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it Morena Marsilio La scrittura e noi -15/09/2017

TRA NOBILE INTRATTENIMENTO E PATTO DI SORELLANZA: L’ARMINUTA DI


DONATELLA DI PIETRANTONIO
Affacciandosi dalle “soglie” a L’arminuta di Donatella di Pietrantonio – opera
vincitrice della 55° edizione del Premio Campiello – colpiscono alcuni elementi
paratestuali che il romanzo sembra avere in comune con L’accabadora (2009) di
Michela Murgia, che si è aggiudicata lo stesso premio qualche anno fa:
dall’immagine di un’adolescente in copertina, caratterizzata da un forte
chiaroscuro al titolo dialettale, volto a prefigurare l’immersione in luoghi
antropologicamente connotati da usanze ormai desuete. Se l’«accabbadora è
colei che finisce», ossia la donna che pietosamente dona la dolce morte,
«l’arminuta» è «la ritornata», la ragazzina restituita alla famiglia biologica dopo
l’affido. Nell’uno e nell’altro caso risultano centrali l’ambientazione in zone
remote della penisola e il racconto della prassi, un tempo assai radicata nelle
famiglie numerose, di cedere ad altri i figli che altrimenti sarebbero cresciuti in
condizioni di indigenza.
La recente vittoria de L’arminuta, che ricorda anche nei numeri quella della
Murgia (la giuria popolare dei trecento lettori anonimi - la cui composizione
cambia ogni anno - ha assegnato 119 voti a L’Accabadora nel 2010 e 133 voti a
L’arminuta nel 2017), ci induce a interrogarci sulla fortuna di queste narrazioni
che Simonetti non esiterebbe a definire «di nobile intrattenimento» e nelle quali
elementi di «impegno civile e citazioni colte» convivono con «forme di
intrattenimento mediocre, più imperialistiche e più easy» (G. Simonetti, La
letteratura circostante in http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2017-07-
30/la-letteratura-circostante-081336.shtml?uuid=AEIvqF6B). Sono queste,
infatti, a garantire al lettore l’evasione in un mondo riconoscibile, “esotico” nel
suo regionalismo (l’Abruzzo per Di Pietrantonio; la Sardegna per Murgia) ma
rassicurante e che si tiene lontano da quel “ritorno al reale” che ha caratterizzato
tanta parte della narrativa degli ultimi anni.
Rispetto a queste scritture, che hanno privilegiato la non fiction, infatti,
L’arminuta ripropone un romanzo tout court, compatto e tradizionale nella
costruzione del plot, costellato di personaggi ben caratterizzati e piuttosto
convenzionali nei loro ruoli (esemplare quello della Professoressa Perilli, “guida”
verso un’acculturazione vista come garanzia di elevazione sociale). Raccontata
da un io narrante ormai adulto, la vicenda appare come un Bildungsroman
condotto all’insegna di una dolorosa quête: la protagonista non smetterà, infatti,
di indagare la ragione per cui è stata repentinamente restituita alla famiglia
biologica. Lasciata la cittadina costiera, dove i recenti palazzi e le case di vacanze
denotano la progressiva trasformazione dell’Italia del boom, l’Arminuta dovrà
adattarsi al trasferimento tra le aspre montagne abruzzesi, in un paese dai
connotati decisamente premoderni, in una famiglia povera e poco incline alle
manifestazioni d’affetto. Gli interrogativi della giovane ruotano in particolare
intorno alla figura materna e giustificano l’abbandono subìto solo in virtù della
morte o di una malattia della donna:
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Doveva essere morta davvero, come nel mio sogno, come i suoi tulipani,
altrimenti non avrebbe abbandonato la casa. Ma era stata lei a mandarmi al paese
il letto a castello con tutto il resto, e l’altra madre aveva raccontato che si erano
parlate al telefono. Allora perché non parlava anche con me? Dov’era? Magari non
voleva impressionarmi con una voce malata, da un ospedale lontano. (p. 47)

Il dipanarsi del plot tiene avvinto il lettore grazie a dispositivi narrativi ben oliati
e talvolta vicini a quelli seriali del feuilleton mentre la scorrevolezza della lettura
è garantita da una lingua non priva di accensioni espressive e di qualche
sprezzatura dialettale.
Sarebbe, tuttavia, riduttivo ricondurre il romanzo della Di Pietrantonio
unicamente a formule editoriali del marchio “realismo magico più mondo arcaico”
- presente in Abate (Supercampiello nel 2012 con La collina del vento), in Fois
(si pensi in particolare a Stirpe del 2009) e nella già citata Murgia - e che per il
pubblico medio è uno degli ingredienti che “fanno romanzo”. Elemento più
originale risulta, piuttosto, la trama di relazioni umane, in particolare quella tra
donne, amplificata da coppie di personaggi quali le madri e le sorelle e il cui
perno è costituito proprio dall’arminuta; il richiamo all’esplorazione del mondo
emozionale della protagonista è preannunciato dalla citazione di Morante in
esergo, tratta da Menzogna e sortilegio:
Ancora oggi, in certo modo, io sono rimasta ferma a quella fanciullesca estate:
intorno a cui la mia anima ha continuato a girare e a battere senza tregua, come
un insetto intorno a una lampada accecante.

L’autrice riprende il tema della maternità, come era già accaduto nelle sue
precedenti opere: Mia madre è un fiume (2011) e Bella mia (2014). In
particolare ne L’Arminuta le madri sono diversamente assenti nella vita della
protagonista, la cui anima «ha continuato a girare e a battere senza tregua»,
spiazzata nel momento cruciale dell’adolescenza: «Oggi davvero ignoro che
luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una
certezza». Nel corso della storia, in modo inaspettato ma persuasivo, Di
Pietrantonio ribalta il rapporto di forza che inizialmente istituisce tra le due: la
madre adottiva - generosa, moderna, idealizzata dalla ragazzina - trova una
dura smitizzazione proprio nel momento in cui si profila un riavvicinamento;
viceversa la madre brusca e all’antica, piegata dalla fatica e dal lutto viene
riscattata da un’unica carezza che la donna riesce a posare sulla schiena della
figlia, studentessa-modello:
Al momento di entrare nell’aula dove sarebbe avvenuta la consegna dei diplomi,
avevo sentito la mano di mia madre attraversarmi la schiena e fermarsi decisa
sulla scapola. Avevo incassato la testa tra le spalle, come un cane pauroso e
compiaciuto della prima carezza dopo un lungo abbandono. (p.117)

Ma il rapporto più ricco e riuscito, come ha rilevato anche Massimo Recalcati -


testimonial del romanzo durante la serata finale del Campiello - è quello tra
sorelle costruito passo dopo passo nel corso della loro storia. Adriana e
l’Arminuta sono lontane come il sole e la notte quando si conoscono, eppure il
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loro rapporto permette la reciproca resistenza in un mondo ancora primitivo e


ostile, dominato da povertà e ignoranza. Le due imparano a condividere
materassi sporchi, a conoscere i reciproci odori, e anche a difendersi
dall’intemperanza dispettosa dei fratelli, a mantenere segreti e a tessere
complicità. Le loro differenze, invece di respingerle, le completano e le
fortificano: nonostante il rovescio di destino che le è capitato, l’Arminuta non
rinuncerà a quella fetta di “civiltà” che la prima famiglia le ha fatto conoscere.
Dal canto suo, Adriana imparerà ad accettare i ritorni della sorella nella città
costiera solo a patto che il progetto di crescita della prima garantisca una
prospettiva di miglioramento anche a lei. Dotata di pragmatismo e di spirito di
conservazione, Adriana ha un modo di agire immediato e spontaneo. Ed è proprio
questa sua innata forma di libertà interiore a far sì che resistenza e complicità
cementino la loro sorellanza:
Ci siamo fermate una di fronte all’altra, così sole e vicine, io immersa fino al petto
e lei al collo. Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo
grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci
somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere
gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate. (p.163)

Sta in questo grumo complesso e non scontato di relazioni l’aspetto più riuscito
del romanzo e l’ingrediente che convince anche il lettore “esperto” a dare credito
alla voce genuina di una scrittrice che sa raccontare il mondo femminile senza
semplificarlo o banalizzarlo. Che si tratti di madri o di sorelle, insomma, la
scrittura di Di Pietrantonio è più vicina all’«adorazione fantastica» di Morante che
all’«effetto Ferrante […] netto e studiato» suggerito da Simonetti (G. Simonetti,
Un Campiello di storie (e lettori) forti in
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2017-09-04/un-campiello-storie-e-
lettori-forti-133429.shtml?uuid=AEbwv6LC ).

TAG: Donatella Di Pietrantonio, L’Arminuta, Bella mia, Mia madre è un fiume,


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