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Laboratorio Kai Zen

Serie guide alla letteratura 2.0: La Scrittura Collettiva

in collaborazione con “Kai Zen Clan”

Una produzione Storia Continua


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Indice

1. Come nasce un collettivo di scrittura........................................................................... pag. 3

2. Cos'è la scrittura collettiva........................................................................................... pag. 5

3. Come scrivere un romanzo collettivo.......................................................................... pag. 7

4. Lo scaffale dei libri degli autori collettivi.................................................................... pag. 8

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Come nasce un collettivo di scrittura
storia del Kai Zen Clan

kai Zen nasce il giorno della presentazione del suo primo libro. Bizzarro ma vero. Nel lontano 2003
un sito locale emiliano in collaborazione con Wu Ming ha lanciato in rete un romanzo da costruire
insieme, online. Hanno fornito un incipit e dato libero sfogo agli internauti, scegliendo poi i capitoli
che man mano avrebbero proseguito la storia, tra quelli arrivati.

Tre dei Kai Zen parteciparono all’iniziativa, non conoscendosi, ognuno da casa propria.
L’esperimento fu ben riuscito, e una piccola casa editrice di Imola, la Bacchilega, decise di
pubblicare il racconto. Ne è uscito ‘Ti chiamerò Russell‘, romanzo che ci ha permesso di conoscerci
di persona, durante la sua presentazione alla biblioteca di Imola nel 2003.

Ci siamo piaciuti e ci siamo scambiati l’indirizzo email. Poi da casa abbiamo cominciato a
bombardarci di idee, progetti, proposte. Tra queste, una ci ha colpito molto: quella che poi diventerà
‘La strategia dell’ariete‘, il nostro primo romanzo. E abbiamo cominciato a lavorarci. Poi ci siamo
incontrati una prima volta a Bologna, eravamo in 4, abbiamo discusso per bene del romanzo che
stavamo scrivendo, e lì è nato in concreto il Progetto kai zen. Ci sono voluti un paio di annetti per
conoscerci e carburare bene. Poi sono arrivate le pubblicazioni e il resto.

In sostanza, siamo 4 persone diverse, con immaginari, stili di vita e gusti diversi, con attitudini
differenti che siamo riusciti, negli anni, ad amalgamare bene. Il primo passo è stata la fiducia
reciproca, e l’amicizia. Senza questi due elementi non avremmo potuto mai condividere dei
progetti. E piano piano è arrivata la consapevolezza che, forse, dato che uno era bravo con la
creatività, uno con la concretezza, uno con la raffinatezza del linguaggio ecc. potevamo davvero
funzionare come una band, e in più influenzarci a vicenda, migliorandoci . Potevamo mettere a
disposizione del gruppo le nostre individualità. Condividere un progetto, così come 4 colleghi che
hanno casa, famiglia e vita privata, condividono una piccola società in un settore lavorativo. Noi lo
abbiamo fatto con la scrittura.

Ci sono due ‘dipartimenti’ all’interno di kai zen. Uno è quello della formazione a 4 ‘fissa’, noi 4,
quelli che pubblicano romanzi a nome ‘Kai Zen’. L’altro è quello più sperimentale dei Romanzi
Totali, delle iniziative online aperte a tutti, sull’esperienza di ‘Ti chiamerò Russell’, che noi negli
anni abbiamo affinato e migliorato, arrivando alla pubblicazione cartacea di altri due romanzi

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‘collettivi’: ‘La Potenza di Eymerich’ e ‘Spauracchi‘, nei quali la comunità di navigatori che ci ha
seguito nell’iniziativa si è vista pubblicare i loro capitoli e – in alcuni casi – ha formato a sua volta
gruppi di scrittura collettiva. Come vedete, il virus virtuale è contagioso.

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Cos'è la scrittura collettiva
giocare al mestiere di scrivere

Ci hanno sempre insegnato che lo scrittore è una sorta di penna divina, da lasciare in pace per far sì
che trovi il flusso magico di ispirazione, seduto da solo là sul cucuzzolo del Monte della Sapienza.

Ci hanno sempre detto che ci sono autori immensi, dal talento infinito, costante e inarrivabile. Che
questi autori producono libri di 500 pagine ogni anno, massimo due. Possiamo anche crederci, se ci
fa comodo, ma in realtà la scrittura non è mai un processo puramente individuale.

Ci sono editor, collaboratori, confidenti. Anche chi eventualmente scrive da solo ogni tanto scende a
prendersi una birra, conosce gente, si confronta. Poi torna alla sua scrivania con una nuova idea, una
nuova ispirazione. Questa è già scrittura collettiva, ovviamente in stato embrionale.

Il punto è che una buona idea difficilmente arriva diretta da un singolo pensiero individuale. Molto
più spesso è un’amalgama di punti di vista, un mix di immaginari, ispirazioni, trovate. Anche nella
scrittura è così, per noi Kai Zen.

Le idee che condividiamo sono spesso e volentieri migliori delle possibili idee individuali che
potremmo avere. La scrittura collettiva è una forma di scrittura che allarga al mondo letterario gli
stessi approcci della troupe cinematografica e della band rock. Kai Zen è come una band.
Funziona come una band.

Tra l’altro, così facendo, la scrittura non solo è più ‘divertente’, ma si avvicina molto di più alle
possibilità di ciascuno di noi e di voi internauti: più che concepire, pianificare e realizzare un
romanzo tutto da soli, qui si tratta di discutere, condividere, suddividere i compiti tra un gruppo di
persone. Altrimenti la figura dello scrittore rimane uno status inarrivabile per la maggior parte di
noi, è un falso storico, come dicevamo sopra.

Invece, nella scrittura c’è bisogno di tante cose diverse, uno non se l’aspetterebbe neanche: idee,
coerenza, fantasia, concretezza, descrizioni, dialoghi, personaggi, ambientazioni, ritmo,
verosimiglianza, vocabolario, comunicatività e via dicendo. Difficile che una persona possa essere
tutto questo, se non si tratta di un grande della nostra epoca. Più facile che un gruppo di persone
possieda qualità diverse e, se si mette a lavorare insieme, possa sfruttarle tutte al meglio.

L’amalgama costa fatica, ovvio. Non sempre riesce, altrettanto ovvio. Ma vale sempre la pena e –

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forse – è l’unica forma possibile, se non ci si sente già da soli grandi scrittori.

L’approccio ludico al mestiere di scrivere che si riscontra negli autori collettivi – spiega Kaizeng nel
suo intervento al convegno MOD 2009 su “Autori, lettori e mercato nella modernità letteraria” –
non incide solo sull’organizzazione del lavoro, ma si riflette nella disponibilità a mettere in gioco il
proprio ruolo di scrittore in un confronto continuo fra componenti del collettivo e soggetti esterni a
esso (lettori, altri scrittori, critici).

Una disponibilità che probabilmente deriva dalla stessa consuetudine all’utilizzo della rete
informatica come strumento di espressione. Uno strumento, la Rete, che per sua stessa natura
comporta una costante verifica e messa in discussione di ogni dato che vi viene introdotto, perché
nulla e nessuno, in rete, può sottrarsi a un dibattito potenzialmente infinito.

Ciò comporta un esorcismo dell’autore rispetto al suo ruolo, che viene inteso non più con la
sacralità e l’inviolabilità che lo hanno troppo spesso sclerotizzato. L’autore, al contrario, accetta di
nuovo la responsabilità di fornire una propria lettura del mondo e recupera così un ruolo centrale
nella sua stessa comunità: raccontare per stimolare il cervello di chi ascolta.

Nell’epoca della cultura partecipativa e del cosiddetto web 2.0, si ricorre al racconto come strategia
di resistenza intellettuale, un rito di aggregazione da cui possano germinare riflessione e
consapevolezza. Un’idea di narrativa che è alla base del progetto originale di Luther Blissett. Una
rivoluzione che usa le storie, la capacità di trasmetterle attraverso canali inusuali e di costruirle
mescolando realtà e invenzione, per elaborare una nuova mitopoiesi e determinare un cambio di
atteggiamento nei destinatari della comunicazione.

Un costante invito a rifiutare la passività imposta da un sistema informativo e di intrattenimento


unidirezionale attraverso il ribaltamento dei ruoli: “L’unica alternativa per non subire una storia è
raccontare mille storie alternative”.

Simili operazioni sono possibili grazie alle licenze sul diritto d’autore di cui gli autori collettivi di
solito si avvalgono, le cosiddette licenze creative commons. Un aggiornamento del vetusto diritto
d’autore, che elimina le limitazioni alla copia e diffusione dell’opera originale, moltiplicandone le
occasioni di conoscibilità e di germinazione, dalla stessa, di opere collaterali.

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Come scrivere un romanzo collettivo
il metodo Kai Zen

Non esiste un solo modo di scrivere in collettivo, ovviamente. Il “metodo” Kai Zen si differenzia in
due tipi, a seconda che si scriva un romanzo tradizionale a partecipazione chiusa oppure uno di
quegli esperimenti di Romanzo totale.

Nel primo caso strutturiamo innanzitutto una trama, in genere badando a distinguere più linee
narrative da intrecciare fra loro. Nella seconda fase, ciascuno di noi scrive seguendo una delle linee
narrative e invia i capitoli o anche i semplici paragrafi agli altri non appena li ha finiti, in modo che
gli altri possano immediatamente metterci le mani e restituirglieli corretti, modificati, glossati, per
ottenere nel più breve tempo possibile una versione implementata. Questo avviene a ogni riscrittura
o semplice revisione per ciascuno dei Kai Zen: lo stile KZ nasce così. Un amalgama basata
sull’obiettività. Infine si monta tutto quanto e si avvia una nuova fase di editing.

I Romanzi Totali invece, li progettiamo in modo più libero. Scriviamo un primo capitolo, un
canovaccio di trama abbastanza generico, un bestiario (ossia un elenco di possibili personaggi da
utilizzare con relative caratteristiche, aspetto fisico, inclinazioni ecc.) e seguiamo lo sviluppo della
storia proseguita da chi partecipa all’esperimento con cadenze precise. Se necessario, interveniamo
con qualche direttiva qua e là per tenere la barra della narrazione ben dritta, un po’ come un regista,
più che come uno scrittore.

Questi appena descritti non sono, come detto, le uniche vie. Ad esempio c’è un metodo elaborato da
Gregorio Magini e Vanni Santoni chiamato S.I.C., Scrittura Industriale Collettiva, che si basa
sulla compilazione di schede narrative da parte dei vari partecipanti al progetto, le quali vengono
poi gestite da un direttore artistico che non scrive ma si limita a coordinare il tutto.

L’organizzazione, la pazienza e la capacità di prendere la giusta distanza da ciò che si scrive sono
comunque e sempre i requisiti più importanti per uno scrittore collettivo. La regola numero 1 è non
innamorarsi delle proprie parole, non scandalizzarsi a vederle violentate dall’intervento altrui.
L’intervento del compagno di scrittura nove volte su dieci è migliorativo e bisogna accettarlo di
buon grado. Certo, bisogna trovarsi dei compagni di cui ci si fida. Questo è il minimo.

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Lo scaffale dei libri degli autori collettivi

Non ci sembra ci sia molto in circolazione, forse solo delle tesi di laurea sui singoli casi come Wu
Ming, Kai Zen o Scrittura Industriale Collettiva. Non esistono manuali o sussidiari della
scrittura collettiva, si tratta di trovare l’equilibrio di gruppo e capire quale modalità è la più vicina a
ciò che si vuole produrre. Semmai potrebbe essere interessante osservare i libri dei vari collettivi
(tra cui Paolo Agaraff e i progetti di romanzo totale) cercando di cogliere meccanismi, idioletti e
modalità.

Alcuni di noi Kai Zen hanno fatto interventi pubblici sul tema della scrittura a più mani. Per
esempio, sempre Guglielmo Pispisa al convegno MOD nel suo intervento intitolato “Scrittura
collettiva e superamento del narcisismo autoriale: un fenomeno in crescita”, spiega:

Il fenomeno ha acquisito peso e credibilità editoriale soprattutto con la pubblicazione per Einaudi
del romanzo Q del collettivo Luther Blissett. Dal medesimo gruppo, rinominatosi dal 2000 Wu
Ming, sono venuti altri romanzi e saggi letterari come il recente New Italian Epic “Letteratura,
sguardo obliquo, ritorno al futuro” che ha destato un dibattito molto animato e in taluni casi aspro.
Wu Ming è l’autore collettivo più noto e influente del panorama culturale italiano e internazionale,
quello che per coerenza di pensiero e d’azione, per qualità di scrittura e per successo di pubblico ha
portato alla ribalta mediatica il fenomeno contribuendo a imporlo all’attenzione della grande
editoria.

Nell’esaminare il fenomeno della scrittura collettiva e la sua montante visibilità, però, ritengo sia
utile partire da due opere episodiche e malriuscite, che ricevettero una notevole attenzione dai
media ma non raggiunsero numeri di vendita importanti, e cioè “2005 dopo Cristo” di Babette
Factory e “Il mio nome è nessuno“, Global Novel, di autori vari riuniti per l’occasione (nemmeno
individuati da un’unica sigla o nom de plume).

In questi due esempi alcuni autori individuali, quattro nel primo caso (Nicola Lagioia, Francesco
Longo, Francesco Pacifico, Christian Raimo) e quattordici nel secondo (Niccolò Ammaniti, Michel
Faber, Antonio Skármeta, Juan Manuel de Prada, Aris Fioretos, Alèxandros Assonitis, Lena Divani,
Feride Cicekoglu, Yasmina Khadra, Pavel Kohout, Arthur Japin, Ingo Schulze, Etgar Keret,

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Ghiorgos Skourtis), collaborarono a un progetto comune per una sola volta. Dopo la stampa delle
opere realizzate, e forse anche per il limitato riscontro di pubblico, quelle esperienze non ebbero
seguito, a testimonianza della loro occasionalità. In entrambi i casi, probabilmente, gli autori non
avevano mai davvero abbandonato, o quantomeno messo da parte in via temporanea, il loro abito di
scrittori individuali.

Più interessante, su una simile linea metodologica leggera, allora, è senza dubbio un altro romanzo
collettivo ripubblicato sempre nel 2005, a riprova dell’attenzione dedicata in quell’anno alla
scrittura collettiva, ma scritto e dato alle stampe per la prima volta nel 1929: “Lo zar non è morto”
del Gruppo Letterario dei Dieci, composto da Filippo Tommaso Marinetti, Massimo Bontempelli,
Antonio Beltramelli, Lucio D’Ambra, Alessandro De Stefani, Fausto Maria Martini, Guido
Milanesi, Alessandro Varaldo, Cesare Viola, Luciano Zuccoli. La ristampa fu un’operazione
editoriale condotta dallo scrittore Giulio Mozzi, che, fin dalla sua prefazione al romanzo, si premura
di sottolinearne il carattere di puro intrattenimento, di sarabanda narrativa in salsa fascista la cui
forza risiede nella grande capacità affabulatoria della trama, in barba a quanto solitamente più
apprezzato da critici e accademie. Uno sberleffo palese alla cosiddetta letteratura alta.

I casi in cui la scrittura collettiva viene interpretata come sperimentazione compositiva fine a se
stessa si esauriscono in breve. Anche perché, come dimostra pure l’esempio del Gruppo dei Dieci,
non si tratta di percorsi del tutto nuovi e originali, ma di riletture di metodologie già esperite in
passato. Quando la scrittura collettiva è solo un vezzo o un gioco di società, esaurita la spinta ludica
iniziale, il fenomeno è destinato a spegnersi in fretta, perché non è considerato, nemmeno dai suoi
stessi interpreti, come una reale occasione di crescita intellettuale e artistica.

Un salto di qualità si verifica quando gli individui che costituiscono l’autore collettivo accettano di
buon grado che le regole di questo “gioco” trascendano le diverse individualità, così contribuendo
alla costruzione dell’opera.

L’autore collettivo Paolo Agaraff è uno degli esempi più evidenti di un simile processo. Costituito
da tre scrittori, Gabriele Falcioni, Roberto Fogliardi e Alessandro Papini, che hanno pubblicato per
Pequod due romanzi (Le rane di Ko Samui e Il sangue non è acqua) dando vita a una inedita, per
l’Italia, forma di narrativa fantastica con accenti lovecraftiani e al contempo toni umoristici.
Ulteriore elemento di originalità è dato dal fatto che entrambi questi romanzi sono stati sviluppati e
diffusi dagli autori anche sotto forma di giochi di ruolo, e anzi il loro secondo libro, “Il sangue non
è acqua”, è nato prima come gioco di ruolo e solo in un secondo momento è stato elaborato in forma
letteraria.

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Il concetto di gioco di ruolo viene ripreso anche da Wu Ming 1 in un’intervista rilasciata a Henry
Jenkins e apparsa sul suo blog, nella quale l’autore, parlando delle strategie del lavoro dei Wu Ming
e dell’identità multipla Luther Blissett (il cosiddetto “condividuo”) così ne spiegava la genesi:
“Perché non far partire un gioco di ruolo completamente nuovo, usando tutti i media disponibili al
momento, per diffondere la leggenda di un nuovo eroe popolare, alimentato dall’intelligenza
collettiva?”

Pur muovendo da un approccio meno programmatico e militante nel campo del “mediattivismo”
rispetto a Wu Ming, l’ensemble narrativo Kai Zen (del quale faccio parte) è nato proprio da uno di
questi momenti aggregativi. A romanzi per così dire “classici”, con una struttura chiusa e realizzati
unicamente dai quattro effettivi, si affiancano progetti più sperimentali e aperti, che nascono e
vengono sviluppati col supporto di un sito internet dedicato.

Una simile abitudine non incide solo sull’organizzazione del lavoro, sulla astratta metodologia da
applicare, ma si riflette nella disponibilità, mi si passi il calembour, a mettere in gioco il proprio
ruolo di scrittore in un confronto continuo fra i componenti del collettivo e con soggetti esterni a
esso (lettori, altri scrittori, critici). Una disponibilità che è generalmente comune a tutti gli autori
collettivi più dinamici e che probabilmente deriva dalla stessa consuetudine all’utilizzo della rete
informatica come strumento di espressione.

Si pensi ancora al già citato memorandum sul “New Italian Epic” pubblicato solo in una versione
riveduta e corretta in virtù delle riflessioni alimentate dal dibattito allargato verificatosi in rete. O ai
racconti ulteriori e rizomatici aggiunti, a cura dei lettori, sul sito dedicato da Kai Zen al romanzo La
strategia dell’ariete, all’iniziativa simile di Wu Ming per il romanzo Manituana, o ai romanzi aperti
(di Kai Zen o del metodo S.I.C.).

Storia Continua vi invita ad aggiungere a questo scaffale già ben fornito, i vostri libri collettivi
preferiti. Segnalateci quelli che avete letto e consigliereste agli altri lettori. La discussione è aperta.

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