Sei sulla pagina 1di 44

Tra i molti modi in cui si può definire la Grande guerra vi è

“Qualcosa di immane”

LIBARDI - ORLANDI - SCUDIERO


anche “la guerra delle avanguardie”. Il periodo che ne pre-
cede lo scoppio vede il radicale mutamento dello statuto l’arte e la grande guerra
sociale degli artisti e apre l’epoca dei movimenti organizzati
e dei manifesti. Espressionismo, Cubismo, Futurismo, Vor-
ticismo, e la complessa galassia delle avanguardie russe
definiscono le proprie poetiche prima del 1914 e in questa
stagione hanno le proprie radici Dadaismo e Surrealismo.

Molti degli esponenti delle avanguardie si arruolarono en-


tusiasticamente e molti di loro caddero nelle trincee della
vecchia Europa. Ma soprattutto dipinsero e raccontarono la
guerra con i linguaggi delle arti figurative, dando luogo a
una produzione artistica che non ha l’eguale in nessun altro
conflitto.

“Qualcosa di immane” racconta la Grande guerra attraver-


so un imponente apparato iconografico. Il punto di partenza

“QUALCOSA DI IMMANE”
sono i pittori che in qualche modo hanno presagito e raffi-
gurato l’apocalisse che si stava preparando. Sezioni speci-
fiche riguardano i futuristi italiani, l’avanguardia russa e il
corpo dei Kriegsmaler. Infine una serie di blocchi tematici:
i ritratti e gli autoritratti, la vita al fronte, le trincee e i com-
battimenti, i paesaggi, i feriti, i prigionieri e i profughi.

ISBN 978-88-97634-05-8

E 68,00 SILVY edizioni


MASSIMO LIBARDI FERNANDO ORLANDI MAURIZIO SCUDIERO

“Qualcosa di immane”
l’arte e la grande guerra
© 2012 by Silvy Edizioni

Silvy Edizioni
38050 Scurelle (TN) - Italy
tel_ +39 0461 763232
fax_ +39 0461 763007
internet: www.silvyedizioni.com
e-mail: info@silvyedizioni.com

ISBN: 978-88-97634-05-8

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale o per uso interno o didattico,
con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la fotocopia, non autorizzata.
Sommario

ROBERT MUSIL CAMERATI, COLLABORATE! 7


PRESENTAZIONE 9
MASSIMO LIBARDI E FERNANDO ORLANDI L’APOCALISSE DEL MODERNO:
LE TRASFORMAZIONI CULTURALI DELLA GRANDE GUERRA 11
Gli oscuri fermenti del nuovo secolo 11
I sismografi della fine del mondo 14
L’entusiasmo della mobilitazione 24
Il disinganno e l’orrore 37
Esperienza e guerra 43

NICOLETTA DACREMA ANCORA GUERRA, ANCORA PROPAGANDA 54



MASSIMO LIBARDI E FERNANDO ORLANDI I KRIEGSMALER 73
Guerra e pittura 73
I Kriegsmaler 77
I temi 83
Le mostre 86

FLOAREA VîRBAN L’AVANGUARDIA RUSSA E LA GRANDE GUERRA


SUL FRONTE ARTISTICO: LE DONNE IN PRIMA LINEA 91
Dal modernismo all’avanguardia 94
Le esposizioni e i gruppi artistici prima della guerra 96
Lo spirito di guerra nel periodo antebellico 101
Tempi di guerra 104
L’impatto della guerra sull’Avanguardia 105
Il tema della guerra 107
Natal’ya Goncharova e le immagini mistiche della Guerra 109
Voina di Ol’ga Rozanova 127
Guerra universale 138
Sulla guerra si allunga l’ombra della Rivoluzione 151

ANTONELLA GARGANO TEMPO DI GUERRA: IL COLORE E LE FORME
DELLA BATTAGLIA 153

MAURIZIO SCUDIERO I FUTURISTI ALLA GUERRA 165


Le premesse teoriche. Il pensiero futurista e la guerra 165
Intermezzo. La guerra Italo-Turca, le Guerre Balcaniche e le “parole in libertà” 171
La guerra... La neutralità... L’interventismo 178
La Guerra… Dalla teoria alla pratica: i futuristi al fronte 208
Dopo “Dosso Casina”. La guerra letteraria: cronache da L’Italia futurista 224
La guerra futurista. Finale in pittura 255

APPARATI 262

BIOGRAFIE DEGLI ARTISTI 273

5
PRESENTAZIONE

Tra i molti modi in cui si può definire la Grande guerra vi è anche “la guerra delle
avanguardie”. Il periodo che ne precede lo scoppio vede il radicale mutamento
dello statuto sociale degli artisti e apre l’epoca dei movimenti organizzati e dei
manifesti. Espressionismo, Cubismo, Futurismo, Vorticismo, e la complessa galassia
delle avanguardie russe definiscono le proprie poetiche prima del 1914 e in questa
stagione hanno le proprie radici Dadaismo e Surrealismo.
Molti degli esponenti delle avanguardie si arruolerrano entusiasticamente e
molti di loro caddero nelle trincee della vecchia Europa. Ma soprattutto dipinsero
e raccontarono la guerra con i linguaggi delle arti figurative, dando luogo a una
produzione artistica che non ha l’eguale in nessun altro conflitto.
Il volume racconta questa vicenda seguendo due percorsi paralleli. Il primo
è quello saggistico: si inizia descrivendo l’atmosfera culturale del primo decennio
del Novecento e poi si analizza la struttura della macchina della propaganda. Le
parti successive prendono in esame alcune esperienze particolarmente significative.
Si tratta dell’attività del corpo dei Kriegsmaler austro-ungarici, degli espressionisti
tedeschi, dei futuristi italiani, e delle avanguardie russe.
Il secondo percorso racconta il conflitto attraverso blocchi di immagini. Il
punto di partenza sono i pittori che in qualche modo hanno presagito e raffigurato
l’apocalisse che si stava preparando, in particolare Ludwig Maidner, cui segue una
sezione dedicata all’interventismo e alla mobilitazione. Successivamente è la volta di
alcuni lavori che tentano di concettualizzare o simboleggiare la guerra.
La propaganda e le riviste di guerra sono documentate nella sezione successiva,
con una attenzione particolare rivolta a pubblicazioni quali la Tiroler Soldaten-
Zeitung, Kriegszeit e Blast.
Sezioni specifiche riguardano i futuristi italiani, l’avanguardia russa (con i lavori
di Natal’ya Goncharova e Ol’ga Rozanova, che anticipano i libri d’arte dei decenni
successivi) e il corpo dei Kriegsmaler.
Il percorso ora procede per temi: i ritratti e gli autoritratti, la vita al fronte, la
rappresentazione delle trincee e dei combattimenti, l’aspetto industriale e tecnico
della guerra, i paesaggi, i feriti, i prigionieri, i profughi. Le ultime immagini
raffigurano la fine, la distruzione e la morte.
Il volume si conclude con una selezione di tavole parolibere tratta da L’Italia
futurista (1916-1917).

Gli autori

9
10
L’APOCALISSE DEL MODERNO:
LE TRASFORMAZIONI CULTURALI
DELLA GRANDE GUERRA

MASSIMO LIBARDI E FERNANDO ORLANDI

La mobilitazione, che lacerò il mondo e il pensiero


in maniera tale che fino a oggi non hanno potuto
essere ricuciti, è anche la conclusione del romanzo.
[...] Che ci fu la guerra, e non poteva non esserci è la
somma di tutte le correnti, gli influssi e i movimenti
contrastanti che illustro.1

2 Gli oscuri fermenti del nuovo secolo


Forse il modo migliore per raccontare come la Grande guerra abbia lacerato il
2. Alfred Kubin, La torcia della morte, 1914 mondo è cominciare dalla grande esposizione universale di Parigi inaugurata
3. Albin Egger-Lienz, La danza della morte il 14 aprile del 1900. Più delle altre che a partire dal 1798 si erano svolte in
1809, 1916 Europa o negli Stati Uniti, l’esposizione di Parigi celebrava, al passaggio del
secolo, lo splendore della civiltà europea.2
L’Europa era il centro del mondo, il centro della modernità trionfante e, come
avevano scritto gli organizzatori, l’esposizione aveva il proposito di “inaugurare
3

1 Robert Musil, Diari, Torino, Einaudi, 1980,


p. 1567.
2 In realtà quella del 1789 si chiamava
“esposizione nazionale dell’industria”. La
prima “esposizione universale” fu quella di
Londra del 1851.

11
degnamente il XX secolo e celebrare in tal modo la nuova tappa seguita dal
cammino progressivo della civiltà contemporanea”.3 Qualche decennio prima il
filosofo Hermann Lotze definiva le esposizioni universali “le vere feste del nostro
tempo”.4 L’Europa era anche il centro dell’Occidente, termine che aveva perso
una connotazione puramente geografica, per indicare piuttosto “la dimensione
territoriale della modernità”.5
Ma cos’era la modernità? Per gli europei della svolta del secolo si identificava con
l’idea di un progresso senza fine, con la civiltà industriale, con il dominio dell’uomo
sulle macchine, con un continuo mutamento degli stili di vita, un benessere
crescente, la vita nelle metropoli. L’uomo europeo si percepiva come l’artefice della
società più ricca, potente, colta che mai la storia avesse costruito. Questo era anche 4
il mondo della belle époque, dell’operetta, della gioia di vivere, di una vita spensierata 4. Xenien-Almanach auf das Jahr 1915 [Der
e spumeggiante che sembrava non dovesse avere mai fine. Kriegs-Almanach 1914], Lipsia, Xenien-
Da questo sentire erano tuttavia escluse le moltitudini: gran parte della Verlag, 1914. In antiporta è riportato
popolazione era analfabeta e la vita nelle campagne seguiva ancora ritmi naturali l’opera di Egger-Lienz (tav. 5)
e antiche costumanze. Fu proprio la Grande guerra a mettere a contatto le masse 5. Albin Egger-Lienz, La danza della morte
1809, c. 1914
europee con la tecnica e la complessità dell’organizzazione: il conflitto rappresenò
per milioni di uomini “un corso accelerato e violento di modernità” impartito “in
situazioni estreme di sradicamento e di minaccia per la vita, di sofferenza e di dolore”,
una “dolorosa gestazione del moderno”, di cui la guerra “era insieme figlia e potente
generatrice”.6 L’ingresso nella modernità coincide dunque con l’apprendistato bellico.
Ma se manteniamo lo sguardo sulle metropoli europee, paradossalmente è
proprio in questo periodo che viene coniata l’espressione fin de siécle, che porta con
sé la percezione di un inarrestabile tramonto. L’espressione nata in Francia nel 1888
allude a un secolo moribondo e però, se da un lato introduce all’idea pessimistica
della fine, dall’altro riempie il secolo che sta per giungere di attese e speranze. Il
nuovo secolo era atteso come una svolta epocale ricca di promesse: chi avrebbe
immaginato che in un solo quindicennio questa civiltà europea, “il mondo di ieri”,
sarebbe crollata dando vita a uno dei peggiori periodi di barbarie che il continente
abbia mai visto?
Forse dobbiamo allora chiederci quanto questa rappresentazione della modernità
e l’ottimismo dell’Ottocento che si proiettava sul secolo a venire cogliessero l’intera
realtà. Uno sguardo più attento rivela, celato sotto le apparenti certezze, un
sotterraneo magma incandescente, destinato prima o poi ad aprirsi un varco verso la
superficie e a straripare. Da questo punto di vista alcuni avvenimenti rivestirono un
valore paradigmatico.
Proprio all’inizio del secolo tre imponenti terremoti rivelarono tutta la fragilità
del sogno di potenza dell’uomo. Il 14 aprile 1906 la città di San Francisco fu
completamente rasa al suolo: nonostante il numero limitato dei morti (circa 500)
3 Citato in Emilio Gentile, L’ apocalisse della
l’opinione pubblica mondiale rimase impressionata dalla vastità della distruzione. modernità. La Grande guerra per l’uomo
In agosto fu la volta di Valparaiso in Cile (circa 20.000 morti), ma l’evento più nuovo, Milano, Mondadori, 2008, p. 25.
4 Citato in Walter Benjamin, Parigi capitale
sconvolgente fu il terremoto che il 28 dicembre 1908 cancellò le città di Messina
del XIX secolo. I passages di Parigi, Torino,
e Reggio Calabria, provocando quasi centomila vittime. L’effetto sull’opinione Einaudi, 1986, p. 264.
pubblica fu enorme, la catastrofe ebbe un eco vastissimo: Elias Canetti ricorda il 5 Gentile, L’ apocalisse, p. 35.
6 Antonio Gibelli, L’officina della guerra,
“Terremoto di Messina” come una delle “attrazioni” del Wurstelprater, una sezione
Torino, Bollati Boringhieri, 1991, pp. 10 e
del Prater, di Vienna.7 Max Beckmann subito dopo la catastrofe dipinge un olio dal 19.
titolo Scene dalla distruzione di Messina (tav. 6). 7 Elias Canetti, Il frutto del fuoco, Milano,
Adelphi, 1999, p. 71.

12
5
La natura, che l’uomo credeva di andare assoggettando tramite la scienza e
l’industria, dimostrava di essere del tutto estranea e riottosa al progetto di dominio.
Così la relazione al Senato del Regno: Il senso di fragilità e di fine del mondo che
accompagnò questi avvenimenti fu fortemente rinforzato dal passaggio, nel maggio
1910, della cometa di Halley che provocò scene di panico collettivo. La gente si
rinchiuse in casa per paura dei gas velenosi che si credeva si trovassero nella sua coda,
vi fu la corsa a comprare maschere antigas e gli imbonitori da fiera fecero i soldi con
le “pillole anticometa”. Altri si diedero alla disperazione o a preghiere collettive; molti
la notte del 18 maggio si allontanarono dalle città per aspettare la “catastrofe finale”.
Una testimonianza di questo clima si trova in una poesia di Georg Heym: “Gli uomini
fanno ressa nelle strade,/Scrutando in cielo il segno minaccioso/Delle comete dal naso
di fuoco,/Che sfiorano le torri frastagliate”. L’arrivo della cometa porta “malanno e
carestia [che] entran strisciando”, dentro i letti “si voltolano e gemono gli infermi”,

13
6. Max Beckmann, Scene dalla distruzione
di Messina, 1909
7. Max Beckmann, L’affondamento del
Titanic, 1912-13

“il tempo è morto e vuoto dei suoi venti”; “impietriscono i mari”; “gli alberi non
conoscono stagioni,/restano eternamente senza vita”.8
Infine, due anni dopo, il 14 aprile del 1912 con l’affondamento del Titanic nel
freddo Mare del Nord, al largo delle coste inglesi, colava a picco la fiducia assoluta nella
tecnologia e nei valori che avevano dominato lo spirito della belle époque (tav. 7). La
natura riprendeva la sua rivincita e dopo di allora “nulla fu come prima”. Il naufragio
provocò nelle coscienze europee uno shock enorme e venne ad assumere un ruolo
paradigmatico, su cui sono stati scritti quasi seimila libri e girati sei film.
Sotto la fragile patina positivista e ottimista questi avvenimenti facevano intravvedere
un ribollente mondo di emozioni, di tensioni e paure. Robert Musil nell’Uomo senza
qualità, un’opera cardine per conoscere le correnti intellettuali del primo Novecento,
così descrive questo lento eclissarsi dell’ottimismo che aveva accompagnato la svolta del
secolo: ci si trovò di fronte ad una insoddisfazione non meglio definibile, “una misteriosa
malattia del giorno […] i tempi erano cambiati, come una giornata che comincia 8 Georg Heym, “Gli uomini fanno ressa nelle
strade…”, in Id., Umbra vitae, Torino,
sfolgorante d’azzurro e poi va pian piano velandosi”.9 Einaudi, 1982, pp. 79-81.
9 Robert Musil, L’uomo senza qualità, Torino,
Einaudi, 1972, p. 53.
10 Georg Heym, “La Morgue”, in Id. Umbra
I sismografi della fine del mondo vitae, p. 89.
La percezione di queste faglie e fratture nell’ordinata superficie della modernità aveva 11 Georg Heym, Dichtungen und Schriften, vol.
3, Amburgo, Ellermann, 1964, p. 89; vedi
tuttavia avuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nuovo secolo i suoi acuti sismografi anche p. 164.
in intellettuali, scrittori, poeti, artisti. 12 Idem, p. 173.

14
7
Per molti di loro il mondo della sicurezza borghese aveva prodotto un
profondo senso di noia. Scrive Heym: “Partimmo cinti al pari di giganti/
Ferrosonanti al pari di Golia./Ed ora abbiamo topi e vermi erranti/Sulla carne per
triste compagnia.//[...] Cosa trovammo agli angoli del cielo?/Un vuoto nulla.”10
“Un vuoto nulla” è ciò che resta all’uomo. Tutto piuttosto che essere prigionieri
di questo nulla: “Anch’io posso dire: ‘Se solo ci fosse una guerra, mi sentirei
guarito’. Ogni giorno è uguale all’altro. Nessuna grande gioia, nessun grande
dolore. Di tanto in tanto, qualche amoretto. È tutto così noioso”.11 Ancora nel
giugno 1911 scriveva su Aktion: “La nostra malattia è una noia senza fine. […]
La nostra malattia è vivere alla fine di un giorno, durante una sera in cui l’aria
è così soffocante, che è difficile sopportare le esalazioni della putrefazione del
mondo. […] La guerra è scomparsa dal mondo, e la pace eterna ne ha raccolto
miseramente l’eternità”.12
La metropoli per il poeta tedesco che morirà nel 1913, non è più il mondo
splendido e luccicante della modernità: nelle sue città troneggiano i demoni, “i

15
8. Mikalojus Čiurlionis, Fulmini, 1909
9. Ludwig Meidner, Paesaggio apocalittico,
1912

demoni dell’industrialismo e quelli della guerra, per la quale l’industrialismo


lavora: la città moderna e la guerra moderna nascono dallo stesso grembo”,13 il
grembo dell’industria che ha plasmato la città contemporanea.
Così il “dio della città” sta seduto “sopra un blocco di case”, “gli cingono la
fronte i venti neri,/E guarda irato ove laggiù, sperduti,/Si confondono gli ultimi
quartieri.//Accende il rosso ventre, a Bal, la sera,/E le grandi città stanno in
ginocchi/A lui d’intorno. Innumeri rintocchi/Salgon dalla marea di torri nera.// [...]
Denso/Di ciminiere e fabbriche a lui sale/Il fumo, come nuvola d’incenso”.14
Per il pittore Franz Marc l’Europa, “vecchia e invecchiata”, ha bisogno di un
sacrificio di sangue per rinascere. L’Europa ha perso la sua spiritualità: le scienze
hanno divinizzato il mondo e sostituito Dio con l’uomo, sono “fatali a tutto ciò
che oggi è ancora sacro e noto e necessario”.15 Come la spiritualità così è malata
la politica e l’arte. Il traguardo segreto della guerra non è dunque una vittoria
territoriale, ma “la distruzione delle catene, la formazione di un nuovo tipo umano,
la vittoria spirituale dell’uomo europeo”. 16
La tesi del declino spirituale dell’Occidente è un tema ricorrente nel dibattito
del periodo. Nel 1918 esce il primo volume di un libro che avrà un grande successo,
13 Ladislao Mittner, Storia della letteratura
Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler, pubblicato nell’estate di quell’anno, tedesca, vol. 3, Torino, Einaudi, 1971, p.
ma “già finito nella sua stesura quando scoppiò la grande guerra”. Spengler dà 1223.
una visione organicistica delle civiltà per le quali descrive una morfologia naturale 14 Georg Heym, “Il dio della città”, in Id.,
Umbra vitae, p. 55.
desunta dalle teorie di Goethe che stabilisce per ognuna un ciclo che si conclude con 15 Franz Marc, “Il tipo superiore”, in Id.,
l’ineluttabile tramonto. È al tramonto, secondo il filosofo tedesco, è giunto anche Scritti: 1910-1915, Firenze, Hopeful
l’Occidente, il cui suolo è ormai “metafisicamente esaurito”. 17 Monster, 1987, p. 102.
16 Idem, p. 99.
Spengler fu ritenuto un profeta e raggiunse una grande notorietà. In realtà chi 17 Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente,
aveva lucidamente profetizzato l’avvento imminente di un’epoca di distruzioni e Milano, Longanesi, 1978, p. 7 e p.17.

16
9
cataclismi era stato il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (Thomas Mann in una
lettera chiama Spengler “l’astuta scimmia” di Nietzsche). L’idea di una “barbarie
ventura” e di una vicina catastrofe, ne attraversa l’intera opera. Già nella terza delle
Considerazioni inattuali, intitolata Schopenauer come educatore e scritta nel 1874,
così descrive la nuova atmosfera intellettuale: “Le acque della religione si ritirano, si

17
10. Ludwig Meidner, Paesaggio apocalittico,
1913
11. Ludwig Meidner, Visione apocalittica,
1912
12. Ernst Barlach, Il vendicatore, 1914

10

ritirano lasciando acquitrini e paludi; di nuovo le nazioni si dividono nella massima


ostilità e bramano dilaniarsi. Le scienze, esercitate senza alcuna misura e nel più
cieco laisser faire, sminuzzano e dissolvono ogni salda credenza; i ceti e gli stati
civili vengono travolti da un’economia del denaro enormemente spregevole. Mai il
mondo fu più mondo, più povero di amore e di bontà”. Sta sopraggiungendo una
nuova barbarie “preparata anche dall’arte e dalla scienza”: “vi sono certo forze, forze
enormi ma selvagge, primordiali e del tutto impietose. In angosciosa attesa si guarda
a esse come al crogiuolo della cucina di una strega: da un momento all’altro può
esserci un sussulto o un lampo ad annunciare apparizioni tremende”.18
E di questo tremendum si fa profeta il filosofo: “Conosco la mia sorte. Un giorno
sarà legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si
era vista sulla terra, la più profonda collisione della coscienza, una decisione contro
tutto ciò che finora è stato creduto, preteso, consacrato”. Queste parole ne fecero
il nume tutelare di tutti i rivolgimenti attesi o sperati all’inizio del secolo:19 “Tutta
la nostra cultura europea è come se andasse verso una catastrofe: inquieta, violenta,
precipitosa, come un fiume che vuole arrivare alla fine”.20 E questa fine è la guerra.
Così riferendosi all’ultima parte dell’Also sprach Zarathustra, afferma: “Quando lo
pubblicherò dopo alcuni decenni di crisi mondiali – intendo: GUERRE – sarà 18 Friedrich Nietszche, Schopenauer come
allora la sua vera ora”.21 educatore, Milano, Adelphi, 1992. Vedi
Le rappresentazioni di un futuro agli antipodi delle promesse trionfali della anche Umano troppo umano, Milano,
Adelphi, 1967, pp. 249-250; e La gaia
civiltà occidentale si trova in tutte le letterature europee. Lo scrittore inglese Herbert scienza, Milano, Adelphi, 1977, pp. 255-
George Wells nel romanzo La macchina del tempo (1895) racconta di un viaggiatore 256.
che giunge nell’anno 802.701. La terra è abitata da due razze, entrambe discendenti 19 Id., Ecce homo, Milano, Adelphi, 1969, pp.
135 e 120.
dagli esseri umani di oggi, ma profondamente decadute. La prima è quella degli 20 Id., L’anticristo, Milano, Adelphi, 1977, pp.
Eloi, miti e gracili creature dal colorito roseo e dall’aspetto delicato, che vestono 466-467.
abiti leggiadri e passano il tempo a giocare e divertirsi. Sembrano esseri invidiabili, 21 Id., Epistolario, Milano, Adelphi, 1980, p.
334.
gli Eloi: ma a conoscerli meglio ci si accorge che la loro intelligenza è limitata, 22 Carl Gustav Jung, Ricordi, sogni, riflessioni,
il loro linguaggio è in grado di esprimere soltanto emozioni elementari, e la loro Milano, Rizzoli, 1988, p. 219.

18
11

capacità di provvedere a se stessi molto ristretta; essi si cibano esclusivamente di


frutta, e abitano costruzioni evidentemente ereditate da una precedente civiltà più
evoluta. Appena scende la sera, gli Eloi hanno paura, perché dalle viscere della terra
emergono i Morlocchi, esseri biancastri scimmieschi e mollicci, che trascorrono la
vita affaccendati a produrre beni materiali nelle loro fabbriche sotterranee, uscendone
soltanto per catturare gli Eloi, di cui si cibano. Questi ultimi sono dunque ridotti
alla condizione di bestiame brado a disposizione dei ributtanti Morlocchi. Come ci
viene spiegato dall’autore medesimo, le due razze discendono rispettivamente dalla
classe borghese e dalla classe proletaria, e se i secondi sono giunti ad un livello di
12 totale abbruttimento, i primi non sono certo da meglio, nella loro semi-idiozia.
Una raccolta di visioni apocalittiche che sembrano anticipare la catastrofe si
trova nel Libro rosso di Gustav Jung. Come scrive in Ricordi, sogni, riflessioni, dopo
la rottura con Freud:

Si scatenò un flusso incessante di fantasie, e feci del mio meglio per non perdere la testa […]
Ero inerme di fronte a un mondo estraneo dove tutto appariva difficile e incomprensibile
[…] Le tempeste si susseguivano, e che potessi sopportarle, era solo questione di forza
bruta. Per altri hanno rappresentato la rovina: così per Nietzsche, Hölderlin, e molti
altri… Nel reggere a questi assalti dell’inconscio ero sostenuto dal saldo convincimento di
obbedire a una volontà superiore.22

Il primo di questi episodi si manifestò nell’ottobre del 1913 nel corso di un


viaggio in treno verso Sciaffusa durante il quale ebbe “una visione apocalittica in cui
scorse un’alluvione di melma, macerie e morti invadere la terra dalla Russia fino alle
Alpi”. Lo scoppio della Prima guerra mondiale confermò a Jung l’intuizione che le

19
13. Ludwig Meidner, Paesaggio apocalittico,
1916
14. Ludwig Meidner, Città in fiamme,
1913

13
proprie inquietanti derive psichiche non erano casuali ed isolate ma rispecchiavano
l’angoscia collettiva di un mondo che stava sprofondando nell’abisso. Alcune di queste
visioni ricordano quelle descritte da Hermann Hesse in Demian pubblicato nel 1919:

Questo mondo, com’è oggi, vuole morire, vuole andare a morire e ci riuscirà […]
Sappiamo che il nostro mondo è marcio, ma questo non sarebbe ancora un valido motivo
per predirne il tramonto o qualcosa del genere. Da parecchi anni però faccio sogni dai
quali concludo o intuisco, come vuoi, che il crollo del vecchio mondo è vicino. [...] Il
mondo vuole rinnovarsi. C’è odore di morte. Non viene niente di nuovo senza la morte.
[…] Ci sarà la guerra. [...] Ci sarà forse una grande guerra, una guerra molto grande. Ma
anche questo sarà soltanto l’inizio. Comincia il nuovo e il nuovo per coloro che sono
legati al vecchio sarà terribile.23

È soprattutto il mondo austriaco a intercettare queste tensioni, trasformate poi


nell’abusata formula della “gaia apocalisse”, che tuttavia resta uno degli ossimori più
felici e indicativi del clima culturale viennese; di un impero che muore a tempo di
valzer e che rimanda alla leggenda del Titanic la cui orchestra in impeccabile frac
nero continuò a suonare fino alla fine; o nella definizione di Vienna come della
“stazione sperimentale della fine del mondo” coniata da Karl Kraus.
L’espressionista Alfred Kubin ne L’altra parte (1907) narra di un misterioso mago
e ipnotizzatore, Claus Patera, che fonda in un luogo imprecisato dell’Asia centrale
il “Regno del Sogno”. Perla, la capitale, costruita con case corrose e malfamate della
vecchia Europa, ricorda Praga. È circondata da un’enorme muraglia che la difende
dal progresso: attraverso l’unica porta che si apre in essa non può passare nulla che 23 Hermann Hesse, Demian, Venezia, Marsilio,
non sia già stato usato. La natura è avvolta in un perenne grigiore e gli abitanti 1994, pp. 329, 349, 369, 357-377.
24 Alfred Kubin, L’altra parte, Milano, Adelphi,
vivono un’esistenza nevrastenica e priva di futuro: “il cielo che vi si stendeva sopra 1965, p. 51.

20
14
era eternamente fosco; il sole non splendeva mai, mai si vedevano, di notte, la luna o
le stelle”.24 Ovunque aleggia un senso di mistero che si manifesta attraverso sintomi
inquietanti e bizzarri.
Nella seconda parte della narrazione si assiste a un inarrestabile procedere
verso la decadenza e il crollo: nevrosi di massa, carestia, disgregazione degli oggetti,
mutamenti climatici, invasione delle acque paludose, scorrerie degli animali. La

21
distruzione del regno di Patera, per un fenomeno di “putrefazione organica”, è una 15. George Grosz, Metropoli [Sguardo sulla
anticipazione del crollo della Duplice Monarchia e si inserisce a pieno titolo nella metropoli], 1916-17
letteratura mitteleuropea della crisi che descrive il vecchio mondo non come una 16. George Grosz, Dedicato a Oskar
Panizza, 1917-18
Heimat perduta, ma come una realtà soffocante e intimamente morta.
Temi analoghi, sia pure con una coloritura del tutto particolare, si trovano nella
letteratura russa a cavallo della svolta del secolo – una delle più straordinarie epoche
letterarie – che si concluderà con la fine tragica di tutti i suoi protagonisti.25 Si tratta
di una generazione di poeti e di scrittori “che percepiva in modo spasmodico il
rombo sotterraneo degli avvenimenti, la crisi della cultura borghese e l’approssimarsi
della tempesta”. Una generazione, ha osservato Angelo Maria Ripellino, “pervasa dal
disperato presagio della vicina catastrofe, dall’ansia febbrile del crollo del vecchio
mondo”, i cui esponenti “vivevano in un’aura di fanatismo, ansiosi di teofanie, di
miracoli, di apocalissi”.26
Sono soprattutto i simbolisti a dare voce all’insoddisfazione del presente e alla
predizione di una apocalisse prossima ventura: Aleksandr Blok nel Mondo terribile,
Fedor Sologub, Andrei Belyi, Valerii Bryusov descrivono il mondo della grande città
come un inferno, in cui l’uomo contemporaneo si trova esiliato. La realtà è immobile,
pietrificata, l’uomo è intorpidito, solo un gesto estremo, la liberazione delle forze
elementari, barbariche, del popolo russo può salvare una civiltà in decomposizione,
già in preda della catastrofe.

15

25 Roman Jakobson, Una generazione che ha


dissipato i suoi poeti. Il problema Majakovskij,
Milano, SE, 2004.
26 Angelo Maria Ripellino, Letteratura come
itinerario nel meraviglioso, Torino, Einaudi,
1968, pp. 128 e 131.

22
Di queste atmosfere è impregnato il gruppo degli Sciti, nato nel 1917 e che 17. Otto Dix, Guerriero morente, 1913
interpretava “il grande sconvolgimento come catarsi dell’umanità e trasfigurazione 18. Franz Marc, Forme in lotta [Forme
del globo terracqueo”.27 Il richiamo è al popolo barbaro degli sciti evocato contro astratte 1], 1914
il decadente occidente europeo. Lo scitismo rappresenta un confuso miscuglio di
messianesimo, slavofilia, socialismo rivoluzionario. Ad esso aderirono personalità
tra loro molto diverse come Belyi, Blok, Remizov, Mandel’shtam, Oreshin, Esenin.
A differenza che nel resto dell’Europa, in Russia la ricerca letteraria si colora
di temi religiosi e teologici. Il simbolismo, interessato all’occultismo e alle teorie
antropososofiche e teosofiche, intrecciò un serrato dialogo con filosofi quali Vladimir
Solov’ev, Dimitri Merezhkovskii, Pavel Florenskii. I simbolisti considerano l’aspetto
religioso “la forza spirituale centrale. Anzi accentratrice, che non riguarda solo la vita
dell’individuo, bensì quella della società, della comunità, della collettività. A questa
rivalutazione della religione e dell’elemento religioso si collega spesso anche l’idea
di un rivolgimento rivoluzionario, la speranza apocalittica in una società nuova e in
un uomo nuovo”.28
Benché in genere apolitici, gli scrittori legati al simbolismo videro nella
rivoluzione del 1905 la conferma di una catastrofe imminente che avrebbe partorito
un nuovo mondo. In Russia, forse più che la Grande guerra,29 fu la rivoluzione
ad essere il punto di coagulo delle attese messianiche: così “gli sciti”, in un tragico
equivoco, videro nei bolscevichi i nuovi barbari giunti a rinnovare la razza e la
spiritualità russe.

L’entusiasmo della mobilitazione


Ciò che non era visibile prima della guerra, se non a pochi che sapevano intravvedere
le crepe nascoste dell’apparentemente compatto spirito europeo, ai diagnostici della
“crisi spirituale” del “grande organismo europeo”,30 diventò chiaro a molti durante
e dopo la guerra. La guerra che nelle speranze dei più doveva finire per Natale,

17

27 Idem, p. 170.
28 Julia Scherrer, “La ricerca filosofico-religiosa
in Russia all’inizio del XX secolo”, in
Efim Etkind et al. (a cura di), Storia della
Letteratura Russa, vol. 3, Il Novecento, t. 1,
Torino, Einaudi, 1989, p. 201.
29 Michail Heller, “La letteratura della prima
guerra mondiale”, in Idem, pp. 721-731.
30 Musil, Diari, p. 861.
31 Franz Marc, I cento aforismi. La seconda
vista, Milano, Feltrinelli, 1982, p. 45.
32 Hesse, Demian, p. 385 e anche p. 233.
33 Marc, La seconda vista, p. 41.

24
18
distrusse completamente il vecchio mondo. Essa fu dunque una vera apocalisse, una
“rivelazione” come suona il suo senso letterale.
Lo scoppio della guerra fu percepito da molti come una necessità, la virulenta
malattia attraverso cui il mondo deve passare per potersi rigenerare, “il purgatorio
della vecchia, della invecchiata e peccatrice Europa”.31 La violenza fu paragonata
alle doglie del parto, metafora che compare ossessivamente insieme a quella della
malattia e della febbre.
Sia in Franz Marc che in Hermann Hesse compare la metafora dell’uovo cosmico.
Nei sogni di Emil Sinclair, il protagonista di Demian, ”un uccello gigantesco lottava
per uscire dall’uovo e l’uovo era il mondo e il mondo doveva andare in frantumi”,32
mentre Marc parla dell’uovo cosmico con la tenerezza di ciò che sta per venire alla
luce: “Chi è nobile e leale allontana la massa indisciplinata dalla culla del tenero
uovo cosmico”.33 In entrambi i casi è la culla del nuovo, simbolo di renovatio.
Dallo scontro armato ci si aspettava un nuovo ordine sociale esattamente come,
nell’Apocalisse di San Giovanni, la nuova Gerusalemme risorge dalle ceneri del
mondo. Si auspicava la purificazione dell’Europa, il tramonto di tutti gli antichi
poteri e di una società che non poteva essere trasformata solo con l’arte. Gli anni
che precedono la Grande guerra sono anche gli anni in cui nascono le prime

25
19
avanguardie. Al centro dei manifesti degli espressionisti e dei futuristi c’è la volontà
di rigenerare la società attraverso l’arte. L’obiettivo polemico era la società borghese,
ritenuta ormai intimamente vuota. Scrive Musil:

Lo spirito era affare d’una minoranza europea appartenente all’opposizione. […] La


nostra poesia è stata una poesia che operava sul rovescio della medaglia, una poesia delle
eccezioni nella regola, e spesso persino di eccezioni delle eccezioni. Nei suoi massimi
esponenti. E appunto perciò essa era, a suo modo, animata da quel medesimo spirito
battagliero e conquistatore che noi avvertiamo nella sua forma primigenia, meravigliati e
felici, in noi e intorno a noi.34

La guerra, nelle parole dello scrittore austriaco, è dunque la realizzazione


politica della tensione al nuovo, alla rigenerazione della società propugnata dalle
avanguardie, molti esponenti delle quali aderirono entusiasticamente al conflitto.
Sempre Georg Heym nel frammento poetico del 1912 La guerra, la descrive
come una forza demoniaca che percorre le città sterili, ruderi di una civiltà
pietrificata, distruggendo ogni cosa e preparando così l’avvento del nuovo. Solo che
questo nuovo fu qualcosa di spaventoso.
La guerra, seppure a lungo annunciata, giunge all’improvviso e provoca in

26
19. Bohumil Kubišta, Artiglieria costale in
combattimento con la flotta, 1913
20. Théophile Alexandre Steinlen, La
marsigliese, 1915

20

ogni nazione profonde manifestazioni di entusiasmo patriottico, che elimina


ogni divisione sociale e politica e fa sentire i popoli uniti intorno ai loro capi.
“Noi sentiamo”, annota Robert Musil nell’agosto 1914, “di venire serrati e fusi da
un’indicibile umiltà, in cui il singolo è ridivenuto un nulla al di là del proprio
compito di proteggere la stirpe”.35 “Centinaia di migliaia di persone”, scrive a sua
34 Robert Musil, “La Germania in Europa”, in
volta il pacifista Stefan Zweig, “sentivano allora come non mai quel che avrebbe
Mario Schettini (a cura di), La letteratura dovuto sentire in pace, di appartenere cioè ad una grande unità”.36 Mentre Hesse
della Grande guerra, Firenze, Sansoni, 1968, così descrive quelle giornate:
pp. 152-153.
35 Idem, p. 153.
36 Stefan Zweig, Il mondo di ieri, Milano, Tutti gli uomini erano come affratellati. Pensavano alla patria e all’onore. Ma era il volto
Mondadori, 1979, p. 180. scoperto del destino quello cui tutti volgevano per un attimo lo sguardo. Giovani uscivano

27
21. Adriana Bisi Fabbri, Interventismo,
1915
22. Roberto Marcello Baldessari, Galleria +
bandiere alleate, 1918

21

dalle caserme, salivano sui treni e su molte facce vidi un segno [...] un segno bello e pieno
di dignità che significava amore e morte. Anch’io fui abbracciato da gente mai vista e capii
e ricambiai di buon grado. Lo facevano in uno stato d’ebbrezza, non era la volontà del
destino, ma l’ebbrezza era sacra e traeva origine dal fatto che tutti avevano gettato quello
sguardo breve e impressionante negli occhi del destino.37 37 Hesse, Demian, pp. 381-382.

28
22

Questo sentirsi tutti fratelli è ciò che descrive Gerda Fischel al suo scettico
padre: “Tu non immagini quanto amore, quanti sentimenti mai conosciuti
fioriscano adesso per tutte le strade! Siamo vissuti come le bestie che la morte
un bel giorno distrugge; ma ora è diverso! E una cosa immensa, ti dico! Tutti

29
23. Almanacco della guerra, Firenze,
Edizioni Lacerba, 1915
24. Filippo Tommaso Marinetti, Zang
tumb tumb, Milano, Edizione futuriste
di “Poesia”, 1914
25. Filippo Tommaso Marinetti, 8 anime in
una bomba, Milano, Edizione futuriste
di “Poesia”, 1919

23

sono fratelli, neppure la morte è nemica; si ama la propria morte per amore degli
altri; oggi per la prima volta si capisce la vita!”.38
In un capitolo del Doctor Faustus, Zeitblom, il vecchio umanista portavoce
di Thomas Mann, ricorda “le prime ardenti giornate dell’agosto 1914” a
Monaco, il fermento vissuto dalla città, gli entusiasmi popolari, l’ebbrezza della
mobilitazione:

Nella nostra Germania, non si può negarlo, essa faceva soprattutto una esaltante
impressione di orgoglio storico, accompagnato dalla gioia di mettersi in marcia, di
abbandonare la vita quotidiana, di liberarsi da un ristagno nel quale non si sarebbe potuto
continuare, in un entusiasmo rivolto all’avvenire, in un appello al dovere virile, in una
festa eroica.39

La macchina della mobilitazione si mette in moto dagli uffici di arruolamento 38 Musil, L’uomo senza qualità, p. 1280.
delle città, dalle caserme, dalle stazioni ferroviarie, uno dei luoghi che si incontrano 39 Thomas Mann, Doctor Faustus, Milano,
più frequentemente nelle testimonianze letterarie. Così Ernst Gläser descrive le Mondadori, 1970, p. 361.
40 Ernst Gläser, “Classe 1902”, in Schettini, La
banchine della stazione di Friburgo: letteratura, p. 323.
41 Robert Musil,“Das Ende des Krieges“, in
Studenti con giacche fantasiose balzarono cantando sul treno. Dai finestrini essi baciavano Idem, Gesammelte Werke, Reinbeck bei
ragazze che regalavano loro fiori. Signori anziani avevano attaccato bandierine ai loro Hamburg, Rowohlt, 1978, p. 1343.
bastoni e li portavano sulla spalla. Soldati che recavano infilzati mazzi di rose nelle canne 42 Id., Diari, p. 986.
dei fucili venivano colmati di doni, come se fosse il loro compleanno. [...] Allegre frotte 43 Jeffrey Verhey, Spirit of 1914.
Militarism,Myth and Mobilization in
di ragazze in abiti bianchi correvano verso i soldati e appuntavano loro fiori sul petto. [...]
Germany, Cambridge, Cambridge U. P.,
Tutti ridevano, più di tutti i soldati. Andavano in vacanza o ad una sagra?.40 2000. Si veda anche Reinhard Rürup,
“Der ‘Geist von 1914’ in Deutschland:
In un saggio del 1918 rimasto incompiuto, La fine della guerra, Musil cerca di Kriegsbegeisterung und Ideologisierung
descrivere più razionalmente questa esperienza: des Kriegs im Ersten Weltkrieg”, in Bernd
Hüppauf (a cura di), Ansichten vom Krieg,
Königstein/Ts.; Forum Academicum in d.
Svanì la forma organizzata della vita, che ciascuno aveva intimamente mal sopportato, Verl.-Gruppe Athenäum, Hain, Hanstein,
l’uomo si fuse con l’uomo, la non chiarezza con la non chiarezza, non si conosceva, 1984.

30
24

grazie a Dio, più alcun partito e ci si augurava di arrivare ben presto a non conoscere più
nemmeno l’io e il tu e i rispettivi collegamenti. Era la rivoluzione quale conclusione di
una evoluzione che si era arrestata.41

Si tratta di un comportamento che ha spiegazioni complesse. Alcune sue


componenti sono comprensibili solo ricorrendo alla psicologia di massa, al magma
di emozioni che sempre scorre sotto una sottile crosta di civiltà e ai meccanismi che
lo riportano in superficie. Tutte le testimonianze parlano di ubriacatura, di febbre, di
estasi. Slogan e parole d’ordine diventano esperienze brucianti: “si sente la nazione
in carne e ossa”, scrive Musil. Ci si dissolve “in un accadimento superpersonale”, la
“sensazione di vivere qualcosa di grande”, un “altro rapporto con la morte.42 Ciò forse
25 può spiegare come anche uno scrittore raffinato, cosmopolita e appartato come Rainer
Maria Rilke precipiti nel magma e scriva i Cinque canti dell’agosto 1914, un’elegia
al “Dio di battaglia”, che sceglie l’incendio, che per mezzo della violenza distrugge
la cultura d’anteguerra, sterile e sorpassata. In questa orgia di slogan e di mitologie
a basso prezzo solo Karl Kraus sembra mantenere il proprio distacco e, lontano dagli
entusiasmi, dalle pagine della Fackel denuncia il rapporto di causa-effetto tra la parola e
la disponibilità all’azione.
Recentemente un lavoro ridimensiona l’entusiasmo della mobilitazione, comune
a tutte le fonti letterarie.43 Jeffrey Verhey riconosce la presenza di questo sentimento tra
le classi più elevate e tra gli intellettuali, però osserva – sulla base di dati precisi – come
questo non sia stato universale e come l’ubriacatura patriottica che in Germania ha
portato all’invio ai giornali di circa un milione di poesie inneggianti alla guerra abbia
messo in secondo piano e oscurato le voci dissenzienti.
Quello che colpisce nel lessico della Grande guerra è l’uso diffuso di una
terminologia religiosa. Ad essere descritto in termini religiosi è innanzitutto proprio lo
spirito della mobilitazione: “cosa immensa” di cui parla Gerda è la comprensione della
vita che l’esperienza della comunanza con tutti gli altri apre. Infatti il momento della

31
26. Lacerba, a. 3, n. 20, 15 maggio 1915
27. Auro D’Alba, Baionette, Milano,
Edizione futuriste di “Poesia”, 1915
28. Carlo Carrà, Guerrapittura, Milano,
Edizioni futuriste di “Poesia”, 1915
29. Filippo Tommaso Marinetti, Per la
guerra, sola igiene del mondo, s.d. [ma
1911]

26

27

“distruzione dell’ordine normale”, della vita regolata, è complementare a uno stato di


fusione e di unificazione. Esperienza che Musil definisce “sconfinata”, “forza primigenia”,
“minuscola scheggia di verità dell’Amore supremo”.44 Giudizio che lo scrittore mantiene
inalterato nel tempo, in un progetto di romanzo che risale al 1918 così si esprime: “La
‘grande esperienza’. Rappresentarla senza critica; l’ebbrezza. Qualcosa che avvicina a
Dio”.45 E nel coevo frammento La fine della guerra afferma: “Coloro che non erano stati
credenti la definirono un’esperienza religiosa, i più chiusi un’esperienza unificante.46 Nel
1919 la chiama “l’alito di un sentimento religioso” che almeno “all’inizio della guerra
ha soffiato in tutti i popoli belligeranti”. Altre volte “esperienza affine a quella religiosa”
o, decisamente, “esperienza religiosa”. Ancora nel Quaderno 33 (1937-fine 1941 circa)
definisce “l’esperienza della mobilitazione del 1914”, “di un misticismo atavico”. 47

32
29

28

Uno dei termini più usati è quello di “redenzione”: le regioni italiane che ancora
fanno parte dell’Impero austro-ungarico sono i “paesi irredenti”. Viene qui tradotta
dalla pubblicistica politica quell’attesa spasmodica di un Redentore che attraversava i
circoli intellettuali, attesa che, non senza ironia, così descrive Musil:

Infine si persuadevano che il loro secolo era destinato alla sterilità morale e che solo un
avvenimento straordinario o un uomo eccezionale lo poteva redimere. Sorse così fra i
cosiddetti intellettuali la popolarità del verbo redimere e dei suoi derivati. Erano persuasi
che non si poteva andare avanti se non giungeva al più presto un messia. Secondo i casi,
44 Musil, “La Germania in Europa”, p. 153.
45 Id., Diari, p. 517.
doveva essere un messia della medicina che avrebbe redento l’arte clinica dalle ricerche
46 Id., “Das Ende des Krieges“, p. 1343 scientifiche durante le quali la gente s’ammala e muore senza soccorso; oppure un messia
47 Idem, pp. 802, 986, 807 e 1403. della poesia, capace di scrivere un dramma che avrebbe riempito i teatri di migliaia di

33
33

spettatori, e tuttavia sarebbe stato della più vertiginosa altezza spirituale; e oltre a questa
convinzione che ogni singola attività umana potesse essere restituita a se stessa solo grazie
a un particolare messia, c’era naturalmente il desiderio semplice e non analizzato di un
messia dal pugno di ferro per tutto l’insieme. Così quello precedente alla grande guerra fu
un periodo di attesa messianica, e se interi paesi volevano essere redenti non c’era in fondo
proprio niente di straordinario.48

Questo atteggiamento di attesa messianica che caratterizza l’inizio del secolo si


coagula nell’evento bellico, ma attraversa anche il primo dopoguerra. Di fronte alla
disfatta delle attese che lo scoppio della guerra aveva portato con sé, il messianesimo
48 Id., L’uomo senza qualità, pp. 504-505. si incarnerà nei grandi movimenti politici del Novecento: il comunismo, il fascismo,

35
34. Giacomo Balla, Sbandieramento + folla,
1915
35. Giacomo Balla, Insidie di guerra, 1915
36. Giacomo Balla, Manifestazione patriot-
tica, 1915

34

35

il nazismo. Se è abbastanza noto il rapporto tra messianesimo politico e movimenti


di estrema sinistra – basti pensare a filosofi come György Lukács, Ernst Bloch,
Walter Benjamin –,49 in realtà questo innerva anche i movimenti di estrema destra:
49 Michael Löwy, Redenzione e utopia. Figure
del resto il Terzo Reich doveva essere “il Reich Millenario”. della cultura ebraica mitteleuropea, Torino,
Sicuramente però il termine più usato è quello di apocalisse. Si tratta, come Bollati Boringhieri, 1992.
si è visto, di una metafora chiave per comprendere il clima culturale del primo 50 Ernst Jünger, Scritti politici e di guerra, vol.
1, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana,
Novecento. 2003, p. 15.

36
36

Il disinganno e l’orrore
Tra tutte le illusioni che accompagnarono lo scoppio del conflitto mondiale, quella
di riuscire a ritrovare nelle trincee il senso della vita autentica fu tra le prime a cadere.
Cercando di “dominare con lo sguardo” l’evento bellico, Jünger scrive nel 1919 che
era ancora troppo vicino per poterne “cristallizzare lo spirito”, solo una cosa si fa
sempre più chiara: “il significato soverchiante della materia. La guerra è culminata
nella battaglia di materiali: macchine, ferro e sostanze esplosive costituivano i suoi
fattori. L’uomo stesso era considerato un materiale”.50 Poco importa che in questa
nuova condizione Jünger vedesse la nascita di un uomo nuovo: dai soldati al fronte
il dominio dell’industrializzazione fu percepito come un ulteriore tragico inganno.

37
37
Il nuovo mondo uscito dalla guerra è un mondo di cadaveri e di rovine,
“terrificante, pieno di marciumi, terremotato” – descritto dai pittori di guerra.
Esemplare di questa esperienza è la tela Stiamo costruendo un nuovo mondo di Paul
Nash, che raffigura un paesaggio di chiaro significato simbolico, una delle opere
tra le più suggestive e scioccanti che Nash dipinse sul tema della guerra. Il “nuovo
mondo” è una landa desolata popolata di alberi morti, spezzati, seccati, sradicati,
miseri cadaveri di un mondo violato che, nella rappresentazione di Nash, ha perso
ogni connotazione naturalistica. Una allucinante messa in scena, dove la figura
umana non compare: solo dolore e distruzione. Un’assenza che, tuttavia, evoca
prepotentemente una presenza: gli alberi in parata sembrano infatti uno spettrale
esercito di combattenti schierati per l’ultima disfatta, feriti, abbattuti, vinti, simbolo
di un’umanità in rovina sulla quale un improbabile sole, luminoso e raggiante, brilla
inutilmente, testimone indifferente della tragedia (tav. 272).
Ma è anche l’esperienza dell’inferno descritta dai pittori espressionisti (tav.
227), che così è narrata da Ernst Jünger: “Quando, nel buio, m’imbattevo in qualche
sbandato che cercava di ricongiungersi alla propria unità, avevo l’agghiacciante
sensazione di non trovarmi di fronte a uomini, ma ad esseri infernali. Si vagava su
immensi campi di rovine, come oltre i limiti del mondo conosciuto”.51
Questa trasformazione è stata resa magistralmente da Albin Egger-Lienz in
37. Giacomo Balla, Stupendo manifesto
uno dei suoi quadri più famosi, I senzanome 1914 (tav. 54), del 1916. Esposto alla guerra, 6 novembre 1914
mostra di Bolzano del 1917 (tav. 96), con il titolo Sturm bei Uhnow, successivamente 38. Giacomo Balla, Sventolamento,1915

38
38

la grande tela venne esposta a Innsbruck, con il nuovo nome. Sotto uno spicchio
di cielo grigiastro, in un ambiente desolato, piegati avanzano dei soldati. Più che
uomini sembrano macchine, un segmento di una massa infinita, i loro visi sono
del tutto privi di individualità e di sentimento. Avanzano semplicemente, eseguono
un ordine in modo meccanico, non c’è in loro la consapevolezza di un luogo di
origine né di una meta. L’azione è colta in un momento qualsiasi e trasmette l’idea
di una estensione e di una ripetibilità infinita. Questo aspetto è successivamente
riecheggiato nel titolo di un noto romanzo di Ernst Wiechert, Ognuno. Storia d’un
senza nome. I senzanome 1914, oltre ad essere forse il quadro più significativo della
Prima guerra mondiale, è il risultato maturo di una lunga ricerca di stilizzazione dei
combattenti effettuata da Egger-Lienz. I soldati senza nome incarnano ora molti dei
51 Ernst Jünger, Tempeste d’acciaio, Roma,
tratti dei suoi contadini e impugnano come clave i moschetti, allo stesso modo della
Ciarrapico, 1982, p. 151. falce nei campi. Per questa trasformazione emblematico è il quadro Haspinger anno

39
39
nove (tav. 58) che mostra un gruppo di contadini armati di forconi e bastoni guidati
dal monaco Joachim Simon Haspinger in rivolta contro i bavaresi. Gli stessi corpi
dei Senzanome, ora impressionante massa di cadaveri, li ritroviamo nel terribile
Finale del 1918 (tav. 323).
Tutte le raffigurazioni delle trincee descrivono uno spazio inumano, folle, privo
di punti di riferimento (tavv. 197-200). Una terribile descrizione della vita nelle
trincee si trova nel Fuoco, che Henri Barbusse scrisse nel 1916.52 Come molti altri
Barbusse, benché in età avanzata, nell’agosto del 1914 si arruolò volontario come
soldato semplice, due anni dopo – durante un ricovero in ospedale per curare le
ferite riportate in combattimento – cominciò a raccontare senza alcuna retorica
la sua terribile esperienza sul fronte occidentale. Qui, come nelle lettere di Oskar

40
39. Giacomo Balla, Paesaggio + velo di
vedova, 1916.
40.-41. Giacomo Balla, Lettera a F.T.
Marinetti, 17 luglio 1914 (recto e
verso)

40

41

Kokoschka o nei taccuini di Otto Dix, prevale la merda, il vomito, la morte, il


fango, la pioggia che rende invivibile la trincea, i parassiti che martoriano le carni
dei soldati, i lamenti dei feriti agonizzanti sui reticolati (tav. 207). L’uomo nuovo è
il mutilato, il reduce, un uomo ferito nel corpo e nell’animo.
52 Henri Barbusse, Il fuoco, Milano, Kaos, I giorni della guerra che segnò il naufragio della civiltà europea, nella visione
2007. apocalittica di Karl Kraus sono Gli ultimi giorni dell’umanità:

41
42

43
La messa in scena di questo dramma, la cui mole occuperebbe, secondo misure terrestri,
circa dieci serate, è concepita per un teatro di Marte. I frequentatori dei teatri di questo
mondo non saprebbero reggervi. Perché è sangue del loro sangue e sostanza della
sostanza di quegli anni irreali, inconcepibili, irraggiungibili da qualsiasi vigile intelletto, 42. Fortunato Depero, Marcialottare, 1915
inaccessibili a qualsiasi ricordo e conservati soltanto in un sogno cruento, di quegli anni 43. Fortunato Depero, Guerra, guerra!,
in cui personaggi da operetta recitarono la tragedia dell’umanità. La vicenda, che trascorre 1915
per cento scene e cento inferni, è impossibile, frastagliata, priva di eroi come quella. Il 44. Kazimir Malevich, Figura orante, 1913
suo humour è soltanto l’autoaccusa di uno che non è impazzito all’idea di aver superato a 45. Kazimir Malevich, Morte simultanea
mente sana la testimonianza di questi avvenimenti. Oltre a costui, che presenta ai posteri di un uomo in aeroplano e alla ferrovia,
la vergogna di una tale partecipazione, nessun altro ha diritto a questo humour. 53 1913

42
44 45

Esperienza e guerra
“Senza voler esagerare”, scrive Robert Musil nel suo primo articolo per la Tiroler
Soldaten-Zeitung, “quanto da due anni a questa parte si è vissuto al fronte, anche
solo considerato dal punto di vista di un’esperienza mai verificatasi prima, è pur
sempre qualcosa di immane”. Tuttavia tutto questo “svanirà per sempre se non lo
fissiamo”. Per fare ciò non è necessario produrre “articoli perfetti nella forma”. Poeta
è chi “vede le cose come fosse la prima volta; ogni soldato che renda imparzialmente
conto di quanto vede, diventa poeta”.54
In queste righe scritte nell’agosto del 1916 sono esposti due aspetti che in seguito
diventeranno canonici negli studi sulla trasformazione dell’identità dei combattenti:
l’eccezionalità di questa esperienza (Erlebnis) e la difficoltà di trasformarla da
esperienza vissuta (Erlebnis, appunto) in esperienza nel senso di crescita (Ehrfahrung).
Si tratta di una differenza di non poco conto: Erwin Rommel, mise come sottotitolo
al suo libro sulla Grande guerra proprio l’endiadi Erlebnis und Erfahrung, spiegando
nella prefazione: “a quasi tutti gli episodi narrati segue un breve commento che
consente di trarre gli opportuni insegnamenti dai fatti d’armi illustrati”.55 In questi
“insegnamenti”, nel contenuto comunicabile, consiste appunto l’Ehrfahrung.
L’eccezionalità di questa esperienza è stata variamente descritta e sinteticamente
può essere definita come l’irruzione del moderno. L’industrializzazione dominò
fin da subito l’evento bellico, togliendo spazio ai sogni di eroismo, di altruismo
53 Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell’umanità, e ricerca del sé con cui una generazione si era avviata al fronte. Il dominio della
Milano, Adelphi, 1996, p. 9. tecnica si rivelò nei materiali, nell’organizzazione del fronte, nel ruolo assunto dalla
54 Robert Musil, “Camerati, collaborate!”, propaganda e nella dimensione del macello.
in Id., La guerra parallela, nuova edizione
riveduta e aumentata, Silvy edizioni, 2012. Molti dei quadri dei pittori di guerra ritraggono i mezzi che si affacciavano
In questo volume alle pp. 7-8. allora sullo scenario bellico come gli aerei (tavv. 252-261), i treni blindati (tav. 1),
55 Erwin Rommel, Fanterie all’attacco. le nuove generazioni di cannoni (tavv. 235-241), i gas (tavv. 232-234). La guerra
Esperienze vissute, Milano, Longanesi, 1972,
p. 9. aerea è divenuta in pochi anni una realtà; solo meno di un decennio prima era

43
stata descritta in termini fantascientifici in un romanzo di Wells, La guerra nell’aria 46. Marc Chagall, L’addio dei soldati, 1914
(1908), una conflitto che reca distruzioni tali da fiaccare tutte le strutture produttive 47. Carlo Carrà, Festa patriottica (Manife-
e organizzative degli stati belligeranti, provocando l’anarchia generale e il ritorno stazione interventista), 1914
alla vita dell’orda.
Lo scenario della guerra era in sintonia con le poetiche dell’avanguardia. Il
moderno combattimento industriale caratterizzato da un delirante paesaggio
sonoro dominato dalle esplosioni continue dei bombardamenti dell’artiglieria;56 lo
stravolgimento del ritmo del giorno e della notte; i colori dei gas; le luci permanenti
dei riflettori sui reticolati; le luci accecanti dei i proiettili traccianti e dei razzi di
segnalazione; lo sconvolgimento della natura sembravano una demonica realizzazione
dei quadri dei futuristi, degli espressionisti e dei cubisti.
La stessa morte perse ogni individualità per assumere le caratteristiche e
le procedure di un prodotto industriale: serialità e massificazione della morte si
ritrovano nei lavori di artisti quali Otto Dix, Albin Egger-Lienz, Klemens Brosch
(tav. 215). L’aspetto mostruoso, non dominabile, della Prima guerra deriva proprio
scala, dalle dimensioni del macello, dalla serialità e riproducibilità del massacro che
originano dall’organizzazione e dalla tecnica che gli eserciti mutuano dal mondo
industriale.
Così, nonostante la vastità degli eventi, “la gente tornava dal fronte ammutolita,
non più ricca, ma più povera di esperienza comunicabile”.57 A questo proposito
Theodor Adorno osserva nei Minima moralia come “l’inadeguatezza del corpo alla
battaglia dei materiali rendeva impossibile una vera esperienza. Nessuno avrebbe
potuto raccontare di quella guerra al modo in cui si era raccontato delle battaglie del
generale d’artiglieria Bonaparte”.58
Questo è avvenuto, argomenta Musil in un saggio del 1922, perché “ci sono
mancati i concetti per far entrare in noi ciò che abbiamo vissuto. […] Sono
almeno dieci anni, non c’è dubbio, che stiamo facendo della storia universale – e
di che calibro. Ma non ce ne siamo accorti”. E continua: “eravamo dei cittadini

46

56 Ernst Jünger, Tempeste d’acciaio, pp. 127-


128.
57 Walter Benjamin, “Il narratore.
Considerazioni sull’opera di Nikolaj
Leskov”, in Id., Angelus novus, Torino,
Einaudi 1962 p. 236; si veda anche Id.,
“Esperienza e povertà”, in Franco Rella
(a cura di), Critica e storia. Materiali su
Benjamin, Venezia, Cluev, 1980, pp. 203-
208.
58 Theodor W. Adorno, Minima moralia:
meditazioni della vita offesa, Torino, Einaudi,
1979, p. 53.

44
45
48

59 Robert Musil, “L’Europa abbandonata a sé


stessa”, in Id., Sulla stupidità e altri saggi,
Milano, Mondadori, 1986, p. 105, p. 104.
laboriosi, siamo diventati degli assassini, dei macellai, dei ladri, degli incendiari e 60 Marc, “Nel purgatorio della guerra”, in Id.,
roba simile: eppure, in realtà, non abbiamo vissuto (erlebt) proprio nulla”. Ci sono Scritti: 1910-1915, p. 86.
61 Adorno, Minima moralia, p. 52.
mancati i concetti ordinatori “o, anche, ci sono mancati i sentimenti che con il loro 62 Giuseppe Ungaretti, “Veglia”, Cima quattro
magnetismo, mobilitassero i concetti necessari”. Siamo tornati a casa portando con il 23 dicembre 1915, in Id., Vita d’un uomo,
noi “soltanto un’inquietudine piena di stupore”.59 La guerra è stata dimenticata, Milano, Mondadori, 2005, p. 25.
63 George Trakl, “Grodeck”, in Id., Opere
anche se ha continuato ad agire nel profondo, perché per comprenderla si doveva poetiche, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1963,
essere in grado di modificare il proprio quadro mentale. Scrive in perfetta sintonia pp. 324-325.

46
48. Adriana Bisi Fabbri, Partenza dei
Volontari Ciclisti e Automobilisti, 1915
49. Anselmo Bucci, Partenza, [1915-1917]
50. Partenza dei Volontari Ciclisti Automo-
bilisti, Milano, 21 luglio 1915

49

con Musil il pittore Franz Marc: “Ciò che noi soldati stiamo vivendo in questi
mesi supera di molto la nostra capacità di pensiero. Ci vorranno anni prima che
possiamo considerare questa indicibile guerra come un’azione, come una nostra
esperienza”.60 A riprova di questa difficoltà vi è “il lungo intervallo tra le memorie di
guerra e la conclusione della pace”. Un intervallo che per Adorno non è casuale, ma
“testimonianza della faticosa ricostruzione del ricordo”.61
A questi limiti non soggiace la pittura; gli artisti continuano a lavorare durante
la guerra e a rappresentarla. Infatti i pittori come i poeti e gli anonimi estensori di
lettere e diari, non avevano bisogno di “concetti ordinatori”, ma si affidavano alle
immediate impressioni visive. Ciò vale per le parole in libertà dei futuristi (tavv.
50 40-42 e 107), come per gli strazianti versi di Giuseppe Ungaretti pubblicati già nel
1916: “Un’intera nottata/Buttato vicino/A un compagno/Massacrato/Con la bocca/
Digrignata/Volta al plenilunio”,62 che hanno la visività di un bozzetto. Analoghe
descrizioni si trovano nelle Poesie di guerra di Wilfried Owen o nei Calligrammi
di Guillaume Apollinaire. La visionarietà dei paesaggi sconvolti dalla guerra ha in
Grodeck di George Trakl uno dei vertici:

Risuonano a sera i boschi d’autunno/Di armi mortali, le dorate pianure/E i laghi azzurri,
su cui più scuro/Rotola il sole; la notte abbraccia/Morenti guerrieri, il selvaggio lamento/
Delle loro bocche fracassate./Ma quiete s’adunano nel folto dei salici/Rosse nubi che abita
un adirato,/Sangue versato, frescura lunare./Tutte le strade sfociano in nera putredine.63

Gran parte della produzione dei pittori di guerra segue due generi a suo modo
classici: la ritrattistica e la pittura dei paesaggi. Opere realizzate in presa diretta
durante le pause dei combattimenti o nelle retrovie, i paesaggi vanno dalla natura
incontaminata della guerra di montagna (tavv. 263-267) a quelli devastati della
Galizia o del fronte occidentale (tavv. 269, 271), così descritti da Jünger:

47
51. Anselmo Bucci, Volontari Ciclisti e
Automobilisti, 1915

51

Campanili, ridotti a un muro stretto e lungo, con i vani delle finestre attraversati dai
riflessi della luna: cumuli di macerie, da cui sbucavano disordinatamente travi e pezzi
d’impalcature; alberi isolati e spogli su vaste distese di neve punteggiate dai crateri neri
delle esplosioni, fiancheggiavano la strada come un immobile scenario metallico, dietro il
quale tutta la malvagità spettrale del paesaggio sembrava tenersi in agguato.64

Un paesaggio demonico: le potenti fotoelettriche trasformavano la notte in


giorno, i gas con i loro variegati colori diffondevano vampe di rosso metallico, luci
azzurrastre, creavano nubi dai colori improbabili. Orizzonti infuocati cui si
aggiungevano le luci violente delle esplosioni e dei razzi illuminanti. Un mondo
percorso da inquietanti figure come quelle raffigurate in Prima dell’attacco con
i gas (tav. 234) di Jenő Remsey: le maschere antigas che ne coprono la faccia

48
rendono questi soldati simili a demoni che sbucano dalla viscere della terra. Una
mostruosa progenie sotterranea cui la violenza della guerra ha aperto un varco.
Artificiale e sconosciuto era anche il terribile paesaggio sonoro delle
esplosioni che si susseguivano senza tregua descritto dai futuristi nelle tavole
parolibere. “Le nostre tavole parolibere – scrive Filippo Tommaso Marinetti nel
1922, nell’introduzione agli Indomabili –, ci distinguono finalmente da Omero,
poiché non contengono più la successione narrativa, ma la poliespressione
simultanea del mondo. Le parole in libertà sono un nuovo modo di vedere
l’universo, una valutazione essenziale dell’universo come somma di forze
in moto che s’intersecano al traguardo cosciente del nostro ‘io’ creatore, e
vengono simultaneamente notate con tutti i mezzi espressivi che sono a nostra
disposizione. […] Dalle nostre parole in libertà nasce il nuovo stile italiano
sintetico, veloce, simultaneo, incisivo, il nuovo stile liberato assolutamente
da tutti i fronzoli e paludamenti classici, capace di esprimere integralmente la
nostra anima di ultra-veloci vincitori di Vittorio Veneto”.65
Un mondo che si contrae in un “brandello di campo”, “un acro di terra”,
“un tratto di trincea” o più semplicemente una fetta di cielo.66 È il paesaggio
preannunciato dalle poetiche delle avanguardie europee, soprattutto dal cubismo
e dal futurismo, la cui estetica si fondava sulla frantumazione delle immagini
determinata dall’assenza di un centro percettivo. Stephen Kern ha evidenziato
questo aspetto di frantumazione dell’esperienza percettiva priva di un punto
di vista centrale, privilegiato, definendo la Grande guerra “la guerra cubista”.67
Forse non è un caso che i cubisti fossero coinvolti nei reparti di camouflage
francesi.68
L’altra esperienza è quella di ampi tratti di fronte spopolati, della solitudine
della vicinanza a se stessi. Ma è anche l’esperienza dell’estraneità e dell’ostilità della
montagna. In questa natura terribile, nel “vuoto della Creazione incompiuta”,
l’uomo sente la propria inermità ed estraneità; la natura lo schiaccia, lo stesso
respiro dell’uomo, diventato una funzione autonoma, non è più suo, sembra
imposto dall’“aria azzurra e crudele [...] come una gravidanza”.69
Ma sono soprattutto i moderni combattimenti che coinvolgono chilometri
di fronte e masse di soldati di dimensione fino ad allora impensabile, che si
svolgono simultaneamente su piani diversi, senza che il singolo possa dominare
– o solo comprendere – cosa sta accadendo, che per essere raccontati richiedono
le forme dinamiche e le scomposizioni degli oggetti che erano state al centro
64 Jünger, Tempeste d’acciaio, op. cit., pp. 161-
delle sperimentazioni artistiche dei primi anni del Novecento.
162. Il mondo del fronte sembra quello descritto dalle avanguardie: la guerra
65 Filippo Tommaso Marinetti, Gli indomabili, appare come una iperbolica conferma della loro visione del mondo. Ma col
in Id., Teoria e invenzione futurista, Milano,
Mondadori, 2001, pp. 922-923.
procedere del conflitto a prevalere sono il caos, le mutilazioni, la morte, la
66 Jünger, Scritti politici, op. cit., vol. 1, p. 59. distruzione: non più la simbiosi futurista tra uomo e macchina e nemmeno la
67 Stephen Kern, Il tempo e lo spazio. La decostruzione cubista come prodromo a una ricostruzione dell’universo, ma una
percezione del mondo tra Otto e Novecento,
Bologna, Il Mulino, 1988, p. 367.
decomposizione organica senza alcuna redenzione. Nel 1916, Giovanni Tiella,
68 André Mare, Carnets de guerre, 1914–1918, un artista trentino vicino ai futuristi, catturato sul fronte orientale e prigioniero
Parigi, Herscher, 1996; più in generale per dei russi, scrive:
il rapporto tra camouflage e avanguardie
artistiche si veda Tim Newark, Camouflage,
Londra, Thames & Hudson, 2007. Le arti del futuro dovranno essere di necessità vitali e non astrazioni paraboliche e
69 Robert Musil, Pagine postume pubblicate in iperboliche come le ultime espressioni artistiche prima della guerra: le arti dell’odio,
vita, Torino, Einaudi, 1981, pp. 36 e 40. della rabbia, della frenesia. Tutti questi fattori hanno avuto l’espressione più adeguata

49
52. Albin Egger-Lienz, Cartone per a loro nella guerra. Che futurismo! Che astrattismo d’Egitto! Cosa sono queste
“I senzanome 1914”, 1916 chiacchiere? La granata che piomba e sconquassa è una forza ben più emotiva delle
53. Albin Egger-Lienz, Anno 1914, 1923 ragnatele di linee e di colori rattrappiti su 1 m/2 di tela.70
54. Albin Egger-Lienz, I senzanome 1914,
1916 [pagina successiva] La Prima guerra mondiale è stata un’esperienza così sconvolgente che in
qualche modo anche la pittura ammutolisce di fronte al compito immane di
raccontare quella devastante trasformazione antropologica. Sono comunque i
pittori espressionisti quelli che meglio riescono a raccontare le tempeste emotive
degli uomini chiusi nel labirinto senza uscita del fronte e forse più di tutte sono
emblematiche le litografie che Otto Dix ha raccolto nella serie di cartelle Der
Krieg (ad es. tavv. 153, 194, 197-199, 203, 233, 259, 289, 293, 313, 315).
In corso d’opera alcuni hanno sostenuto che forse destinata a meglio
rappresentare la tragedia della Grande guerra avrebbe potuto essere la nuova
arte, il cinema. Certamente lo è stata la fotografia, con i giornali che già allora
pubblicavano spesso fotografie scattate a dispetto della ferrea censura militare,
antesignano dell’odierno utilizzo bulimico delle immagini. In ogni caso, come
mostrano alcune esperienze storiche quali le mostre organizzate nel corso della
Grande guerra, e come documenta questo volume, anche i pittori sono stati in
grado di rappresentare e narrare il conflitto che ha mutato in modo irrevocabile
il Novecento.

53

52

70 Giovanni Tiella, “Lettera a Luigi Comai”,


28 giugno 1916, in Laboratorio di storia di
Rovereto, La città mondo: Rovereto 1914-
1918, Rovereto, Osiride, 1998, p. 358.

51

Potrebbero piacerti anche