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I PROMESSI SPOSI
Alessandro Manzoni, per la scrittura del suo romanzo, si ispira al romanzo storico “Ivanhoe” di
Walter Scott.
Il punto di partenza del romanzo storico è fare agire personaggi storici con personaggi di fantasia e
ricostruire gli aspetti di una società del passato. Questo significava analizzare i costumi e la
situazione economica e sociale, per questo Manzoni studia con rigore la società del periodo che
intende descrivere: il Seicento.
Manzoni pubblica tre diverse edizioni che si differenziano non solo per il contenuto ma anche per
l’aspetto linguistico. L’autore cercava una lingua comprensibile a tutti, alla persone colte e ai ceti
meno elevati perché voleva che il suo romanzo avesse un vasto pubblico. Serviva una lingua
moderna, comprensibile su vasta scala e siccome non c’era ancora, se la crea.
La PRIMA EDIZIONE: fu pubblicata tra il 1821 e il 1823 e si intitolava Fermo e Lucia. La lingua
usata era un toscano letterario, ricco di termini lombardi, francesismi e latinismi. Era una lingua
ancora troppo lontana dalla realtà concreta.
La SECONDA EDIZIONE: fu pubblicata tra il 1824 e il 1827. L’autore interviene sui contenuti a
partire dal titolo. Per la lingua sceglie il toscano parlato.
La vicenda narrata si svolge dal 7 novembre 1628, quando Don Abbondio incontra i bravi e il 1630,
quando si celebra il matrimonio tra Renzo e Lucia.
Si individuano diversi fili narrativi. Quello principale è la storia tra Renzo e Lucia che fa spazio a
diverse digressioni come i flashback, che ci fanno conoscere la storia di alcuni personaggi come la
Monaca di Monza oppure percorsi storici, come la diffusione della peste.
IL MANOSCRITTO RITROVATO
Manzoni finge di aver ritrovato un manoscritto anonimo risalente al Seicento e di averlo trascritto in
lingua moderna. La finzione del manoscritto ritrovato serve per accrescere l’impressione di
veridicità dei fatti e di creare un doppio punto di vista, quello del narratore che si inserisce nel
racconto con i propri giudizi morali, civili, politici, inoltre può essere ironico, affettuoso e partecipe,
sarcastico, e il punto di vista dell’anonimo.
I promessi sposi si aprono con un’introduzione nella quale l’autore parla in prima persona. Manzoni
finge di aver ritrovato il «dilavato e graffiato autografo» di un anonimo scrittore del Seicento: un
racconto di «fatti memorabili» accaduti a «gente meccaniche, e di piccol affare» (“persone umili e
di poca importanza”) quando l’Anonimo era giovane («avvenuto ne’ tempi di mia verde staggione»
a.s 2019/2020 Letteratura Italiana Marconi
secondo la grafia secentesca che Manzoni riproduce). Il problema – scrive Manzoni – è che lo stile
dell’Anonimo è dozzinale, sguaiato, scorretto.
Nell’atto però di chiudere lo scartafaccio, per riporlo, mi sapeva male che una storia così bella
dovesse rimanersi tuttavia sconosciuta; perché, in quanto storia, può essere che al lettore ne paia
altrimenti, ma a me era parsa bella, come dico; molto bella. “Perché non si potrebbe, pensai,
prender la serie de’ fatti da questo manoscritto, e rifarne la dicitura?” Non essendosi presentato
alcuna obiezion ragionevole, il partito fu subito abbracciato. Ed ecco l’origine del presente libro,
esposta con un’ingenuità pari all’importanza del libro medesimo.
Taluni però di que’ fatti, certi costumi descritti dal nostro autore, c’eran sembrati così nuovi, così
strani, per non dir peggio, che, prima di prestargli fede, abbiam voluto interrogare altri testimoni; e
ci siam messi a frugar nelle memorie di quel tempo, per chiarirci se veramente il mondo
camminasse allora a quel modo. Una tale indagine dissipò tutti i nostri dubbi: a ogni passo ci
abbattevamo5 in cose consimili, e in cose più forti: e, quello che ci parve più decisivo, abbiam
perfino ritrovati alcuni personaggi, de’ quali non avendo mai avuto notizia fuor che dal nostro
manoscritto, eravamo in dubbio se fossero realmente esistiti. E, all’occorrenza, citeremo alcuna di
quelle testimonianze, per procacciar fede alle cose, alle quali, per la loro stranezza, il lettore sarebbe
più tentato di negarla.
L'ANONIMO È troppo bella la storia raccontata dall’Anonimo per condannarla all’oblio: meglio
riscriverla, cambiando lo stile. Si spiega in questo modo il frontespizio del libro: I promessi sposi.
Storia milanese del
secolo XVII scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Prima di dare corso alla sua intenzione,
Manzoni ha due problemi. Il primo è di sostanza. Siccome le vicende narrate sembrano poco
credibili, Manzoni fa ricerche per assicurarsi che siano vere: nel corso di esse, trova testimonianze
che confermano l’esistenza di alcuni personaggi del racconto. Il secondo problema è proprio lo stile.
Manzoni ammette che, dopo aver detto che il «modo di scrivere» dell’Anonimo è inaccettabile,
dovrebbe giustificare minutamente il proprio. E sarebbe anche pronto a farlo: ha buoni argomenti e
sa ribattere a ogni possibile critica o obiezione. In questo modo, però, dovrebbe scrivere un secondo
libro:
Veduta la qual cosa, abbiam messo da parte il pensiero, per due ragioni che il lettore troverà
certamente buone: la prima, che un libro impiegato a giustificarne un altro, anzi lo stile d’un altro,
potrebbe parer cosa ridicola: la seconda, che di libri basta uno per volta, quando non è d’avanzo.
L'IRONIA Manzoni conclude l’introduzione con uno degli ingredienti tipici del suo stile: l’ironia.
In questo caso l’ironia è indirizzata non verso i personaggi, come sarà nel corso della narrazione,
ma verso se stesso. E non è l’unico caso in cui Manzoni è autoironico. Un passo molto famoso si
legge già nel capitolo i: «Pensino ora i miei venticinque lettori che impressione dovesse fare
sull’animo del poveretto [Don Abbondio], quello che s’è raccontato». I venticinque lettori sono
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diventati proverbiali: un libro che è costato tanti sforzi troverà così pochi lettori... È un esempio
tipico di quella modestia che spesso gli artisti fingono di possedere; in questo caso, però, il tono
garbato di Manzoni la rende credibile (ma è una modestia che il tempo rivelerà essere fuori luogo: i
Promessi sposi sono stati il romanzo più letto, amato, celebrato del secolo XIX).
I PERSONAGGI
CETO POPOLARE: del quale fanno parte Renzo e Lucia. Le avventure che Renzo vive
costituiscono un percorso di formazione e di crescita. Lucia compie un percorso di maturazione
subendo l’ingiustizia e il male del mondo. Entrambi sono stati strappati dalla loro quotidianità per
essere gettati in circostanze più grandi di loro per poi trarre un insegnamento.
CLASSE MEDIA: è legata al potere per esempio il Dottor Azzeccagarbugli e Don Abbondio non
sono mediatori di giustizia ma scendono a compromessi con il più forte.
Tra i potenti troviamo Don Rodrigo e l’Innominato che dopo un lungo percorso alla fine si converte
al bene.
MESSAGGIO DEL ROMANZO: l’ideale di giustizia si realizza solo nel Regno dei cieli, sulla
terra si deve agire con energia per contrastare quei sopprusi che rendono difficile la convivenza.