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STUDI BARTOLIANI

1
Mauro Benini, Bartolo, Roma, Palazzo di Giustizia, Cortile d’Onore
Bartolo da Sassoferrato
nella cultura europea
tra Medioevo e Rinascimento
a cura di
Victor Crescenzi e Giovanni Rossi

ISTITUTO INTERNAZIONALE DI STUDI PICENI


“BARTOLO DA SASSOFERRATO”
In ricordo di Padre Stefano Troiani,
già ispiratore e promotore
dell’Istituto Giuridico “Bartolo da Sassoferrato”

Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”


Corso don Minzoni, 40 - 60041 Sassoferrato (An)
www.studiumanisticipiceni.com

ISBN 978-88-392-1005-0
© 2015 Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassoferrato”
QuattroVenti

Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi


mezzo, riservati per tutti i paesi.
Indice
Indirizzo di saluto, Ugo Pesciarelli 7
Premessa, Galliano Crinella 9
Prefazione, Victor Crescenzi e Giovanni Rossi 11
ETTORE DEZZA
Bartolo e la giustizia penale - Prime note 13
MARIA GIGLIOLA DI RENZO VILLATA
Bartolo consulente nel ‘penale’: un’auctoritas indiscussa? 25
GIOVANNI ROSSI
Sulle orme di Lorenzo Valla: una rilettura del trattato De insigniis et armis
di Bartolo 63
VICTOR CRESCENZI
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 97
ENRICO SPAGNESI
Che cosa sia vera nobiltà: da Bartolo a Pompeo Neri 119
GUIDO MARIA CAPPELLI
Il castigo del Re. Bartolo, Pontano e il problema della disubbidienza 141
FERDINANDO TREGGIARI
Bartolo e gli ebrei 155
ANDREA BARTOCCI
Bartolo e l’economia dei conventi mendicanti nel Trecento 207
FERDINANDO TREGGIARI
«Doctoratus est dignitas»: la lezione di Bartolo 221
PAOLO MARI
Bartolo e la condizione femminile. Brevi appunti dalle lecturae bartoliane 239
MARIA ALESSANDRA PANZANELLI FRATONI
Bartolo da Sassoferrato e la stampa, ovvero della sua prima
fortuna editoriale 253
JAMES MEARNS
The influence of Bartolus of Sassoferrato on Andrea Alciato’s discussion
of a legal war 285
Indice dei nomi 311
7

INDIRIZZO DI SALUTO

L’iniziativa dell’Istituto internazionale di Studi Piceni “Bartolo da Sassofer-


rato” di raccogliere e pubblicare i saggi presentati nei due congressi del 2013 e
2014, in occasione del settimo centenario della nascita di Bartolo, rappresenta
una straordinaria opportunità di conoscenza ed approfondimento delle sue ge-
niali intuizioni in tutti i campi del diritto e dell’attualità del suo insegnamento.
E noi, cittadini di Sassoferrato, non possiamo non essere orgogliosi che un figlio
di questa terra abbia portato alto nel mondo il nome di Sassoferrato, in virtù
della sua dottrina giuridica e del suo immenso sapere. Intendo, pertanto, espri-
mere la mia personale soddisfazione e di tutta l’Amministrazione comunale per
questo lavoro e per le sue finalità che, nel ricordare la vita e le opere di un per-
sonaggio di fama mondiale, universalmente conosciuto come “il padre del di-
ritto” o con l’appellativo di “Monarca juris”, esalta questa nostra terra, questa
nostra città così ricca di storia e di grandi tradizioni culturali.
A memoria della ricorrenza pluricentenaria, il 3 luglio 2013, a fianco della
Chiesa di San Francesco, è stata apposta, a nome dell’Amministrazione Comu-
nale e della città di Sassoferrato, la lapide che recita così: “Qui, alla scuola di
Fra’ Pietro d’Assisi, Bartolo, mirabile assertore di concordi leggi tra i popoli, ini-
ziò il luminoso cammino verso le somme vette del sapere giuridico”.
Nei tempi attuali, tempi difficili, di crisi nei quali sembrano venir meno le ri-
sorse materiali e morali, questa opera sia allora, per ognuno di noi, ma soprattutto
per le giovani generazioni, uno stimolo a ricercare e custodire quotidianamente
la giustizia, la legalità, la lealtà, la condivisione dei valori umani e universali, per
un cammino verso un mondo più giusto, un equilibrato rapporto sociale e una
pacifica convivenza tra i cittadini e i popoli. Nella consapevolezza che questo la-
voro offrirà un nuovo contributo alla conoscenza di questo nostro illustre concit-
tadino, mantenendone più che mai vivo l’interesse, a nome dell’Amministrazione
comunale e mio personale voglio esprimere gratitudine per l’iniziativa.

Il Sindaco di Sassoferrato
Ugo Pesciarelli
11

PREFAZIONE

La rilevanza storica della figura e dell’opera di Bartolo da Sassoferrato


(1313/14 -1357) è grande e indiscutibile: per la qualità e l’efficacia della riflessione
svolta intorno a numerosi ed importanti temi giuridici d’attualità, per l’ampiezza
delle sue vedute ed insieme la puntualità delle soluzioni proposte, per la poliedri-
cità dei suoi interessi e la diffusione universale dei suoi scritti. Alla fama ed al pre-
stigio che lo hanno accompagnato in vita, durante la sua non lunghissima ma
intensa stagione di insegnamento, prima presso lo Studium pisano e poi in quello
perugino, si è aggiunto l’eccezionale successo riscosso dal suo esempio: dopo la
morte precoce Bartolo è stato ben presto indicato come prototipo e paradigma
del giurista di ius commune, icona atemporale ormai separata dai suoi meriti storici
e consegnata alla leggenda, venerata senza misura e poi censurata senza criterio,
cosicché il suo nome ha potuto designare un’intera epoca nello sviluppo della
scienza giuridica europea ed è divenuto a lungo sinonimo tout court di giurista.
Per alcuni secoli Bartolo – o forse, meglio, la proiezione “eroica” che di lui i
cultori del diritto avevano oggettivato e fatto propria – ha infatti dominato la
scena della giurisprudenza italiana ed europea e le sue teorie sono state riprese,
studiate, applicate nelle aule universitarie e nei tribunali, esercitando un’influenza
duratura e senza paragoni possibili sulla vita del diritto, in luoghi e tempi assai
lontani tra loro. Per tutto ciò la personalità scientifica di Bartolo ha lasciato
un’impronta indelebile nel diritto comune, tra tardo Medioevo e prima moder-
nità ed egli può senz’altro considerarsi, più in generale, una delle figure di rife-
rimento della cultura europea.
Nell’occasione del settimo centenario della nascita di Bartolo da Sassoferrato
è parso dunque utile riconsiderare il suo lascito scientifico e tornare ad indagare
la sua opera, raccogliendo intorno a tale progetto un gruppo di storici del diritto
che fossero disponibili a mettere a fuoco con metodologia aggiornata e rigorosa
alcuni degli innumerevoli temi toccati da Bartolo, rendendogli l’omaggio di un
rinnovato studio del suo magistero, lumeggiato nella sua complessità e multifor-
mità d’interessi e di esiti.
I frutti delle due occasioni congressuali tenutesi, rispettivamente, nel 2013 e
nel 2014 a Sassoferrato nella cornice dei Congressi internazionali di Studi uma-
nistici, organizzati dall’Istituto internazionale di Studi Piceni, vengono ora rac-
colti ed offerti al pubblico, nella convinzione che i saggi qui pubblicati possano
rappresentare un contributo rilevante alla migliore conoscenza del pensiero bar-
toliano e tracciare la via per un rinnovato interesse verso colui che può senz’altro
essere indicato come uno dei maggiori giuristi di tutti i tempi.

Victor Crescenzi
Giovanni Rossi
VICTOR CRESCENZI

Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La iurisdictio come forma del potere pubblico – 3. La


iurisdictio nella sistemazione bartoliana – 4. Iurisdictio e territorio – 5. Iurisdictio e
dominium – 6. Le figure della repraesentatio – 7. Qualche considerazione conclusiva

1. Premessa

Bartolo certamente non è stato scienziato puro del diritto: la sua biografia
mostra come egli si sia confrontato, durante tutta la sua vita, con il problema
pratico del potere e del suo esercizio, nonché con il problema delle regole
dell’esercizio del potere1; lo ha affrontato come amministratore pubblico, ma
anche come osservatore delle complesse vicende che nel Trecento
travagliarono, quando non sconvolsero una società per più versi estremamente
dinamica e ricca di fermenti, quale era quella italiana — ed europea. Non starò
a ricordare quante e quali profonde modificazioni e lacerazioni subiscono le
strutture istituzionali e organizzative di questa società durante i secoli XIII e
XIV: soprattutto il Trecento è il secolo nel quale le strutture comunali di gov-
erno, basate su una notevole partecipazione popolare, giungono ad un alto liv-
ello di maturazione, ma è anche il secolo nel quale alcune delle più importanti
esperienze comunali si vengono trasformando, o, diciamo più schiettamente,
degradando in signorie; è il secolo nel quale si viene definitivamente affer-
mando il Regno di Francia; è il secolo della cattività avignonese; è il secolo nel
quale l’Impero cercherà di restaurare un qualche potere effettivo soprattutto

1
È di F. CALASSO la voce Bartolo da Sassoferrato, nel Dizionario biografico degli Italiani,
vol. 6, Roma, 1964. Ricordo qualche data: 1335-1336: probabilmente assessor a Todi; 1337:
probabilmente podestà a Cagli; 1338: avvocato del rettore della Marca Anconetana a Macerata;
1339-1343: assessor a Pisa e poi ivi professore; 1343-1357: professore a Perugia, ma anche giu-
dice, avvocato, consulente; arbitro ad Assisi, Spoleto, Gubbio, Todi, Marca Anconetana; 1355:
è nominato consigliere dell’imperatore Carlo IV di Boemia e se è leggenda che la Bolla d’oro sia
opera sua, è più ragionevole e realistico pensare che abbia concorso, come consigliere, alla scrit-
tura di questo importante documento che sancisce definitivamente l’elettività dell’imperatore
(già peraltro comunemente praticata) nella dieta composta da 4 principi laici (re di Boemia, duca
di Sassonia, margravio di Brandeburgo, conte del Palatinato) e 3 ecclesiastici (arcivescovi di
Colonia, Magonza e Treviri). La bolla rimane in vigore fino a circa la metà del ‘600, ma definiti-
vamente fino al 1806.
98 Victor Crescenzi

in Italia. È, dunque, un secolo attraversato da forti linee di tensione, talvolta


tra loro in diretto conflitto. Possiamo dire che Bartolo non solo non si sottrae
al compito proprio di ogni uomo di scienza, e di una scienza, qual è quella del
diritto, così fortemente embricata nella società, ma assume senza esitare la
veste di quello che oggi chiameremmo giurista militante.
È il Calasso, ancora una volta, a collocare in una corretta prospettiva questo
quadro, quando, mettendo in relazione la posizione di Bartolo con le evoluzioni
della scienza giuridica del suo tempo, ricorda che il nuovo indirizzo scientifico,
maturato a Tolosa e Orléans, «non fu soltanto la sostituzione di una tecnica
d’interpretazione ad un’altra [...], ma la nascita di una problematica nuova,
strettamente legata a situazioni storiche tutte proprie degli ordinamenti
giuridici italiani: questo spiega com’essa acquistasse rapidamente nelle scuole
italiane quella consistenza di indirizzo scientifico che altrove non ebbe [...].
Questa consistenza di indirizzo scientifico fu indubbiamente opera di Bar-
tolo, e questo spiega come l’indirizzo stesso e le massime dottrine che ne
discesero, portino per antonomasia il suo nome. È lecito pensare che in
questa antonomasia abbia operato, come spesso accade difronte a personalità
fuori misura, la legge di concentrazione storica: ma da questa ammissione
non tutto resterebbe spiegato, come non resterebbe spiegata la trasfor-
mazione profonda che si opera nella scienza giuridica ai tempi di Bartolo col
passaggio dalla glossa al commento»2.
Nuovi metodi postulano nuovi problemi, ovvero, la «posizione nuova di
un problema»3, e questo problema altro non era che la relazione tra ordina-
menti particolari e Impero universale; problema che Bartolo risolse all’interno
della costruzione teorica della ciuitas sibi princeps4.
Ma «il punto originale e più alto della teoria bartoliana»5 deriva dal fatto
che egli seppe collocare la sua costruzione all’interno di «quel concetto di
iurisdictio, di squisita tecnica giuridica, che fu al centro della sua concezione
pubblicistica [...]. L’ordinamento giuridicamente autosufficiente vien detto
perciò, nel linguaggio bartoliano, “iurisdictionem habens”»6.

CALASSO, L’eredità di Bartolo, in Bartolo da Sassoferato. Studi e documenti per il VI cente-


2

nario, I, Milano, 1962, p. 17 (relazione inaugurale del convegno commemorativo del VI cen-
tenario di Bartolo, letta all’Università di Perugia il primo di aprile 1959 e pubblicata anche
negli «Annali di storia del diritto. Rassegna internazionale», 3-4 (1959-60), pp. 65-82); ora in
CALASSO, Storicità del diritto, Milano, 1966, pp. 315-357; qui cito dalla versione del 1962.
3
CALASSO, L’eredità di Bartolo, p. 17.
4
CALASSO, L’eredità di Bartolo, p. 18.
5
CALASSO, L’eredità di Bartolo, p. 18.
6
CALASSO, L’eredità di Bartolo, p. 18.
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 99

Ne consegue che il problema del potere pubblico in Bartolo si risolve in


quello della iurisdictio. Che significa questa affermazione?
Per tentare di dare una risposta a questo interrogativo dobbiamo ancora
una volta ricorrere ad una constatazione del Calasso7: «La rivoluzione co-
munale strappa al comes la iurisdictio plena, che diventa una giurisdizione
esclusiva del comune cittadino, col divieto di adire ogni altra autorità».
Sembrerebbe un’affermazione perfino scontata, se non fosse che questa
rivoluzione è indirizzata a sostituire ad una prassi di dominio, quale quella
feudale, basata su una concezione patrimoniale del potere, una struttura di
governo, restituendo la iurisdictio ad una concezione del potere pubblico che
ha come fine il governo di una società, appunto, qual è quella propria del-
l’esperienza all’interno della quale essa iurisdictio aveva trovato elaborazione,
ossia quella del diritto e della concezione dell’esercizio del potere propria del
mondo romano.
In altre parole è con la rivoluzione comunale che la iurisdictio da categoria
della prassi feudale, che la prassi feudale aveva mutuato dalla terminologia
giuridica del diritto romano8, viene restituita alla sua matrice culturale e anche
concettuale, assumendo una forza dirompente, assumendo una funzione an-
tifeudale; ricollocata nel diritto romano, la iurisdictio torna ad essere costan-
temente riferita alla problematica del bonum publicum: se la concezione del
potere del comes ha come referente ultimo il di lui patrimonio, quella che si
afferma con l’esperienza del comune cittadino ha come referente l’uniuersitas,
la comunità dei cittadini che costituisce il luogo in cui s’identificano gli in-
teressi, come interessi generali della comunità, che dà razionalità alla iurisdictio
come struttura del potere9.
In altre parole, in questa nuova esperienza, il potere non è più soltanto la
forma della composizione dei rapporti di forza tra entità portatori di interessi,
che si accordano per mezzo dello strumento contrattuale, com’è proprio della
prassi feudale, ma per essere legittimo deve essere inserito all’interno di una
struttura, di una forma, la cui configurazione e disciplina sono sottratte alla
disponibilità dei portatori di interesse che innervano la società; questa forma
è appunto la iurisdictio, che, costruita come funzione, si trova coniugata con

7
CALASSO, Iurisdictio nel diritto comune classico, negli Studi in onore di Vincenzo Aran-
gio-Ruiz, vol. IV, Napoli, 1953, pp. 420-443, ora negli «Annali di storia del diritto. Rassegna
internazionale», 9 (1965). Scritti di Francesco Calasso (dalla quale cito), p. 95.
8
Sui significati del termine iurisdictio in diritto romano, per quel che qui interessa, v. P.
COSTA, Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Mi-
lano, 2002, p. 98.
9
Cfr. CALASSO, L’eredità di Bartolo, p. 19.
100 Victor Crescenzi

l’imperium nei testi della compilazione10.


Non per caso la funzione della risoluzione delle controversie è una delle
prime, se non la primissima delle funzioni che qualificano l’attività dei consules11.
Ovviamente non posso qui ripercorrere le tappe che la scienza giuridica
ha attraversato con riferimento a questo tema; del resto proprio il Calasso ha
lasciato sull’argomento studi ai quali non si può fare a meno di tornare12.
Bartolo si mostra consapevole del proprio compito: una consapevolezza
che lo porta a confrontarsi con la fenomenologia del potere, e, di con-
seguenza, a sollevare e risolvere il problema della conformità del potere alle
norme che lo disciplinano; vale a dire il problema della giuridicità del potere,
della giuridicità degli atti di colui che del potere è investito, della dimensione
giuridica delle istituzioni nelle quali il potere si trasforma in azione. Un
potere che non si collochi all’interno di una struttura giuridica che ne
definisca oggettivamente la legittimità, la funzione e i limiti non è potere, è
arbitrio, e l’arbitrio, quando si parla di potere politico o pubblico, scade
nell’oppressione13.

2. La iurisdictio come forma del potere pubblico

Il primo problema, dunque, era quello di identificare le strutture all’in-


terno delle quali il potere pubblico è vero potere e non abuso. E qui noi tutti
sappiamo che l’opera di Bartolo fu insostituibile, e in questo senso davvero
originale, ma di un’originalità feconda, perché fedele specchio di una realtà,
la cui legittimità si alimentava all’effettività dei governi cittadini; ma appunto
perché effettivi, de facto, quei governi, ossia i regimina ciuitatis erano tuttora
bisognosi di una collocazione adeguata nella struttura del diritto. Mi riferisco
alla grande teoria delle ciuitates superiorem non recognoscentes, che quindi,
per ciò stesso, sono sibi principes — ossia, godono per se stesse e limitata-

Una determinata relazione tra iurisdictio e imperium si trova delineata in COSTA, Iurisdictio,
10

pp. 111-117 ; cfr. anche V. CRESCENZI, Il problema del potere pubblico e dei suoi limiti nell’inse-
gnamento dei Commentatori, in Science politique et droit public dans les facultés de droit europé-
ennes (XIII-XVIII siècle), sous la direction de J. KRYNEN et M. STOLLEIS, Frankfurt am Main,
2008, p. 59.
Insiste sul tema della tutela dei diritti CALASSO, Iurisdictio, p. 91; cfr. anche CRESCENZI,
11

Il problema del potere pubblico, p. 58.


Alle due opere sopra citate aggiungo almeno CALASSO, I Glossatori e la teoria della so-
12

vranità, Milano, 1957, nonché CALASSO, Gli ordinamenti giuridici del Rinascimento medievale,
Milano, 1965.
13
La sensibilità di Bartolo per questi problemi non avrebbe bisogno di essere sottolineata;
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 101

mente a se stesse degli stessi poteri del princeps —: secondo questa dottrina
esse godono di un tale status o per concessione imperiale o per prescrizione,
avendo esercitato i poteri relativi ab immemorabili. È una dottrina14, che ri-
conduce all’interno della legalità dell’esperienza dello ius commune — l’unica
legalità concepibile — le entità politiche e istituzionali esistenti e operanti,
quali i comuni medievali, ma anche ordinamenti di più ampie proporzioni,
quali lo stesso Regno di Francia. In questo senso, Bartolo, che questa dottrina
riprende e sviluppa, integrandola con lo sguardo rivolto alla realtà politica
coeva, si rivela come il più grande e consapevole giurista del pluralismo isti-
tuzionale, di quel pluralismo dell’esperienza giuridica e politica che costituirà
uno dei momenti più felici dell’esperienza giuridica europea; anche perché
questa teoria si fonda sulla considerazione del diritto come principio di or-
ganizzazione della società, e quindi come uno dei modi di essere della società
che nel Novecento troverà espressione nella teoria istituzionale del diritto15.
Uno degli aspetti più preziosi e più fecondi di questo inquadramento
teorico è che esso non è fine a se stesso, non si esaurisce in questa sistemazione
dottrinale di un’esperienza politica e organizzativa che costituisce una delle
forme più genuine del modo di porsi della società medievale, ma si riconnette,
questo inquadramento teorico, a quella struttura della iurisdictio, che sembra
essere uno dei prodotti, uno dei lasciti più fertili della Scuola di Bologna. La
quale, per quanto fortemente legata al testo del diritto romano, proprio con
il materiale che quel testo forniva, aveva edificato, con la iurisdictio, l’ambito
concettuale nel quale il publico potere doveva essere collocato per essere
considerato tale, ossia struttura di organizzazione e non strumento per
l’abuso. La iurisdictio, dunque, non è riducibile alla «giurisdizione»; è, ormai,
un’ovvietà che tuttavia forse non è inutile ripetere che tradurre iurisdictio con

mi limito, dunque, a ricordare i trattati da lui composti sulla materia — De Guelphis et Gebel-
linis, De regimine ciuitatis e, soprattutto, De tyranno — che continuano quella tradizione di
impegno dei migliori esponenti della scienza giuridica nella analisi degli istituti e delle forme
del vivere associati, ovvero, molto semplicemente, della politica nei suoi risvolti giuridici; cfr.
D. QUAGLIONI, Politica e diritto nel Trecento italiano. Il “De tyranno” di Bartolo da Sassoferrato
(1314-1357), con l’edizione critica dei trattati “De Guelphis et Gebellinis”, “De regimine ciui-
tatis” e “De tyranno”, Firenze, 1983 con un’ampia Introduzione contenente una trattazione
approfondita dei problemi connessi alla tirannide e del modo con il quale Bartolo affronta
questo tema nel suo eponimo trattato.
14
La bibliografia su questo tema, com’è noto, è amplissima; qui mi limiterò a richiamare
alcuni testi imprescindibili: CALASSO, Origini italiane della formola «Rex in regno suo est im-
perator», nella «Rivista di storia del diritto italiano», 3 (1930), pp. 213-259, ora negli «Annali
di storia del diritto», 9 (1965), pp. 111-154; CALASSO, I Glossatori e la teoria, spec. i capp. I,
II e III, pp. 13-123; CALASSO, Gli ordinamenti giuridici, spec. i libri II e III, pp. 93-301.
15
Cfr. CALASSO, Iurisdictio, p. 95 ss.; CALASSO, L’eredità di Bartolo, p. 18.
102 Victor Crescenzi

giurisdizione sarebbe semplicemente commettere tradimento16: significherebbe


tradire la parola, tradire il concetto, tradire il grande dispendio di energie in-
tellettuali che da Irnerio, il fondatore della Scuola di Bologna, sono state spese
per ragionare su questo argomento; e infine, ma non per ultimo, sarebbe come
tradire definitivamente la dottrina bartoliana. Perché se questa struttura fu de-
lineata nelle sue linee generali e di base dai glossatori, furono i commentatori
e, tra questi, in particolar modo proprio Bartolo, a servirsene per dare forma
ad un tempo al pluralismo giuridico e istituzionale e alla legalità del potere.
La giurisdizione, così come la intendiamo noi, come attività giudiziaria,
risoluzione giudiziaria delle controversie, è, della struttura della iurisdictio,
solo una parte e nemmeno la più rilevante; è la iurisdictio simplex, è la potestà
che concerne lo iudex mercennarius, vale a dire quella figura di giusdicente
chiamato a risolvere le liti tra i privati, è lo iudex qui deseruit actioni, ossia è
al servizio dell’actio, mediante la quale una parte in giudizio, un privato fa
valere le proprie ragioni: il titolare della giurisdizione civile è detto mercennarius
perché riceve dalle parti — per lo più della parte soccombente — un com-
penso (sportula). La iurisdictio, invece, è tutto intero il potere, compresa l’am-
ministrazione17, secondo la nota definizione bartoliana:

Iurisdictio est potestas de iure publico introducta, cum necessitate iuris


dicendi et equitatis tamquam a persona publica statuende.

Si tratta, dunque, di una potestas di dichiarare il diritto, ma anche di


costituire in precetto l’aequitas in modo conforme ai fini definiti dall’ordi-
namento come propri della carica, in funzione della quale la iurisdictio è at-
tribuita: questa conformità ai fini è elemento costitutivo della potestas, sicché
l’esercizio del potere è legittimo solo in quanto sia conforme a tali fini; il suo
esercizio in modo e per fini difformi è invece evidentemente illegittimo; ma
all’interno di questo quadro, tale esercizio è obbligatorio, è vincolato è, secondo
quanto recita la definizione sopra riportata, cum necessitate: vale a dire, il
giusdicente, il titolare di iurisdictio non può rifiutarsi dall’esercitare la potestas
di cui è investito, proprio perché non ne è investito per suoi fini privati, ma
nell’interesse generale18. Proprio questa specificazione costituisce uno dei

16
Analoghe considerazioni in COSTA, Iurisdictio, p. 100 s.
BARTOLI a Saxoferrato Commentaria, Venetiis, per Baptistam de Tortis, 1526 (anast.
17

Roma, 1996), Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 48vab, n. 3.


18
CRESCENZI, Per una semantica della necessitas in alcuni testi giuridici di ius commune,
negli Scritti per Isa. Raccolta di studi offerti a Isa Lori Sanfilippo, a cura di A. MAZZON, Roma,
2008, pp. 263-290.
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 103

segni della posizione antifeudale di questa dottrina; ossia una posizione con-
traria ad una concezione del potere come dominium di natura patrimoniale:
il feudatario, infatti, esercita la propria potestà su un beneficium, ossia su un
territorio, del quale viene investito come se fosse patrimonio suo, sicché l’in-
teresse prevalente e, comunque, l’interesse ultimo da lui perseguito non è
quello dei suoi sudditi, ma quello proprio. Diversa è la concezione del potere
così come viene esperita nella città, ossia in una comunità sociale, nella quale
preminente è l’interesse generale, che è la misura della sua giuridicità. Con
la struttura della iurisdictio l’elemento materiale degli interessi si sintetizza
con quello formale del diritto sicché la relativa potestas è tale e può giungere
fino alla coercizione in quanto appunto realizzazione dei fini che identificano
la funzione affidata, come ho sopra detto; altrimenti non è potestas, ma vio-
lenza, abuso.
Bartolo porta alle sue conseguenze la portata teorica di questa complessa
struttura19, e opererà in due direzioni: delineando quella che possiamo
qualificare come la fisiologia del potere pubblico; ma delineando bensì la
sua patologia, i modi e le forme nelle quali quel potere non è più legitima
potestas, non è più potere di governo, ma sopraffazione.
La fisiologia è disegnata ricomprendendo nella iurisdictio tutte le forme del
potere pubblico, da quella in base alla quale si decidono le norme, si deliberano
le leggi, a quella in virtù della quale si puniscono i reati, ma anche a quella in
base alla quale si dirimono le controversie; ossia, per riportare concetti antichi
all’esperienza moderna, dal potere legislativo al potere che noi chiamiamo
giudiziario, passando per quel potere esecutivo, ossia l’amministrazione,
l’administratio, che della iurisdictio a sua volta è elemento.
Noi, oggidì, siamo molto attenti alla divisione dei poteri; ma, com’è noto,
questa necessità di dividere e bilanciare i poteri è figlia dello Stato, dello
Stato moderno che però nasce assoluto, espressione di una concezione del
potere, concentrato nella sovranità, secondo la teorizzazione di Jean Bodin20.
Questa necessità di dividere e bilanciare, che è così fortemente sentita e
enunciata nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo che sta alla base della
Grande Rivoluzione illuminista del 1789, tanto da essere fatta coincidere

19
Che nelle sue linee generali era perfettamente definita a partire da Irnerio: «Iurisdictio
est potestas cum necessitate iuris s(cilicet) reddendi equitatisque statuende», E. BESTA, L’opera
d’Irnerio (contributo alla storia del diritto italiano), Torino, 1896 (anast. Bologna, 1980); v. una
ricognizione di prima approssimazione delle varie definizioni della iurisdictio che precedono
quella bartoliana in CRESCENZI, Per una semantica della necessitas, pp. 263-265; v. anche
COSTA, Iurisdictio, p. 100 e nota 8.
20
Cfr. CRESCENZI, Appunti su sovranità e Stato, in «Diritto romano attuale. Storia, metodo,
cultura nella scienza giuridica, 23-24 (2010), pp.145-232.
104 Victor Crescenzi

con la costituzione stessa di uno Stato, non è avvertita appunto come costi-
tutiva dall’esperienza giuridica dell’età medievale.

3. La iurisdictio nella sistemazione bartoliana

È cosa nota che nell’esperienza giuridica premoderna (prestatuale) il potere


non si configura come un’entità compatta e monolitica, come accade nello Stato
moderno, che nasce assoluto; si configura, invece, come un’entità articolata in
modo complesso e funzionale alla realizzazione degli interessi in conflitto in una
società pluralistica. In altre parole, il potere, in questa esperienza, è strettamente
legato ai fini propri della carica in funzione della quale esso potere è attribuito,
e questi fini non sono scelti dal giusdicente, dal magistrato, dall’ufficiale, nem-
meno dall’Imperatore o dal Papa, ma sono identificati dalle norme che quelle
cariche istituiscono e disciplinano, definendone e delimitandone le funzioni:
queste hanno come fine ultimo e come principio di legittimazione il persegui-
mento e la tutela del bonum publicum. In questo senso la potestas nasce in sé li-
mitata dai suoi stessi fini, è, cioè, una potestas cum necessitate, vale a dire,
connotata dalla necessitas. Questa connotazione è scolpita nell’apparato accur-
siano in una glossa collocata sulla parola potest di D.2,1,121: non solo il giusdicente
potest dare la bonorum possessio, ma et necesse habet; è quanto risulta —patet—
dalla definizione della iurisdictio che immediatamente segue22:

et necesse habet, ut patet ex diffinitione eius; est enim iurisdictio po-


testas de publico introducta cum necessitate iuris dicendi et equitatis
statuende.

È evidente che la definizione della iurisdictio che troviamo in Bartolo e


che ho sopra riportato parte da questo ordine di concetti23.
Non è superfluo notare che questa definizione è quella ancora accolta
da Cino da Pistoia, maestro di Bartolo24.

D.2,1,1: «Ius dicentis officium latissimum est: nam et bonorum possessionem dare potest
21

et in possessionem mittere, pupillis non habentibus tutores constituere, iudices litigantibus dare».
ACCURSII gl. et necesse habet ad D.2,1,1, sub uerb. potest; la glossa così prosegue: «[...] Hodie
22

contra, ut C. qui ad bonorum possessione, l. fi. [C.6,9,9]»; c’è da osservare che il passo qui citato
come contrario non contraddice al punto qui in questione della necessitas, ma a quello della specifica
disciplina della missio in bonorum possessione; cfr. CRESCENZI, Per una semantica, p. 264 e nota 5.
La dimensione diacronica dei quali troverai in CRESCENZI, Per una semantica, p. 263 ss.;
23

v. anche CRESCENZI, Il problema del potere pubblico, p. 61 ss.


24
CYNI PISTORIENSIS In Digesti ueteri libros Comm. cit., f. 23vb, n. 8., Comm. ad D. 2,1,3.
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 105

In questa definizione si sedimenta una tradizione che per lo meno risale


ad Irnerio25; dunque Bartolo prende le mosse dalla considerazione della tra-
dizione, e la sottopone ad analisi; ed invero egli nota che prima di tutto la de-
finizione tramandata dalla glossa usa il termine potestas, per la nozione della
quale rinvia a D.50,16,215, ossia al titolo del Digesto de uerborum significa-
tione, dal quale si ricava che potestas è termine polisemico26: la determinazione
del suo significato dipende dal referente. In particolare, se questo è la persona
del magistratus, potestas assume il significato di imperium, che è evidentemente
quel che qui interessa. Di questa constatazione ci si dovrà ricordare tra poco.
In secondo luogo Bartolo nota che la definizione della iurisdictio tràdita dalla
glossa si riferisce ad una nozione che deriva dallo ius publicum — de publico
introducta —, che secondo quanto si evince da D.1,1,2,2 e da D.1,2,2,13 s.,
deriva da quella branca dello ius che attiene allo status rei Romanae, ossia, alla
publica utilitas, e, più precisamente, che riguarda i sacra, i sacerdotes e, ancora
una volta, i magistratus. In terzo luogo il nostro giurista rileva che la definizione
della glossa inerisce alla considerazione della necessitas ius dicendi — cum ne-
cessitate ius dicendi —, che costituisce il connotato di ogni munus personale,
inteso come dovere di esercitare la funzione; la necessitas ius dicendi impone
al giusdicente di dare et facere [...] illud quod ius precepit, come dirà poco più
sotto a proposito della potestas del dominus. Infine, nota Bartolo, la glossa rin-
via alla necessità che l’esercizio della funzione dello iudex sia indirizzata alla
realizzazione dell’aequitas — cum necessitate [...] equitatis statuende. Ma, con-
clude il giurista, questa definizione non si può considerare soddisfacente, poi-
ché l’esercizio di una iurisdictio così intesa non si differenzierebbe
dall’esercizio della potestas attribuita dallo ius al paterfamilias, al dominus, nei
confronti dei propri serui, e al tutor: tutti questi munera, infatti, quantunque
abbiano natura pubblica quanto all’auctoritas che li prevede — est enim munus
publicum auctoritate — sono preposti alla realizzazione di un’utilitas priuata
— licet utilitate priuatum. In realtà, conclude Bartolo, è la qualità della persona
investita dalla iurisdictio a fare la differenza e questa qualità risiede nella qualità
publica di questa persona, che ne connota la funzione, la quale ha come fine
la realizzazione di una publica utilitas27:

25
CRESCENZI, Per una semantica, p. 263 ss.
26
D.50,16,215: «“Potestatis” uerbo plura significantur: in persona magistratuum impe-
rium: in persona liberorum patria potestas: in persona serui dominium. At cum agimus de
noxae deditione cum eo qui seruum non defendit, praesentis corporis copiam facultatemque
significamus. In lege Atinia in potestatem domini rem furtiuam uenisse uideri, et si eius uin-
dicandae potestatem habuerit, Sabinus et Cassius aiunt».
27
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 48vb, n. 3.
106 Victor Crescenzi

Horum occasiones addas in diffinitione unum uerbum et dicas iurisditio


est potestas de iure publico introducta cum necessitate ius dicendi et
equitatis tamquam a persona publica statuende; hoc quod dico quod
tamquam a persona publica perficit diffinitionem, quia in contrariis
facit tamquam priuatus, et hoc prout iurisditio sumitur et diffinitur in
genere que diuiditur in tres alias species, ut dicam, et no. in l. impe-
rium, infra eodem [D.2,1,3].

Non è certamente questo, tuttavia, il contributo più originale e più fe-


condo che Bartolo dà al problema della iurisdictio. Tralasciando, per mera
economia di esposizione, il tema della relazione che passa tra officium iudicis
e iurisdictio, che concerne il problema della struttura delle funzioni del giu-
sdicente, mi preme qui puntare l’attenzione al problema dell’imperium, che
della iurisdictio costituisce uno dei contenuti necessari.

4. Iurisdictio e territorio

Tuttavia, prima di affrontare questo argomento è necessario esporre uno


dei risultati più interessanti e originali cui perviene la dottrina bartoliana della
iurisdictio, che guarda direttamente all’esperienza dei governi cittadini, nella
loro dimensione pluralistica e rappresentativa. Il problema è quello del rap-
porto che intercorre tra iurisdictio e territorio, posto che su un territorio ri-
siedono le compagini sociali, i populi. Ora, per Bartolo, quella tra iurisdictio
e territorio non è una correlazione necessaria28: non est de necessitate quod
iurisditio cohereat territorio.
Esiste, infatti, una iurisdictio il cui ambito di esercizio non ha come refe-
rente un territorio, in quanto dotata di una dimensione meramente funzio-
nale, qual è quella degli iudices chartularii29:

Potest enim esse iurisditio sine territorio, ut in iudicibus chartulariis,


ut notatur de iudiciis, l. i. [D.5,1,1], et C. ubi et apud quem, l. fi.
[C.2,46(47),3].

28
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49rb, n. 15.
BARTOLI Ibidem, con rinvio alla gl. qui tribunali scilicet ad D.5,1,1: «[...] Vel dic pro tri-
29

bunali preest, idest dignitati et administrationi et quod subicit dignitati tantum, ut iudices car-
tularii [...]». G. SALVIOLI, Storia del diritto italiano, Torino, 1921, p. 597 e 628 (iudices ad
contractus, detti anche chartularii, p. 597), che soprattutto nei territori dell’Italia meridionale,
svolgono funzioni di pubblicità dei contratti; ma v. anche infra, nota 30.
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 107

Tali sono i notai che, per privilegio palatino — ut notarii ex forma suorum
priuilegiorum — , hanno funzioni di giurisdizione volontaria, la quale, dunque, è
astratta da un ambito territoriale, ma ha una dimensione meramente funzionale30.
Come si può dare una iurisdictio sine territorio, così esiste un territorium
sine iurisdictione31. Le argomentazioni che Bartolo sviluppa a proposito di
quest’ultima affermazione meritano una particolare attenzione, perché la se-
parazione del concetto di iurisdictio dal territorio passa per una considera-
zione politica di ciò in cui un territorio consiste; questo, infatti, è
evidentemente riguardato da Bartolo come il luogo sul quale insiste una com-
munitas, la quale, alla fine della serie di ragionamenti qui sviluppati, risulta
essere la titolare ultima della iurisdictio, che, per via di rappresentanza, viene
attribuita al titolare dell’officium al quale ne è devoluto l’esercizio.
Seguiamo senz’altro il ragionamento del nostro giurista. L’affermazione
da cui egli prende le mosse, secondo la quale potest esse territorium sine iu-
risditione, non significa certo che questo territorium sine iurisdictione è terra
di nessuno (forse semplicemente perché essendo il princeps dominus mundi,
una terra di nessuno proprio non può essere pensata); con quella asserzione
Bartolo intende riferirsi a quei territori, la iurisdictio dei quali non appartiene
alla communitas che vi risiede; sebbene non sia detto esplicitamente, questa
conclusione risulta da questa proposizione, che immediatamente segue la
proposizione che vado commentando32:

potest esse territorium sine iurisditione ut patet in communitatibus que


sunt in comitatu huius ciuitatis uel alterius que nullam habent iurisdi-
tionem, sed ciuitas habet in eas.

30
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. cum scimus, C. ubi et apud quem, C.2,46(47)3, Ve-
netiis, 1526, f. 99rb: «[6.] [...] Item habes in hac parte quod iudices ab his qui nulli presunt
administrationi non possunt restituere. [7.] Quero qui sunt isti iudices qui nulli presunt ad-
ministrationi; gl. dicit et bene: sunt iudices cartularii, qui habent uoluntariam iurisditionem,
ut notarii ex forma suorum priuilegiorum, de quibus fit mentio hic et de iudiciis, l. rem non
nouam [C.3,1,14], et D. de iudiciis l. i. [D.5,1,1], et ibi notatur. Alii dicunt quod hic loquitur
de iudice delegato qui non potest subdelegare; tu tene prima, que est magis notabilis». Cfr.
anche D. IACOBATII De concilio tractatus, Romae, 1538, p. 286a.
31
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49rb, n. 15.
32
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49rb, n. 15; emendo come ri-
portato sopra nel testo, il commento bartoliano che testualmente recita (in corsivo le parole
da me emendate, che nella forma tramandata non hanno senso): «potest esse territorium sine
iurisditione ut patet in communitatibus que sunt in comitatu huius ciuitatis uel alterius qui
nullam habent iurisditionem, sed ciuitas habet in eos». Peraltro, i due incunaboli da me con-
sultati recano la stessa lezione che assumo guasta: cfr. BARTOLI Lectura super prima parte Digesti
ueteris, Venetiis, 1479, senza cartulazione, ad loc. (corrispondente alla p. 91, f. verso) e BARTOLI
108 Victor Crescenzi

Questa asserzione riguarda i casi in cui una ciuitas habet in eas commu-
nitates, che si trovano nel territorium del comitatus di essa ciuitas, la iurisdictio
della quale le medesime communitates sono appunto prive. Per Bartolo, dun-
que, la iurisdictio è entità che appartiene (o non appartiene) alla communitas
e non al territorium sulla quale questa risiede. Un esempio in tal senso, pro-
segue Bartolo, è dato dal caso della città di Brescia che ha un territorio, ma
non ha iurisdictio su di esso territorio essendone stata privata dal princeps33:

pone exemplum in principe qui priuauit ciuitatem Brixie omni iurisdi-


tione, que habet territorium, non tamen habet iurisditionem.

La nozione di territorium, dunque, secondo la concezione di Bartolo, è


una nozione meramente materiale, e infatti non si può affermare che esso
abbia iurisdictio in seipso; del resto, questa è la nozione che ne dà
D.50,16,239,8, cui il commento rinvia: «“Territorium” est uniuersitas agro-
rum intra fines cuiusque ciuitatis: quod ab eo dictum quidam aiunt, quod
magistratus eius loci intra eos fines terrendi, id est summouendi ius habent».
La conseguenza di questo ordine di ragionamenti è che la relazione del
territorium con la iurisdictio può essere considerata da vari punti di vista, che
sono tutti accessori e relativamente secondari rispetto ad un punto centrale: il
territorio delimita i confini all’interno del quale la iurisdictio può essere leci-
tamente esplicata34. In tutti i casi, quale che sia quella relazione, Bartolo tiene

Lectura super prima et secunda parte Digesti ueteris, Lugduni, 1493-94, f. 43vb; alla stessa le-
zione si attiene la stampa Venetiis, 1570, f. 47ra. In realtà qui e eos (entrambi al plurale ma-
schile) non possono essere riferiti a nessuno degli elementi della proposizione; il senso obbliga
a riferirli alla parola communitatibus, ossia all’unica parola al plurale, che però è inesorabil-
mente femminile; ma, se si esclude questo riferimento, non si saprebbe chi altro possa essere
privo di iurisdictio in quanto questa sia posseduta da una o un’altra ciuitas; mentre sappiamo
che le communitates che si trovano nel contado — comitatus — di una ciuitas sono appunto
soggette alla iurisdictio della relativa ciuitas.
BARTOLI Ibidem; anche qui si deve registrare un guasto nella tradizione; infatti il testo
33

tramandato dall’edizione Venetiis, 1526, così come dagli incunaboli citati supra, nella nota 32,
reca «pone exemplum in principe qui priuauit ciuitatem Brixie omni iurisditione, que habet
territorium, non tamen habent iurisditionem» (in corsivo la parola emendata; peraltro l’edi-
zione Venetiis, 1570 reca habet. L’episodio al quale si riferisce qui Bartolo si inscrive, proba-
bilmente, all’interno delle lotte tra Federico II e Brescia, come componente della Lega
lombarda nel corso del secolo XIII.
34
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49rb-va, n. 15: «Bene potest
iurisditio coherere territorio passiue, quia alius habet iurisditionem in territorio, ut infra, de
uerborum significatione, l. si pupillus, § territorium [D.50,16,239,8]».
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 109

a sottolineare che la iurisdictio non è una qualitas ipsius territorii, sul quale si
esplica, ma una qualitas della persona titolare dell’ufficio della cui iurisdictio
si tratta, in quanto coheret officio e dunque è inerente alla persona di colui che
ricopre un officium — coheret persone eius qui habet officium —, così come il
dominium, quantunque si eserciti sopra una res, coheret persone domini35:

Tertio dico, quod quando iurisditio coheret territorio siue actiue siue
passiue, non coheret sicut qualitas ipsius territorii, sicut dicit
Guil(elmus), sed aliter, ut apparet ex l. more, infra eodem [D.2,1,5],
ubi dicit quod ille qui habet iurisditionem ordinariam habet eam suo
iure, hoc est iure residente in persona eius, non in ipso territorio, et tex-
tus in dicto § territorium [D.50,16,239,8] hoc clarius explanauit. Ad
huius ergo intelligentiam scias quod quedam sunt iura mere realia, de-
bita a re rei ut seruitus, et illa sunt proprie qualitates prediorum. Que-
dam sunt iura debita persone in re, ut dominium, pignus et similia. Sicut
ergo dominium coheret persone domini, tamen est in re, ita iurisditio
coheret officio et persone eius qui habet officium, tamen est in territo-
rio, et sic non est qualitas territorii, sed magis persone.

In altre parole, la costruzione bartoliana della struttura del potere pub-


blico, imperniata com’è sulla iurisdictio, è una costruzione che punta all’iden-
tificazione di relazioni di tipo squisitamente giuridico tra ciò che costituisce
la funzione di governo complessivamente considerata nella sua fisionomia
unitaria — iurisdictio — e le specifiche attribuzioni che competono ai singoli
titolari di un officium, attribuzioni nelle quali, officium per officium, la fun-
zione di governo s’invera: per officium iudicis ad effectum producitur quod
uenit in iurisditione, secondo quel che aveva chiarito poco più sopra36. Ne
consegue che officium iudicis est ius competens ipsi iudici, et est ius faciendi
ea que sibi, ut iudici, facienda incumbunt37. La relazione che intercorre, dun-
que, tra iurisdictio e officium, secondo Bartolo, è funzionale, ed è la stessa
di quella che intercorre tra obligatio e actio: come quest’ultima permette di
realizzare il contenuto dell’obligatio, così per officium iudicis ad effectum pro-
ducitur quod uenit in iurisditione38. Insomma, la iurisdictio si realizza, si tra-
duce in atto per mezzo dello iudicis officium, come l’esercizio della parola
— potentia loquendi — traduce in atto la facoltà di parlare che è insita nel-

35
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49va, n. 15.
36
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49ra, n. 10.
37
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49ra, n. 10.
38
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49ra, n. 10.
110 Victor Crescenzi

l’humanitas nostra39:

ita per officium iudicis ad effectum producitur quod uenit in iurisdi-


tione, ut hic probatur, et in omnibus legibus precedentium titulorum
que de officiis tractant, sicut enim aliud est humanitas nostra seu lo-
cutio nostra, aliud est potentia loquendi que locutionem deducit in
actum, sic aliud est iurisditio et aliud est iudicis officium quod iurisdi-
tionem deducit in actum.

Per questo, conclude Bartolo, ripetendo quanto aveva anticipato sopra40,


l’officium iudicis non è ciò che il giusdicente fa, ma il potere di fare ciò che
gli compete, vale a dire lo ius faciendi41; così infatti prosegue il passo qui sopra
riportato42:

et licet quandoque leges dicant quod iudicis officium est ipsum facere,
ut l. i., supra de officio con(sulis) [D.1,10,un.] impropria tamen locutio
est, hoc est ius faciendi, ut supra dixi.

La relazione della iurisdictio con un territorium, come si è visto sopra, è


eventuale; quando esiste, serve a identificarne i limiti, in quanto il territorium
costituisce l’ambito spaziale all’interno del quale ogni officium può e deve es-
sere esplicato, ma in ogni caso né la iurisdictio, né l’officium costituiscono

39
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49ra, n. 10.
V. supra nota 37: «officium iudicis est ius competens ipsi iudici, et est ius faciendi ea
40

que sibi, ut iudici, facienda incumbunt».


41
Cfr. CALASSO, Iurisdictio, pp. 106-107.
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49ra, n. 10; esiste qualche in-
42

certezza sul testo allegato, cui Bartolo rinvia a dimostrazione di come le leges quandoque dicant
quod officium iudicis est ipsum facere, con ciò esibendo una impropria locutio che Bartolo stig-
matizza; la quasi totalità delle stampe da me consultate (Venezia, 1479, senza cartulazione ad
loc. corrispondente a p. 91, foglio verso, col. a; Lione, 1493-94, f. 43rb; Venezia 1570, f.46vb)
infatti, rinviano al titolo de officio proconsulis del Digesto (D.1,16,1), che, per la verità, non
sembra indicare che l’officium del proconsul sia ipsum facere ciò che gli compete; anzi, qui il
testo fa riferimento alla potestas del proconsul e ai suoi limiti territoriali; invece, l’edizione della
quale usualmente mi avvalgo (B. De Tortis, Venetiis, 1526), rinvia al titolo de officio consulis
sempre del Digesto (D.1,10,un.), dove al principium si prescrive che «Officium consulis est
consilium praebere manumittere uolentibus»; si indica, cioè, che la competenza del consul è
un facere — consilium praebere — e non lo ius consilium praebendi; d’altra parte il frammento
prosegue (§ 1) stabilendo che consules et seorsum singuli manumittunt, e non che i consules
hanno disgiuntamente lo ius manumittendi, il che sembra coerente, o più coerente con il di-
scorso critico bartoliano, ed è per questo che la lezione di questa stampa è più persuasiva nel
rinviare, diversamente dalle altre, a D.1,10, un.
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 111

una qualità del territorium: tra la iurisdictio e il territorium, infatti, vale a dire
tra la funzione e l’elemento oggettivo, è necessaria la considerazione dell’ele-
mento soggettivo, ossia la persona del giusdicente, che è quella investita della
funzione sopra un territorio dato; la conclusione, secondo la quale la iurisdictio
non è un qualitas territorii risulta in tal modo più chiara: essa, come sopra
anticipato, è uno ius residens in persona eius, qui iurisdictionem ordinariam
habet43. Ad ulteriore chiarimento di questo concetto, Bartolo ricorre all’ana-
logia con quei diritti reali che egli indica come iura debita personae in re, vale
a dire il dominium e il pignus e simili che si distinguono da quelli che egli
qualifica come iura mere realia, debita a re rei, ut seruitus; soltanto questi ul-
timi sono propriamente qualitates prediorum, in quanto relativi alle relazioni
tra le cose come tali, senza la necessità della mediazione di un soggetto. I
primi, invece, riguardano la relazione della persona di un soggetto e le res sui
quali si dispiegano e dunque afferiscono alla persona44; di conseguenza, quan-
tunque si dispieghi su un territorium, la iurisdictio non ne costituisce una
qualitas, in quanto coheret officio et persone eius qui habet officium, analoga-
mente a quel che accade per il dominium che coheret persone domini, sebbene
si esplichi nei confronti di una res45.

5. Iurisdictio e dominium

L’analogia tra iurisdictio e dominium, nel ragionamento bartoliano, non


ha valore soltanto per sé stessa, ma è strumentale per stabilire una relazione
tra la figura del princeps e quella del giusdicente: entrambe queste figure, in-
fatti, si qualificano per la iurisdictio della quale sono investite. La relazione
tra queste figure, a sua volta, va in una direzione determinata: quella dell’ana-
lisi del potere di governo nella sua concretezza storica, ossia nella sua rela-
zione con le figure alle quali esso potere è affidato nelle realtà degli
ordinamenti territoriali coevi, e delle relative communitates — argomento che

43
Cfr. BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49va, n. 15 (il testo è ri-
portato sopra la nota 35).
44
Non c’è dubbio che questa considerazione della centralità della persona nella struttura
di questi iura sia non solo bisognosa, ma meritevole di approfondimento specifico in ordine
al problema dei rapporti tra quello che oggidì costituisce il soggetto e la tutela delle di lui fa-
coltà in ordine alla cosa. È un discorso che qui può essere soltanto rapidamente menzionato.
45
Cfr. BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49va, n. 15: «Sicut ergo
dominium coheret persone domini, tamen est in re, ita iurisditio coheret officio et persone eius
qui habet officium, tamen est in territorio, et sic non est qualitas territorii, sed magis persone».
112 Victor Crescenzi

non esce mai dall’orizzonte bartoliano —, senza però collocarsi fuori dall’or-
dine all’interno del quale tutto questo discorso deve rimanere: quello del-
l’impero universale, del princeps dominus totius mundi, e quindi come fonte
primeva di ogni potestà, come aveva già ben visto e ben sottolineato il Ca-
lasso, celebrando nel 1959 il sesto centenario della morte del giurista sasso-
ferratese46. Il princeps, infatti, si può dire dominus totius mundi in quanto habet
omnem iurisdictionem, non viceversa; analogamente qualsivoglia giusdicente
— quislibet iudex — nella sua qualità di princeps della ciuitas o del territorium
cui è preposto, può essere qualificato come dominus illius territorii uniuer-
saliter considerati 47:

Et ista equiparatio de iurisditione ad dominium probatur sic: princeps


habet omnem iurisditionem, ut supra de constitutionibus principum,
l. i. [D.1,4,1], et ex hoc dicitur dominus totius mundi, ut infra ad l.
Rhodia de iactu, l. deprecatio [D.14,2,9], sicut quilibet iudex dicitur
princeps ciuitatis uel territorii cui preest, ut infra de excusationibus
tutorum, l. spadonem, § si ciuitatis [D.27,1,15,9], et recte potest dici
dominus totius illius territorii uniuersaliter considerati, sicut de prin-
cipe pluries dixi et maxime in prima constitutione huius libri.

Dal che si vede come l’equiparazione col dominium non ha rilevanza so-
stanziale, non significa che il princeps o lo iudex abbiano un diritto di pro-
prietà sul mundus o sul territorium intesi come beni singolarmente
considerati, ma soltanto funzionale; la chiave di lettura è data dalla precisa-
zione, secondo la quale lo iudex è dominus del territorio della iurisdictio del
quale è titolare considerato nel suo complesso, uniuersaliter, così come il prin-
ceps è dominus totius mundi inteso nella sua universalità.
Spiegherà meglio questi concetti immediatamente dopo, passando ad il-
lustrare la pulchra consequentia et uera che deriva dalla considerazione appena
esposta. Questa pulchra consequentia è che si princeps uel alius concederet tibi
uniuersaliter unum territorium, uidetur tibi concedere uniuersaliter iurisditio-
nem; ovvero, detto con maggiore precisione, ille qui concedit uniuersale ter-
ritorium, uidetur concedere iurisditionem [...] alicuius rei particularis; dalla
quale constatazione Bartolo ricava la conclusione — ex hoc patet —, secondo
la quale ne risulta confermato che iurisditio non coheret proprie territorio,
anche se intrattiene una certa relazione col territorio, che ne delimita i confini,
dato che fuori del territorio sul quale la iurisdictio è concessa il giusdicente è

46
È questo il senso della conclusione cui giunge CALASSO, L’eredità di Bartolo, pp. 18-19.
47
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49va, n. 15.
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 113

carente di poteri: pro tanto tamen dicitur quod coheret territorio, quia termi-
natur territorio.
Né, rileva il giurista, vale l’obiezione, secondo la quale, posto che ciuitates
et castra, che sono entità territorialmente definite, habent iurisditionem, ne
consegue che iurisdictio coheret territorio48. La risposta che Bartolo dà a que-
sta obiezione è notevole e per certi versi sorprendente; con questa risposta,
dopo la trattazione d’indole relativamente formalistica e di taglio piuttosto
teorico sulla relazione tra iurisdictio e territorium, egli non solo riconduce il
discorso nel concreto della realtà politica e storica nella quale vive e opera,
ma esce dal formalismo nel quale il discorso sul princeps e i giusdicenti si
trova collocato per guardare alle entità politiche sottostanti49. In realtà, la
iurisdictio non appartiene né alle ciuitates, né ai castra; è bensì il populus,
sono le communitates ad avere la iurisdictio che attribuiscono per mezzo
delle elezioni al podestà e agli altri ufficiali della ciuitas:

Sed dices tu: immo rei coheret; nam uidemus quod ciuitates et castra
habent iurisditionem. R(espo)n(deo): immo populus [populos scrib.]
eorum et communitates eorum, ut in fine, quia sunt persone represen-
tate que habent iurisditionem, et ipsi sunt qui faciunt potestatem et si-
milia. Vnde personis inheret iurisditio et personarum est, et ita
intelligitur quod dicitur hic.

La risposta di Bartolo all’obiezione, secondo la quale, posto che ciuitates


et castra, che sono entità territorialmente definite, habent iurisditionem, ne
consegue che iurisdictio coheret territorio, sembra quasi dettata da un moto
d’impazienza, sicuramente costituisce una di quelle rigorose prese di posi-
zione che non è affatto raro incontrare nella sua opera scientifica, e che sono
indirizzate a cogliere il cuore del problema, visto nella sua concretezza storica;
con pochi tratti sintetici qui il giurista relega implicitamente la ciuitas e il ca-
strum nel novero delle astrazioni; questi enti ricevono la consistenza che li
rende reali e razionali dal populus, per la ciuitas, e dalla communitas per il ca-
strum, per mezzo della rappresentanza; in altre parole, il populus, la commu-
nitas, i quali habent iurisdictionem innervano la ciuitas e, rispettivamente il
castrum e, in quanto personae in essi repraesentatae, in tali enti si istituziona-
lizzano. (Tra l’altro, non è inutile sottolineare il rigore terminologico sotteso
al binomio populus-ciuitas, communitas-castrum perseguito dal nostro giurista,
rigore che andrebbe approfondito, ma non è questo il luogo). Soltanto per

48
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49va, n. 16.
49
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis, D.2,1,1, f. 49va, n. 16.
114 Victor Crescenzi

via di questa repraesentatio si può dire che le ciuitates e i castra habent iurisdictionem.
Di fatto, però, sono il populus e la communitas a facere potestatem et similia,
ossia a creare quegli officia iudicis, che deducunt in actum e realizzano, secondo
il discorso che abbiamo visto sviluppato sopra, la iurisdictio di cui populus e
communitas sono portatori50. La conclusione è icastica e perentoria: unde per-
sonis inheret iurisdictio, et personarum est, et ita intelligitur quod dicitur hic.
Non è superfluo attirare l’attenzione sulla locuzione “deducere in actum”51
che imprime al discorso di Bartolo un’impronta rigorosamente realistica52.

6. Le figure della repraesentatio

Dire che personis inhaeret iurisdictio, dire che la iurisdictio è una potestas
che appartiene alle personae, ancora una volta, oltrepassa l’ambito formale;
si tratta di proposizioni che difficilmente possono essere sopravvalutate; del
resto, toccano il cuore del problema della struttura e della titolarità del potere
di governo nell’esperienza di ius commune: un potere, che per le ciuitates que
non recognoscunt superiorem, secondo la dottrina bartoliana appena vista, ap-
partiene al populus, in quanto populus liber.
Quella di Bartolo, tuttavia, non è una dottrina naturalistica, né prefigura
il potere di governo come un potere diretto del popolo: tra populus e officia
è interposto il consilium ciuitatis il quale repraesentat totum populum53; in
altre parole, l’esito di questo ordine di ragionamenti è la configurazione del-
l’ordinamento come struttura, il regimen; la iurisdictio non è esercitata diret-
tamente dal populus e la repraesentatio implica una struttura di governo in

Del resto, come tutti sappiamo, che il populus sia titolare di iurisdictio Bartolo aveva am-
50

piamente dimostrato commentando la l. omnes populi del Digesto; cfr. BARTOLI Commentaria,
Comm. ad l. omnes populi, D.1,1,9, f. 8va-15ra; e ciò o perché concessagli dal princeps ovvero
perché l’abbia conseguita per praescriptionem, vale a dire perché si tratta di populus di una
ciuitas superiorem non recognoscens (f. 9va, nn. 3 ss.); ma non è questo il luogo per ripetere
una dottrina ampiamente studiata.
Che abbiamo incontrato, in BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. iusdicentis D.2,1,1, f.
51

49va, n. 10; vedine il testo sopra la nota 38.


Sul tema della repraesentatio in Bartolo v. W. ULLMANN, De Bartoli sententia: concilium
52

repraesentat mentem populi, in Bartolo da Sassoferrato. Studi e documenti per il VI centenario,


II, Milano, 1962, pp. 704-733; CRESCENZI, Giuristi e umanisti: il mito del Senato romano e la
realtà dei consigli, in Il Senato nella storia. II. Il Senato nel medioevo e nella prima età moderna,
Roma, 1997, pp. 217-266; v. in part. pp. 240-251 (Concilium repraesentat totum populum).
53
BARTOLI, Commentaria, Comm. ad l. obseruare magistratus oportebit, C.10,32,2, f. 15va;
v. anche ULLMANN, De Bartoli sententia, p. 716 e nota 23: «concilium quod totam ciuitatem
repraesentat».
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 115

base alla quale la iurisdictio è trasferita, quanto al suo concreto esplicarsi, dal
titolare — il populus — agli iudices; questa struttura, nella quale la repraesen-
tatio s’invera, consiste nel consilium ciuitatis, al quale, in quanto repraesentat
totum populum, spectat facere electiones officialium et sindicorum, come dirà
commentando il titolo de decurionibus del decimo libro del Codex54:

Item no(ta) quod de iure communi ad consilium ciuitatis spectat facere


electiones officialium et sindicorum; facit, infra, eodem, l. procuratores
[C.10,32,30]; et sic non erit opus arenga uel adunantia generali; aren-
gum tamen illud, seu parlamentum, ubi non est aliquis superior, habet
ab initio consilium eligere, ut l. ii., circa prin., D. de origine iuris
[D.1,2,2 pr. ss.]. Istud consilium sic electum postea representat totum
populum, ut notatur supra que sit longa consuetudo, super rubrica
[C.8,52(53) rubr.]; de istis consiliis facit mentionem [f. 15vb] gl. optime
in l. ita tamen in prin., D. ad Trebellianum [D.36,1,28(27) pr.]. Ultimo
no(ta) quod electio debet notificari electo. Item no(ta) quod ille qui
nominat aliquem indebite tenetur ad sumptus.

Risulta così tratteggiata la dottrina nella quale è messo in struttura il governo


delle città superiorem non recognoscentes: la ciuitas habet iurisdictionem in quanto
repraesentat il populus; è questo che, in realtà, ha conseguito la iurisdictio per pre-
scrizione; ma la ciuitas è un’astrazione: è un’astrazione rispetto al populus che ne
è rappresentato, ma anche rispetto alla struttura degli organi e degli uffici che della
ciuitas costituiscono il regimen; la rappresentanza, del resto, è un un procedimento,
che si avvia con l’elezione del consilium ciuitatis da parte del parlamentum (o adu-
nantia generalis o arenga); il consilium, a sua volta — come già rilevato — reprae-
sentat totum populum. Principio, quest’ultimo, che si trova già enunciato
nell’apparato accursiano alla gl. set que est, sulla rubrica di C.8,52: «[...] uel dic
quod licet due uices faciant consuetudinem, uerum est si populo placuerit, uel
consilio, quod uicem eius representat, ut idem fieret in futurum [...]» che il com-
mento bartoliano qui espressamente richiama.

7. Qualche considerazione conclusiva

Troveremo gli stessi concetti nel trattato De regimine ciuitatis55, dove il discorso
forse più articolato è quello sviluppato per la ciuitas magna, che ricomprende la

BARTOLI, Commentaria, Comm. ad l. obseruare magistratus oportebit, C.10,32,2, f. 15va-


54

vb; ULLMANN, De Bartoli sententia, p. 716, nota 22.


55
BARTOLI Tractatus de regimine ciuitatis, ed. critica in QUAGLIONI, Politica e diritto, p.
116 Victor Crescenzi

fenomenologia più ricca e numerosa, alla quale appartengono realtà comunali


come, per esempio, quella perugina. Il regimen di queste ciuitates è quello che ap-
pellamus regimen ad populum, così denominato per il fatto che qui la iurisdictio
est apud populum; ma questa affermazione, si affretta ad aggiungere Bartolo, non
significa che la ciuitas sia retta dall’intera multitudo con azione congiunta e simul-
tanea di tutti; al contrario, il governo è affidato ad alcuni, che lo reggono ad tempus
e secundum uices et secundum circulum, ossia temporaneamente e con attribuzione
periodica e circolare degli incarichi56. La dottrina di Bartolo non solo non è natu-
ralistica, ma nemmeno democratica: dalla multitudo, ovviamente, sono esclusi i
uilissimi, ma possono esserlo lecitamente anche i magnati.
La struttura del potere pubblico fin qui delineata, vale per tutta la società or-
ganizzata in corpora: vale in apicibus per il populus ciuitatis e dunque per il governo
cittadino, ma vale anche per tutti quelli che Bartolo stesso configura come collegia
dotati di iurisdictio. Così non solo i magistri grammaticae habent iurisditionem in
scholares, secondo quanto afferma, con le opportune cautele, commentando la l.
omnes populi del Digesto, ma anche i collegia approbata possunt facere inter se sta-
tuta de his quae pertinent ad eorum iurisditionem57; tali sono i collegia multorum
artificum58, ossia proprio quelle corporazioni delle arti, delle professioni e del com-

164; qui egli distingue tra tre tipi di ciuitates o populi: la magna, in primo gradu magnitudinis,
la maior, in secundo gradu magnitudinis e la maxima, in tertio gradu magnitudinis; per la magna:
«Istud itaque regimen appellamus regimen ad populum seu regimen multitudinis, ut dictum
est. Est autem istud regimen sic dictum quoniam iurisdictio est apud populum seu multitudi-
nem, non autem quod tota multitudo simul apta regat; sed regimen aliquibus ad tempus com-
mittit secundum uices et secundum circulum, ut preallegato § exactis [D.1,2,2,16] et collatione
iii. aut. de defensoribus ciuitatum, § interim [Auth.3,2,1=Nou.15,1]. Quod autem dico per
multitudinem, intelligo exceptis uilissimis, ut [...]. Item ab isto regimine possunt excludi aliqui
magnates, qui sunt ita potentes, quod alios opprimerent, ut [...]». Per la maior (p. 164): «ex-
pedit regi per paucos, hoc est per diuites et [p. 165] bonos homines illius ciuitatis [quindi un
senatus]: ita probatur expresse D. de origine iuris, l. ii., § deinde quia difficile [D.1,2,2,9], ubi
aucta ciuitate Romana facti sunt senatores eisque data est omnis potestas. Sic enim regitur
ciuitas Venetiarum, sic ciuitas Florentina: has enim pono in numero ciuitatum maiorum. In
hiis enim cessant suspiciones predicte. Nam licet dicantur regi per paucos, dico quod pauci
sunt respectu multitudinis ciuitatis, sed sunt multi respectu ad aliam ciuitatem: et ideo quia
sunt multi per illos regi multitudo non dedignatur. Item quia sunt multi non possunt de facili
inter se diuidi, quin multi remaneant medii, qui statum ciuitatis substentant [...]». Per la gens
seu populus maximus, qui est in tertio gradu magnitudinis (p. 165): «Hoc autem uere contingere
non potest in ciuitate una per se. Sed si esset ciuitas que multis aliis ciuitatibus et prouinciis
dominaretur, huic genti bonum esset regi per unum. Hoc probatur D. de origine iuris, l. ii., §
nouissime [D.1,2,2,11], ubi aucto multum imperio Romano et captis multis prouinciis deuen-
tum fuit ad unum, scilicet ad principem.».
56
V. anche CRESCENZI, Giuristi e umanisti, p. 245 ss.
57
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. periniquum, C.3,13,7, f. 115ra.
Bartolo da Sassoferrato e il problema del potere pubblico 117

mercio, che costituisce il tessuto non soltanto economico-produttivo, ma proprio


sociale dell’esperienza cittadina; sicché isti rectores artium non habent iurisditionem
nisi in his quae pertinent ad eorum artem et in illis possunt facere statutum et non
in aliis, con il che implicitamente si afferma che nelle cose della loro arte hanno
piena e addirittura ordinaria iurisdictio, vale a dire una iurisdictio originaria, che
discende dal diritto e non per concessione di alcuno.
Il potere degli iudices, dei giusdicenti, dunque, che può assumere la forma e
la forza del merum et mixtum imperium, in tanto di giustifica in quanto coloro
che ne hanno l’esercizio abbiano la relativa iurisdictio: è la iurisdictio a dare con-
sistenza all’imperium; questo fuori di quella non solo è privo di legittimità, ma
è fuori della realtà giuridica e dunque razionale.
Il potere, dunque, non è mai irrelato, come sarà nello Stato moderno, che nasce
assoluto, ma è sempre correlato alla iurisdictio, ossia alla sua forma giuridica.
Inoltre se si considera la rete di ordinamenti che costituiscono la trama del-
l’esperienza sociale, politica e giuridica di ius commune, si capisce come ogni
possibilità di concentrazione del potere sia esclusa, poiché l’imperium è specifi-
cazione di quella determinata iurisdictio, che di questa esperienza è l’ordito, di
cui ogni ordinamento è portatore.
È tempo di concludere e lo farò ricorrendo ancora una volta al Calasso; il
quale, più di cinquanta anni or sono, nella più volte evocata celebrazione del
sesto centenario della morte del maestro sassoferratese, in un passo al quale ho
già fatto parziale ricorso all’inizio di questo contributo, rilevava, che il «punto
originale e più alto» della «grandiosa costruzione teorica della ciuitas sibi prin-
ceps», per la quale Bartolo aveva «utilizzato gli schemi aristotelico-tomistici che
la filosofia scolastica aveva elaborati a fondo» consiste nel fatto che «gli elementi
universali contenuti in questi schemi astratti abbiano potuto fruttare nella con-
creta esperienza politico- giuridica solo in quanto Bartolo seppe innestarli a quel
concetto di iurisdictio, di squisita tecnica giuridica, che fu al centro della sua
concezione pubblicistica, e gli consentì la prima, consapevole formulazione di
quella teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici che il pensiero moderno
si è illuso di avere formulato per primo»59.
Fin qui le parole del Calasso. Alle quali vorrei sommessamente aggiungere
che continuare a celebrare Bartolo serve a ricordarci quanto un giurista, un in-
tellettuale possa essere grande e fedele interprete delle tensioni che attraversano
la società del proprio tempo, fornendole gli strumenti idonei al suo sviluppo,
ma anche tali da far sì che questo sviluppo si realizzi all’interno e nel rispetto

58
BARTOLI Commentaria, Comm. ad l. neque, D.3,4,1, f. 118rb, n. 1.
59
CALASSO, L’eredità di Bartolo, p. 18.
118 Victor Crescenzi

del diritto e della tutela dei diritti: in una parola, senza collocarsi consapevol-
mente al servizio di interessi specifici, mantenendo intatta la propria libertà.

Abstract

Questo contributo intende esporre come e secondo quali direttrici teoriche Bar-
tolo da Sassoferrato si sia confrontato con la fenomenologia del potere pubblico, in
un periodo storico di grandi e profondi rivolgimenti sociali e politici; in particolare
viene indagato come Bartolo abbia sollevato e risolto il problema della conformità
del potere alle norme che lo disciplinano; e come abbia affrontato il problema della
giuridicità del potere, della giuridicità degli atti di colui che del potere è investito,
nonché della dimensione giuridica delle istituzioni nelle quali il potere si trasforma
in azione. Si vede così come nella dottrina bartoliana, il potere che non si collochi
all’interno di una struttura giuridica che ne definisca oggettivamente la legittimità,
la funzione e i limiti — struttura che prende la forma della iurisdictio — degrada in
tirannide.

This paper seeks to discuss how and in what theoretical directions Bartolus de
Saxoferrato is confronted with the phenomenology of public power, in a time of great
and deep social and political changes; in particular it is investigated how Bartolus
raises and resolves the issue of compliance of the power to the rules of law. Therefore,
it is possible to see that, in the doctrine of Bartolus, the public power which is not
placed within a legal structure that defines objectively legitimacy, function and limits,
is a tyrannical power. This structure, in doctrine of Bartolus, as in the doctrine of
Glossators, takes the form of the iurisdictio.

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