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Hunter Killer
Hunter Killer - © 2005
PERSONAGGI PRINCIPALI
Comandanti in capo
PAUL BEDFORD (presidente degli Stati Uniti, democratico)
AMMIRAGLIO ARNOLD MORGAN (comandante supremo dell'operazione
Tanker)
GENERALE TIM SCANNELL (presidente del comitato dei capi di stato
maggiore)
AMMIRAGLIO ALAN DICKSON (capo di stato maggiore della Marina)
AMMIRAGLIO FRANK DORAN (comandante in capo della Flotta
dell'Atlantico)
AMMIRAGLIO GEORGE MORRIS (direttore dell'NSA, National Security
Agency)
CAPITANO DI CORVETTA JIMMY RAMSHAWE (assistente del direttore
dell'NSA)
AMMIRAGLIO JOHN BERGSTROM (comandante dello SPECWARCOM,
Special War Command)
Marina francese
AMMIRAGLIO GEORGES PIRES (comandante dei COMFUSCO, Fusiliers
Marins Commandos)
AMMIRAGLIO MARC ROMANET (comandante della flotta subacquea)
CAPITANO DI VASCELLO ALAIN ROUDY (comandante del sottomarino
d'attacco Perle)
CAPITANO DI FREGATA LOUIS DREYFUS (comandante del sottomarino
d'attacco Améthyste)
TENENTE DI VASCELLO GARTH DUPONT (comandante del distaccamento
subacquei dell'Améthyste)
CAPITANO DI FREGATA JULES VENTURA (comandante delle forze speciali
nel golfo Persico sul Perle)
TENENTE DI VASCELLO REMÉ DOUMEN (comandante del distaccamento
d'assalto Due, banchine di carico saudite)
MARINAIO VINCENT LEFÈVRE (assistente del comandante Ventura)
Rete israeliana
AMBASCIATORE DAVID GAVRON (Washington)
AGENTE DAVID SCHWAB (Mossad, Marsiglia)
AGENTE ROBERT JAZY (Mossad, Marsiglia)
DANIEL MOSTEL (sayanim, controllo del traffico aereo, Damasco)
Mogli
SIGNORA KATHY MORGAN SIGNORA SHAKIRA RASHOOD
Aristocratici europei
PRINCIPESSA ADELE (South London)
PROLOGO
Il ventiseienne principe Khalid bin Mohammed al-Saud stava
trascorrendo una notte di alterne fortune. A suo favore c'era il fatto che
aveva appena fatto amicizia con una splendida bionda stupendamente
Due giorni più tardi, in una fastosa residenza privata alla periferia
settentrionale della città di Riad, il principe Nasir Ibn Mohammed al-Saud,
devoto musulmano sunnita di sessantacinque anni ed erede al trono del re,
stava bevendo caffè turco e osservando con orrore la prima pagina del
Daily Telegraph di Londra.
Sotto una fotografia del Queen Mary 2 fortemente sbandato, larga sei
colonne, si leggeva un titolo:
1
■ Mercoledì 6 maggio 2009. Aeroporto internazionale King Khalid.
■ Il giorno dopo, ore 5.00. Ministero degli Esteri. Quai d'Orsay, Parigi.
Gaston Savary era solo, e stava guidando la sua Citroen nera di servizio
attraverso il denso traffico dei pendolari nella più remota periferia
nordoccidentale della città. Andava controcorrente ma il traffico era
2
■ Un mese più tardi. Primi di giugno 2009.
Daniel Mostel, ventiquattro anni, era uno delle poche migliaia di ebrei
residenti a Damasco. I suoi genitori, che erano ben introdotti e gestivano
una società di autonoleggio di grande successo con ottimi contratti
governativi, preferivano gli atteggiamenti religiosi rilassati della principale
città siriana e avevano sempre resistito alla tentazione di emigrare in
Israele.
Daniel lavorava nel controllo del traffico aereo e aveva l'ambizione di
diventare un giorno pilota. Trascorreva la maggior parte delle serate a
studiare per superare gli esami all'Air France. Nei fine settimana
frequentava una scuola di pilotaggio presso l'altro aeroporto, quello di
Aleppo, a est della città.
Nonostante la famiglia di Daniel si trovasse in Siria da diverse
generazioni, il nonno materno aveva vissuto in Israele durante le guerre
arabo-israeliane del 1967 e del 1973. I suoi racconti circa il coraggio di
Israele avevano commosso a tal punto il nipote che, di conseguenza,
Daniel Mostel faceva ora parte della sayanim, quella fratellanza israeliana
universale e segreta i cui membri avrebbero fatto qualunque cosa in nome
del loro Paese.
Daniel Mostel era un fanatico della causa di Israele. Aveva sovente
pensato di lasciare la Siria e di ritornare alle sue radici ma i suoi principali
contatti nel Mossad sapevano che era più importante lì, nella torre di
controllo dell'aeroporto internazionale di Damasco, dove rimaneva all'erta
e vigile. Daniel non aveva mai detto nemmeno una parola ai suoi genitori
circa il suo coinvolgimento nella sayanim.
E in quel preciso momento durante quel caldo pomeriggio era
sconcertato per la presenza di un aviogetto dell'Air France, un Airbus di
costruzione europea, parcheggiato lontano da tutti gli altri velivoli, senza
passeggeri e nulla di simile, per quanto potesse vedere, a un piano di volo.
Poco dopo le quattro vide salire a bordo del velivolo l'equipaggio di volo
più due assistenti di bordo, e dieci minuti più tardi una macchina nera del
governo siriano fermarsi alla base della scaletta che portava alla sezione
prodiera dell'aereo. Dall'auto uscì un solo uomo che salì rapidamente i
gradini senza guardarsi attorno. Portava una piccola sacca da viaggio in
3
■ Giovedì 19 novembre 2009. National Security Agency. Fort Meade,
Maryland.
Non c'era alcun seguito in nessuna delle edizioni dei cinque giorni
successivi. «Bene, penso che si tratti della maledetta fine di tutto ciò»,
disse fra sé e sé Jimmy.
O quasi. Perché il giovane ufficiale addetto alle informazioni che godeva
del credito dei grandi aveva ricevuto questa traccia dal più grande di tutti,
l'ammiraglio Arnold Morgan in persona. E il Grand'Uomo non ama molto
le mezze misure. Mi ha chiamato perché vuole qualche maledetta risposta.
E la vuole rapidamente, ad esempio per cena questa sera. È per questo
che andiamo a casa sua, giusto?
Disse immediatamente alla sua traduttrice, una civile di ventitré anni
laureata di nome Jo, di contattare il numero della ricerca abbonati in
Francia e di farsi dare il numero del ristorante L'Union di Marsiglia. Le
4
■ Domenica 7 febbraio 2010, ore 21.00. Residenza ufficiale del
comandante della flotta sottomarina. Quartier generale dell'Atlantico,
Brest.
L'uscita dal mar Rosso era una lunga trincea che si stringeva man mano,
con l'isola di Jabal Zubayr proprio nel mezzo. Seguiva l'isola di Jabal
Zugar e quella di Abu Ali, entrambe dotate di potenti fanali lampeggianti
di pericolo, di scarsa utilità per un sottomarino che cercava di avanzare
lungo i fondali sabbiosi nel canale profondo centottanta metri. L'isola di
Hanish al Kubra era l'incubo dei navigatori: si trovava quasi in mezzo al
canale, che in quella zona era profondo solo novanta metri e largo solo un
miglio.
Tuttavia lì c'erano due passaggi navigabili. Uno, con rotte a nord e a sud,
correva a est di Jabal Zugar, costeggiando lo Yemen, seguendo la brusca
curvatura della costa occidentale dell'isola.
L'altro canale marcato correva venticinque miglia a sudest e costeggiava
il lato occidentale di Hanish al Kubra. Comprendeva di fatto due strette vie
d'acqua, nord-sud, distanti quattordici miglia fra loro che correvano lungo
L'ex maggiore del SAS Ray Kerman aveva installato il proprio quartier
generale venticinque chilometri a nord di Moulhoule, nei pressi del confine
eritreo, sulla costa settentrionale del golfo di Gibuti. Aveva scelto il
distaccamento parzialmente usato della Legione Straniera di Fort Mousea
perché lì l'addestramento del suo gruppo d'assalto composto da
cinquantaquattro uomini avrebbe attirato meno l'attenzione.
Qui, in uno dei luoghi più caldi della terra, anche nelle stagioni più
fresche la temperatura scendeva raramente sotto i trentadue gradi. Si
trovavano solo undici gradi a nord dell'equatore, e d'estate la temperatura
saliva fino a quarantun gradi giorno dopo giorno. L'intera nazione aveva
meno di otto chilometri quadrati di terra arabile e pioveva di rado. Ray
Kerman immaginava di essere stato in posti peggiori di quella piccola
repubblica desertica, ma in quel momento non riusciva a ricordarsene
nessuno.
Il suo gruppo si stava ormai addestrando duramente da diverse
settimane. Gli uomini si erano spinti volontariamente su diversi terreni;
avevano corso lungo i sentieri dei boschi di Taverny; superato il percorso a
ostacoli della Legione a Aubagne; e quindi rinforzato i loro corpi nel
calore delle piste sconnesse del deserto nei dintorni di Fort Mousea.
I suoi uomini lo conoscevano con il suo nome ufficiale, generale Ravi
Rashood, comandante in capo di Hamas. Anche gli ufficiali francesi più
alti in grado lo chiamavano generale, e ogni giorno si univa a loro
Era stata finora la giornata più calda. Il generale Ravi Rashood e i suoi
uomini stavano ancora camminando. Erano ormai quasi dieci giorni che
marciavano, attraverso le montagne, fin da quando avevano preso terra
sulle spiagge deserte a nord della città yemenita di Midi, a sei chilometri
dal confine saudita a Punta Oreste.
Solo l'estrema preparazione fisica degli uomini aveva consentito loro di
continuare. Le barrette energetiche che avevano con sé avevano risposto
alle necessità primarie dei loro corpi, ma negli ultimi due giorni vi era stata
una perdita di peso e il generale era ansioso di raggiungere il punto
d'incontro.
Mentre risalivano i ripidi pendii, con la testa china, il berretto in testa, un
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■ Domenica 21 marzo 2010, ore 0.30 (locali). Perimetro settentrionale
della base aerea di King Khalid.
La notte scende sul deserto dell'Arabia e sulle sue coste molto più
rapidamente di quanto accade nelle regioni temperate più a nord del globo.
Tuttavia quella notte, venticinque miglia al largo della costa del golfo
saudita, non poteva calare abbastanza rapidamente per il capitano di
vascello Alain Roudy.
Il quarantunenne comandante di Tours, nella vallata della Loira, per la
prima volta nel corso della sua carriera in Marina era molto nervoso. Non
lo avrebbe mai ammesso con nessuno, nemmeno con la sua seconda
moglie, Anne Marie, molto più giovane di lui. Anzi, soprattutto con la sua
giovane seconda moglie.
Il comandante Roudy amava la disciplina, era un uomo simile ai
comandanti sul campo francesi del XVIII secolo. E per quanto capisse che
avrebbe potuto trovarsi sotto pressione per sconfiggere l'ammiraglio
Nelson e i suoi veterani nel 1805, sapeva che avrebbe combattuto a
Trafalgar ben meglio di come lo fece l'assai disfattista Comte de
Villeneuve, che perse la propria nave, fu fatto prigioniero e in seguito si
suicidò.
Alain Roudy, che viveva ancora nella sua città natale di Tours, si
trovava attualmente in una situazione estremamente critica. In quel
momento erano le 17.30 e la luce non scendeva ancora su quelle acque,
venti miglia a ovest del campo petrolifero di Abu Sa'afah. Il Perle si
trovava sei metri sotto la superficie con il periscopio abbassato, e avanzava
lentamente verso le vie d'acqua principali delle petroliere che lo avrebbero
portato all'enorme terminal di gas propano liquido al largo di Ra's al-
Ju'aymah.
Il problema era che doveva trovarsi in quelle vie d'acqua per le 18.15, e
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■ Mercoledì 24 marzo 2010, ore 5.00 (locali). La Casa Bianca,
Washington DC.
Da due anni Ray Sharpe era di servizio nella capitale dell'ex Africa
equatoriale francese. Lì, in quella città soffocante, adagiata lungo la
sponda settentrionale del fiume Congo, aveva retto il fortino statunitense in
una delle meno ambite sedi estere che Langley avesse da offrire.
Ma Brazzaville era anche un centro pulsante di attività, lo snodo
dell'area comprendente la Repubblica Centrafricana e il Camerun a nord,
l'ex Zaire - oggi Repubblica Democratica del Congo - a est, e il Gabon a
ovest. Il Congo - largo oltre un chilometro e mezzo - era la più lunga
idrovia navigabile dell'Africa, e rappresentava una sorta di autostrada
lungo la quale viaggiavano enormi quantità di legno, gomma e prodotti
agricoli.
Ed enormi quantità di droga. Ray Sharpe aveva imparato a sintonizzarsi
bene sul brusio del sottobosco africano. Qualche volta gli capitava di
pensare che lì ci fosse quasi più sottobosco che foresta.
La giornata era stata tranquilla. Pioveva, una pioggia calda, da fine
stagione, ma costante, che aveva prodotto grandi pozze e che aveva reso
impraticabili anche diverse strade principali. Il drenaggio, da quelle parti,
non era considerato una delle priorità chiave, anche se per gli standard
■ Il giorno dopo, giovedì 25 marzo 2010, ore 9.00 (locali). Sui Pirenei.
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■ Giovedì 25 marzo 2010, ore 5.00. National Security Agency. Fort
Meade, Maryland.
Jimmy guidò la Jaguar nera fino alla porta della casa di Chevy Chase,
che raggiunse alle 9.00 esatte. Due agenti del servizio segreto lo scortarono
dalla porta d'ingresso fino allo studio, dove l'ammiraglio Morgan sedeva
accanto al fuoco, lanciando i suoi strali - nell'ordine - contro il Washington
Post e il New York Times.
Il Post strillava in prima pagina il titolo: FALLIMENTO DELLA
DIPLOMAZIA USA IN ARABIA SAUDITA... Il Times ricamava invece
sul tema: INCAPACITÀ USA DI COMPRENDERE LA MENTALITÀ
ISLAMICA... Entrambi esprimevano, sostanzialmente, quella che Arnold
definiva la triste, ingenua, e totale mancanza di comprensione delle cose
che caratterizzava la due testate.
«Stupidi liberali», rincarò. «Due ore con il giovane Ramshawe e questi
fottuti imbecilli potrebbero imparare più cose di quante non ne hanno mai
imparate in tutta la loro vita.»
Poi alzò la testa e vide chi era il visitatore. «Ciao, Jimmy», lo salutò.
Il problema era che l'incidente di Olaya Street aveva gettato nella mente
di Jacques Gamoudi i semi del dubbio. Pur essendo un uomo che aveva
trascorso la maggior parte della sua carriera militare a stretto contatto con
la violenza, il rendersi conto di essere stato la vittima predestinata di un
finto incidente stradale e, quando questo era fallito, di due sicari armati di
AK-47, lo aveva scosso. Non aveva la minima idea di chi potesse esserci
dietro. Un uomo che aveva vissuto una vita come la sua correva sempre il
rischio di perderla da un momento all'altro.
Ritornò con la mente all'incontro che aveva avuto sui Pirenei con i due
uomini di Parigi. Non aveva alcuna ragione per sospettare che stessero
facendo il doppio gioco. Che fosse stato lui a sbagliare qualcosa? Non
aveva manifestato abbastanza lealtà verso il suo Paese? Aveva chiesto
troppo? I soldi non gli erano sembrati essere un problema. No. Era
assurdo. Cosa andava a pensare? E se fosse stato il re? Si era forse
convinto che la presenza di uno dei due uomini che lo avevano aiutato a
salire al trono non fosse più nel suo interesse? Che potesse essere causa di
troppo imbarazzo? Ancora una volta, non aveva senso. Ma allora, chi
poteva essere stato?
In ogni caso, sia Rashood, sia Gamoudi avevano ormai capito che
bisognava lasciare Riad. Il punto era: dove avrebbe potuto nascondersi,
Jacques? Non poteva rimanere in Medio Oriente. Troppa incertezza. E,
anche se la ragione gli diceva che il governo francese non poteva essere
implicato nell'incidente di quella sera, l'istinto di cui si era sempre fidato
gli suggeriva che non poteva nemmeno rientrare in Francia. Troppo
pericoloso. Il servizio segreto sapeva dove trovarlo. Aveva già richiamato i
cinque uomini che gli erano stati affiancati. Loro conoscevano i suoi rifugi.
Sarebbero stati loro a dargli la caccia. E l'idea non gli andava. Essere Le
Chasseur gli piaceva. Era troppo abituato a quel ruolo per diventare una
preda.
Il sovrano ascoltò con aria grave il racconto dell'attentato alla vita del
colonnello Gamoudi, avvenuto giovedì sera in Olaya Street. Il generale
Rashood e Jacques avevano deciso di non dire nulla di quanto era
successo, e di allontanarsi cautamente dal Paese nel giro di qualche giorno.
Ma la polizia si era messa a fare un sacco di stupide storie, e qualche
passante era riuscito a prendere il numero di targa della loro automobile.
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■ Lunedì 5 aprile 2010, ore 19.00. Sala stampa della Casa Bianca.
Grazie Joe.
Di nulla, Fred. Forse sarebbe meglio se tu cominciassi
descrivendo l'iter della procedura di censura avviata contro gli
Stati Uniti...
Con piacere, Joe... Prima di tutto, bisogna notare come le
accuse rivolte contro gli Stati Uniti siano estremamente gravi. Da
quanto ho saputo, la Francia ha già inoltrato richiesta per la
Andy Campese e una squadra di quindici uomini della CIA, fra i quali il
suo amico Guy Roland, avevano seguito, spiato e registrato i movimenti di
Giselle Gamoudi per diversi giorni. Si era trattato semplicemente di
pedinarla fino a casa della madre, a nord della città, lungo avenue
Montpensier, una strada alberata, in una zona residenziale non lontana da
Parc Lawrence.
Non si era mai allontanata da casa per più di mezz'ora, e mai senza
essere scortata da due uomini del servizio segreto, evidentemente armati.
In diverse occasioni, uno dei due era stato l'uomo che Andy aveva
incontrato a casa dei coniugi Gamoudi, a Héas.
I figli erano sempre con lei, ma Andy non aveva rilevato tracce che
lasciavano supporre che si recassero a scuola. Erano, chiaramente, in
vacanza forzata; una vacanza gentilmente offerta dal governo francese.
Aveva immaginato che non sarebbe stata una missione facile. Era chiaro
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■ Sabato 10 aprile 2010, ore 14.00. Direzione del servizio segreto
francese. Caserne des Tourelles, Parigi.
Gaston Savary non poteva credere alle sue orecchie. Era curvo alla
scrivania, appoggiato sui gomiti, l'orecchio incollato alla cornetta del
telefono. In tutta una vita passata nel servizio segreto non aveva mai
ricevuto un colpo simile, nemmeno quando aveva saputo per la prima volta
che la CIA era sulle tracce di Jacques Gamoudi.
«Cosa significa andati? Andati dove?»
■ Lunedì 12 aprile 2010, ore 5.30. Estremità meridionale del mar Rosso.
■ Lunedì 12 aprile 2010, ore 9.00 (locali). Ministero degli Affari Esteri,
Parigi.
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■ Giovedì 15 aprile 2010, ore 23.00. Deserto dell'Arabia Saudita.
A causa delle otto ore di fuso orario esistenti, quando il Boeing del
colonnello Gamoudi si alzava nel cielo notturno sopra Riad, a Washington
era ancora il pomeriggio di giovedì.
Pochi minuti dopo, una chiamata dell'agente della CIA di servizio
all'aeroporto internazionale Re Khalid aveva informato l'ambasciata degli
Stati Uniti a Riad che un aeroplano privato del re era appena decollato,
imbarcando solo due passeggeri sconosciuti. Come sempre quando si
trattava di velivoli appartenenti alla famiglia reale saudita, la destinazione
era sconosciuta.
L'ambasciata a Riad aveva agito con la massima prontezza, e aveva
■ Venerdì 16 aprile 2010, ore 17.30 (locali). Base della Royal Navy,
Gibilterra.
EPILOGO
■ Giovedì 20 maggio 2010, ore 11.00. Sede delle Nazioni Unite, New
York City.
I due Boeing della reale Aeronautica saudita toccarono terra leggeri, uno
dopo l'altro, sulla pista di atterraggio del piccolo aeroporto a sud del
capoluogo dell'Idaho. Qui, in una delle grandi aree montagnose del
Midwest statunitense, avevano trovato la loro nuova casa quelli che adesso
si chiamavano la signora e il signor Jack McCaffrey.
Jack e Giselle erano in piedi sulla porta della piccola sala arrivi, in attesa
del loro ospite, che era, come sempre, accompagnato da un entourage di
quarantasette persone, fra familiari e personale dello staff... Poco o niente
rispetto alle tremila che in genere viaggiavano insieme al suo predecessore
al trono saudita.
I nuovi arrivati avrebbero riempito tutti i piccoli alberghi della zona. Il
re, invece, aveva insistito per trascorrere tre giorni in casa McCaffrey.
«Insieme abbiamo combattuto una grande battaglia. Sarò ospite sotto il
FINE
NOTA DELL'AUTORE
Vorrei sottolineare che non è mia intenzione dipingere i francesi come
un popolo infido e senza scrupoli. Ho semplicemente scelto un Paese che
si adattasse ai miei scopi narrativi, nell'anno 2010, a cinque anni dalla data
di pubblicazione del libro.
Avrei potuto scegliere la Gran Bretagna, ma Londra è un alleato troppo
fedele degli Stati Uniti. Avrei potuto scegliere anche la Germania, la
Spagna, o anche l'Irlanda. Ma nessuno di questi Paesi ha il potenziale
marittimo della Francia, né le sue conoscenze in materia.
Spero di avere trattato i francesi in modo equo e ragionevole, pur
avendoli descritti talora come eroi, talora come criminali. È uno dei rischi
che si corrono nello scrivere tecnothriller. I cattivi sono sempre
immaginari, ma - scrivendo su canovacci molto ampi - talora capita che
intere nazioni si sentano offese dagli strali al calor bianco che partono
dalla mia tastiera! Senza rancore (spero).