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Con il termine Rivoluzione industriale si intende l’insieme dei mutamenti economici e sociali

avvenuti in Inghilterra a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento e diffusisi in seguito in buona parte
dell’Europa e negli USA.

Nel giro di un secolo (tra il 1750 e il 1850) in Gran Bretagna.


- il reddito nazionale (PIL) aumentò di 7 volte;
- la popolazione triplicò
- le importazioni aumentarono di 10 volte
- le esportazioni aumentarono di 14 volte
- la percentuale di reddito nazionale prodotta dall’agricoltura passa dal 50% al 25%
- la percentuale di reddito nazionale prodotta dall’industria passa dal 20% al 55%

Insomma, nel giro di un secolo l’industria aveva soppiantato l’agricoltura nella formazione del
reddito e gli operai avevano in gran parte sostituito i contadini. A una società agricola, l’unica che
l’uomo avesse conosciuto nei millenni, se ne era sostituita una industriale in cui:
- la maggior parte della ricchezza nazionale viene prodotta dall’industria
- la maggior parte della popolazione attiva è impiegata nel settore industriale
- quasi tutta la produzione viene indirizzata al mercato (diviene irrilevante la produzione per
l’autoconsumo.) la fabbrica diviene l’unità produttiva fondamentale
- si afferma la produzione basata sulle macchine

Perché in Inghilterra?

La trasformazione delle campagne inglesi


L’Inghilterra disponeva nel Settecento di grandi capitali per l’investimento, assicurati dai profitti
commerciali e dalle eccedenze agricole.
Ciò grazie all’introduzione di innovazioni tecnologiche che avevano reso possibile una miglior resa
dei raccolti, ma anche per effetto di una trasformazione sociale che portò nela campagna inglese alla
scomparsa dell’antica agricoltura comunitaria e all’affermarsi dell’agricolturacapitalistica.
Le terre comuni, sulle quali i contadini esercitavano da secoli i diritti di pascolo e di raccolta
(legna, ghiande, castagne…) vennero privatizzate e recintate (si tratta del fenomeno delle
enclosures).
Di conseguenza molti coltivatori, perdendo l’uso delle terre comuni, vennero private di
un’importante fonte di sussistenza. Furono così costretti a vendere il proprio campo e ad entrare
come salariati (braccianti) nelle grandi proprietà capitalistiche, dove, grazie alle migliorie
introdotte grazie agli investimenti di capitale, la produttività era maggiore, con un minore impiego
di forza-lavoro.
Chi non riusciva a trovare impiego come bracciante era espulso dalle campagne.
Quest’ultima categoria di lavoratori forniva la manodopera necessaria per l’industria, disponibile,
tra l’altro, a basso costo, perché costretta a ricercare in ogni modo fonti di reddito per la
sopravvivenza.

Altri fattori che favorirono il decollo inglese furono:


- l’ampia disponibilità di materie prime dovute al ruolo di primo piano che l’Inghilterra
rivestiva nel commercio internazionale, grazie alla sua potente flotta e al suo vasto impero
coloniale
- la ricchezza di importanti materie prime (ferro, carbone) presenti nel sottosuolo inglese, rese
realmente sfruttabili grazie alla meccanizzazione dell’estrazione mineraria (qui la prima
applicazione della macchina a vapore) e al miglioramento della rete dei trasporti
- il forte impulso al miglioramento delle infrastrutture (soprattutto canali navigabili) avviato a
partire dalla 2° metà del Settecento
L’innovazione tecnologica
Un vero e proprio boom di invenzioni si produsse tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento
spesso ad opera di artigiani, magari privi di cultura, ma geniali nell’individuare soluzioni pratiche a
problemi produttivi.
Il primo settore che venne trasformato dall’avvento delle macchine fu quello tessile.
Tra le innovazioni più significative va ricordata quella del filatoio idraulico (1769) inventato dal
barbiere Richard Arkwright: questi filatoi azionati da ruote idrauliche, simili a quelle dei mulini,
permisero di concentrare la produzione, prima dispersa nel lavoro a domicilio, in fabbriche situate
in luoghi dove era possibile sfruttare i corsi d’acqua.
Innovazioni fondamentali furono quelle che permisero lo sfruttamento di nuove fonti di energia.
L’ingegnere scozzese James Watt nel 1769 perfezionò la macchina a vapore (inventata da
Thomas Newcomen nel 1712).
La macchina di Watt cominciò a diffondersi nell’industria a partire dal 1785 per imporsi in modo
generalizzato nei decenni successivi.
La fortuna della macchina di Watt derivò dalla sua applicabilità ai più svariati settori:
- minerario (per prosciugare l’acqua nei pozzi)
- nei trasporti (ferrovia e battello a vapore)
- industria (con la possibilità di localizzare le fabbriche non più solo in prossimità dei corsi
d’acqua, ma nelle città, dove era possibile approfittare della vicinanza dei mercati e di
un’ampia manodopera).

La città
La localizzazione delle fabbriche nelle città favorì una crescita impetuosa della popolazione urbana:
nel 1800 in Europa c’erano solo 22 città con oltre 100.000 abitanti; nel 1850 erano già 47 (di cui 22
inglesi) per diventare 135 nel 1900. Nello stesso arco di tempo (1800-1850) Londra passò dai
1.117.000 abitanti ai 2.685.000.
Manchester, la capitale dell’industria cotoniera, che all’inizio del XVIII secolo era un semplice
villaggio, nel 1801 aveva 175.000 abitanti, divenuti 303.000 nel 1851.
Una crescita così impetuosa fece sì che in pochi anni crescessero interi quartieri operai caratterizzati
da sovrappopolamento, mancanza dei più elementari servizi e da condizioni igenico-sanitarie
spaventose.

La condizione operaia
Le condizioni di lavoro all’interno delle fabbriche erano drammatiche:
- la giornata lavorativa poteva raggiungere 16-18 ore
- gli ambienti di lavoro erano malsani
- non esistevano tutele sindacali e gli operai erano continuamente soggetti alla monaccia del
licenziamento
- anche i bambini erano sottoposti a queste condizioni (era considerato normale lavorare dopo
i sei anni)
Donne e bambini venivano preferiti in quanto percepivano un salario più basso degli uomini e
perché erano considerati più docili.

Il luddismo
Tra le altre conseguenze, l’introduzione della macchina portò alla scomparsa degli antichi mestieri e
alla riduzione della manodopera. La reazione degli operai a questi fenomeni fu, talvolta, violenta.
All’inizio dell’Ottocento la protesta si concretizzò spesso nella distruzione delle macchine,
fenomeno che prese il nome di luddismo ( da Ned Ludd, leggendario capo della rivolta).
I luddisti erano, in genere, operai specializzati danneggiati dall’introduzione delle macchine che,
annullando la loro professionalità, ne determinava il declassamento a operai generici, o addirittura il
licenziamento.
La reazione delle autorità fu violenta. Si arrivò a punire gli atti di luddismo con la pena di morte.
Solo negli anni ’20 e ’30 dell’Ottocento sorsero le prime organizzazioni sindacali a difesa dei
lavoratori e ebbe inizio una riflessione teorica sulle conseguenze della Rivoluzione Industriale.

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