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ORDINAMENTO FORENSE IN GENERALE

1. ASPETTI GENERALI

Il Codice Civile disciplina in generale le c.d. professioni intellettuali , stabilendo che per esercitare
una professione è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi e che l’accertamento per
l’iscrizione e il potere disciplinare spettano agli organi professionali. In generale possiamo
affermare che per professione intellettuale si intende quell’attività organizzata personalmente,
finalizzata agli scopi sociali per i quali è preposta, disciplinata con l’iscrizione all’albo e
nell’autonomia degli organi professionali.

La totalità delle norme che regolano e disciplinano una attività professionale formano il c.d.
ordinamento professionale. Mentre l’ordine o collegio è la struttura formale cioè la
personalizzazione del gruppo che svolge l’attività. In tal senso l’ordinamento professionale ha
valenza oggettiva mentre l’ordine professionale ha valenza soggettiva.

Tra i vari ordinamenti professionali quello forense è quello che ha la regolamentazione più antica.
Infatti la prima norma risale al 1874, quelle successive al 1926 e al 1933. Quest’ultima ha assunto
notevole importanza in quanto ha disciplinato l’ordinamento forense per oltre 80 anni, nonostante
i diversi tentativi di riforma e di modifiche e aggiornamenti. L’effettiva riforma è arrivata solamente
con la L. 247/2012, pubblicata nella gazzetta ufficiale il 18.01.2013 ed entrata in vigore il 2.02.2013.
Relativamente alla nuova legge professionale occorre specificare alcuni aspetti; in primo luogo essa
ha previsto che entro due anni dall’entrata in vigore dovevano essere adottati i regolamenti di
attuazione mediante decreto del ministro della giustizia; entro 4 anni dall’ultimo regolamento
attuato dovevano essere adottate le necessarie disposizioni integrative e correttive; fino alla data di
entrata in vigore dell’ultimo regolamento vigevano le disposizione non abrogate anche se non
richiamate. In secondo luogo, delegava al governo di disciplinare la società tra avvocati e la difesa di
ufficio nonché, entro 24 mesi, di emanare un testo unico che raggruppasse tutte le disposizioni
vigenti, attraverso uno o più decreti. Infine la legge rinviava per gran parte ai regolamenti che
dovevano essere adottati dal Consiglio Nazionale Forense o dalla Cassa di Previdenza.

Dall’analisi della nuova legge forense possiamo individuare aspetti positivi e aspetti negativi:

ASPETTI POSITIVI:

Riconosce la specificità della professione forense e il ruolo sociale e costituzionale dell’avvocato;

introduce nuove modalità per la determinazione del compenso;

riconosce specializzazioni e titolo di specialista;

attribuisce agli avvocati la consulenza legale e l’ assistenza stragiudiziale;

tende a realizzare parità dei generi nella composizione degli organi forensi;

risolve in vario modo i problemi emersi nella disciplina precedente.

ASPETTI NEGATIVI:

Rinvia troppo frequentemente ai regolamenti del CNF e del ministro della giustizia
La procedura per l’adozione dei regolamenti è particolarmente lunga

Rinuncia a regolare alcuni aspetti fondamentali dando delega al governo (società tra avvocati-difesa
d’ufficio)

Si dilunga su definizioni risultando poco prescrittiva (lex imperat, non docet).

In generale la legge forense all’art. 24 definisce che gli iscritti agli albi degli avvocati costituiscono
l’ordine forense. L’ordine forense si articola negli ordini circondariali e nell’ordine nazionale
forense. Si tratta di enti pubblici non economici, a carattere associativo, dotati di autonomia
finanziaria e patrimoniale (costituita dai versamenti degli associati), sono regolati da appositi
regolamenti e sono soggetti solo alla vigilanza del ministero della giustizia. Il consiglio nazionale
forense ha rappresentanza istituzionale a livello nazionale, mentre quelli circondariale a livello
locale.

IL CONSIGLIO DELL’ORDINE CIRCONDARIALE

L’ordine circondariale è costituito da tutti gli avvocati che hanno domicilio professionale e che sono
iscritti presso quel circondario. Esso ha sede presso il Tribunale. Attualmente vi sono 140 ordini
circondariali. Secondo quanto dispone la legge gli ordini si costituiscono in assemblea e provvedono
agli adempimenti previsti. L’assemblea viene convocata ogni qualvolta il Consiglio lo ritiene
necessario, nonché su richiesta di almeno 1/3 dei suoi componenti ovvero un decimo degli iscritto
all’albo. Gli iscritti devono provvedere all’elezione dei componenti del consiglio dell’ordine in
numero variabili e cioè in dipendenza del numero degli iscritti. Le elezioni si tengono nel mese di
gennaio e secondo la legge 113 del 2017 (sostituito il d.m. n. 170/2014); il voto è segreto; devono
essere eletti i consiglieri garantendo l’equilibrio nel genere, e il genere meno rappresentato deve
ottenere almeno un terzo dei consiglieri eletti; hanno diritto di voto tutti coloro che sono iscritti
negli albi o negli elenchi, professori e avvocati stabiliti, ma non gli avvocati sospesi; ogni elettore
può esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere; le
candidature sono individuali; sono eleggibili gli iscritti che hanno diritto di voto e che non abbiano
riportato nei 5 anni precedenti una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell’avvertimento;
risultano eletti coloro che abbiano ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità viene eletto
il consigliere più anziano per iscrizione all’albo, nel caso di parità quello più anziano di età; i
consiglieri non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi; in caso di morte, dimissioni
o altro impedimento personale di uno o più consiglieri subentra il primo non eletto; se più della
metà dei consiglieri cessano dalla loro carica decade l’intero consiglio; il consiglio dell’ordine dura
in carico 4 anni e scade il 31 dicembre del 4 anno; contro le elezioni per il rinnovo del Consiglio
ciascun avvocato può presentare entro 10 giorni reclamo al CNF. La presentazione del reclamo non
sospende l’insediamento del nuovo consiglio (art. 28).

GLI ORGANI

Nell’ambito del Consiglio dell’ordine vengono nominati con la maggioranza dei voti; il presidente; il
tesoriere; il segretario.

Nei consigli aventi più di 15 iscritti può essere nominato un vicepresidente con specifiche funzioni.
Per la validità delle riunioni è necessaria la presenza della maggioranza dei membri. Per la validità
delle deliberazioni è necessaria la maggioranza assoluta dei voti dei presenti.
Il presidente ha la rappresentanza del consiglio dell’ordine circondariale di cui convoca e preside
l’assemblea. In caso di assenza o impedimento il presidente è sostituito dal vicepresidente o dal
componente più anziano di età.

La carica di consigliere è incompatibile con altre cariche e non possono essere designati nelle
commissioni d’esame, né i componenti della commissione possono essere eletti consiglieri
dell’ordine nelle elezione immediatamente successive alla data di cessazione dell’incarico
ricoperto. A norma dell’art. 33 L.p.f. il consiglio può essere sciolto con decreto del Ministro della
Giustizia su proposta del C.N.F., in vari casi. In tale ipotesi viene nominato un commissario
straordinario (dal C.N.F.) che deve convocare l’assemblea per le elezioni entro 120 giorni.

Presso ogni consiglio dell’ordine devono essere istituiti;

il collegio dei revisori; per verificare la regolarità della gestione patrimoniale del consiglio.

Il comitato per le pari opportunità;

lo sportello per il cittadino;

l’osservatorio locale sull’esercizio della giurisdizione;

possono inoltre essere costituiti:

l’organismo di conciliazione forense;

la camera arbitrale forense;

l’organismo di composizione delle crisi da sovra indebitamento.

L’art. 25 attribuisce al consiglio dell’ordine circondariale la rappresentanza istituzionale


dell’avvocatura a livello locale. L’art. 29 fissa i compiti e le prerogative del Consiglio dell’ordine. In
generale possiamo affermare che il Consiglio interviene attraverso propri regolamenti, provvede
per l’istituzione e l’organizzazione di scuole forensi per il tirocinio, di corsi per le specializzazioni e di
eventi per la formazione continua. Provvede poi alla costituzione di camere arbitrali e di
conciliazione nella costituzione di altri organi per la risoluzione delle controversie. Cura inoltre la
costituzione di unioni regionali o interregionali tra ordini, anche per dialogare con le regioni, gli enti
locali e le Università. Cura la costituzione di associazioni e fondazioni per attività connesse alla
professione e alla tutela dei diritti. Ovviamente tra i compiti che deve svolgere, il consiglio deve
provvedere a tenere gli albi e i registri nonché verificare il corretto svolgimento del tirocinio
forense, vigilare sulla condotta degli iscritti, provvedere alla liquidazione dei compensi, provvedere
alla risoluzione di eventuali conflitti tra iscritti o tra iscritti e clienti. In ogni caso, tutte le attività
indicate hanno carattere pubblicistico e amministrativo e non giurisdizionale.

Il consiglio provvede anche alla gestione finanziaria e all’amministrazione dei beni, con la redazione
di un bilancio annuale consuntivo e preventivo da sottoporre all’assemblea. Il consiglio è
autorizzato a fissare e riscuotere un contributo annuale o contributi straordinari da tutti gli iscritti;
fissare e riscuotere i contributi per i servizi resi.
L’entità dei contributi è fissata in modo tale da garantire il pareggio di bilancio del consiglio. Gli
iscritti che non provvedono a versare il contributo annuale sono sospesi. Il provvedimento non ha
natura disciplinare, ha efficacia immediata ed è revocato quando intervenga il pagamento.

La nuova legge professionale assegna inoltre un compito fondamentale all’avvocatura e, in


particolare, ai consigli. Infatti, tra i vari compiti e prerogative assegnate quelle che assumono
particolare rilevanza sono quelli volti ad a promuovere la funzione sociale della professione e che
possono essere suddivisi in tre categorie;

1) la formazione
2) l’educazione alla legalità
3) la giurisdizione forense

in riferimento alla prima, la legge assegna al consiglio il compito di istituire e organizzare le scuole
forensi, nonché scuole di specializzazione.

Per quanto riguarda la seconda, attraverso la costituzione del c.d, sportello per il cittadino i vari
consigli offrono la possibilità al pubblico di ricevere informazioni per la fruizione delle prestazioni
professionali degli avvocati.

Infine con l’ultima categoria si va ad intendere tutte quelle attività volte a deflazionare il
contenzioso e risolvere le controversie civili al di fuori del processo. In tal senso sono pertanto
chiamati ad intervenire mediante organismi di conciliazione e mediazione nonché attraverso
organismi di composizione delle crisi da sovra indebitamento (che anche possono essere costituiti
dai consigli) e infine le Camere arbitrali forensi che sono previste dalla legge professionale anche se
dovrebbero essere maggiormente valorizzate. I consigli devono inoltre favorire la negoziazione
assistita.

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE.

Il consiglio nazionale forense è un organo giurisdizionale speciale ed esercita un potere dello stato.
tale giurisdizionalità è rimasta nonostante con l’entrata in vigore della Costituzione si era imposto
che entro 5 anni dovevano essere revisionati tutti gli organi di giurisdizione. La funzione
giurisdizionale del CNF è stato confermato anche dalla nuova legge che ha di fatto lasciato invariata
la struttura ma ha apportano notevoli miglioramenti. La nuova legge ha confermato che il CNF è
disciplinato dagli artt. 52 a 59 della legge previgente e che la funzione giurisdizionale si svolge
secondo le previsioni di cui agli artt. 59 a 65 della normativa previgente. La funzione giurisdizionale
che svolge il CNF si estrinseca nelle seguenti attività;

pronuncia sui reclami avverso i provvedimenti disciplinari o relativi agli elenchi, gli albi o il rilascio
dei certificati di fine pratica;

pronuncia sui ricorsi relativi alle elezioni del consiglio dell’ordine;

risolve i conflitti di competenza tra ordini circondariali;

esercita le funzioni disciplinari nei confronti dei propri componenti quando il consiglio distrettuale
di disciplina abbia deliberato l’apertura del procedimento disciplinare.
La legge poi disciplina alcuni aspetti procedurali ed in particolare che nella trattazione dei ricorsi si
applicano le norme previste dal codice di procedura civile e che i provvedimenti emessi
sull’impugnazione delle delibere del consiglio distrettuale di disciplina hanno natura di sentenza.

Il CNF ha sede presso il ministero della giustizia in Roma (Via Arenula) ed è formato dai componenti
che vengono eletti in ciascun distretto di Corte d’Appello. Essi rimangono in carica per 4 anni e
possono essere eletti consecutivamente solamente due volte. Sono eleggibili solamente gli avvocati
iscritti all’albo speciale e vigono le stesse condizione di incompatibilità previste per i consigli
d’ordine circondariali. Per quanto riguarda le elezioni la legge si preoccupa di assicurare la
rappresentanza di entrambi i generi e di garantire una maggiore rappresentatività ai distretti che
abbiano un numero considerevole di iscritti. Non sono più 26 membri (ciascuno per ogni distretto di
corte d’appello) considerando che quando gli iscritti sono più di 10.000 possono essere eletti due
componenti garantendo la rappresentanza tra i generi. Organi del consiglio nazionale sono:

PRESIDENTE

2 VICEPRESIDENTI

SEGRETARIO

TESORIERE

Per la validità delle riunioni è necessaria la presenza di almeno ¼ dei membri, compresa la presenza
del presidente o di uno dei due vice. Per l’adozione delle delibere è necessaria la maggioranza dei
voti dei presenti, in caso di parità prevale il voto del presidente. L’art 35 dispone inoltre le altre
attività svolte dal CNF ed in particolare;

regolamenti: interventi per regolare il proprio funzionamento e quello degli ordini circondariali

codice deontologico: emanazione e aggiornamento periodico del codice deontologico, anche


attraverso una commissione consultiva

albo speciale ed elenco nazionale degli avvocati: cura della tenuta e dell’aggiornamento dell’albo
speciale per il patrocinio avanti le giurisdizioni superiori nonché dell’elenco nazionale degli
avvocati, nonché dei difensori d’ufficio;

parametri; proposta ogni due anni al ministro della giustizia sui parametri per la determinazione dei
compensi professionali:

tirocinio e corsi di formazione; accordi con l’ università;

pareri; espressione di pareri a richiesta del ministro della giustizia su proposte e disegni di legge;
pubblicazioni sull’attività svolta

scioglimento dei consigli degli ordini circondariali: proposte da formulare al ministro

congresso nazionale; convocazione.

Il consiglio approva inoltre il conto consuntivo e il bilancio preventivo della gestione con il controllo
del collegio dei revisori. Con il regolamento n. 4 del 2013 il CNF ha istituito l’osservatorio
permanente sull’esercizio della giurisdizione. La funzione dell’osservatorio è quella di raccogliere
dati ed elaborare proposte per una efficiente amministrazione, dedica inoltre particolare attenzione
alla situazione del sistema penale e delle carceri.

COLLEGIO DEI REVIDSORI E LA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE

Il collegio dei revisori è composta da tre membri effettivi e un supplente nominati dal presidente
del tribunale. Per gli ordini con meno di 3500 iscritti la funzione è svolta dal revisore unico. I revisori
durano in carica 4 anni e possono essere confermati per non più di due volte consecutive. Il collegio
è presieduto dal più anziano per iscrizione e ha il compito di verificare la regolarità della gestione
patrimoniale.

La cassa nazionale è stata istituita con la legge n. 6 del 1952, quale ente pubblico con sede in Roma
ed è stata poi trasformata nel 1995 in fondazione, ente di diritto privato. Organi della cassa sono:

il presidente

il comitato dei delegati

il consiglio di amministrazione

la giunta esecutiva

il collegio dei sindaci

l’iscrizione alla cassa è obbligatoria per tutti gli avvocati iscritti agli albi. Le entrate della cassa sono
costituite essenzialmente dalle contribuzioni degli iscritti e sono destinate a finanziare le prestazioni
e cioè l’erogazione delle varie pensioni. I principi fondamentali su cui si basa la previdenza forense
sono: l’iscrizione obbligatoria per tutti gli avvocati che esercitano l’attività;

la proporzionalità della contribuzione; il principio solidaristico; il sistema a ripartizione e non a


capitalizzazione; l’autonomia dell’organizzazione previdenziale.

Il congresso nazionale forense si tiene almeno una volta ogni 3 anni ed è convocato dal consiglio
nazionale. Nel congresso tenuto a rimini nell’ottobre del 2016 è stato approvato lo statuto che
istituisce e regolamenta il nuovo organismo congressuale forense.

CAPITOLO II- LA TENUTA DEGLI ALBI

La legge prevede che l’iscrizione ad un albo circondariale è condizione necessaria per l’esercizio
della professione di avvocato e l’uso del titolo di avvocato spetta esclusivamente a coloro che siano
stati iscritti a un albo circondariale nonché agli avvocati di stato. ovviamente la ratio sta nel voler
garantire sia il buon andamento della P.A. sia per garantire ai cittadini prestazioni da parte di
professionisti altamente qualificati. L’albo è istituito presso ogni Tribunale e l’iscrizione comporta
l’individuazione dell’anzianità per ogni professionista. L’iscrizione all’albo è estremamente
importante perché l’esercizio di un attività professionale senza l’iscrizione determina:

sotto il profilo penale; esercizio abusivo della professione ( art. 348 c.p.) e usurpazione di titolo
( art. 498 c.p.)

sotto il profilo civile; nullità del contratto per mancanza di causa e quindi mancanza di azione per il
pagamento della prestazione e obbligo di risarcimento del danno.
La legge pertanto prevede che presso ciascun consiglio dell’ordine sia istituito e tenuto aggiornato
l’albo ordinario degli esercenti la libera professione. Sono poi indicate le associazioni e le società di
appartenenza per coloro che esercitano la professione in forma collettiva.

Una sezione speciale dell’albo è prevista per gli avvocati stabiliti e per la società tra avvocati. Vi è
poi l’albo speciale per il patrocinio dinnanzi alle giurisdizioni superiori. Oltre all’albo viene tenuto e
aggiornato il registro dei praticanti e, allegato, l’elenco dei praticanti abilitati al patrocinio
sostitutivo.

Il d.m. n. 178/2016 determina le modalità per la tenuta e l’aggiornamento di tutti gli albi, registri ed
elenchi.

I requisiti richiesti per l’iscrizione nell’albo degli avvocati sono i seguenti:

a) essere cittadino italiano o di stato appartenente all’Unione Europea


b) aver superato l’esame di abilitazione
c) avere il domicilio professionale all’interno del circondario del Tribunale ove ha sede il consiglio
dell’ordine
d) godere a pieno dei diritti civili
e) non trovarsi in una delle condizioni di incompatibilità
f) non essere sottoposto a esecuzione di pene detentive, di misure cautelari o interdittive
g) non aver riportato condanne per determinati reati (falsa testimonianza, perizia, intralcio alla
giustizia ecc)
h) essere di condotta irreprensibile

l’accertamento circa la presenza di tutti i requisiti è compito del Consiglio dell’Ordine.

Stesso vale per l’iscrizione al registro dei praticanti, ad eccezione ovviamente del punto b.

In riferimento al punto A)

Il requisito relativo alla cittadinanza è estremamente importante in quanto è stato esteso anche a
tutti i cittadini degli stati appartenenti all’unione europeo ( attuazione direttiva “servizi”). In
particolare infatti la legge ha previsto che possono essere iscritti all’albo anche gli stranieri che
abbiano conseguito il titolo di avvocato in uno stato membro dell’unione europea, ovvero anche gli
stranieri regolarmente soggiornanti e previo riconoscimento del titolo abilitativo rilasciato dal
ministero della giustizia.

In riferimento al punto B)

Per condotta irreprensibile si ritiene qualsiasi condotta che non sia caratterizzata da:

condanne penali per delitti non colposi;

sanzione disciplinari;

plurimi protesti di cambiali e assegni

in riferimento al punto C)
è stato definitivamente abbandonato il requisito della residenza e utilizzato il domicilio
professionale e cioè il luogo in cui l’avvocato svolge la professione in modo prevalente. Ogni
successiva variazione deve essere comunicata al Consiglio dell’ordine, altrimenti si determina un
illecito disciplinare.

Affinché possa durare l’iscrizione del professionista nell’albo è stata inserita dalla legge la
condizione della effettività, continuatività, abitualità e prevalenza. In tal senso è necessario che il
professionista sia titolare di partita IVA, di posta elettronica certificata, uso di locali o utenze,
svolgimento di pratiche, assolvimento dell’obbligo di aggiornamento professionale e polizza
assicurativa. La prova dell’esercizio professionale non è richiesta se l’avvocato sia parlamentare,
malato o ha altri congiunti in stato di malattia ovvero alle donne avvocato in maternità e nei primi
due anni dalla nascita.

Il procedimento per l’iscrizione prevede innanzitutto che il professionista individui il consiglio a cui
rivolgere la domanda di iscrizione, e cio quello del luogo ove intende stabilire il proprio domicilio
professionale. Se il consiglio rileva la mancanza di uno dei requisiti richiesti invia con lettera
raccomandata avviso al professionista con l’invito a presentare eventuali osservazioni nel termine
non inferiore a 30 giorni. Verificata la completezza della documentazione il consiglio deve
deliberare entro 30 giorni. Avverso la deliberazione di rigetto può essere proposta entro 20 giorni
dalla notifica impugnativa al CNF. Il provvedimento del CNF è immediatamente esecutivo.

Ogni tre anni il consiglio dell’ordine deve provvedere alle verifiche necessarie per l’accertamento
dell’esercizio effettivo, continuativo abituale e prevalente della professione, nonché alla revisione
degli albi, degli elenchi e dei registri per verificare se permangano i requisiti per l’iscrizione.
Terminate le verifiche il Consiglio dispone la cancellazione o provvede di conseguenza. Se il
consiglio non procede alle verifiche periodiche il CNF provvede con la nomina di uno o più
commissari. Nel caso di richiesta di reiscrizione, il consiglio deve valutare la ricorrenza degli stessi
presupposti per far luogo all’iscrizione, senza alcuna preclusione.

Sono previste alcune ipotesi relative alle c.d. iscrizioni di diritto, che sono state circoscritte a
pochissimi casi. Possono essere iscritti infatti all’albo degli avvocat;

a) i magistrati ordinari, militari, amministrativi o contabili o gli avvocati dello stato. gli stessi
peraltro nei successivi due anni non possono esercitare la professione nei circondari nei quali
hanno svolto le funzioni negli ultimi quattro anni
b) i professori universitari di ruolo, dopo cinque anni di insegnamento in materie giuridiche

INCOMPATIBILITA’

L’art. 18 della nuova legge determina le c.d. ipotesi di incompatibilità le quali possono
ricondursi a 4 gruppi:

a) esercizio di altra attività di lavoro autonomo; in relazione a questo gruppo la legge ha


precisato che incompatibile lo svolgimento di qualsiasi altra attività di lavoro autonomo,
svolta continuativamente e professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico,
artistico e culturale. È espressamente vietato il cumulo con l’attività di notaio, mentre è
consentita l’iscrizione nell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili,
nell’elenco dei giornalisti pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o dei consulenti del
lavoro.
b) L’attività commerciale;è certamente incompatibile con la professione forense l’esercizio di
una attività commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui. Cosi per
esempio, la gestione di un bar, ristorante o di una agenzia ippica. Allo stesso modo anche di
tutte quelle attività svolte in nome o per conto altrui.
c) L’assunzione di cariche societarie; la legge ha posto come principi fondamentali anzitutto
l’incompatibilità con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di
società di persone, aventi quale finalità l’esercizio di attività di impresa commerciale, in
qualunque forma costituite. L’incompatibilità con la qualità di amministratore unico o
consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità
di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. Non sussiste
invece nell’ipotesi in cui l’oggetto dell’attività della società sia limitato esclusivamente
all’amministrazione di beni, personali o famigliari, nonché gli enti e consorzi pubblici per le
società a capitale interamente pubblico.
d) L’attività subordinata ; in riferimento a questa ipotesi la legge abbandona il vecchio
concetto di retribuzione e sancisce l’incompatibilità con qualsiasi attività di lavoro
subordinato, anche se con orario di lavoro limitato. Pertanto non fa distinzioni tra impiego
pubblico e privato e risolve il problema dei dipendenti pubblici part-time. Vengono tuttavia
delineate tre eccezioni; coloro che svolgono insegnamento o ricerca in materie giuridiche
nell’università, nelle scuole secondarie pubbliche o private parificate e nelle istituzioni ed
enti di ricerca e sperimentazione pubblici; i docenti e ricercatori universitari a tempo pieno,
nei limiti consentii dall’ordinamento universitario; i dipendenti degli enti pubblici, nei limiti
fissati dalla legge.

Più in generale si parla di incompatibilità funzionale quando l’esercizio dell’attività


professionale non può essere svolto in connessione con l’esplicazione di altre funzioni. In tal
senso la legge è intervenuta definendo situazioni che avevano portato diverse discussioni in
passato. In particolare l’incompatibilità funzionale sussiste in relazione alle più alte cariche
dello stato, le più alte cariche regionali, provinciali e comunali; i membri della Corte
costituzionale; i membri del Consiglio superiore della Magistratura. Non è stata accolta invece
l’idea di sospendere anche gli avvocati eletti in parlamento, aspetto dibattuto a lungo. È
prevista poi la possibilità di richiedere la sospensione volontaria. Altri ipotesi di incompatibilità
funzionale riguardano l’avvocato che sia curatore fallimentare che non può assumere la veste
di legale del fallimento, i componente del consiglio dell’ordine non possono accettare incarichi
giudiziari da parte dei magistrati del circondario né possono assumere un incarico arbitrale
delegato dal giudice; i magistrati onorari hanno particolari limitazioni; l’avvocato non può
essere parte o rappresentare parti in un processo di mediazione davanti all’organismo presso
cui è iscritto o rivesta una carica.

La cancellazione dall’albo, ai sensi dell’art. 17.9 l.p.f., può essere disposto;

- Su richiesta dell’interessato;
- D’ufficio;
- Su richiesta del procuratore generale;
- Quando sia venuto a mancare uno dei requisiti prescritti;
- Quando l’iscritto non abbia prestato l’impegno solenne, senza giustificato motivo, entro 60
giorni dalla notificazione del provvedimento d’iscrizione;
- Quando sia accertata la mancanza del requisito dell’esercizio effettivo, continuativo,
abituale e prevalente della professione. Il consiglio è tenuto a invitare l’iscritto a presentare
osservazioni entro 30 giorni, e procedere all’audizione qualora l’iscritto ne faccia richiesta.
Quest’ultima è comunque richiesta per l’adozione del provvedimento di cancellazione.
L’interessato può ricorrere entro 60 giorni al C.N.F. ( LA CANCELLAZIONE NON Può ESSERE
DISPOSTA QUANDO SIA IN CORSO UN PROCEDIMENTO DISCIPLINARE).
Come già detto entro 60 giorni l’iscritto può impugnare (art. 61) la deliberazione di
impugnazione mediante ricorso. In tal caso, il provvedimento è sospeso. Avverso il
provvedimento emesso dal C.N.F. è ammesso ricorso per cassazione che deve essere
proposto entro 30 giorni dalla notifica e a pena di inammissibilità deve essere notificato a
tutte le parti interessate (consiglio dell’ordine locale, procuratore generale presso la
cassazione).

FORMAZIONE ED ESAMI
Dal 2 febbraio 2018 sono entrate in vigore le nuove regole.

In generale, i laureati in giurisprudenza possono richiedere di essere iscritti al registro dei


praticanti avvocati e hanno quindi l’onere di svolgere il tirocinio forense (c.d. pratica) per
conseguire il certificato di compiuto tirocinio e quindi essere ammessi all’esame di
avvocato. Il tirocinio professionale consiste nell’addestramento, a contenuto teorico e
pratico, del praticante avvocato finalizzato a fargli conseguire le capacità per svolgere la
professione di avvocato e per la gestione di uno studio legale nonché a fargli apprendere e
rispettare i principi etici e le regole deontologiche. Per essere iscritti nel registro dei
praticanti sono necessari i requisiti già richiamati in precedenza. La pratica forense può
essere svolta anche contestualmente ad un lavoro subordinato pubblico o privato, purché
vi siano modalità e orari idonei a consentire l’effettivo e puntale svolgimento e in assenza di
specifiche ragioni di conflitto di interesse. La pratica forense deve essere svolta per 18 mesi
( se interrompe per 6 mesi senza giustificato motivo il praticante viene cancellato). Il
tirocinio può essere svolto o presso lo studio di un avvocato con iscrizione all’albo non
inferiore a 5 anni o anche presso due avvocati; presso l’avvocatura dello stato o presso
l’ufficio legale di un ente pubblico o ufficio giudiziario; in un altro stato dell’unione Europea
presso studi legali abilitati; durante l’0ultimo anno di giurisprudenza (6 mesi) previo
accordo con l’università. Quest’ultima ipotesi è particolarmente importante in quanto
consente da un lato di avvicinare il mondo accademico al mondo forense e dall’altro
anticipa l’ingresso nel mondo del lavoro a studenti alla fine del corso di studio.
Presso lo studio di un avvocato: tale forma di tirocinio è estremamente importante in
quanto consente di creare una particolare sintonia tra avvocato e praticante. Infatti la legge
prevede che almeno 6 mesi su 18 devono essere svolti presso lo studio di un Avvocato
iscritto all’albo o presso l’Avvocatura dello stato, ovviamente il tirocinio deve svolgersi in
modo proficuo e dignitoso ed è per questo che la legge pone il divieto ad un avvocato di
avere più di 3 praticanti (salvo deroghe del Consiglio dell’ordine in casi particolari). Secondo
quando previsto dal regolamento (art. 3 d.m. 70/2016) il tirocinio deve essere svolto con
assiduità, diligenza e riservatezza. Oltre alla frequenza il praticante deve anche
documentare di aver assistito a 20 udienze per ogni semestre. Oltre alla frequenza dello
studio la legge prevede anche che i praticanti seguano alcuni corsi di formazione affinché
possano apprendere il linguaggio giuridico, la redazione degli atti giudiziari, la tecnica
impugnatoria dei provvedimenti giurisdizionali e degli atti amministrativi, la tecnica di
redazione del parere stragiudiziale e la tecnica di ricerca. Esistono poi scuole di
specializzazione dove è possibile conseguire un diploma di specializzazione (necessario per
accedere al concorso di magistratura)le quali sono situate presso le Università e hanno
durata biennale, il diploma conseguito presso queste scuole equivale ad un anno di pratica.
È prevista poi la possibilità, dopo aver svolto almeno 6 mesi di pratica presso lo studio di un
avvocato, di svolgere i restanti 12 mesi presso gli uffici giudiziari. In questo caso infatti
viene fatta domanda indirizzata al capo dell’ufficio e qualora questa venga accolta viene
data comunicazione al Consiglio dell’ordine. Diverso è invece il tirocinio presso gli uffici
giudiziari ( ex art. 73 l.98/2013) che invece prevede per i laureati in giurisprudenza in
possesso di determinati requisiti di svolgere un periodo di formazione teorico-pratica
presso gli uffici giudiziari ( corte d’appello e tribunale) per 18 mesi, con affidamento ad un
magistrato formatore (valido come un anno ai fini del tirocinio professionale). Una volta
compiuta la pratica il praticante ha diritto ad ottenere il certificato di fine pratica con il
quale può accedere all’esame di stato. l’esame si svolge nel mese di dicembre di ogni anno
presso le Corti d’Appello. Il ministro della giustizia fissa con decreto ( bando d’esame) le
date in cui si svolgeranno le prove. Il decreto viene pubblicato nella gazzetta ufficiale della
Repubblica almeno 90 giorni prima. Se il praticante ha svolto pratica in sede diverse si
guarda la corte d’appello di riferimento dove ha svolto la maggior parte della pratica, nel
caso di parità si guarda il luogo dove ha iniziato a svolgere pratica.
Il ministro con decreto provvede anche a nominare la Commissione di esame che ha sede
presso il ministero e una sottocommissione presso ogni sede di Corte d’Appello.
Successivamente, con altro decreto, nomina ulteriori sottocommissioni per gruppi fino a
300 candidati. Le commissioni si compongono di 5 membri effettivi e 5 supplenti, dei quali
tre effettivi e tre supplenti sono avvocati, un effettivo e un supplente sono magistrati in
pensione e un effettivo e un supplente sono professori universitari o ricercatori. Un
avvocato presiede la commissione. Non possono essere designati avvocati che siano
membri dei consigli dell’ordine o del consiglio distrettuale di disciplina o rappresentati della
cassa di previdenza e assistenza forense. Il d.m. n. 48 del 2016 dispongono le modalità di
svolgimento dell’esame e la valutazione delle prove scritte e orali, in particolari per queste
ultime sono indicati i seguenti criteri ( art. 46,6)
a) Chiarezza, logicità e rigore metodologico dell’esposizione
b) Dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici;
c) Dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati;
d) Dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà;
e) Dimostrazione della conoscenza delle tecniche di persuasione e argomentazione.

Le prove scritte riguardano due pareri in materia civile e penale e un atto giudiziario civile
penale o amministrativo il totale è di 150 punti, per essere promossi sono necessari 90
punti e almeno 30 per ciascuna materia. si devono svolgere con testi di legge senza
commenti o citazioni giurisprudenziali. Le prove devono iniziare contestualmente in tutte le
sedi. La prova orale invece consiste nella illustrazione della prova scritta e nella
dimostrazione della conoscenza delle seguenti materie obbligatorie:
ordinamento e deontologia forensi

civile – penale

procedura civile- penale

E altre due materie a scelta tra: amministrativo, costituzionale, lavoro, comunitario,


commerciale, internazionale privato, tributario, ecclesiastico, ordinamento giudiziario e
penitenziario. anche per la prova orale ogni componente della commissione dispone di 10
punti per ciascuna materia, per un totale di 50 punti per materia (totale 350 punti) la
sufficienza è raggiunta quando il candidato riceve almeno 30 punti per materia per un
totale di 210 punti. Superata la prova il candidato ha titolo per l’iscrizione all’albo degli
avvocati presso il tribunale del circondario in cui ha stabilito il proprio domicilio
professionale. Dopo l’esame infatti la commissione rilascia il certificato per l’iscrizione
nell’albo degli avvocati.

Anche dopo l’acquisizione del titolo di avvocato permane l’obbligo di curare la


preparazione professionale. Infatti, cosi come dispone l’art. 11, l’avvocato ha l’obbligo di
curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale al fine
di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio
della professione nell’interesse dei clienti e dell’amministrazione della giustizia. Sono
esentati da tale obbligo gli avvocati sospesi dall’esercizio professionale; gli avvocati dopo 25
anni di iscrizione all’albo o dopo il compimento del 65 anno di età; i componenti di organi
con funzioni legislative e i componenti del parlamento europeo; i docenti e i ricercatori
confermati delle Università in materie giuridiche. In particolare, il regolamento distingue
l’attività di aggiornamento dall’attività di formazione che si caratterizza per l’acquisizione di
nuove conoscenze e saperi scientifici, tecnici e culturali: l’attività di aggiornamento è svolta
mediante frequenza di corsi, seminari o convegni; L’attività di formazione è svolta mediante
eventi vari (corsi, masters ecc). nell’ambito del triennio l’iscritto deve conseguire almeno 60
crediti formativi, di cui 9 nelle materi obbligatorie dell’ordinamento, previdenza e
deontologia forense. Infine è previsto che, per ogni corso, i singoli consigli dell’ordine
predispongano il Piano dell’offerta formativa (POF), indicando gli eventi che essi intendono
promuovere nel corso dell’anno. Su domanda dell’iscritto viene rilasciatol’attestato di
formazione continua.

I SOGGETTI

Una legge del 1901 aveva istituito il c.d. patrocinio legale in pretura che consentiva
l’assistenza o la rappresentanza in giudizio da parte dei giurisperiti o addirittura dei non
giurisperiti. Tale categoria ha continuato ad esistere fin quando la Corte Costituzionale non
ne ha dichiarato l’incostituzionalità.

Altra figura ormai soppressa è quella dei procuratori legali. Precedentemente infatti si
distingueva tra la figura dell’avvocato e quella del procuratore legale. Quest’ultimo
rappresentava la parte con la procura alle liti, mentre l’avvocato svolgeva una funzione di
assistenza, senza necessità di un mandato formale. Con la legge n. 127/1997 è stato
soppresso l’albo dei procuratori ed è avvenuta l’iscrizione d’ufficio dei procuratori nell’albo
degli avvocati.
I praticanti trascorsi 6 mesi ( e purché siano in possesso della laurea) possono chidere di
esercitare l’attività professionale in sostituzione dell’avvocato presso il quale svolgono
pratica. Nel regolamento attuativo ( d.m.n. 170/2016) è stabilito che il praticante abilitato
debba assumere l’impegno solenne previsto per gli avvocati. Il c.d. patrocinio sostitutivo si
svolge sotto la responsabilità e il contro dell’avvocato, anche si stratta di affari non trattati
direttamente da lui e può durare massimo 5 anni.

L’abilitazione al patrocinio sostitutivo consente di trattare:

nell’ambito civile, i procedimenti di fronte al Tribunale e al giudice di pace;

nell’ambito penale, i procedimenti di competenza del giudice di pace e quelle per i reati
contravvenzionali e quelli che rientravano nella competenza del pretore.

Per quanto riguarda gli Avvocati abbiamo già visto i requisiti necessari. L’iscrizione all’albo
consente agli stessi di esercitare l’attività senza alcuna limitazione su tutto il territorio della
repubblica, previa prestazione dell’impegno solenne. Secondo l’art. 81 p.f. gli avvocati non
possono esercitare la professione se prima non hanno assunto l’impegno solenne, in
pubblica seduta, dinnanzi al consiglio dell’ordine di osservare i propri doveri secondo la
formula seguente: “ Consapevole della dignità professione forense e della sua funzione
sociale mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di
avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell’assistito nelle forme e secondo i principi del
nostro ordinamento”. In generale possiamo affermare che l’Avv. È un libero professionista
che in libertà, autonomia e indipendenza svolge le attività professionali previste dalla legge,
inoltre esso ha la funzione di garantire al cittadino l’effettività della tutela dei diritti; l’
avvocato nell’esercizio della sua attività è soggetto alla legge e alle regole deontologiche. La
professione è fondata sull’autonomia e sull’indipendenza dell’azione professionale e del
giudizio intellettuale, la professione deve essere esercitata con indipendenza, lealtà,
probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale della
difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.

Tra le varie prescrizioni imposte dalla legge quella all’art. 3.1 prevede che l’avvocato ha
l’obbligo di prestare la difesa d’ufficio e di assicurare il patrocinio a favore dei non abbienti.
La difesa d’ufficio deve essere svolta secondo le attuali disposizioni con un elenco di
difensori predisposto a cura dei consigli dell’ordine. Il C.N.F. è intervenuto al fine di
disciplinare e aggiornare l’elenco unico nazionale degli avvocati iscritti all’albo. All’interno
del regolamento sono presenti specifici doveri che l’avvocato deve seguire quali ad
esempio che deve svolgere la propria attività con coscienza, diligenza, puntualità, lealtà e
correttezza, assicurando la qualità della prestazione professionale. Un richiamo va fatto
anche alle norme deontologiche, infatti quando un avvocato viene nominato come
difensore d’ufficio deve comunicare all’assistito che ha facoltà di scegliersi un difensore di
fiducia e informarlo qualora intenda chiedere un compenso. Ovviamente il difensore di
fiducia non può rifiutarsi senza giustificato motivo di svolgere la propria attività.

La possibilità per gli avvocati di indicare il titolo di specialista è stato a lungo rivendicato
dalla classe forense. Attualmente è intervenuta la legge all’art. 9 che infatti dispone le
diverse modalità per ottenere il titolo di specialista:
a) Attraverso uno specifico percorso formativo, che prevede corsi di specializzazione
presso le Università con la partecipazione del CNF
b) Con una comprovata esperienza professionale, per aver maturato anzianità di iscrizione
all’albo per almeno otto anni e aver esercitato negli ultimi cinque anni in modo assiduo,
prevalente e continuativo, attività di avvocato in uno dei settori di specializzazione.

Viene poi specificato che gli avvocati docenti universitari di ruolo, in materi giuridiche, e
coloro che abbiano conseguito titoli specialistici universitari possano indicare il relativo
titolo con le opportune specificazioni. Ovviamente il conseguimento del titolo di specialista
non comporta riserva di attività professionale.

Gli avvocati che possono esercitare dinnanzi alle giurisdizioni superiori devono essere
iscritti nell’albo speciale tenuto dal CNF. L’avvocato può chiedere l’iscrizione in due casi:

- Quando sia iscritto nell’albo ordinario da almeno 5 anni e abbia superato un apposito
esame
- Quando sia iscritto nell’albo ordinario da almeno 8 anni e successivamente abbia
lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell’avvocatura, istituita e
disciplinata con regolamento dal C.N.F.
Ovviamente la ratio è quella di evitare che ci siano migliaia di iscritti sulla base della sola
anzianità e affinché si possa dare una migliore qualità della professione e nella speranza
anche di deflazionare il numero dei ricorsi in Cassazione.

L’esercizio della professione forense, come già detto, è incompatibile con qualunque
impiego o ufficio pubblico. Sussistono solo due eccezioni;
a) Gli avvocati di uffici legali interni ed enti pubblici;
b) I professori universitari e di istituti secondari statali.

Per quanto riguarda il punto a); la legge ripropone quanto già previsto dalla disciplina
previgente, e in particolare richiede la sussistenza di requisiti oggettivi e soggettivi. Dal
punto di vista oggettivo deve trattarsi di un ente pubblico, anche se trasformato in persona
giuridica di diritto privato, all’interno del quale sia stato istituito uno specifico ufficio legale;
l’ufficio legale deve costituire una unità organica strutturalmente autonoma ed essere stato
istituito stabilmente con apposita deliberazione, per la specifica attribuzione della
trattazione degli affari legali dell’ente.

Dal punto di vista soggettivo invece è necessario che l’avvocato deve essere inquadrato
stabilmente e deve documentare l’appartenenza all’ufficio legale e l’incarico di svolgere in
forma esclusiva le funzioni demandate per la trattazione degli affari legali dell’ente; deve
essere assicurato all’avvocato, nel contratto di lavoro, la piena autonomia e indipendenza
di giudizio tecnico e intellettuale e un trattamento economico adeguato alla funzione
professionale svolta. Se sussistono tali requisiti gli avvocati sono iscritti nell’elenco speciale
annesso all’albo.

Per quanto riguarda il punto b); i professori vengono in rilievo nella legge professionale
sotto tre diversi profili:
1) L’incompatibilità, è previsto infatti che non possono essere iscritti all’albo coloro che
abbiano un impiego, ad eccezione di coloro che svolgono attività di insegnamento o
ricerca in materie giuridiche nelle Università e nelle scuole secondarie pubbliche o
private (art.19)
2) Ai fini dell’iscrizione, per cosi dire preferenziale, all’albo degli avvocati è previsto che i
professori universitari di ruolo possano essere iscritti nell’albo degli avvocati dopo 5
anni di insegnamento di materie giuridiche;
3) Conseguimento del titolo di specialista, è previsto che i professori universitari di ruolo
in materie giuridiche possono indicare il relativo titolo con le opportune specificazioni

Per quanto riguarda i professori che abbiano scelto il tempo pieno essi possono esercitare
l’attività nei limiti consentiti dall’ordinamento universitario e devono essere iscritti
nell’elenco speciale annesso all’albo. Coloro che invece abbiano scelto il tempo definito
possono svolgere regolarmente la loro attività. I ricercatori sono considerati docenti a
tempo pieno e di conseguenza per analogia si applica quanto previsto per gli stessi.

Discorso diverso deve essere fatto per i giuristi d’impresa, i quali svolgendo un lavoro
subordinato non possono essere iscritti in alcun albo per incompatibilità. I giuristi hanno
tuttavia costituito una associazione (AIGI), che si è dotata anche di un codice deontologico.
La legge è dovuta intervenire in quanto affermando che l’attività professionale di
consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale è di competenza degli avvocati, ha
dovuto regolarizzare anche i giuristi d’impresa che altrimenti avrebbero svolto
abusivamente la loro professione. Il legislatore ha cosi consentito l’instaurazione di rapporti
di lavoro subordinato ovvero di contratti di prestazione d’opera continuativa e coordinata
ma solo nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.

Storicamente, per l’antitecità che un assetto societario può assumere rispetto alla
personalità della prestazione e alla fiducia di cui si deve godere, le società non sono state
ammesse ed era previsto esclusivamente la possibilità di costituire una associazione tra
professionisti. In tal senso, con la legge n. 1815 del 1939 è stata proibita la costituzione di
società e si è permessa solo quella di associazioni tra professionisti. Con la legge n. 266 del
1997 è stato possibile costituire la società demandando ad un regolamento che regolasse le
specifiche modalità per la costituzione e organizzazione di tali società. Con la legge n.
526/1999 si è consentito per la prima volta ai soli avvocati di costituire societa tra avvocati
(s.t.a.) rinviando per quanto non previsto alle norme in materia di società in nome
collettivo. Nel 2011 con la legge di stabilità (183/2011), che ha permesso di costituire
associazioni professionali e associazioni multidisciplinari, secondo tutti i modelli societari
vigenti, con soci anche non professionisti. La legge professionale forense è intervenuta con
due specifiche precisazioni; la prima ha confermato la possibilità per gli avvocati di
costituire associazioni professionali e associazioni multidisciplinari; la seconda ha conferito
delega al governo di adottare entro 6 mesi un decreto legislativo per disciplinare le società
tra Avvocati fissando i criteri direttivi. Il termine di 6 mesi è scaduto e la delega non è stata
esercitata e anzi l’art. 5 è stato abrogato, è stato introdotto l’art. 4 bis che prevede la
possibilità di esercitare la professione forense in forma societaria. Quindi in sostanza
all’avvocato sono date queste possibilità:

1) Utilizzari i modelli societari e associativi già attuati


2) Costituire associazioni professionali tra avvocati come disposto dall’art. 4 della legge
3) Avvalersi ancora della possibilità di costituire società tra avvocati secondo la normativa
del d.lgs. 96/2001
4) Costituire società tra avvocati secondo quanto previsto dall’art. 4 bis della legge n.
247/2012

Per quanto riguarda le associazioni tra professionisti sono fissati i seguenti principi:

la partecipazione all’associazioni non può pregiudicare l’autonomia, la libertà e


l’indipendenza dell’avvocato;

l’incarico è conferito in via personale;

possono far parte dell’associazione solo gli iscritti all’albo;

le associazioni hanno sede ove si trova il centro principale dei loro affari e sono iscritte
nell’elenco tenuto dal Consiglio dell’ Ordine;

l’avvocato è escluso se cancellato o sospeso;

i redditi delle associazioni sono determinati secondo il principio di cassa;

gli avvocati e le associazioni possono stipulare fra loro contratti di associazione in


partecipazione ai sensi dell’art. 2459 c.c.

l’associazione non è soggetta a fallimento;

sono possibili associazioni multidisciplinari con altri professionisti.

Per quanto riguarda le società, come abbiamo visto, il d.lgs. n. 96/2001 consente di
costituire società tra avvocati. In particolare la s.t.a. è iscritta all’albo, può essere costituita
solo da avvocati, riceve l’incarico professionale, che viene svolto personalmente da uno o
più soci, percepisce il compenso, risponde con il suo patrimonio, risponde delle violazioni
deontologiche, per quanto non previsto si applicano le norme sulla società in nome
collettivo. Ai sensi dell’art. 4 bis della L.p.f. è possibile costituire società tra avvocati in tutte
le forme conj iscrizione presso l’ordine nella cui circoscrizione ha sede la società e con
queste specificazioni; è esclusa la partecipazione tramite società fiduciarie o trust; i soci
devono essere avvocati iscritti all’albo per almeno 2/3 del capitale e del diritto di voto; la
maggioranza dei membri deve essere composta da avvocati; i soci professionisti possono
ricoprire la carica di amministratori; la sospensione, cancellazione o radiazione del socio
costituisce causa di esclusione della società; l’incarico può essere svolto soltanto dai vari
professionisti in possesso dei requisiti necessari, con piena indipendenza e imparzialità; la
responsabilità della società non esclude quella del professionista che ha eseguito la
specifica prestazione; la società è tenuta al rispetto del codice deontologico.

ATTIVITA’ PROFESSIONALE

La legge professionale dispone che è attività esclusiva dell’Avvocato l’assistenza, la


rappresentanza e l’assistenza dinnanzi a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure
arbitrali rituali, salvo casi espressamente previsti dalla legge. È poi di competenza
dell’avvocato l’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale, ove connessa
all’attività giurisdizionale se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato.
Ovviamente in quest’ultimo caso non vi è una esclusiva dal momento che tale attività può
essere svolta anche da altri professionisti (notai, dottori commercialisti, consulenti del
lavoro).

L’innovazione introdotta dalla legge riguarda proprio quest’ultimo aspetto e cioè il


riferimento all’attività stragiudiziale, la legge ha infatti abbracciato la tesi più comune e cioè
che se tale attività viene svolta in modo continuo sistematico e organizzato è di
competenza dell’avvocato, nel caso in cui viene svolta invece in modo saltuario o
occasionale può essere svolta da chiunque.

Il rapporto che si instaura tra Avvocato e cliente avviene mediante un mandato che può
assumere una serie di denominazioni (contratto di prestazione d’opera professionale,
contratto d’opera intellettuale, contratto di clientela ecc), ma che viene definito dall’art. 14
l.p.f. come contratto di patrocinio o mandato professionale. L’incarico può essere dato
anche in forma orale e si perfeziona con l’accettazione, da quel momento l’avvocato
assume la responsabilità illimitata anche se esso è componente di una associazione o di una
società. L’avvocato può essere sostituito o coadiuvato da altri avvocati (con delega verbale)
o da un praticante abilitato (con delega scritta) ma resta ferma la sua responsabilità. Esso
può inoltre nominare uno o più sostituti per ogni ufficio giudiziario, depositando la nomina
presso l’ordine di appartenenza. Ovviamente l’avvocato può sempre recedere dal mandato
purchè questo avvenga nelle modalità previste affinché non si recano pregiudizi al cliente.
L’avvocato deve rendere noti al cliente gli estremi della propria polizza assicurativa.

Quando l’incarico si riferisce ad una specifica attività all’interno di un giudizio la parte deve
rilasciare all’avvocato uno specifico mandato nella forma della procura alle liti ( art. 83
c.p.c.). la procura può essere generale o speciale e deve esser conferita con atto pubblico o
scrittura privata autenticata. La procura speciale può essere apposta anche in calce o a
margine della citazione o di ogni altro atto introduttivo. La procura alle liti può essere
sempre revocata e il difensore può rinunciarvi, ma la revoca e la rinuncia non producono
effetti nei confronti dell’altra parte finchè non sia avvenuta la sostituzione del difensore.
Non occorre invece una procura quando una parte sia assistita (e non rappresentata) da un
avvocato.

In generale è opportuno distinguere la figura del cliente da quella della parte assistita.
Infatti cliente è colui che conferisce il mandato di diritto sostanziale ed è tenuto al
pagamento del compenso, parte assistita è invece colui che rilascia la procura alle liti e
viene assistito in giudizio. Quando si parla di cliente quindi si sottintende prevalentemente
l’aspetto economico mentre il riferimento alla parte assistita riguarda più l’opera prestata
in giudizio. Per fare un esempio se l’avvocato difende l’amministratore di una società,
sicuramente questo è la parte assistita mentre cliente potrebbe essere la società che
provvede al pagamento del compenso.

Come già detto l’avvocato ha l’obbligo di statuire una assicurazione sia contro la
responsabilità civile che contro gli infortuni. Ovviamente convenzioni speciali possono
essere sottoscritte dal C.N.F. e dagli organi forensi per tutti gli iscritti. La mancata
osservanza di queste disposizioni costituisce illecito disciplinare (Art.12). È intervenuto, in
tal senso, il d.m. 22 settembre 2016 che ha di fatto disciplinato dettagliatamente gli
obblighi assicurativi in capo alla categoria professionale degli avvocati, sia in relazione ai
rapporti e alla responsabilità verso la clientela sia in relazione all’attività organizzativa dello
studio.

Relativamente ai compensi dobbiamo distinguere alcune date significative. Infatti fino al


2006 il compenso per le prestazioni professionali degli avvocati era determinato secondo i
criteri previsti dall’art. 2233 c.c. e dalle varie leggi esistenti, che prevedevano pattuizione
tra le parti, ricorso alle tariffe, gli usi, la determinazione del giudice, il divieto del patto di
quota lite ecc, in poche parole si faceva riferimento alle tariffe disposte dal ministero della
giustizia. Con il decreto sulle liberalizzazioni del 2006 è stata abrogata la norma che
disponeva l’inderogabilità dei minimi tariffari e quindi il terzo comma dell’art. 2233 c.c. Da
poco è caduto anche il riferimento generale alle tariffe, abrogate con l’art. 9 della L. n. 27
del 2012. I parametri che oggi sono utilizzati per la determinazione del compenso di tutte le
professioni sono: valore e natura della pratica, importanza, difficoltà, complessità della
pratica; condizioni d’urgenza per l’espletamento dell’incarico, risultati e vantaggi, anche
non economici, impegno. Seguono poi le tabelle per le varie prestazioni. Per quanto
riguarda gli avvocati invece la nuova legge professionale ha disposto che i parametri per la
determinazione del compenso vengono stabiliti ogni due anni con decreto ministeriale.
Infine, da ultimo è stata introdotta la normativa sull’equo compenso (l. n. 172/2017).

Secondo la l.p.f. il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto


all’atto del conferimento dell’incarico professionale. La pattuizione ha grande libertà di
contenuto, infatti l’art. 13.3 prevede che è ammessa la pattuizione a tempo, in misura
forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all’assolvimento e ai
tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a
percentuale sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non solo a
livello patrimoniale, il destinatario della prestazione. Ovviamente oltre al compenso è
dovuto all’avvocato anche il rimborso delle spese e di tutti gli oneri o contributi anticipati
nell’interesse del cliente. L’avvocato deve pertanto comunicare al cliente, in forma scritta,
la prevedibile misura del costo delle prestazioni, distinguendo tra oneri, spese e compenso
forfettario. È il c.d preventivo che deve essere obbligatoriamente rilasciato dall’avvocato.
Quando il compenso non è previsto per iscritto provvede il giudice a seconda dei vari
parametri di riferimento. Il compenso è liquidato per fasi che comprendono:

a) Fase di studio della controversia;


b) Fase introduttiva del giudizio;
c) Fase istruttoria;
d) Fase decisionale;
e) Fase di studio e introduttiva del procedimento esecutivo;
f) Fase istruttoria e di trattazione del procedimento esecutivo;

di recente come già detto è stata introdotta la legge sull’equo compenso, la quale prevede
che il compenso per gli avvocati si considera equo quando risulta proporzionato alla
quantità e alla qualità del lavoro svolto nonché al contenuto e alle caratteristiche della
prestazione legale.
Il patto di quota lite è stato per moltissimi anni vietato dall’art. 2233 c.c.. tale patto consiste
nell’accordo tra il cliente e l’avvocato con il quale convengono che venga riconosciuta dal
cliente all’avvocato, a esito della lite, una percentuale del bene controverso o del valore
dello stesso. Il divieto è poi caduto in seguito all’entrata in vigore della legge n. 248/2006. Il
legislatore però con la l.p.f. all’art. 13.4 ha proibito nuovamente i patti di quota lite.
Discorso diverso deve essere fatto invece nel caso del c.d. palmario che consiste in un
accordo con il quale viene riconosciuto all’avvocato un ulteriore importo nel caso di
risultato favorevole. Si tratta nello specifico di un onorario di risultato ed è sempre stato
riconosciuto come lecito. (vedere pag 107 sul gratuito patrocinio).

Nella vecchia disciplina normativa l’art. 68 prevedeva che tutte le parti fossero solidamente
obbligate al pagamento del compenso in favore degli avvocati, ogniqualvolta il giudizio
veniva definito con una transazione. Attualmente, sebbene l’art. 68 è caduto, l’art. 13.8
della nuova legge professionale replica quanto contenuto nella disciplina previgente e
infatti afferma; quando una controversia è definita con accordi presi in qualsiasi forma,
tutte le parti sono solidalmente tenute al pagamento del compenso e delle spese a tutti gli
avvocati costituiti che abbiano prestato la loro attività negli ultimi tre anni, e risultino
ancora creditori.

In generale, sugli importi dovuti all’avvocato decorrono gli interessi dalla data in cui è stata
inviata la parcella o il preventivo di parcella. Dalla stessa data decorre anche la
rivalutazione monetaria se e quando è dovuta. Oltre a quanto appena detto all’avvocato
deve essere riconosciuta l’IVA e il contributo previdenziale integrativo c.d. C.P.A., che è
stato fissato nel 2010 al 4% degli importi richiesti. I crediti dell’avvocato si prescrivono
seguendo le regole ordinarie e cioè in 10 anni. È prevista tuttavia una prescrizione
presuntiva di tre anni che decorre dalla data di decisione della lite o da quella di
conciliazione o ancora dalla revoca del mandato. I crediti riguardanti le retribuzioni dei
professionisti sono soggetti al c.d. privilegio generale mobiliare.

I procedimenti attraverso i quali l’avvocato può ottenere il pagamento del compenso che gli
spetta sono il ricorso per ingiunzione (art. 633 c.p.c.) e il procedimento speciale, regolato
dall’art. 28 della L. 794/1942 e dall’art. 14 del d.lgs. n.150 del 2011. Tale procedimento si
svolge secondo il rito sommario di cognizione, è competente l’ufficio giudiziario dinnanzi al
quale l’avvocato ha prestato la sua opera, il tribunale decide in composizione collegiale, le
parti possono stare in giudizio personalmente, l’ordinanza che definisce il giudizio non è
appellabile ma solo impugnabile dinnanzi alla corte di Cassazione. tale procedimento è
esperibile solo se sussistano determinati presupposti, quali:

- Il compenso richiesto deve riferirsi alle sole prestazioni giudiziali civili


- Il giudizio civile per cui si chiede il compenso deve essere stato posto in decisione oppure la
procura deve essere estinta;
- Non devono sussistere contestazioni sull’esistenza del diritto al compenso.

DEONTOLOGIA
Per deontologia si intende il complesso delle regole di condotta applicate alle professioni. Tale
termine nasce con G. Bentham con un significato diverso da quello attuale, in realtà secondo alcuni
è infatti preferibile utilizzare il termine deontica poiché la deontologia indicherebbe il discorso
intorno alle regole.

Le regole, che formano la deontologia, che si riferiscono all’attività legale si riferiscono in generale
al diritto, all’etica e alla prassi forense. Pertanto la deontologia si trova al centro di tre aspetti
fondamentali:

. i comportamenti considerati dal diritto

. i comportamenti valutati dall’etica

. i comportamenti ripetuti e costanti nella pratica giudiziaria e forense.

È opportuno in ogni caso distinguere tra la natura delle norme e il contenuto delle stesse. Infatti la
natura delle norme dipende dalla loro collocazione nel sistema giuridico e che esiste un
ordinamento giuridico professionale, quale è quello delineato dalle leggi esistenti. In relazione a
questo emergono le c.d. norme deontologiche che sono da ritenere delle norme giuridiche
nell’ambito dell’ordinamento professionale. La giuridicità dell’ordinamento professionale e delle
norme deontologiche è data anche da fatto che la violazione di tali norme comporta delle sanzioni
giuridiche e non delle sanzioni morali.

La codificazione è estremamente importante perché consente di dare sistematicità e certezza alle


norme deontologiche e allo stesso tempo consente di dare conoscenza più completa. Oltre a
questo, consente di salvaguardare il principio di legalità nonché di creare una comune coscienza
etica, su cui l’avvocatura può ritrovarsi per difendere i propri valori, non solo nel rispetto dei doveri
ma anche nella rivendicazione dei dritti. Il primo codice deontologico è stato realizzato nel 1997 e
divideva norme deontologiche da canoni complementari (insieme di comportamenti più ricorrenti
nell’ambito delle regole espresse). Tale codice è rimasto in vigore fino al 2014, anno in cui è stato
emanato il nuovo codice deontologico. Quest’ultimo è stato pianificato e strutturato su base
normativa prevedendone addirittura la pubblicazione in G.u. La stessa legge professionale
stabilisce che l’avvocato debba uniformarsi ai principi contenuti nel codice deontologico. Il codice è
emanato e aggiornato periodicamente dal CNF che ne cura la pubblicazione e la diffusione, sentiti i
vari consigli dell’ordine. Il codice è pubblicato in G.u. ed entra in vigore trascorsi 60 giorni. Il
contenuto si caratterizza in norme di comportamento che l’avvocato è tenuto a osservare in via
generale e, specificamente, nei rapporti con il cliente, controparte, altri avvocati o professionisti.
Tali norme devono essere caratterizzate per quanto possibile dal principio della tipizzazione della
condotta e devono contenere indicazione della sanzione applicabile.

Il nuovo codice prevede che la violazioni di alcuni obblighi comporta illecito disciplinare. Infatti
costituiscono violazione dei vari obblighi previsti in materia di:

- Associazioni tra avvocati (art. 4.5-4.6 lpf)


- Segreto professionale (artt. 6.1 e 6.2)
- Domicilio (artt. 7.1 7.3 e 7.6)
- Pubblicità (art. 10)
- Assicurazione obbligatoria (art. 12.4)
- Esame di abilitazione(artt. 46.9 e 46.10)
Nuove ipotesi poi sono previste relativamente alle investigazioni difensive, società tra
avvocati, spese di giustizia, calendario del processo e mancata fatturazione.
Il codice si divide in 7 titoli:
PRINCIPI GENERALI
RAPPORTI CON IL CLIENTE E CON LA PARTE ASSISTITA
RAPPORTI CON I COLLEGHI
DOVERI DELL’AVVOCATO NEL PROCESSO
RAPPORTI CON TERZI E CONTROPARTI
RAPPORTI CON LE ISTITUZIONI FORENSI
DISPOSIZIONE FINALE.

Le sanzioni che seguono agli illeciti ovviamente devono essere adeguate e proporzionali alla
violazione deontologica commessa e deve essere commisurata alla gravità del fatto, al
grado della colpa, all’eventuale sussistenza del dolo e alla intesità di quest’ultimo, al
comportamento dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle
circostanze, soggettive e oggettive nel cui contesto è avvenuta la violazone. Oggetto di
valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato e la sanzione è unica anche
quando siano contestati più addebiti nell’ambito del medesimo procedimento trattandosi
appunto di procedere a una valutazione complessiva e generale e non alla somma di tante
pene singole per i vari addebiti contestati.

I principi generali (titolo I)


Le regole contenuto nel titolo I si applicano a tutti gli avvocati, ai praticanti e alle società (se
compatibili) nei principi generali. In generale anche i fatti non professionali, riguardanti cioè
la vita privata, devono essere valutati disciplinarmente. In particolar è necessario che:
a) Funzioni dell’avvocato e doveri fondamentali:
l’avvocato deve esercitare la propria attività in piena libertà, autonomia e
indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la
conoscenza delle leggi e l’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia. Nello
svolgere questo l’avvocato vigila sul rispetto delle leggi, dei principi costituzionali, delle
norme europee e in salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (ART.1
Cod. deont.)

b) Attività incompatibili:
è dovere dell’Avv. Evitare situazioni o attività incompatibili e ciò sia in relazione alle
condizioni prescritte per l’iscrizione all’albo sia in relazione comunque ad ogni attività
che possa offendere i principi generali.

c) Fiducia e fedeltà:
tra i principi generali vi è anche la fiducia, poiché è su questa che si fonda il rapporto
con il cliente e la fedeltà che è comunque presidio per l’attività difensiva, tanto è che la
violazione di questo dovere costituisce un reato ( patrocinio infedele) art. 10 -11 cod.
deont.
Quando l’avv. Esercita all’estero deve rispettare la c.d. doppia deontologia e cioè sia
quella del proprio paese che quella del paese dove esercita (art. 3 cod. deont.)
d) Doveri di professionalità:
vi sono diversi e molteplici doveri che assicurano la professionalità. Tra essi possiamo
prendere in considerazione:
- Il dovere di diligenza, che tende ad assicurare un livello adeguato di professionalità;
- Il dovere di competenza, che tende ad affermare l’esigenza che l’avvocato abbia la capacità
specifica richiesta in relazione alla prestazione da svolgere in favore della parte assistita
( art. 14 c. deont.)
- Il dovere di aggiornamento professionale, che pure richiama alla necessità di esprimere
costantemente un livello professionale adeguato alla società in cui viviamo e ai servizi
richiesti.
e) Dovere di segretezza e riservatezza:
l’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita,alla rigorosa
osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo sui fatti e circostanze
comunque appresi nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio cosi come
nell’attività di consulenza legale e assistenza stragiudiziale (art. 13 c.d.)
f) Dovere di adempimenti fiscali, previdenziali, assicurativi e contributivi:
l’avvocato deve provvedere agli adempimenti fiscali, previdenziali e assicurativi e deve
corrispondere regolarmente e tempestivamente i contributi dovuti alle Istituzioni
forensi (Art. 16 cod. deont.)
g) Informazione, pubblicità e rapporti con la stampa:
è consentito all’avv. L’informazione sulla propria attività professionale,
sull’organizzazione e sulla struttura dello studio, su eventuali specializzazioni o titoli
scientifici o professionali posseduti. Le informazioni possono essere pubblicizzate con
qualsiasi mezzo purchè siano corrette, veritiere e non equivoche ( art. 17 cod. deont.)
nei rapporti con la stampa l’avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura, nel
rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza.
h) Correttezza e lealtà verso colleghi e istituzioni:
i principi di correttezza e lealtà devono essere osservati anche nei confronti dei colleghi
e delle istituzioni forensi (art. 19 cod. deont.)

Rapporti con il cliente e con la parte assistita (titolo II)

Nei rapporti con il cliente l’aspetto prelevante è sicuramente quello della fiducia. Infatti l’intero
rapporto tra avvocato e parte assistita si basa sulla fiducia. Ovviamente oltre a questo devo
sussistere anche un rapporto di estraneità nel senso che l’avvocato deve garantire la difesa tecnica
più valida senza alcuna forma di coinvolgimento. L’avvocato poi deve garantire anche l’autonomia
del rapporto e cioè che esso non deve divenire un semplice esecutore di quelle che sono le volontà
o gli ordini del cliente, ma deve agire secondo la propria scienza e coscienza. In particolare nel
codice deontologico dall’art. 23 all’art. 37 vengono delineati i principi che devono essere rispettati
dall’avvocato:

a) Rapporto di fiducia; l’avvocato non deve consigliare azioni inutilmente gravose, né accettare
incarichi finalizzati a operazioni illecite, né suggerire comportamenti o negozi illeciti, fraudolenti
o nulli (art. 23)
b) Conflitto di interessi; l’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando
questa determina un conflitto di interesse tra i propri assistiti. (art. 24)
c) Adempimento del mandato; adempiere gli obblighi inerenti al’lincarico, con la specifica
competenza richiesta, eventualmente suggerendo di integrare la difesa con altro collega (art.
26 c.d.)
d) Informazioni alla parte assistita; l’avvocato deve informare della difficoltà e della tipologia della
controversia nonché i possibili tempi di durata, le ipotesi di soluzione, il prevedibile costo e la
possibilità di utilizzare istituti alternativi quali mediazione o negoziazione assistita. (art. 27)
e) Segreto professionale; l’avvocato è tenuto alla rigorosa osservanza del segreto e al massimo
riserbo sui fatti e sulle circostanze apprese nello svolgimento dell’attività professionale.
f) Compenso e pagamento:
l’avvocato deve richiedere il compenso nelle forme previste della legge ( art. 25 c.d.). l’avvocato
può chiedere anche acconti sul compenso, tenendo però la contabilità specifica delle spese
sostenute e degli acconti ricevuti ed emettere ogni prescritto documento fiscale (art. 29 c.d.)
g) Gestione del denaro e compensazione: l’avvocato deve gestire con diligenza il denaro ricevuto
in relazione all’incarico da espletare. Esso può trattenere le somme che gli sono pervenute in 4
tassative condizioni:
- Rimborso delle spese sostenute, dandone avviso al cliente;
- A titolo di pagamento del proprio compenso, quando vi sia il consenso della parte assistita,
- Quando si tratti di somme liquidate in sentenza a carico della controparte e l’avvocato non
le abbia ancora ricevute dalla parte assistita;
- Quando abbia già formulato una richiesta di pagamento espressamente accettata dalla
parte assistita.

Solo in questi casi è concessa la compensazione tra le somme riscosse e il corrispettivo per le
prestazioni svolte.

h) Rinuncia al mandato: l’avvocato può rinunciare al mandato ma può farlo senza recare
pregiudizi alla parte assistita, dando quindi congruo preavviso (art. 32).
i) Restituzione documenti: l’avv. È obbligato a restituire senza ritardo alla parte assistita la
documentazione dalla stessa ricevuta per l’espletamento del mandato, quando questa ne faccia
richiesta (art. 33). Tale norma è prevista anche dal codice civile all’art. 2235 c.c.
L’obbligo di restituzione si prescrive nel termine ordinario di 10 anni ex art. 2946 c.c.

l) informazione e pubblicità, Accaparramento: come già detto l’avv. Deve dare informazioni
veritiere e non comparative con altri professionisti, né equivoche, ingannevoli, denigratorie,
suggestive o che contengano riferimento a titoli, funzioni o incarichi non inerenti l’attività
professionale. Può utilizzare il titolo di professore solo se sia effettivamente docente dell’università.
Sono vietate forme di accaparramento e quindi di acquisire rapporti di clientela a mezzo di agenzie
o procacciatori con modi non conformi a correttezza e decoro. È vietato offrire prestazioni
professionali a domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi
pubblici o aperti al pubblico o comunque prestazioni personalizzate non richieste art. 37

m) attività senza titolo: l’iscrizione costituisce presupposto necessario per l’esercizio dell’attività
giudiziale e stragiudiziale di assistenza e consulenza in materia legale e per l’utilizzo del proprio
titolo. Costituisce illecito disciplinare l’utilizzo improprio del titolo

Rapporti con colleghi


Nel titolo III del codice deontologico sono formulate le previsioni relative al rapporto tra l’avvocato
ei colleghi

e i colleghi. In particolare:
a) rapporto di colleganza : l’avvocato deve dare comunicazione per iscritto al collega della volontà
di promuovere un azione giudiziaria nei suoi confronti per fatti all’esercizio della professione, salvo
che tale avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare (art. 38). È fatto anche divieto di registrare
una telefonata con un collega o di riferire in giudizio il contenuto di colloqui riservati.

B) i rapporti con collaboratori o praticanti: regole particolari sono dettate nei rapporti con i
collaboratori e nei rapporti con i praticanti. Come abbiamo già visto, nei confronti di quest’ultimi
l’avvocato è tenuto ad assicurare la effettiva e proficua pratica forense al fine di consentire la giusta
formazione.

c) notizie riguardanti il collega: è fatto divieto di esprimere apprezzamenti denigratori sull’attività


professionale di un collega (art. 42 cod. deont.) né possono essere utilizzate notizie relative alla sua
persona.

d) rapporti con la controparte assistita da collega: l’avvocato non può mettersi direttamente in
contatto con la controparte che sia assistita da un altro avvocato. Ovviamente infatti un rapporto
direttamente con la controparte sarebbe intimidatorio e vessatorio. Soltanto in alcuni casi è
prevista la possibilità di avere una corrispondenza direttamente con la controparte, sempre
inviando però una copia per conoscenza al legale avversario (art. 41).

e) obbligo di soddisfare le prestazioni affidate al collega; tale obbligo sussiste dove non adempie il
collega

f) Divieto di impugnare la transazione: l’avv. Che ha trovato con il collega un accordo transattivo
deve astenersi dal proporre impugnazione, salvo che la stessa sia giustificata da fatti sopravvenuti o
dei quali dimostri di non aver avuto conoscenza (art. 44).

g) Sostituzione di colleghi nell’attività di difesa: il nuovo avv. Dovrà informare il precedente legale
dell’avvenuta sostituzione e dovrà anche lealmente adoperarsi affinchè siano pagate al precedente
collega le prestazioni svolte (art. 45).

I doveri dell’avvocato nel processo ( titolo IV)

Relativamente ai doveri dell’avvocato possiamo anzitutto individuare tre categorie: a) i doveri


dell’avvocato nel processo; b) l’avvocato con particolari funzioni; c) i rapporti dell’avvocato con vari
soggetti.

A) I DOVERI DELL’AVV. NEL PROCESSO


- Appare rilevante in primo luogo richiamare il dovere di difesa, essa rappresenta l’essenza
stessa dell’attività professionale. In questo senso l’avv. Deve opporsi alle richieste
processuali avversarie quando esse siano irrituali o ingiustificate o, comunque, comportino
un pregiudizio per la parte assistita e deve collaborare con gli altri difensori in ordine alle
scelte da compiere (art. 46 c.d.)
- L’avv. Deve ovviamente dare istruzioni e informazioni al collega, in particolare informazioni
sull’attività svolta e su quella da svolgere, senza assumere alcuna iniziativa.
- Sussiste poi un generale divieto di produrre la corrispondenza; cioè l’avv. Non deve
produrre né riferire in giudizio la corrispondenza scambiata con il collega che sia dichiarata
riservata e quella che contenga proposte transattive.
- Relativamente al processo penale sussistono diversi doveri, in particolare l’avv. Che viene
nominato difensore d’ufficio deve, quando possibile, comunicare all’assistito che ha facoltà
di scegliere un difensore di fiducia. L’avv. Deve inoltrare informare l’assistito, ove intenda
chiedere un compenso, che anche il difensore d’ufficio deve essere retribuito. Se l’avv. È
indagato o imputato non può assumere o mantenere la difesa di un altro imputato nello
stesso procedimento (art. 49 c.d)
- C’è poi un dovere di verità che incombe sulla figura dell’avvocato e cioè esso ha il dovere di
dire sempre la verità, e in generale nel processo esso non devo introdurre
intenzionalmente atti o documenti falsi e non deve utilizzare nel processo atti o documenti
provenienti dalla parte assistita che sappia o apprenda essere falsi .
- Particolari doveri e obblighi riguardano anche il caso in cui l’avv. Debba ascoltare i minori,
infatti esso ascolta i minori solo con il consenso degli esercenti la patria potestà e
preferibilmente con l’ausilio di esperti (art. 56).
- In merito all’astensione dalle udienze e lo sciopero possiamo affermare che l’avv. Ha di
ritto di astenersi dal partecipare alle udienze e alle altre attività giudiziarie e questo diritto è
stato riconosciuto dalla Corte Cost. l’avv. Ha dunque la facoltà di astenersi pur dovendosi
contemperare questo diritto con il contrapposto diritto costituzionale di ogni avvocato di
non astenersi. Nel caso esso decida di non astenersi deve dare comunicazione ai colleghi.
- L’avv. Deve poi evitare l’utilizzo di espressioni offensive e sconvenienti nei confronti di
colleghi, magistrati, controparti o terzi (art. 52).
B) L’AVVOCATO CON PARTICOLARI FUNZIONI
Ci sono ipotesi in cui l’avv. È chiamato a svolgere funzioni particolari, in tal senso:
l’avv. Testimone, esso deve astenersi, salvo casi eccezionali, a deporre come persona informata
sui fatti o come testimone su circostanze apprese nelle circostanze apprese nell’esercizio della
propria attività professionale.
L’avv. Come magistrato onorario, se l’avv. È chiamato a svolgere funzioni di magistrato onorario
deve rispettare tutti gli obblighi inerenti a tali funzioni e le norme sulle incompatibili ( art. 53-3
c.deont.)
L’avv. Come arbitro, se esso ha assunto la funzione di arbitro deve rispettare i doveri di
indipendenza e imparzialità e agire con probità e correttezza per preservare la fiducia delle
parti, rimanendo immune da influenze e condizionamenti.
L’avv. Come mediatore, l’avvocato non può assumere la funzione di mediatore in difetto di
adeguata competenza. Egli deve inoltre osservare tutti gli obblighi derivanti dalla normativa e
rispettare le incompatibilità previste.
C) I RAPPORTI DELL’AVVOCATO CON VARI SOGGETTI
Altri doveri sono imposti relativamente ai rapporti con i diversi soggetti interessati nell’ambito
del giudizio.
Nei rapporti con i magistrati l’avvocato deve cercare di mantenere un reciproco rispetto, in tal
senso l’avv. Non può interloquire con il giudice in merito al procedimento in corso, senza la
presenza del legale avversario, né deve approfittare di eventuali rapporti di amicizia, di
familiarità o di confidenza.
Per quanto riguarda i testimoni, l’avv. Deve cercare di evitare di intrattenersi con i testimoni
sulle circostanze oggetto del procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire
deposizioni compiacenti.
Infine, nei rapporti con la stampa l’avv. Non deve fornire notizie coperta dal segreto di
indagine, né spendere il nome dei propri clienti, né enfatizzare la propria capacità
professionale, né sollecitare articoli o interviste o convocare conferenze stampa, fatte salva
esigenze di difesa ( art. 57)

I RAPPORTI CON TERZI E CONTROPARTI (TITOLO V)


Il titolo V è dedicato ai rapporti dell’avv. Con una plurità di soggetti e poi specificamente ai
rapporti con la controparte.
I terzi comprendono i dipendenti, il personale ausiliario di giustizia e ogni persona in genere con
cui l’avv. Venga in contatto.
In generale è previsto che l’avv. Debba tenere sempre un comportamento corretto e rispettoso,
per non compromettere la dignità della professione e l’affidamento dei terzi.
Nei confronti della controparte, invece, le regole sono più dettagliate, in particolare è prescritto
che:
a) Minaccia di azioni; l’avvocato può intimare alla controparte particolari adempimenti con
avvertenza che in difetto di adempimento potranno essere avviate azioni giudiziarie,
presentate istanze di fallimento, denunce, querele o assunte altre iniziative. Nei confronti
della controparte, sono previsti specifici comportamenti, ad esempio; l’avvocato può
invitare direttamente la controparte a un colloquio nel proprio studio, ma deve precisare
che la stessa può essere accompagnata da un legale di fiducia; l’avvocato può addebitare
alla controparte le spese per l’attività prestata in via stragiudiziale
b) Pluralità di azioni, ogni iniziativa giudiziale che si intenda proporre deve corrispondere a
effettive ragioni di tutela della parte assistita, e non devono essere moltiplicate a dismisura
senza necessità né devono essere inutilmente onerose o vessatorie.
c) Richiesta di compenso: l’avvocato deve richiedere alla controparte il pagamento del
proprio compenso professionale, salvo che vi sia una specifica pattuizione o l’accordo con il
cliente ovvero sia intervenuta la definizione della lite.

Infine è previsto che l’avvocato possa agire nei confronti di una parte già assistita in
precedenza, quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto
professionale e l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza.

I RAPPORTI CON LE ISTITUZIONI FORENSI (TITOLO VI)

Tale istituzione si rivolge a tutte le Istituzioni poichè gli obblighi imposti valgono per tutti gli
organismi dell’Avvocatura. In particolare:

a) (elezioni)
L’avvocato che partecipi quale candidato, o quale sostenitore di candidati alle elezioni per
gli organi rappresentativi dell’avvocatura, deve comportarsi con correttezza, evitando
forme di pubblicità e iniziative non consone alla dignità delle funzioni. È fatto divieto di
qualsiasi iniziativa e propaganda nella sede di svolgimento delle elezioni e durante le
operazioni di voto.
b) (rapporti con il consiglio dell’ordine)
Molteplici comportamenti sono imposti all’avvocato, cosi al momento dell’iscrizione
l’avvocato deve (art. 70. C.d.)
a) Dichiarare l’eventuale sussistenza di rapporti di parentela, coniugio, affinità e
convivenza con i magistrati, e le eventuali sopravvenute variazioni;
b) Comunicare ogni evento che riguardi l’esercizio dell’attività professionale;
c) Assolvere gli obblighi previdenziali e contributivi previsti dalla legge e gli obblighi
contributivi nei confronti delle istituzioni forensi
d) Comunicare gli estremi della polizza di assicurazione per la responsabilità civile e della
polizza contro gli infortuni derivanti a sé, ai propri collaboratori, dipendenti e praticanti
per l’attività svolta anche al di fuori dello studio;
e) Rispettare i regolamenti
c) (dovere di collaborare con le istituzioni)
L’avv. Ha il dovere di collaborare con le istituzioni forensi per l’attuazione delle finalità
istituzionali, osservato scrupolosamente il dovere di verità, dando tutti i chiarimenti
richiesti.
d) (esame di abilitazione)
In conformità con quanto prescritto dalla legge professionale è sanzionato gravemente
l’avvocato che faccia prevenire in qualsiasi modo a uno o più candidati il testo relativo al
tema proposto, prima o durante, la prova d’esame. La sanzione è piu grave se tale fatto è
commesso da un commissario d’esame. È sanzionato anche il praticante che non denuncia
alla commissione gli eventuali scritti o appunti ricevuti.

PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

Le precedenti lacune normative hanno comportato la necessità di una riforma relativa al


procedimento disciplinare. In tal senso è sorto il consiglio distrettuale di disciplina istituito e
regolamentato dalla legge professionale. Oltre alla legge professionale, fonti normative
sono anche i regolamenti richiamati dalla legge, ed emanati dal consiglio nazionale forense,
e precisamente;
- Il reg. 31.12.2014 n.1 relativamente alla elezione dei componenti del consiglio distrettuale
di disciplina
- Il reg. 21.02.2014 n.2 relativamente al procedimento disciplinare
C’è poi un richiamo generale alle norme di procedura penale.
Il consiglio distrettuale di disciplina quindi esercita il potere disciplinare in via
amministrativa per accertare le infrazioni ai doveri e alle regole di condotta dettati dalla
legge o dalla deontologia. Contro le decisioni del c.d.d. è prevista la possibilità di proporre
ricorso avanti al CNF

Il c.d.d. è composto da membri eletti su base capitaria e democratica, con il rispetto della
rappresentanza di genere, sentiti gli ordini circondariali. Il numero complessivo è pari a un
terzo della somma dei componenti del Consiglio dell’ordine del distretto.
Il c.d.d. opera attraverso sezioni composte da 5 titolari e 3 supplenti. Nella sezione
giudicante non vi possono essere membri appartenenti all’ordine a cui è iscritto l’incolpato.
Confermando la duplice competenza riconosciuta in passato, la legge prevede che la
competenza per territorio spetta al C.D.D in cui l’incolpato è iscritto ovvero in cui il fatto è
avvenuto, ed è determinata ogni volta dalla prevenzione. In caso di conflitti di competenza
la decisione spetta al CNF.il regolamento n. 2 del 2014 regola minuziosamente anche i casi
di astensione e ricusazione dei membri giudicanti che compongono i c.d.d, stabilendo che i
membri di quest’ultimo possono essere individualmente ricusati dalle parti e devono
astenersi quando ricorrono particolari motivi, indicati dettagliatamente nel regolamento.

Il procedimento si articola in diverse fasi;


una fase preliminare;
la formulazione del capo di incolpazione e la citazione a giudizio;
il dibattimento e la decisione.
La fase preliminare com0prende la notizia dell’illecito e una istruttoria pre dibattimentale,
tale fase inizia con la presentazione di un esposto o una qualsiasi segnalazione nei confronti
di un iscritto. Appena ricevuta notizia relativa ad un illecito disciplinare il consiglio
dell’ordine ne dà comunicazione all’interessato invitandolo a presentare le sue deduzioni
entro 20 giorni. Dal momento in cui è inviata la comunicazione all’iscritto insieme agli atti si
interrompe il termine di prescrizione. Il termine è altresi interrotto dalla delibera di
apertura del procedimento disciplinare e della delibera di rinvio a giudizi dell’incolpato
nonché dalla notifica della decisione del c.d.d. e della sentenza del CNF.
Nulla è detto invece sulla rinuncia all’esposto, ma vale il principio che la rinuncia non
implica l’estinzione del procedimento. Una volta ricevuti gli atti il presidente del c.d.d.
iscrive il procedimento in un registro riservato, salvo che l’esposto sia manifestamente
infondato e quindi il presidente ne richieda l’archiviazione. il presidente, dopo l’iscrizione
dell’incolpato nel registro, designa la commissione e nomina il consigliere istruttore che è il
responsabile del procedimento, il quale procede all’istruttoria comunicando all’incolpato
l’avvio di tale fase e invitando lo stesso a fornire osservazioni scritte entro 30 giorni. Il
consigliere istruttore provvede a ogni accertamento istruttorio nel termine di 6 mesi dalla
iscrizione della notizia dell’illecito disciplinare. Terminata questa fase il consigliere propone
al c.d.d. richiesta motivata di archiviazione o di approvazione del capo di incolpazione. Il
c.d.d delibera senza la presenza del consigliere istruttore. L’eventuale delibera di
archiviazione è comunica all’iscritto, al consiglio dell’ordine.
Relativamente al procedimento la legge professionale si limita a fissare i principi
fondamentali riservando tutto il resto ai regolamenti del cnf. In generale comunque la
formulazione del capo di incolpazione è il momento più importante poiché rappresenta
l’apertura del procedimento disciplinare. Nel capo di incolpazione devono essere indicati
non solo i principi generali violati ma anche i fatti specifici che vengono addebitati. Di tutto
deve essere data comunicazione all’incolpato, il quale può depositare memorie e
comparire avanti al consigliere istruttore con l’assistenza del proprio difensore per rendere
l’interrogatorio. Una volta decorsi i termini per gli atti difensivi il consigliere chiede al c.d.d
la citazione a giudizio.
La citazione a giudizio deve essere notificata almeno 30 gg liberi prima della data di
comparazione all’incolpato e al pubblico ministero e deve contenere tutti gli elementi
analiticamente indicati e cioè;
le generalità dell’incolpato;
l’enunciazione in forma chiara e precisa degli addebiti, con indicazione delle norme violate;
l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora della comparizione, con l’avvertimento che
l’incolpato potrà essere assistito da un difensore e che, in caso di mancata comparizione,
non dovuta al legittimo impedimento, si procedera al giudizio senza di lui. L’avviso che
l’incolpato ha diritto di produrre documenti e di indicare testimoni, entro il termine di 7
giorni prima della data fissata per il dibattimento. L’elenco dei testimoni che il consiglio
distrettuale di disciplina intende ascoltare; la data e la sottoscrizione del presidente e del
segretario.
Le udienze non sono pubbliche. Nel corso delle stesse vengono ascoltati i testimoni di cui
ne viene fatta menzione nella citazione. Devono essere compiute tutte le attività necessarie
o utili per accertare i fatti, con la precisazione che gli esposti, le segnalazioni e i verbali dei
testimoni che non sono confermati nel dibattimento sono utilizzabile per la decisione, ove
la persona dalla quale provengono sia stata citata per il dibattimento. Il consiglio delibera
senza la presenza del p.nm. dell’incolpato e del suo difensore emettendo la decisione. Le
deliberazioni sono prese a maggioranza di voti; in caso di parità prevale il voto del
presidente. La decisione può concludersi: con il proscioglimento, con la formula “non
esservi luogo a provvedimento disciplinare”; con il richiamo verbale, non avente carattere
di sanzione disciplinare, nel caso di infrazioni lievi e scusabili; con l’irrogazione di una
sanzione. La motivazione deve essere depositata entro 30 gg. Dalla lettura del dispositivo.
In caso di decisione complesse il termine può essere aumentato fino al doppio. Tutto viene
notificato all’incolpato e al consiglio presso il quale è iscritto, al p.m. e al procuratore
generale della rep.

Le sanzioni disciplinari che possono essere emesse sono le seguenti:


a) Avvertimento, consiste nell’informare l’incolpato che la sua condotta non è stata
conforme alle norme deontologiche, con l’invito ad astenersi da altre infrazioni.
b) La censura, consiste nel biasimo formale e si applica quando la gravità dell’infrazione, il
grado di responsabilità, i precedenti dell’incolpato e il suo comportamento successivo
al fatto inducono a ritenere che egli non incorrerà in un'altra infrazione.
c) La sospensione, consiste nell’esclusione temporanea dall’esercizio della professione o
dal praticantato per un tempo non inferiore a 2 mesi e non superiore a 5 anni.
d) Radiazione, consiste nell’esclusione definitiva dall’albo, elenco o registro ed impedisce
l’esercizio della professione oltre che la perdita del titolo di avvocato.

La sanzione deve essere unica anche in caso di più addebiti. nello stabilire la sanzione da
applicare gli organi possono tener conto delle particolari situazioni in cui sono stati
commessi gli illeciti disciplinari.

La sospensione cautelare rappresenta invece un rimedio eccezionale e da utilizzare solo in


casi particolari in cui è necessaria applicare la sospensione senza una formale apertura del
procedimento, quando sussistano ipotesi di gravità e pericolosità della permanenza
dell’incolpato nell’albo. Il provvedimento in questione è immediatamente esecutivo ,
sottratto a qualsiasi sindacato, salvo il controllo dinnanzi al CNF relativo a eventuali
violazioni di legge, incompetenza o eccesso di potere. La legge è intervenuta per
disciplinare questa particolare ipotesi e ha stabilito che può essere deliberata dal consiglio
distrettuale, previa audizione dell’incolpato, nei seguenti casi:

- L’applicazione di misure cautelari detentive o interdittive non impugnate o confermate in


appello;
- La pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione, anche se vi sia la
sospensione condizionale della pena,
- L’applicazione di misure di sicurezza detentive;
- La condanna in primo grado per particolari reati, se commessi nell’ambito dell’esercizio
della professione o del tirocini;
- La condanna a pena non inferiore a 3 anni.

La sospensione cautelare può essere irrogato per un periodo non superiore ad un anno. La
stessa perde inoltre efficacia se, nel termine di 6 mesi dalla sua irrogazione, il Consiglio
distrettuale di disciplina non deliberi il provvedimento sanzionatori, ovvero deliber non esservi
luogo a provvedimento disciplinare, ovvero disponga l’irrogazione dell’avvertimento o censura.
Contro la sospensione cautelare l’interessato può proporre ricorso avanti al c.n.f. entro 20
giorni dall’avvenuta notifica nei modi previsti per l’impugnazione dei provv. Disciplinari.

La decisione del c.d.d. non è esecutiva se viene impugnata nel termine stabilito. È invece
esecutiva la sentenza del consiglio nazionale forense. Le sospensioni e le radiazioni decorrono
dalla scadenza del termine dell’impugnazioni , o dal giorno successivo alla notifica della
sentenza del c.n.f. all’incolpato. In ogni caso il presidente del consiglio dell’ordine comunica
all’incolpato la data della decorrenza dell’esecuzione della sanzione. Nonostante la definitività
della sanzione della radiazione è possibile la reiscrizione. L’art. 62.10 infatti dispone che il
professionista radiato possa essere nuovamente iscritto purché siano trascorsi almeno 5 anni
dal provvedimento di radiazione.

Il procedimento disciplinare è autonomo, rispetto al processo penale che abbia ad oggetto i


medesimi fatti e questo può comportare un contrasto di giudicati. La legge ha previsto in tal
senso una sospensione del procedimento, quando è indispensabile acquisire atti e notizie
appartenenti al processo penale. Quando poi è intervenuto un provvedimento definitivo, la
legge dispone che il procedimento disciplinare possa essere riaperto:

. quando sia inflitta una sanzione disciplinare e l’autorità giudiziaria abbia emesso invece una
sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’incolpato non l’ha commesso;

. quando sia stato disposto il proscioglimento in sede disciplinare e l’autorità giudiziaria abbia
emesso sentenza di condanna per reato non colposo.

La riapertura del procedimento disciplinare avviene su richiesta dell’interessato o d’ufficio.

Le decisioni del c.d.d. possono essere impugnate dinnanzi al CNF in pposita sezione disciplinare,
entro 30 gg dal deposito della senetnza. Sono legittimati all’impugnativa: l’incolpato, se cè
responsabilità; il consiglio dell’ordine, il procuratore della repubblica e p.g., contro ogni
decisione. L’impugnazione deve contenere tutti i specifici motivi sui quali si fonda e deve essere
notificato al p.m. e al p.g.

Ove necessario si applicano le norme previste dal c.p.c.

I provvedimenti hanno natura di sentenza, le udienze sono pubbliche e ad esse partecipa con
funzioni di pubblico ministero un magistrato delegato dal procuratore generale, con grado non
inferiore a consigliere di cassazione. le decisioni sono notificate entro 30 gg. Parti necessarie del
procedimento sono non solo il procuratore della repubblica e il pg. Ma anche il consiglio
dell’ordine. Il presidente del cnf nomina il relatore tra i componenti della sezione disciplinare
del consiglio e fissa la data per la discussione del ricorso. L’udienza è pubblica. Le decisioni sono
pronunciate in nome del popolo italiano e sono redatte dal relatore e devono contenere
l’indicazione dell’oggetto del ricorso. Deve ritenersi esistente il divieto della reformatio in pejus,
salvo che vi sia ricorso principale o incidentale del p.m.

Le decisioni sono pubblicate mediante deposito dell’originale nella segreteria del consiglio
senza che sia necessaria la redazione di un dispositivo a parte. Le decisioni sono notificate entro
30 gg. Le decisioni del cnf sono esecutive dal giorno successivo a quello della notifica
all’incolpato.

Le decisioni del cnf possono essere impugnate entro 30 giorni dalla notificazione dinnanzi alle
sezioni unite della Corte di Cassazione per incompetenza, eccesso di potere e violazione di
legge. Legittimati ad impugnare sono gli interessati e il p.m. l’incolpato può firmare il ricorso
anche se non sia iscritto all’albo dei patrocinatori innanzi alle giurisdizioni superiori ma non
quando sia stato radiato o sospeso. Legittimato ad impugnare è anche il consiglio dell’ordine,
parte necessaria in quanto portatore d’interesse alla tutela della categoria. Il ricorso deve
contenere l’esposizione dei fatti e dei motivi sui quali si fonda, con richiamo della normativa
vigente e ciò a pena di inammissibilità, e il ricorso deve essere notificato, per mezzo di ufficiale
giudiziario, alle altri parti interessate nel termine di 30 giorni. Il termine è perentorio. Il primo
presidente della Corte di cassazione fissa l’udienza in cui il ricorso deve essere discusso, nomina
il relatore e dispone che gli atti siano comunicato al p.m.

La corte decide, sentite le conclusioni del p.m. Il ricorso non sospende l’esecuzione del
provvedimento impugnato. Tuttavia può essere sospesa dalla S.u. della corte di cassazione, in
camera di consiglio, su istanza. Il ricorso deve essere deciso nel termine di 90 giorni,
l’inosservanza non implica l’estinzione del procedimento. Nel caso in cui le S.u. dispongano
l’annullamento con rinvio, il cnf è investito del merito del ricorso e deve nuovamente
provvedere conformandosi alle statuizione della Corte di Cassazione.

LA RESPONSABILITA’

Un determinato fatto può determinare una responsabilità civile, disciplinare o penale.

Per quello che riguarda la responsabilità civile, come è noto le obbligazioni del professionista
altro non sono che obbligazioni di mezzo e non di risultato, di conseguenza soltanto la
violazione da parte del professionista di un dovere di diligenza inerente e adeguato alla natura
dell’attività esercitata può determinare responsabilità. Nelle ipotesi di responsabilità è
opportuno poi sottolineare il problema del danno e del nesso di causalità. Attualmente è noto
che il danno risarcibile può essere identificato anche come perdita di probabilità o di chance e il
problema si pone solamente nella valutazione pratica di ogni fattispecie.

La responsabilità penale invece rappresentano ipotesi particolarmente gravi poiché


costituiscono offesa all’attività giudiziaria. In particolare sono:

reato di patrocinio o consulenza infedele (380 c.p.) viene commesso dal patrocinatore o
consulente tecnico che arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o
rappresentata dinnanzi all’autorità giudiziaria. La pena è aumentata se il colpevole ha
commesso il fatto colludendo con la parte avversaria o se il fatto è commesso a danno di un
imputato.
Reato di alta infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico (art. 381 c.p.) che si verifica
quando il patrocinatore o il consulente tecnico, in un procedimento dinnanzi all’autorità
giudiziaria, presta contemporaneamente il suo patrocinio o la sua consulenza a parti contrarie.

Reato di millantato credito, che si configura quando il patrocinatore millantando credito presso
il giudice o il p.m. che deve concludere, il perito o l’interprete, riceve promette o fa dare da suo
cliente, a se stesso o un terzo, denaro o altra utilità, con il pretesto di doversi procurare il
favore del giudice o del pm o del testimone ovvero di doverli remunerare.

Il reato di frode processuale che può essere commesso da chiunque, nel corso di un
procedimento civile o amministrativo, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto
d’ispezione o di esperimento giudiziale ovvero il perito nell’esecuzione di una perizia, immuta
artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone.

Il reato di intralcio alla giustizia, che può essere commesso da chiunque offre o promette
denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni alla autorità giudiziaria
ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell’attività,

reato di favoreggiamento personale o reale che ricorre quando chiunque, dopo che fu
commesso un delitto, e fuori dei casi di concorso del medesimo, aiuta taluno a eludere le
investigazioni dell’autorità, o a sottrarsi alle ricerche di questa

vi sono poi altri reati quali ad esempio la falsa testimonianza, la falsa perizia o interpretazione,
le false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, l’induzione a non
rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, la rivelazione di
segreto professionale, la falsità ideologica. Altri reati che possono essere addebitati agli
avvocati, quali ad esempio; la truffa processuale, quando il provvedimento del giudice abbia
conseguenza giudiziarie patrimoniali a carico di altri soggetti; il falso ideologico del pubblico
ufficiale determinato da altrui inganno che induce a una attestazione non rispondente al vero.
La consulenza illecita, quando il reato sia stato commesso dal cliente nella attuazione dei
consigli dati dall’avvocato.

La responsabilità disciplinare, come già visto, sussiste quando vengono violate le regole di
condotta enunciate nel codice deontologico e nella legge determina la responsabilità
disciplinare. La cassazione in merito ha affermato che la responsabilità disciplinare prescinde
dall’elemento intenzionale del dolo o della colpa, essendo sufficiente la semplice volontarietà
dell’azione, anche se l’effetto della condotta non sia stato previsto e neppure voluto
dall’agente. Ogni atto volontario e cosciente che obbiettivamente sia contrario ai doveri di
condotta gravanti sul professionista è suscettibile di sanzione disciplinare, anche se il
professionista erroneamente credeva che l’atto da lui compiuto non fosse professionalmente
scorretto.

La responsabilità disciplinare è autonoma rispetto all’azione penale e quella disciplinare, quindi


il giudice disciplinare può procedere indipendentemente dalla configurabilità dei fatti come
illeciti civili o penali.

Nel rapporto con l’azione penale, con la soppressione della c.d. pregiudizialità penale (art. 3
c.p.p.) il procedimento disciplinare è stato ritenuto del tutto autonomo. Secondo la cassazione
a sezione unite se contestualmente al procedimento disciplinare vi è anche un giudizio penale,
il primo andrebbe sospeso in attesa delle definizione del secondo. In base a questo
orientamento prevalente la legge professionale ora dispone il procedimento disciplinare è
definito con procedura e valutazioni autonome rispetto al processo penale e il procedimento
disciplinare può essere sospeso ma solo per 2 anni.

La massima autonomia deve essere riconosciuta all’azione disciplinare pur nel caso di accertata
responsabilità civile. La responsabilità disciplinare riposa sulla volontarietà dell’azione più che
non sui concetti di dolo e di colpa. In particolare bisogna distinguere tra errore e mancanza. Si
considera un errore professionale, nella professione forense, la scelta di una sentenza tecnica
causativa di un danno. Per mancanza si intende invece una generale inosservanza ai generici
doveri di diligenza o correttezza. Ovviamente le scelte tecniche compiute nell’attività
professionale non possono essere censurate disciplinarmente: il merito della difesa. Diverso il
caso in cui non di errore professionale ma di mancanza professionale, in questo caso sussiste
invece l’obbligo di una valutazione disciplinare.

DIRETTIVE EUROPEE

La direttiva sulla libera prestazione dei servizi ha consentito e consente, la libera prestazione
dei servizi professionali in ogni Stato europeo, senza alcuna preclusione dipendente dalla
cittadinanza o dalla residenza. Un avvocato infatti è ammesso a prestare liberamente i propri
servizi professionali in altro Stato Europeo ma devi farlo con il proprio titolo, cioè con il titolo
dello stato di origine e può farlo soltanto in via occasionale e saltuaria. La direttiva sul diritto di
stabilimento consente agli avvocati di esercitare stabilmente l’attività professionale in tutti gli
stati membri con il proprio titolo professionale d’origine. L’avvocato viene iscritto in apposita
sezione dall’albo (avvocato c.d. stabilito). Trascorsi 3 anni di effettiva e regolare attività nello
stato membro ospitante, l’avv. Stabilito diventa avvocato integrato a tutti gli effetti.

L’avv. Stabilito quando svolge attività giudiziale deve esercitarla d’intesa con un professionista
abilitato a esercitare la professione con il titolo di avvocato. Tale intesa deve risultare da
scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati dinnanzi al giudice
adito. Tale direttiva è stata invocata da molti che hanno conseguito il titolo in Spagna come
abogato senza sostenere esami. Uguale per il titolo di avocat. Inoltre questa disciplina ha
abolito anche altre precedenti direttive, tra queste sicuramente quella sul riconoscimento dei
diplomi, che consentiva a tutti i professionisti di ottenere il riconoscimento del proprio diploma
nel paese ospitante e quindi di esercitare a pieno titolo l’attività professionale previo
superamento di una prova attitudinale. La domanda viene proposta all’autorità competente,
che può indire una conferenza di servizi per valutare la qualifica professionale e l’effettivo
esercizio della professione nello stato di origine.

La direttiva servizi ha lo scopo di liberalizzare i servizi, cioè di facilitare le prestazioni e quindi


favorire la libertà di circolazione e lo stabilimento in ogni paese, eliminando le relative barriere.
Per servizi si intende ogni attività economica, imprenditoriale o professionale, svolta senza
vincoli di subordinazione, con esclusione di quanto espressamente non ricade nell’ambito di
applicazione della direttiva stessa.

L’ultima e 4 direttiva ( 20.05.2015) estende l’ambito oggettivo al riciclaggio di denaro frutto di


attività criminosa o di finanziamento del terrorismo e ampia il numero dei destinatari degli
obblighi. In particolare gli avvocati sono tenuti a vari obblighi:
- Obblighi di identificazione e verifica della clientela;
- Obblighi di conservazione dei dati relativi alla identificazione dei clienti:
- Obblighi di formazione del personale;
- Obblighi di segnalazione alla Autorità, quando vi sia il sospetto di operazioni di riciclaggio o
di finanziamento del terrorismo.

Si ricorda, sempre sul piano europeo, che è stato emanato il codice deontologico europeo,
recepito da tutti gli stati. Il codice è stato approvato dal C.C.B.E. e si applica ai soli rapporti
transfrontalieri e riconosce che “ciascun ordine forense ha le proprie regole specifiche dovute
alle proprie tradizioni.. non è possibile né augurabile sradicarle dal proprio contesto né tentare
di generalizzare regole che non possono esserlo. Le regole particolari di ciascun ordine forense
si riferiscono tuttavia agli stessi valori e rivelano spesso una base comune.

FORME DELLA DIFESA

L’uso della parola scritta è la costante nelle difese civili, e nessuna regola esiste, salvo la
necessità di evitare espressioni sconvenienti od offensive. In generale, l’utilizzo delle parole
diventa importante, per adeguare le stesse alle necessità della difesa. Bisogna quindi evitare
espressioni sconvenienti od offensive e queste espressioni si rifanno evidentemente a parole
cariche significato negativo. Ecco allora la necessità dell’ironia e dell’eufemismo, e la ricerca di
parole diverse per evitare espressioni interdette. Vi sono molti tipi di interdizione ed è quindi
ricorrente la necessità di coperture e l’utilizzazione dell’eufemismo per evitare appunto le
parole interdette. Siamo molto lontani, come si vede, anzi agli antipodi dalla riduzione del
linguaggio che abbiamo visto.

La logica insegna a esprimersi correttamente in forma rigorosa e conseguente; se la nostra


logica è esattamente espressa, solo una logica diversa può prospettare conseguenze diverse. se
infatti la ricostruzione dei fatti, nella domanda giudiziale, e le deduzioni conseguenti sono
logicamente inattaccabili, la decisione sarà probabilmente favorevole alla tesi.

Anche la sintesi è un elemento fondamentale, contrariamente a quanto pensano molti


avvocati, questa rappresenta un punto chiave essenziale.

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