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Per Colpa di un Viandante

Ne è passato di tempo. Già, dico, da quando vidi per la prima volta i miei due nuovi canini. Da
allora la ricerca di sangue, l'attenzione a non farmi impossessare dalla Bestia, mi hanno portato fin
qua. E' forse l'anno 1560, ma non badate troppo alla data perché è da tempo che non conto più i
giorni che passano; io, un tempo Konrad Thouvithisti, ora un semplice prigioniero, sono qui
rinchiuso nella prigione di Norberdorf, in Germania. E' notte ormai, ma tanto non fa differenza; qui
il buio è perenne; ma mi rendo conto che la giornata è finita là fuori perché le guardie si sono date il
cambio. Chissà com'è cambiato il mondo là fuori. Chissà se il sole splende ancora, gli uccelli
cantano in primavera, gli alberi cambiano le foglie. Peccato non lo possa più sapere. Ogni volta che
lo chiedo a qualcuno, non riesce a comprendermi. In effetti la mia lingua è molto diversa dal
Germanico, e qui non è conosciuta. Ma ciò non importa. Domani mattina all'ombra del tetto lo
scoprirò. Passeranno a prendermi al sorgere del sole. Che bello sarà. Rivedere la luce del sole, non
il sole stesso, sarebbe dannoso per la mia pelle; all'ombra di un tetto mi terranno, e poi finalmente
metteranno fine a questa stupida vita. Lord Lutark diceva che sarebbe stato bello rivedere la luce del
sole dopo tanto tempo. Lui era il mio vero salvatore. Ma ora che importa pensargli, il tempo passa
molto lentamente. Ma forse ricordare il mio passato non farà altro che far passare il tempo nella
trepidante attesa.
Nacqui proprio a Korbesti, in Romania, venticinque anni fa. Una famiglia povera, la mia. Mia
madre morì di parto quando nacque mio fratello e io avevo 5 anni, mio padre si risposò in seguito e
vendette mio fratello a un mercante che passava di lì per avere i soldi, come lui diceva, per il mio
sostentamento. Di mio fratello non seppi più nulla. La vita scorreva monotona nel mio paesino, ogni
giorno dovevo andare a lavorare la terra per mio padre, mentre lui non era mai in casa. Di
pomeriggio usavo andare da Sveva, una ragazza bellissima che abitava dall'altra parte del villaggio.
Andavamo molto d'accordo, ma non divenne mai la mia ragazza, perché preferiva gli altri nostri
amici. Purtroppo questi non è che la trattassero nel migliore dei modi, e quando suo padre usciva di
casa per lavorare il campo appena fuori il villaggio, lei soleva chiamare tutti quanti a casa sua. Non
seppi mai cosa combinavano; mi trattenevano sempre fuori. Così, ardendo del desiderio di
partecipare anch'io alle loro "riunioni", come le chiamavano, trascorrevo la mia monotona vita,
aspettando il giorno in cui mi avrebbero accettato. Mi lamentavo di tutto ciò, ma verso i sedici anni
trovai una ragione per non farlo più. Una mattina tutto il villaggio fu svegliato dal suono delle
campane. Era un brutto segno: non accadeva mai. Precipitatomi fuori, mi diressi verso la piazza del
paese, e lì trovai tantissime persone riunite attorno a qualcosa. Cercai di farmi largo, e lo spettacolo
che mi si parò davanti sarebbe destinato a cambiare la mia vita. Un uomo, o per meglio dire, la
carcassa di un uomo, era ridotta senza gli arti inferiori, con le braccia in una posizione innaturale, la
testa rivoltata e senza gli occhi, in un lago di sangue; sul petto aveva tantissimi graffi, ma due segni
risultavano più evidenti degli altri: una croce cristiana con sotto scritto "Spiritus Sanctus". Le voci
che giravano, dicevano che si trattava del maniscalco del paese. Lo spettacolo mi rabbrividì, e per
tutto il giorno io, come tutto il villaggio, ci chiedemmo il perché di tanta violenza, e da parte di chi,
o che cosa. Neanche i miei amici e Sveva si trovarono per le loro "riunioni". Il giorno dopo le
campane suonarono per la seconda volta. Un altro cadavere era al centro della piazza. Stavolta si
trattava di una donna, una giovane donna che viveva in solitudine proprio dinanzi le porte della
città. Stavolta mancavano gli arti superiori, e il volto era contratto in una smorfia di paura, quasi
riprendendo fedelmente gli ultimi attimi di vita. Gli arti inferiori erano spariti e sul busto della
donna c'era un'altra croce, con sotto scritto "Jesus". La giornata passò nuovamente in silenzio, tra
mille interrogativi. Quella notte il prete mise sei uomini di guardia alla piazza centrale, e non
accadde nulla, così per 6 giorni. Il settimo giorno le campane furono nuovamente suonate, stavolta
più forte di tutte le altre volte. Lo spettacolo fu più macabro di tutti gli altri: tutti gli uomini erano
stati privati degli arti, della testa e del busto e, presa una parte per ognuno, era stato "composto" un
uomo sulla croce del tetto della chiesto; le altre parti erano sparite. Proprio sopra la porta della
piccola chiesa nella piazza era stata fatta un'altra croce con il sangue e sotto di essa compariva la
scritta "Deus" e poi "video vos peccatores". Tutto ciò non fece altro che segnarmi indelebilmente
per tutta la mia vita. Il villaggio cominciò a spaventarsi molto seriamente, anche perché dopo che il
prete aveva tradotto quelle scritte, e avendo detto che erano scritte da Dio, tutti credettero che Lui
avesse voluto punirli tutti quanti. Ma io sapevo che non era così. Dio non fa queste cose; c'è
qualcuno o qualcosa dietro tutto. Fattostà che non successe proprio nulla per altri sette giorni,
dopodiché nella nostra città arrivò un viandante che diceva di venire dai confini del mondo. Era
vestito in modo strano, con un cappello alto e rosso, e un mantello dello stesso colore, e di sotto
aveva indumenti verdi e blu. Cercava ospitalità, ma nessuno gliela offrì perché nessuno si fidava di
questo; allora per convincere il villaggio, si mise al centro della piazza proprio davanti alla
parrocchia e con le sue orazioni raccolse il favore di gran parte degli abitanti. Lui parlava di una
certa "forza esterna" che infieriva contro di loro, e lui era l'unico uomo in grado di salvarli da tutto
ciò; non li avrebbe salvati nessun Dio, nessuna religione, né tantomeno nessun prete. Disse anche di
essere a conoscenza degli avvenimenti terribili accaduti tempo prima. Li descriveva con una tale
accuratezza, che sembrava fosse stato presente, benché nessuno l'avesse mai visto. Così si accattivò
praticamente tutto il villaggio, e il prete, unico contro il misterioso viandante, fu cacciato dal paese.
Il giorno dopo fu ritrovato il suo cadavere infilzato a mo' di crocifisso proprio sulla porta d'entrata
del paese. Il viandante, di cui mai si seppe il nome, trovò sempre più consensi, mostrando la
macabra morte del prete come segno di questa "forza esterna" che infierisce contro chi è contrario.
Per molto tempo non successe più nulla, la vita ricominciò come una volta, scandita dai soliti ritmi.
La chiesa fu data alle fiamme e al suo posto fu eretto una specie di tempio dove viveva il viandante
che era stato fatto capo della città. Il pomeriggio dopo aver finito il mio lavoro, andavo a trovare
Sveva e parlavamo un bel po', dopodichè arrivavano i miei amici a fare le "riunioni" e io ero
allontanato. Per molto tempo le chiesi cosa era l'argomento delle riunioni, ma lei non me lo svelò
mai. I suoi occhi verdi mi incantavano, i suoi corti capelli biondi poi erano splendidi; sembrava
brillare di luce propria. E lei preferiva i miei amici; ma questi non parevano apprezzare il suo
magnifico volto. Sveva mi ringraziava spesso per i complimenti che le facevo, ma tutto finiva
all'arrivo degli amici. Chissà cos'avrei dato per sapere l'argomento di quelle "riunioni"…
Dopo qualche mese, però, nuovi avvenimenti macabri continuarono a perseguitare il villaggio; un
giorno una ragazza della mia età venne trovata morta dissanguata e sul suo collo diverse impronte di
dita molto forti, e su un lato due stranissime impronte che sembravano impresse da due canini. Un
altro giorno si trovò il cadavere di uno degli amici che si trovavano a fare le "riunioni". Era contorto
in una smorfia di dolore fortissimo ed era stranamente sdentato. Stavolta le impronte di canini non
c'erano. Il viandante stavolta, stranamente, si affrettò a incendiare il corpo appena trovato. La "forza
esterna" sembrava essere tornata, ma ancora una volta il viandante seppe accattivarsi il favore della
popolazione, affermando che solo lui era a conoscenza delle riconversioni al cristianesimo dei due
morti. Intanto le "riunioni" sembravano nuovamente interrotte da questi avvenimenti che avevano
colpito i nostri amici. Ne parlai spesso con Sveva, che adesso era libera tutto il pomeriggio, ma lei
non seppe mai darmi una risposta, chiedendomi di evitare quell'argomento. A me non sembrava
vero che stesse tutto quel tempo con me, ma questo durò per poco tempo. Le "riunioni"
ricominciarono un'altra volta; chissà cosa facevano da non poter rinunciarvi. Il dubbio mi permane
ancor oggi. Solo che dopo che erano riprese, i miei amici erano tutti parsi molto strani, Sveva
compresa, e questo mi dispiacque davvero molto. Ancora una volta in numero 7 tornò a colpire.
Dopo infatti la settima "riunione", ogni giorno venivano trovati nuovi cadaveri al centro della
piazza, infittendo sempre di più il terrore che da un momento all'altro toccasse a ognuno. Spesso
giovani donne erano trovate morte dissanguate con le due impronte di canini su un lato del collo, e
ancora qualche mio amico o anche altre persone completamente sdentati; solo che c'erano vari
particolari che insospettivano il villaggio: chi era sdentato non aveva le impronte dei canini e
viceversa. Sempre più cadaveri venivano trovati nella piazza, e il viandante senza nome sembrava
stranamente sempre più a disagio di questa situazione; tutti gli chiedevano una soluzione, ma gli era
difficile trovare nuove scuse; quando la situazione si fece incontrollabile e una notte lui scomparve
e non si seppe più nulla di lui. La notte si udivano strane grida all'esterno delle case, e ogni volta
sempre più persone dissanguate venivano ritrovate, quasi sempre giovani donne. Le 1000 anime del
villaggio piano piano si erano ridotte a 700; nessuno poteva fare nulla. Tutti erano atterriti dalle
strane figure che passeggiavano sotto la luna. Entravano in una casa e uccidevano i suoi abitanti,
risparmiavano le eventuali giovani donne e il giorno dopo le dissanguavano. Non vennero più
trovati corpi sdentati, ma solo corpi con impronte di canini. Molte persone scomparvero nel nulla e
di loro non si seppe più niente. Ogni mattina la porta del villaggio era trovata aperta. La situazione
era praticamente indefinibile. Da quando erano riprese le "riunioni" non frequentavo più Sveva. Un
giorno decisi di tornare a trovarla, ma non c'era più nessuno; né i miei amici; né lei. Dove erano
finiti? Sempre più cadaveri erano trovati le mattine, fino, con l'andare avanti del tempo, a ridurre il
paese a solo 200 anime terrorizzate che avevano paura di fuggire da quel luogo; infatti si sospettava
che le strane figure viste di notte vivessero nel bosco circostante, visto che la mattina il portone del
villaggio era sempre trovato aperto. Ormai più nessuno si dedicava alle sue attività, da tantissimo
tempo. Tutti erano barricati in casa. Nessuno dei sopravvissuti sapeva della sopravvivenza dell'altro
e ognuno pensava ormai solo a sé e nessuno si preoccupava del riconoscimento dei corpi ogni
mattina. La situazione era proprio disastrosa. Vivevo attimi di terrore intensissimo, ma ero infondo
insieme a mio padre e alla mia matrigna. Loro dicevano che niente ci avrebbe potuto dividere.
Invece un evento, forse il più terribile che mi sia mai accaduto, rinnegò quest'affermazione.
Era già notte inoltrata, sonnecchiavo nel mio letto, stando però sempre in guardia se qualcosa di
male fosse accaduto. All'improvviso qualcuno bussò alla porta per tre volte. Mi alzai velocemente
in preda al terrore. Feci un passo e vidi mio padre con un bastone in mano che stava scendendo le
scale per andare a vedere cosa fosse; sarei dovuto andare anch'io insieme a lui, invece il timore
incessante mi fece rimanere nascosto dietro la porta della mia stanza. Infatti io dormivo in uno
stanzino al piano terra proprio a fianco la porta, mentre mio padre e la mia matrigna al piano di
sopra. Mio padre si avvicinò alla porta e sembrò che tutto fosse finito, invece una mano sfondò il
legno resistente della porta e la bucò come fosse stata di burro. Fu un evento che aumentò il terrore
che già avevo. Mi gettai sotto il letto. Eventi terribili si susseguirono a quello, sentii le urla disperate
di mio padre che invocavano il mio aiuto, che però non sarebbe mai arrivato; da sotto il letto vidi il
corpo di mio padre cadere esanime a terra in un lago di sangue e fu trascinato fuori. Forse 4 bestie
entrarono nella mia casa, ma dai loro piedi sembrava avessero aspetto umano, non animale come
credevo. Una di esse entrò nella mia stanza; io riuscivo a stento a soffocare le mie lacrime, che
ormai mi rendevano incapace di fare il più minimo movimento. Vedendo che non c'era nulla, vidi
che a passi lenti si allontanava e saliva le scale insieme agli altri quattro. Dopo pochi minuti sentii
anche le grida disperate della matrigna che invocava il mio aiuto; ma io ero ormai paralizzato da
quegli eventi terribili. Ma in un attimo quelle grida divennero sempre più sommesse, fino a essere
soffocate. Le "cose", prima di andarsene, lasciarono tutto a soqquadro; forse l'intervento divino non
ha fatto loro ribaltare il letto sotto cui ero nascosto. Dopo un po' i versi strani che emettevano si
fecero sempre più lontani, e io rimasi paralizzato fino al sorgere del sole. La mattina naturalmente
nessuno uscì dalle proprie case come sempre, rimanevano tutti barricati in casa con le finestre
chiuse. La città era deserta e ovunque si trovavano cadaveri di uomini e donne con quelle strane
impronte sul collo, e le case disabitate erano quasi tutte ridotte a un disordine totale. I sopravvissuti
ormai erano rimasti in pochi. Quel giorno vagai senza meta e senza ragione per tutto il paese,
chiedendo invano che qualcuno mi ospitasse. Ero in uno strano stato mentale, che oggi ricordo solo
vagamente quei momenti in cui camminavo per la città e non ricordo neanche più la ragione per cui,
aspettando la notte, rimasi nella casa disabitata e messa a soqquadro di Sveva. Aspettavo lì la morte,
che sentivo sempre più vicina e imminente. Mi calmai, e verso il pomeriggio mi distesi sul letto di
Sveva e lì sonnecchiai fino a sera inoltrata.
Quella notte era tutto terrificante come sempre, le urla però erano sempre di meno, perché i
sopravvissuti erano rimasti in pochi. Sembrava che niente fermasse quelle bestie dall'aspetto
umano, ed faceva rabbrividire l'idea che tutti quanti eravamo destinati a una morte inesorabilmente
uguale, con quelle strane impronte sul collo. Le urla e i versi strani cessarono a un certo punto, e
quasi rimasi sorpreso che la morte non fosse toccata a me; ma era ancora presto per cantare vittoria.
Quando ormai tutto era finito, uno di quegli essere entrò nella casa. Naturalmente sentivo solo i suoi
passi, perché ero rimasto nascosto ancora una volta sotto il letto, e mi coprivo gli occhi per non
vedere. Ma d'un tratto i passi cessarono, per poi riprendere più veloci e verso il posto dove ero
nascosto. Ancora una volta rivivevo gli attimi di terrore vissuti la sera prima nella mia casa. Ma
questa volta la bestia non si fermò. Levai le mani dagli occhi quando i passi cessarono nuovamente,
e stavolta il terrore raggiunse la massima punta e le lacrime non mi scesero più. La mia mente non
esisteva più, esisteva solo la figura orripilante che mi si parava davanti. Una faccia mi fissava tanto
spaventata quanto me, e dopo un po' mi fece un sorriso diabolico; c'era qualcosa di strano: aveva i
canini pronunciati come quelli di un animale; ma qualcos'altro mi terrorizzava maggiormente:
quella bestia china che mi sorrideva era Sveva. Sgusciai via dal posto dove stavo e mi precipitai
fuori. Lei però mi raggiunse: stranamente, possedeva delle doti amplificate, era più veloce del
solito; sentii che aveva una forza sovrumana nelle mani quando mi fermò, che quasi sembrava
volesse staccarmi il braccio. Cercava di raggiungere il mio collo, ma la paura permetteva anche a
me di aumentare la mia forza, e alla fine le mollai un pugno fortissimo sul volto. Sembrò però
calmarsi dopo il colpo. Mi guardò, tremò, poi scoppiò a piangere. Finalmente sembrava che le sue
stranezze fossero sparite, e sembrava tornata alla normalità. Dopo aver smesso di piangere, mi
abbracciò e mi strinse forte. Io non riuscivo più a capire niente; avrei voluto comprendere tutti quei
comportamenti strani, quegli atteggiamenti, ricollegare tutto quello che succedeva. Ma non ci
riuscivo; dopo un po' lei mi parlò. "Konrad, scusami per quello che ti ho fatto; la bestia si è
impossessata di me; non ho capito più niente, non ero più padrona delle mia azioni. Avevo ucciso
troppo; un giorno, forse, capirai, ma spero che questo giorno non arrivi mai per te". "Spiegati
meglio" dissi, e lei "Konrad, ora non sono più una tua simile, sono una creatura della notte…"; io
cercai spiegazioni, ma mi ripeté che un giorno capirò. "Non c'è niente che possa fare per te?" chiesi,
e lei disse "No, lasciami stare così come sono. Non potrai farci più nulla. Addio" e se ne andò. Ma a
dopo pochi passi ritornò da me e mi abbracciò una seconda volta, piangendo più fragorosamente di
prima e dicendo "Aiutami, amico mio, ti prego, tu solo puoi farlo!!!". Questo suo cambiamento
d'animo mi colpì. Continuò "Konrad, vieni con me, stai con me, fammi compagnia!!! Sono da sola,
lì tra quelli che una volta erano i nostri amici!! Mi manchi tu!!! Ti prego…" poi tacque, e disse più a
bassa voce "…è l'unico modo che ti resta per rimanere su questo mondo… Konrad, vieni con me,
aiutami". Ancora non riuscivo a trovare una spiegazione e lei, vedendo che io rimanevo in silenzio,
mi disse "Ora ti racconterò…" e cominciò la storia che non avrei mai voluto sentire.
In una delle ultime "riunioni", gli amici avevano trovato uno di loro molto diverso dal solito; aveva
dei canini pronunciati, che quasi non riusciva più a parlare. Ogni volta che vedeva dell'aglio, si
spaventava. Glielo chiesero cosa gli fosse successo, ma lui disse che neanche lui era a conoscenza
della ragione. Il giorno dopo venne trovato morto e senza i denti. Era il cadavere che era stato poi
bruciato dal viandante. Quando poi le "riunioni" ripresero, un altro amico fu trovato con i canini
pronunciati. Quella riunione fu terribile: questo amico morse sul collo tutti quanti, Sveva compresa,
e a tutti loro spuntarono i canini affilati. Ecco perché l'avevo trovata molto strana negli ultimi
periodi. Era diventata anche lei una creatura della notte, una "vampira". Questa parola, che avevo
sentito solo da piccolo quando era viva ancora la mia vera madre, quando mi raccontava le storie
prima di andare a dormine, mi colpì molto: sembrò che gli esseri terrificanti di quelle fiabe
prendessero vita, e andassero a colpire la creatura che proprio non avrei mai voluto a questo mondo:
Sveva. Mi disse che da allora il viandante cominciò a uccidere piano piano tutti quanti loro, ma loro
"abbracciavano", come diceva lei, altre persone. Però essi non si limitavano solo a far diventare
sempre più persone come loro simili, bensì altre le uccidevano dopo aver succhiato da loro tutto il
sangue che avevano in corpo; infatti loro avevano bisogno di sangue per sopravvivere, ma
succhiavano anche il sangue che non gli serviva solo per il gusto di farlo, per il gusto di veder
soffrire la gente. Solo lei rimaneva in disparte. A furia di uccidere innocenti, i vampiri erano
diventati sempre più "bestie", come diceva lei, e avevano ormai perso quasi tutto dell'umanità, e il
viandante cercò di contrastare la loro riproduzione; ma quando vide che non poteva più fare nulla
ormai, se ne andò dalla città. Tuttavia le rimanevano sempre i dubbi di perché il viandante avesse
cercato di vampirizzare un ragazzo per poi diffondere i vampiri in tutto il paese, perché queste
erano le sue intenzioni, ma vedendo che c'erano sempre più cadaveri che vampiri, se n'era andato.
Quindi, dalla sua partenza improvvisa, loro si erano nutriti del sangue degli abitanti, uccidendo
chiunque. Solo lei, unica ragazza tra di loro, era rimasta più umana. Infatti, come mi disse, quando
un vampiro uccide un innocente, la bestia comincia a impossessarsi del corpo, portando via
l'umanità. E quando la bestia s'impossessa completamente, allora lì è la loro vera morte, perché non
diventano più padroni delle loro azioni e pertanto possono facilmente suicidarsi. Lei, dalla
personalità forte, aveva sempre combattuto la bestia che era in sé, al contrario degli altri. E quando
le avevo inferito il pugno, aveva preso coscienza di sé. Se avessi trovato un altro, di certo non mi
avrebbe risparmiato. Loro non muoiono mai, tranne quando appunto la loro umanità è a 0 e la bestia
è in possesso di loro. Quando per esempio accade loro qualcosa che a un umano costerebbe la
morte, loro cadono in uno stato di torpore, in cui si addormentano, e solo un loro simile può
risvegliarli. Hanno poteri straordinari, possono guarirsi senza erbe speciali, possono lanciare palle
di fuoco, rendersi invisibili, aumentare la loro potenza, velocità, ma tutto ciò costa sangue, che
dev'essere sempre a un buon livello, per non entrare nella frenesia, perdendo così ogni padronanza
di sé stessi e arrivando anche a uccidere i loro simili.
"Konrad, io laggiù sono da sola, sono tutte bestie! Non sai cosa mi fanno passare! Un giorno,
quando saranno completamente fuori di testa, uccideranno anche me!!! Ma se scappo e cerco
rifugio da qualche parte, mi uccideranno! Noi vampiri siamo perseguitati dagli umani… ti prego, se
invece tu verrai al mio fianco, vivremo insieme, senza uccidere nessuno. Non saremo mai toccati
dalla morte, io e te, per sempre!!!" Avrei voluto che questo discorso me l'avesse fatto tanto tempo
fa, quando ancora tutto era normale. Invece era adesso. Davanti a me si aprivano due strade: la via
dell'umanità, ma con una morte imminente da parte dei vampiri, oppure Sveva, il vampirismo, la
vita eterna, la dipendenza dal sangue. Non potendo far altro che seguire il mio cuore, decisi di
seguire Sveva. Sentii così i suoi canini mordermi sul collo e piano piano sentii che nel mio corpo
qualcosa cambiava, sentivo dentro qualcosa di strano, e all'improvviso, quando il suo dolce morso
finì e i suoi denti si allontanarono, le sue braccia continuarono a stringermi. Io non mi sentii più mè
stesso, la vista cominciava a mancarmi, sentivo una gran voglia di riposare, ma fu uno stato che
durò solo poco tempo, dopodiché mi gettai alla sua mano e uno strano istinto mi spinse a succhiare
da lei il sangue che mi era necessario. "Grazie Konrad" disse lei. Forse non sarei più stato un essere
umano, ma potevo guardare a un futuro con la ragazza dei miei sogni. Ma purtroppo non sarebbe
stato così. Un vampiro da dietro di lei comparve all'improvviso e le conficcò una spada nel torace.
Lei mi guardò con aria spaventata e insieme stupita, si guardò la pancia e, dopo avermi guardato per
l'ultima volta, crollò a terra. Mi ritrovai davanti al vampiro che aveva ucciso Sveva, il suo sguardo
era di fuoco, aveva uno stranissimo aspetto, pieno di graffi e bruciature, come fosse stato percosso
molto violentemente; forse era un vampiro senza umanità. "Ciao, Konrad, benvenuto fra noi!" mi
disse, sorridendo in una smorfia terrificante. Stavolta però non rimasi immobile e scappai più veloce
che potevo per raggiungere le porte della città; era molto difficile, perché ero ancora abbastanza
debole. Quel vampiro non mi raggiunse, e io trovai riparo nel bosco fino all'alba ormai imminente,
quando all'ombra di un faggio, il sonno prese il sopravvento sulle lacrime e mi addormentai
profondamente.
La mattina seguente, mi ritrovai in un castello. Era molto lontano dal luogo in cui vivevo. Si trovava
su una montagna da cui si godeva un bellissimo panorama. Ero disteso in un letto molto sfarzoso, di
tessuto rosso. Dopo un po' cominciai a ricordare con fatica gli eventi della notte passata, senza
preoccuparmi troppo del luogo in cui mi trovavo. Ricordai ancora una volta il sorriso del vampiro
che aveva ucciso Sveva. Che cose terribili, pensai. Ma i miei pensieri furono interrotti dall'entrata di
un uomo nella stanza. Aveva i capelli molto scuri, una carnagione abbastanza pallida e un paio di
canini pronunciati almeno quanto i miei. Dall'abbigliamento si poteva facilmente capire che era un
nobile. "Salve Konrad" disse "benvenuto nella mia umile dimora; sono Lord Lutark". Rimasi
allibito dal fatto che quell'uomo che non avevo mai visto conoscesse il mio nome. Gli chiesi come
faceva a sapere il mio nome, ma mi rispose che era tutta una lunghissima storia; lui era praticamente
un supervisore della zona in cui vivevo e era la maggiore autorità. Le verità terribili che mi rivelò
mi colmarono il cure di stupore, sorpresa, ma insieme una rabbia quasi irrefrenabile fu la mia
compagna per molto, molto tempo. Per la prima volta nella mia vita conobbi il mio destino: avrei
dovuto per sempre dipendere dal sangue come da una droga, dovevo ripararmi dalla luce del sole,
dovevo abituarmi a sentire quelle presenze ingombranti dei miei canini pronunciati per il resto della
mia vita, o per meglio dire, fin quando qualcuno non mi avesse ficcato un paletto di frassino nel mio
cuore ormai macchiato per l'eternità. Avrei potuto morire in moltissimi modi, in battaglia per
esempio, per poi essere ricordato nei secoli a venire, morto valorosamente; avrei potuto morire per
difendere la mia consorte, e rimanere nel suo cuore e per venire onorato da lei e da tutti i miei
conoscenti. Invece ora, per amore della ragazza che avrei voluto a fianco a me, ero costretto a patire
solo dolori per il resto dell'eternità, fino a che qualcuno non avesse messo fine alla mia vita nel
modo più doloroso e vigliacco possibile. Lutark disse che non poteva ancora rivelarmi la vera storia
e i motivi della perdita di tutti i miei compaesani e dei miei familiari; ma sapevo che non lo faceva
perché aveva conosciuto la mia impulsività e la mia facile inclinazione alla rabbia quando mi aveva
spiegato cosa avrei dovuto fare per il resto dell'eternità. Gli chiesi se per caso conosceva una certa
Sveva, ma mi rispose che non ne era a conoscenza; quella ragazza mi era in testa e non riuscivo a
levarmi quell'incubo dalla testa, per causa sua ero diventato un vampiro, per stare con lei per
sempre, e ora lei non era con me. La mia permanenza con Lord Lutark fu molto lunga, passavo il
mio tempo a colloquiare con la servitù, ad imparare le arti della guerra dai suoi più fidati sudditi.
Lord Lutark infatti non era un vero e proprio regnante, ma come diceva lui, un "supervisore
segreto". Lui era in possesso di un castello cupo e isolato, dove pochi esseri umani osavano arrivare,
e controllava una vasta area circostante; non comandava però gli essere umani, bensì i vampiri
come me, come lui, e come tutta la sua servitù. Tramite i suoi fidati, sapeva sempre tutto ciò che
accadeva nel suo dominio; puniva chi si meritava punizioni, premiava chi aveva dei meriti. E come
lui c'erano tanti altri supervisori e tanti altri domini come il suo. E sopra di lui moltissime altre
autorità a cui lui doveva fare rapporto. Insomma, venni a conoscenza di un mondo vastissimo e
nascosto agli occhi e alle menti di tutti, e la cosa mi impressionò molto. Con Lord Lutak passai 4
anni; avevo 20 anni, ma il mio aspetto non era minimamente cambiato, come è per tutti i vampiri. Io
però divenivo sempre più inquieto, perché era una grandissima monotonia vedere sempre tutto
uguale: certo, le persone che erano diventate care non le avrei mai perse, ma ugualmente la ricerca
del nuovo a cui mai sarei potuto arrivare mi rendeva sempre più triste e nervoso: non ero disposto
ad accettare il mio destino. Finché un giorno decisi che se nessuno avesse pensato a mettere fine
alla mia ormai inutile vita, ci avrei pensato io. Paletti di frassino nel castello naturalmente non ce
n'erano, per cui ne andai alla ricerca all'esterno, nei boschi e nei prati delle colline circostanti. Era la
prima volta che osavo dirigermi così tanto fuori dal castello, e Lutark ne rimase molto sorpreso…
Tuttavia riuscii benissimo a nascondere le mie reali intenzioni: loro non mi avrebbero più visto. E
fui proprio così. O meglio, io non li avrei più visti. Quel giorno infatti andai fino quasi alle porte di
un piccolo paese vicino, dove c'era un piccolo boschetto, per cercare qualche frassino. Era
naturalmente notte, ma la mattina sarebbe spuntata nel giro di 4-5 ore; per quel tempo avrei dovuto
trovare riparo. Ma un gran chiasso proveniente da dentro le porte mi stuzzicava a chiedermi che
cosa stesse succedendo, ma non osavo avvicinarmi perché ero a conoscenza dell'ostilità degli umani
verso i vampiri. All'improvviso le porte si aprirono violentemente e ne uscì fuori un'orda imbufalita
di umani che portavano fiaccole e torce; erano un paio di centinaia, e in gruppo una ventina di
uomini portava un grosso legno con la testa di ariete, per sfondare la porta di qualche cosa… La
curiosità mi spinse a seguirli da lontano. Ma quale castello avrebbero dovuto assaltare, per quale
motivo? Un dubbio cominciò ad assalirmi, che si trattasse del mio castello? La strada che facevano
era proprio la stessa che avevo percorso prima. Finchè arrivarono proprio al castello di Lutark.
Rabbrividii all'idea di vedere il castello in fiamme. Ma cosa poteva spingere queste persone ad
essere così arrabbiate con Lutark? Cosa poteva aver fatto? Non li comandava. Non aveva alcuna
autorità su di loro. Eppure un sentimento di rabbia fortissimo sembrava muovere quelle persone. La
porta del castello venne distrutta, e mi girai per non guardare quello che sarebbe successo… E
mentre tutti i miei amici morivano, io nuovamente ero l'unico a sopravvivere, ma stavolta come un
vigliacco non muovevo un dito per aiutarli, e non ebbi neanche la forza di andare a morire anch'io
insieme al mio salvatore Lutark e a tutte le persone che mi erano state vicine. Tuttavia il sentimento
che mi aveva portato a uccidermi, ora era completamente svanito. Avevo una ragione per vivere
adesso. Dovevo vendicare tutti quanti, uccidendo tutti gli umani di quel villaggio. Era una promessa
che feci. Anche perché Lutark era molto contrario al fatto di morire senza motivo. Io invece sarei
morto con un motivo, almeno. Si stava facendo giorno, trovai riparo nuovamente nel bosco. Lutark
e tutta la servitù sopravvissuta furono fatti prigionieri fino al giorno seguente, quando furono portati
in mezzo alla piazza, legati, sotto il telo di una carrozza, e poi lasciati lì ad ardere alla fatale luce del
sole. Che momenti terribili, gli ennesimi che mi ritrovavo a vivere. Oramai ero un uomo senza più
fede in Dio, perché ora lui mi aveva abbandonato, costringendomi a una vita eterna piena di soli
dolori? Tuttavia, la mia fede ora era riposta nella vendetta, che sarebbe dovuta essere il più
sanguinosa possibile… Rimasi nell'ombra del bosco attiguo al paese per circa un mese, a riposare e
a riflettere. Finché una notte non mi decisi di entrare nel paesino e fare strage. La notte era
abbastanza gelida, tutti dormivano nelle proprie case e nell'aria c'era un'atmosfera spettrale, ma
ormai vi ero abituato, dato che già una volta l'avevo vissuta, ma ora stavo dalla parte del cattivo.
Tutto d'un tratto però sentii dei gemiti arrivare da un angolo della strada. Pensai a una persona,
quindi mi preparai a un imminente inizio di vendetta. Svoltai la casa dal cui retro venivano questi
gemiti, e tentai di prepararmi ad essere il più pauroso e orribile possibile. Ma la paura, una tremenda
paura, fui io ad averla. Un uomo, o meglio una cosa, stava succhiando il sangue a una bella ragazza
di almeno 15 anni, che gemeva invano e tentava di liberarsi dalla tremenda stretta mortale. L'uomo
la cingeva sempre più forte, ma lei ugualmente muoveva forte le braccia per sfuggire al suo destino.
Tuttavia le scrollava sempre meno, imprimendo sempre meno forza, finché mi vide, mi chiese aiuto
con gli occhi, poi subito li richiuse e fu gettata a terra dall'uomo. Conclusi poi che uomo non era.
Due pupille con una luce verde e intensissima all'interno mi guardarono, e quel vampiro mi chiese
con l'aria più terribile "Che cosa ci fai qui?", e con una voce che faceva letteralmente rabbrividire.
Ma ricordava qualcuno… Sì, ora avevo capito, era uno molto ma molto simile al viandante che
aveva portato scompiglio e sventura nel mio paese. Ma non era lui, era più alto. La paura però non
ebbe il predominio su di me, e gli chiesi che era lui. "Sei al cospetto di Argil di Tremere" disse
quello. "Cosa dici??" chiesi subito; subito dopo mi ricordai di quel nome, i Tremere. Erano un clan
formato soprattutto da maghi, e i capi anziani avevano come tunica ufficiale proprio gli abiti del
viandante, che ora riuscii a capire che era anch'egli un vampiro… Un cappello alto rosso, un
mantello lungo dello stesso colore e abiti verdi e blu. E quindi ecco perché riusciva a spostarsi
anche di giorno, perché i capi anziani ne erano capaci, come anche Lord Lutark. "Sei un Tremere
anche tu, vero?" mi disse lui. Io tuttavia risposi "No, Camari", perché fu proprio Lord Lutark a
dirmi che se un giorno mi si fosse chiesto di quale setta ero, avrei dovuto pronunciare proprio quel
nome, e non stette a dirmi il motivo. "Si, si, tutti dicono così. Camarilla a destra, Camarilla a
sinistra, ma noi Tremere possiamo essere indipendenti da quei folli. Siamo molto meglio, noi. No,
no, sei un Tremere. Io sono un tuo capo anziano, Argil, qualcuno ti avrà di certo parlato di me, di
sicuro" disse quello, con la stessa voce che faceva rabbrividire. Tuttavia cominciai a calmarmi, però
senza riuscire a dire nulla; tante verità e stranezze mi si erano presentate fino a quell'ora, e
raramente riuscivo a parlare. Argil mi portò con lui per le vie del paese, e mi disse "Sai, quante
belle donne possono soddisfarci…". A quelle parole degne del peggiore maniaco non riuscii a
rispondere. Entrò poi in una delle case e io rimasi fuori, tornai a sentire le grida di terrore che anche
i miei genitori avevano prodotto, e ne dedussi che altre vite umane innocenti erano state sacrificate.
Dopo un po' ne uscì con un'altra ragazza che aveva avuto circa la mia età apparente, 15 anni. Era
molto carina, ma il suo bel viso era rovinato dalle smorfie di terrore che aveva guardandomi e poi a
quelle di dolore per la stretta di quel folle Tremere, che le cingeva fortemente la vita, quasi godendo
della sua sofferenza, e dopodichè, porgendola verso di me, me la offrì. Io, sdegnato da quel modo di
trattare un essere umano, risposi con un secco no, e pregai il Tremere di non uccidere la ragazza,
che ormai aveva capito dai miei occhi che io non ero cattivo. Tuttavia continuava sempre a
chiedermi aiuto, ma ormai non c'era più nient'altro che avrei potuto fare. Dopo essersi leccato i
canini, Argil addentò la fanciulla che nel giro di tre minuti, benché agitandosi fortemente, morì e fu
gettata a terra inerme. "Vedi, così si devono trattare. Fammi vedere ora tu cosa sai fare…". E
proseguì con altre sue considerazioni sulle donne e soprattutto su quelle giovani come me, con cose
indicibili che è male esprimere. Quelle stesse parole però cominciavano a farmi arrabbiare, sentivo
dentro di me una forza sconosciuta spingermi all'ira; non potevo più tollerare le insinuazioni
maniache di quel Tremere. Quasi come se mi avesse letto nella mente, cominciò a capire io cosa
intendevo, e intuì che stavo per scatenare la mia irrefrenabile ira. Allora cercò di calmarmi, ma non
poté far nulla, anzi mi incoraggiò e mi stuzzicò quasi a voler vedere le mie reali potenzialità. Finchè
dissi basta, alzai la mano, e dal mio palmo aperto uscì una palla di fuoco che andò a colpire Argil
proprio sul petto. Lui cadde a terra stordito. Io mi riebbi, e non riuscivo a capire come diavolo
avesse fatto quella palla di fuoco a comparire dal mio palmo… Quando anche il Tremere si rialzò,
io rimasi impaurito da quello che sarebbe potuto accadere, ma mi disse, sempre con quei suoi occhi
con la luce verde, "Bravo, ragazzo", agitò le mani e lanciò qualcosa come una polverina a terra. Si
alzarono tante piccole palline rosa, che cominciarono a girare in cerchio. "Vai, che ho vinto la
scommessa", mi disse Argil, e io lo ascoltai. Entrai nel cerchio, e in un attimo mi trovai in una cella
illuminata ma stretta, con intorno a me ancora quelle palline rosa; uscii dal cerchio che formavano,
e in un attimo tornarono a terra tutte quante per poi scomparire. Non mi rendevo proprio conto degli
eventi che stavano accadendo, né tantomeno di quella "scommessa": cosa avrebbe mai potuto
significare? Non venne nessuno quella notte in quella cella in cui ero stato teletrasportato. La
stanchezza derivata dalla successione degli eventi che il mio cervello aveva dovuto subire fu tanta e
mi immersi in un inquieto sonno.
Il giorno seguente alcuni servi mi svegliarono velocemente e mi condussero un po' bruscamente
attraverso tutto la struttura sopra la mia cella, facendo attenzione naturalmente a non passare alla
luce solare: un intero edificio gigantesco, un castello, che sembrava molto più grande di quello di
Lutark. Arrivati in un atrio gigantesco e rettangolare, mi lasciarono e si fermarono sulla soglia. Lì
c'era un tappeto rosso a terra, e alzando lo sguardo, vidi a circa trenta metri da me un trono, e un
uomo seduto. Era la personificazione del tipico mago cattivo delle favole: aveva i capelli scuri e
tirati all'indietro, un mantello nero, con del trucco bianco in volto e gli occhi scurissimi delineati da
un tratto scuro come gli occhi. "Vieni, Konrad, vieni dal tuo Padrone" disse l'uomo seduto "sono il
Principe Fardeln di Tremere, il grande Principe e Padrone di tutte le cose che vedi attorno a te".
Così mi avvicinai a lui. "Tante verità dovranno esserti rivelate" continuò "tra cui cose indicibili che
tu neanche ti portai immaginare; ma prima ti prego di assistere a quest'osceno spettacolo,
confratello Tremere". In quel momento altre due guardie avevano appena portato un altro Tremere;
era proprio il viandante del mio villaggio! Aveva un'aria preoccupatissima, ma quando mi vide, i
suoi occhi si colmarono di rabbia, e quasi rabbrividii. Ma sapevo che la situazione era tutta sotto
controllo. L'uomo gridava per slegarsi dalle guardie che lo trattenevano. Non avrei mai pensato però
che un Tremere avrebbe potuto fare a un confratello quello che avrebbero fatto al "viandante".
Infatti insieme al Principe fummo condotti fuori, nel cortile del castello, e lì Fardeln mi consigliò di
rimanere all'ombra, mentre lui si mosse senza alcun problema anche al sole. Il "viandante" che si
dimenava fu portato al centro del cortile, e lì fu torturato da diverse magie inflitte dal suo boia.
Tantissime torture dovette subire, perché era trattenuto in vita da potentissime magie che gli
impedivano di morire; nel frattempo veniva calpestato, picchiato, e gli furono inflisse pene
indicibili. Poi un'altra magia gli tolse la facoltà di muoversi alla luce solare senza patire alcuna
scottatura, e morì ardendo e con un paletto di frassino nel cuore. Il Principe mi condusse poi con
macabra felicità nuovamente al suo cospetto, e con una solenne cerimonia mi ripresentò Argil, che
ora mi guardava con serenità e non più con quell'aria cupa della notte precedente. Da lì poi mi
portarono in un'altra stanza, dove fui lasciato da solo insieme al Principe e ad Argil. Ci sedemmo a
un tavolo forse spropositatamente grande per il numero di persone sedute in quel momento. Il
Principe allora cominciò a parlare, e quelle verità nascoste mi vennero finalmente rivelate, ma avrei
preferito non averle mai conosciute. Tempo prima, due anziani Tremere litigarono per la
possessione di una schiava umana. I due erano appunto Argil e il "viandante", e mi fu rivelato il suo
nome, Dakunroh. I due maghi Tremere litigarono così tanto, che la loro competizione fu portata
direttamente al Principe della città dove vivevano, in Germania, dove anche ora io mi trovavo.
Fardeln, non sapendo proprio a chi concedere l'umana, decise di consultare la sua magia, e dopo un
giorno ordinò ai due di fare una scommessa. Chi avrebbe vinto avrebbe avuto la schiava, chi invece
avrebbe perso, sarebbe stato torturato e fatto ardere. Chi dei due avrebbe vampirizzato più esseri
umani, avrebbe vinto; nessuno, però, dei nuovi vampiri avrebbe dovuto attaccare in alcun modo i
due partecipanti. Furono così mandati Dakunroh e Argil in Romania, e lì ognuno di essi scelse un
villaggio da cui cominciare. Dakunroh venne proprio a Korbesti. Lì cominciò dapprima a uccidere
persone innocenti, per far credere che fosse stato addirittura il dio in cui essi credevano. Quando si
presentò e parlò così minuziosamente di tutti gli eventi accaduti, assecondò il villaggio che lo mise
a capo della città, cosicchè sarebbe stato più facile per Dakunroh vampirizzare piano piano tutti gli
abitanti. Solo il prete gli era contro, e provvide a eliminarlo, dando prova che c'era qualcosa di
celeste sotto tutto. I suoi crediti accrebbero e fu sempre più considerato come un santone. Però, per
le smanie di grandezza tipiche di alcuni Tremere, decise di far soffrire piano piano tutti quanti e
vampirizzò un solo umano, che come ricordai anche io, era proprio un membro delle "riunioni".
Nonostante i loro grandissimi poteri, non sapevano neanche loro l'argomento di queste "riunioni".
Questo avrebbe poi dovuto vampirizzare sempre più persone, e piano piano tutto il paese. Ma il
ragazzo fu impossessato dalla Bestia, e una notte uccise una sua giovane amica. Il "viandante" ne
rimase sorpreso e decise di eliminare il vampiro, sdentandolo in modo che nessuno potesse scoprire
che era un vampiro dai suoi denti. In seguito vampirizzò altre persone, ma le conseguenze furono
sempre le stesse: questi, invece di vampirizzare, uccidevano solamente. Quando la situazione
divenne incontrollabile, il viandante scappò a cercare qualche altro villaggio. Ora la spiegazione di
questi eventi strani mi chiarì tutti i dubbi che avevo. Io ero rimasto uno degli unici a non essere
vampirizzato, poi però la situazione degenerò e anche io diventai un vampiro per mano di Sveva.
Questi racconti però non fecero altro che aumentare la mia ira nei confronti del mio stato attuale; mi
si raccontò anche di Lutark. Egli, in visita al villaggio perché venuto a sapere degli eventi terribili
accaduti, mi trovò e mi portò da lui. Dopo quattro anni, quando evasi e raggiunsi l'altro villaggio, lì
c'era stato proprio Argil, che si era fatto credere anche lui un altro santone, convinse il popolo a
uccidere Lutark, per accrescere la sua reputazione di salvatore. Quando poi settimane dopo lo
incontrai, lui capì subito che ero stato vampirizzato da un altro vampiro di Dakunroh, e mi incitò a
colpirlo, cosicchè lui avrebbe vinto la scommessa. Quando lo colpii, mi trasferì proprio in questo
castello, per essere presente alla sua vittoria.
Questo racconto però accrebbe di molto la mia ira, ma fu placata dagli incantesimi di Fardeln.
Capita forse la mia impulsività e la mia rabbia, mi convinse a restare da lui, così da non trovarsi un
Tremere senza controllo all'infuori del suo principato. Vissi così per un po' di mesi con Fardeln e la
sua servitù, ma i tempi non furono più come quelli a casa di Lutark; i Tremere non erano per nulla
buoni, ma io stavo con loro perché non avevo altra parte in cui andare; i Tremere mi tenevano anche
sotto controllo con i loro incantesimi, ed era lìultimo dei miei pensieri mettermi contro la volontà di
Fardeln. Venni a conoscenza di segreti di corte che interessavano solo quel castello e quel Principe:
infatti, benchè la Carmilla avesse ordinato a tutti di non compiere strani esperimenti, in quel castello
gli esperimenti venivano comunque effettuati, e talvolta si creavano esseri terribili. Un giorno però
arrivò a corte una bella ragazza, una vampira, che aveva circa la mia età. Era bionda con gli occhi
verdi, ma era sempre ricoperta da un velo. Disse che era di passaggio in Germania solo per pochi
giorni, poi sarebbe tornata in Italia, da dove diceva di venire. Non rivelò però il suo nome. Benchè
avesse avuto appunto un velo, ne fui attratto non poco, anche perché mi ricordava molto Sveva; ma
non poteva essere, l'avevo lasciata nel villaggio, perché era stata trafitta da un altro vampiro. Però il
dubbio mi rimaneva, e volli chiarire tutto con lei, per scoprire la sua vera identità. Un giorno, così,
mentre tutti dormivano, andai nella sua stanza con la speranza di trovarla sveglia: ma nel suo
giaciglio non c'era. Pensai dapprima di ritornare nel mio, ma non ne avevo molta voglia e allora
decisi di farmi un giro per il castello, magari l'avrei trovata. Non c'era da nessuna parte. Tuttavia
quando passai vicino la porta della stanza dove si verificavano gli esperimenti clandestini, la trovai
aperta. Forse era lì? E infatti quando la aprii, trovai proprio quella ragazza!!!! Sentì i miei passi, e si
girò in preda allo spavento; e la sorpresa fu davvero grandissima e bellissima: era proprio lei era
Sveva!! Ma se al primo attimo avrei voluto abbracciarla perché la credevo morta, subito dopo decisi
di non farlo; lei mi fece venire in mente brutti ricordi, di quando accettai di diventare quello che ora
sono per vivere sempre con lei, ma questo non fu accaduto; decisi così di andarmene nel mio
giaciglio. Lei però, credendo che avrei potuto dire a qualcuno della sua intrusione, corse subito
verso di me e mi abbracciò, e si mise a piangere. Non fui per nulla commosso, tuttavia mi girai, e le
dissi solo "Perché?". E lei disse "Scusa, Konrad, non volevo… quella volta…."; "No, ti prego,
perché sei qua" dissi io, non volendo più ricordare tanto tempo prima. "Konrad, quello che ti dirò
non lo devi assolutamente riferire a nessuno, ti prego; prometti che lo farai?"; "Dimmelo, oppure
riferirò a tutti che sei stata lì" dissi io. Sveva si decise allora a dirmi quello che le avevo chiesto. Era
lì per conto della Carmilla. Infatti gli Anziani della Setta, che comandavano tutte le altre sette,
avevano sospettato che in quel castello Tremere vi venivano fatti esperimenti su vampiri prigionieri.
Così scelsero un elemento da mandare alla corte di Fardeln, e quale meglio di una bella ragazza
Tremere? Sveva avrebbe dovuto ritornare a casa la sera dopo. Ora che avevo saputo quello che
volevo, avrei potuto tornare a riposare, ma le volli chiedere, facendo uno sforzo, di come era
riuscita a sopravvivere al vampiro che l'aveva trafitta al villaggio. E una spiegazione c'era, ed era
più che semplice: era semplicemente entrata nello stato di torpore in cui cadono tutti i vampiri
quando perdono molto sangue. Poi un giorno un altro vampiro passò di lì e la risvegliò, dopodichè
svanì anch'egli improvvisamente. Lei era poi andata a trovare riparo in da un Principe Tremere lì
vicino; fino al giorno in cui le era stato consegnato il compito attuale. Mi disse anche che quando si
risvegliò, io non c'ero più, ma tutti gli altri vampiri del villaggio erano tutti morti, ma poi
bruciarono al sole il giorno dopo. Quel vampiro era sicuramente Lutark che mi trovò e, sapendo
benissimo che io tenevo a quella ragazza e sapendo la sua umanità, risvegliò solo lei e uccise tutti
gli altri; dopodichè si volatilizzò. Il pensiero di Lord Lutark mi rattristò ancora, per cui lasciai
Sveva senza neanche salutarla e mi avviai verso la mia stanza, non prestando orecchio alle lacrime
dell'altra. Tuttavia, a metà strada, decisi di tornare indietro da lei un'ultima volta, per chiederle in
cosa consistevano le "riunioni" che si facevano al villaggio e a cui io non avevo mai preso parte. Ma
quando ritornai indietro cosa vidi… Fardeln stringeva strettissima Sveva e le succhiava il sangue,
mentre lei emetteva gemiti sommessi e di immenso dolore. Capii subito che per i suoi immensi
poteri, sapeva già delle intenzioni di Sveva ed era sceso anche lui per coglierla in flagrante, e ci
c'era riuscito. Si accorse di me, e mi propose di succhiare un po' di sangue da lei. Io non ce la
facevo, perché quello che mi era rimasto di umanità me lo impediva. Ora non nutrivo più odio verso
di lei, ma anzi volevo liberarla e portarla via da Fardeln. Però se l'avessi fatto, sarei sicuramente
morto per mano sua. Così dissi di no. "Va bene, Konrad, ottima idea, le faremo vedere gli
esperimenti che facciamo, così potrai vederli anche tu". Non dissi una parola. Entrammo nella
stanza e c'era già tutta la sua servitù dentro. Erano molto abili nel teletrasporto. Sveva era
debolissima, e non riuscì a porre alcuna resistenza. Non impiegarono nulla a legarla a un cerchio.
Era la sua fine definitiva, ora che anche un altro Tremere le si era avvicinato, e cominciò a lanciarle
addosso palle azzurre; Fardeln, che mascherava di non sapere che stavo per farla andare poco
prima, mi disse che quella era una fase di preparazione all'esperimento. Lei sembrava soffrire sotto i
colpi del Tremere, e i suoi corti capelli biondi ondeggiavano a ogni movimento della sua testa. Alla
fine, Fardeln disse al servitore di fermarsi, e poi rivolto a me disse: "Da, Konrad, ora dalle il colpo
definitivo: dopodichè diventerà un bellissimo Gargoyle…". "Cosa? Cos'è un Gargoyle?" chiesi io,
ma ebbi come risposta che l'avrei visto con i miei occhi una volta lanciata la palla azzurra che mi
stava per dare. Quella sfera la ebbi tra le mani, l'avrei dovuta solo scagliare contro quella figura
innocente che stava legata su quel cerchio di pietra. "Dai ragazzo, facci vedere quello che sei…"
gridava Fardeln, più intento a smascherarmi che a incitarmi. "Dai, Dai, Dai!!!" disse lui, ma io ero
ancora immobile. Allora si avventò contro di me e prese quella sfera, e fu pronto a scagliarla. Ma
proprio un attimo prima di farlo, la sua mano scomparve e rimase un moncherino bruciacchiato, e
una palla di fuoco andò a infrangersi sul muro; la sfera azzurra scomparve. "Cosa fai, insolente!!"
gridò Fardeln, ma un sorriso mi corse sulle labbra. Ero stato io. Il grande Principe ora era costretto a
trascorrere il resto dell'eternità senza una mano, e nessuna magia avrebbe mai potuto farla
ricrescere. Non sapevo come diavolo avevo fatto nuovamente a scagliare una palla di fuoco così
potente da strappare la mano di un Tremere così forte. Infatti la sua rabbia fu presto seguita dallo
sbigottimento più totale… Io però non avevo più tempo da perdere, e ormai dovevo solo salvare
quella ragazza, anche se era stata lei a ridurmi vampiro; ma ciò era passato, e tutto ciò che era
passato non dovevo far altro che lasciarlo alle spalle, perché non avrei più potuto modificarlo,
dovevo accettare la mia situazione. I Tremere in preda allo sbigottimento per la sorpresa del loro
Principe non fecero nulla per impedirmi di salvare Sveva, e così corsi via con lei imbraccio. Ma
sapevo che il peggio doveva ancora arrivare, perché i Tremere erano dotati di teletrasporto. E infatti
chi trovai sulla porta del castello? Nient'altro che Fardeln. Ed era più arrabbiato che mai. Gli occhi
furono più terribili che mai. E praticamente non avevo vie d'uscita, perché fuori era pieno giorno, ed
e il cielo era serenissimo. Ma ora dovevo vedermela col Principe Tremere; ed era la cosa più
difficile di tutte, perché il suo mantello nero cominciò a diventare infuocato, e i suoi occhi pieni di
una luce gialla intensissima. La sua mano divenne quasi incandescente, pronta a vendicare l'altra.
Allora corsi indietro verso il corridoio, perché rimanere farmi avrebbe significato una morte certa.
Sveva imbraccio a me cominciava a dare i primi segni di conoscenza, ed ebbi il tempo di
intravedere un suo sorriso, ma dovevo distogliere lo sguardo dal basso e stare in guardia… Ma
Fardeln, tuttavia, continuava a starmi immediatamente dietro, invisibile, pronto a colpirmi una volta
fermato. Ovunque degli stranissimi topi cominciarono a sbucare dal nulla. Ma i Tremere erano il
più pericoloso fattore, perché con le loro palle di fuoco tentavano spesso di colpirmi, ma erano
troppo lenti. Io corsi allora per tutto il corridoio, arrivai allo scalone, salii al primo piano, poi al
secondo, in un andamento frenetico e disperato. Non avrei mai potuto trovare vie d'uscita, e io e
Sveva eravamo spacciati. Quando arrivai proprio in cima al castello, prima di arrivare all'uscita che
portava all'aria aperta, trovai nientemeno che Argil. Non aveva un'aria davvero arrabbiata, ma un
certo sadismo sembrava contaminare il suo sguardo. "Non sai che bello uccidere allo stesso tempo
due vampiri consecutivamente… E' una delizia che non vorrei farti perdere. Il tuo destino ti ha
portato fin qui, stupido. Non hai mai meritato di essere un Tremere, tu e la tua amichetta! Possa il
tuo corpo non essere mai mangiato dai ratti!!" disse Argil, e fu pronto a lanciarmi un'altra di quelle
sfere di fuoco. Non aspettavo altro. Aspettai che si preparasse nel migliore dei modi, poi all'ultimo
ebbi l'intenzione di scostarmi, invece, non so ancora come, mi teletrasportai alle sue spalle. Subito
dopo sentii le urla disperate di Fardeln, che era stato sempre dietro di me, aspettando di colpirmi
appena fermo. Di certo non si aspettava che mi sarei mosso all'ultimo momento con una tale
velocità. Il Principe era stato completamente avvolto dalla palla di fuoco di Argil, ma riuscì a
sopravvivere e disintegrò il suo suddito ancora sbigottito con un colpo tremendo. Fardeln aveva
perso molta energia e sangue, per cui non aveva più tutte le abilità di prima. Io mi fermai sulla
soglia, e mi girai verso di lui: aveva un aspetto davvero terrificante. Il suo volto era ormai tutto nero
e bruciato dal fuoco, ma due occhi scintillanti di rosso spiccavano ancora, e digrignò i denti come
un cane affamato che vede la sua preda a pochi passi da lui, mostrando i suoi canini affilati. Ma io
ero impassibile. Senza degnare troppa attenzione a quell'aspetto, mi girai nuovamente verso la
soglia, guardai prima il sole accecante e fatale di mezzogiorno, poi la mia adorata Sveva. Se solo
fossi riuscito ad arrivare infondo al terrazzo e a buttarmi giù, sarei comunque sopravvissuto; sarei
entrato nello stato di torpore, fin quando qualcuno mi avrebbe risvegliato. Ma dovevo sbrigarmi, e
sapevo i rischi a cui andavo incontro. Un breve conteggio e corsi fuori più veloce che potevo, e
percorsi quelle poche decine di metri con la schiena rivolta verso il sole, per riparare Sveva, per cui
corsi all'indietro aspettando che il mio piede cadesse dal muro. Cercavo di correre più veloce che
potevo, ma la fatica mi rendeva quei pochi metri un'eternità. Intanto Fardeln, ormai in preda alla
vendetta verso di me, era diventato irrazionale, e corse anche lui fuori come me. Ma non poteva più
correre veloce ormai, perché aveva molta poca energia. Inoltre la sua abilità di muoversi al sole non
c'era più per lo stesso motivo, per cui durante la mia corsa all'indietro assistetti all'orrido spettacolo
del grande Principe avvolto dalle fiamme definitivamente. Intanto sentivo anch'io un bruciore
terribile dietro la schiena, e cominciava anche la faccia a scottare. Finchè arrivai alla fine del muro,
e in preda al sentimento di salvare la mia amica, la abbracciai più che potevo; dopodichè mi lasciai
cadere giù verso terra, tenendo sempre Sveva abbracciata più che potevo. In seguito un grandissimo
tonfo sordo, un fortissimo dolore alla testa, sentii le energie piano piano abbandonarmi, e mi
preparai a entrare nello stato di torpore nel modo più dolce possibile, tra le braccia della ragazza che
avrei voluto fosse mia, e che in quel momento lo era. Ma pochissimo prima di addormentarmi,
sentii una sensazione che da mortale avrei voluto vivere: due labbra dolcissime di avvicinarono alle
mie e le sfiorarono, dopodichè il torpore si impossessò di me.
Passarono non so quanti anni, a riposare nell'attesa che qualcuno mi risvegliasse. Finchè aprii gli
occhi non più disteso su un letto rosso e in una stanza accogliente, ma su un pavimento sporco e
putrido e delle travi di ferro davanti a me. Ero in prigione, e dato che le guardie fuori della mia cella
erano tutti umani, feci in fretta a capire che sarei stato condannato e la mia fine era ormai
imminente, ma non tanto come mi aspettavo. Passarono infatti due o tre mesi, che un'altra ragazza
arrivò alla mia cella, e chiese di entrare e di essere lasciata sola con me. Si fece subito riconoscere:
era un'altra volta lei, Sveva, ed era più bella che mai. Ci abbracciammo, e le dissi "Per l'ultima
volta, addio. Ora morirò". Ma lei mi guardò e si mise a sorridere dolcemente come faceva lei
quando le raccontavo quello che mi succedeva, quando eravamo al villaggio e nelle nostre vene
correva sangue umano. Mi porse la mano per farsi prendere sangue, e io un po' riluttante accettai.
Ne succhiai una gran dose, ma lei non parve minimamente soffrirne. Anzi, era felice come una
pasqua! "Konrad, sei libero adesso" mi disse, e in un baleno chiamò la guardia, anch'egli felice, che
venne ad aprire, e lanciò un sorriso da imbecille a Sveva, che sembrò ricambiare con un'altra risata
deficiente. Ero molto sbigottito, ma lei mi disse semplicemente "Non dirgli che facendolo con una
come me ci è cascato anche lui…". "Cosa???" chiesi a lei. "Come alle riunioni, niente di più",
rispose, e poi seguì un altro sorriso dolce. Tuttavia, quando la guardia sorrise di nuovo a Sveva, io
guardai indietro, nella cella, e dissi: "Mia cara, vai, che io ti seguo". "Cosa devi fare?" mi rispose, e
io le dissi "Nulla, devo solo prendere un regalo per te; ora vai che ti raggiungo" e lei se ne andò
sorridendo ancora una volta. Non la raggiunsi più. La prospettiva di terminare la mia vita in breve
tempo mi allettava più di quella di non sapere mai cosa fare e a quali avversità andare incontro,
anche se in compagnia di una Sveva rinata e in pieni poteri. Come aveva fatto a salvarsi e a non
finire in cella come me non lo seppi mai, magari me l'avrebbe detto quando l'avrei raggiunta.
Tuttavia non e' che mi avrebbe interessato più di tanto.
Passando i giorni, le settimane, i mesi, eccoci arrivati a oggi. Sveva non è più ritornata. Ormai tra
poco dovrebbero passare a prendermi, perché l'ultima volta hanno eseguito il vampiro nella cella a
fianco alla mia. Passano circa quattro ore, e nessuno arriva. Ma quando comincio a credere che si
siano dimenticati di me, ecco un prete e una croce mostratami come un'arma, ma che a me non fa
alcun effetto, e un seguito di guardie che lo seguono. Mi incatenano e mi sputano addosso, come
fossi un assassino. Il prete pronuncia forse qualche preghiera incomprensibile in germanico, che io
non riesco a capire, e parla quasi come a incutermi paura, ma non mi fa ancora nulla tutta questa
buffonata. Dopodiché rieccoci all'adorata luce del sole, sempre però all'ombra. Il tetto lo togleranno
quando dovrò marcire. Tutta la folla esulta sotto di me come se fossi un eroe, e io li guardo
sorridente. Cerco Sveva tra la gente con lo sguardo, ma non la trovo. Ma a fianco a me c'è un posto
vuoto per l'esecuzione, porteranno un altro sicuramente. Eccolo arrivare… mi ricorda qualcuno…
ma sì, è la guardia che mi aveva aperto quando c'era stata Sveva e mi aveva detto quella specie di
indovinello… Ora però la guardia aveva due canini pronunciati come me… ma chissà come mai.
Avrà avuto qualche relazione con l'indovinello di Sveva? Chi lo sa, ma ora non è che mi interessi
più di tanto. Cominciano a far scorrere il tetto sopra di me… almeno morirò come Lurtark. Chissà
se lo rivedrò, se mai esiste un mondo dopo la fine della vita, chi lo sa. Un attimo: me ne andrò da
questa vita senza sapere cosa fossero quelle maledette riunioni! Un attimo per pensare, aspettate,
forse ho capito, sì… è troppo tardi, sono già bruciato.
Andrea Nardone nardo85@libero.it
Konrad Thouvitisti; setta Tremere: un ragazzo di 16 anni che vive con il padre e la matrigna in
un villaggio della Romania, Korbesti. Viene vampirizzato da Sveva, una vampira Tremere, che lui
avrebbe voluto che diventasse la sua ragazza quando entrambi erano ancora umani. E' un ragazzo
escluso dal gruppo del suo paese, e benché abbia stretto rapporti d'amicizia molto forti con Sveva,
questa lo manda via quando accoglie nella sua casa gli altri ragazzi, per dei ritrovi che loro
chiamano "riunioni" e che Konrad si ostinerà sempre a venirne a conoscenza, ma non ci riuscirà
nemmeno in punto di morte. Si farà vampirizzare dalla ragazza perché ha ricevuto da lei la
promessa di vivere in terno con lei, prospettiva che si sarebbe realizzata, ma che non va in porto
perché la ragazza viene trafitta. Cede alle lusinghe di Sveva anche quando la deve salvare da degli
esperimenti che si devono fare su di lei da parte dei Tremere, ma alla fine sceglie di morire e di
porre fine alla sua esistenza per mano d'altri e di non andare più con la ragazza tanto sognata.

Sveva Roverundi; setta Tremere: ragazza anch'ella di 16 anni, è il sogno proibito di Konrad. Da
esseri umani stringono grandi rapporti d'amicizia, ma quando si tratta di ritrovarsi con gli altri
ragazzi, Sveva isola sempre Konrad. Si riunisce con gli altri nella sua casa in sedute che essi
chiamano "riunioni", ma Konrad non verrà mai a sapere cosa si fa in queste. Sveva viene
vampirizzata come anche gli altri coetanei tranne Konrad, da un ragazzo vampiro, a sua volta
"abbracciato" dal viandante, durante le riunioni. Konrad sarà l'unico umano sopravvissuto del
villaggio, ma dato che Sveva si sentirà sola e maltrattata dagli altri ragazzi vampiri, chiederà
all'amico di diventare vampiro per proteggerla e aiutarla. L'abbraccio avviene, ma Sveva viene
subito trafitta da un altro vampiro e la prospettiva così rosea per Konrad non potrà realizzarsi.
Sveva non muore completamente, però, entra semplicemente in uno stato di torpore. Viene
risvegliata da Lutark e poi lasciata sola a sé stessa. In seguito diventa un'esperta Tremere e entrerà
al servizio degli anziani della Carmilla e entrerà nel castello di Fardeln per trovare prove degli
esperimenti che si diceva che in quel castello si compissero. Tuttavia viene catturata ma poi liberata
da Konrad. Entrambi entrano nello stato di torpore, ma non si sa poi come Sveva fugga via e
l'amico catturato. Lei si reca a salvarlo, ma lui rifiuta e accetta di morire.

Lord Lutark; setta Tremere: Principe Tremere di una zona della Romania, tra cui anche il
villaggio di Konrad. E' il suo vero salvatore, e da lui egli trascorre molto tempo. Lutark, saputo
quello che era accaduto a Korbesti, si era recato lì. Vedendo che in tutti i vampiri del luogo
predominava la Bestia e potevano rivelarsi pericolosi, li uccise tutti, tranne due, in cui sembrava
esserci una grande presenza di umanità: erano Konrad e Sveva. Il primo fu risvegliato e raccolto, la
seconda fu anch'ella risvegliata e lasciata al suo destino. E' contrario a ogni forma di suicidio, e
cerca in tutti i modi di togliere questo pensiero dalla mente del giovane vampiro. Tuttavia Konrad
non lo ascolta, esce dal castello ma scopre che la gente di un villaggio vicino lo assale mentre lui è
fuori, e si decide a vendicarlo. Non lo vendicherà però mai, anche se morirà l'ispiratore della
congiura, Argil, per mano del suo Principe Fardeln.

Lord Fardeln; setta Tremere: un perfido Principe tedesco. Ha proposto lui la macabra scommessa
tra Argil e Dakunroh per decidere chi dei due avrebbe posseduto una schiava. E' potentissimo, e
riesce a rendersi completamente invisibile: in questo modo riesce a scoprire l'inganno di Sveva al
castello e la complicità di Konrad; tuttavia sottovaluta la sua abilità, e ci rimette addirittura la mano.
Muore marcito al sole, perché dopo aver perso molta energia per essere stato colto in pieno da una
palla di fuoco, rincorre Konrad all'aria aperta in pieno mezzogiorno. Però lui è più veloce e si scotta
di meno.

La vicenda si svolge nel 1500, tra la Romania e la Germania.

Andrea Nardone nardo85@libero.it

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