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Panuccio dal Bagno Canzoni

Canzoni

I [iv]
Poi contra voglia dir pena convene
a me, quasi dolendo,
per soverchia montansa in cui sormonta,
ne la qual falso diletto mi tene,
5 u’ mi mise vogliendo
l’anima un disio col cor congiunta
di quella in cui piacer era coverto
quando parea più vero,
c’amor cognosco di falso colore,
10 del qual m’ha priso, poi fu’ mi proferto:
immaginandol clero
da lei, di conoscensa fu’ in errore,
per ch’io l’elessi a mio propio signore.
Non conoscendo, falsessa stimando
15 del piager, ma pur fiso
dell’alma imaginai il suo diletto
e concedetti amore i·llei fermando.
D’ogni ’ntension diviso,
fui a sua signoria servo soggetto
20 d’amore ’n atto, distretto ’n potensa;
di lei sua forma prese;
al suo voler per lui i’ foi congiu[n]to,
e sommisili arbìtro e mia vogliensa
di lei servire accese,
25 u’ conoscendo mai non fallai punto:
or d’allegressa m’ha tutto digiunto.
Fermato a perfessione a suo volere,
di me non fors’ avendo,
in ardente mi mise corl foco;
30 ma ciò mi porge, lasso, più dolere,
per difetto sentendo
di conoscensa aver pene non poco:
ché poi mi mostrò, lasso, la sembiansa
de la sua oppinïone,

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Panuccio dal Bagno Canzoni
X

35 la quale, aviso, i·llei tuttor regnava


di piacer contra, und’ho gran malenansa,
vit’ a confusïone;
ché ’l meo servir gradisse lei pensava:
or mortalmente conosco fallava.
40 Fallando in conoscensa, in signoria
di morte sono ognora,
né morir posso e ’n morte ognora vivo;
e porge tal cagione in me sì ria
pena, che for misora
45 grave sembra aver vita sì pensivo:
perch’io non parto già d’intensïone,
ché, se mi fusse danno
la morte, in vita solo un’or regnasse,
ma, tormentando, di vita ho cagione
50 più, e·mmi monta affanno,
che s’a morte lo spirto mi mancasse,
e qual più progiudicio mi portasse.
La principal del meo doler cagione
aggio costretto a dire
55 ne la fine per più dolor mostrare:
e dico, più mi dà confusïone
d’ogni greve languire
la reprension che pote in lei montare,
considerando l’altera valensa
60 di natura discesa
e lo suo gentil core inganno tegna,
unde ’n alcuna guisa di fallensa
di vertù sia ripresa;
per che maggior di ciò pen’ in me regna,
65 considerando in lei cosa non degna.
Se ’n alcuna mainera già potesse
da la follïa presente partire,
isforserëimi a valer [al]quanto:
però c’assai più manto

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Panuccio dal Bagno Canzoni
X

70 fall’è, cernendo, in mal perseverare,


che non già fôra stare
nel mal, non conoscendo; ma non posso,
ché voler non s’è mosso,
unde, di ragion om, fatto son fera,
75 seguitando carrera
dal piager falso c’ha in me pene messe.

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X

II [vii]
La dolorosa noia
ch’aggio dentro al meo core,
che non mostri di fore
non posso tanto sostener; m’avansa,
5 montando, malenansa,
e soverchiando me da tutte parte,
poi che tra gente croia
come non saggi alpestri,
ch’aver degni capestri
10 lor serian distringendo come fere
quale più son crudere,
dimorar mi convene e stare ’n parte.
E non sol[o] dimor con loro usando,
ma mi convene stando
15 sotto lor suggession quasi che muto:
di che son dipartuto
d’ogni piacer, poi lor signoria venne;
e come ciò sostenne
venisse, u sosten regno, eo meraviglio,
20 Dio, poi comunità mis’ ha ’n disguiglio.
Mis’ hano in disguigliansa
ragione, e conculcata
è per loro, scalcata,
li lor seguendo pur propi misteri
25 e i malvagi penseri
seguitando, non punto in lor ragione.
La ch’era comunansa
hano sodutta in parte,
ed han miso in disparte
30 li valorosi e degni e bon’ rettori,
per li quali e’ maggiori
con parvi dividian onor comone.
Or l’han condutto in [lor] propïetate,
perché la volontate

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
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X

35 lor tanto fera il senno ha suggiugato;


e già non è mostrato
ch’è sol voler, per lor, fer’ e mortale,
il quale ha miso a male
e a danno, volendo, lor[o] terra,
40 e perdute castella e piano in guerra?
E quei ch’erano degni,
e che [per] ver son anco,
mis’ han dal lato manco.
Crescendo onor rettori ed avansando,
45 e non quasi mancando
per lor ragion; ma sol era ben retta,
di che si vén gran segni:
giustisia conservata
era per lor, montata
50 sì che mal fare alcun non quasi ardia,
perché ’l mal si punia;
la terra d’ogni scuso era ben netta.
Or giustisi’ ha deserta, ond’ è caduta
con ragion e perduta:
55 ché più ladron[i] son che merca[ta]nti,
e quasi certo i santi
son dirubbati, e no solo i palagi;
ed a ciascuno adagi
par de’ detti signor’; ma ciò non sono,
60 ché l’un perisce e l’altr’ ha ’n mal perdono.
Portano perdonansa
i lor propi ’n mal fare,
e più che meritare
è intra loro alcun che lor vorria,
65 però che la lor via,
la fine e ’l primo e ’l mezzo, è propio a male;
ed altri sen’ fallansa
greve sostegnon pena,
e chi lor guerra mena.

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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
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X

70 Quant’ a lor terra, son siguro in tutto:


e’ riprendon condutto
di ciò che volno in lor cità e ’l quale;
e le terre che son tante perdute,
non già l’hano volute
75 difender, ma perdute sian lor piace;
e divietato han pace
solo a confusïon d’omini ’n parte.
E ciò fatt’ hano ad arte,
unde proced[e]rà in loro gran danno,
80 ché non sofferrà Dio sì grande inganno.
Se mi distringe doglia,
non certo è meraviglia,
ma crudeltà somiglia
a cui non prende doglia e pena monta,
85 veggendo che si ponta
alcuna parte in mal far quanto pote,
e quei che piena voglia
aviano ’n bene ovrare,
e tutto il lor pensare
90 solament’ era in ciò, sono a nente
per sì smodata gente:
und’onni gioi’ per me son vane e vote,
ché sento in tutto morta ora giustisia
ed avansar malisia
95 e ’l mal ben conculcare, e somettendo
e montando e crescendo
islealtate, inganno, disragione;
di che mia ’ntensïone
non è che lungo tempo Dio il sostegna,
100 ché non soffrir vorrà cosa sì ’ndegna.
Seminato nel campo fer’ han seme,
e seme simel sé ciascun arende:
und’è folle chi attende
di seminato, gran, piggior che gioglio;

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105 per che non tanto doglio


che frutto e seme cosa una fi ’nseme.
Per soverchi’ abondansa
ch’avea ed ho di gravosa dogliensa,
m’ave la mia vogliensa
110 sommosso a canto far di sì gran torto,
il qual greve m’ha porto
cagion dogliosa e fera di dolere,
poiché ’l bene a podere
sento perire, e ’l mal tuttora avansa.

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X

III [x]
Magna medela a grave e perigliosa
del tutto infermità so che convene,
ché parva parvo, so, dà curamento;
e chi infi[r]m’ a greve e ponderosa,
5 a possibile far cherensa déne,
e non cui falla punto potimento:
ché non ha valimento
picciula cura gran piaga sanare,
né poi pot’om trovare
10 guerensa in quello dal quale divia
colti, e grav’è [più] via
poter sanare u’ tutta è vïolensa
e non queta l’om mai süa essensa.
Per me mia voglia sre’ desiderosa
15 che d’altra parte aver conforto e spene
desiderato avessi e ’stettamento,
perché di lui m’è via onne stremosa,
referendol del tutto, e aspra ène:
unde, parlando, dir quasi pavento:
20 ché dare spiramento
è dificile me, e mitigare:
però che, se penare
mettesse ’n ciò, sre’ vano al tutto pria,
appresso poi seria
25 la fine ad onta diviso a ’derensa,
unde alïena sre’ me provedensa.
Però [colui] en cui è poderosa
aversitade, de a potense lene
metter creando vigore sia ’ntento;
30 ne dé sua voglia esser nighettosa,
né di vilessa le suoi opre piene,
né ira fare in lui occupamento,
ma levar, sanamento
sé isperando da Colui che pare,

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35 siccome vero pare,


no ha ni ebbe ni mai aver dia,
il qual sempre desia
prosperità a om dare e valensa,
e vole e pò per Sua magna eccillensa.
40 Prova vera vertù vertudïosa
colui ch’aversità fermo destene
per sua valensa farne occultamento,
e ’n tal mainera dé lui grasïosa
esser, dico, se vero ei cerne bene;
45 ché, come purga metallo elemento,
così ho credimento
che sia d’aversità ’l propio purgare
vincere e conculcare
di ciascun visii che parato stia:
50 voler che noi’ seria
for d’altro frutto; e ciò è pacïensa,
che dà vertù in cui fa su’ aderensa.
Tan’è magna di Dio e valorosa
la potensa, che cose onne sostene,
55 c’a monti pò leggèr dar mutamento,
e chiara cosa far ch’è tenebrosa,
e diletto tornar, tormento s’ène,
e, qual più vivo par, dar finimento.
Dunque dischiaramento
60 e libertà pòn servo seguitare,
e ciò ha e’ sperare;
ché disse sancto di phisolofia,
in cui non fu falsia:
“S’avesse om fede u vera intelligensa,
65 fare’ mover li monti a sua indigensa”.
Donque provedimento
per fede e spera voler seguitare,
e retto in Lui sperare
aver dé, in Quello che cotidio cria

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70 remedi e’ quai pensria


animo mai, sì pog’ ha percepensa,
ma Ei bensì, in cui somm’ è prudensa.

IV [xix]
Lasso di far più verso
son, poi veggi’ ogn’om manco
d’amor[e] far tuttor del dritto inverso:
ché, qual ten omo più franco
5 di lealtate, perso
tosto fa, se veder se pò, del bianco.
Ché donna né converso
non so ’l cor aggia stanco
di ciò pensare e fare, und’è ben perso:
10 sicché “Vertù non branco”
pò dire, “ansi l’avverso”,
leal om, sì l’ha preso per lo fianco
islealtat’ e inganno, ch’ognor monta
e lo mondo governa
15 sì, c’a quella lanterna
vol gire ogn’omo e in ciò far si ponta;
tanto c’obbrïat’ hano la superna
membransa dove l’onta
e ’l ben d’ogn’om si conta,
20 e di ciascuno han merto in sempiterna.

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