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Da anni si diventa notai, magistrati, avvocati, funzionari di enti pubblici e privati


anche grazie al supporto delle Edizioni Simone che, per taglio, selezione degli argo-
menti, sistematica espositiva, aggiornamento e veste grafica, costituiscono gli stru-
menti ideali per lo studio, l’approfondimento e il ripasso.
Così anche nelle collane universitarie, di cui gli ipercompendi fanno parte, vengono
esposti gli argomenti di studio nella maniera più agevole e, soprattutto, tenendo
conto delle reali esigenze di chi deve superare gli esami.
Ci auguriamo che anche i lettori di questo ipercompendio possano trarre gli oppor-
tuni vantaggi raggiungendo risultati di eccellenza.
In bocca al lupo,
l’Editore.

Nella stessa collana:


IP1 • Ipercompendio di diritto del lavoro
IP2 • Ipercompendio di diritto pubblico e costituzionale
IP3 • Ipercompendio di diritto penale
IP4 • Ipercompendio di diritto amministrativo
IP5 • Ipercompendio di diritto civile
IP6 • Ipercompendio di diritto commerciale
IP7 • Ipercompendio di diritto processuale penale
IP8 • Ipercompendio di diritto processuale civile
IP9 • Ipercompendio di istituzioni di diritto romano
IP10 • Ipercompendio di economia politica
IP11 • Ipercompendio di diritto dell’Unione Europea
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Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.


(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Coordinamento redazionale a cura della dott.ssa Simonetta Gerli

Hanno collaborato all’aggiornamento di questa edizione le dott.sse


Giovanna Cammilli e Sara Pugliese

Finito di stampare nel mese di giugno 2010


dalle «Arti Grafiche Italo Cernia» - Via Capri, 67 - Casoria (NA)
per conto della «Esselibri S.p.A.» - Via F. Russo, 33/D - 80123 (Napoli)

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno


PREMESSA

Apriamo il nostro manuale per prepararci all’esame …


Cominciamo a leggere…
Poi … continuiamo … Nelle pagine che si susseguono incontriamo righi e
righi da cui estrapolare nozioni e concetti da capire, selezionare e memoriz-
zare.
Sentiamo subito il bisogno, per entrare nel vivo della materia, di sottolineare
le parole più importanti e di segnare brevi annotazioni a margine per impri-
mere nella nostra mente le parole cardine e la sequenza logica di quanto
stiamo apprendendo.
Il testo che abbiamo di fronte non è un romanzo che si divora in poco
tempo, ma un testo universitario che ci costringe a leggere, rileggere, analiz-
zare, consapevoli che dalla corretta conoscenza dei suoi contenuti dipenderà
l’esito del nostro esame, gli umori dei giorni a venire, la tensione della prepa-
razione…
Quali argomenti prediligere? Quali approfondire con più attenzione?
Solo il dopo-esame ci potrà confermare se abbiamo centrato i cardini della
materia e soddisfatto esaurientemente le aspettative del docente!
Ma perché non cambiare sistema? E come?
Oltre al prezioso elenco delle «domande» d’esame diligentemente raccolte
prima di affrontare la prova, cos’altro può venirci incontro?
Gli ipercompendi, strumenti didattici di ultima generazione, costituisco-
no pratiche guide che, affiancate al manuale adottato, consentono di ripercor-
rere in forma sintetica e sistematica le linee espositive del programma.
L’ipercompendio è una stimolante opportunità per sfuggire dalla mono-
tonia di pagine tutte uguali: il colore, il neretto, le schede, le mappe concettua-
li permettono di ottimizzare la preparazione, «navigare» nella materia, tenere
viva la curiosità di apprendere, e, soprattutto, migliorare attraverso l’ausilio
della memoria visiva la memorizzazione.
L’ipercompendio offre poi, in appendice, un glossario di particolare uti-
lità per il ripasso finale, momento nel quale occorre concentrarsi sugli argo-
menti più ostici, sulle domande più «gettonate» per avere un quadro finale
sintetico e completo della disciplina. Basta sfogliarlo per frugare gli ultimi
dubbi terminologici, colmare possibili lacune, ordinare il pensiero e dormire
più tranquilli la notte che precede l’esame.
L’ipercompendio ha così compiuto la sua missione!
I trattati istitutivi e gli sviluppi dell’integrazione europea 5

Capitolo Primo
I trattati istitutivi e gli sviluppi
dell’integrazione europea

L ’idea di costruire un’Europa unita nacque nel 1950 con la proposta di Ro-
bert Schuman di mettere l’intera produzione francese e tedesca del carbone
e dell’acciaio sotto il controllo di un’organizzazione comune.
L’obiettivo era di pervenire alla formazione di un’unione economica cui avreb-
bero potuto aderire gradatamente gli altri Stati europei. La proposta Schuman
portò nel 1951 alla firma del Trattato di Parigi con il quale fu creata la Comu-
nità economica del carbone e dell’acciaio (CECA).
L’esperienza positiva della CECA indusse gli Stati membri a promuovere altre
forme di cooperazione; con l’entrata in vigore dei Trattati di Roma nel 1957
nacquero, così, la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità
europea per l’energia atomica (EURATOM).
L’obiettivo comune di tali comunità era rappresentato da una unione do-
ganale cui sarebbe dovuta seguire la creazione di un’area economica inte-
grata col divieto di applicare dazi e con l’adozione di una tariffa dogana-
le comune.
I Trattati istitutivi delle Comunità europee sono stati modificati e integrati di-
verse volte nel corso degli anni, sia per tener conto delle esigenze degli Stati che
hanno aderito successivamente alla stipula del contratto (oggi gli Stati mem-
bri sono 27) che per ampliare il raggio d’azione delle Comunità (dall’idea
iniziale dell’unione doganale si è giunti, attraverso varie tappe, all’unione
economica e monetaria che ha condotto, il 1° gennaio 2002, all’adozione di
una moneta unica, l’euro, per la maggior parte degli Stati europei.

1. LA DICHIARAZIONE SCHUMAN E LA NASCITA DELLA CECA


Il 9 maggio 1950, l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman
rendeva pubblica una dichiarazione con la quale proponeva di «mettere l’inte-
ra produzione francese e tedesca del carbone e dell’acciaio sotto una comune
Alta autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri
paesi europei».

Per capire il senso della proposta francese si deve ricordare che lo sfruttamento dei ricchi
giacimenti di carbone e di acciaio della Ruhr e della Saar era stato in passato il motivo scate-
nante di vari conflitti tra la Francia e la Germania e, nel corso della prima metà del ‘900, di due
conflitti mondiali. Inoltre, a cinque anni dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati
occidentali (in particolare gli Stati Uniti e la Gran Bretagna) volevano evitare un nuovo isola-
mento della Germania, anche nell’ottica di contrastare, col baluardo tedesco, l’affermarsi del
blocco sovietico nell’Europa centro-orientale.

L’esperienza che si voleva realizzare con la costruzione dell’unione carbo-


siderurgica era del tutto originale; a differenza delle altre organizzazioni in-
ternazionali, in questo caso nasceva una figura nuova, una comunità inter-
nazionale nella quale i singoli Stati membri cedevano quote sovranità (v.
in Appendice voce → Sovranazionalità) (anche se in un settore limitato) ad un
organismo superiore, che avrebbe gestito la politica comune nel settore.
6 Capitolo Primo

Si inaugurava in questo modo un approccio funzionalista al processo di inte-


grazione europea, che doveva attuarsi attraverso il graduale trasferimento di
compiti e funzioni in settori limitati a istituzioni sovranazionali, indipen-
denti dagli Stati, capaci di gestire in modo autonomo le risorse comuni (il cd.
sector by sector approach).
La favorevole accoglienza alla proposta Schuman, che nel frattempo aveva
ricevuto anche l’adesione dell’Italia, del Belgio, del Lussemburgo e dei Paesi
Bassi, portò alla firma del Trattato di Parigi il 18 aprile 1951 (entrato in
vigore il 23 luglio 1952), con il quale fu creata la Comunità economica del
carbone e dell’acciaio (CECA).
Il trattato CECA aveva, però, durata cinquantennale ed è giunto a scadenza
il 23 luglio 2002. Le attribuzioni della CECA sono state assorbite dall’Unione
europea (oggi subentrata alla Comunità europea).

2. LA CREAZIONE DELLA CEE E DELL’EURATOM


La positiva esperienza dei primi anni di attività della CECA indusse i governi
degli Stati aderenti a promuovere nuove e più ampie forme di integrazione.
Ben presto quegli stessi Stati avviarono le trattative per costituire altre due
Comunità. Nel corso dell’incontro tenutosi a Messina il 1° giugno 1955 i mini-
stri degli esteri dei sei delinearono le tappe per la costituzione della Comuni-
tà europea dell’energia atomica (Euratom o CEEA) e della Comunità eco-
nomica europea (CEE), affidando ad un Comitato di delegati governativi il
compito di esaminare, perfezionare e trasformare in strumenti concreti le
direttive e le idee scaturite dalla conferenza.
I negoziati per la stesura dei nuovi trattati iniziarono il 30 maggio 1956 e si
conclusero nel mese di febbraio dell’anno successivo. I due testi furono uffi-
cialmente firmati a Roma il 25 marzo 1957 e le due organizzazioni poterono
cominciare a lavorare a partire dal 1° gennaio 1958 (v. in Appendice voce →
Trattati di Roma).

Con la ratifica dei trattati comunitari è stato istituito un nuovo tipo di ordinamento giuridi-
co (nel campo del diritto internazionale) che impone agli Stati membri determinati comporta-
menti per il raggiungimento di una unione economica e monetaria tra gli stessi.
La caratteristica di tale comunità sovranazionale è rappresentata dal fatto che i rapporti fra
gli Stati membri non sono improntati alla mera coordinazione intergovernativa per il raggiun-
gimento dei fini dell’ente, ma sono subordinati direttamente (solo in determinati campi) alla
volontà superiore dell’ente stesso, che travalica la volontà dei singoli Stati membri.
L’ordinamento comunitario (oggi dell’Unione europea) è, infatti, in grado di imporsi diret-
tamente ai singoli Stati membri e, pertanto, si caratterizza come organizzazione sovranazio-
nale, ossia come un’unione di Stati fornita di istituzioni legittimate ad emanare provvedi-
menti di carattere generale, nonché provvedimenti di carattere individuale (ordini e sanzioni)
che non hanno necessità di essere recepiti dai singoli Stati partecipanti, ma che entrano a far
parte direttamente nell’ordinamento nazionale dei vari Stati.
Rispetto alle organizzazioni di semplice cooperazione (vale a dire le classiche organizzazioni
internazionali), le Comunità europee (ora sostituite dall’UE) presentano alcune particolarità:
infatti, perché si realizzi il processo di integrazione, occorre che gli Stati membri limitino in
qualche modo la propria sovranità, delegando alle istituzioni dell’organizzazione il potere di pren-
dere decisioni in via esclusiva e vincolanti in nome e per conto di tutti i membri, riconoscendo
diretta applicabilità alle norme emanante dagli organi di vertice.
Naturale conseguenza di questa impostazione è la creazione di una serie di vincoli all’esercizio
di determinate attività dello Stato in numerosi settori, nei quali i singoli paesi non sono più
liberi di agire, ma sono tenuti a rispettare la volontà delle istituzioni comunitarie (oggi del-
l’Unione). Settori come la gestione delle risorse agricole o i rapporti commerciali con gli Stati terzi
sono ormai completamente gestiti in ambito europeo. Altri settori, invece, sono sottoposti a
regolamentazioni comuni che spesso impongono l’adozione di determinate misure interne.
I trattati istitutivi e gli sviluppi dell’integrazione europea 7

➤ Firma del trattato istitutivo: Parigi, 18 aprile 1951


➤ Stati firmatari: Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo
➤ Entrata in vigore: 23 luglio 1952
➤ Scadenza: il trattato è stato firmato per un periodo di 50 anni. È venuto a
scadenza il 23 luglio 2002
CECA
➤ Obiettivo: cooperazione nel settore del carbone e dell’acciaio in vista del
raggiungimento di un’unione economica fra gli Stati europei

• Alta autorità
➤ Istituzioni • Consiglio dei ministri
• Corte di giustizia

➤ Firma dei trattati istitutivi: Roma, 25 marzo 1957


➤ Entrata in vigore: 1° gennaio 1958
➤ Stati firmatari: Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Belgio, Lussem-
burgo
CEE ed ➤ Obiettivi fondamentali: creazione di un mercato comune e una politica
EURATOM comune nel settore dell’energia nucleare

• Assemblea (in comune con la CECA)


➤ Istituzioni • Consiglio
• Commissione
• Corte di giustizia (in comune con la CECA)
3. L’UNIONE DOGANALE
Mentre il Trattato CECA prevedeva l’instaurazione di un’area di libero scam-
bio limitatamente al settore carbo-siderurgico (che comportava l’abolizione ai
dazi doganali interni e la soppressione di qualunque limite all’importazione
ed esportazione di carbone e acciaio tra gli Stati membri), i Trattati CEE ed
Euratom gettavano le basi per la creazione di un’unione doganale, ossia di
un’area economica in cui vigono:
— il divieto di applicare dazi o altre tasse di effetto equivalente ovvero in-
trodurre qualsiasi altra regolamentazione che limiti la libera circolazione
delle merci provenienti dal territorio di uno degli Stati membri;
— una tariffa doganale comune, che si applica ai prodotti importati da Stati
terzi, per evitare che l’applicazione di una tariffa diversa (es.: più bassa)
all’importazione un membro possa generare effetti distorsivi nel sistema.
Secondo le intenzioni dei sottoscrittori del trattato, l’unione doganale do-
veva essere realizzata nell’arco di un periodo di dodici anni e, quindi, essere
completata entro il 1970. In realtà i notevoli progressi compiuti consentirono
di raggiungere l’obiettivo in anticipo rispetto ai tempi fissati, per cui già dal 1°
gennaio 1968 gli Stati hanno creato un’unione doganale e istituito una
tariffa doganale esterna unica.

4. LE ADESIONI DI NUOVI STATI


Il principale Stato europeo occidentale a non aderire al progetto lancia-
to nel 1950 fu il Regno Unito, che decise di creare nel 1960 un’area di
libero scambio con vincoli meno stretti insieme ad altri Stati europei (l’EFTA
- European Free Trade Area) (v. → in Appendice). L’adesione all’EFTA per-
metteva alla Gran Bretagna di mantenere la sua posizione di privilegio
negli scambi commerciali con le sue ex colonie, a cui era legata, attraverso
8 Capitolo Primo

il Commonwealth, in una misura che non sarebbe stata possibile qualora


fosse entrata a far parte della Comunità.
Tuttavia, già a partire dal 1961 il governo britannico cominciò a modifica-
re il proprio orientamento e presentò una prima domanda di adesione, che fu
però bloccata dall’opposizione del governo francese, all’epoca guidato dal ge-
nerale De Gaulle. Sorte analoga toccò ad una nuova domanda di adesione
presentata nel 1967, bloccando in tal modo per diversi anni qualunque pro-
getto di allargamento delle Comunità europee.
Soltanto a partire dai primi anni settanta furono riprese le trattative per
consentire l’adesione dei nuovi Stati membri. Tali trattative proseguirono al-
tresì negli anni seguenti come si evince dalla tavola che segue.

LE ADESIONI ALL’UNIONE

STATO DATA DI INGRESSO REFERENDUM

Danimarca 1° gennaio 1973 SI


Irlanda 1° gennaio 1973 SI
Regno Unito 1° gennaio 1973 NO
Grecia 1° gennaio 1981 NO
Portogallo 1° gennaio 1986 NO
Spagna 1° gennaio 1986 NO
Austria 1° gennaio 1995 SI
Finlandia 1° gennaio 1995 SI
Svezia 1° gennaio 1995 SI

5. UN’EUROPA SENZA FRONTIERE INTERNE


Nel 1968 gli Stati membri avevano realizzato l’unione doganale, ma non
avevano completamente liberalizzato la circolazione di merci, servizi, perso-
ne e capitali da uno Stato all’altro.
Alla nuova Europa restavano ancora da eliminare molte barriere fisiche (i
controlli alle frontiere tra uno Stato e l’altro), barriere tecniche (i diversi requisiti
richiesti dagli Stati per la fabbricazione di determinati prodotti) e barriere fisca-
li (la diversa incidenza delle imposte sugli stessi prodotti da uno Stato all’altro).
Fu proprio per eliminare tali ostacoli che si frapponevano alla creazione di un
mercato unico europeo che nel giugno del 1985 fu presentato a Milano il famoso
«Libro bianco sul completamento del mercato interno» (v. → in Appendice), con il
quale si individuavano tutte le azioni da realizzare per completare, entro il 31
dicembre 1992, uno spazio senza frontiere interne nel quale fosse assicurata
l’effettiva libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali.
Le indicazioni contenute nel Libro bianco furono successivamente richia-
mate nell’Atto unico europeo (v. → in Appendice) del 28 febbraio 1986.
Negli anni successivi fu avviato un intenso lavoro di armonizzazione in
tutti i settori, che diede i risultati sperati e consentì di far partire dal 1° genna-
io 1993 il mercato unico (v. → in Appendice).

6. L’UNIONE EUROPEA. I TRATTATI DI MAASTRICHT E AMSTERDAM


Gli anni ‘90 rappresentarono per le Comunità europee un periodo di gran-
di slanci e di grandi iniziative. Ancora doveva essere completato il lungo lavo-
ro per la realizzazione del mercato unico che già gli Stati membri avevano
fissato nuovi e più ambiziosi obiettivi, con la firma, il 7 febbraio 1992, del
Trattato sull’Unione europea (meglio noto come Trattato di Maastricht)
(v. → in Appendice).
I trattati istitutivi e gli sviluppi dell’integrazione europea 9

Si trattava di un atto per molti versi rivoluzionario nel panorama interna-


zionale, con il quale si inaugurava la fase più ambiziosa del processo di inte-
grazione, volta a creare una comunità politica ed economica unica nel suo
genere, che unisce ai tradizionali elementi di cooperazione intergovernativa
altri straordinariamente innovativi di sovranazionalità.
Con il Trattato di Maastricht veniva, infatti, creata l’Unione europea (v. →
in Appendice), una organizzazione anomala che da un lato inglobava le Comu-
nità europee già esistenti e dall’altro avviava la cooperazione tra gli Stati mem-
bri anche in settori non strettamente economici, come la politica estera comu-
ne, la politica di difesa europea, la cooperazione tra le forze di polizia e tra le
autorità giudiziarie. Nasceva in tal modo un’organizzazione la cui struttura
viene spesso illustrata attraverso la figura del tempio retto da 3 pilastri (v. in
Appendice voce → Pilastri dell’Unione europea).

UNIONE
EUROPEA

PRIMO SECONDO TERZO PILASTRO


PILASTRO PILASTRO PILASTRO

POLITICA ESTERA E COOPERAZIONE


CE + DI SICUREZZA GIUDIZIARIA E DI
CECA + COMUNE (PESC) POLIZIA IN
EURATOM (TITOLO V TUE) MATERIA PENALE
(TITOLO VI TUE)

METODO METODO METODO


COMUNITARIO INTERGOVERNATIVO INTERGOVERNATIVO

DISPOSIZIONI COMUNI

La Comunità europea (CE) è sempre stata considerata una comunità di


diritto di tipo sovranazionale, fondata su competenze di attribuzione: gli Sta-
ti membri, ricorrendo al principio costituzionale della cessione di quote di
sovranità, hanno affidato alla gestione centralizzata delle istituzioni comuni-
tarie tutte quelle materie che ritenevano potessero essere meglio disciplinate
ad un livello sovranazionale (riguardanti essenzialmente la sfera economico-
sociale), sottoponendosi ad atti normativi (regolamenti, decisioni, sentenze
della Corte di giustizia etc.) aventi effetti giuridici vincolanti, in grado persino
di abrogare fonti del diritto interne.
Il secondo ed il terzo pilastro, invece, sono stati sempre caratterizzati
da una struttura più tradizionale, intergovernativa, in cui il potere deci-
sionale è stato attribuito agli Stati membri.
Il Trattato sull’Unione europea, così come concepito a Maastricht, è stato
sottoposto a successive modifiche ed integrazioni, che già il 2 ottobre 1997
hanno condotto alla firma del Trattato di Amsterdam, in vigore dal 1° mag-
gio 1999.

Le novità introdotte ad Amsterdam

La più importante novità introdotta dal Trattato nell’ambito delle politiche comunitarie è con-
sistita nell’impegno assunto per la promozione di un più alto livello occupazionale: nel
Trattato istitutivo della Comunità europea, infatti, è stato aggiunto un nuovo titolo interamen-
te dedicato alle problematiche occupazionali, con il quale, pur ribadendo che la responsabilità
dei singoli Stati membri in materia di occupazione, si è tentato di introdurre un coordinamen-
to anche a livello europeo. Si è, inoltre, modificato l’assetto istituzionale, aumentando i poteri
del Parlamento europeo, snellendo il processo di adozione degli atti comunitari e rafforzando i
poteri del Presidente della Commissione.
10 Capitolo Primo

Le modifiche più rilevanti hanno, però, investito il terzo pilastro, con la comunitarizzazione
di alcune materie che in precedenza venivano trattate esclusivamente secondo il metodo inter-
governativo (rilascio di visti, concessione di asilo, azione comune in materia di immigrazione,
cooperazione giudiziaria in materia civile etc.).
È stata, infine, introdotta la cd. cooperazione rafforzata, consistente nella facoltà, per quegli
Stati membri intenzionati a perseguire determinate politiche comuni, di procedure anche in
assenza di una volontà condivisa da tutti i Paesi membri. Tale strumento ha rappresentato il
fondamento di un’integrazione differenziata, multilivello, ideata allo scopo di far procedere il
processo di integrazione al ritmo degli Stati più dinamici, superando in tal modo le reticenze
dei Paesi meno «entusiasti».

7. L’EURO, LA MONETA UNICA EUROPEA


La seconda grande novità del Trattato di Maastricht è quella di aver stabilito le
tappe per il passaggio dall’unione economica a quella monetaria, con la conseguente
adozione di una moneta unica europea (v. in Appendice voce → Area dell’euro).
Tuttavia una simile operazione sarebbe stata destinata al fallimento se gli
Stati membri non avessero raggiunto uno sviluppo economico e una situa-
zione di bilancio uniforme. Per questo motivo fu deciso che l’introduzione
della nuova moneta sarebbe stata preceduta da una fase di progressiva con-
vergenza economica, durante la quale gli Stati che intendevano adottare l’eu-
ro (come nel frattempo era stata ridenominata la moneta unica europea)
dovevano rispettare gli ormai famosi criteri di convergenza (v. →in Appen-
dice). Tale fase è iniziata il 1° gennaio 1994 ed è terminata il 1° maggio 1998,
quando nel corso del Consiglio europeo di Bruxelles sono stati individuati
gli Stati che avevano i requisiti di sviluppo e di bilancio tali da poter adotta-
re l’euro.

Gli Stati ritenuti pronti, sin dal 1998, ad adottare l’euro sono Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo,
Austria, Germania, Italia, Francia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Finlandia. Ad essi si sono pro-
gressivamente aggiunti la Grecia (1° gennaio 2001) e, dopo le nuove adesioni del 2004 e del 2007,
la Slovenia (1° gennaio 2007), Malta e Cipro (1° gennaio 2008) e la Slovacchia (1° gennaio 2009).
L’Estonia adotterà la moneta unica del 2011.

A partire dal 1° gennaio 1999 è scattata la terza e ultima fase dell’unione eco-
nomica e monetaria (v. → in Appendice) al termine della quale (1° gennaio 2002)
sono entrate effettivamente in circolazione le monete e le banconote in euro.

FORME E CONTENUTI DEI DIVERSI STADI


DI INTEGRAZIONE FRA STATI

1. Area di libero scambio Forma di semplice collaborazione per la liberalizzazione dei flussi
commerciali dei prodotti originari mediante eliminazione dei dazi
e delle altre restrizioni al commercio tra gli Stati parti dell’accordo.

2. Unione doganale La liberalizzazione investe non solo le merci originarie ma anche


le merci in libera pratica (entrate nell’Unione). Verso l’esterno è
istituita una sola frontiera con una tariffa doganale comune (TDC).
In assenza di una legislazione doganale comune o sufficientemen-
te armonizzata si parla più propriamente di unione tariffaria.

3. Mercato comune La libertà di circolazione investe non solo le merci e i servizi ma


anche le persone e i capitali (le quattro libertà). Si attivano alcu-
ne politiche comuni funzionali al mercato, mentre le politiche
economiche si ravvicinano tra di loro.

4. Mercato unico È un’evoluzione del mercato comune con una più piena attua-
zione della quattro libertà (v. → in Appendice) (integrazione ne-
I trattati istitutivi e gli sviluppi dell’integrazione europea 11

gativa) e consistenti sviluppi dell’integrazione positiva (politi-


che e comportamenti a sostegno non solo della competitività e
della cooperazione ma anche della coesione all’interno dell’area).

5. Unione economica Si ha una convergenza delle politiche economiche e monetarie


e monetaria degli Stati membri fino a pervenire a una moneta unica e a una
politica monetaria unica attribuita ad un’Autorità centrale so-
vranazionale. Sono rafforzate e ampliate anche le politiche del-
l’integrazione positiva.

6. Unione politica Accanto e a completamento del’UEM, che ha di per sé necessa-


riamente dei caratteri federali o neofederali, cresce la dimensio-
ne politica dell’integrazione fra Stati sia nell’ambito dell’area, in
termini di giustizia e affari interni e di crescita di una coscienza
comune da parte dei cittadini, sia verso l’esterno, in materia di
politica estera e di difesa.

Nella costruzione europea l’unione tariffaria era già stata raggiunta al 1° luglio 1968. L’incom-
pleta realizzazione del mercato comune ha portato all’obiettivo del mercato unico realizzatosi
alla scadenza del 31 dicembre 1992 ma di fatto in continuo svolgimento. La terza e ultima fase
dell’unione economica e monetaria ha condotto, il 1° gennaio 2002, all’emissione dell’euro.

8. L’ALLARGAMENTO AD EST ED IL TRATTATO DI NIZZA (2001)


Negli ultimi anni la sfida più importante che si è presentata all’Unione
europea è consistita nel procedere ad un allargamento che ha condotto al-
l’adesione di ben 12 Stati, in maggioranza appartenenti all’Europa centrale e
orientale, molti dei quali facenti parte dell’ex blocco socialista.
Per gestire al meglio tale allargamento era necessario ripensare l’assetto
istituzionale dell’Unione, creato nel 1957 per soli sei Stati membri e rimasto
finoad allora immutato.
Si è data una risposta a questi problemi il 26 febbraio 2001 con l’approvazio-
ne del Trattato di Nizza (v. → in Appendice). Il nuovo testo, entrato in vigore il
1° febbraio 2003, ha apportato ai trattati modifiche estremamente tecniche, ma
indispensabili per delineare il futuro equilibrio istituzionale dell’Unione.

Tra le novità più significative introdotte dal trattato di Nizza ricordiamo:


• la nuova ripartizione del numero dei rappresentanti degli Stati membri nelle istituzioni e negli
organi comunitari (Parlamento, Commissione, Consiglio economico e sociale, Comitato delle
Regioni). Per il Consiglio, invece, è stata introdotta una nuova ponderazione dei voti;
• l’ampliamento dei poteri attribuiti al Presidente della Commissione europea, che col Trattato
di Nizza si è visto conferire un vero e proprio potere direttivo sul collegio, con la possibilità
di decidere sulla struttura interna, sulla nomina dei vicepresidenti e con la facoltà di ri-
chiedere le dimissioni di un Commissario;
• le modifiche all’ordinamento giudiziario comunitario. Per poter assorbire l’aumentato cari-
co di lavoro la competenza del Tribunale di primo grado è stata estesa anche ad altre
materie precedentemente di esclusiva competenza della Corte.

Per quanto riguarda il processo di allargamento un passo di fondamentale


importanza è stato compiuto il 16 aprile 2003 con la firma ad Atene dei trattati
di adesione di 10 Stati (dell’Europa dell’Est accanto a Cipro e Malta), che han-
no ottenuto la membership a partire dal 1° maggio 2004, portando così, il
numero totale degli Stati membri da 15 a 25.
Il 25 aprile 2005, infine, sono stati firmati i trattati di adesione con la Ro-
mania e la Bulgaria, precedentemente escluse perché non in grado di soddi-
sfare pienamente i requisiti socio-economici richiesti. Entrambe sono entrate
ufficialmente a far parte dell’Unione europea il 1° gennaio 2007, facendo
salire il numero dei paesi membri a 27.
.
12 Capitolo Primo

ADESIONI DEI NUOVI STATI ALL’UNIONE EUROPEA

S TATO ANNO DI PRESENTAZIONE


DELLA DOMANDA

Cipro 1990
Malta 1990
Ungheria 1994
Polonia 1994
Estonia 1995
Lettonia 1995
Lituania 1995
Slovacchia 1996
Repubblica Ceca 1996
Slovenia 1996
Bulgaria 1995
Romania 1995

LA COSTITUZIONE EUROPEA

Nel 2000 è stata avvertita l’esigenza, soprattutto grazie all’impulso fornito dal Parlamento
europeo, di procedere ad una riorganizzazione del diritto scritto e non scritto dell’Unione,
avviando la redazione di una vera e propria Costituzione europea.
In una risoluzione adottata il 25 ottobre 2000 il Parlamento europeo lanciava la proposta di
procedere alla sostituzione dei trattati allora in vigore con un trattato-quadro, unico, che
prevedesse la fusione dell’Unione europea e delle tre Comunità in un’unica entità.
Esso avrebbe contenuto esclusivamente le disposizioni fondamentali di natura costituzionale,
segnatamente gli obiettivi dell’Unione, la protezione dei diritti fondamentali, la cittadinanza,
l’attribuzione e la ripartizione dei poteri e le questioni istituzionali, mentre tutte le altre dispo-
sizioni, in particolare quelle disciplinanti le politiche comuni, sarebbero figurate nei protocol-
li allegati al trattato-quadro.
L’invito è stato accolto dal Consiglio europeo riunitosi a Laeken il 14 e 15 dicembre 2001 e si
è concretizzato nell’istituzione di un organismo ad hoc, la Convenzione sul futuro dell’Euro-
pa, incaricata di preparare la bozza della Costituzione europea.
Le questioni essenziali su cui si sono concentrati i lavori della Convenzione sono state:
• le modalità per stabilire e mantenere una più precisa delimitazione delle competenze tra
l’Unione europea e gli Stati membri nel rispetto del principio di sussidiarietà;
• lo status da attribuire alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
• una semplificazione dei trattati al fine di renderli più chiari e meglio comprensibili senza
modificarne la sostanza;
• il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’architettura europea.
Dopo circa un anno di intenso lavoro, nel mese di luglio del 2003 la Convenzione ha presentato
la bozza completa della Carta costituzionale europea, che, con alcune modifiche apportate dai
rappresentanti degli Stati membri, è stata definitivamente firmata a Roma il 29 ottobre 2004.
Successivamente si è aperta la delicata fase della ratifica nei singoli Stati, che si è però inter-
rotta nel momento in cui i cittadini di Francia e Paesi Bassi hanno espresso il loro voto nega-
tivo alla ratifica della Costituzione in due consultazioni referendarie svoltesi il 29 maggio e
il 1° giugno 2005.
Da allora il progetto di adottare un unico testo di livello costituzionale è stato definitivamente
abbandonato, e si è preferito piuttosto procedere al più tradizionale processo di riforma dei
trattati già vigenti (tradottosi, come vedremo, nell’approvazione del Trattato di Lisbona).

9. IL TRATTATO DI LISBONA
In seguito al fallimento della Costituzione europea il Consiglio europeo del
giugno 2005 ha deciso l’avvio di un periodo di riflessione, dandosi appunta-
mento al primo semestre 2006 «per procedere ad una valutazione globale dei
I trattati istitutivi e gli sviluppi dell’integrazione europea 13

dibattiti nazionali e per decidere sul seguito del processo di integrazione». Il


periodo di riflessione è durato fino al giugno del 2007, data in cui il Consiglio
europeo ha deciso di indire una Conferenza intergovernativa per l’elaborazio-
ne di un nuovo Trattato di riforma del Trattato sull’Unione europea e del Trat-
tato delle Comunità europee. La CIG si è aperta il 23 luglio 2007 e ha concluso
i suoi lavori il 18 ottobre. Il testo del Trattato è stato firmato a Lisbona dai
27 Stati membri il 13 dicembre 2007 e dopo un lungo e travagliato iter per
le procedure di ratifica, è entrato in vigore il 1° dicembre 2009.
Nei suoi aspetti essenziali, il Trattato firmato a Lisbona prevede una pro-
fonda modifica del Trattato istitutivo della Comunità europea (TCE) e del Tratta-
to di Maastricht (TUE).
Il TUE conserva la sua originaria denominazione ed è suddiviso in 6 Titoli,
i primi tre dei quali presentano le innovazioni di maggior rilievo:
— il Titolo I (disposizioni comuni) accoglie un esplicito riferimento ai valori
su cui si fonda l’Unione, una chiara ripartizione di competenze tra l’Unio-
ne e gli Stati membri ed un definitivo richiamo ai diritti fondamentali
dell’uomo. Sotto l’ultimo profilo, la Carta dei diritti fondamentali del-
l’Unione europea diventa finalmente atto giuridico vincolante per tutte
le istituzioni europee, sebbene non sia stata incorporata nel TUE e resti,
dunque, un testo separato;
— nel Titolo II (disposizioni relative ai principi democratici) sono inseriti alcu-
ni importanti articoli aventi ad oggetto, ad esempio, i principi di ugua-
glianza giuridica dei cittadini, di democrazia rappresentativa e partecipativa,
il diritto di iniziativa dei cittadini ed il ruolo dei Parlamenti nazionali nella
vita democratica dell’Unione;
— nel Titolo III, infine (disposizioni su una cooperazione rafforzata), trovano
spazio tutte le principali norme che disciplinano le istituzioni europee. Di
particolare rilevanza è l’inserimento del Consiglio europeo nel quadro
istituzionale dell’Unione (come si vedrà nel Cap. 2, fino ad oggi il Consiglio
non ha mai fatto parte delle istituzioni europee, trattandosi più semplice-
mente di una riunione dei Capi di Stato e di governo dei paesi membri).
Il TCE, invece, assume la nuova denominazione di Trattato sul funziona-
mento dell’Unione europea (TFUE): la Comunità europea viene, così, as-
sorbita dall’Unione, razionalizzando notevolmente la complessa struttura
«a tempio» dell’organizzazione.
Anche nel TFUE sono inserite molte novità già presenti nella Costituzione
del 2004. In particolare:
— sono aggiunti nuovi obiettivi (circa un trentina) che l’Unione europea deve
perseguire. Tra questi si ricordano: la pace, la piena occupazione, lo svilup-
po sostenibile, la tutela della diversità culturale, la solidarietà, la coesione
e la protezione dei cittadini;
— sono estesi i settori per i quali si potrà decidere con una votazione a mag-
gioranza qualificata (e non all’unanimità) rendendo in tal modo il proces-
so decisionale più semplice;
— quasi tutti gli atti europei sono adottati con la procedura di codecisione (la
nuova procedura legislativa ordinaria), che prevede un coinvolgimento
a pieno titolo del Parlamento europeo;
— vi è una chiara distinzione tra atti legislativi europei e atti non legislativi;
— è introdotta una clausola di recesso dall’Unione, per cui se uno Stato mem-
bro intende abbandonare l’organizzazione potrà farlo liberamente seguen-
do una specifica procedura.
14 Capitolo Primo

LA STRUTTURA DEL TRATTATO SULL’UNIONE EUROPEA (TUE)

Preambolo
Titolo I Disposizioni comuni
Titolo II Disposizioni relative ai principi democratici
Titolo III Disposizioni relative alle istituzioni
Titolo IV Disposizioni sulle cooperazioni rafforzate
Titolo V Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione e disposizioni specifiche
sulla politica estera e di sicurezza comune
Capo I. Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione
Capo II. Disposizioni specifiche sulla PESC (con due Sezioni)
Titolo VI Disposizioni finali

Il Trattato sull’Unione europea riformato consta, oltre che del preambolo, di 55 articoli che, a
seguito del consolidamento, hanno la «rinumerazione» progressiva da 1 a 55.

LA STRUTTURA DEL TRATTATO


SUL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA (TFUE)

Preambolo
Parte I Tit. I. Categorie e settori di competenza dell’Unione
Principi Tit. II. Disposizioni di applicazione generale
Parte II
Non discriminazione
e cittadinanza dell’Unione
Parte III Tit. I. Mercato interno
Politiche e azioni interne Tit. II. Libera circolazione delle merci (con 3 Capi)
dell’Unione Tit. III. Agricoltura e pesca
Tit. IV. Libera circolazione persone, servizi, capitali (con 4
Capi)
Tit. V. Spazio di liberà, sicurezza e giustizia (con 5 Capi)
Tit. VI. Trasporti
Tit. VII. Norme comuni concorrenza, fiscalità, ravvicinamento
legislazioni (con 3 Capi e con Sezioni)
Tit. VIII. Politica economica e monetaria (con 5 Capi)
Tit. IX. Occupazione
Tit. X. Politica sociale
Tit. XI. Fondo sociale europeo
Tit. XII. Istruzione, formazione professionale, gioventù e sport
Tit. XIII. Cultura
Tit. XIV. Sanità pubblica
Tit. XV. Protezione dei consumatori
Tit. XVI. Reti transeuropee
Tit. XVII. Industria
Tit. XVIII. Coesione economica, sociale e territoriale
Tit. XIX. Ricerca, sviluppo tecnologico, spazio
Tit. XX. Ambiente
Tit. XX1. Energia
Tit. XXII. Turismo
Tit. XXIII. Protezione civile
Tit. XXIV. Cooperazione amministrativa
Parte IV
Associazione dei paesi
e territori d’Oltremare
Parte V Tit. I. Disposiz. gen. sull’azione esterna dell’Unione
Azione esterna dell’Unione Tit. II. Politica commerciale comune
Tit. III. Cooperazione con i paesi terzi e aiuto umanitario
(con 3 Capi)
I trattati istitutivi e gli sviluppi dell’integrazione europea 15

Tit. IV. Misure restrittive


Tit. V. Accordi internazionali
Tit. VI. Relazioni dell’Unione con le organizzazioni interna-
zionali e i paesi terzi e delegazioni dell’Unione
Tit. VII. Clausola di solidarietà
Parte VI
Disposizioni istituzionali Tit. I. Disposizioni istituzionali (con 4 Capi e con Sezioni)
e finanziarie Tit. II. Disposizioni finanziarie (con 6 Capi)
Tit. III. Cooperazioni rafforzate
Parte VII.
Disposizioni generali e finali

Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea consta, oltre che del preambolo, di 358
articoli.

Gli Stati membri dell’Unione europea

Stati membri dell’Unione europea fino al 2004 Stati che hanno aderito nel 2004 Stati che hanno aderito nel 2007
16 Capitolo Secondo

Capitolo Secondo
Le istituzioni dell’Unione

I l conseguimento degli obiettivi fondamentali dell’Unione europea è affidato


dai trattati istitutivi a diverse istituzioni (assistite a loro volta da diversi organi
ausiliari) con determinate competenze:
— il Parlamento europeo;
— il Consiglio europeo (elevato con il Trattato di Lisbona al rango di istitu-
zione);
— il Consiglio;
— la Commissione europea;
— la Corte di giustizia dell’Unione europea;
— la Banca centrale europea (elevata anch’essa con il nuovo trattato al
rango di istituzione);
— la Corte dei Conti.
Nell’ambito della struttura istituzionale il rapporto tra i cittadini e tali istituzio-
ni si esplica sostanzialmente attraverso il Parlamento europeo (che è l’espressio-
ne più diretta del corpo elettorale), il cui ruolo nell’evoluzione dell’Unione è
andato via via modificandosi, e attraverso il riconoscimento (avvenuto gradual-
mente) al singolo cittadino europeo di una maggiore centralità.

1. LA STRUTTURA INTERNA DELL’UNIONE


Ai sensi del nuovo art. 13 TUE le istituzioni di cui l’Unione dispone per il
perseguimento degli obiettivi, la promozione dei valori, nonché la coerenza e
l’efficacia delle politiche e delle azioni sono:
— il Parlamento europeo, che esercita congiuntamente al Consiglio la fun-
zione legislativa e di bilancio;
— il Consiglio europeo, divenuto a seguito dell’entrata in vigore del Trattato
di Lisbona istituzione a pieno titolo, che dà all’Unione gli impulsi neces-
sari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politi-
che generali;
— il Consiglio, che esercita congiuntamente al Parlamento europeo la fun-
zione legislativa e di bilancio;
— la Commissione europea, cui compete una funzione esecutiva;
— la Corte di giustizia dell’Unione europea, cui sono attribuite funzioni
giurisdizionali;
— la Banca centrale europea, che con le banche centrali nazionali conduce
la politica monetaria dell’Unione;
— la Corte dei conti, con funzioni di controllo sulla gestione finanziaria.
Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un
Comitato economico e sociale e da un Comitato delle regioni, che svolgo-
no funzioni consultive.
Le istituzioni attuano tra loro una leale cooperazione e agiscono nei limiti
delle attribuzioni conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e
finalità da essi previste.
Le istituzioni dell’Unione 17

LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA

ISTITUZIONE MEMBRI NOMINA COMPETENZE

Parlamento Non oltre 750 Suffragio universale Poteri deliberativi


europeo più il Presidente diretto e di controllo

Consiglio europeo 29 (il Presidente, un Ogni Stato designa il Impulso allo sviluppo
rappresentante per proprio rappresentante dell’Unione
ogni Stato membro, Definizione di
un rappresentante orientamenti e priorità
della Commissione) politiche generali

Consiglio 1 rappresentante per Designazione da parte Adozione degli atti


ogni Stato membro ciascuno Stato normativi
Formazione
e approvazione del
bilancio
Conclusione di accordi
con Stati terzi

Commissione Fino Al 31/10/2014: Presidente: proposta Funzioni di proposta,


europea 27 membri del Consiglio europeo esecutive, di vigilanza
(1 per Stato) e approvazione del e di rappresentanza
Dal 1/11/2014: Parlamento
numero pari ai due Altri membri:
terzi del numero proposta del Consiglio
degli Stati e approvazione del
Parlamento, con
nomina finale del
Consiglio europeo

Corte di giustizia 1 per ogni Stato Nomina di comune Funzioni


dell’Unione europea membro accordo dagli Stati giurisdizionali
membri

Banca centrale europea Consiglio direttivo: Comitato esecutivo: Emissione dell’euro e


membri del comitato Nomina di comune gestione della politica
esecutivo e governatori accordo degli Stati monetaria europea
delle banche centrali Governatori delle
Comitato esecutivo: banche centrali:
presidente, nomina da parte
vicepresidente degli Stati
e altri quattro membri

Corte dei conti 1 per ogni Stato Nomina di comune Controllo generale
membro accordo degli Stati sui conti dell’Unione

2. LA DELIMITAZIONE DELLE COMPETENZE DELL’UNIONE EUROPEA


La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di
attribuzione, in virtù del quale l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle
competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli
obiettivi da questi stabiliti (art. 5 par. 2 TUE).
Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli
Stati membri; l’Unione europea, a differenza dei singoli Stati, può operare
18 Capitolo Secondo

solo in quei settori esplicitamente contemplati dai trattati e solo per il rag-
giungimento delle finalità in essi previste.
La delimitazione delle competenze dell’Unione europea, con la riforma del
Trattato di Lisbona, diventa più chiara e precisa, rappresentando il raggiungi-
mento di un compromesso tra interessi europei ed interessi nazionali. In par-
ticolare gli artt. da 2 a 6 del TFUE prevedono:
— competenze esclusive: nei casi in cui solo l’Unione può legiferare e adot-
tare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autono-
mamente solo se autorizzati dall’Unione oppure per dare attuazione agli
atti dell’Unione;
— competenze concorrenti: sia l’Unione che gli Stati membri possono adot-
tare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri esercitano la loro com-
petenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria;
— azioni di sostegno, coordinamento o completamento, intraprese dal-
l’Unione per completare l’azione degli Stati membri ma senza sostituirsi
alla loro competenza.
L’esercizio delle competenze è sottoposto a due principi:
— sussidiarietà, in virtù del quale l’Unione, nei settori che non rientrano
nella sua competenza esclusiva, interviene solo se gli obiettivi dell’inter-
vento previsto non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati
membri (sia a livello centrale, che regionale o locale);
— proporzionalità, per il quale la forma e il contenuto dell’intervento del-
l’Unione devono essere limitati a quanto necessario per il raggiungimento
degli obiettivi stabiliti dai trattati.
Il Trattato di Lisbona, infine, conferma l’inserimento nei trattati della clau-
sola di flessibilità, che consente all’Unione europea di acquisire i poteri di
azione necessari per realizzare gli scopi ricavabili dai trattati qualora questi
non li abbiano espressamente previsti (art. 352 TFUE). Il ricorso a tale clauso-
la è stato però limitato e reso più rigoroso.

Il ruolo dei Parlamenti nazionali


Con il Trattato di Lisbona il ruolo dei Parlamenti nazionali viene rafforzato.
La novità di rilievo riguarda l’istituzionalizzazione della partecipazione dei suddetti par-
lamenti all’attività dell’Unione europea. È infatti inserito nel nuovo TUE l’art. 12 con il quale
si riconosce che i Parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento
dell’Unione.
Tale partecipazione avviene nel modo seguente:
— i Parlamenti nazionali sono informati dalle istituzioni e ricevono i progetti di atti legislativi;
— vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà;
— partecipano, nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai meccanismi di
valutazione nell’attuazione delle politiche dell’Unione nel settore e sono associati al con-
trollo politico messo in atto dall’Europol e alla valutazione delle attività di Eurojust;
— partecipano alle procedure di revisione dei trattati;
— sono informati delle domande di adesione all’Unione europea;
— partecipano alla cooperazione interparlamentare.

3. I RAPPORTI TRA LE ISTITUZIONI E I CITTADINI DELL’UNIONE

A) La trasparenza delle istituzioni


Il tema della trasparenza istituzionale, vale a dire la predisposizione di
misure che accrescano la possibilità per il pubblico di accedere alle in-
Le istituzioni dell’Unione 19

formazioni di cui le istituzioni dispongono, comincia ad avere una certa


risonanza in ambito comunitario all’inizio degli anni ’80. In quel periodo, in-
fatti, il Parlamento adotta una serie di risoluzioni relative alla trasparenza
della legislazione comunitaria.
Sebbene il trattato contenesse già delle norme sulla trasparenza ammini-
strativa, come ad esempio l’obbligo di pubblicare e motivare gli atti giuridici,
il primo richiamo esplicito a questo tema si ha con il Trattato di Maastricht.
Il principio di trasparenza è direttamente evocato all’art. 1 TUE oggi
modificato dal Trattato di Lisbona, in cui si afferma che le decisioni dell’Unio-
ne devono essere prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possi-
bile ai cittadini.
Tale principio è reso ancora più esplicito nel nuovo art. 15, par. 1 TFUE,
in cui si prevede che al «fine di promuovere il buon governo e garantire la parte-
cipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione
operano nel modo più trasparente possibile».

B) Il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni


Sulle basi delle conclusioni dei Consigli europei del 1992, il Consiglio e la
Commissione adottavano, il 6 dicembre 1993, un Codice di condotta desti-
nato a consentire l’accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni e
s’impegnavano, nei limiti delle rispettive competenze, ad adottare i provvedi-
menti necessari all’attuazione dei principi enunciati nello stesso Codice ante-
riormente al 1° gennaio 1994.
Il Codice di condotta enunciava il principio generale in base al quale il pubblico ha il più
ampio accesso possibile ai documenti e, a tal fine, definiva il termine «documento» come ogni
scritto contenente dati esistenti che sia in possesso del Consiglio o della Commissione, indipenden-
temente dal suo contenuto.
La richiesta di accesso ad un documento era sottoposta, però, ad una serie di procedure
relative alle varie modalità di richiesta (regime di trattamento), così come veniva contemplata la
possibilità di respingere la richiesta (regime delle eccezioni). Le istituzioni, infatti, potevano nega-
re l’accesso a qualsiasi documento la cui divulgazione pregiudicava l’interesse pubblico o l’inte-
resse alla segretezza.

Con il Trattato di Amsterdam il diritto di accesso ha trovato una diretta


collocazione nel testo del Trattato CE all’art. 255, ed è oggi contenuto nell’art.
15 TFUE, ai sensi del quale qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona
fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha
diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione,
a prescindere dal loro supporto.
È possibile che, qualora sia necessario tutelare interessi di natura pubblica
o privata, il diritto di accesso ai documenti subisca delle limitazioni, regolate
dal Parlamento europeo e dal Consiglio che deliberano secondo la procedura
legislativa ordinaria.
In attuazione dell’art. 255 (ora 15 TFUE) è stato adottato il regolamento
CE n. 1049/2001 del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai
documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione.
Il regolamento stabilisce che qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi per-
sona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro
ha il diritto ad accedere ai documenti delle istituzioni; stessa possibilità può
essere concessa dalle istituzioni anche alle persone fisiche o giuridiche non
appartenenti ad alcuno Stato membro.
Tale diritto non è però privo di limitazioni. L’art. 4 del regolamento preve-
de, infatti, che le istituzioni possano rifiutare l’accesso ai documenti (per inte-
20 Capitolo Secondo

ro o parti di essi) prodotti dalla stessa istituzione quando la loro divulgazione


rischi di compromettere:
a) l’interesse pubblico;
b) la vita privata e l’integrità dell’individuo;
c) gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica (compresa la
proprietà intellettuale), le procedure giurisdizionali e la consulenza le-
gale, gli obiettivi dell’attività ispettiva, di indagine e di revisione con-
tabile. La tutela di questi interessi trova, però, un limite nel prevalente
interesse pubblico alla divulgazione dei documenti.

C) L’iniziativa popolare
Una delle novità significative apportate dal Trattato di Lisbona è quella di
permettere ai cittadini una partecipazione più ampia al processo decisio-
nale. In base alla cd. iniziativa popolare (art. 11 TUE) i cittadini dell’Unione,
in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero
significativo di Stati membri, possono invitare la Commissione europea a pre-
sentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini
ritengono necessario un atto giuridico ai fini dell’attuazione dei trattati. Lo
scopo è quello di consentire ai cittadini uno scambio di opinioni in tutti i
settori di azione dell’Unione, mantenendo con le istituzioni un dialogo aperto,
trasparente e regolare.
Le procedure e le condizioni necessarie per la presentazione di una inizia-
tiva dei cittadini sono stabilite con regolamento del Parlamento europeo e del
Consiglio mediante la procedura legislativa ordinaria (vedi cap. 13).
Il Parlamento europeo 21

Capitolo Terzo
Il Parlamento europeo

I l Parlamento europeo è forse l’istituzione di maggior rilievo dell’architettura


europea. In quanto composto dai rappresentanti dei popoli (e non degli Stati)
dell’Unione europea, esso rappresenta il primo forum multinazionale nella sto-
ria dell’Europa.
Inizialmente deputata a svolgere funzioni essenzialmente consultive, nel corso
degli anni tale istituzione ha assistito all’ampliarsi delle proprie competenze,
che ricomprendono, oggi, una piena attività legislativa condivisa con il
Consiglio.

1. INTRODUZIONE
I trattati istitutivi della CEE, della CECA e dell’Euraton prevedevano la
creazione di tre diverse Assemblee, tutte composte dai rappresentanti dei po-
poli degli Stati membri.
Si preferì poi istituire un’Assemblea unica per le tre Comunità, che avrebbe
esercitato le competenze riconosciutele da ciascuno dei tre trattati.
La prima riunione della nuova Assemblea parlamentare si tenne nel Palaz-
zo d’Europa a Strasburgo il 19 marzo 1958; l’attuale denominazione di Parla-
mento europeo fu definitivamente adottata alcuni anni dopo, il 30 marzo 1962.
Per molti anni il Parlamento è stato composto da esponenti dei Parlamenti
nazionali. L’elezione diretta dei suoi membri è stata decisa con atto del Consi-
glio europeo del 20 settembre del 1976 e le prime elezioni si sono svolte nel
1979, in base a sistemi elettorali diversi.
La legittimazione formale della denominazione «Parlamento europeo» è av-
venuta attraverso l’art. 3 dell’Atto unico.

2. COMPOSIZIONE
A) Sistema previsto dai Trattati
Secondo l’art. 14 del Trattato sull’Unione europea, il numero dei seggi del
Parlamento non può essere superiore a settecentocinquanta, più il pre-
sidente. La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente
proporzionale, con una soglia minima di sei rappresentanti per Stato mem-
bro. A nessuno Stato sono assegnati più di novantasei seggi. Spetta al Consi-
glio europeo adottare all’unanimità, su iniziativa del Parlamento europeo e
con l’approvazione di quest’ultimo, una decisione che stabilisce la composi-
zione del Parlamento stesso.
Tuttavia, per la legislatura 2009-2014, il Consiglio europeo 11-12 dicembre
2008 ha stabilito che a titolo transitorio i membri del Parlamento siano 754,
ripartiti secondo la tabella che segue.
22 Capitolo Terzo

RAPPRESENTANTI DEGLI STATI MEMBRI


AL PARLAMENTO EUROPEO (2009-2014)

Germania 99 Austria 19
Francia 74 Bulgaria 18
Italia 73 Danimarca 13
Regno Unito 73 Slovacchia 13
Spagna 54 Finlandia 13
Polonia 51 Irlanda 12
Romania 33 Lituania 12
Paesi Bassi 26 Lettonia 9
Belgio 22 Slovenia 8
Repubblica ceca 22 Estonia 6
Grecia 22 Cipro 6
Ungheria 22 Lussemburgo 6
Portogallo 22 Malta 6
Svezia 20 Totale 754

A partire dal 2014 la Germania subirà una riduzione di 3 seggi. Dagli attuali 99 passerà a 96.

B) L’elezione a suffragio universale


A partire dal giugno 1979, sulla base della decisione del Consiglio 76/787
del 20 settembre 1976, i membri del Parlamento europeo vengono eletti in
ogni Stato membro tramite suffragio universale diretto, per un periodo di
cinque anni; essi non possono essere vincolati da istruzioni nè sottostare a
mandato imperativo.
Con la decisione del Consiglio del 25 giugno e del 23 settembre 2002, n.
2002/772/CE, Euratom (GUCE 21-10-2002, L 283), sono state apportate alcu-
ne sostanziali modifiche all’atto relativo alle elezioni dei rappresentanti del
Parlamento europeo, allegato alla decisione del Consiglio 1976/787.
Tali modifiche introducono due innovazioni di fondamentale importanza
rispetto all’atto del 1976:
— l’obbligo di adozione del sistema elettorale proporzionale;
— l’incompatibilità tra la carica di parlamentare europeo con quella di parla-
mentare nazionale.
Relativamente all’adozione del sistema elettorale proporzionale, la deci-
sione ha sancito l’obbligo per gli Stati membri di adottare tale sistema a parti-
re dalle elezioni del 2004, pur consentendo di optare tra lo scrutinio di lista
ovvero il sistema proporzionale con voto singolo trasferibile.

Le incompatibilità tra le cariche


Per quanto riguarda l’incompatibilità tra le cariche di membro del Parlamento europeo e
nazionale, la decisione del Consiglio ha posto un freno alla prassi che si era andata diffon-
dendo in alcuni paesi dove diversi esponenti di spicco dei partiti politici venivano eletti in
entrambe le istituzioni, conservando le due cariche. Inoltre con la previsione di tale incom-
patibilità si è voluta affermare l’importanza del ruolo Parlamento europeo, soprattutto alla
luce dell’ampliamento delle sue competenze, e quindi la continuità che richiede lo svolgi-
mento del mandato di parlamentare europeo.
Le suddette modifiche sono entrate in vigore il 1° aprile 2004.

La decisione del Consiglio del 20 settembre 1976 ha regolato anche il periodo


di svolgimento delle elezioni per il Parlamento europeo. Esse si tengono alla
scadenza del mandato del Parlamento quasi contemporaneamente in tutti gli
Stati membri in un giorno, scelto da ciascuno Stato, nell’ambito di un unico
periodo che va dal giovedì alla domenica successiva.
Il Parlamento europeo 23

3. FUNZIONAMENTO
L’attività del Parlamento europeo è disciplinata dal suo regolamento in-
terno; quello attualmente in vigore è la versione relativa alla 7a legislatura,
adottata nel dicembre 2009 a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Li-
sbona (1° dicembre 2009).
Il testo è formato 216 articoli a cui vanno aggiunti 20 allegati.

Secondo quanto stabilito dall’art. 133 del suo regolamento interno, lo svol-
gimento dei lavori del Parlamento europeo si articola in:
• legislature, vale a dire il periodo di durata effettiva del mandato dei par-
lamentari europei (5 anni);
• sessioni, che hanno una durata annuale;
• tornate, vale a dire le singole riunioni del Parlamento, che di norma si
tengono ogni mese. Nel protocollo n. 12 adottato ad Amsterdam e relati-
vo alle sedi delle istituzioni (allegato al Trattato di Lisbona) si precisa
che a Strasburgo si tengono in linea di massima 12 tornate plenarie men-
sili, compresa la tornata di bilancio. Le tornate plenarie aggiuntive si ten-
gono a Bruxelles;
• giorni di seduta, ovvero le riunioni quotidiane dell’istituzione.
Un’altra riunione di diritto è quella prevista dopo la sua elezione. Si tratta
della prima riunione dell’istituzione, che deve avvenire il primo martedi
successivo alla scadenza del termine di un mese dalla fine delle operazioni
elettorali.

Va rilevato che la maggior parte dei lavori parlamentari viene svolta all’in-
terno di singole Commissioni specializzate, suddivise, a loro volta, in sotto-
commissioni.
Gli organi del Parlamento europeo sono cinque: l’ufficio di presidenza, la
conferenza dei presidenti, i questori, la conferenza dei presidenti di commissione
e la conferenza dei presidenti di delegazione.
L’ufficio di presidenza è composto, oltre che dal Presidente, da quattordi-
ci vicepresidenti e da cinque questori, in carica per due anni e mezzo. Questi
ultimi svolgono funzioni consultive e sono incaricati di compiti amministrati-
vi e finanziari riguardanti direttamente i deputati.

Il ruolo del Presidente è essenziale per lo svolgimento dei lavori dell’ufficio di presidenza;
le sue funzioni sono di protocollo e di rappresentanza e di direzione dei dibattiti parla-
mentari.

Per quanto riguarda le procedure di voto, le deliberazioni del Parlamento


europeo, salvo diversa disposizione dei trattati, sono adottate a maggioranza
assoluta dei suffragi espressi (art. 231 TFUE): le astensioni, quindi, non entra-
no nel computo dei voti.

Il regolamento interno prevede anche diverse modalità di votazione: per


alzata di mano, appello nominale, scrutinio segreto ed elettronica.

Il quorum per la validità delle sedute è alquanto basso, essendo sufficiente


la presenza di un terzo dei membri del Parlamento.
24 Capitolo Terzo

4. LA FUNZIONE LEGISLATIVA E DI BILANCIO, LA FUNZIONE CON-


SULTIVA
La funzione legislativa è condivisa con il Consiglio nel procedimento di
adozione degli atti dell’Unione.
Tale funzione si esplica attraverso la procedura legislativa ordinaria (nuova
denominazione che il Trattato di Lisbona attribuisce alla procedura di codeci-
sione), nell’ambito della quale Parlamento e Consiglio sono posti sullo stesso
piano, o attraverso la procedura legislativa speciale, che prevede l’adozione del-
l’atto da parte del Consiglio con la mera partecipazione del Parlamento e di
altri organi e viceversa (vedi infra).

I poteri del Parlamento: tre fasi


In una prima fase, che va dall’istituzione delle Comunità all’Atto unico europeo, il Parla-
mento disponeva di meri poteri consultivi. Questi poteri, tuttavia, avevano una portata più
formale che sostanziale: essi si traducevano nell’emanazione di un parere, che oltre a non
essere sempre obbligatorio (lo era solo nei casi previsti dai trattati) non era mai vincolante.
Con l’Atto unico (seconda fase) si è registrata una certa evoluzione, dovuta anche e so-
prattutto al tentativo di recupero di una legittimazione democratica della Comunità.
Con questo accordo venne introdotta una procedura di cooperazione che prevedeva una
sorta di consultazione tra Commissione, Consiglio e Parlamento. Si trattava di un primo
tentativo di inserire quest’ultimo nel procedimento legislativo, anche se la sua partecipazio-
ne rimaneva comunque circoscritta rispetto a quella delle altre istituzioni.
Venne introdotta anche la procedura di parere conforme, che precludeva al Consiglio di
deliberare qualora non si fosse adeguato al parere del Parlamento. L’innovazione era tuttavia
marginale dal momento che, oltre a rallentare il procedimento normativo, era circoscritta al
campo degli accordi di adesione e di associazione alla Comunità.
Con il Trattato di Maastricht e con i successivi accordi di Amsterdam e Nizza (terza fase)
si è arrivati a ritagliare un ruolo determinante al Parlamento europeo in materia legislativa:
senza attribuirgli la titolarità esclusiva del potere normativo (come dovrebbe essere per ogni
organo assembleare rappresentativo della volontà popolare), gli è stato concesso di inserirsi
a pieno titolo nel procedimento di formazione degli atti comunitari. Si fa riferimento alla
procedura di codecisione, che ha posto sullo stesso piano Consiglio e Parlamento.

La funzione di bilancio si estrinseca sia attraverso l’approvazione del qua-


dro finanziario che attraverso la decisione del Parlamento e del Consiglio re-
lativa alle spese da iscriversi nel bilancio dell’Unione. Con il termine spese
s’intende l’intero budget, non risultando più, di conseguenza, la vecchia di-
stinzione tra spese obbligatorie e non obbligatorie dove solo in merito a que-
ste ultime, e precedentemente alla riforma di Lisbona, il Parlamento aveva
potere decisionale.
La funzione consultiva si esplica in tutti gli altri casi in cui si attiva la
procedura legislativa speciale (vedi cap. 13), quando il Parlamento esercita un
potere di consultazione in materie nel cui ambito il suo ruolo era precedente-
mente inesistente, dovendo approvare una serie di decisioni del Consiglio.

L’iniziativa legislativa
Al Parlamento è attribuito anche un potere di iniziativa legislativa. Ai sensi dell’art. 225
TFUE esso può, a maggioranza dei suoi membri, chiedere alla Commissione di esercitare il
suo potere di proposta sulle questioni di interesse dell’Unione che richiedono l’adozione di
specifici atti. Si tratta di un potere (la c.d. iniziativa dell’iniziativa) non certo irrilevante,
reso effettivo dalla mozione di censura che il Parlamento può emanare nei confronti della
Commissione e dall’influenza che sull’elezione della stessa è in grado di esercitare.
Il Parlamento europeo 25

5. FUNZIONI DI CONTROLLO
A) Controllo sulle istituzioni
Non si tratta di un controllo in senso stretto, bensì di una sorta di influenza
che condiziona l’operato delle altre istituzioni.

Le istituzioni sottoposte al controllo del Parlamento sono:


— la Commissione: nei suoi confronti il Parlamento dispone di un effettivo strumento di
controllo giuridico: la mozione di censura (art. 234 TFUE) (v. → in Appendice). Tale mec-
canismo riecheggia la mozione di sfiducia al Governo adottata negli ordinamenti naziona-
li, in quanto una volta approvata dai parlamentari obbliga i membri della Commissione a
dismettere collettivamente le loro funzioni.
A rafforzare il potere di controllo del Parlamento sulla Commissione è l’elezione, a maggio-
ranza dei membri che lo compongono, del Presidente della stessa Commissione (previa
proposta del Consiglio europeo). Una novità introdotta con il nuovo trattato che si sostitui-
sce alla mera approvazione parlamentare sulla vecchia nomina deliberata dal Consiglio.
Un ulteriore controllo, anche se indiretto, è dato dalle interrogazioni che ciascun parla-
mentare può porre alla Commissione. Si ricordi, infine, che il presidente, l’Alto rappresen-
tante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e gli altri membri della Com-
missione sono soggetti, collettivamente, al voto di approvazione del Parlamento europeo;
— il Consiglio e il Consiglio europeo. Il Parlamento dispone di strumenti di controllo poli-
tico, quali i pareri consultivi e le interrogazioni sopra citate.

B) Controllo sull’apparato amministrativo


Il controllo sull’apparato amministrativo ha come obiettivo la salvaguar-
dia dei diritti degli Stati e delle persone fisiche o giuridiche, premessa fonda-
mentale all’effettiva e corretta applicazione del diritto dell’Unione.

Gli strumenti a disposizione del Parlamento sono:


— la possibilità di nominare una commissione temporanea d’inchiesta (art. 226 TFUE) su
richiesta di 1/4 dei suoi membri; la commissione esamina le denunce di infrazione e catti-
va amministrazione nell’applicazione del diritto dell’Unione e cessa di esistere quando
deposita la sua relazione. Secondo quanto stabilito dal Trattato di Lisbona, previa appro-
vazione del Consiglio e della Commissione, il Parlamento europeo, di sua iniziativa, deli-
berando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, fissa le moda-
lità di esercizio del diritto di inchiesta;
— l’istituzione del mediatore europeo (art. 228 TFUE) (v. → in Appendice), eletto dopo ogni
elezione del Parlamento europeo per la durata della legislatura. Il mediatore è abilitato a
ricevere le denunce di qualsiasi persona fisica o giuridica che risiede in uno Stato mem-
bro, riguardanti i casi di cattiva amministrazione da parte degli organi europei. La denun-
cia può essere presentata entro due anni dalla data in cui si è avuta conoscenza dei fatti. Il
mediatore, di propria iniziativa o sulla base delle denunce ricevute, compie le indagini
necessarie e, se constata un caso di cattiva amministrazione, investe l’autorità interessata
che dovrà pronunciarsi entro tre mesi; alla fine trasmette una relazione al Parlamento;
— la previsione del diritto di petizione (art. 227 TFUE). Legittimati all’esercizio di tale dirit-
to sono tutti i cittadini dell’Unione ed ogni persona fisica o giuridica che ha la propria sede
in uno Stato membro. Una volta ricevuta la petizione, il Parlamento la trasmette ad una
commissione specializzata detta «Commissione per le petizioni» che si occupa di valutare
la pertinenza della richiesta. Se dichiarata ricevibile, la richiesta è esaminata nel merito.
26 Capitolo Terzo

➤ Procedura legislativa ordinaria


➤ Legislativi
➤ Procedura legislativa speciale

➤ Di bilancio ➤ Approvazione del quadro finanziario


➤ Decisione insieme al Consiglio sulle spese da iscriversi nel bilancio UE

— mozione di censura: una volta adotta-


ta dai parlamentari obbliga i mem-
• Commissione bri della Commissione a dismettere
collettivamente le loro funzioni
— elezione del Presidente
➤ Sulle
istituzioni • Consiglio — attraverso:
— pareri consultivi
• Consiglio — interrogazioni
europeo — proposte di risoluzioni
Poteri ➤ Di controllo
• Costituzione di — esame delle denunce di infrazione o
una commissione di cattiva amministrazione nella ap-
plicazione del diritto dell’Unione
➤ Sull’appa-
rato ammi- — organo abilitato a ricevere le de-
nistrativo nunce da parte di ogni persona fi-
• Nomina di un sica o giuridica, sulla cattiva am-
mediatore
ministrazione degli organi del-
l’Unione

• Potere di rice- — il diritto di petizione si estende a


vere petizioni tutti i cittadini dell’Unione, ogni
persona fisica o giuridica che ri-
siede in uno degli Stati membri
Il Consiglio europeo 27

Capitolo Quarto
Il Consiglio europeo

L a prassi delle riunioni dei capi di Stato e di governo ha avuto inizio nel 1961
ed è stata formalizzata nel vertice di Parigi del 1974. L’esistenza del Consi-
glio europeo è stata sancita nell’art. 2 dell’Atto unico europeo.
In quanto centro decisionale e di impulso dell’Unione europea, il Con-
siglio europeo ha acquisito una funzione di sempre maggiore rilevanza non solo
nel secondo e terzo pilastro, ma anche nella Comunità.
Con il Trattato di Lisbona, esso è stato elevato al rango di istituzione, ed è ora
previsto all’art. 13 del Trattato sull’Unione europea.

1. GENERALITÀ
Il Consiglio europeo ha origine nella prassi delle riunioni al vertice fra i
capi di Stato e di governo degli Stati membri, che ha avuto inizio nel 1961.
Fino ai primi anni ’70 tali vertici sono avvenuti in maniera sporadica e senza
una cadenza regolare. Nel vertice di Parigi del 1974 si decise che i Capi di
Stato e di governo, affiancati anche dai ministri degli esteri, dal Presidente e
da uno dei vicepresidenti della Commissione, si sarebbero riuniti tre volte
l’anno come «Consiglio europeo», sotto la presidenza del capo di Stato o go-
verno cui spettava la presidenza del Consiglio della Comunità.
L’art. 2 dell’Atto unico europeo ha formalmente sancito l’esistenza
del Consiglio europeo e ha stabilito che esso si riunisce due volte l’anno.
Il Trattato sull’Unione europea del 1992 ne ha definito il ruolo di impulso
e di definizione degli orientamenti politici generali.
Il Trattato sull’Unione europea ha anche previsto che il Consiglio europeo presenti una rela-
zione al Parlamento dopo ciascuna delle sue riunioni e una relazione scritta annuale sui progres-
si compiuti dall’Unione.

I trattati successivi hanno rafforzato il ruolo di centro di decisione del-


l’Unione europea e di impulso, ed il Trattato di Lisbona, da ultimo, lo ha eleva-
to al rango di istituzione inserendolo all’art. 13 TUE.
Il successivo art. 15, inoltre, dispone che alla sua tradizionale composizio-
ne sia aggiunta la partecipazione dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli
affari esteri e la politica di sicurezza.

Il Consiglio europeo si riunisce due volte a semestre su convocazione del presidente. Se l’ordi-
ne del giorno lo richiede, ciascun membro del Consiglio europeo può decidere di farsi assiste-
re da un ministro e, nel caso del presidente della Commissione, da un membro della Commis-
sione. Se la situazione lo richiede, il presidente convoca una riunione straordinaria del Consi-
glio europeo.

Il Consiglio europeo si pronuncia per consenso, salvo nei casi in cui i trat-
tati dispongano diversamente.

In caso di voto, ciascuno Stato può delegare l’esercizio del proprio diritto di voto a un altro. Il
presidente e il presidente della Commissione non partecipano al voto. L’astensione di membri
presenti o rappresentati non osta all’adozione delle deliberazioni per le quali è richiesta l’una-
nimità. Le questioni procedurali e il regolamento interno sono votati a maggioranza semplice
(art. 235 del Trattato sul funzionamento dell’Unione).
28 Capitolo Quarto

2. IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO EUROPEO


In passato la Presidenza del Consiglio europeo coincideva con quella del
Consiglio dei Ministri ed era assegnata a rotazione semestrale a ciascuno Sta-
to membro.
Con il Trattato di Lisbona la Presidenza europeo diviene una carica
elettiva.
Secondo l’art. 15 del Trattato sull’Unione europea nella versione successiva
al Trattato di Lisbona, infatti, il Consiglio europeo elegge il presidente a mag-
gioranza qualificata per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una
volta e, nei casi di impedimento o colpa grave, può porre fine al mandato
secondo la medesima procedura.

Il presidente del Consiglio europeo:


a) presiede e anima i lavori del Consiglio europeo;
b) assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo,
in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori
del Consiglio «Affari generali»;
c) si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio
europeo;
d) presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riu-
nioni del Consiglio europeo.
Egli inoltre assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna
dell’Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comu-
ne, fatte salve le attribuzioni dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli
affari esteri e la politica di sicurezza.
Il presidente del Consiglio europeo non può esercitare un mandato
nazionale.

3. LE PRINCIPALI FUNZIONI DEL CONSIGLIO EUROPEO


Secondo l’art. 15 del Trattato sull’Unione europea, il Consiglio europeo
dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orien-
tamenti e le priorità politiche generali. Esso, tuttavia, non esercita fun-
zioni legislative.

Le funzioni nel Trattato sull’Unione europea


In particolare, conformemente al Trattato sull’Unione europea, spetta al Consiglio europeo:
— constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente dei diritti umani da parte di
uno Stato membro (art. 7 TUE);
— adottare la decisione che determina la composizione del Parlamento europeo (art. 14
TUE);
— modificare all’unanimità il numero dei membri della Commissione e stabilirne il sistema
di rotazione (art. 17 TUE);
— proporre al Parlamento europeo il candidato alla presidenza della Commissione e nomi-
nare, dopo il voto del Parlamento europeo, la Commissione (art. 17 TUE);
— nominare e porre fine al mandato dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri
e la politica di sicurezza (art. 18 TUE);
— individuare gli interessi e obiettivi strategici dell’Unione in materia di azione esterna (art. 22
TUE) e politica estera e sicurezza comune (artt. 24 e 26 TUE) adottando le relative decisioni
(art. 31 TUE);
— decidere all’unanimità delle questioni di cui il Consiglio, deliberando a maggioranza
qualificata, lo investe su richiesta di uno dei suoi membri e decidere i casi in cui il Con-
siglio vota a maggioranza qualificata (art. 31TUE);
Il Consiglio europeo 29

— decidere all’unanimità il passaggio ad una difesa comune (art. 42 TUE);


— adottare a maggioranza semplice una decisione favorevole all’esame di modifiche dei
Trattati proposte dagli Stati e, nella persona del presidente del Consiglio europeo, convo-
care una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di
Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. Il
Consiglio europeo può decidere a maggioranza semplice, previa approvazione del Parla-
mento europeo, di non convocare una convenzione qualora l’entità delle modifiche non
lo giustifichi. In questo caso, il Consiglio europeo definisce il mandato per una conferen-
za dei rappresentanti dei governi degli Stati membri (art. 48 TUE);
— decidere nel caso in cui un Trattato di modifica sia stato ratificato dai quattro quinti
degli Stati (art. 48 TUE);
— adottare all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo, della Commissione
e, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, della Banca centrale europea
una decisione che modifica in tutto o in parte le disposizioni della parte terza del trattato
sul funzionamento dell’Unione europea. Tale decisione entra in vigore solo previa appro-
vazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali (art. 48
TUE);
— adottare una decisione che consenta al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata
in caso in cui è previsto che voti all’unanimità nel Trattato sul funzionamento dell’Unio-
ne o nel Titolo V del Trattato sull’Unione europea e sostituire la procedura legislativa
speciale con la procedura legislativa ordinaria (art. 48 TUE);
— stabilire i criteri di ammissibilità per l’adesione di nuovi Stati (art. 49 TUE);
— accogliere le richieste di recesso degli Stati (art. 50 TUE);
Conformemente al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, spetta al Consiglio
europeo:
— in materia di sicurezza sociale, rinviare il progetto al Consiglio o chiedere alla Commis-
sione di presentare una nuova proposta (art. 48 TFUE);
— definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello
spazio di libertà, sicurezza e giustizia (art. 68 TFUE);
— decidere su una proposta di direttiva in materia di cooperazione penale, su richiesta di
uno Stato membro artt. 82-83 TFUE);
— decidere su una proposta di regolamento volta a contrastare i reati che ledono interessi
finanziari dell’Unione ed estendere le competenze della Procura europea per la lotta alla
criminalità (art. 86 TFUE);
— decidere sul progetto di misure relative alla cooperazione di polizia su richiesta dello
Stato (art. 87 TFUE);
— dettare gli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e del-
l’Unione (art. 121 TFUE);
— esaminare annualmente la situazione dell’occupazione nell’Unione (art. 148 TFUE);
— valutare regolarmente le minacce in termini di attacchi terroristici o calamità naturali o
causate dall’uomo (art. 222 TFUE);
— adottare a maggioranza qualificata una decisione sulle formazioni del Consiglio e sulla
loro Presidenza (art. 326 TFUE);
— nominare i membri del comitato esecutivo della Banca centrale europea (art. 283 TFUE);
— modificare la modalità di voto del regolamento che fissa il quadro pluriennale di bilan-
cio in seno al Consiglio (art. 312 TFUE);
— adottare, su iniziativa dello Stato membro interessato, una decisione che modifica lo
status, nei confronti dell’Unione, di un paese o territorio danese, francese o olandese
(art. 355 TFUE).
30 Capitolo Quinto

Capitolo Quinto
Il Consiglio

I l Consiglio è il principale organo decisionale dell’Unione. Tale ruolo si


esplica, oltre che nell’emanazione di atti normativi, anche nella formazione e
adozione del bilancio e nella conclusione di accordi con Stati terzi.
Il Consiglio provvede, infine, al coordinamento delle politiche economiche ge-
nerali degli Stati membri, nonché a svolgere funzioni esecutive.
Trattandosi di un organo collegiale di Stati, è espressione dei loro interessi e
portatore delle volontà dei governi nazionali.
Esso si riunisce in varie formazioni, tuttavia due sono quelle cui l’art. 16 TUE fa
esplicito riferimento: il Consiglio affari generali e il Consiglio affari esteri.

1. GENERALITÀ E COMPOSIZIONE
Il Consiglio è il principale organo decisionale dell’Unione.
Dispone infatti l’articolo 16 del Trattato sull’Unione europea che il Consi-
glio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legisla-
tiva e la funzione di bilancio. Esso svolge, altresì, le attività di definizione
delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati.
Il Consiglio è un organo composto di Stati: titolare del seggio è infatti lo
Stato membro dell’Unione, che designa il proprio rappresentante scegliendolo
tra i componenti del proprio governo nazionale (ministri e sottosegretari).

I membri del Consiglio


Il Consiglio è composto da un membro per ogni Stato che fa parte dell’Unione.
I rappresentanti degli Stati in seno al Consiglio non devono necessariamente rivestire la
qualifica di ministri, ma è essenziale che facciano parte della compagine governativa (ad es.:
sottosegretari) e che siano abilitati ad impegnare il proprio governo.
Normalmente siede in Consiglio il ministro nazionale designato in relazione all’oggetto delle
questioni all’ordine del giorno.
Trattandosi di un organo composto di Stati, in cui ciascuno di essi dispone sovranamente del
proprio voto, è lecito che il governo nazionale conferisca un mandato imperativo senza dura-
ta prestabilita ad un membro che andrà a partecipare alla riunione del Consiglio, vincolan-
done il voto a precise e rigide istruzioni.

2. ORGANIZZAZIONE INTERNA DEL CONSIGLIO


L’organizzazione interna del Consiglio è disciplinata dal regolamento in-
terno; la versione in vigore è stata adottata con decisione 1° dicembre 2009, n.
2009/937/UE.
Conformemente all’art. 16 del Trattato sull’Unione europea, il Consiglio si
riunisce in varie formazioni, il cui elenco è adottato dal Consiglio europeo a
maggioranza qualificata, conformemente all’articolo 236 TFUE. In ogni caso
è prevista una formazione «Affari generali», che assicura la coerenza dei
lavori delle varie formazioni del Consiglio, prepara le riunioni del Consiglio
europeo e ne assicura il seguito in collegamento con il presidente del Consi-
glio europeo e la Commissione, e una formazione «Affari esteri», che elabora
l’azione esterna dell’Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio
europeo e ne assicura la coerenza.
Il Consiglio 31

Il Consiglio si riunisce su convocazione del suo Presidente per iniziativa


dei suoi membri, di uno solo di questi o della Commissione .
L’art. 16 par 9 TUE dispone che la Presidenza delle formazioni del Con-
siglio, ad eccezione della formazione Affari esteri, è demandata a una decisio-
ne del Consiglio europeo, adottata a maggioranza qualificata, ed è esercitata
secondo un sistema di rotazione paritaria.
Nella decisione adottata dal Consiglio europeo — 1° dicembre 2009, n.
2009/881/UE sull’esercizio di presidenza del Consiglio — viene specificato che
la Presidenza è esercitata da un gruppo predeterminato di tre Stati, per
un periodo di diciotto mesi, scelti in considerazione delle loro diversità e
degli equilibri geografici nell’Unione, applicando un sistema di rotazione pa-
ritaria.
All’interno del gruppo, ciascun membro esercita a turno la presidenza
di tutte le formazioni del Consiglio, sempre ad eccezione di quella Affari
esteri, per un periodo di sei mesi; gli altri membri del gruppo assistono la
presidenza in tutti i suoi compiti sulla base di un programma comune. I mem-
bri del gruppo possono decidere tra loro modalità alternative.
Il paese che a turno presiede il Consiglio:
— rappresenta il Consiglio in tutte le sedi in cui ciò sia necessario;
— convoca il Consiglio o di propria iniziativa (in quanto Stato membro) o su
formale richiesta da parte di un altro Stato membro o della Commissione;
— risponde alle interrogazioni del Parlamento europeo per conto del Con-
siglio;
— cura le relazioni internazionali dell’Unione (accreditamento di rappre-
sentanti di Stati terzi, firma di accordi a nome dell’Unione etc.).

3. IL COMITATO DEI RAPPRESENTANTI PERMANENTI DEGLI STATI


(COREPER)
L’accrescersi col tempo della mole del lavoro comunitario, insieme alla
sempre maggiore esigenza di un più costante contatto tra Consiglio e Com-
missione, ha fatto sì che con il Trattato di fusione degli esecutivi del 1965
venisse istituito un Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati
membri (COREPER), costituito dalle rappresentanze diplomatiche presso le
Comunità (ed oggi, presso l’Unione).
Conformemente all’art. 16 del Trattato sull’Unione europea, il Comitato
dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri è responsabile
della preparazione dei lavori del Consiglio. Secondo l’art. 240 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione, tale comitato è responsabile della preparazione
dei lavori del Consiglio e dell’esecuzione dei compiti che quest’ultimo gli asse-
gna. Il Comitato può adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal rego-
lamento interno del Consiglio.

Struttura • COREPER I (affari correnti, di procedura o tecnici)


• COREPER II (affari di rilievo politico e relazioni esterne)

• coordinamento dei gruppi di lavoro

Funzioni • predisposizione dell’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio


• organizzazione di comitati permanenti per problemi specifici
• adozione di decisioni di procedura
32 Capitolo Quinto

4. SISTEMI DI VOTAZIONE DEL CONSIGLIO


I sistemi di votazione in seno al Consiglio variano in funzione delle mate-
rie oggetto di discussione.
L’unanimità, che in passato costituiva la regola per le deliberazioni, oggi è
prevista solo per alcune materie. Dall’articolo 238, par. 4 del TFUE si evince
che unanimità significa assenza di voti negativi e non, invece, convergenza
di voti tutti positivi; si legge, infatti, che «le astensioni dei membri presenti o
rappresentati non ostano all’adozione delle deliberazioni del Consiglio per le quali
è richiesta l’unanimità».
La votazione a maggioranza semplice, cioè il voto a maggioranza dei
membri che compongono il Consiglio, è molto rara.
Conformemente all’art. 16 del Trattato sull’Unione europea, la regola gene-
rale è il voto a maggioranza qualificata, che si ha quando è necessario un
certo numero di voti per l’adozione di un atto. I voti di ciascuno Stato mem-
bro non hanno però uguale peso, perché le votazioni avvengono con il sistema
del voto ponderato, che attribuisce un valore diverso a ciascuno Stato, a se-
conda della sua importanza demografica e politica all’interno dell’Unione.

La ripartizione dei voti


Conformemente al Trattato di Lisbona, le regole relative alla maggioranza qualificata sono le
seguenti:
• Periodo transitorio (dall’entrata in vigore del Trattato fino al 1° novembre 2014)
Le regole relative alla maggioranza qualificata sono indicate nel «Protocollo (n. 36) sulle
disposizioni transitorie» che prevede le seguenti ponderazioni:

PONDERAZIONE DEI VOTI NEL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA

Belgio 12 Lituania 7
Bulgaria 10 Lussemburgo 4
Repubblica ceca 12 Ungheria 12
Danimarca 7 Malta 3
Germania 29 Paesi Bassi 13
Estonia 4 Austria 10
Irlanda 7 Polonia 27
Grecia 12 Portogallo 12
Spagna 27 Romania 4
Francia 29 Slovenia 4
Italia 29 Slovacchia 7
Cipro 4 Finlandia 7
Lettonia 4 Svezia 10
Regno Unito 29

Le deliberazioni sono valide se hanno ottenuto almeno 255 voti che esprimano il voto favo-
revole della maggioranza dei membri quando, in virtù dei trattati, debbono essere adottate su
proposta della Commissione. Negli altri casi le deliberazioni sono valide se hanno ottenuto
almeno 255 voti che esprimano il voto favorevole di almeno due terzi dei membri. Un
membro del Consiglio europeo o del Consiglio può chiedere che, allorché il Consiglio euro-
peo o il Consiglio adotta un atto a maggioranza qualificata, si verifichi che gli Stati membri
che compongono tale maggioranza qualificata rappresentino almeno il 62 % della popola-
zione totale dell’Unione. Qualora tale condizione non sia soddisfatta, l’atto non è adottato.
• Dopo il 1° novembre 2014
Conformemente all’art. 16 del Trattato sull’Unione europea, a decorrere dal 1° novembre
2014, per maggioranza qualificata si intende almeno il 55% dei membri del Consi-
glio, con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino alme-
no il 65% della popolazione di tali Stati.
Il Consiglio 33

La minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro membri del Consiglio; in


caso contrario la maggioranza qualificata si considera raggiunta.
Conformemente all’art. 238 del Trattato sul funzionamento dell’Unione:
— in caso di deliberazioni in assenza di proposta della Commissione o dell’Alto rappresentante
dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e partecipazione di tutti i membri del
Consiglio alle votazioni: per maggioranza qualificata si intende almeno il 72 % dei mem-
bri del Consiglio rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65 % della po-
polazione di tali Stati.
— in caso di deliberazioni su proposta della Commissione o dell’Alto rappresentante dell’Unio-
ne per gli affari esteri e la politica di sicurezza e in caso di non partecipazione di tutti i
membri del Consiglio: per maggioranza qualificata si intende almeno il 55 % dei membri
del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti che totalizzino almeno il 65 %
della popolazione di tali Stati. La minoranza di blocco deve comprendere almeno il
numero minimo di membri del Consiglio che rappresentano oltre il 35 % della popola-
zione degli Stati membri partecipanti, più un altro membro; in caso contrario la maggio-
ranza qualificata si considera raggiunta.

5. ATTRIBUZIONI E POTERI
Le competenze attribuite al Consiglio investono tutti i settori di attività
dell’Unione. Questa istituzione, infatti, in virtù della sua posizione di rappre-
sentante degli interessi degli Stati membri svolge un ruolo rilevante.

➤ Adozione di provvedimenti legislativi che sono, materia per materia, pre-


visti dal trattato. Tale funzione è condivisa con il Parlamento europeo
➤ Formazione e approvazione del bilancio condivisa con il Parlamento
Poteri decisionali
➤ Conclusione per conto dell’Unione di accordi con Stati terzi o orga-
nizzazioni internazionali dopo la chiusura dei negoziati condotti dal-
la Commissione

➤ Coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri


Altre competenze
➤ Elaborazione della politica estera e di sicurezza comune sulla base
degli orientamenti generali definiti dal Consiglio europeo
34 Capitolo Sesto

Capitolo Sesto
La Commissione

L a Commissione europea è il motore della politica dell’Unione, in quanto


dotata, in via esclusiva, della funzione di iniziativa legislativa, ed è custode dei
trattati, poiché vigila sul rispetto e l’applicazione delle loro norme e della legisla-
zione derivata.
Il Trattato di Lisbona stabilisce che la Commissione è composta da un numero
di membri pari ai due terzi degli Stati membri; è un’istituzione formata da indi-
vidui in quanto i suoi membri sono investiti del compito di perseguire gli inte-
ressi dell’Unione (e non del loro Stato di appartenenza) e rappresentano que-
st’ultima sia all’interno degli Stati membri che nelle relazioni esterne.

1. GENERALITÀ
La Commissione unica delle Comunità europee, istituita nel 1965 col Trat-
tato di fusione degli esecutivi, ha ereditato le competenze precedentemente at-
tribuite dal Trattato di Parigi all’Alta Autorità della CECA e dai Trattati di Roma
alla Commissione della CEE e dell’Euratom.

Caratteristiche fondamentali
In generale, è possibile definire la Commissione come:
• organo esecutivo, in quanto le sue funzioni principali consistono nel gestire le politiche
comuni e nell’assicurare l’applicazione dei trattati e delle fonti derivate;
• organo indipendente, in quanto i Commissari sono nominati a titolo individuale e non
rappresentano nè gli Stati da cui provengono, nè alcun gruppo di interesse esterno al-
l’Unione;
• organo collegiale, per cui tutte le delibere vengono riferite sempre alla Commissione
nel suo complesso;
• organo a tempo pieno, che si riunisce almeno una volta alla settimana; ciò tra l’altro giusti-
fica l’incompatibilità prevista per i membri della Commissione con qualsiasi altra carica.
Va inoltre sottolineato che per il ruolo che essa svolge e per le sue caratteristiche di indipen-
denza rispetto ai governi degli Stati membri, la Commissione è l’istituzione dell’Unione euro-
pea che presenta più evidenti caratteri di originalità.

2. NOMINA, COMPOSIZIONE E STATUS DEI MEMBRI


A) Nomina
L’art. 17 TUE dispone una procedura di nomina della Commissione che
si articola in varie fasi:
— il Consiglio europeo, tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e
dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, deliberando a maggio-
ranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica
di presidente della Commissione;
— il Parlamento europeo elegge tale candidato a maggioranza dei membri
che lo compongono;
— se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio europeo, delibe-
rando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candi-
dato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura;
La Commissione 35

— il Consiglio, di comune accordo con il presidente eletto, adotta, su propo-


sta degli Stati membri, l’elenco delle altre personalità che propone di no-
minare membri della Commissione;
— il presidente, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la poli-
tica di sicurezza e gli altri membri della Commissione sono soggetti, collet-
tivamente, ad un voto di approvazione del Parlamento europeo;
— la Commissione è nominata dal Consiglio europeo, che delibera a maggio-
ranza qualificata.

B) Composizione

Fase transitoria (entrata in vigore del Trattato di Lisbona – 31 ottobre 2014)


La Commissione è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro,
compreso il presidente e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri
e la politica di sicurezza, che è uno dei vicepresidenti.
Dal 1° novembre 2014
La Commissione è composta da un numero di membri, compreso il presi-
dente e l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a
meno che il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità, non decida di
modificare tale numero.
I membri della Commissione sono scelti tra i cittadini degli Stati membri in
base ad un sistema di rotazione assolutamente paritaria che consenta di
riflettere la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri.
Conformemente all’art. 244 TFUE, a norma dell’articolo 17, par. 5 TUE i
membri della Commissione sono scelti in base ad un sistema di rotazione
stabilito all’unanimità dal Consiglio europeo secondo i principi seguenti:
a) gli Stati membri sono trattati su un piano di assoluta parità per quanto
concerne la determinazione dell’avvicendamento e del periodo di per-
manenza dei loro cittadini in seno alla Commissione; pertanto lo scarto
tra il numero totale dei mandati detenuti da cittadini di due Stati mem-
bri non può mai essere superiore a uno;
b) fatta salva la lettera a), ciascuna delle Commissioni successive è costitu-
ita in modo da riflettere in maniera soddisfacente la molteplicità demo-
grafica e geografica degli Stati membri.

C) Status dei membri


I commissari sono nominati a titolo individuale e devono esercitare «le loro
funzioni in piena indipendenza» (art. 17 TUE).
Tale indipendenza è tutelata da una serie di norme che creano precisi ob-
blighi a carico dei singoli commissari e, correlativamente, per gli Stati membri.
Pertanto la Commissione è un organo formato da individui e non da rappre-
sentanti degli Stati, ed agisce nell’esclusivo interesse dell’Unione.
Le volizioni dei singoli componenti della Commissione che concorrono a
formare la volontà dell’organo collegiale, non sono, dunque, riferite agli Stati
membri d’appartenenza, ma restano volizioni individuali e solo la volontà col-
legiale dell’organo viene in rilievo, divenendo così imputabile all’Unione nel
suo complesso.
Infine, i membri della Commissione non possono, per la durata delle loro
funzioni, esercitare alcun’altra attività professionale, remunerata o meno che
sia (art. 245 TFUE).
36 Capitolo Sesto

Dalla lettura dell’art. 17 TUE si evince che con il Trattato di Lisbona il ruo-
lo del Presidente della Commissione europea è stato notevolmente
rafforzato: è eletto dal Parlamento (in seguito all’elezione di quest’ultimo e
dopo le consultazioni) a maggioranza dei membri che lo compongono.
In merito alle funzioni, stando alla nuova versione dell’art. 17 TUE, il Pre-
sidente:
— definisce gli orientamenti nel cui quadro la Commissione esercita i suoi
compiti;
— decide l’organizzazione interna della Commissione per assicurare la coe-
renza l’efficacia e la collegialità della sua azione;
— nomina i vicepresidenti tra i membri della Commissione.
Al potenziamento del suo ruolo contribuisce tra l’altro l’assegnazione
del potere, forse più importante, di richiedere le dimissioni di un mem-
bro della Commissione, a seguito del quale quest’ultimo è costretto a di-
smettere le proprie funzioni.
Il Presidente può modificare la ripartizione delle competenze nel corso del suo
mandato e con il suo accordo il Consiglio europeo pone fine al mandato del-
l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Questo ultimo agisce in qualità di mandatario del Consiglio nella guida
della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione (vedi infra) ed è al
tempo stesso Vicepresidente della Commissione europea incaricato delle
relazioni esterne e del coordinamento degli altri aspetti dell’azione
esterna dell’Unione.
Nell’esercizio di queste responsabilità in seno alla Commissione, l’Alto rap-
presentante è soggetto alle procedure che regolano il funzionamento della
Commissione. (art. 18, par. 4 TUE).

La mozione di censura
A conferma dell’indipendenza dei membri della Commissione, gioca il fatto che essi non posso-
no essere rimossi né dai governi nazionali, né dal Consiglio. Un provvedimento in tal senso può
essere preso solo dal Parlamento attraverso la cd. mozione di censura (art. 234 TFUE). Tale
provvedimento può essere adottato dal Parlamento non prima che siano trascorsi tre giorni dal
deposito della mozione: la stessa si considera approvata quando abbia riportato la maggioranza
dei due terzi dei voti espressi, che rappresentano la maggioranza dei membri che compongono il
Parlamento europeo. In conseguenza dell’adozione del provvedimento, i membri della Com-
missione saranno tenuti a dimettersi. È da notare che i membri della Commissione nominati
per sostituire quelli «sfiduciati» durano in carica non cinque anni (termine normale), ma fino
alla data in cui sarebbe scaduto il mandato dei commissari dimissionari costretti a dimettersi
collettivamente.

3. FUNZIONAMENTO
L’art. 249 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce
che la Commissione fissa il proprio regolamento interno in piena autonomia e
provvede alla sua pubblicazione.
Il regolamento attualmente in vigore è quello adottato con decisione della
Commissione del 29 novembre 2000, n. 3614, più volte modificato.
All’atto dell’insediamento, la Commissione organizza il proprio lavoro riparten-
do tra i suoi membri i compiti di supervisione dell’attività delle varie unità ammini-
strative (Direzioni generali e servizi assimilati, entrambi a loro volta articolati in
direzioni e queste in unità) che compongono la propria struttura burocratica.
Le delibere della Commissione sono prese a maggioranza dei suoi membri
(art. 250 TFUE).
La Commissione 37

4. ATTRIBUZIONI E POTERI
A) La funzione di proposta
Per quanto il Trattato non lo indichi più espressamente, la Commissione
continua ad avere seppur limitati poteri di deliberazione (ad esempio all’art.
106, par. 3 TFUE).
Il suo potere più importante, tuttavia, nell’ambito del processo decisionale
è quello di proposta degli atti dell’Unione, di cui dispone in via esclusiva ai
sensi dell’art. 17 TUE e degli artt. 289 e 294 TFUE, disciplinanti la procedura
legislativa ordinaria. Tale potere è esteso anche, salvo casi eccezionali, alle
decisioni relative alla cooperazione giudiziaria.
Qualora il Consiglio voglia discostarsi dalla proposta della Commissione deve deliberare al-
l’unanimità (art. 293 TFUE).

B) La funzione esecutiva
Conformemente all’art. 17 del Trattato sull’Unione europea, la Commis-
sione esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e di gestione,
alle condizioni stabilite dai trattati.
Gli artt. 290 e 291 TFUE disciplinano la funzione esecutiva della Com-
missione, ripartendola in due ipotesi:
1) necessità di integrare o modificare un atto legislativo con elementi
non essenziali dell’atto (art. 290 TFUE): l’atto legislativo può delega-
re alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata
generale, delimitando esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e
la durata della delega di potere. Gli elementi essenziali di un settore sono
riservati all’atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega
di potere. Gli atti non legislativi in questione contengono l’aggettivo «dele-
gato» o «delegata» nel titolo.

Gli atti legislativi fissano esplicitamente le condizioni cui è soggetta la delega, che possono
essere le seguenti:
a) il Parlamento europeo o il Consiglio possono decidere di revocare la delega;
b) l’atto delegato può entrare in vigore soltanto se, entro il termine fissato dall’atto legislati-
vo, il Parlamento europeo o il Consiglio non sollevano obiezioni.
A tali fini, il Parlamento europeo delibera a maggioranza dei membri che lo compongono e il
Consiglio delibera a maggioranza qualificata.

2) necessità di dare esecuzione ad un atto legislativo (art. 291 TFUE):


per quanto la funzione esecutiva dell’Unione sia in prima battuta affidata
agli Stati, quando siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli
atti giuridicamente vincolanti dell’Unione, gli atti stessi conferiscono com-
petenze di esecuzione alla Commissione. I termini «di esecuzione» sono
inseriti nel titolo degli atti di esecuzione.
In casi specifici debitamente motivati e in materia di politica estera (artt. 24
e 26 del Trattato sull’Unione europea), gli atti attribuiscono le competen-
ze di esecuzione al Consiglio.

Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura


legislativa ordinaria, stabiliscono preventivamente le regole e i principi generali relativi alle
modalità di controllo, da parte degli Stati membri, sull’esercizio delle competenze di esecuzio-
ne attribuite alla Commissione.
Attualmente tali condizioni consistono nella c.d. comitotalogia, disciplinata dalla decisione
1999/468/CE come modificata dalla decisione 2006/512/CE. Secondo tale procedura, la Com-
38 Capitolo Sesto

missione, nell’esercizio del potere esecutivo, deve tener conto dei pareri di alcuni comitati
incaricati dal Consiglio di assisterla e composti di funzionari delle amministrazioni nazionali.
Tali comitati si distinguono in:
— comitati consultivi, il cui parere non è mai vincolante;
— comitati di gestione, che esprimono pareri in merito al’esecuzione delle politiche comuni e
attuazione di programmi con implicazioni di bilancio, da cui la Commissione può disco-
starsi solo previa comunicazione al Consiglio;
— comitati di regolamentazione, che emanano pareri vincolanti;
— comitati di regolamentazione con controllo, che emettono pareri sempre vincolanti. La
Commissione è tenuta comunque a trasmettere l’atto di esecuzione al Parlamento e al
Consiglio, prima di approvarlo, affinché tali istituzioni possono esercitare un controllo su
di esso.

C) Le altre funzioni esecutive


Tali funzioni consistono nel:
— dare esecuzione al bilancio, in quanto è la stessa Commissione che incassa
le entrate ed effettua le spese;
— gestire i programmi e svolgere le funzioni di coordinamento;
— avviare il processo di programmazione annuale e pluriennale per giungere
ad accordi interistituzionali.

D) La funzione di controllo
Conformemente all’art. 17 del Trattato sull’Unione europea, la Commissio-
ne vigila sull’applicazione dei trattati e delle misure adottate dalle istitu-
zioni in virtù dei trattati. Vigila sull’applicazione del diritto dell’Unione
sotto il controllo della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Questa funzione può comportare due tipologie di intervento:


— gli interventi diretti, che ricorrono sia quando i trattati prevedono l’ema-
nazione di decisioni vincolanti (come nel caso delle regole in materia di
concorrenza), sia nel caso di pareri e raccomandazioni a carattere non
vincolante;
— gli interventi indiretti, che si hanno quando la Commissione propone ri-
corsi alla Corte di giustizia dell’Unione europea contro Stati ed istituzioni
che hanno violato gli obblighi previsti dai trattati.

E) La funzione di rappresentanza
Stabilisce l’art. 335 TFUE che «in ciascuno degli Stati membri, l’Unione ha
la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dalle legisla-
zioni nazionali; essa può in particolare acquistare o alienare beni immobili e
mobili e stare in giudizio. A tal fine, essa è rappresentata dalla Commissione».
Con la riforma di Lisbona, però, tale funzione di rappresentanza non
spetta più alla Commissione in via esclusiva. Lo stesso art. 335 TFUE, infatti,
aggiunge che «l’Unione è rappresentata da ciascuna delle istituzioni, in base
alla loro autonomia amministrativa, per le questioni connesse al funzionamen-
to della rispettiva istituzione».
La Commissione rappresenta anche all’esterno l’Unione, infatti:
— spetta alla Commissione tutta la negoziazione degli accordi dell’Unione, an-
che se la conclusione stessa è di competenza del Consiglio;
— tutte le relazioni internazionali e i rapporti con le organizzazioni internazio-
nali sono prerogativa della Commissione.
La Commissione 39

Conformemente all’art. 17 del Trattato sull’Unione europea è fatta salva la


politica estera e di sicurezza comune.

L’art. 220 TFUE, in particolare, affida alla Commissione i collegamenti con gli organi delle
Nazioni Unite e gli Istituti specializzati di detta organizzazione, con il Consiglio d’Europa, con
l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e con l’Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

➤ Di proposta o • la Commissione dispone di un potere decisionale autonomo


di iniziativa nell’ipotesi in cui i Trattati glielo attribuiscano direttamente e
normativa partecipa alla formazione degli atti del Consiglio e del Par-
lamento alle condizioni previste dai Trattati (v. in Appen-
dice voce → Iniziativa legislativa)

• emanazione di atti non le- — la Commissione deve te-


gislativi integrativi o modi- ner conto di vari pareri
ficati di elementi non es- da parte di alcuni comi-
senziali dell’atto legislativo tati (Comitatologia):
• emanazione di atti di ese- — comitati consultivi
cuzione — comitati di regola-
mentazione
• esecuzione del bilancio,
— comitati di gestione
Funzioni gestione di programmi e
coordinamento — comitati di regola-
mentazione e di con-
➤ Esecutiva
trollo

— intervento diretto:
quando i trattati o rego-
lamenti prevedono che
la Commissione emani
decisioni vincolanti (ad
es. nel campo delle rego-
➤ Di controllo
• vigilanza sull’osservanza le di concorrenza)
dei Trattati e sull’applicazione — intervento indiretto:
del diritto dell’Unione proposta di ricorsi alla
Corte di giustizia del-
l’Unione europea contro
gli Stati e le istituzioni
che hanno violato gli ob-
blighi in virtù dei trattati
e degli atti normativi de-
rivati

➤ Di rappresentanza • negoziazione degli accordi


• relazioni internazionali
40 Capitolo Settimo

Capitolo Settimo
La Corte di giustizia dell’Unione europea

C on il Trattato di Lisbona la Corte di giustizia cambia denominazione e pren-


de il nome di Corte di giustizia dell’Unione europea, comprendente
tre organi giurisdizionali: la Corte di giustizia, il Tribunale e i Tribunali
specializzati. Ha sede a Lussemburgo ed è composta di un giudice per ogni
Stato membro, a cui si aggiungono gli avvocati generali.
La Corte di giustizia dell’Unione europea si pronuncia conformemente ai trattati:
— sui ricorsi presentati da uno Stato membro, da un’istituzione o da una perso-
na fisica o giuridica;
— in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali, sull’interpreta-
zione del diritto dell’Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni;
— negli altri casi previsti dai trattati.

Sezione I
Il sistema giudiziario europeo

1. LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA


La Corte di giustizia, denominata Corte di giustizia dell’Unione europea
dopo le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, viene oggi concepita
come un’istituzione unitaria dotata di una struttura interna tripolare, che
comprende:
— la Corte di giustizia, collocata al vertice. Essa ha assunto sempre più le
vesti di tribunale costituzionale e, al contempo, di giudice di ultima istan-
za;
— il Tribunale (precedentemente definito Tribunale di primo grado), cui è
attribuita una competenza sulle questioni pregiudiziali circoscritta in de-
terminate materie stabilite dallo Statuto (con possibilità, eccezionale, di
riesame da parte della Corte nei casi in cui sia compromessa l’unità e la
coerenza del diritto dell’Unione);
— i Tribunali specializzati (le Camere specializzate introdotte dal Trattato
di Nizza). Ove istituiti con decisione del Consiglio, ad essi spetta il compito
di conoscere in primo grado questioni specifiche, di volta in volta indivi-
duate, emettendo sentenze impugnabili presso il Tribunale.
La funzione della Corte di giustizia dell’Unione europea è sempre consisti-
ta nell’assicurare il rispetto del diritto dell’Unione nell’interpretazione e
nell’applicazione dei trattati.
La riforma di Lisbona ha, però, introdotto novità di rilievo.
In primo luogo, con la scomparsa della tradizionale struttura a pilastri
creata a Maastricht la Corte acquisisce una competenza pregiudiziale genera-
le nel settore dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia.
Per quanto riguarda i visti, l’asilo, l’immigrazione e le altre politiche con-
nesse alla circolazione delle persone (segnatamente la cooperazione giudizia-
ria in materia civile, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze), ora la
La Corte di giustizia dell’Unione europea 41

Corte può essere adita da tutti i giudici nazionali – e non più solamente dai
massimi organi giurisdizionali – ed è ormai competente a pronunciarsi su
provvedimenti di ordine pubblico nell’ambito dei controlli transfrontalieri.
Inoltre, la Corte di giustizia può pronunciarsi sulla Carta dei diritti fon-
damentali dell’Unione europea, che con il Trattato di Lisbona acquisisce lo
stesso valore giuridico dei Trattati.
Solo la politica estera e di sicurezza comune (PESC) resta assoggettata
a regole particolari e a procedure specifiche. La stessa Corte non è pertanto
competente per quanto riguarda tali disposizioni, né per quanto riguarda gli
atti adottati in base ad esse, ad eccezione di due casi:
— quando si tratta di controllare la delimitazione tra le competenze dell’Unione
e quelle degli Stati membri, in quanto non deve compromettere l’esercizio
delle competenze dell’Unione e le attribuzioni delle istituzioni per l’eserci-
zio delle competenze esclusive e condivise dell’Unione;
— nell’ipotesi dei ricorsi di annullamento riguardanti le decisioni che preve-
dono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adot-
tate dal Consiglio, come per esempio nell’ambito della lotta al terrorismo.

2. LA CORTE DI GIUSTIZIA
A) Generalità
La Corte di giustizia è l’istituzione che, attraverso l’esercizio della sua funzione
giurisdizionale, assicura il rispetto del diritto dell’Unione nell’interpretazione
e nell’applicazione dei trattati e degli atti normativi derivati (art. 19 TUE).
Il diritto di cui la Corte deve garantire il rispetto nell’applicazione e nell’in-
terpretazione è rappresentato da quel complesso di norme che regolano l’orga-
nizzazione e lo sviluppo dell’Unione europea nonché i rapporti tra questa e gli Stati
membri, che viene generalmente distinto in diritto originario e diritto derivato.
A questo complesso normativo, che concorre a formare il diritto scritto,
devono aggiungersi i principi generali del diritto, così come enucleati dalla
stessa Corte di giustizia, che costituiscono il diritto non scritto. Si tratta sia di
principi generali di diritto mutuati sia dai sistemi giuridici nazionali che di prin-
cipi generali propri del diritto dell’Unione.

B) Composizione e funzionamento
Gli articoli 251-254 TFUE regolano la composizione della Corte. Essa è
composta da un giudice per Stato membro e 8 avvocati generali, tuttavia il
numero di questi ultimi può essere elevato, se richiesto dalla Corte di giusti-
zia, con deliberazione del Consiglio.
Sia i giudici che gli avvocati sono nominati di comune accordo dai governi
degli Stati membri. L’art. 253 precisa che essi debbono essere scelti fra «per-
sonalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza, e che riuniscano le con-
dizioni richieste per l’esercizio, nei rispettivi paesi, delle più alte funzioni giu-
risdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza».
Il successivo art. 255 TFUE prevede l’istituzione di un comitato con l’inca-
rico di fornire un parere sull’adeguatezza dei candidati all’esercizio delle fun-
zioni di giudice e di avvocato generale della Corte di giustizia e del Tribunale,
prima di procedere alle nomine. Esso delibera su iniziativa del Presidente
della Corte di giustizia.
Il comitato è composto da sette personalità, scelte fra ex membri della Cor-
te di giustizia e del Tribunale, membri dei massimi organi giurisdizionali na-
42 Capitolo Settimo

zionali e giuristi di notoria competenza, uno dei quali è proposto dal Parla-
mento europeo. Le regole di funzionamento e la designazione dei membri
sono adottate con decisione del Consiglio.
Gli avvocati generali, che sono inseriti organicamente nella struttura della
Corte, hanno «l’ufficio di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità
ed in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente
allo Statuto della Corte di giustizia dell’unione europea, richiedono il suo inter-
vento» (art. 252 TFUE).
I giudici e gli avvocati generali restano in carica sei anni, ma ogni tre anni
si procede ad un rinnovo parziale (che riguarda alternativamente 13 e 12 giu-
dici); il mandato è rinnovabile.
Per ciò che attiene il funzionamento di questa istituzione, c’è un Presi-
dente, nominato ogni tre anni, che si occupa della direzione dei lavori e delle
sedure; e un Cancelliere, nominato a scrutinio segreto dalla Corte dopo ogni
rinnovo parziale dei giudici, che svolge sia funzioni attinenti all’attività giudi-
ziaria sia funzioni amministrative.
Di regola, i lavori si svolgono in sezioni (composte da tre o cinque giudici),
o in grande sezione (composta da tredici giudici) qualora lo richieda uno Sta-
to membro o una istituzione dell’Unione che è parte in causa.

Procedura e sentenze
La procedura davanti alla Corte comprende una fase scritta, con scambio di memorie fra le
parti, ed una fase orale, introdotta dalla relazione del giudice relatore.
La Corte può condurre attività istruttorie abbastanza estese, eventualmente anche negli Stati
membri. Per l’espletamento di queste ultime può richiedere l’assistenza giudiziaria delle au-
torità nazionali degli Stati membri cui incombono precisi obblighi in proposito.
Le udienze sono di regola pubbliche, diversamente dalle deliberazioni che sono e restano se-
grete.
Le deliberazioni devono essere prese con la partecipazione di un numero dispari di compo-
nenti.
Le sentenze, firmate dal Presidente e dal Cancelliere, devono essere motivate e lette in pub-
blica udienza. Esse sono definitive e soggette a revisione soltanto in casi eccezionali; hanno
efficacia vincolante per le parti in causa e forza esecutiva all’interno degli Stati membri.
Va infine rilevato che il procedimento davanti alla Corte è svolto nella lingua processuale
propria dello Stato o degli Stati implicati nella controversia e che nella stessa lingua viene
redatto l’originale della sentenza.
Le sentenze e le ordinanze vengono pubblicate in una raccolta periodica edita dalla Corte
stessa, tradotta in tutte le lingue ufficiali dell’Unione europea.

C) Competenze
Il compito assegnato alla Corte è quello di assicurare il rispetto del diritto
dell’Unione attraverso il controllo giurisdizionale degli atti e dei comportamen-
ti delle istituzioni nonché attraverso l’interpretazione del diritto stesso. Ciò com-
porta per questa istituzione un’attività quanto mai varia ed eterogenea.

Principali attribuzioni della Corte


Le principali attribuzioni riguardano:
• l’esame dei ricorsi in tema di inadempimento degli Stati (artt. 258-260 TFUE);
• il controllo sulla legittimità degli atti (artt. 263-264 TFUE);
• il controllo sul comportamento omissivo delle istituzioni (art. 265 TFUE);
• la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione dei trattati e sulla
validità e sull’interpretazione degli atti delle istituzioni (art. 267 TFUE);
• l’esame dei ricorsi per il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità extracontrat-
tuale dell’Unione (artt. 268 e 340 TFUE).
La Corte di giustizia dell’Unione europea 43

Altre competenze della Corte riguardano le controversie tra l’Unione e i


suoi agenti (art. 270 TFUE), i ricorsi contro le sanzioni pecuniarie (art. 261
TFUE), la soluzione di controversie sulla base di una clausola compromissoria
(artt. 272-273 TFUE).
Un’ulteriore competenza (aggiunta dal Trattato di Nizza con l’art. 229A e oggi disciplinata
dall’art. 262 TFUE) attribuita alla Corte è quella di pronunciarsi su controversie connesse con
l’applicazione degli atti adottati in base ai Trattati che creano titoli europei di proprietà intellet-
tuale. Tale competenza è assegnata sulla base di disposizioni adottate dal Consiglio, che delibera
all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento
europeo.
Le disposizioni entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri.

Unicità di giurisprudenza e interpretazione


Di prevalente importanza è la considerazione che alla Corte è assegnata una funzione parti-
colare: quella di assicurare un’unità di giurisprudenza e d’interpretazione, necessario
presupposto per un’integrazione effettiva.
Tale principio è stato per anni garantito attraverso l’istituzione di un solo organo giurisdizio-
nale ed è sembrato vacillare allorché — per effetto dell’Atto unico europeo — è stata istituita
una giurisdizione (il Tribunale) competente a conoscere in primo grado alcune categorie di
ricorsi (vedi infra).
Tuttavia l’unicità di giurisdizione resta un principio cardine, dal momento che nei casi sopra
citati la Corte di giustizia resta giudice di appello e, in altre ipotesi, mantiene una giurisdizio-
ne esclusiva.

➤ Numero: 1 giudice per ogni Stato membro e 8 avvocati generali


➤ Nomina: di comune accordo dai governi degli Stati membri
La composizione
➤ Requisiti: indipendenza, giureconsulti di notoria competenza
➤ Durata del mandato: 6 anni, rinnovabile. Ogni 3 anni si procede
ad un rinnovo parziale (riguarda alternativamente 13 e 12 giudici)

➤ L’esame dei ricorsi in tema di inadempimento degli Stati


➤ Il controllo sulla legittimità degli atti
Le principali ➤ Il controllo sul comportamento omissivo delle istituzioni
attribuzioni ➤ La competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpreta-
zione dei trattati e sulla validità e sull’interpretazione degli atti del-
le istituzioni
➤ L’esame dei ricorsi per il risarcimento dei danni derivanti da re-
sponsabilità extracontrattuale dell’Unione

➤ Controversie tra l’Unione e i suoi agenti


➤ Ricorsi contro le sanzioni pecuniarie
Altre competenze ➤ Soluzione di controversie sulla base di una clausola compromissoria
➤ Pronuncia su controversie connessa ai titoli di proprietà intellet-
tuale, da stabilirsi su decisione del Consiglio

3. IL TRIBUNALE
A) Generalità
La facoltà di istituire un Tribunale di primo grado fu prevista dall’Atto unico
europeo, che a tal fine aggiunse al Trattato CE un nuovo articolo nel quale si
demandava ad una decisione del Consiglio il compito di definire le attribuzioni
e la composizione del nuovo organismo giurisdizionale; tale decisione fu effet-
tivamente approvata il 24 ottobre 1988 (n. 88/591).
44 Capitolo Settimo

Con il Trattato di Nizza, ed in seguito con il Trattato di Lisbona che lo ha


ridenominato unicamente «Tribunale» e ricompreso nella Corte di giustizia del-
l’Unione europea, si è provveduto a disciplinare direttamente nel trattato la sua
organizzazione (art. 254 TFUE) e le sue competenze (art. 256 TFUE).
Il Tribunale è competente a conoscere in primo grado alcune categorie di
ricorsi, ad eccezione di quelle attribuite a un tribunale specializzato e di quelle
che lo Statuto riserva alla Corte di giustizia, e condivide con quest’ultima la
funzione di assicurare il rispetto del diritto dell’Unione nell’interpretazione e
nell’applicazione dei Trattati (art. 19 TUE).

B) Composizione
Il Trattato non indica il numero esatto dei giudici che compongono il Tri-
bunale. La determinazione del numero effettivo di giudici (e degli avvocati
generali) è demandata allo Statuto della Corte di giustizia; quello attualmente
in vigore, all’articolo 48, stabilisce che i giudici del Tribunale sono 27.
I membri del Tribunale sono nominati di comune accordo dai Governi de-
gli Stati membri, per un periodo di 6 anni, con criteri analoghi a quelli adotta-
ti per la nomina dei giudici della Corte (art. 254 TFUE).

Il Tribunale siede in sezioni composte di tre o cinque giudici; nei casi previsti dal regolamento
di procedura può riunirsi in seduta plenaria o statuire nella persona di un giudice unico. È il
regolamento di procedura a stabilire la composizione delle sezioni.
Di norma le sezioni non sono assistite da un avvocato generale: tuttavia, in casi particolari,
la sezione è tenuta a farne formale richiesta al Tribunale, che deciderà in seduta plenaria.
La presenza dell’avvocato generale è prevista, invece, come continuativa e permanente nel-
l’adunanza plenaria.
I membri del Tribunale, per tutta la durata del loro incarico, sono soggetti alle medesime
obbligazioni e beneficiano delle stesse garanzie, privilegi ed immunità dei membri della Corte.
È indispensabile che essi posseggano, come richiesto per i membri della Corte, la capacità per
l’esercizio delle più alte funzioni giudiziarie (art. 254 TFUE). I giudici del Tribunale designano
un Presidente, cui viene conferito un mandato triennale rinnovabile e nominano il proprio
cancelliere di cui il Tribunale fissa lo Statuto (art. 254 TFUE).

C) Competenze
L’articolo 256 TFUE definisce direttamente le competenze del Tribunale.
La formulazione, pur prevedendo che lo Statuto possa attribuire al Tribu-
nale altre categorie di ricorsi, precisa che lo stesso è competente a conosce-
re in primo grado:
• dei ricorsi di annullamento (art. 263 TFUE);
• dei ricorsi per carenza (art. 265 TFUE);
• dei ricorsi per risarcimento danni derivanti da responsabilità extracontrat-
tuale dell’Unione (art. 268 TFUE);
• delle controversie tra l’Unione e i suoi agenti (art. 270 TFUE);
• dei ricorsi presentati in virtù di una clausola compromissoria (art. 272 TFUE).

Tuttavia l’articolo solleva due eccezioni, riservando la competenza ad un tribunale specializ-


zato (vedi infra) per alcuni ricorsi e facendo un rinvio allo Statuto per i ricorsi da attribuire in
via esclusiva alla Corte di giustizia.
Quest’ultimo atto precisa (all’articolo 51) che sono di competenza esclusiva della Corte di giu-
stizia i ricorsi presentati dagli Stati membri e dalle istituzioni dell’Unione nelle ipotesi previste
dagli articoli 263 TFUE (ricorso di annullamento) e 265 TFUE (ricorso in carenza).

È da porre in evidenza che c’è sempre la possibilità d’impugnazione


dinanzi alla Corte di giustizia delle decisioni del Tribunale; il riesame è possi-
La Corte di giustizia dell’Unione europea 45

bile per i soli motivi di diritto ed alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo
Statuto (art. 256, par. 1, TFUE; artt. 56 e ss. Statuto).
Il Tribunale, inoltre, fungendo da giudice d’appello, è competente anche
per quei ricorsi diretti rientranti nell’ambito dei contenziosi speciali, vale
a dire quelli attribuiti ai tribunali specializzati (vedi infra).
Con una modifica introdotta dal Trattato di Nizza e riconfermata, in segui-
to, dal Trattato di Lisbona è stata attribuita al Tribunale anche la competenza
a conoscere delle questioni pregiudiziali in materie specifiche determinate
dallo Statuto (art. 256, par. 3, TFUE). È da precisare che, all’attualità, lo Sta-
tuto nulla prevede in materia.
Quando sarà data attuazione a tale disposizione, sarà comunque possibile
un riesame della decisione da parte della Corte di giustizia, ove sussistano
gravi rischi che l’unità o la coerenza del diritto dell’Unione siano compromes-
se. Potrà essere lo stesso Tribunale a rinviare la causa alla Corte laddove riten-
ga che essa richieda una decisione di principio che potrebbe compromettere
l’unità o la coerenza del diritto europeo.

D) Procedura
La procedura davanti al Tribunale è fondamentalmente analoga a quella
prevista davanti alla Corte, comprendendo una fase scritta, con scambio di
memorie tra le parti, ed una fase orale, che è introdotta dalla relazione del
giudice relatore.
Come quelle della Corte, le udienze del Tribunale sono di regola pubbliche,
mentre le deliberazioni sono segrete.
Per la decisione della causa è necessario un quorum di tre giudici, quando
è riunito in sezione, di nove in adunanza plenaria. Alle deliberazioni partecipa-
no solo i giudici intervenuti in udienza.

➤ Numero dei membri: almeno un giudice per Stato membro (attualmente 27)
La composizione ➤ Nomina dei membri: di comune accordo dai governi degli Stati membri
➤ Durata del mandato: 6 anni. Ogni 3 anni si procede ad un rinnovo parziale

➤ Sedute: in sezioni composte di tre o cinque giudici


➤ Seduta plenaria: nei casi previsti dal regolamento di procedura
Il funzionamento ➤ Giudice unico: nei casi previsti dal regolamento di procedura
➤ Sede di lavoro: Lussemburgo
➤ Procedura: analoga a quella prevista davanti alla Corte.

➤ Controversie tra l’Unione ed i suoi agenti

➤ Ricorsi promossi dalle persone fi- — annullamento di atti nelle isti-


siche e giuridiche in materia di: tuzioni;
— carenza delle istituzioni nel-
l’adozione di atti dovuti;
Le competenze — responsabilità extracontrattuale
dell’Unione e dei suoi agenti;
— azioni previste nel quadro di
clausole compromissorie.

➤ Pronuncia in via pregiudiziale sull’interpretazione dei trattati e sulla


validità e sull’interpretazione degli atti delle istituzioni in materie spe-
cifiche determinate dallo Statuto
46 Capitolo Settimo

4. I TRIBUNALI SPECIALIZZATI
A) Disciplina generale
I Tribunali specializzati, come vengono ora definite le camere giurisdi-
zionali introdotte dal Trattato di Nizza, sono organismi affiancati al Tribunale
incaricati di conoscere in primo grado alcune categorie di ricorsi propo-
sti in materie specifiche determinate dallo Statuto.
Il potere di istituirli spetta non più solo al Consiglio ma anche al Par-
lamento, che deliberano, mediante regolamenti, su proposta della Commis-
sione e previa consultazione della Corte di giustizia o su richiesta di quest’ul-
tima e previa consultazione della Commissione.

B) Il Tribunale della funzione pubblica dell’Unione europea


Con la decisione del Consiglio n. 2004/752/CE del 2 novembre 2004 è stato
istituito il primo Tribunale specializzato: il Tribunale della funzione pubblica
dell’Unione europea, organo giurisdizionale specifico incaricato di statuire in
primo grado in merito al contenzioso sul pubblico impiego.
In sostanza esso si pronuncia sulle controversie tra l’Unione e i suoi agenti,
comprese le controversie tra gli organi e il loro personale.

Sezione II
La giurisdizione contenziosa

1. LA GIURISDIZIONE AVENTE AD OGGETTO IL COMPORTAMENTO


DEGLI STATI: IL RICORSO PER INADEMPIMENTO
A) Introduzione
Si tratta del giudizio della Corte sulla violazione degli obblighi degli Sta-
ti membri derivanti dai trattati e dagli atti vincolanti delle istituzioni.
La procedura è promossa dalla Commissione (art. 258 TFUE) o da uno Sta-
to membro (art. 259 TFUE).

B) La procedura promossa dalla Commissione


La Commissione, nell’esercizio del suo compito di vigilanza sull’applica-
zione delle disposizioni dei trattati e delle disposizioni adottate in virtù degli
stessi, è competente a promuovere la procedura dinanzi alla Corte.
Quando la Commissione reputa che uno Stato membro abbia violato gli
obblighi derivanti dai trattati emette un parere motivato dopo aver posto lo
Stato inadempiente in condizione di presentare le sue osservazioni. Qualora
lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Com-
missione, questa può adire la Corte di giustizia dell’Unione europea (art. 258
TFUE).
La disposizione distingue due fasi del procedimento: una fase preconten-
ziosa, che s’instaura dinanzi alla Commissione, ed una fase contenziosa, in-
nanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
La fase precontenziosa è caratterizzata dalla lettera di messa in mora, una
formalità introdotta con la prassi, e dal parere motivato.
Poiché questa prima fase del procedimento è disciplinata dal trattato in
maniera molto generica, è necessario ricorrere all’attività giurisprudenziale
della Corte per delinearne le caratteristiche essenziali.
La Corte di giustizia dell’Unione europea 47

La Corte, infatti, nella sent. 51/83, Commissione c. Italia, ha chiarito che la


formalità della lettera di messa in mora costituisce una premessa fondamentale
ai fini della regolarità della procedura, in quanto ha lo scopo di delimitare la
questione oggetto del contendere e di fornire allo Stato membro, invitato a
presentare le sue osservazioni, i dati essenziali per organizzare la sua difesa.
Attraverso la lettera di messa in mora, in sostanza, la Commissione met-
te in evidenza la violazione commessa dallo Stato e fissa per quest’ultimo una
scadenza entro la quale deve presentare le sue osservazioni in proposito.

È opportuno precisare che le violazioni possono essere commesse da qualsiasi organo dello
Stato; è sempre lo Stato, in quanto tale, che risulta responsabile dell’inadempimento, indipen-
dentemente dall’organo che lo ha commesso.
Inoltre il mancato rispetto dell’obbligo imposto da una norma di diritto europeo ha luogo
anche quando esso non abbia prodotto alcun danno (sent. 209/88, Commissione c. Italia).

Dopo la lettera di messa in mora, ricevute le osservazioni, oppure in assen-


za delle stesse, la Commissione indirizza allo Stato in questione un parere
motivato. Esso è adottato soltanto nel caso in cui non si raggiunge nessun
accordo fra lo Stato interessato e la stessa Commissione.
Attraverso tale parere la Commissione sottolinea l’inadempimento ed invi-
ta lo Stato a conformarsi agli obblighi derivanti dai trattati, al fine di elimina-
re il comportamento illecito.
È importante sottolineare il requisito della motivazione che il parere deve
riportare. Esso è essenziale al fine della rilevanza della procedura, per la rice-
vibilità del ricorso da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea. Attra-
verso la motivazione, infatti, la Commissione illustra la questione indicando
in modo coerente i motivi di diritto e di fatto che l’hanno spinta ad avviare la
procedura in esame.

Sul punto è intervenuta anche la Corte affermando (sent. 7/61, Commissione c. Italia) che il
parere deve considerarsi sufficientemente motivato quando contiene un’esposizione chiara e
coerente delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato inte-
ressato ha mancato ad uno degli obblighi imposti dai Trattati.
L’assenza della motivazione non permette alla Corte di conoscere e constatare il comporta-
mento illecito, provocando il rischio che la stessa Corte possa respingere il ricorso.

Qualora lo Stato interessato non si sia conformato in tempo utile al


parere motivato viene avviata la fase contenziosa. Tuttavia non c’è alcun
obbligo per la Commissione di adire la Corte.
Non si accoglierebbe un ricorso in carenza, qualora la Commissione deci-
desse di non procedere dinanzi alla Corte.

La determinazione del tempo entro cui lo Stato in questione deve conformarsi al parere moti-
vato, o comunque porre fine all’illecito commesso, è rimessa al potere discrezionale della Com-
missione. Secondo quanto confermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, il ricorso
alla stessa Corte, ai fini dell’accertamento dell’inadempimento, non è circoscritto entro un
termine predeterminato; è la Commissione che, in considerazione della natura e dello scopo
del ricorso, valuta i mezzi ed il termine necessari per porre fine alle violazioni dei trattati
(sent. 7/71, Commissione c. Francia).

Il ricorso alla Corte non ha come oggetto l’inosservanza del parere motiva-
to, ma l’inadempimento dello Stato agli obblighi dei trattati: la non conformi-
tà alle prescrizioni della Commissione costituisce, infatti, solo il presupposto
per il contenzioso.
48 Capitolo Settimo

C) La procedura promossa da uno Stato membro


L’art. 229 TFUE prevede che il ricorso per inadempimento può essere pro-
mosso da uno Stato membro il quale, però, deve prima rivolgersi alla Com-
missione, pena l’irricevibilità del ricorso.
Il procedimento da seguire si articola in tre fasi:
— lo Stato rivolge alla Commissione una richiesta di intervento fondata su
ragioni chiare;
— la Commissione cerca di conciliare i contrasti tra gli Stati e li pone in con-
dizione di presentare osservazioni scritte ed orali;
— la Commissione emette un parere motivato in merito alla questione.
A questo punto, la Commissione può assumere diverse posizioni:
— può reputare non fondate le motivazioni presentate dallo Stato che l’ha
adita, ed in tal caso è sempre possibile il ricorso alla Corte;
— può appoggiare la tesi dello Stato imputato di inadempienza ed anche in
tal caso sarà sempre possibile ricorrere alla Corte;
— può appoggiare la tesi dello Stato che presenta il ricorso ed in tal caso sarà
possibile ricorrere alla Corte solo se lo Stato inadempiente, entro il termi-
ne fissato, non si conforma al parere o non pone fine all’illecito;
— può non formulare alcun parere entro tre mesi ed allora sarà possibile ricor-
rere alla Corte.

Gli effetti della sentenza della Corte


Se a seguito dei procedimenti visti in precedenza la Corte di giustizia dell’Unione europea
prende atto che uno Stato ha violato gli obblighi che gli derivano dai trattati, lo stesso è
tenuto ad adottare i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza importa (art. 260 TFUE).
La sentenza della Corte è di mero accertamento sull’esistenza della violazione. Essa, in altri
termini, non può indicare le misure necessarie per far cessare l’inadempimento o stabilire
(almeno per questa prima fase) misure per il risarcimento di eventuali danni: lo Stato è solo
tenuto a garantire, attraverso la propria scelta dei mezzi da adottare, l’effettiva riparazione
dell’illecito.
Tuttavia se lo Stato non pone fine al suo illecito si ha la prosecuzione del giudizio (avente
ad oggetto l’esecuzione della sentenza della Corte).

È possibile distinguere al riguardo:


— una fase precontenziosa. La Commissione invia una lettera di messa in mora che contie-
ne una serie di raccomandazioni per porre fine all’illecito; se lo Stato non rispetta la
sentenza di inadempimento e persiste nel perpetrare l’illecito, la Commissione emette un
nuovo parere motivato;
— una fase contenziosa, che si attiva solo nel caso in cui lo Stato membro non si sia confor-
mato alla sentenza della Corte. In tal caso quest’ultima può commissionargli il pagamen-
to di una somma forfettaria.
La Corte di giustizia dell’Unione europea 49

PROCEDURA PROMOSSA DALLA COMMISSIONE


(art. 258 TFUE)

procedimento

fase precontenziosa fase contenziosa

lettera di messa parere


in mora motivato

PROCEDIMENTO PROMOSSO DA UNO STATO MEMBRO


(art. 259 TFUE)

obiettivo posizione della Commissione procedimento

motivazioni appoggia tesi appoggia tesi non formula


non fondate dello Stato imputato dello Stato imputato pareri
di inadempimento di inadempimento

EFFETTI DELLA SENTENZA


(art. 260 TFUE)

mero accertamento art. 260 par. 2 TFUE esecuzione della sentenza

fase precontenziosa fase contenziosa

lettera di messa in mora pagamento penalità

2. LA GIURISDIZIONE AVENTE AD OGGETTO IL COMPORTAMENTO


DELLE ISTITUZIONI: IL RICORSO DI ANNULLAMENTO E IL RICOR-
SO PER CARENZA
A) Introduzione
Si tratta della giurisdizione contenziosa della Corte avente riguardo al
comportamento delle istituzioni europee nell’emanazione di atti vinco-
lanti.
Questo comportamento può formare oggetto di controversia sia sotto il
profilo attivo sia sotto il profilo omissivo: una violazione dei trattati può infatti
concretarsi nell’emanazione di atti illegittimi (che comporta un ricorso di an-
nullamento) oppure nell’astensione dall’emanazione di atti dovuti (in seguito
alla quale è possibile avviare un ricorso per carenza).

B) Il controllo sulla legittimità degli atti e il ricorso di annullamento


Ai sensi dell’art. 263 TFUE la Corte di giustizia dell’Unione europea eserci-
ta un controllo di legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio,
della Commissione e della Banca centrale europea che non siano raccoman-
dazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio
europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita
50 Capitolo Settimo

inoltre un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell’Unio-


ne destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.
Il Trattato di Lisbona, dunque, consente il ricorso verso tutti gli atti deri-
vanti da qualsiasi istituzione, organo o organismo dell’Unione europea.

Il controllo sulla legittimità degli atti e il ricorso di annullamento


I soggetti legittimati a presentare ricorso sono:
— le istituzioni dell’Unione europea (Parlamento, Consiglio e Commissione) e gli Stati
membri, che sono definiti ricorrenti privilegiati in quanto non devono dimostrare che
un atto illegittimo li tocchi direttamente per poter adire la Corte, ma possono agire in
qualunque situazione.
Una posizione particolare assumono la Corte dei conti, la Banca centrale europea e il
Comitato delle regioni, legittimati a proporre ricorso solo per la salvaguardia delle proprie
prerogative.
— le persone fisiche e giuridiche (ricorrenti non privilegiati), che possono proporre un
ricorso, peraltro al Tribunale specializzato e non alla Corte, solo nell’ipotesi in cui gli atti
di cui si chiede di dichiarare l’illegittimità le riguardino direttamente e individualmente.
Si tratta in sostanza di ricorsi avverso decisioni intese in senso tecnico, che devono avere
diretta incidenza sulla situazione giuridica del privato e ricoprire carattere individuale.
Va inoltre precisato che qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre ricorso anche
«contro atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna
misura d’esecuzione», ampliando in tal modo i presupposti per la ricevibilità del ricorso
proposto da persone fisiche e giuridiche ed eliminando il requisito dell’individualità.
Il Trattato di Lisbona consente alle persone fisiche e giuridiche anche di proporre ricorsi
contro atti di organi e organismi dell’Unione.

L’articolo in esame, nella sua originaria formulazione, non contemplava il Parlamento tra i
legittimati attivi e passivi al ricorso. Questo particolare aveva per lungo tempo costituito og-
getto di dispute sia in dottrina che in giurisprudenza: alla fine si era pervenuti alla conclusione
che ciò comportasse l’esclusione del sindacato di legittimità sugli atti del Parlamento.
Tuttavia la Corte di giustizia, dopo un lungo iter interpretativo, ha optato per un’applicazione
estensiva dell’articolo in questione, sulla base di due considerazioni:
a) quanto alla legittimazione passiva, la ratio dell’articolo era quella di esporre a caducazione
tutti gli atti delle istituzioni suscettibili di produrre effetti nei confronti dei terzi. Non vi
era dunque motivo di escludere gli atti del Parlamento che sortissero questo risultato (cfr.
sent. 294/83, Les Verts c. Parlamento europeo e sent. 3 luglio 1986, Consiglio c. Parlamento).
Se in un primo momento la mancata menzione era coerente con la funzione meramente
consultiva e di controllo svolta dal Parlamento europeo, con la graduale partecipazione
dello stesso all’iter legislativo tale preclusione non era più giustificata;
b) quanto alla legittimazione attiva, si tratta di un’applicazione degli elementari principi di
equilibrio istituzionale: ciascuna istituzione ha il diritto di autodifendersi, ricorrendo alla
Corte quando ritenga minacciate o lese le sue prerogative (sent. C-70/88, Parlamento c.
Consiglio);

• incompetenza: quando l’istituzione che ha emanato l’atto non ave-


va il potere di emanarlo
• violazione delle forme sostanziali: mancanza di un requisito di
forma essenziale per la formulazione dell’atto
• violazione dei trattati e delle norme giuridiche relative alla loro
applicazione: un vizio residuale, a cui ricondurre la contrarietà del-
I vizi degli atti sono: l’atto ai trattati fuori dei due casi già esaminati.
Questo vizio si estende anche ai principi generali di diritto dell’Unio-
ne non scritto e alle norme internazionali vincolanti per l’Unione
• violazione del principio di sussidiarietà
• sviamento di potere: esercizio del potere per un fine diverso da
quello per il quale tale facoltà era stata conferita
La Corte di giustizia dell’Unione europea 51

Quanto all’incompetenza la dottrina suole distinguere tra:


— incompetenza territoriale, nel caso di adozione di un atto al di là del limite territoriale
nell’ambito del quale l’organo esercita la sua potestà normativa;
— incompetenza temporale, quando l’atto è stato adottato oltre il termine prestabilito;
— incompetenza per materia, nel caso in cui venga adottato un atto in un settore in cui non è
espressamente attribuita nessuna competenza da parte dei trattati.

Quanto alla violazione del principio di sussidiarietà, questa deve prove-


nire da un parlamento nazionale o da un suo ramo. Il ricorso deve essere
proposto formalmente dal governo di uno Stato oppure semplicemente tra-
smesso dallo stesso.
Una volta constatata l’illegittimità dell’atto, la Corte ha il potere di an-
nullarlo, con effetti erga omnes (cioè nei confronti di tutti i soggetti dell’ordi-
namento) e a partire dal momento dell’emanazione (annullamento ex tunc).
Anche in questo caso, si tratta di un giudizio di accertamento dell’illegitti-
mità, e non di condanna dell’istituzione, dell’organo o dell’organismo, che sono
però tenuti a prendere provvedimenti per l’esecuzione della sentenza della Cor-
te (art. 266).
L’annullamento dell’atto comporta, comunque, per l’istituzione, l’organo o
l’organismo che lo ha emanato, l’obbligo di ripristinare la situazione preesi-
stente all’emanazione dell’atto, anche attraverso la revoca di atti collegati a
quello annullato, nonché l’obbligo di risarcire i danni provocati dal suo com-
portamento qualora questo sia anche illecito (ISAAC).

C) Il ricorso per carenza


Nel caso in cui il comportamento delle istituzioni abbia rilievo sotto il pro-
filo omissivo, si parla di ricorso per carenza, che consiste nella constatazio-
ne, da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea, della omissione di
atti dovuti da parte delle istituzioni che a ciò erano tenute (art. 265 TFUE).
Sono soggetti legittimati a ricorrere: gli Stati membri, le istituzioni diverse
da quella imputata di carenza (ricorrenti privilegiati) nonché le persone fisiche
e giuridiche (ricorrenti secondari) per contestare ad una istituzione, ad un or-
gano o ad un organismo dell’Unione di aver omesso di emanare nei suoi con-
fronti un atto che non sia una raccomandazione o un parere.
Nel novero dei legittimati attivi e passivi è incluso (in seguito alle modifiche
introdotte dal Trattato di Lisbona) il Consiglio europeo, avendo assunto rango
d’istituzione.
Prima di adire la Corte, occorre che l’istituzione, l’organo o l’organismo
carente sia messo in mora e che per due mesi non abbia preso posizione: entro
i due mesi successivi il ricorrente può rivolgersi alla Corte.
Se la Corte dichiara contraria ai trattati l’astensione dell’istituzione, dell’orga-
no o dell’organismo, questi hanno l’obbligo di adottare i provvedimenti necessari
per l’esecuzione della sentenza (art. 266 TFUE). Contro l’inosservanza di tale ob-
bligo potrà solo esperirsi un nuovo ricorso ai sensi dell’art. 265 del Trattato.
L’assenza di decisione deve essere attuale e permanere anche durante il corso della procedu-
ra: se l’istituzione, l’organo o l’organismo risponde alla messa in mora, adottando l’atto voluto dal
richiedente, la procedura prevista dall’art. 265 TFUE diventa senza oggetto (TESAURO).

3. LE CONTROVERSIE IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ EXTRACON-


TRATTUALE
L’art. 268 TFUE dispone che la Corte di giustizia dell’Unione europea è
competente a conoscere delle controversie relative al risarcimento dei danni
52 Capitolo Settimo

causati dalle istituzioni o dagli agenti dell’Unione nell’esercizio delle loro


funzioni (art. 340, 2° comma TFUE).
La Banca centrale europea deve risarcire, conformemente ai principi ge-
nerali comuni al diritto degli Stati membri, i danni cagionati da essa stessa o
dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni (art. 340, 3° comma TFUE). Si
tratta in questo caso di una competenza esclusiva della BCE voluta con la
riforma dei Trattati, che evita all’Unione europea la responsabilità del risarci-
mento di tali danni.

Questa competenza della Corte di giustizia dell’Unione europea riveste un


particolare interesse, oltre che per il suo carattere esclusivo (dovuto alla
necessità di un trattamento uniforme della responsabilità dell’Unione), an-
che sotto il profilo del diritto che la Corte è chiamata ad applicare. Tale
diritto deriva da una fonte estranea ai trattati: la legislazione degli Stati
membri. Il richiamo a quest’ultima non viene peraltro fatto nella sua inte-
rezza, ma solo in relazione ai principi comuni ai vari Stati in materia di
responsabilità extracontrattuale.

Gli elementi fondamentali su cui si basa la responsabilità extracontrat-


tuale dell’Unione sono costituiti dai presupposti soggettivi ed oggettivi sta-
biliti appunto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea come principi gene-
rali comuni ai diritti degli Stati membri.
Dal punto di vista soggettivo la Corte ha messo in evidenza l’importanza
del comportamento colposo ed ha rilevato nelle sue pronunce, in maniera
costante, che in caso di comportamenti illegittimi delle istituzioni, per potersi
riscontrare una responsabilità extracontrattuale, devono essere soddisfatte
varie condizioni: l’illiceità del comportamento di cui si fa carico alle istituzio-
ni, la reale esistenza del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra il
comportamento stesso ed il danno lamentato.
Va sottolineato che affinché sussista una responsabilità dell’Unione per i danni commessi dai
suoi agenti è necessario un rapporto interno e diretto con l’istituzione. Solo in tale circostanza si
può proporre un’azione di risarcimento dinanzi alla Corte. Viceversa se l’agente ha provocato
danni all’infuori dell’esercizio delle sue funzioni, l’azione di risarcimento va proposta dinanzi ai
giudici nazionali.

La responsabilità dell’Unione esiste anche come conseguenza dell’emana-


zione di atti normativi illegittimi, nell’ambito del ricorso di annullamento, pur
non risultando automatica l’attribuzione dell’obbligo di risarcimento a carico
dell’Unione; l’azione di risarcimento del danno e quella di annullamento sono
indipendenti ed autonome.
Dal punto di vista oggettivo va precisato che si presuppone, ai fini della
determinazione della responsabilità extracontrattuale, un danno certo e rea-
le oltre che il rapporto di causalità diretto. La giurisprudenza ha anche
ammesso che nel danno risarcibile vanno inclusi il lucro cessante, il danno
morale e gli interessi.
Il termine per la proposizione dell’azione di responsabilità extracontrat-
tuale è di 5 anni dal verificarsi del fatto dannoso, cosi come prevede l’art. 43
dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.
La Corte di giustizia dell’Unione europea 53

A) Ricorso in materia di responsabilità extracontrattuale

• comportamento colposo: si tratta dell’illiceità del


comportamento di cui si fanno carico le istitu-
➤ Presupposti soggettivi zioni, dell’esistenza del danno e del nesso di causa-
lità fra il comportamento e il danno lamentato
Elementi
fondamentali
• emanazione di atti normativi illegittimi

• l’esistenza di un danno certo e reale


• rapporto di causalità diretto.
➤ Presupposti oggettivi La giurisprudenza ha anche ammesso che nel
danno risarcibile vanno inclusi il lucro cessante,
il danno morale e gli interessi

B) Le residue competenze in materia contenziosa

➤ Oggetto: qualsiasi controversia tra Stati membri, qualora la stessa ven-


Controversie tra
ga sottoposta alla Corte in virtù di un compromesso
Stati membri
(Art. 273 TFUE) ➤ Limiti: l’oggetto del contendere deve essere in connessione con i trattati
e i soggetti del contendere possono essere solo gli Stati membri

➤ Competenza a pronunciarsi: Tribunale della funzione pubblica

Controversie ➤ Soggetti legittimati a introdurre ricorso: funzionari dell’Unione, sia


tra l’Unione quelli inseriti stabilmente nell’organico del personale, che quelli con
e i suoi agenti contratto a tempo determinato
(Art. 270 TFUE) ➤ Tipologie di azioni • dipendenti contro le istituzioni
di ricorso • Unione contro i dipendenti

➤ Materie oggetto • fissazione della retribuzione


delle controversie • risarcimento danni per ritardo nella cor-
responsione degli arretrati o l’inquadra-
mento
• questioni di carriera, benefici sociali etc.

➤ In merito all’esecuzione degli obblighi degli Stati membri derivan-


ti dallo statuto della Banca. La competenza della Corte è simile a quella
in materia di comportamento degli Stati nell’esecuzione dei trattati e il
Consiglio dei governatori della Banca dispone di poteri analoghi a quel-
Controversie li riconosciuti alla Commissione. La Corte è, inoltre, competente a co-
relative alla BEI noscere dei ricorsi contro le deliberazioni del Consiglio di amministra-
(Art. 271 TFUE) zione della Banca, e può essere adita (da ciascuno Stato membro, dalla
Commissione e dal Consiglio di amministrazione) per l’annullamento
di dette deliberazioni
➤ In materia di esecuzione, da parte delle Banche centrali nazionali,
degli obblighi derivanti dai trattati e dallo Statuto del SEBC.
Il Consiglio della BCE dispone di poteri analoghi a quelli riconosciuti
alla Commissione

Sanzioni irrogate
➤ Avverso le decisioni con cui sono comminate le sanzioni a carico
dalle istituzioni
di coloro che violino le disposizioni dell’Unione
dell’Unione

Controversie in virtù ➤ La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a giudicare


di una clausola com- in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di
promissoria diritto pubblico o di diritto privato stipulato dall’Unione o per conto questa.
(Art. 272 TFUE) È indispensabile che la clausola compromissoria sia redatta per iscritto
54 Capitolo Settimo

Sezione III
La giurisdizione non contenziosa

1. L’INTERPRETAZIONE IN VIA PREGIUDIZIALE


A) Nozione
Alla Corte di giustizia dell’Unione europea spetta la competenza esclusi-
va a titolo pregiudiziale sulla interpretazione dei trattati e sulla validità
degli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi (art. 267 TFUE).
Scopo di tale attribuzione di competenza è quello di assicurare l’uniforme
interpretazione del diritto dell’Unione per una sua corretta ed uniforme
applicazione.
Il concetto di interpretazione in via pregiudiziale implica che, nelle ipotesi
in cui sorga un dubbio, è necessaria una pronuncia della Corte sulla corretta
interpretazione o sulla validità di un atto dell’Unione prima (pregiudizialmen-
te) che un giudice nazionale possa risolvere concretamente una controversia.
Si noti che il rinvio pregiudiziale può riguardare:
— la corretta interpretazione da attribuire a disposizioni dei trattati (compresi
gli allegati, i protocolli, i trattati modificativi e gli atti di adesione di nuovi
Stati membri) o ad atti (regolamenti, direttive, decisioni o ogni altro atto che
produce effetti giuridici) di diritto derivato. La funzione interpretativa può
avere ad oggetto le precedenti sentenze della Corte, gli accordi internazionali
conclusi dall’Unione, nonché le convenzioni stipulate dagli Stati membri nel
quadro dell’ordinamento dell’Unione europea. Compito della Corte è quello di
chiarire e precisare «il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe
dovuto, essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore»;
— la validità di un atto di diritto derivato. La Corte, in questo caso, è tenuta
a verificare che l’atto in parola rispetti «tutte le regole giuridiche applicabi-
li nel quadro dell’ordinamento giuridico dell’Unione».
Per quanto riguarda le pronunce pregiudiziali sulla validità degli atti
emessi dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi si tratta di una
procedura che richiama immediatamente il ricorso di annullamento previsto
dall’art. 263 TFUE. E in effetti i criteri in base ai quali la Corte valuta la validi-
tà o meno dell’atto sono gli stessi applicabili nell’ambito della procedura di
annullamento. Gli elementi che, invece, introducono una differenziazione sono:
— i soggetti legittimati a proporre ricorso. Nel caso dell’art. 263 TFUE, infatti,
la richiesta di annullamento può essere proposta da uno Stato membro,
dalle istituzioni dell’Unione europea (con le limitazioni previste per la Cor-
te dei conti, la BCE e il Consiglio europeo) o dalle persone fisiche o giuridi-
che avverso le decisioni che le riguardano direttamente. Tali limitazioni
non sussistono per quanto riguarda il rinvio pregiudiziale, ragion per cui
esso offre al singolo la facoltà di impugnare un atto giuridico, quando non
ne sia investito direttamente ed individualmente da poter esperire il ricor-
so per annullamento ex art. 263 TFUE;
— gli effetti della sentenza. Nell’ipotesi prevista dall’art. 263 TFUE l’atto viene
annullato ed eliminato definitivamente dall’ordinamento giuridico; nell’ipo-
tesi prevista dall’art. 267 TFUE, invece, l’atto viene dichiarato invalido e gli
effetti di tale pronuncia sono limitati alla controversia in esame. Tuttavia,
è da sottolineare che le istituzioni, in presenza di una pronuncia pregiudi-
ziale di invalidità, in genere si comportano come se fosse intervenuto un
annullamento dell’atto e provvedono a modificarlo o sostituirlo.
La Corte di giustizia dell’Unione europea 55

La Corte, nella sentenza 13 maggio 1981, International Chemical Corporation c. Amministra-


zione delle Finanze dello Stato, ha ulteriormente precisato gli effetti di una sentenza di invalidi-
tà di un atto per il giudice nazionale. In quell’occasione fu affermato che «la sentenza della
Corte che accerti, in forza dell’articolo 177 (ora 236 TFUE) del Trattato CEE, l’invalidità di un
atto di un’istituzione, sebbene abbia come diretto destinatario solo il giudice che si è rivolto
alla Corte, costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale
atto non valido ai fini di una decisione che esso debba emettere; poichè tale constatazione non
ha tuttavia l’effetto di privare i giudici nazionali della competenza loro attribuita dall’articolo
177 del Trattato (ora 267 TFUE), spetta a tali giudici stabilire se vi sia interesse a sollevare
nuovamente una questione già risolta dalla Corte nel caso in cui questa abbia constatato in
precedenza l’invalidità di un atto di un’istituzione della Comunità (oggi dell’Unione)».

B) Nozione di giurisdizione nazionale


L’art. 267 TFUE precisa che quando una questione di interpretazione e
validità degli atti dell’Unione «è sollevata davanti a una giurisdizione di
uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria
per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla
Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi sulla questione».
La valutazione del giudice non di ultima istanza sulla necessità o meno di operare un rinvio
pregiudiziale alla Corte è pienamente discrezionale. La richiesta di sottoporre la questione alla
Corte può essere avanzata sia dalle parti che dal pubblico ministero, ma spetta «ai soli giudici
nazionali aditi, che debbono assumere la responsabilità dell’emananda decisione giudiziale, va-
lutare, tenuto conto delle peculiarità di ogni causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudizia-
le per essere posti in grado di statuire nel merito, sia la pertinenza delle questioni sottoposte alla
Corte, senza che le parti possano modificare il tenore di tali questioni» (sent. C-297/94, Bruyére e
altri c. Stato belga). Ovviamente il giudice nazionale può sollevare anche di propria iniziativa una
questione pregiudiziale.
La sospensione del procedimento e il rinvio della causa alla Corte avviene attraverso un atto
giurisdizionale, che riveste forma diversa a seconda degli ordinamenti (ordinanza, sentenza, for-
ma di un atto del cancelliere o altro funzionario competente).

Qualora una questione del genere venga sollevata in un giudizio penden-


te davanti a una giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa
proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, quest’ultima è tenuta a
rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Pertanto l’iniziativa del giudice interno è facoltativa, ovvero obbligatoria, a
seconda che si tratti di una istanza di primo grado o di un giudice di ultima
istanza (ad es. in Italia la Cassazione).

Tuttavia l’obbligo per quest’ultimo non è assoluto e inderogabile. Alcune sen-


tenze della Corte hanno, infatti, attribuito dei margini di discrezionalità ai
giudici di ultima istanza nelle seguenti ipotesi:
— quando un’identica questione sia già stata oggetto di pronuncia da parte
della Corte in un precedente procedimento o si è formato sul punto una
giurisprudenza costante (sent. 28-30/62, Da Costa En Shaake N.V. e a c.
Amministrazione olandese delle imposte);
— quando le norme hanno un senso chiaro ed univoco, per cui non vi è
alcuna ragione per cui debba essere richiesta una interpretazione pre-
giudiziale dal parte della Corte. Si tratta della cd. teoria dell’atto chiaro
(sent. causa 283/81, CILFIT c. Ministero della sanità).

In merito all’individuazione dell’organo giurisdizionale abilitato ad in-


terloquire con la Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima ha
in primo luogo affermato che deve trattarsi di un organo che riveste una
nozione europea e non nazionale; ciò significa che la definizione di giurisdi-
56 Capitolo Settimo

zione nazionale non tiene conto delle diverse qualificazioni che può assumere
nell’ordinamento interno (talvolta le due nozioni potrebbero anche non coin-
cidere).

Dopo varie pronunce parziali la Corte ha chiarito i criteri ai quali si attiene per valutare se
l’organo che effettua il rinvio pregiudiziale sia o meno una giurisdizione. «La Corte tiene con-
to di un insieme di elementi quali (sent. causa C-54/96, Dorsch Consult; sent. C-69 e 79/96,
Garofalo c. Ministero della Sanità):
— l’origine legale dell’organo;
— il suo carattere permanente;
— l’obbligatorietà della sua giurisdizione;
— la natura contraddittoria del procedimento;
— il fatto che l’organo applichi norme giuridiche;
— che sia indipendente».
Può, quindi, rientrare in questa ampia definizione qualsiasi organo giudiziario, sia esso ordina-
rio che speciale (giurisdizioni amministrative, finanziarie, del lavoro etc.) e a prescindere dalla
denominazione assunta nell’ordinamento nazionale, purché possegga i sei requisiti prima citati.

Va rilevato che alla Corte spetta unicamente l’interpretazione dei trattati e degli
atti dell’Unione, mentre ai giudici nazionali spetta l’applicazione di questi ultimi.
Una volta avutasi l’interpretazione pregiudiziale della questione interpreta-
tiva, la causa ritorna al giudice interno per la decisione sul caso.

Una novità introdotta con il Trattato di Lisbona riguarda l’ultimo comma ag-
giunto all’art. 267 TFUE, secondo cui la Corte statuisce il più rapidamente possibi-
le, qualora una questione pregiudiziale sia sollevata in un giudizio pendente da-
vanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di
detenzione. Si tratta in sostanza del procedimento pregiudiziale d’urgenza a
cui ora viene fatto riferimento direttamente nel testo del TFUE; una forma di
procedimento, applicabile allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che era stato
adottato, già anteriormente all’entrata in vigore del nuovo Trattato, il 15 gennaio
2008 dalla Corte come modifica al suo regolamento di procedura.

C) Gli effetti delle sentenze


Per ciò che attiene agli effetti della sentenza interpretativa emanata dal-
la Corte, è opportuno chiarire che:
— essa vincola il giudice nazionale, che dovrà eventualmente disapplicare la
norma nazionale confliggente con la norma dell’Unione;
— il valore vincolante della pronuncia pregiudiziale si impone anche ai giudici
che dovessero esaminare il caso in una successiva fase della procedura; que-
sti ultimi devono tener conto delle statuizioni della Corte anche se possono,
qualora lo ritengano opportuno, riproporre una questione pregiudiziale;
— per quanto riguarda gli effetti nel tempo della sentenza il principio generale
è quello secondo cui essa esplica i suoi effetti ex tunc, vale a dire al momen-
to dell’entrata in vigore delle norme interpretate (sent. 61/79, Denkevit, «la
norma cosi interpretata può, e deve, essere applicata dal giudice anche a
rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa»).
Tuttavia la stessa Corte, in casi eccezionali, può limitare la portata di que-
sto principio;
— la sentenza avrà, inoltre, la sua efficacia anche al di fuori del contesto che
l’ha provocata, per diventare vincolante nei confronti di altri giudici che
saranno tenuti, in futuro, ad applicarla. Essa costituisce un precedente
giurisprudenziale vincolante per gli altri giudici, anche di paesi diversi.
La Corte di giustizia dell’Unione europea 57

Ovviamente la linea interpretativa fornita dalla Corte può essere sempre


rivista in un momento successivo.
Una sentenza sulla validità dell’atto, invece, produce soltanto una «invali-
dità» dello stesso, con la conseguenza che l’atto (pur ritenuto invalido dalla
Corte) non viene eliminato dall’ordinamento. Soltanto l’istituzione che ha
emanato l’atto è competente a procedere al suo annullamento (nelle parole della
Corte in sent. 66/80, International Chemical Corporation: «sono tenuti a trarre
dalla sentenza della Corte le conseguenze ch’essa comporta»); ciò non toglie
che, oltre ad essere vincolante per il giudice del rinvio, «costituisce per qualsiasi
altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di
una decisione ch’esso debba emettere»
Per quanto riguarda gli effetti nel tempo di una pronuncia di invalidità di
un atto, anche in questo caso si applica il principio della retroattività, benché
se la Corte si sia talvolta premurata di limitare gli effetti di tale principio.

2. LA FUNZIONE CONSULTIVA DELLA CORTE


La giurisdizione non contenziosa della Corte vale anche per la funzione
consultiva che essa svolge nei confronti delle altre istituzioni dell’Unione nei
casi previsti dai trattati.
Ad esempio un’attività consultiva è prevista dall’art. 218, par. 11 TFUE lad-
dove dispone che il Parlamento, la Commissione, il Consiglio o uno Stato
membro possono chiedere il parere della Corte circa la compatibilità di un
accordo con le disposizioni dei trattati.
Quando la Corte esprime parere negativo, «l’accordo può entrare in vigore
solo con modifica dello stesso o in caso di revisione dei trattati».
58

LA GIURISDIZIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA


Ricorsi Articoli Oggetto Legittimazione Legittimazione Procedura
attiva passiva

Per art. 258 TFUE Inadempimento degli ob- Commissione e ciascuno I singoli Fase precontenziosa
inadempi- blighi derivanti dai tratta- Stato membro Stati membri Fase contenziosa
mento ti

Per annul- art. 263 TFUE La legittimità degli atti del- Ricorrenti privilegiati: Con- L’ i s t i t u z i o n e , Ricorso alla Corte (o al Tribunale) entro due
lamento le istituzioni, degli organi siglio; Commissione; Stati l’organo o l’orga- mesi dalla pubblicazione o notificazione del-
o degli organismi del- membri; Parlamento nismo che ha l’atto o, in mancanza di questa, dall’avvenuta
l’Unione che abbiano effet- Ricorrenti non privilegia- emanato l’atto conoscenza
ti definitivi e producano ef- ti: Persone fisiche e giu-
fetti giuridici ridiche
In carenza art. 265 TFUE Omessa adozione di un Ricorrenti privilegiati: Con- Istituzioni Fase precontenziosa
atto vincolante in attuazio- siglio; Commissione; Stati Fase contenziosa
ne dei trattati membri; Parlamento
Ricorrenti non privilegia-
ti: Persone fisiche o giu-
ridiche
Rinvio pre- art. 267 TFUE • Interpretazione dei trat- Le autorità giurisdizio- Il rinvio della Corte è facoltativo, tranne che
giudiziale tati nali di ciascuno Stato per i giudici di ultima istanza, per i quali è ob-
• Validità e interpretazio- membro (d’ufficio o su bligatorio.
ne degli atti delle istitu- richiesta delle parti)
zioni
• Interpretazione degli
statuti e degli organismi
creati con atto del Con-
Capitolo Settimo

siglio
La Banca centrale europea 59

Capitolo Ottavo
La Banca centrale europea

I stituita dal Trattato di Maastricht allo scopo di gestire la politica comunita-


ria, con la riforma apportata dal Trattato di Lisbona la Banca centrale eu-
ropea è stata pienamente inserita nel quadro istituzionale dell’Unione
europea (è, infatti, citata all’art. 13 TUE).
Dotata di personalità giuridica, essa ha il diritto esclusivo di autorizzare
l’emissione dell’euro.

1. ORIGINI
La Banca centrale europea (BCE) è stata istituita dal Trattato di Maastri-
cht, ed è entrata in funzione il 3 maggio 1998. Il Trattato sull’Unione europea,
a seguito della riforma di Lisbona, la inserisce a pieno titolo tra le istituzio-
ni dell’Unione (art. 13 TUE).
Come disposto dall’art. 282 TFUE, insieme alle Banche centrali nazionali
(che ne sottoscrivono il capitale) essa costituisce il Sistema europeo delle
banche centrali (SEBC), diretto dagli organi decisionali della BCE e respon-
sabile della politica monetaria dell’Unione.
Lo stesso articolo stabilisce che la BCE ha personalità giuridica ed è in-
dipendente nell’esercizio dei suoi poteri e nella gestione delle sue finanze. Le
istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione, nonché i governi degli Stati
membri, rispettano tale indipendenza.
La BCE può ricorrere dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea
per salvaguardare le proprie prerogative e gli atti da essa emanati possono
essere oggetto di ricorso in annullamento. La BCE può, inoltre, presentare
ricorso in carenza nei settori che rientrano nella sua competenza o proposti
contro di essa.

2. COMPOSIZIONE
Sono organi della BCE, secondo l’art. 283 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione:
a) il Consiglio direttivo, che comprende i membri del Comitato esecutivo
della Banca centrale europea nonché i governatori delle banche centrali
nazionali degli Stati membri la cui moneta è l’euro;
b) il Comitato esecutivo, che comprende il presidente, il vicepresidente e
quattro altri membri.
Il presidente, il vicepresidente e gli altri membri del Comitato esecutivo sono nominati, tra
persone di riconosciuta levatura ed esperienza professionale nel settore monetario o bancario,
dal Consiglio europeo che delibera a maggioranza qualificata, su raccomandazione del Consiglio
e previa consultazione del Parlamento europeo e del Consiglio direttivo della Banca centrale
europea. Il loro mandato ha una durata di otto anni e non è rinnovabile. Soltanto cittadini degli
Stati membri possono essere membri del Comitato esecutivo.
Conformemente all’art. 284 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, il presidente del Con-
siglio e un membro della Commissione possono partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni
del Consiglio direttivo della Banca centrale europea. Il presidente del Consiglio può sottoporre
60 Capitolo Ottavo

una mozione alla delibera del Consiglio direttivo della Banca centrale europea. Il presidente della
Banca centrale europea è invitato a partecipare alle riunioni del Consiglio quando quest’ultimo
discute su argomenti relativi agli obiettivi e ai compiti del SEBC.
La Banca centrale europea trasmette al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissio-
ne, nonché al Consiglio europeo, una relazione annuale sull’attività del SEBC e sulla politica
monetaria dell’anno precedente e dell’anno in corso. Il presidente della Banca centrale europea
presenta tale relazione al Consiglio e al Parlamento europeo, che può procedere su questa base ad
un dibattito generale.
Il presidente della Banca centrale europea e gli altri membri del Comitato esecutivo possono,
a richiesta del Parlamento europeo o di propria iniziativa, essere ascoltati dalle commissioni
competenti del Parlamento europeo.

3. FUNZIONI
La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali degli Stati
membri la cui moneta è l’euro, che costituiscono l’Eurosistema, conduco-
no la politica monetaria dell’Unione.
L’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei prez-
zi. Fatto salvo tale obiettivo, esso sostiene le politiche economiche generali nel-
l’Unione per contribuire alla realizzazione degli obiettivi di quest’ultima. Ha il
diritto esclusivo di autorizzare l’emissione dell’euro.
All’interno di tale sistema la BCE, analogamente a qualsiasi banca centra-
le, esercita un controllo della liquidità che si fonda essenzialmente sui se-
guenti strumenti:
— l’acquisto e la vendita di titoli (operazioni di mercato aperto);
— la fissazione della riserva minima obbligatoria che gli enti creditizi devono
detenere presso le Banche centrali nazionali o presso la stessa BCE;
— le operazioni di credito con gli istituti creditizi e gli altri operatori di merca-
to, nonché il tasso a cui tali operazioni avvengono.
Nei settori che rientrano nelle sue attribuzioni, la Banca centrale europea
è consultata su ogni progetto di atto dell’Unione e su ogni progetto di atto
normativo a livello nazionale, e può formulare pareri.
La Corte dei Conti ed il bilancio dell’Unione 61

Capitolo Nono
La Corte dei Conti ed il bilancio
dell’Unione

I l Trattato di Bruxelles del 22 luglio 1975 ha dato vita ad un nuovo organo di


controllo sulla gestione finanziaria della Comunità: la Corte dei conti, inse-
diata a Lussemburgo nel 1977 e poi elevata al rango di istituzione dall’art. 7
del vecchio TCE.
Dopo la riforma di Lisbona essa continua a far parte della struttura istituziona-
le dell’Unione (è menzionata, infatti, all’art. 13 TUE), mentre la sua composi-
zione e le sue competenze sono disciplinate agli artt. 285-287 TFUE.
La Corte è composta di un cittadino di ciascuno Stato membro; ad essa è
stata attribuita una competenza di controllo generale: esamina, in base all’art.
287 TFUE, i conti di tutte le entrate e le spese dell’Unione, nonché di ogni
organismo creato dalla stessa, a meno che l’atto costitutivo non escluda espres-
samente tale riesame.
Per lo più si tratta di un controllo formale di legittimità, ossia d’un controllo
diretto a verificare la correttezza e la regolarità della gestione finanziaria.
Questa istituzione, organo di controllo per eccellenza, svolge un ruolo determi-
nante nei riguardi di quello che è il maggiore documento contabile: il bilancio
dell’Unione.

1. IL FINANZIAMENTO DELL’UNIONE
L’art. 311 TFUE sottolinea che il finanziamento dell’Unione avviene «inte-
gralmente tramite risorse proprie»; adottato ufficialmente il 1° gennaio 1971
questo sistema è divenuto operativo dal 1979.
Esso sancisce il principio di autonomia finanziaria, in quanto l’Unione,
a differenza delle tradizionali organizzazioni internazionali, non dipende dai
contributi degli Stati membri, ma dispone di finanze proprie.

Le risorse proprie:
Costituiscono risorse proprie:
— i prelievi sulle importazioni di prodotti agricoli, cioè tutti i prelievi, gli importi sup-
plementari e gli altri diritti fissati dalle istituzioni dell’Unione negli scambi con i paesi
non membri;
— i dazi doganali derivanti dalla tariffa doganale comune fissata per gli scambi con i paesi
non membri;
— i proventi dell’IVA (imposta sul valore aggiunto) ottenuti mediante applicazione di un
tasso pari allo 0,50%;
— una nuova risorsa (definita quarta risorsa o risorsa PNL) che è costituita da contributi
versati dagli Stati nell’ipotesi in cui tutte le altre risorse non dovessero essere sufficienti
a garantire una certa entità delle entrate dell’Unione.

La riscossione di tutte le entrate spetta agli Stati membri (v. in Appendice


voce → Crisi della sedia vuota), i quali provvedono a versare le somme dovute
all’Unione ottenendo un rimborso a titolo di spese di riscossione del 25%.
62 Capitolo N ono

2. IL BILANCIO DELL’UNIONE
Il bilancio è il documento annualmente approvato dalle istituzioni euro-
pee che contiene l’elenco di tutte le spese e le risorse a disposizione dell’Unio-
ne. Esistono alcuni principi fondamentali in relazione al bilancio, indicati
nello schema che segue.

➤ Unità e verità di bilancio: tutte le entrate e le spese ritenute ne-


cessarie previste ed autorizzate
➤ Annualità: il riferimento di tutte le operazioni si deve rapportare
ad un arco temporale determinato, l’esercizio finanziario
➤ Pareggio: entrate e stanziamenti di pagamento devono risultare
in pareggio
➤ Unità di conto: il bilancio è formato in euro
Principi fondamentali ➤ Universalità: non c’è compensazione tra entrate e spese, viene in-
dicato solo il relativo saldo
➤ Specializzazione: si prevede da un lato uno stato generale delle
entrate e dall’altro uno stato delle entrate e delle spese
➤ Sana gestione finanziaria: implica che gli stanziamenti del bi-
lancio devono essere utilizzati secondo principi di economia, effi-
cacia ed efficienza
➤ Trasparenza: il bilancio è oggetto di rendiconto e inoltre è pubbli-
cato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione

Categorie di spese
Le spese iscritte nel bilancio dell’Unione si distinguono in due categorie:
• spese obbligatorie, che l’autorità competente è tenuta ad iscrivere nel bilancio per con-
sentire all’Unione di affrontare tutti gli impegni previsti dai trattati;
• spese non obbligatorie, categoria residuale che include tutte le spese non rientranti in
quelle prima citate.

3. LA PROCEDURA DI APPROVAZIONE DEL BILANCIO


L’approvazione del bilancio dell’Unione prevede una complessa procedura
che vede coinvolti a vario titolo diverse istituzioni. Quelle maggiormente coin-
volte sono, però, il Parlamento europeo ed il Consiglio, tra le quali si instaura
una navetta che può portare all’approvazione o al rigetto del bilancio.
La procedura di approvazione del bilancio può articolarsi in due fasi, del-
le quali una si attiva solo nel caso di dissenso del Consiglio e del Parlamento
europeo:
I fase — Il progetto di bilancio è definito dal Consiglio sulla scorta di un
progetto preliminare elaborato dalla Commissione in base agli stati di previsio-
ne ad essa comunicati da tutte le istituzioni.
Entro il 5 ottobre dell’anno precedente l’esercizio finanziario (che coincide
con l’anno solare) cui il bilancio si riferisce, il Consiglio, con deliberazione a
maggioranza qualificata, trasmette tale prospetto al Parlamento europeo.
Il Parlamento ha, al riguardo, tre possibilità:
— può approvare il bilancio, non apportare emendamenti e non proporre mo-
dificazioni: in tal caso il bilancio viene adottato;
— può, deliberando a maggioranza dei suoi membri, apportare emendamen-
ti al progetto di bilancio;
— può, deliberando a maggioranza dei suoi membri e dei due terzi dei voti
espressi, respingere in blocco il relativo progetto.
La Corte dei Conti ed il bilancio dell’Unione 63

II fase — prevede una seconda lettura del Consiglio che ha 15 giorni per
decidere, a maggioranza qualificata, sugli emendamenti del Parlamento. Nel-
l’ipotesi di aumento delle spese, alla seconda lettura da parte del Consiglio
segue una seconda lettura del Parlamento che, entro 15 giorni, può:
— emendare o respingere le modifiche ai propri emendamenti approvate dal Con-
siglio deliberando a maggioranza dei suoi membri e dei 3/5 dei suffragi espressi;
— respingere tutto il bilancio e chiedere la presentazione di un nuovo proget-
to. La delibera è a maggioranza dei membri e dei 2/3 dei suffragi espressi.

Il regime dei dodicesimi provvisori


Si tratta di un sistema che consente alle istituzioni dell’Unione, in caso di mancata approva-
zione del bilancio, di procedere comunque all’erogazione delle spese loro necessarie, prenden-
do come parametro di riferimento l’ultimo bilancio regolarmente approvato.
Tali spese, considerate mensilmente, saranno sottoposte ad un duplice ordine di limiti. Esse,
infatti, non potranno eccedere la soglia di un dodicesimo dei crediti regolarmente aperti nel
bilancio dell’esercizio precedente, né quella di un dodicesimo dell’importo complessivo dei cre-
diti risultanti dal progetto di bilancio elaborato con riferimento all’esercizio in corso.

4. LA CORTE DEI CONTI


A) Composizione
La Corte dei Conti si occupa del controllo sulla gestione finanziaria del-
l’Unione; istituita con il Trattato di Bruxelles del 1975 ed insediata a Lussemburgo
nel 1977, essa è stata elevata al rango di istituzione dall’art. 7 del previgente TCE.
Con la riforma di Lisbona la Corte continua a far parte della struttura isti-
tuzionale dell’Unione, e compare per questo all’art. 13 TUE.
In merito alla composizione, il numero dei giudici è pari a quello degli
Stati membri (attualmente sono 27); la nomina avviene da parte del Consi-
glio che a maggioranza qualificata, previa consultazione del Parlamento eu-
ropeo, adotta un apposito elenco di candidati presentato dagli Stati membri.
La durata del mandato è di 6 anni e i membri della Corte vanno scelti tra
coloro che hanno requisiti di professionalità ed indipendenza.

B) Competenze
L’articolo 287 TFUE fa riferimento alle competenze della Corte. A questa
istituzione sono attribuiti i seguenti compiti:
— un controllo formale di legittimità diretto a verificare la correttezza e la
regolarità di tutte le entrate e le spese dell’Unione;
— un controllo di merito, diretto ad accertare la sana gestione finanziaria,
vale a dire:
a) l’efficacia, intesa come la capacità dell’amministrazione di fissare e rag-
giungere determinati obiettivi;
b) l’economicità, cioè una gestione razionale del personale e dei materiali;
c) l’efficienza, intesa come capacità di massimizzare i risultati con il mi-
nimo impiego di risorse;
L’attività di controllo si svolge secondo lo schema che segue:

• elaborazione — relativa all’esecuzione del bilancio


di una relazione — relativa ai Fondi europei di sviluppo
Attività di
controllo
• ispezione da — presso le istituzioni e gli Stati mem-
effettuare sul posto membri
64 Capitolo N ono

L’articolo 287 TFUE fa obbligo alla Corte dei Conti di presentare al Consi-
glio e al Parlamento europeo una dichiarazione di affidabilità dei conti in
cui si attesta l’affidabilità, la legittimità e la regolarità di tutte le operazioni
relative alle voci di entrata e di spesa. Questa relazione è poi pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea.

C) Il potere consultivo
La Corte dei Conti dispone anche di un potere consultivo che può essere di due tipi:
• obbligatorio nei casi previsti dall’articolo 322 TFUE, cioè nell’adozione dei regolamenti finan-
ziari, nella fissazione delle modalità e delle procedure per la messa a disposizione delle entra-
te dell’Unione;
• facoltativo, ogni volta che una delle istituzioni fa richiesta di parere alla Corte.

5. LA LOTTA ALLE FRODI


Per frodi si intendono le irregolarità commesse ai danni degli interessi finanziari dell’Unione.
Il sistema di riscossione di dazi, prelievi ed altre entrate che costituiscono le risorse proprie
dell’Unione prevede che siano gli Stati ad occuparsi della riscossione, versando poi le somme
percepite all’Unione. Anche per ciò che concerne le erogazioni, quest’ultima si serve di interme-
diari nazionali. Questo sistema di riscossione ed erogazione ha prodotto, nel corso degli anni, un
notevole aumento delle frodi ai danni del bilancio europeo.
Per combattere tale fenomeno, l’articolo 325 europeo TFUE impone agli Stati membri un
vero obbligo di adottare tutte le misure necessarie per combattere le frodi.
La base giuridica dell’azione europea in tema di lotta alle frodi (v. → in Appendice) è costituita
ora dall’articolo 325 TFUE, il quale:
• pone a carico di tutti gli Stati membri l’obbligo di combattere le frodi che ledono gli interessi
finanziari dell’Unione con gli stessi strumenti adottati per combattere le frodi a livello nazio-
nale. Si tratta del principio di assimilazione, che equipara gli interessi dell’Unione a quelli
nazionali con la conseguenza che gli Stati sono tenuti ad agire con gli stessi mezzi e adottan-
do le stesse misure in entrambi i casi;
• prevede, espressamente, che le misure che gli Stati devono adottare per combattere le frodi
devono essere «dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri»;
• prevede una stretta e regolare cooperazione tra le autorità nazionali competenti in materia di
lotta alle frodi e la Commissione.

6. L’UFFICIO EUROPEO PER LA LOTTA ANTIFRODE (OLAF)


Uno degli strumenti organizzativi per intensificare la lotta contro gli atti fraudolenti è rappre-
sentato dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), istituito con la decisione della Com-
missione n. 352 del 28 aprile 1999. Quest’ultimo subentra integralmente nelle attribuzioni del-
l’Unità di coordinamento per la lotta contro le frodi (UCLAF).
L’Ufficio europeo esercita le competenze della Commissione in materia di indagini ammini-
strative esterne (negli Stati membri) al fine di intensificare la lotta contro le frodi, la corruzione e
qualsiasi attività illecita lesiva degli interessi finanziari dell’Unione.
Esso, inoltre, svolge indagini amministrative all’interno delle istituzioni e degli organismi
volte alla lotta contro la frode e alla ricerca di fatti gravi connessi con l’esercizio di attività profes-
sionali che sono incompatibili con gli obblighi dei funzionari e degli agenti dell’Unione, nonché
con gli obblighi incombenti ai membri delle istituzioni e degli organi.
Gli altri organi previsti dai trattati 65

Capitolo Decimo
Gli altri organi previsti dai trattati

D iversi organi (il Comitato delle regioni, il Consiglio economico e


sociale e altri comitati previsti dai trattati istitutivi) assistono le
istituzioni nell’esercizio delle loro funzioni, svolgendo competenze consultive
che si traducono nell’emanazione di pareri mai vincolanti.
La Banca europea degli investimenti è un organismo con una propria per-
sonalità giuridica distinta da quella dell’Unione europea, il cui ruolo principale
è concedere prestiti contribuendo allo sviluppo equilibrato dell’Unione.
Le agenzie dell’Unione sono organismi anch’essi dotati di personalità giuri-
dica, autonomia finanziaria e di bilancio che hanno lo scopo di fornire agli Stati
e alle parti private interessate tutte le informazioni di natura tecnica che occor-
rono loro.

1. IL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE


Il Comitato economico e sociale è un organo consultivo dell’Unione
previsto all’art. 13 TUE e disciplinato in dettaglio dal TFUE (artt. 300-304).
Esso è composto da «rappresentanti delle organizzazioni di datori di lavoro,
di lavoratori dipendenti e di altri attori rappresentativi della società civile, in
particolare nei settori socio-economico, civico, professionale e culturale» (art.
300, par. 2 TFUE).

I membri
Dalla lettura in combinato disposto degli artt. 301-302 TFUE si evince che i membri, il cui
numero non può essere superiore a trecentocinquanta, vengono nominati dal Consiglio
all’unanimità, previa proposta della Commissione e conformemente alle indicazioni fornite
dagli Stati membri, eventualmente richiedendo il parere delle organizzazioni europee rap-
presentative dei diversi settori economici, sociali e della società civile. Il loro mandato è
quinquennale e rinnovabile.
L’art. 300 TFUE precisa, inoltre, che i componenti del Comitato «esercitano le loro funzioni in
piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione»; essi, pertanto, non possono promuo-
vere i soli interessi della categoria cui appartengono, ma devono agire con piena garanzia di
imparzialità.

Il Comitato può essere consultato dal Consiglio, dalla Commissione e ora,


come previsto dal Trattato di Lisbona, anche dal Parlamento europeo. Tale
consultazione è obbligatoria o facoltativa, a seconda se sia prevista o meno
dai trattati, e si concreta in pareri che non sono mai vincolanti, avendo piut-
tosto carattere tecnico.
Il Comitato può formulare pareri anche di propria iniziativa, come dispo-
sto dall’art. 304 TFUE (che istituzionalizza una prassi risalente al vertice di
Parigi del 1972).

2. IL COMITATO DELLE REGIONI


Il Comitato delle regioni, anch’esso inserito nel quadro istituzionale del-
l’Unione dall’art. 13 TUE, è un organo che esercita funzioni consultive nei
riguardi del Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio.
66 Capitolo Decimo

Come sottolinea la dizione normativa (art. 300, par. 3 TFUE), il Comitato è


composto da «rappresentanti delle collettività regionali e locali» (nell’ultimo caso
per consentire anche agli Stati membri privi di un’organizzazione su base
regionale di essere rappresentati all’interno dell’organo europeo), i quali de-
vono essere «titolari di un mandato elettorale nell’ambito di una collettività re-
gionale o locale oppure politicamente responsabili dinanzi a un’assemblea elet-
ta». I membri restano in carica per 5 anni e dispongono di un mandato
rinnovabile.
Conformemente all’art. 305 TFUE la loro nomina è effettuata dal Consi-
glio, che delibera all’unanimità su proposta della Commissione e tenendo conto
delle indicazioni espresse dagli Stati membri. Il numero dei membri non può
essere superiore a trecentocinquanta.
Lo stesso articolo precisa l’incompatibilità di tale carica con quella di mem-
bro del Parlamento europeo.
L’attività del Comitato delle regioni si esplica nell’emanazione di pareri,
che possono essere facoltativi (quando il Comitato agisce di propria iniziati-
va) ovvero obbligatori (quando richiesti dal Parlamento europeo, dal Consi-
glio o dalla Commissione), ma in nessun caso vincolanti.

3. LA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI (BEI)


La Banca europea per gli investimenti (BEI) è nello stesso tempo un
organismo dell’Unione e una banca.
Essa gode di una personalità giuridica distinta da quella dell’Unione e, per-
tanto, di finanziamenti propri, di un bilancio autonomo, nonché di organi di
amministrazione e gestione propri.
Nonostante ciò, l’attuale formulazione dell’art. 13 TUE la riconduce nel
quadro organizzativo dell’Unione, con la conseguenza che le norme che la di-
sciplinano sono state inserite nel Trattato sul funzionamento dell’Unione eu-
ropea agli artt. 308-309.
Il suo compito è di contribuire, facendo appello al mercato dei capitali
ed alle proprie risorse, allo sviluppo equilibrato dell’Unione. Dispone di
un proprio capitale, sottoscritto fin dall’inizio dagli Stati membri e periodica-
mente aumentato.
La BEI è stata istituita con il Protocollo del 25 marzo 1957 (atto autonomo
allegato al Trattato CE) e si occupa essenzialmente di sostenere, mediante la
concessione di prestiti, quelle iniziative economiche all’interno degli Stati mem-
bri che i singoli governi nazionali non sono in grado di finanziare ma la cui
realizzazione si rivela di volta in volta opportuna. Ciò al fine di attenuare gli
squilibri esistenti tra regioni o fra settori produttivi all’interno dell’Unione
europea.

4. ALTRI COMITATI CONSULTIVI E LE AGENZIE DELL’UNIONE


L’ordinamento interno dell’Unione è completato da una serie di comitati
consultivi minori e di agenzie dell’Unione.
L’attività dei comitati consultivi consiste essenzialmente nella formula-
zione di pareri nei settori di intervento dell’Unione. Alcuni di essi sono espres-
samente previsti dallo stesso Trattato, quali:
— il Comitato consultivo in materia di trasporti;
— il Comitato economico e finanziario;
Gli altri organi previsti dai trattati 67

— il Comitato per l’occupazione;


— il Comitato per la protezione sociale;
— il Comitato di gestione del Fondo sociale europeo;
— il Comitato speciale per la politica commerciale.
Le agenzie dell’Unione sono organismi di varia denominazione (Centri,
Fondazioni, Uffici, Osservatori), dotati di personalità giuridica e di autono-
mia finanziaria e di bilancio. Ad esse è demandato il compito di fornire infor-
mazioni di natura tecnica agli Stati membri e alle parti private interessa-
te, a cui si aggiungono altresì funzioni di controllo e di indirizzo specialistico.

AGENZIE, FONDAZIONI E CENTRI DELL’UNIONE EUROPEA

Agenzia comunitaria di controllo della pesca (CFCA) Vigo


Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) Vienna
Agenzia europea dell’ambiente (EEA) Copenaghen
Agenzia europea delle sostanze chimiche (ECHA) Helsinki
Agenzia europea per i medicinali Londra
Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle fron- Varsavia
tiere esterne (FRONTEX)
Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA) Colonia
Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (ENISA) Eraklion
Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (EU-OSHA) Bilbao
Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) Lisbona
Agenzia ferroviaria europea (ESA) Valenciennes
Agenzia di vigilanza europea (GSA) Bruxelles
Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) Parma
Centro di traduzione degli organismi dell’Unione europea (CdT) Lussemburgo
Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) Solna
Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop) Salonicco
Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di Dublino
lavoro (EUROFUND)
Fondazione europea per la formazione professionale (ETF) Torino
Istituto europeo per l’uguaglianza di genere Bruxelles
Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) Lisbona
Ufficio comunitario delle varietà vegetali (CPVO) Angers
Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (marchi disegni e modelli) Alicante
(OHIM)

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