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Il Martinismo è, senza dubbio, una delle correnti iniziatiche più profonde e valide
dalla Tradizione occidentale. Pur essendo nato, nella sua forma attuale, solamente
nel tardo XIX secolo per volontà di Gérard Encausse (meglio conosciuto come
Papus) e di Augustin Chaboseau, esso affonda le sue radici nelle Iniziazioni
antiche e si ispira alle opere immortali di grandi Iniziati del calibro di Emanuel
Svedenborg, Jacob Böhme, Martinez de Pasqually.
È però all’opera e agli insegnamenti di Louis-Claude de Saint-Martin che il
Martinismo si ispira in modo particolare, tanto che lo stesso termine “Martinismo”
deriva dal suo nome. Saint-Martin, il quale si firmava “Filosofo Incognito” poiché i
suoi insegnamenti non venivano da lui, ma dall’alto, ci ha lasciato diverse opere
nelle quali, partendo dagli insegnamenti del suo Maestro Martinez de Pasqually e
di altri Iniziati, dà vita a un complesso filosofico e spirituale di grande portata. Le
sue opere sono ispirate, cariche di misticismo e di una forza notevole, e proprio per
questo non sono di semplice comprensione e di facile utilizzo.
A tale scopo ci viene in aiuto il libro “LOSPIRITO E LA RAGIONE nell’Opera di
Louis-Claude de Saint-Martin”, scritto da Sâr Parzival (al secolo Alex lo Vetro,
Superiore Incognito Iniziatore e Gran Maestro eletto dell’OrdineMartinista
Collegium Fraternitatis) per i tipi della casa editrice Tipheret. Il testo,
centosessantaquattro pagine in tutto, è un’agile, ma non per questo superficiale,
guida al pensiero del Saint-Martin, ideale come primo approccio a chi voglia
addentrarsi nel mondo del Martinismo e della sua filosofia. Vediamo alcuni dei
punti trattati.
L’analisi di Sâr Parzival parte da un accenno all’importanza della “Linea
Tradizionale” nel mondo iniziatico. Una certa istituzione non si può dire iniziatica
se non discende da una linea valida di passaggio dell’Iniziazione stessa, da
Iniziatore a Iniziato, secondo le regole proprie dell’Istituzione:
Il grande quesito delle società iniziatiche contemporanee verte sul fatto nodale
dell’autenticità tradizionale, ovvero quella linea continua e ininterrotta di
trasmissione che fa capo alla tradizione primordiale, l’alba degli uomini di intelletto
o addirittura la proto storia, in cui l’uomo era un tutt’uno con il Divino.[1]
Vediamo che pur essendo l’Unità tripartita, per così dire divisa in tre persone,
mantiene il suo carattere di Unità Prima, ma si manifesta nell’uomo e nella natura
mediante le sue tre facoltà divine.[6]
Definirei quindi che il pensiero dell’autore del Vangelo di Giovanni avrebbe forse
inteso le prime tre sfere dell’Oz Chim quali:
Anche l’accenno dell’Evangelista alla Luce che venne nel mondo e non fu accolta è,
a parere dell’autore, un rimando alle tesi gnostiche. Questo verso dimostrerebbe
come l’Evangelista fosse a conoscenza della prevaricazione e del volontario rifiuto
della Legge Divina da parte degli Spiriti ribelli prima e dell’Uomo poi.
Interessante anche l’accenno a San Giovanni Battista, visto come il tipo dell’uomo
di desiderio, colui cioè che comprende, ma che ancora non ha compiuto l’Opera. Il
Battista è colui che prepara la venuta di qualcuno più grande di lui, quel Gesù che è
il nuovo Adamo:
Gesù detto il Cristo è del tipo di Adamo e di Abele, chi non riconosce il suo crimine
è del tipo di Caino che è del tipo degli angeli prevaricatori. Il Cristo visto in
maniera universale come Verbo del Padre può farsi carne in ogni uomo, poiché il
Cristo è la vera essenza riparatrice che influì sul pentimento di Adamo e deve
influire sul nostro.
«E il Verbo si fece carne». Giovanni è l’uomo giusto che rende testimonianza della
Verità. Giovanni è l’uomo di desiderio, Gesù è il Nuovo Uomo mentre il Cristo è
l’Uomo-Spirito.[8]
Da notare come, in linea con gli autori gnostici, anche qui non si identifichi in modo
biunivoco Gesù con il Cristo. Il primo è l’involucro di carne, l’essere umano in cui il
secondo, potenza universale ed eterna, è disceso per dare inizio alla nuova epoca e
portare la Parola del Riparatore. Quello stesso Cristo, però, può manifestarsi in ogni
uomo:
Il Cristo visto in maniera universale come Verbo del Padre può farsi carne in ogni
uomo, poiché il Cristo è la vera essenza riparatrice che influì sul pentimento di
Adamo e deve influire sul nostro.[9]
Molti altri aspetti trattati nel testo sarebbero degni di nota, ma lo spazio di una
recensione non ne dà la possibilità. Lascio quindi al lettore il piacere di scoprire gli
altri tesori che Sâr Parzival ha nascosto nel suo pregevole lavoro.
Veniamo ora alle “note dolenti”. Nella lettura del testo ho colto un paio di
imprecisioni, cose da poco, che ritengo, però, utile segnalare, sia per il lettore, sia
per l’autore stesso che, in un’eventuale nuova edizione, potrebbe trarre spunto da
queste mie modestissime considerazioni.
Nel terzo capitolo leggiamo:
Dopo di che segue una trattazione del concepimento di Gesù e del simbolismo della
verginità della Santissima Madre di Dio. È nostra impressione che si sia fatta
confusione tra l’”Immacolata Concezione”, che indica l’essere nata senza traccia di
peccato originale, e quindi immacolata, di Maria, con il “Concepimento Virginale”
che riguarda invece la nascita di Gesù. Una svista che, in ogni caso, non inficia il
valore del discorso e l’analisi del simbolismo che l’autore porta avanti.
Pico della Mirandola e più specialmente il Reuchlin nel suo De verbo Mirifico
avevano cercato di armonizzare la cabala ed il cristianesimo. Reuchlin, seguito da
Agrippa, fondava questa sua teoria soprattutto sulla scoperta che la shin, simbolo
del fuoco, e quindi dello Spirito Santo posta nel centro delle quattro lettere del
tetragrammaton, il nome sacro ebraico, lo trasformava nel nome sacro della nuova
rivelazione, il nome di Gesù. È un vero e proprio errore di ortografia ebraica
scusabile in Reuchlin ed Agrippa, data la scarsa conoscenza dell’ebraico in quei
tempi. Ma esso si è perpetuato con la pertinacia caratteristica degli errori, grazie al
Kirker ed a Agrippa, al Khunrath ed al Saint-Martin, al Guaita ed al Papus. Ed
esistono, oggi, degli ordini illuministici, gnostici, martinisti…, che pretendono
rappresentare la tradizione iniziatica occidentale, cabalistico-cristiana, e che a
questo effetto ritengono opportuno basare tutta la loro sapienza sopra quest’errore
madornale della shin nel tetragramma. Scherzi dai residui sentimentali.[11]
Meglio dunque spazzar via ogni dubbio. Il nome “Jeshua” è composto, nella sua
grafia ebraica, dalle lettere Iod Shin Vau Ayin. Il pentagramma risulta invece dalla
discesa della Shin al centro del Sacro Tetragrammaton che indica l’ineffabile e
impronunciabile nome del Padre (Iod He Vau He). La Shin, indicante lo Spirito,
discendendo nel centro del Tetragrammaton indica il manifestarsi del Riparatore.
Tale simbolismo è ben analizzato dall’autore che ricollega le lettere del
Tetragrammaton e del Pentagramma Cristico agli elementi:
La mia opinione personale è che Martinez fu un araldo delle “cose del cielo” che i
suoi istruttori siano stati i così detti Capi Segreti o Superiori Incogniti, e che come
altri grandi iniziati del tempo passato fu una guida per svegliare l’umanità
dall’affanno di ricostruire il Tempio.[13]
Emanuele Balsamo