greca
e in particolare la lirica c?rale, ma che, in un linguaggio che non ?
" "
esente da particolari convenzionalit? espressive ad esse comune,
cerca di definir? il procedimento e le norme che sono alla base della
sua arte.

Questo atteggiamento ? chiarito da quanto Pindaro stesso dice


sul momento e sull'essenza deirispirazione; niente di pi? t?pico
della convinzione che Tispirazione ? concessa dalle Muse e niente
di pi? comune del linguaggio in cui questa idea si traduce, ma nuova
e t?picamente pindarica la consapevolezza dell'intervento attivo del

poeta sulla materia suggerita dalle Muse32.

Proprio sulla base di questa convinzione ha un senso parlare


di programma po?tico, di innovazioni, di allusioni
personali; che poi
questa materia derivi la propria espressione da un formulario gi?
di per se stesso convenzionale o che tale diventa aU'interno delTopera,
non vuol dire che essa scada a pura convenzione.

Appendice

La seguente appendice
" raccoglie tutti i luoghi dell'opera di Pindaro
riguardanti il programma po?tico ", nei quali sono enunciate le norme
che il poeta intende seguir? nella composizione delFode. Oltre che essere
complemento indispensabile al saggio che precede, essa ha anche lo scopo
di offrire al lettore la immediata visione delle parole tipiche e delle relazioni
contestuali.

31A il m?rito
questi risultati che ilWilamowitz per primo ha avuto di
sono anche il Farnell, cit. p. 422 e il Bowra,
indicare, op. cit. p. 342 pervenuti op.
'
op. cit. p. 195. Si veda da ultimo lo scritto di G. A. Privitera, L'asigmatismo
di Laso e di Pindaro in Clearco fr. 88 Wehrli ', Riv. cult, class, med. 6, 1964,
pp. 164-170.
32 Parole come ao<p?c, <pu?, [xtjti?, v?oc, ?piQV, ^u/?, tlyyf\> comuni al lessico
di tutta la poesia arcaica greca, neH'ambito di questa teoria si colorano di sfu
mature nuove, tipicamente pindariche.

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1 O. 3, 4-6
Moura S' o?xto toi 7uap?
axa fioi vsoa?yaXov eup?vxi Tp?TOv

A?op?co ?cov?v ?vapfxo?ai toS?Xco


?yXa?xco[xov.

2 O. 6, 1-4

U7?OQTT?aavT?c su
Xpuff?a?

iziyz?7cpoS-upcp S-aX?fxou
xiova? ?)? ors ^ayjTov fx?yapov
'
7r?^o(JLcv ?px<>f??vou S Ipyou 7cp?aco7iov
^ p y] &?[Asv T7]Xauy??.

3 O. 13, 43-48
?craa t' ?v AsXcpo?aiv ?pLC7T??craT?,

7)S? ^?pTOic ?v X?ovTO?, Srjp?ofxai TOX?aiv


7?sp? 7cXtq^?1xaXcov ?>? [x?v cra???
oux ?v ?t???Y)v X?y?iv tovtiXv <]/?<pcov?pi&fx?v.
?7T?Tai S' ?v ?x?aTco
fx? t p o v voYjaai Se x a i p 6 ? a p ia t o ? .

4 O. 13, 93-98

?(JL?S' ?U&?V ?x?VTCOV


i?vTa po[x?ov 7cap? (jxot?ov ou X?"h
Ta 7roXX? ?eX?a xapTUV?iv ^?potv.
Motaai? y?p ?yXao&povoi? ?xcov
'OXiyai&iSaitfiv t' e'?av ?7Uxoupo?.
'Ia^[jLoc Ta t' ?v N?(x?a Tca?pco 2 7?e i
' . . .
S^aco a
<p v ? p ? & p ? ( a )

5 P. 1, 42-45

avSpa S' ?yo) X?tvov


aivYJaai (X?votvcov ekKO[ioLi
-
fx*/]xa^x07r?paov axovft' c?cte?t' ? y ?5
v o ? ?aXeEv i ? co
7raX?(jia Sov?cov,
(xaxp? Se pi^at? ?[i.??cra<7&' ?vT?ouc.

6 P. 1, 81-84
x a ip6 v si 9&?y?aio, 7uo X X ?5 v ??stpaTa auvxavoaat?

92

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?v ?pa^sc, [xs?cov sTusxai [xcojxo? ?v&p?
7TO)V?rci) y?p xopo? ajx?Xuvsi
a?avyj? Ta^sia? ?XmSa?,
'
?cTTCov $ ?xo? xpo?iov ftufx?v ?apu
'
vsi [x?XiCTr' ? erX o ? a i v s 7C aXXoTpioi?.

7 P. 4, 247-248

{xa x p ? [xoi vs?a&ai xax' a [xa ? i t ? v &pa


y?p ouvarcTSi xa? Tiva

o?jiov i g a (JL
i ? p a x ?v 7uoX
Xo?crt, S1 a y Y) [xa i aoipia? eTspoi?.

8 P. 7, 1-3/4
K?XXiaTOv ai [xeyaXo7coXis? 'A&avai
n p o o ? [x i o v 5AXx(xavi$?v supua&sve?
'
ysvsa x p 7) 7T? S aoiS?v ?totcomji ?aXsa&at.

9 P. 8, 29-34

eifxi S' OLGyoko?,?va&?(xsv


???aav
[xaxpayopiav

Xiipa Ts xai cp&?yjxaTC [xaX&axco,


[XY]XOpO? to S' ?v noGi
?X&GiVXV?CTjf). [XOlTp?^ov
?T6) tcov xp???? & ^S vscoxaTOV xaX&v,

?[xa 7iOTavov ?jxcpl [xa^ava.

10 P. 9, 76-79

?psxa? S' a?s? [xsy?Xai 7coX?[xi>&oi'


? a t ? 8' ?v [xa x p o t ex i tc o i x ?X X s i v
?xo? do?o??' ? Se xaipo? ojxoico?
??av?o? s X ? l
xopucp?v.

11 P. 10, 51-54
xc?7iav a^?aov, Ta^o S' ayxupav ?psiaov ybovi
Tcpcopa&s, ypipii?o? aXxap TCSTpa?.
? y x co [x ? c? v y?p awio? 5 [xv co v
' '
? re a X X o t ?XXov &tz [lzXiggol J?ve? X?yov.

12 P. 11, 38-45

9jp', ?i cpiXot, xoct' ?[xsu(7?7ropov xptoSov eSiv??hjv,


op&?v x?Xsu&ov t?>v
T& 7CpLV?) [XSTI? <XVS[XO? ? ? G) 7TX ? O U

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cb? ot' axaTov
?r?aX?V, ?vvaXiav;
M o ? g a , to Se T?ov, si [lig&o?o auv?&eu 7uap?x?tv
'
?cov?v uraxpyupov,? X X o t a XX a j^ P *) j Tapaacr?(X?v

r? warpl IIu&ov?xcp
t? y? vuv 7] ?pacruS?cp,
tcov ?U9poauva T? xal S??' ?7Ci9X?yei.

13 N. 1, 18
7To X X co v e7ii?av
x a ip6 v ou ^??S?t ?aXcov.

14 N. 3, 76-80

^a?p?, ?iXo?* ?yco toSe toi

7u?[X7uco (X?{xty(x?vov jx?Xi X?UXCO


CTUVy?XaxTi, xipvajx?va S' ??pcr' ?fi^?roi,

TOfi' ?o?St[JLovAioX?acuv ?v 7rvoatatv a?Xcov,

O^S 7T?p.

15 iV. 4, 9-11
t? (xoLM(ji?v KpoviSa T? Ai xal N?fiia
te 7r?Xa
Tifxaaap/ou

?fXVOU 7?pOXC?[JLlOV ?17).

16 N. 4, 33-38
Ta (Xa X p ? S' ?^?V?TC?LV? p ? X ? l (I ? T ? & [X? ?
?> p a ? t' ?7T?tyo(X?vai*
?Oyyi S' ?Xxofxai T^TOpV?0(i7]v?a &iy?(X?V.
?(X7ua, xa?TOp ?yzi ?a&?ia tovtioc? ?*X(xa
fiicTcrov, avTiT?iv' e7u?ouXiaic* crcp?Spa S??o[X?V
Sa?cov ?v 9<x?i xaTa?atv?iv.
u7??pT?poi

17 N. 4, 69-72
*
V
TaS??pCOV TO 7TpO?C?9OV OU 7U? p a T ? aTOTp?TO
aurt? Eupc?Tcav totI y?paov ^VTea va?c*
a 7To p a y?p X?yov Ataxou
toc?Scov tov atavia ?loi S i e X & ? ? v .

18 iV. 6, 53-57
xal TauTa
[x?v 7caXai?T?poi

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?Sov ?[xa?iTov sSpov s7ro
[xai S? xa? auTo? e^cov [xsXsTav
to Se nip 7uoSi vao? sXiaa?jxsvov ais i xt>[x?TCOv
X?ysTai 7uavT? [x?XtaTa S o v s l v
& u [X? v .

19 iV. 7, 48-53

?ucovu[xov ?? S?xav Tp?a s 7r s a Stapxsasi*


ou ^suSi? ? [x?pTUc ?pyjxaatv amoraTe?,

A?ytva, Ts&v Ai?c t' exy?vcov. -frpaa? fxoi toS' zinziv

?asvva?? ?pSTa?? ?Sov xup?av X?ycov


o?xo&sv aXX? y?p ? v ? 7Ta u -
a i ? ?v 7ravTi y X u x s ? a ?pyor x 6 po v S' ?^si
xai (x?Xi xai Ta Tep7rv' av&s' 'A9poSi(7ia.

20 iV. 7, 68-72

fxa&?)v S? ti? ?v ?pe?,


si 7i?p (x?Xo? sp^ofxai ^?ytov 8apov ?w?rccov.
E?^?vtSa 7i?Tpa^e Ewysvs?, ino\Lvi(?
(xi] TSpfxa tt p o ? a i ? axov&' ?ts xa^07t?paov Spaai

&o?v yX?aaav...

21 N. 7, 77-79
Mo?aa toi
x o XXa XPU<T?V^v T? ^suxov ?X?9av&' ? [x?
xa? Xsipiov av&s[xov TOVT?a? ?<peXo?a' ??paa?.

22 N. 7, 104-105

Ta?T? Se Tpi? TSTp?xi t' ?fXTCoXeiv


? 7To p ?a TeX?&si, tsxvol
atv aTs (xa^uXaxa? eAio? K6piv&o?\

23 N. 8, 19-21

X0U901?, ?[X7?v?cov ts 7rpiv ti ?ajxsv.


?cjTafxai S?) 7CO(T<t?
7roXX? y?p 7uoXXqcX?XsxTai, veap? S' ? ? s u -

p?vTa S?fxev ?aaavco


?? eXsy^ov, ?rcac xivSuvo?* o^ov Se X?yoi 9&ovspo?(7iv...

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24 N. 10, 19-22
'
? pa x ? H-o t o"T?(xa 7i ? v t ?vay/)
craa^', ?acov 'Apy?tov ?^?t T?fX?vo?
[xo?pav ?aXcov ?'cru Se xal xopo? ?v&pc?
7TCov?apuc ?vTt?craf
?XX' 8[xco? EU^opSov ?yetps X?pav,
xal TcaXaiafx???ov Xa?? 9povT?S(a).

25 N. 10, 45-47
?XXa xa^xov [AUp?ov o? SuvaT?v
v? o X ? ??
???X?yx?t (xaxpoTEpa? y?p ?pi&(X7)CTaia /
OV T? . . .
KX??TCOp

26 I. 1, 60-63
7i ? v t a S' ?^?i7U??v, ?a' aycovto? *Epfxa?
'HpoSoTCp ?7TOp?V

?7U7roi?,?9aipstTai ? p a x ? ?xsTpov ?XCt)v


ujxvo?. ?? (x?v 7ToXX?xi xal t6 crecrco
7Ua[X?VOV ? ? & U [X ?a V [X?l?cO9?p?l.

27 /. 3/4, 19-21
"Egttl {jlol &stov SxaTi 7uavxa
(jLupia xsXsu&o?,
cb M?XioV, s?(Jia)(aviav y?p ?^pava? 'Iar&[xioi?,
U[X?T?pa? ?p?T?? U[XVCpStC?X?lV

28 /. 5, 46-48
7TO X X ? [X?V?pTt?7T7)?
yXcoaa? [xoi Toi;??(xaT' ?^?t, ?c?pl x??vcov

X?XaS?aai. . .

29 /. 6, 56-59
tc ? a a ? ^v^ay/jo-acro-' *
?(xol Se (xaxpov a p ?t ? ?
OuXaxiSa y?p 3)X&ov, coMo?aa, Ta[xia?
Ilu^?a T? XC?[XCOV Eu?k)[X?
V?t T?* TOV
'Apy??COV TpOTOV
.
?ip7]CT?Tai Tcou x?v ? p a )( ? (7T ? l ?

30 Pae. 7b = fr. 52 h, 10-17

x?XaS7]aa&' ujxvou?,

'OfXT^pOU[Se (XT) T p l ] 71T O V xa:' a (Xa ? t t ? v

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'
tovTs?, ? [ X X a X]X oipiai? ?v* Inno t? ,
?7isi au[ 7r]Tavov ap|xa
Moi(7a[ ][xsv.
?]7tsuxo[[xai] S' O?pavoo t' zxm?nkcp ?-uyaTpi
-
Mva[x[o]au[v]a x?paia? t* s u
[xa x a v ?a v SiS?fxsv.

31 Dith. 2= fr. 70 b, 1-5


u p iv fxsv ipnz axoLvoT?vsi? t' aoiS?
Si&opafx?tuv
xai to a?v xi?SvjXov ?v&p<?>7uoiaivinb
aTOjxarc?v,
Sia7u?7r[T]a[vTai.]_[
xXoicti v ? a i [_s]IS6ts<;

32 fr. 140 b, 11-15

?y<5>[x[
7raupa [xeX[i]?o[xev[
[yXc?](Tcrapyov i[L<p?n <?[v ?pe
JH?o|xai 7rpo? ??T?[v
?X?OU SSX9?VO? U7U?Xpl(TlV...

33 fr. 194
xsxp?TTQTai XPU(T^a x p v] 7Ti ? ispa?aiv ?oiSa??'
e?a Teix??fc>|Asv ^Se toix?Xov
x?ajxov auS?evTa X?ycov

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