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A.

BLOK
POESIE

LE R IC I
EDITORI
PROPRIETÀ LETTERÀRIA E ARTISTICA. RISERVATA

O IM O COPYRIGHT B T LERICI EDITORI S.p.A.


L e n d e d ito r i M ila n o

Poesie, di Aleksandr Blok

Studio' introduttivo, traduzione


note al testo e commento, bibliografia
a cura di
Angelo M. Ripellino
Tommaso Lamđolfi
Stadio introduttivo
Aleksandr Àleksàndroviï Blok è 'la figura piu cospi­
cua di quella .generazione di simbolisti russi che perce­
pirono' in modo spasmodico il rombo sotterraneo1degli
avvenimenti, la crisi della cultura borghese, F approssi­
marsi della tempesta. Maturati sul limitare di due epo­
che, con tutta l’irrequietezza di chi vive su un’incerta
striscia di confine, i giovani simbolisti respinsero il po­
sitivismo, le formule naturalistiche, i vezzi dei decadenti
in nome di concezioni messianiche, d i teorie religiose che
appagassero la loro brama di grandi rivolgimenti.
Pervasa del disperato presagio della vicina catastrofe,
dell’ansia febbrile del crollo del vecchio mondo, la poe­
sia blokiana è appunto poesia di confine. I suoi versi
preannunziano il cataclisma con la sottigliezza vibratile
di strumenti sismici. L a trepidazione smaniosa di quegli
« anni terribili » , anni di accese speranze e di tragiche
frane, si immedesima in essi eoi destino e l’orgasmo del
poeta, si riflette nell’agitata vicenda di estasi e di cedi­
menti, di metafisici sogni e di arlecchinate. Blok è il
tema precipuo dì Blok, l’attore principale della sua
poesia.

2.

Le testimonianze dei contemporanei rassomigliano


Blok a un’immagine nordica, a. un marinaio di navi scan­
dinave. Ciò si spiega col stia lignaggio' straniero: i Blok
discendevano' infatti, da un tedesco del MeclemburgO','
medico deH’imperatrice Elizaveta Petrovna.
Aleksàndr Aleksàndrovic nacque il 16 (28) novem­
bre 1880 a Pietroburgo. Il padre, Aleksàndr L ’vovič
(20 ottobre 1852 -1 dicembre 1909), insegnava diritto
costituzionale a Varsavia. L a madre, Aleksandra An­
dreevna (20 ottobre 1860-25 febbraio 1923), era figlia
del professore dì botanica Andrej' Nikolaevič Beketov, 4
rettore dell’Università di .Pietroburgo.
Subito' dopo le nozze (7 gennaio 1879), i genitori di
Blok s’erano' stabiliti, a Varsavia. Fu un matrimonio in­
felice. Uomo di larga erudizione, incline più alla poesìa
che alle leggi, eccellente pianista, Aleksàndr LVovic ave­
va un carattere fosco e contraddittorio. N el poema Vm-
meziìie (La nèmesi) il poeta Io raffigura come un dèmone
simile a quelli che Vrubel’ dipinse, dèmone lugubre,
vinto, dalle ali spezzate \ Dispotico e follemente geloso,1

1 Michail Aleksàndroviî Vrubcl' esercitò un forte influsso su


Blok, su Beivj, su Brjusòv e su .altri simbolisti Bramoso' di im­
magini .mitiche e leggendarie da contrapporre al grigiore della
realtà russa, sin dalla giovinezza, egli s’era invaghito del perso­
naggio d’un poema di Lerm ontov, il Dèmone, e tutta la vita si
tormentò a ritrarne l’effigie in una serie d i tele, acquerelli, boa- «
zetti, con insistenza ossessiva. Questa ricerca affannosa ebbe cul-

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terribile negli istanti di còllera, picchiava la moglie per
malintesi e dissensi, e avaro avarissimo le faceva soffrire
la fam e.
Il primo bambino nacque morto. Quando, nell’au­
tunno 1880, recatosi a Pietroburgo per discutere la sua
tesi d « m agister », Aleksandr L ’vovič vi condusse an­
che la moglie, incinta d otto mesi, i Beketov furono
così colpiti d all’aspetto sparato e malaticcio di Alcksan-
dra Andreevna, che la convinsero a rimanere con loro.
Poco dopo ella diede alla luce il futuro poeta. E non

miné in due grandi quadri che affascinarono la fantasia -dei sim­


bolisti: Dèmo» sidjaSSij (II Dèmone seduto) del 1890, in. cui il
titano ribelle (estrema variante 'di' eroi byroniani), corroso da una
indomabile angoscia, affisa con occhi lucenti Io spazio, staglian­
dosi su uno scenario di rocce simili a gemme e di fiori fantastici,
che compongono come un mosaico, e Dèmo» pcvérzennyj -(Il
Dèmone precipitato) del 1902, in cui giace scontorto cd arcigno
fra le pium e sm aglianti delle ali schiantate e con un’ala confitta
in un ghiacciaio, sullo sfondo dei picchi nevosi del Caucaso, im­
m ersi in un crepuscolo lilla. Vrubel’ espose questo quadro alla
m ostra del gruppo « Mir iskusstva » (Il mondo dell’arte). M a,
perseguitato dalla parvenza del Dèmone, tornava a ritoccarla ogni
giorno con crescente insoddisfazione, sempre piu deformandone
Û corpo malconcio e il volto livido di rancore. L a sua ragione
cominciò a ottenebrarsi. Trascorse gli ultim i anni, cieco e demen­
te, in un ospedale psichiatrico. L a m orte di V rubel’, il i ° aprile
1910, fu per i sim bolisti un oscuro indizio di rovina. Com e la
loro poesia, la creazione di questo pittore, tram ata anch’essa di
emblemi, d i enigm i, di m iti e visioni spettrali, esprim eva con
allucinato fervore i dubbi, le am basce, la torbida trepidezza del-
l’epoca. Incantati dall’arte d i V rubel’, che sembra innestare l’au­
sterità bizantina con g li ornamenti Boreali dello « Jugendstil »,
essi trasferirono nei propri versi, non solo il tema del Dèmone_
(che riappare d’altronde persino in Pasternak^ m a anche la ge- ’
fida gam m a dei suoi colori, dom inata dai toni violacei. C fr.
S . D urylin, Vrubel’ i Lermontov, in Literatumoe nasledstvo (45-
46), M osca 1948, pp. 541-622; E . Žuravleva, Vrubel', M osca 1958;
E . P . Gom berg-Veržbinskaja, Vrubel’, M osca 1959.

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tornò piu dal marito a Varsavia, nonostante le sue im­
plorazioni e lusinghe.
N el settembre 1889 la madre di Blok passò a seconde
nozze col tenente del reggimento di granatieri della
guardia imperiale Franz Feliksovic Kublickij-Piottuch,
uomo ligio al dovere e di angusto ingegno, che senti, ge­
losia del poeta e non ebbe per lui comprensione. Il padre
si accasò lo stesso anno con M arija Timofeevna Beljaeva.
E anche questo fu un matrimonio non. lieto: dopo ap­
pena tre anni la moglie lo abbandonò, portando seco la
figlia Angelina Aleksandrovna, alla quale piò tardi Blok
avrebbe dedicato i suoi Giambi.
Aleksàndr L ’vovië si ridusse allora a Varsavia in una
stizzosa solitudine dì misàntropo. Andava, sudicio, coi
polsini stracciati, e si sfamava in rancide pasticcerie. Per­
sisteva, taccagno, a non riscaldare, in quei freddi tnàr-
chiani, il suo appartamento-spelonca, e se ne stava rav- -*•
volto nella logora pelliccia, risparmiando le forze. G rigi ^
strati di polvere coprivano i mobili e i libri. Con avidità
disperata questo «m oderno A rpagone» conservava e
ammucchiava (come si legge in Vozmezdìe) « pezzi di
carta, brandelli di stoffe, foglietti, croste di pane, pen­
nini, scatole di sigarette, cataste di biancheria non la­
vata, ritratti, missive di donne e parenti ». E solo la mu­
sica pareva recargli sollievo.

3-
Le prime liriche di Blok, raccolte nel ciclo Ante
Lucent (1898-1900), rispecchiano l’atmosfera serena e
patriarcale in cui egli crebbe, le tradizioni antiquate della
fam iglia Beketov. L ’infanzia del poeta si svolse a Pie­
troburgo, in casa del nonno-rettore, e a Sachmatovo, la
piccola tenuta dei Beketov nella regione di Mosca (di­
stretto di K lin), a diciotto verste dalla stazionò di posta

16
Podsolnecnaja. Šachmatovo (tigli secolari ombreggiavano
la vecchia palazzina, dal cui balcone si apriva la lim pida
lontananza russa; il giardino era folto di serenelle e ci­
liegi selvatici, di bianchi narcisi e di iridi lilla; un viot­
tolo ripido portava allo stagno e al burrone coperto di
frutici e luppolo, e di qui a un grande bosco) — Šachma-
tovo ebbe uno straordinario significato nella vita e nd-
Parte di B io t­
in casa Beketov coltivavano tutti la letteratura e la
musica. La nonna, Elizaveta Grigor’evna, figlia del­
l’esploratore dell’A sia centrale G rigorij Silyc Karelin,
traduceva romanzi francesi ed inglesi. L e zie Ekaterina
Andreevna e Marija Andreevna (poi biografa del poeta)
verseggiavano e traducevano da varie lingue. E la madre
di Blok, anche lei, volgeva in russo scrittori francesi,
oltre a comporre poesie per bambini.
Blok venne su, vezzeggiato' da tante donne, che fa­
cevano a gara nel colmarlo di cure. Ma soprattutto influì
su di lui, col suo affetto morboso, la madre, creatura fra­
gile e isterica, soggetta a crisi di esaltazione religiosa e
a tetri accessi d’angoscia, che la spingevano spesso sul­
l’orlo d d suiddio.
Nelle prime liriche Blok ricalca i motivi, il lessico,"
le intonazioni degiache, persino gli stampi di Fet e
Polonskij, e in genere della poesuTHd secondo Ottocento.
L a materia di questi suoiversi è unTtitto tessuto di neb­
bia, dl~cui, si profilano, sotto improvvisi bagliori di g £
fida luce, evanescenti scenari boreali, sconfinate pianure
seleniche, mute distese sonnolente, pervase di languidez­
za, di morbida malinconia. Il mondcTTjnteavistÖ*cöme
attraverso uh diffusore che appanni e renda fluttuanti e
senza contorni paesaggi e figure. Ma ciò che piò preme
notare è che già qui, sull’inizio, la poesia (fi Blok « re­
gistra », come una sottilissima membrana, trame impal-

17

2
pabili di confusi presagi, echi di arom i fruscii, palpiti
di abissali lontananze.
L e consuetudini conservatrici della fam iglia Beketov
e l’adolescenza appartata in una cerchia idilliaca fecero si
che il poeta ignorasse al principio le correnti moderne.
Anno decisivo per la sua formazione fu il (1901^ quando
egli conobbe le liriche e le dottrine- cleL f
Vladim ir Solov’ev (1853-1900).
Personaggio bislacco, sempre oscillante tra il misti­
cismo e il burlesco. Solov’ëv asseriva, risalendo ai concetti
platonici, che la realtà della terra è soltanto un insieme
di fenomeni effimeri, uno scialbo ed inerte riflesso, ap-
pena un barlume del mondo delle idee perenni. E gli te­
neva per certo che l’Anim a dell’Universo, la Sposa Eter­
na. si sarebbe incarnata per riscattare l’umanità dal pec­
cato. E ravvicinando Parte alla liturgia, considerava ^
poeta un teurgOj U n veggente. In gracili, trepide liriche,
nelle quali a volte si insinua una goffaggine professorale,
Solov’ëv canta la Sposa celeste con veemenza d’amore,
come una donna viva. Quei versi sono un curioso miscu­
glio dì estatiche invocazioni e di rapimenti sensuali, di
anelanti pronostic! e di stridule incrinature grottesche.
Gol suo erotismo mistico, con le sue predizioni e le
speranze messianiche neH’avvento dell’Etèrno' Femmini­
no, là poesia di Solov’ëv divenne suggello di. fede per' la
generazione di Blok. A ll’inizio del secolo, a Mosca, si
formò, un gruppo di giovani poeti, che vagheggiavano
di armonizzare le sue teorie escatologiche con le-tëridën-
zè“ visionarie del simbolismo. N e fu guida il focoso An­
drej' Beivi (Boris NikolaeviÒ Bugaev), figlio d ’un pro­
fessore di matematica dell’Università di Mosca.
Questi neosimbolisti, che presero nome « Argonau­
ti », si riunivano nel salotto di Michail Sergeeviò Solov’ev,
fratello di lettere e d i arri.
Animato da un grande fervore teosofico, Michail Ser-
geevič, assieme alla moglie Ol’ga Michajlovna, pittrice,
si studiava di conciliare gli arzigogoli mistici coi dettami
del modernismo. Andre) Belyj, compagno del loro fi-
I gliuolo Sergej, poeta anclle lui, era intimo dei Solov’ev.
I Tutti costoro vivevano in un’aura di fanatismo, .ansiosi,
’.di teofanie, di miracoli, di apocalissi, glossando le pagine

É :1 filosofo come i responsi di un oracolo e confidando^


Ila discesa imminente della Sposa celeste.
A Pietroburgo frattanto Blok scopriva la lirica di Vla­
dimir Solov’ev per suo conto. E la madre, che era cugina
d itM ’giTh&fiàjlovna, spediva' ai. Solov’ev i versi che il
figlio .andava scrivendo sulle orme del poeta-filosofo.
Furono i Solov’ëv i primi ad apprezzare e a diffondere
i componimenti blokiani, furono loro a mostrarli a Belyj,
che ne rimase colpito come d ’un mistico evento. A Mo­
sca quei versi passarono di mano in m ano, ancor prima
d’esser pubblicati. Gli «jArgonauti »j esultavano d’aver
trovato un fratello, che condivideva le loro chimere sulla .
venuta dell’Eterno Femminino. Cosi Blok, per mezzo
dei Solov’ëv, si inserì nella schiera di quei simbolisti m e-,
tafisici che si prefiggevano di'mettere la creazione poetica .
al servizio della teologia, opponendosi at simbolisti este-
lizzanti della prima leva (B al’mont, Brjusov, Sologub,
^eccXTqjÜ â Ë avevano proclamata l’assoluta antnnrmiia
dell’arte.
Ebbe origine allora la sua amicizia con Belyj, burra­
scosa am icizia durata quasi vent’anni, ardente e convulsa
sequela di invaghimenti, ripicchi, sospetti, rotture, sfide
a duello e patetiche riconciliazioni. G ià per i contempo­
ranei i due nomi furono come due facce di un’erm a:
nella triviale pasquinata di Burenin Kcdosì na gólovach
(Calosce sulla testa) Andrea Bellogoriaccio e Blocchio,
« poeti di corte in una casa di alienati » , figurano come
due Aiaci.
Il loro epistolario, specialmente agli inizi, è un docu-

19
mento prezioso del clima sovreccitato in cui si dibatte­
vano i giovani simbolisti : un ordito difforme di deliranti
disquisizioni esoteriche, di filosofem i, una selva di di­
spute oziose, intessute col gergo sibillino d’un forsennato
nfistidsm o.

4-
L a conoscenza dei precetti di Solov’ev fu per Blok
una conferma delle sue idee mistiche, un conforto al suo
desiderio di grandiose trasform azioni. Nelf'igoi-cojfegli
compose gli Sticht o Prekrasnoj Dame (Versi sulla Bel-
lissim a Dama), che vennero B u lic a t i n e ir o ^ b r Z ^ Ì T
dalla casa editrice simbolistìca « G rif» (Il Grifone) di Mó­
sca. L ’eroina di questa raccolta è im a variante della Sposa
celeste, un’ipòstasi dell’Eterno Femminino.
I versi sulla Bellissim a Dam a riprendono in pieno,
nei temi e nei procedimenti stilistici, la strategia verbale
di Solov’ev. Come il poeta-filosofo, Blok contrappone il
trambusto del mondo fallace aH’immoto silenzio del eie-
lo, riflettendo questo dualismo persino nella spezzatura
delle quartine in distici antitetici. Anche lui, come So­
lov’ev, costruisce spesso le liriche a guisa d’anello, in
modo che l’ultima strofa ripeta la prima, assume nevi e
tormente a simboli di peccato, illumina i versi d ’un tenue
balenio di crepuscolo, attribuisce colori ai pensieri e alle
Sostanze astratte.
.Creatura incorporea, che si direbbe il prodotto ingan-
nevole d’una nEaziòne atm o sfericaja Bcllissmm D ^ ia
balugina da u n ascon fin atalon tananzauattraversoden-
sissimi sfrati di nebbia e turbini di tempeste. E solo a
volte, come per un prodigioso contrarsi delle distanze,
si appressa fugacemente ai nostri occhi, prendendo un
aspetto ingemmato e fiabesco, che richiama alla mente
la fragile Zarèvna-Cigtio di VrubeP.
Atteggiandosi a paggio, a novizio,, a scudiero, iti: una
sorta di culto cavalleresco, il poeta, invoca la mistica
Sposai conigli'appellativi delle litanie, e si teqde a co­
gliere neirinfinito ogni bàttito', ogni richiamo,'ogni, in­
dizio che annunzi il suo avvento. Quei versi costituiscano
un singolare diario d ’amore, in cui. la dolcezza dell’estasi
e la divozione sono a tratti turbate da fiamme sensuali,
'un'diario''tutto presagi, tremori, sospiri, speranze, una
trama di febbrili messaggi cosmici. ^
Per rendere le percezioni ineffabili, i sentimenti piti
vaghi, i piti, indistinti barlumi, Blok ricorre ai costrutti
allusivi, alle Jorm e alogiche e impersonali. Le frasi li­
riche sgorgano come ondate di macchie sonore, con­
fluendo in una maliosa caligine musicale, in un intreccio
solubile di invenzioni melodiche. La realtà, si assottiglia
ad un giuoco di fugaci riverberi, gli oggetti sì sfioccano
in frange iridescenti. Ne risulta un universo larvale e
ipnotico, una creazione contràttile e senza contorni, che
palpita in ogni sua fibra per la spasmodica attesa di im­
possibili eventi.
I vaporosi paesaggi di queste poesie, soffusi di tra­
sognata tenerezza, somigliano a quelli, dei quadri, sacri
di Nesterov, a cui Blok sembra attingere anche le fre­
quenti metafore di vita monastica. Allo scenario illusòrio'
sì intrecciano a volte elementi folclorici, ripensati nello
spirito ornamentale dello «Ju gen d stil». Ed è curioso
che, nonostante le brume dell’astrattezza, da alcuni, versi
'traspaiano confusamente le linee di Pietroburgo e in
qualche punto si trovino accenni precisi (i campì d i tri­
foglio, i boschi dentellati, la bianca chiesa sopra il .fiu­
me), che ci rimandano 'alle vedute di Sachmatovo, ài.
tipici, sfondi della regione di Mosca. Non solo, m a i versi
piti astrusi e cifrati si possono interpretare in chiave bio­
grafica, perché quel mistico amore rispecchia in effetti
il romanzo terreno del poeta, e la Bellissima Dama, que­l

ll
sto fantasm a teologico, non è che la donna d a lui am ata,
Ljubòv’ Dmitrievna Mendeleeva,
w Blok e Ljubòv’ Dmitrievna (29 dicembre 1881 - 27
settembre 1939), figlia del famoso chimico Dmitri) Iva-
novič Mendeleev, s’erano conosciuti; nell’infanzia. Si ac­
cesero l’uno dell’altra nell’estate 1898, quando il poeta,
che aveva allora compiuti gli studi .ginnasiali, cominciò
a recarsi a Boblovo, la tenuta dei Mendeleev a sette verste
da Šachmatovo. Vi giungeva sul suo alto cavallo bianco,
calzando lunghi stivali russi. Ljuba indossava a quel
tempo abiti rosa, come la Dam a celeste, e annodava in
magnifiche trecce i capelli dorati \
L e loro nozze si svolsero con austerità patriarcale il
17 agosto 1903 nel villaggio di Tarakanovo, in im a chiesa
vetusta, d d l’epoca d i Caterina II, bianca chiesa di pietra
in m ezzo a un verde prato. A ll’uscita dal tempio, i con­
tadini recarono in dono agli sposi due candide oche ador­
ne di nastri. Poi il corteo si diresse a Boblovo su tròiehe
addobbate con ghirlande di rovere. E qui, mentre i gio­
vani Blok .salivano gli scalini del pogginolo, la vecchia
nutrice li cosparse di luppoli). Durante il festino una. folla
di contadine agghindate cantava dinanzi alla palazzina,
glorificando la coppia. Molti intravidero in quegli spon­
sali il 'segno di imperscrutabili portenti. Uno dei testi­
moni dèlia sposa, il nobile polacco Rozwadowski, vi rav­
visò una divina rivelazione e, tornato in Polonia, si ritirò
in un convento *.
Sergej Solov’ev, Belyj ed altri « Argonauti. » conven­
nero' che Ljubòv’ Dmitrievna era I’incamazione terre­
stre della Bellissima Dama. Diedero vita perciò ad ima1

1 C fr. M . A . Beketova, A le\sandr B lo \: Biografižeslpj ožerlb


Pietroburgo 1922, p. 61.
a C fr. Beketova, op. d t., pp. 82-84, e Sttd’ba B lo\a, a cura
di O. Nem erovskaja e C . VoPpe, Leningrado 1930, pp. 53-54.

22
setta dL « blokisti », ad un ordine cavalleresco, che si
proponeva dì venerare come un’immagine sacra la mo­
glie di Blok. Ë Sergej Solov’ev, tra il serio e il faceto',
escogitò la parodia di due dotti del X X II secolo, Lapan
c Pampan, intenti a indagare con l’ausilio della mitolo­
gia se quella' setta fosse realmente esistita. S’è conservata
una strana fotografia, in cui Belyj e Sergej Solov’ev seg­
gono impettiti a un tavolo Impero soffalto da zampe ca­
prine, sul. quale campeggiano, ai lati d’una Bibbia, i ri­
tratti di. 'Vladimir Solov’ev e di Ljuba.
■ Questa, infatuazione giunse .al' culmine' quando, nel
gennaio 1904, Blok visitò Mosca assieme alla moglie, per
incontrarsi coi simbolisti di quella città. Con ardore in­
fantile gli « Argonauti » tormentavano Ljubòv’ Dmi­
trievna, cercando riferimenti teologali nei suoi abiti, nei
suoi gesti, nelle sue acconciature. Tutto ciò era sotteso,
s’intende, da una vena d’ironia: anch’essi talvolta re­
cavano in burla i rigidi schemi del loro misticismo, se­
guendo anche in questo l’esempio dì Vladim ir Solov’ev,
che era incline ai bisticci, al « nonsense » , ai travesti-
menti. Ma, a lungo andare, l’adorazione iperbolica che,
sconfinando nel buffo, lasciava un amaro residuo, finì col
tediare il poeta. Nacquero i prim i dissapori con Belyj,
che in quel culto poneva un’eccitazione fanatica, dissa­
pori che si sarebbero piu tardi inaspriti, quando Belyj
divenne rivale di Blok nella passione per Ljuba.
L ’insofferenza del poeta per gli eccessi e le fisim e \
degli « Argonauti », i quali farneticavano come catecù- ]
meni invasati, ci fa ricordare che già nei versi sulla Bel- *
lissima D am a improvvisi sprazzi di scherno scompiglia- j
no le visioni serafiche e l’estatica attesa è incrinata da 1
sfiducia, sospetti, esitanze, da presagi di insidie e di tra- j
dimento. Lam peggia a tratti nel poeta il dubbio che la ’
Sposa agognata discenda dal delo, e il dolcissimo idillio
si rivela fittìzio.

23
Fra le preghiere sommesse si vanno man mano infil­
trando motivi di sortilegio e di demoma allucinante. N el
ciclo Rasput’ia (Crocicchi, 1902-04) invadono i versi'
maoîEœeê^^stregate schiere di gobbi, indovine e versiere,
" 3 Ï cupi figuri che sembrano usciti da una seduta spiritica,
di diavoli storti e pagliacci dai variopinti brandelli, e so­
prattutto di colombine e arlecchini che sì direbbero rita­
gliati dalle Fêtes galantes di Verlaine, se non li avvol­
gesse un alone di nordica nebbia.
Il continuo ricotte le .A m a & cfa e ra te ,^ ^ con
quell'insistenza funesta su vòrtici e cerchi, simboleggia
la labilità della sorte, la vacillante incertezza delle chi­
mere. Il paladino della Bellissim a D am a m uta la sua
assisa medievale in una nera m arsina o nei rappezzi d’un
clown e si cam uffa sovente da vecchio decrepito, traen-
dosi dietro un lugubre sosia.
Sin dagfi. ultimi mesi del 1903 la poesia di Bldk jtp-
mincia a inquadrare con scorci allegorici la miseria e i
contrasti della città moderna, le creature um iliate e i
misteriosi omini neri che annaspano nelle sue tenebre.
Rotto l’incantesimo degli argomenti teologali, Blok af­
fronta motivi prosaici, scene di. vita, dei grigi quartieri
operai, 'indugiando sulle sofferenze dei poveri. E non
importa se il suo populismo si vale in princioio di toni
melodrammatici. Già in Rasfut’ja vi sono, fra tonto, ri­
goglio di/ simboli, quadretti incisivi, della realtà sociale
delPepoca,, come, ad esempio, la descrizione della fab­
brica, con la torva, siluetta del nero Qualcuno che in­
combe, parvenza malèfica, sulla disperata fatica degli
infimi.

5- •

Diremo ora qualcosa, dell’ambiente letterario dì Pie­


troburgo. La vita, artistica della capitole russa si accentrò
airinìzió del secolo in tre pittoreschi salotti.

34
V a ricordato innanzi tutto quello di D m itrij Merež-
kovskij e di Zinaida Gippius, nel « Dom M uruzi », al
Litejnyj prospékt. Qui, in un’atmosfera da tepidario (i
rossi mattoni dei muri e gli spessi tappeti erano infocati
dalle fiamme del caminetto), si radunavano poeti, filo­
sofi e dignitari del clero, per dibattere in dispute ardenti,
impetuose problemi liturgici e confessionali. Qui i de­
cadenti tenevan bordone ai coadiutori del Sinodo, ai
casisti dell’Accademia ecclesiastica.
Raggom itolata su un morbido sofà, la Gippius, in
un bianco saio, scrutava con l’occhialino i suoi ospiti, che
sottilizzavano, sfoderando i cavilli e gli accorgimenti
d’una tortuosa scolastica. Aveva occhi-smeraldi, splen­
didi occhi dalle scintille verdognole, capelli rosso oro che
le scendevano sino alle ginocchia, coprendole i fianchi
e la vita, e al collo i grani d’un rosario con una grossa
croce nera V
Era strana, in mezzo a quei popi balzani, a quelle
secche figure di cartapecora, la presenza di questa donna
ammanierata, che usava un profumo di tuberosa e fu­
mava sigarette aromatiche, traendole da un cofanetto
laccato di rosso. Come una fredda regina orientale, la
Gippius dava esca alle controversie teologiche, affasci­
nando i presenti con paradossi ed enigmi. .£■ anche' Blok,
negli anni del misticismo narcotico, fu preso nella sua
rete.
Soltanto di poesia e di ..tecnica poetica discutevano
invece, negli incontri domenicali, gli ospiti' di Fëdor So-
logub, che abitava all’isola di V asilij, nell’edificio della
scuola elementare, di cui era ispettore. N el suo gelido
studio dai mobili d i pelle, in una luce appannata e ver­
dastra, recitavano versi timidamente e ascoltavano i giu­
dizi solenni, spesso acerbi e spietati, del poeta. Faceva1

1 C£r. Sud’ba Bloka, pp. 68-82.

25
gii onori di casa la sorella di Salogub, O l’ga Kuzm inična,
identica a lui nell’aspetto, silenziosa e severa \
M a dairautunno 1505 il salotto piu illustre fu quello
di Vjačeslav Ivànov. Ogni mercoledì, nell’appartamento
di questo poeta-erudito, a l sesto piano in via Tavri&s-
kaja, si raccoglievano, in una sorta di simposio platonico,
scrittori ed artisti, intellettuali e filosofi, per discettare,
da mezzanotte ai primi chiarori dell’alba, 'di simboli­
smo, d i « anarchia mistica » , di misteri ellenici, di « tea­
tro collettivo » 2.
Impasto di mago'e di professore tedesco', Ivànov pre­
siedeva ai convegni coti austerità di feticcio, ingegnan­
dosi di conciliare le antitesi in una superiore armonia, in
un sincretismo universale. Anima delle riunioni era la
moglie del poeta, Lidija Dmitrievna Zinov’eva-Annibal :
vestita di variopinti chitoni, disegnati per lei dal pittore
Somov, portava in quell’areopàgo la sua vivacità esube­
rante, cosi diversa dalla calm a apollinea e dal raffinato
accademismo di Ivànov.
Sul far dell’alba, cessate le dispute, si recitavano poe­
sie. Anche Blok declamava le proprie. Gorodeckij rac­
conta:
« N ella sua lunga prefettizia, la cravatta floscia an­
nodata con ricercata noncuranza, in un nimbo di capelli
oro cenere, era romanticamente bello allora, nel sei-sette.
Lento, si accostava ad un tavolo con le candele, guardava
all’intorno con occhi di pietra e lui stesso impetrava,
fino a quando il silenzio non avesse raggiunto l’assenza
d i suoni. E attaccava, tenendo la strofa con tormentosa
m aestria e rallentando appena appena nelle rime. E gli
ammaliava con la propria dizione, e quando finiva una,
lirica, senza mutare la voce, di scatto, pareva sempre1

1 Cfr. Sud'ha Bhkfi, pp. 82-84.


* Cfr. ivi, pp, '9:2-107.

26
che quella delizia fosse finita troppo.prato e che ancora
si dovesse ascoltare »
L a « torre » dit Ivànov fit per qualche anno una spe-
- d e dì laboratorio s'p51maag'»~.iflt„Qui. àTìj^SiB vM to .e. si
distruggevano glorie, correnti e fortune. Bìok vi si mo­
veva spaesato, come « un dio in. un lupanare », secondo
l’espressione di Ivànov. Fu 11, forse, che egli avverti per
" la prima volta l ’untuosa fallacia del mondo artìstico,
pantano di maldicenza e di "invidia, la falsità dei" rap-
pòrtFIra'i letterati: falsità di cui avrebb^scfïtid piu tardi

Era, quello di Ivànov, un mondo cieco e pericolante


come un uovo su un getto d ’acqua, un oppiaceo Parnaso,
ove gli accòliti del simbolismo si trastullavano in oziosi
certami, in vane schermaglie. Mutando in giorno la not­
te, intrecciando im passibili dispute, sospese sul tempo
come ragnateili di simboli e arabeschi di vuote parole, gli
ospiti di questo salotto si distoglievano dalla tragica realtà
della Russia desolata ed inerme, su cui imperversava frat­
tanto una bieca reazione.

■6.

Diversamente da quegli esteti, Blok aveva ormai


aperto gli. occhi sui conflitti e Ü travaglio dell’epoca.
.SLeano,cs.tinte le spe a m ae jld la Bellissim a Dam a. Sem-
pre meno io attraevano i trucchi escatologici.
Le tumultuose vicende dell’inizio del secolo contri-
_b p im im .A -d issip flre. l e n i t o l e tracce di quel quietismp
mistico, in cui a volte tornava per inerzia a impigliarsi.
Le amare sconfitte della Russia nella guerra col Giap­
pone e la fallita rivolta del 1905 .distrassero la sua fan­
tasia dal punto morto a cui era inchiodata. Egli si venne

1 Sergej Gorodeckij, 'Vospomìmnìfa ob Ale\sandre fifone,


in « Pe&t’1i Revoljueija », 1922, 1.

.27
sciogliendo dalKndifferenza, guardò in volto la vita e
cominciò a interessarsi alle manifestazioni e agii^ scioperi
della classe operaia.
Abitando in: un quartiere proletario (nella casa del
patrigno-ufficiale, dentro una grande caserma accerchia­
ta da fabbriche e da stamberghe operaie), Blok potè se­
guir da vicino il febbrile brulichio' di giorni tempestosi.
I fatti del igqg._(e.in specie la fosca « Domenica di san­
gue », quando Fumile folla che si recava dallo zar con
icone e bandiere, a implorare ingenuamente giustizia, fu
falciata dalle truppe cosacche) provocarono in lui un ra­
dicale mutamento.
N ella ricerca di nuovi scenari da opporre agli stinti
fondali celesti,. Blok posa lo sguardo sul paesaggio delle
paludi. N el ciclo Pazyri zemli ^Bolle di terra. IQ04-05).
che trae nome da un verso del Macbethl, egli tratteggia,
in ariosi disegni che paiono tessuti col fiato, diavoletti,
pretini palustri, monachine taciturne ed altri fantocci di
muffa, minuzzoli primaverili, che incarnano le forze,
elementari della natura.
Le fragili creature della sua demonologia immaginosa
(non dissimili da quelle d ’un Rémizov) si muovono su
tappeti di muschi, bagnati da scrosci, di pioggia, fra. ciuffi
di erbe che splendono come malachite, nella melma de­
gli acquitrini. Un, soffio di levità primaverile trascorre
per lo scenario palustre e ne anima, le figurette sottili. I
v«a-esprim©nQ-;a«eraviglia il respiro della -stagione no­
vella eìnsicm e il torpore m alarico, la stregoneria degli
stagni che attorniano Pietroburgo.

1 Sono le parole pronunziate da Banquo dopo la sparizione


delle streghe :
The earth hath bubbles, as the water' has,
and these are of them. Whither .are they vanished?

28
A questo ciclo, che oscilla fra spunti di favola e note
di delicato burlesco, si ricollega il poemetto Nocmja
P ialla (La Violetta Notturna, 1905-06). Ilppeta sogna di
uscire, in un piovoso crepuscolo, dalla periferia cittadina
e di inoltrarsi per sonnolente paludi in cui sboccia il
« placido e puro fiore verde lilla che si chiama Violetta
Notturna ».
Come T at’jana nel suo sogno, entra anche lui in ima
capanna, ove trova, non mostri ghignanti, m a legnose
parvenze assopite, che emergono dalla voràgine di tempi
lontani. Fra i guerrieri del séguito caduti in letargo, seg­
gono accanto a una botte di birra un decrepito re ed una
vècchia regina dalle corone appannate sui riccioli verdi
e dagli occhi come fiammelle palustri.
L a ragazza non bella dal viso impercettibile, chej'siede
in un angolo, intenta a filare in silenzio, è la Violetta
Notturna, principessa d’un paese dimenticato. Su una
panca malferma, dinanzi ad un gotto di birra, sta come
impietrito un malinconico scaldo, che s’affisa da. secoli
nella Violetta Notturna, corroso da un desiderio immu­
tabile, Blok si asside vicino a quel giovane, Ormai simile
a un fòssile, per vagheggiare (per istanti o per secoli) Ja
creatura.che fila in_sdenzio. impregnando la sgangherata
capanna del suo profumo narcotico, del suo veleno.
Cosi il timido fiore delle paludi diventa una misteriosa
sembianza vegetale. E nel sopore il poeta ricorda d’aver
già vissuto in un evo remoto tutto d o che vede ora in
sogno, ricoM àri’essèie stàto'una volta cön questi sovrani
nei fiordi scandinavi, si rammemora che la ragazza era
un tempo leggiadra. Come se al mondo dell’attesa si so­
stituisse quello della memoria.
•I riferimenti,..SGno.,perspicui : la ^Violettsi Nottorria a;è
la Bellissima Dama,^ non più miraggio di teologali lon­
tananze, ma fantasma ipnotico che germina dalle pallidi;
il giovane scaldo, irrigidito in. una tòrpida adorazione, è

29
un sosia, un riflesso del poeta ingolfato in un culto rterile
e ozioso; e i guerrieri del séguito a rie g g ilo agii « Argq-
nauti ».
I versi di questo poemetto rendono con penetrante
vivezza olfattiva i miasm i palustri, la m ucida annosità
della capanna e il soporifero odore della Violetta N ot­
turna." Lo spazio dell’universo si è ridotto a un’angusta
baracca issata sugli acquitrini, a un tugurio che è come
una nave di morti, a una cadente casupola, dove si alli­
neano, in pose statuarie,, guerrieri acciocchiti, automi, la
cui carica si è spezzata, .per incantamento, e dove il filare
incessante della Violetta Notturna equivale a un delirio,
a una monomania.
II vocabolario ottico di: Blok si fa qui più, preciso e,
come gemme'tea 'falde di' nebbia, i suoi colori, hanno
adesso un’aw am pantc lucentezza. Sonori colori e gli im­
pasti di VrubeF : tutto il poemetto è soffuso d’un brillio
verde lilla. In quegli anni il poeta campiva le im m agini
a preferenza di toni gridellini. « Se dipingessi un qua­
dro, — egli scrisse più tardi —■ raffigurerei le impressioni
di questo momento cosi : nella tenebra lilla dell’immenso
universo ondeggia un enorme catafalco bianco, e su esso
giace una bambola morta, £1 cui viso confusamente ri­
corda quello che traluceva fra le rose celesti » \
Già nel ciclo Puzyri zemli Blok aveva accennato una f
caricatura dei mistici, presentandoli come diavoli deca­
duti. dal. berretto a. sonagli. Ma la .satira.J e l .misticismo
trapassa ' in. dileggio nella commedia-calembour Baia-
ganci\ (Il piccolo baraccone), che egli ricavò1da una li-
rica omònima. Blok vi schernisce, non. solo la cerchia
maniaca dei mistici, parodiandone il gergo esoterico, ma
anche gÜ.ideali della sua giovinezza» L ’impalcatura chi­
merica del culto della Bellissima .Dama si frantuma ed

1 0 savremennom sostojaniì rnsskpgo stmvolizma (1910).

30
annega nel Maelstrom d’una spietata ironia, che nascon­
de un senso di freddo e di pena, un’insanabile angoscia.
! mistici,, con ftnaiiziere..e .vestiti jdi moda^aspettarig,
j j un tavolailluminato-una « vergine da.unaJontana con­
trada Pierrot, sognante e stravolto, in un bianco saio,
^attende invece i’arrivo di Colombina. Come evocata dalle
Jo ro impiatasioni,. compare d’un tratto. ttng...vag a ,J an-
ciulla...con
■■ le trecce, dall’effigie
. o d’una bianchezza
-- opaca.
1
benché Pierrot riconosca in lei la sua amata, i mistici,
"presi da orrore, ravvisano nella ragazza la n Pallida
Amica ■•>, la Morte. Quand’ecco giunge Arlecchino, con
tintinnio di sonagli, e si porta via Colombina, fra lo
sgomento dei mistici : « sono tutti rimasti sospesi senza
vita sulle sedie. Le màniche delle finanziere si allungano
sino a coprire le nocche, come se non vi fossero le mani.
Le teste si sono ritratte nei baveri. Si direbbe che sulle
sedie pendano vuote finanziere ».
Arlecchino s’inyola felice con la facile preda nell’ax-
gentea bufera* che li cinge come un anello nuziale, ma
ben presto s’avvede che la ragazza è soltanto un’« amica
di^cartone : quando.tenta di avvilupparla nel proprio _
mantello, Colombina cade bocconi nella neve. Stanco
d’un m ondo fittizio^ le cui creature si afHosdauo come
pupazzi di trucioli, e ansioso di immergersi nella vita
reale, Arlecchino, durante una festa di maschere, salta
dalla finestra. Ma l’orizzonte è un fondale dipinto, la
carta che simulava il. paesaggio si squarcia, e Arlecchino
piomba nel vuoto a gambe levate.
L a viva realtà non è dunque meno illusoria delle
brumose pitture celesti. Nello squarcio, cullata dal vento
dell’alba, fa capolino la Morte con lunghi, candidi veli.,
e la falce sulla spalla. Appena, tendendo le braccia, Pier*,
rot muove verso di lei, la falce d’argento svanisce nella
foschia mattinale e la Morte ridiventa Colombina.
Tutto potrebbe concludersi in bell’armonia, se d’im-

31
provvisti le scene, collie per un cataclisma, non volassero
in aria, disperdendo le maschere spaventate. .Resta solp^
, Pierrot alla ribalta, a lamentarsi del proprio destino..
II cavaliere della Bellissim a Dam a si è quindi mutato
in un sospiroso Pierrot, che rammenta le clorotiche im­
magini dì Laforgue, e insieme il timido sognatore de
Le notti Insinché. L ’arcana seduta dei mistici ha certo at­
tinenza con l’interminabile sonno dei re e dei guerrieri
nel tugurio palustre. M a se in quel poemetto il poeta,
nel dormiveglia, udiva ancora segnali lontani, quasi il
vento spingesse vascelli da paesi stranieri, promettendo
un’effimera gioia',, qui il "disinganno non lascia, spiragli.
Il mistero traligna, in arlecchinata,, in un delirante tra­
stullo di manichini e di goffe fantasime. Non a caso l’in­
tera commedia si impernia su un irriverente bisticcio:
la parola « kosà » vale in russo tanto « falce » che
« treccia ».
Quasi a irridere la fallacia delle esperienze mistiche,
BtàaganU\ si svolge in un clima di esasperata finzione e
di scaltra doppiezza, che ci richiama ai motivi del ro­
manticismo tedesco. Basta pensare alla scena, in cui dalla
testa d’un pagliaccio, che un innamorato geloso ha col­
pito con la spada di legno, sprizza succo di m irtillo in­
vece di autentico sangue : scena che sembra riassumere il
carattere di tutto un periodo del moderno spettacolo
russo. Le m alizie e gli incastri di situazioni grottesche,
il continuo spezzarsi dell’illusione teatrale, e lo stesso
personaggio dell’Autore, che di tanto in tanto si affaccia
per protestare, accostano questo lavoro alle commedie di
Tieck.

7-
\ Bdaganak introduce dunque nella creazione di Blok
I la certezza che la .realtà della terra è altrettanto fumosa
■ delle visioni teologiche. Quest’amara certezza si rifrange

32
nelle liriche in cui egli sviluppa argomenti di cartoman- '
zia e sortilegio, e soprattutto nei versi del cielo Gòrod z—
(L a citta), scritti sotto 1 influsso della raccolta di Brjusov
Urbi et Orbi, che aveva straordinariamente colpito la
sua fantasia.
* 7 L a città blokian a.ag g reg ata funesto di bettole, b i- ^
sche, ristoranti e postriboli, è un’orditura ingannevole,
uno spettrale sfolgorio tra Je^ nebbie, un plesso confuso
tlì lìnee fluttuanti ed ubriache. Eroine evanescenti di
questo ciclo sono le prostitute delle vie di Pietroburgo,*Il
"proiettate in un’aura da parabola biblica, ambigue par­
venze che acquistano a tratti la sublimità metafisica di
creature umiliate da un’inesorabile sorte. v
Qui Blok affastella metafore accese e sgargianti, che
paiono precorrere il primo M ajakovskij. Tutto il ciclo
è venato da un orrido brulichio di bagliori rossastri.
Sfondi, esseri, attrezzi son 'tìnti di sanguigno. Strie di
crepuscolo inondano i casamenti, e le strade d’una luce
scarlatta, la luce delle catastrofi e della rovina.
Il rosso incombe sulla città blokiana con forsennata
insistenza, come il vessillo di fuoco sulla simbolica gio­
stra, che Nikola) Sapunov dipinse in quegli anni in una
sua temperal, Il nervoso armeggìo 'di baldracehe vermi­
glie, di nanerottoli fulvi, di m antelli di porpora, tutta
quest’orgia di rossa immette in quelle poesie un frèmito
d’apocalisse, Forgasmo d’un mondo che è alForlo dello
siacelo.
« L a nostra realtà — scrisse Blok nel saggio Bezvrè-
men’e (Tem pi calam itosi, 1906) — trascorre in un rosso
chiarore. I giorni son sempre piu rumorosi di gridi, di
rosse bandiere sventolanti; a sera la città, assopitasi un
attimo, è insanguinata dal crepuscolo. Etì notte il rosso

1 Karmel’ (1908). Cfr. N . Puniti, Tri chudoznìks: U, N . Sa­


putivi', in « Apollon » 1915, 8-9.

33
3
canta sugli abiti, sulle guance, sulle labbra delle donne
da conio. Solo la pallida m attina scaccia l’ultim a tinta
dai volti emaciati ».
Ed ecco, i versi blbkiani palesano' un nuovo' duali­
smo, che trae origine forse dalle invenzioni di Hoffmann.
Si veda, ad esempio, la lirica La Sconosciuta. A ll’appa-
rire di questa creatura enigmatica^Tmpulsi mistici irrom-
5Snb "nell’ambiente volgare dei ristorante di periferia, che '
u^öetäaveväTdescntto con minuzioso. mahsmo. L a realtà
terrena traluce, mostrando il lampeggia, di yn^uniyerso
IfrazTohaie. N ell’ubriachezza, che sposta i consueti li-
"111115 psìchici, una donna di strada rivela, come in traspa­
renza, ì lineam enti dêlEa Sposa ce leste . ^
La Sconosciuta è tra le piu suggestive figure della
poesia russa di questo secolo. Le metafore fluiscono stf*
due diverse superimi semantiche, permettendoci di per­
cepirla in due modi, come donna concreta o simulacro
fantastico-.,. j
Il « cappello con piume di lutto », le « elastiche vesti
di seta », la « scura veletta »' ci .riportano al gusto della *
<1Belle Époque », a certe immagini di Toulouse-Lautrec.
Ma inoltre c’è in lei, come in parecchi' personaggi del
simbolismo russo, un che di demonico, di chtonio. Non
a caso il poeta osservò : « Non è solo una dama dall’abito
nero con piume di struzzo sul cappello. È una diabolica
lega di molti mondi, principalmente il turchino e il lilla.
Se io avessi avuto 1 mezzi, diJ^ajb^V m n eL jttn ato un
Dèmone » l.
Č oa interpretata, questa sembianza som iglia alla
Dame Dämon di Klee, m iscuglio inquietante di mistico
e di terrestre, imbastita con disparati brandelli di vari
colori che dissolvono l’uno nell’altro, m agica larva che
vaga nel cosmo su assurde gambette sottili e con un cap-

1 O sovremennom sostojanii russ\ogo simvolizma (1910).

34
pello alla moda \ N cll’una e nell’altra si avverte qual­
cosa di labile e di malsicuro. Il quadro tracciato da Blok
è per di piu traballante a causa dei fumi del vino. Gli
« ubriachi dagli occhi di coniglio », i « sonnacchiosi
lacchè » , le piume sul cappello della Sconosciuta, gli ef­
fluvi di occulti profumi : tutto barcolla in un dondolìo
sonnolento, che si contagia al lettore.
Liriche di questo' tipo d’ora in. poi torneranno con
sempre m aggiore frequenza nelle pagine di Blok. Sul
tessuto realistico guizzano, come in sovrimpressione,
elementi d ’una realtà ineffettuale. Pigmenti onirici co­
lorano la banalità quotidiana. Ciò che è triviale si im­
beve d ’un lièvito m agico, si fa m isterioso; la lontananza
incantata trapela da un interno prosaico. Cosi può ac-
cadere che una qualsiasi prostituta ricordi la Spo saan -
gelica, e una -qualsiasi" bet.tdIS7 per effetto della luce o
degli specchi o dell’ubriachezza, divenga uno scenario
soprannaturale! ~~~ - L._. (
, Queste trasmutazioni prodigiose si svolgono tutte \
sullo sfondo di Pietroburgo, concepita, nella tradizione /
di Gogol’ e di Dostoevskij, come città incomprensibile
e stregata, come incantesimo sorto dalle acque rugginose
delle paludi finniche^ Non la Pietroburgo neoclassica
> dalle architetture severe, non la Paimira del Nord ma­
gnificata da Puïkin nei'Cavaliere di bronzo, ma la Pie­
troburgo' del Nevskij * e soprattutto degli angoli peri»12

1 C ff. Carola Gìedion-Welcker, Paul Klee, Stuttgart 1954,


p. 62. Per il suo carattere di grottesco' d'amore che si dilata allo
'.spazio 'dell’universo, L a Sconosciuta si potrebbe confrontare con
If-la. .lirica An Anna Blume di Kurt Schwitters (« D u trägst den
H ut auf deinen Pässen...»),
2 Kornej Cukovskij {Ot Cechova da naskh dnej, 23 ediz.,
Pietroburgo 1908, p. .40) definì Blok «'poeta del Nevskij pros-
péfet», aggiungendo: « l i Nevskij prospékt è la patria spirituale
di Blok, e Blok il primo poeta, generato da questa sterile strada ».

3.5
ferici, intreccio di vicoli sordi, di grigie casupole, di ta-
venie e cortili.
Come già Dostoevskij, il poeta si ingegna di coglierne
la Banalità misteriosa, di scoprire l’arcana sostanza che
si nasconde sotto la sua squallidezza abituale. Ricordi
il lettore ciò che afferma Versilov ne L ’adolescente, con­
ducendo Arkadij in una sòrdida trattoria : « Forse tu non
lo sai, ma a me piace talvolta per la noia. .. per Terribile
noia dell’anim a... entrare in sim ili cloache. Questa atmo­
sfera, quest’aria balbettante della Lucia, questi camerieri
dagli abiti russi fino all’indecenza, il tanfo di tabacco,
g li urli dalla sala d i biliardo: tutto ciò è cosi triviale e
prosaico, da confinare quasi col fantastico » (parte se­
conda, cap. V , III).
Pietroburgo balena nelle liriche di B lak con le sue
nebbie, coi rossi crepuscoli che la circondano come le
fiamme d’una cromosfera, con le notti bianche, con le
cicatrici degli stagni, scenario sferzato dalle gelide raf­
fiche della Neva. E ancor oggi, se andate in un piovoso
tramonto d’autunno alia periferia di Leningrado, vi
sembrerà di trovarvi la luce e le immagini delle strofe
blokiane. Quel sentore palustre, quella natura malinco­
nica e singhiozzante, quel gocciolio che cancella i con­
torni degli uomini. Gli alberelli giallicci sprigionano
barbagli metallici, e tutto il paesaggio ha un alone fosfo­
rescente. E la sera, come nei versi biokiani, nell’umido
velluto dell’aria verdeggia la splendente fiamm ella d’un
semaforo.
Cosi dalle prospettive infinite del cielo Blok era sceso
m ari mano nel cerchio allucinato di Pietroburgo. È chia­
ro che un simile mutamento doveva allarm are e deludere
gli « Argonauttin Sm orzatasi la väm pätadel G ran T a-
natismo^ oostoro avevano fatto della Bellissim a Dam a,
sembianza in naftalina, la loro idea fissa, il loro « dada »,
per usar l’espressione di Sterne.

36
Impassibili in un’assonnata immunità dadaica, «’era-
no accorti da tempo che Blok veniva meno alle loro
speranze, come un pianeta che uscisse dall’orbita. Si ri­
sentirono della poesia Diavoletti palustri, in cui cran
chiamati « spiriti impuri, malsanla delle acque », ma so*
; pràtttltto li offese. Bdam nBk.
Si riconobbero in quei m istici ottusi infagottati nello
stiffelius, in quelle figure-fonògrafi, perdute a ripetere
formulette teologali. Fu un duro colpo. Il paesaggio ce­
leste era ormai una baracca da fiera devastata da un ura­
gano, e la Bellissima Dama, scalzata, dal piedistallo, una
maschera da commedia, una ridicola « arnica di car­
tone ».
Tutto d ò parve loro un sogghigno sacrilego, un tra;
dimento dei dogmi di Solov’ev. Resistenti ai bacilli della
vita reale, dimenticarono che anche il poeta-filosofo
aveva titubato fra l’estasi e gli scatti blasfemi. E Belyj,
benché fosse lui stesso proteiforme e incostante, si adontò
oltre misura di quel cambiamento.
In un saggio del 1908, che sembra il sogno d i un
entomòlogo, egli paragona i versi blokiani a « rose di
raso », da cui siano sbucati, come leggiadri coleotteri,
diavoletti e pretini, e proclama Blok falso mistico e
« poeta di bruchi », dei quali il piu velenoso è la Bellis­
sima Dama, « decompostasi in prostituta e in finta gran­
dezza del genere di v/ —1 »
L ’artificioso disdegno cfì Belyj scaturiva, non tanto
da morivi teologia, quanto dagli aspri contrasti perso­
nali con Blok e dalla crescente rivalità nell’amore per
Ljuba. D el resto, già in Noénaja Fialha, il poeta aveva
scritto:
M a che cosa è più gradito al mondo
che la perdita dei m igliori am ici?1

1 Oblom\ì mirov, ripubblicato poi in Arabeskj, 1911, pa­


gine 463-64.

37
8.
L ’abbandono degli argomenti mistici coincide per
Blok con l’ingresso nel mondo del teatro.
D i teatro si era appassionato sin da ragazzo, decla­
mando romanze e monologhi con T’accento imperioso
ed i gesti patetici di reboanti attori ottocenteschi, come
D al’skij e Dalmatov e organizzando ogni estate spetta­
coli di famiglia a Sachmatovo e a Boblovo. Qui, il i ” ago­
sto 1898, mise in. scena alcuni brani' -àéi'Amleto dinanzi
ai Beketov e ai contadini dei dintorni., che ridacchiavano
senza comprendere nulla.
Intabarrato in un mantello corvino, con un nero co­
stume e la spada al fianco, sosteneva lui. stesso la parte dì
Amleto. Ljuba era Ofelia : indossava una « candida ve­
ste dalla scollatura quadrata, con guarnizione lilla chiaro
sull’orlo e nei fori delle lunghe maniche a sboflfi. D alla
cintura le pendeva un’« aümônière » lilla, ricamata di
perle. N ell’episodio delia follia i capelli disciolti, leg­
germente arricciati e cosparsi di fiori, le scendevano sino
alle ginocchia. Fra le mani un gran fascio di malve rosa,
di vilucchi e di luppolo alla rinfusa con altri fiori di
campo » l.
Per qualche anno il poeta vagheggiò la carriera d’at­
tore e nell’autunno 1899 si iscrisse persino ad un circolo
filodrammatico, interpretando, con lo pseudonimo Bor-
skij, una piccola parte in Le Mcâtre de forges di Georges
Ohnet. M a poi al teatro prevalse la vocazione poetica.
Ljubòv’ Dmitrievna invece tradusse in realtà il proposito
di calcare le scene. Dopo aver frequentato i com dram ­
matici di Aleksandra Citau, si uni a diverse iniziative
di Mejerchol’d, recitando in provincia (1908), a Terioki
(1912), nella Sala Tenišev a Pietroburgo (1914). Fu nella
com pagnia di Zonov a Kuokkala, lavorò al cabaret1

1 M . Beketova, op. cit., p. 62.

38
« Privai komeđiantov » (L a teppa dei commedianti) e,
dopo la rivoluzione, alla Commedia popolare di Radlov.
Spunti teatrali si incontrano sin dal principio nella
creazione di Blok. G ià in Ante Lucetn ricorre, con sin­
golare frequenza, il tema di O felia e di Amleto. Piu
tardi compaiono liriche in cui con m odi hoffrnanniani
il poeta assom iglia il teatro a imo specchio illusivo che
sdoppia le im m agini, a una scintillante bugia che dissi­
m ula il vuo to.
I gesti liturgici si sono mutati in una stridula tram a
di contorcimenti e di smorfie pagliaccesche. Disertate le
imprese teologiche, Blok assapora l’incanto del palcosce­
nico, la stregheria delle lu d della ribalta, si inebria di
quinte, velari e costumi sbiaditi, scopre il fascino dei ba­
racconi e finanche del rozzo mestiere dei guitti.
II crescere del disinganno m oltiplica le poesie-panto­
mime, in cui con lazzi e movenze legnose Arlecchino,
Pierrot, Colombina rendono, in chiave burlesca, la di­
sperazione del poeta. NeU’aria brumosa di Pietroburgo
le maschere della commedia dell’arte ondeggiano come
fantasmi, come incorporee parvenze di gelo.. Il cosmo è
screziato dei loro brandelli come di. macchie opalescenti.
E persino' gli astri di questo universo glaciale assumono
aspetto di maschere : la luna è, ad esempio, un « Pierrot
celeste ». Come un’idea musicale ripetuta in tante varia­
zioni, Farlecchinata metafisica diventa un motivo conti­
nuo nella scrittura, di Blok : e non è da stupire se torna
persino nei Dodici.
Può darsi che Balaganci\ riflette le trappole e i truc­
chi delle spettacolose arlecchinate che si rappresentavano
nei baracconi di Pietroburgo. M a il gusto delle maschere,
delle marionette, dei fantocci da Fêtes galantes eia. co­
mune ai poeti, ai pittori, ai registi del tempo.
Non vi fu poeta in quegli anni, da Belyj a Gumilev,
da Kuzmin a Vološin, che non inserisse arlecchini nelle
proprie liriche. Non vi fu pittore, "da Sapunov a Benois,
da' Sudejkin a Somov, 'die non tratteggiasse maschere
a m m a n ierate, accompagnandole spesso con la Morte. E
quanti registi pagarono il loro tributo' ai" simulacri della
commedia italiana: Mejerchol’d, mettendo in scena mol­
teplici canovacci e pantomime, Ira: cui, col titolo Sarf
Kolombmy (La sciarpa di Colombini),-Der Schleier der
Pierrette di Schnitzler-Dohnânyi ; Evreittov, scrivendo
l’arlecchinata Vesëlaja smerf (L a gàia morte); Komissar-
ževskij, aggiungendo un «. divertimento' » di maschere a
Le bourgeois gentilhomme di Molière.
Era di moda (e lo conferma il Petruska di Stravinski})
convertire i personaggi in arcadiche figurette di Sassonia,
in pupazzi invertebrati dai tondini, verm igli sulle guance
e dal « succo di mirtillo », in bambole meccaniche simili
alla Coppèlla di Delibes.
Balsgsneik è strettamente connesso con questa ten- s
denza. Il turbinoso episodio della lesta, carosello di ma­
schere stilizzate e variopinte, fa pensare alle tele di Somov
e di Sapunov. M a se a quegli artisti il mondo del teatro •
serviva solo di pretesto per uno sfoggio d i preziosismo
ornamentale, in Blok costituisce la tragica antitesi delle
chimere teologiche e, per la menzogna e doppiezza del
giuoco scenico, quasi l’allegoria della sua delusione.
Lo si vede anche dagli altri due dram m i che egli com­
pose nello stesso periodo. D a KoròV na ploscadt (Il re
sulla piazza), in cui è descritto con ritm o affannoso il
febbrile scompiglio d’una città spaventata che attende
l’arrivo di misteriosi vascelli, una città .su cui incombe, .
come un malefizio, il gigantesco idolo d’un vecchio''so­
vrano. E specialmente da Nezna\om\a (L a Sconosciuta),
che scaturì..daH’omonima poesia.
Qui una stella, cadendo dal cielo ai. margini di Pie­
troburgo, si trasforma in una donna leggiadra».,vestita <j
di nero. Solo un Astròlogo e un Poeta sanno di lei. Il
Poeta, che aspetta da secoli, è ormai tutto azzurro, per
aver troppo a lungo guardato il firmamento. A lle inerti
effusioni del suo menestrello la ragazza caduta preferisce
però gli abbracci terreni, e si allontana col primo che le
si presenta.
Questo dramma ironizza con lo stesso sarcasmo dì
Balaganci\ l'inutile attesa della Sposa mistica. Nella ter­
za « visione », in un salotto letterario, la padrona di casa
annunzia agli ospiti: a Signori! Silenzio! Il nostro bel­
lissimo poeta ci reciterà una sua bellissima .poesia e, spe­
ro1, di nuovo sulla Bellissima Dama ». Anche qui, come
B lo t sommuove le scene, forse per
parodiare l’immobilità dei paesaggi teologici : nella pri­
ma (( visione » le pareti d’una bettola, su cui sono dipinti
vascelli con enormi bandiere, si mettono d’improvviso
a roteare, cosi che le navi sembrano prendere il largo.
L a fralezza impalpabile dei personaggi, che svapo­
rano come mantelli di neve, l’azzurrità d ’acquerello, il
pudore dei toni rendono in questo lavoro ancor piu la­
cerante l’incrmatura del sogno. Vachtangov diceva che
occorre accostarsi alle im m agini di Neznàkpmka con
« argentei campanellini nelFanima » l.
Benché Blok fosse convinto che il teatro g li avrebbe
permesso di evadere dalle strettoie della lirica, i suoi ten­
tativi drammatici traboccano di lirism o. Un lirism o tra­
mato di orrore, di raccapriccio. L a loro sostanza sembra
riassumersi in quel grido di freddo, in quel « B ri! » che
echeggia due volte in Nezna\om\ct come lo schiocco
d’una frusta.
Balaganci\ fu rappresentato il 30 dicembre 1906 al
Teatro di Vera Kom issarževskaja a Pietroburgo, assieme

1 Cfr. Boris Zachava, Tvorces\ij p u f E. B. Vachtangova,


in : Evgenij Vachtangov, Zapìsht. Pis fan. Stufi, Mosca-Lenin-
grado 1939, p. 351.

41
a Le Miracle de Saint-Antoine 'di' Maeterlinck. Le scene
erano di Sapunov; di Kuzm in le musiche. MejerchoFd,
che provvide alla regia, interpretava Pierrot con infles­
sioni pungenti che penetravano l’anima \ L o spettacolo
inaugurò una tendenza fra le piti prestigiose del moderno
teatro russo, tendenza ispirata alla com m alia italiana,
che Vachtangov porterà al culmine nel 1922 con la sua
messinscena della Turandot di G ozzi.
Il regista aggrandì in maniera iperbolica 1’episodio
dei m istici. Sedevano tronfi ad un lungo tavolo parallelo
alla ribalta e ricoperto sino a terra di panno nero *. Quan­
do d ’un tratto il ribrezzo li risucchiava nel nero stiffelius,
sulle sedie restavano i corpi senza testa né mani. E allora
appariva chiaro che quelle sembianze balorde erano solo
una serie di sagome di cartone, su cui Mejerchol’d aveva
fatto dipingere con gesso e con nerofumo i colletti, i pol­
sini, le finanziere. Per camuffarsi da m istici, gli attori
infilavano le mani nei buchi d’una prefettizia posticcia,
appoggiando la testa a un solino di cartone 3 21.4
M ejerchoì’d mutò [’episodio del ballo in una sorta di.
sagra distrettuale russa, (ricordo forse degli anni passati,
a Penza), immettendovi maschere delle feste di provin­
cia*. D ’altronde nei baracconi di Berg, e dei. Fratelli
Legat a Pietroburgo, alla fine del secolo scorso, accanto
alle maschere della commedia improvvisa, si mostravano

1 Cfr. Evg. A. Znosko-Borovskij, Russ^ij teatr naiala X X


ve\a, 'Praga 1925, pp. 284-92, e Xikolaj Volkov, Mèjerckofd,, I,
Mosca-Lentngrado 1929, pp. 276-81.
2 Pili, tardi, in Gore armi (Guai all’ingegno) di Gr.iboed.ov
(1928), MejerehoL’d si rammentò di BMagètttEfy nel disporre i.
pettegoli ospiti di Famusov dietro un lunghissimo tavolò' che
fronteggiava la platea.
* Cfr. Andrej Belyj, Simvolićeskjj teatr (1907), in Arabes^i,
Mosca 1911, pp. 310-11.
4 Cfr. Nikolaj Volkov, op. cit., I, pp. 330-31.

42
tìpiche figurine russe, tolte di peso dalle stampe popolari,
come il sarto gobbo N itka (Filino) e sua moglie* la na­
suta befana Iglà Nožnicevna (G ugliata Forbicetti) \
Bdagatm \ fii accolto dal pubblico con un misto di
applausi e veementi dissensi. E qualcuno ravvisò addirit­
tura in quell’aspra arlecchinata un’allusione alle circo­
stanze del tempo, al fallim ento delle recenti sommosse *.
Le prove e la messinscena di Balaganci^ introdussero
Blok nella cerchia di M ejerchol’d e della Komissarzé-
vskaja.

1 Cfr. A. fa. Alekseev-Jakovlev, Russifie narodnye guljan ja


(a cura di Evg. Küznecov), Leningrado-Mosca 1948, pp. 29 e 68.
s Mejerchol’d mise in scena Balaganéiif ancora due volte: a
Minsk nel marzo 1908 (cfr. N . Volkov, op. d t., I, pp. 372-73) e
a Pietroburgo, alla Sala Tenišev, il 7-11 aprile 1914, assieme a
N ezna\om \a (cfr. M. Beketova, op. d t., pp. 194-95, e N . Volkov,
op. dt., II, pp. 317-24). Quest’ultimo spettacolo fondeva elementi
del teatro orientale con trovate della commedia a soggetto. In
Nezna}famt(ß il regista inserì giocolieri cinesi e « servi del pro­
scenio », i quali spostavano mobili e attrezzi e cambiavano tende
e velari al cospetto del pubblico. Gli attori, con rossi nasi incol­
lati. con accese parrucche e sgargianti truccature da baraccone,
recitavano a scatti come automi, gettando alla fine arance nella
platea adorna di lampioncini di carta (MejerchoFd dirigeva allora
la rivista « Ljubòv’ k treni apel’sinam », « L ’amore delle tre me­
larance »). Ljuba, che aveva cucito i costumi, impersonò la pa­
drona del salotto nella terza « visione ». Neznakomka fu inoltre
rappresentata, nel 1917, aìT K ffè « Pittoresque » di Mosca (il f a­
moso1carte- d’avanguardia arredato e dipinto da Tallin e da fa-
ktìlov) con regia di due allievi di Mejerchol’d : S. V. Vermel’ e
G, A . KroF (cfr. fa. T-d, M os\ovs\ie teatry, in « Apollon », 1917,
8-10). I registi si ingegnarono di trarre da quel dramma traso­
gnato uno spettacolo eccentrico di cabaret, avvicinando' il testo
di Blok allo spirito del futurismo (le scene erano del futurista'
Lentulov) e insieme ponendone in luce le radici romantiche,
hoffmanniane. L a Sconosciuta indossava un flessuoso ed elastico
abito nero, guanti neri, un cilindro splendente. Il Poeta, un
:■Apollo' massiccio dal sussiego di tragico provinciale, portava una

43
Fragile figura dai grandi occhi azzurri c dalla voce
melodiosa, Vera Fedorovna Kom issarževskaja parve in­
carnare le aspirazioni e il travaglio della generazione
poetica che sussegui a Čechov \ Attrice dalla sensibilità
morbosa e apprensiva, visse tormentosamente quegli an­
ni, col presagio d i ineluttabili cataclismi e con l’ansia
inappagata di agire, d i sperimentare, di cogliere nelle
apparenze il riverbero di un’altra realtà.
E lla traspose in linguaggio teatrale il nebuloso liri­
smo, di cui erano imbevuti i simbolisti. Anche lei crea­
tura di frontiera, agognava come loro ad un’arte che
rigenerasse gH uomini. Singhiozzante violino, d i musi­
calità non terrena, esprimeva nelle sue parti la smaniosa
irrequietudine dell’epoca, il patimento di un’anima fe­
rita, di un puro spirito in Io ta con la grettezza borghese.
Tutto il suo breve cammino fu come ispirato dalle parole
di Treplev nel Gabbiano : « Sono necessarie nuove for­
me. Nuove forme sono necessarie ».
Dopo essersi affermata sulle scene ufficiali, insoddi-

fulva parrucca e, sebbene nel dramma sìa azzurro, uin costume


giallo-arancione. .L’Astròlogo aveva un’assisa turchino-verdogno­
la, un cilindro tempestato -di stelle e una cravatta fosforescente.
Né va dimenticato che Georges Pitoëff presentò Balaganéi\ in
francese a Ginevra, alla Salle des Amis de l’Instruction il i°
marzo 191:6, Col titolo Le Tréteau (Ludm illa Pitoëff era Colom­
bina), e poi a Parigi, alla Comédie des Champs Elysées, il 22
novembre 1923, col titolo L a Petite Baraque (Antonin Artaud
impersonava il Presidente dell’assemblea mistica). Cfr. Aniouta
Pitoëff, Ludmilla, ma mère, Parigi 1955, pp. 74-75 e 116.
1 Gfr. gli artìcoli di Sergej Auslender, Georgij Culkov, Jurij
Ozarovskij, N . Evreinòv, in «A p o llo n » 1910, 6. Inoltre: Evg.
A . Znosko-Borovskij, op. cit., pp. 266-95; Sbornii pamjati V. F.
Kom issarzevs\oj, Mosca 1931 (soprattutto i saggi N a ruòeze
dvuch epoch di Ju. Sobolev e V. F . Komissarzévskaja i simvo-
listy di S. Gorodeckij); P. Markov, Vera Fedorovna Komissar-
ževskaja, Mosca 1950.

44
sfatta dei vecchi stam pi, abbandonò l’Aleksandrinskij,
per fondare nei settembre 1904 a Pietroburgo un Teatro
■D ram matico che dal 1906, sotto la guida di Mejerchol’d,
diventò un avamposto del simbolismo. Mejerchol’d per­
seguiva'altea un teatro pittorico nel quale gli attori,
movendosi con pigra lentezza, armonizzassero come
macchie cromatiche Coi fondali dipinti. I critici (e Belyj
fra loro) avversarono questo stile, sostenendo che avrebbe
soffocato il talento della Komissarzévskaja. A mano a
mano lei stessa si convinse che gli attori si sarebbero per
questa via tramutati in marionette, e il 9 novembre 1907
ruppe coli Mejerchol’d, spiegandogli le proprie ragioni
in una famosa lettera.
Qualche anno piò tardi, nel 1909, durante una tour­
née in provincia, decise di ritirarsi dal teatro, e ne diede
notìzia agli attori con queste parole : « Me ne vado per­
ché il teatro nella forma in cui oggi esiste ha cessato di
parermi necessario, e la strada da me seguita nella ricerca
di nuove forme non mi sembra piu giusta ». Pochi mesi
dopo (il io febbraio 1910) doveva soccombere nella lon­
tana Tasként di vainolo.
I simbolisti percepirono la sua morte come un prean­
nunzio straziante di sventura e rovina. Erano tutti in­
namorati di lei, dei suoi occhi profondi e malinconici,
occhi spauriti che fuggivano (secondo l’immagine di
Rémizov) come lucciole su un filo \ Blok le dedicò im a
dolente poesia, irta di mesti quesiti, e scrisse in un saggio :
« 'Vera Fedorovna Komissarzévskaja vedeva molto più
lungi di quanto possa vedere un occhio comune; non
avrebbe potuto altrimenti, perché aveva, negli occhi una
scheggia di specchio magico, come il ragazzo K aj nella1

1 Aleksej Remizov, Bespndmnim, in Pijasusaj demon, Pa­


rigi 1949, pp. 37-41. Cfr. anche Andrej' Belyj, MeMu àvuch reno-
Ijud), Leningrado 1934, pp. 385-92.

45
fiaba di Andersen. Perciò questi grandi occhi azzurri,
guardandoci dalla scena, ci sorprendevano tanto e ci ra­
pivano: parlavano di qualcosa di immensamente piu
grande di lei stessa » \
L ’ambiente di Vera Fedorovna accolse con entusia­
smo il poeta venticinquenne2. G li volevano bene per il
suo contegno discreto, timido e un po’ fanciullesco. Alle
riunioni del sabato', che la Komissarževskaja teneva nel
ridotto del teatro, egli conobbe altri letterati e pittori
delle correnti modernistiche. A un « cotillon », la sera
dopo la prima di Salaganči^ si invaghì perdutamente
della bellissim a^teicc N atal’ja Nikolaevna Volochova.

9*
A lta e snella, i capelli e gli occhi neri, grandi « occhi
alati » , il sorriso sm agliante, la Volochova aveva un ful­
gore da icona. Blok trascorse un « anno folle » accanto
al suo « stràscico nero », e di lei scnssčMei d^ijSneznaja
Maskß (Maschera di neve, 29 dicembre (19^-13 gennaio
1907) e Faìna (1906-08).
Questa passione-uragano è adombrata nel primo ci­
clo come ebbrezza. metafisica, come bruciante delirio.
Per rendere l’immensità di un amore, che rompe 1 con­
fini dell’esistenza consueta trapassando in spasimo e tor­
tura, Blok ricorre a raffronti con turbini, raffiche e gor­
ghi di burrasche. L e poesie sono come rattratte da guizzi
serpentini, da un sinuoso contorcersi di m ulinelli dì neve.
Le meteore e le larve esalate dalla tormenta parteci­
pano andi’esse dell’infatuazione 'del poeta. L ’universo è
un’immane voràgine, in. cui rotea un sinibbio devasta­
tore, una giostra infrenabile di ali di neve, di irruenti
ghiaccioli stellati.1

1 Pamjati V. F . Kom issarževs\oj (1910).


a Cfr. M. Beketova, op. d i., pp. 103-04.

46
p :Sjmboleggiando il gran fuoco e il supplizio di questo
incendio d’amore, la neve costruisce croci e falò, preci­
pita in falde corrusche e in trottole di schiuma, trabocca
incoiate vulcaniche. L a meteorologia si immedesima con
la,: passione, je le intemperie compongono come un dia­
gramma cinetico delle vicende amorose.
C'è in quei versi una luce abbagliante, la folle luce
di latitudini glaciali, di bianche distese desolate. La va­
rietà delle formule metriche e la scrittura nervosa, im­
pulsiva rendono mirabilmente il dinamismo dell’univer­
so in tempesta, lo svolazzare irrequieto di fiocchi e spruz­
z a g li.
Il motivo del volo ritorna a ogni istante come tema
melodico. E il continuo ripetersi di imperativi accresce
l’urgenza è l’affanno di questo vortice aereo1, di queste
rime aleggianti, in cui il senso delle parole si stempera
in un indistinto flusso canoro, in un lampeggio musicale.
Anche nel ciclo Faìna Fautore è veleno e sortilegio,
analogia della morte, vorace incantesimo che paralizza
e distrugge
........SO
:

Striscia da me come serpe strisciante,


assordami nella sorda mezzanotte,
con le labbra languide tormentami,
soffocami con la treccia nera.

Come sono lontani al confronto i palpiti del misti­


cismo, l’estasi vereconda del paladino teologico ! Per la
beltà irresistibile, per gli occhi ardenti, per l’abito di seta
nera l’effigie di Faina-Volochova richiama alla mente
una delle più intense figure di Dostoevskij : N astas’ja
Filippovna. N on (fiversa d ia appare nel dram m a allego^'
rico Pesnja Sud’by (II Canto del Destino, 1908): « un
semplice abito nero le avvolge come scaglia di serpe la
snella persona. N ei suoi scuri capelli riluce una pietra

47
preziosa, mettendo ancor p iu in. risalto l’incendio degli
occhi enormi ».
Sollecitato da un ambiguo monaco, simile a un an­
gelo dall’ala spezzata, l’eroe di questo dramma farra­
ginoso, il sognante German, abbandona la sua candida
casa su un colle, per recarsi nel mondo : invano la moglie
e la madre lo scongiurano di restare. E gli capita all’Espo­
sizione universale, nel gigantesco padiglione delle mac­
chine, dove un professore avvizzito illustra i prodigi della
tecnica fra il dileggio dei visitatori.
Qui Faina, canzonettista ed acròbata che si esibisce
su un podio in quel padiglione, lo sferza con uno scudi­
scio, lasciandogli un solco di sangue nel volto. German
cade in ginocchio ai suoi piedi, come il poeta dinanzi
allo « stràscico nero » di N atal’ja Volochova. Poi, attra­
verso una serie di trasposizioni stentate, Faina assurge
ad im m agine della Russia, e German si muta nel suo
salvatore, nel suo principe predestinato.
A parte queste soprastrutture tediose (che rispondono
d ’altronde alla ihrama dijtopulism o thè stimolava Blok
in quegli anni), Faina, sia nel ciclo di versi che nel la­
voro teatrale, è una variante della Sconosciuta. Ricom­
pare piu volte nelle liriche blokiane questa effigie di
donna inguauiata in una veste aderente di seta nera, con
nere piume e con stràscico, un lungo stràscico simile alla
coda d’una cometa. Una donna dalle movenze di serpe,
una « Schlangengöttin » che passa superba sul fondo del­
l’universo, come dentro un immenso palcoscenico, or­
nato di corpi celesti e di sciami di stelle.
G li atteggiamenti del poeta, che im plora «filtri
odorosi, soffocanti » , m alfa d’amore, passioni-tempesta,
hanno spesso qualcosa di melodrammatico, che sembra
preludere ai cinedrammi svenevoli di qualche anno dopo,
alle languide pose d’un Mozžuchin.

48
I fio )

Blok .sofie fisicamente il ristagno e la reazione che


seguirono alla rivolta del '05. Negli anni di Stolypin,
anni di accidia, d i soffocamento, d i noia inorpellata, 'si,
accrebbe a dismisura il suo grande catastrofismo. Egli
f upreso da un senso di nausea, di funerea tetraggine.'
L ’umor nero di Blok non è una propensione lette­
raria, un abito esteriore, ma il basso continuo, la fosca
filigrana della sua vita, giorni e notti, giorni e notti. In­
calzato dall’ansia di ramingare, di perdersi negli angoli
abietti e remoti della periferia cittadina, egli va alla ven­
tura, girando per squallide strade fiancheggiate da lerci
abituri, alla luce di lampioni che. vacillano nella nebbia.
L e lettere e i diari di Blok abbondano in questo 'periodo
■ di appunti di passeggiate notturne ai margini di Pietro­
burgo e di memorie di incontri con zingare e acrobate
in. .ristoranti e postriboli.
Sempre piti discostandosi dalla compiaciuta fam iglia
I degli esteri e dei teosofi, il poeta si immerge nel brulichio
delle bettole, dei cabarets, dei ritrovi con orchestre zi-

si ubriaca, assalito da accessi di angoscia. Gli occhi vitrei,


rigonfi dal sonno, si accompagna ad artiste di varietà, a
prostitute, cui lascia sempre in ricordo il proprio biglietto
da visita.
L ’ubriachezza sconfina in tortura, abbagliandolo con
nere allucinaziom. Brividi di vergogna, d i ribrezzo, di
rancore attanagliano e spezzano la sua coscienza affralita.
Una folata di nordica follia confonde e deforma ai suoi
occhi le sembianze della realtà.
V i sono momenti nel diario di Blok che ci immettono
nel vivo di questa disperazione. Quante scappate in car­
rozza, quanti voli sul bàratro della notte, in' compagnia
di donne "casuali : a Le strappo il merletto e la, batista,

49
4
in queste ruvide mani e in questi tacchi aguzzi è non so
che forza e mistero. Le ore con lei sono penose, sterili.
La riconduco indietro. Qualcosa di sacro, come una fi­
glia, una bimba. Si dilegua in un vicolo conosciuto ed
ignoto, sorda notte, pago il cocchiere. Un freddo taglien­
te, tutti i bracci della Nevà sono colmi, è .'notte dovun­
que, come, alle sei della sera, alle sei del mattino, 'quando
rientro in casa. Il giorno è perduto, s’intende. Un Bagno,
una camminata, qualcosa duole nel petto', si ha voglia
di gemere, perché questa notte perenne conserva e decu­
plica sempre lo stesso sentimento — sino.alla pazzia. Si
ha quasi voglia di piangere » (io novembre 1:911). ■
Il diario ci mostra desolanti riquadri della, periferia
pietroburghese nell’epoca della, reazione :
” 28 febbraio 1912: « Passeggiate serali (riprese dopo
lungo tempo) per lugubri luoghi, dove i teppisti fracas­
sano i lampioni, ti si appiccica un cucciolo, sono finestre
appannate con tendine. Viene una bimba, ansimando
come un cavallo: è tisica, è chiaro : soffoca dalla tosse
sorda, fa qualche passo, si piega... Mondo terribile ».
24 marzo 1912 : « Ieri vicino a una casa di Kàmennyj
òstrov i portieri schernivano un topo ferito. E ra stato
forse abbrancato per la testa da una gatta o da un cane.
Ora fugge, cercando di appiattarsi sotto un grumetto
di neve, ora cade su un fianco. Dissemina gocce di san­
gue. Non ha dove andare. Mi immagino i suoi occhi ».
i l aprile 1912: « Quanta tristezza — quasi fino alle
lacrime. Notte — sull’ampio lungoneva nei pressi dd-
FUniversità; appena visibile fra. le pietre 'un. bambino,
Un maschietto. L a madre (una « semplice ») lo ha preso
in, braccio, le si afferra al collo con le manine— spaurito.
Terribile, infausta città, dove un bimbo si perde, viene
un. groppo alla gola. ».
Quegli incontri, quelle osservazioni, quelle passeg­
giate si .rispecchiano nei versi del ciclo. Stfdsnvi i»ir (Il

50
mondo terribile) e in altri gruppi di liriche scritte fra il
"1908 eTT 1916. Liriche tutte che esprimono T erm e este­
nuante dTun uomo scorato nella caligine del « mondo
terribile ».
Il cavaliere teologico è ormai un vagabondo che me­
stamente si aggira com ejin condannato fra j. lupanari
e le bettole d’una città spettrale, una spenta Creatura dalle,
speranze deluse, che trova sollievo soltanto nel vino e in
fugaci, brucianti passioni. Piangendo la giovinezza sva­
nita, il distrutto ideale giovanile, questo « cadavere vi-
\ente >\ questo automa, conscio e persino appagato del
proprio s fa ^ ^ ^ a m S p r ^ S h m m e n s lS a e le t e n e b r e ,
come un turacciolo fluttuante nel nulla. In sostanza egli
avversa il « mondo, terribile », ne aborrisce la. cupa im­
postura, _ma vi è ingollato senza scampo, anche, se tenta ^
talvolta di staccarsene.
A ttraversoT è^Serenze dell’eroe randagio le poesie
di Strdsnyj mir e dei cicli congeneri simboleggiano la
torpidezza e lo squallore deDa...Bn^a pila vigilia della
rivoluzione. Come evocate da una lanterna m agica, sul
cero tessuto dei versi si profilano inquadrature e figure
di quell’epoca.
Ed ecco il « giallo tramonto invernale » di Pietro­
burgo: il « rosso damasco di divani stinti » nell’albergo
a ore, in cui si danno convegno « mercante, baro, stu­
dente, ufficiale » ; il « maxixe », la danza di m oda; il
desolato lamento dei violini » nel ristorante dalle sa­
lette appartate; il. marinaio ubriaco che assidera nella
tormenta; i primi voli; la gran, dama mondana che o$-
-erva con indifferenza .lo sfracellarsi d’un temerario avia­
tore; le larve inquietanti, della perversione notturna. Si
seda la lirica Sulla strada ferrata, dove alla storia stra­
ziante d’una ragazza infelice si sovrappone l’immagine
di tutta la .'Russia, del tempo, con la sta.zionci.na sperduta,
l’ussaro, i vagoni dì vario colore, e il popolo in essi, che ,
canta e piange.
Nelle poesie di questi anni Blok porta all'estremo la
! negazione, la:,;m£gfisica. d el mon.essere. Come^impre-
f ""gnando il suo genio di bile e di ripugnanza, egli effigia
] un universo-obitorio, in cui ogni porta di bettola è come
la porta duna to m b ^ egli stessi riverberi dei f an ali sulle
t ' strade hanno contorsioni diaboliche. L a vita è farnetico,
insulsa sequela di abbagli grotteschi che sferzano gli oc­
chi come ali di pipistrello. E non è meraviglia che la
realtà più concreta sia in quei versi la Morte.
G uardi appunto il lettore le Danze della Morte, in
I cui Blok traspone in emblemi e moSvi barocchi il suo
irriducibile pessimismo. Quelle mummie da fantascopio,
che sorgono dalla fossa per recìnsi idle riunioni mon­
dane, precorrono i truculenti simulacri che si vedranno
più tardi nei film s espressionistici. M a già in una lirica
d’un poeta del primo Ottocento, Aleksandr Odoevskij,
una festa sontuosa dell’alta società di Pietroburgo si tra­
sforma di colpo in un ballo di scheletri che volteggiano
per un immenso salone, abbracciandosi con le gialle ossa
e ostentando tutti un’identica àfona risata*.
A leggere queste Danze della Morte, ci sì sente sfio­
rare. da una viscida gelidezza di meduse. U n’uguale fo­
schia avviluppa la lirica I gassi del Commendatore, dove
la leggenda di Don Giovanni, che P u ltin aveva ambien­
tato in una vivida e calda Madrid, vien trasferita nella
notte allucinante e nebbiosa di Pietroburgo, in un sepol­
crale silenzio di neve, squarciato dal clackson di un’auto,
dal ràuco rintocco di 'Un orologio,, dai passi pesanti del.
Commendatore.
Gli esseri, che balenano spauriti nelle pieghe del
«■ mondo terribile», non sonò'chevuoti--contorni,. guiz-1

1 Bai, del 1825.

52
zanti siluette da disgradare le macabre parvenze di un
ombiòmane. Ciò che più sbigottisce adesso nei versi di
Blok è questa pungente cupidità di morte, l’anèlito di
um iliazione, il desiderio frenetico di accelerare la pro­
pria fine.
Per la disperata rinunzia, l’assiduo ricorso dei temi
di morte e sventura, il martellante presagio di vicende
rovinose l’arte blokiana collim a con le composizioni di
Rachmaninov. E come in quella m usica, sembra di udir­
vi insistente il luttuoso « stuk-stuk-stuk » del destino.
N el periodo del « mondo terribile » in Blok si fa piu
sottile l’intuito dei cataclism i, il fiuto della storia. Ogni
argomento si dilata in una sintesi dell’epoca, e gli spunti
autobiografici si intrecciano col moto dell’universo, con
le circostanze della vita sodale. Ogni esperienza, ogni
fatto recente è un pretesto per una sorta di sinfonia
cosmica.
La visione dell’aviatore che si schianta al suolo gli
suggerisce l ’immagine di mostruose guerre future. L a
corsa vorticosa sulla « ruota del diavolo » (piattaform a
rotonda che ammulinava n d « giardini d’estate » di
Pietroburgo, emettendo un sibilo persistente) si leva a
significare la fuga degli n o m in i verso la catastrofe, l’in­
costanza della felicità, l’incertezza del vivere. L ’appari­
zione, n d 1910, d'una cometa, che pareva minacciare la
terra, gli dà appiglio per una prospettiva sfuggente del
cosmo, solcato da treni e da « greggi di libellule d’ac­
ciaio ». Il timore di torvi occhi estranei che braccheggia­
no l’uomo diventa vertigine dell’ignoto, sgomento me­
tafisico.
Blok si ingegna di cogliere d’un sol sguardo e d ’un
fiato tutti i fenomeni concomitanti di un’epoca, di sco­
prire le arcane corrispondenze fra l ’immite realtà della
terra e la tenebria d d pianeti, di raffrontare n d loro sin-

53
cremisino i diversi aspetti dell’esistenza, penetrandone la
connessione, gli accordi, il riposto senso musicale.

il.
Zigeunermusik immer schön - wann
wird alles enden?
M ax B eckmann, Tagebücher

A guardar bene, il vagabondo che strascica per il


« mondo terribile » è un’estrema variante, lugubre e de­
pressiva, di quel « dandy » che Puškin aveva introdotto
nella poesia russa col personaggio di Onegin. G li accenni
ai ristoranti con specchi, alle marsine, alle pellicce di
zibellino, ai boccali di A ï risvegliano nella memoria le
predilezioni e l’ambiente dell’eroe puškiniano.
Il m a lk ^ n ico « dandy » di Blok, che alterna i pia­
ceri come una filza di riti stucchevoli, si infervora solo
a contatto con gli zingari, nella cui musica coglie i bar­
lumi d’un paradiso perduto. Nella stagione del « mondo
terribile » Blok si abbandona Senza ritegno all’elemento
zigano. E non solo lettere, versi, taccuini spesseggiano di
riferimenti agli zingari, ma la romanza,.zigana diventa

.Cajofflanza 'badi, non è cosa-di poco mo­


mento nella lirica russa. Vi fu nel secolo scorso tutta una
schiera di poeti. « zìganisti », dei quali almeno Apollon
Grigor’ev merita di non esser dimenticato. È
noto che Leone Tolstòj teneva in gran pregio questo
« genere per' 'chitarra »... Gli piaceva ascoltare al gram­
mofono le romanze cantate da Varja Panina e, quando
gli zingari si accampavano nei pressi dì Jàsnaja Poljana,
andava a sentirli e. a vederne le danze Quei passi del1

1 Cfir. Sergej Tolstoj, Oberai òyloge, 2a edizione, Mosca 1956,


pp. 376 e 389-90, Si veda anche Viktor SWovskij, 0 Mapkovskom,
Mosca 1940, pp. 27-28.

54
diario blokiano, in cui il poeta indugia con parole attònite
sulla malia della musica Zingara, sembrano' ricalcare le
battute di Fedja Protasov nel Cadavere vivente, dramma
nel quale ha larghissima parte l’elemento zigano.
Nelle sue tormentose romanze Blok si ricollega a
Grigoriev, di cui specialmente ammirava la ballata
Cygans^aja venger\a (La zingara ungherese), tutta .frè­
miti e strappi e singulti \ Lunga traiettoria di un’anima:
dai fievoli suoni celesti di Solov’ev agli arpeggi "focosi
■ della chitarra zingaresca. Guardi, ad esempio, il lettore
le liriche « Inchiodato al banco d’una bettola », « Un
nero corvo nella penombra nevosa », « Abbassati, ten­
dina scolorita », « Io, che ero un tempo superbo e altez­
zoso », « Oggi tu su una tròjka squillante ».
Alle inflessioni della romanza zigana Blok affida l’ar­
dente amarezza della sua vita randagia, la brama di eva­
dere dalle strettoie d’un mondo fallace. Quelle poesie,
singhiozzanti come logore corde, tese fino allo spasimo,
esprimono l’immensità travolgente di effimeri am ori, di
fuggevoli slanci dì ebbrezza, che si risolvono sempre in
umiliazione. N ote di esausto rammarico vi si avvicen­
dano a lampi di gozzoviglia, di tripudio febbrile.
N el cerchio magico delle melodie zingaresche l’amo­
re diviene per lui, come per Fedja Protasov, fiam m ata
di ubriaco entusiasmo, lacerazione dello spirito. Come
se, nel fiottare straziante di questa musica, sferzato da
raffiche misteriose che soffiano dalla notturna voràgine
dell’universo, egli perdesse i legami col tempo e con la
realtà, sprofondando in un caos primordiale.
"Sono attimi, passeggeri di estasi e di abbandono, cui
seguono, plumbei risvegli, rimorsi e trafitture di noia,
che rendono ancor piti intollerabile la consuetudine del-1

1 Blok pubblicò nel novembre 1915 un’edizione 'critica delle


poesie di Grigor’ev, premettendovi un proprio studio-..

55-
l ’esistmza. E tuttavia ranim a» sempre eccitata da smi­
surati desideri, ansiosa di esperienze infinite, trova una
dolcezza fatale in quegli istanti di oblio, agogna la per­
dizione come riscatto dall’uggia d’una vita deserta, in­
sipida, inutile.
Ci. si ricorda delle parole, di Fedja Protasov :. « Solo
quando bevi, cessi d ’aver vergogna. E la musica — non.
le opere e Beethoven — m a gli zingari... ti infonde una
tale vivezza, una tale energia] E aggiungi quei cari oc­
chi nari e il sorriso. E quanto piu tutto questo ti affa­
scina, tanto piti grande è poi la vergogna» (atto III,
quadro 2®, scena IV ). D ’altra parte la smania di libertà
irrazionale, la bramosia del peccato e della caduta, l’ir­
ruenza sfrenata delle passioni avvicinano il Blok delle
romanze zigane a certe figure di Dostoevskij.
Ed è curioso che l’elemento zigano si apprenda, non
solo ai verri dedicati alla patria, m a anche a quelli ita­
liani, che egli compose nel 1909, dopo un breve viaggio
nella nostra penisola. Firenze à jm a _ £ e r M a _ a n ^ a ,
; adorna di iridi fumose. E Venezia, un funereo riverbero
> di Pietroburgo, con gondole-feretri, scialli neri, buffi di
.'gelido vento: città, anch’essa del «m ondo terribile»,
nelle cui tenebre vaga la larva di Salome, recando su un
; piatto la testa, mozza del poeta...
In quelle liriche avverti con. assoluta chiarezza che le
h radici di Blok vanno cercate nell’àmbito del romantiei-
f smo tedesco*. Non a caso la sua creazione discende dal
ceppo della poesia romantica di Žukovskij ; non a caso
egli si appassionò per il gotico al puntò’ Ha scrivere alla
m adre.da Bad Nauheim, al ritorno d all’Italia, queste
incredibili parole :
■ « Mi hanno colpito la. bellezza e la familiarità della
Germania, i suoi costumi per me comprensibili e l’alto
lirism o di cui vi è permeata Ogni cosa. Ora è perfetta­
mente chiaro che metà della stanchezza e dell’apatia de-

•5(5
rivara dal fatto che in. Italia non si può vivere. Ê il paese
meno lirico che esista : non c’è vita, ma solo arte e an­
tichità. E perciò, uscendo da una chiesa o da un museo,
ti par d’essere in mezzo a non so che assurda barbarie.
Gli italiani non sono uomini, ma sgradevoli bestioline
strillanti.'.. Patria del gotico è soltanto la Germania, il
paese piti affine alla Russia, eterno rimprovero a lei. Oh,
seti tedeschi prendessero' la Russia sotto la loro tutela!
Respireremmo meglio, e avrebbe termine tutta questa
ignominia. Solo qui è una vera, religione della vita — una
vita gotica, the sa render sacro persino il servizio sta­
tale... ».
L ’inclinazione per gli zingari è all’origine d’un nuo­
vo invaghimento di Blok : egli si innamorò nel 1914 del­
l’attrice Ljubòv’ Aleksandrovna D el’m as, che interpre­
tava Carmen al Teatro del Dramma musicale. Svelta, e
flessuosa, la chioma fulva e un incantevole volto irrego­
lare, la D el’mas avvìnse il poeta per l’identità sorpren­
dente col tipo della gitana spagnuolah E Blok la cantò
in alcune poesie di Arfy i sfyipìfi (Arpe e violini, 1908-16)
e nel ciclo Carmen (1914) che, per le metafore e le ca­
denze rapinose, l’analogia passione-tempesta e lo sfondo
teatrale, rammenta i fervidi v era di Sneznaja M as\a, in
cui egli aveva effuso il suo amore per un’altra bellissima
attrice : N atal’ja Volochova.

12.
Et la neige continue à tomber, lente,
verticale, uniforme...
A lain R obbe-Gruxet , Dans le labyrinthe

Blok tonta di districarsi dalle reti vischiose del « mon- j


do terribile », cercando un diversivo in occupazioni non |
letterarie. Frequenta il Luna-Park, lanciandosi, coti la I1

1 Cfr. M. Beketova, op. dt., pp. 192-93,


slitta per i declivi nevosi delle « montagne ghiacciate » ;
divora i romanzi triviali di Breïko-Breskovski) ; si eser­
cita alla ginnastica svedese; si interessa dei primi voli,
del cinema, di questioni politiche:' e soprattutto di quella
« lotta francese », che era allora in gran, crédito nei cir­
chi di Pietroburgo.
Apprende le n o m e e i principi di questo sport, che
rinfranca il suo spirito' e lo stimola, a. creare Giudica
con sicurezza provetta dei valori «artistici» dei cam­
pioni : « Di autentica genialità — cosi scrive alla madre
(21 febbraio 1911)— è dotato solo uno di quelli che ho
visto, l’olandese Van R ijL E gli m i ispira assai più d’un
Vjačesiav Ivànov ».
Le gare di « lotta francese » e le audaci virate degli
aviatori equivalgono alle invenzioni poetiche, si inseri­
scono anch’esse per Blok nell’« orchestra universale delle
>arti » . E lo stesso andamento ritmico della poesia è da
lui ragguagliato allo sviluppo del sistema muscolare. In
quelle espressioni di salute fisica, non guasta dal moder­
nismo artefatto di gruppi e cenacoli, egli si illude di rin­
venire un antidoto alla cupezza, al marasm a dell’epoca.
Ma non c ’è scampo alle tenebre: quegli espedienti
resistono per poco spazio, e subito, come una m olla com­
pressa, scatta di nuovo la nera disperazione, il mecca­
nismo' del tedio. E come il Tasso ne! dialogo leopardiano',
Blok toma a cercare il suo genio « in qualche liquore
generoso ».
À„vùlte era incline a vedere la fonte d’ogni suo male
nel lirismo che lo soggiogava e da cui' non sapeva affran­
carsi. Ber sfuggire alla piena dell'clemento lirico, che in
lui si immedesima, a tratti con lo sfacelo del .«-mondater-
ribile», lavorò a lungo, e con grande fatica, al poema
- Vozmezdie (La nèmesi, 1910-21).1

1 Cfr. M. Beketova, vp. à i., p. 146.

58
Si prefiggeva di intesservi, attraverso le vicende pri­
vate d ’una. progenie di nobili (la sua progenie), una sorta
di storia « musicale » degli anni tra la fine dell’Ottocento
e l’inizio del nostro secolo, ossia una. sintesi degli avve­
nimenti accaduti in quel tomo nella cultura e nella po­
litica. Voleva in altre parole riprendere un procedimento
'sperimentato da Puškin: inscrivere le circostanze della
storia nella cornice del romanzo di. famiglia. Trasse lo
spunto dalla morte del padre a Varsavia (T dicembre
1909), e l’idea, si allargò in un’amplissima tela, di cui
riuscì a stendere il prologo', il primo capitolo, l’introdu­
zione al secondo e una parte del terzo.
Quest’ultim a parte, ispirata, dal viaggio a Varsavia
per i funerali, è la più compatta ed insieme la più, com­
movente. Il poeta accompagna il minuzioso ritratto del
padre, dèmone byroniano spentosi in un’accigliata soli­
tudine, con un confuso sottofondo sonoro, in cui si fram ­
mischiano l’ululo della tormenta e il brontolio di rancore
e vendetta che percorre la Polonia martoriata.
Qui si dispiega con straordinaria veemenza quel li­
rismo che Blok avrebbe voluto reprimere. Riaffiorano le
intonazioni delle liriche più sconfortate, il motivo d d-
l’uomo che brancola nei gorghi del mondo borghese.
E Varsavia, accecata dal turbinio della neve, ha il plum­
beo squallore, il malessere di Pietroburgo. Questi fram ­
menti confermano ancora una volta che Blok è alieno
dalle strutture architettoniche, dalla saldezza dell’epòs,
che ogni suo tema si spande in un’am orfa nebulosa, lam ­
peggiando di sprazzi metafisici, di notturna follia.
D ’un desolato lirism o egli impronta anche il dramma
Roza i Krest (L a Rosa e la Croce, 1913), nel quale ha
forte risalto quel gusto degli scenari medievali che si av­
vertiva nelle sue pagine sin dall’inizio. L a misteriosa can­
zone del trovatore Gaetano, che afferma l’identità della

59
Gioia e del Dolore; la malinconia della ..giovane Isaure
che si strugge per questa canzone brumosa; le còbbole
trasognate dei menestrelli; le querimonie dell’infelice
Bertrand : tutto ciò ricollega gli episodi del dramma al
mesto tessuto delle liriche. E non importa se qui fanno
da sfondo i castelli del Languedoc e le lande, l’oceano
della Bretagna.
I legam i fra Isaure, Aliscan e Bertrand (nel conce­
dersi al paggio Aliscan, Isaure prega Bertrand, che di
lei è innamorato senza speranza, di vegliare sotto la sua
finestra, perchè nessuno li scopra) richiamano alla me­
m oria il triangolo Colombina-Arlecchino-Pierrot. E in
realtà il sospiroso Bertrand che, sebbene ferito, protegge
gh amanti sino all’ultimo fiato, per tener fede alla donna
diletta, è una trasposizione medievale del Pierrot di
Balaganci\.
Anche qui i personaggi sono siluette indistinte, mac­
chie verbali, proiezioni d’un cruccio indicibile. E certe
battute pili trepidanti riecheggiano i moduli delle ro­
manze zigane.

13.
I Lo stesso, lirismo pervade i versi dedicati alla Russia,
I che oscillano fra i toni sommessi dei componimenti sulla,
j Bellissima Dama e l’impeto ubriaco delle canzoni zinga-
I ..tresche.
L a Russia di Blok non è quella, ingioiellata e dolcia­
stra'che ci viene incontro dalle pagine degli stilizzatori
e dei poeti contadini, feticcio onusto di spoglie folcloriche
come di luccicanti ex voto, ma una viva, creatura dolente,
un’anima nuda. E gli rende l’ebbrezza delle vastità scon­
solate, la malinconia delle interminabili largure con im­
m agini rotte da singhiozzi. Si rivolge alla Russia cerne
a una donna amata, rinnoyehando gh accenti di tenerez-

60
za e di sollecitudine che aveva, un tempo, per la Sposa
celeste.
Negli, anni del « month* terribile » la Russia miserai
e affranta è per Blok Tunica verità, Tunica fonte di vita,j .
a differenza dì Pietroburgo, miraggio palustre, impal-1 V
catura illusoria. Trovi in quelle poesie la Russia di
Nekràsov, con la bufera di neve, le isbe, i fazzoletti a
rabeschi, il canto del postiglione. L a Russia degli incan­
tesimi e delle form ule magiche, lacera terra stregata, con
dèmoni e con fattucchiere. L a Russia finnica e quella
di Kulikòvo, coi gridi dei cigni, le tende dei T artari, le
insegne del principe D m itrij D onskòj. E , in contrap­
punto con le angustie del presente, il sogno d ’uria Russia y
di opifici e 'di fabbriche, il presagio d’una Russia-
America.
L a storia addensata nei versi blokiani non si risolve
in un morto scenario o in una pigra veduta da cosmo­
rama. come, ad esempio, nelle poesie-medaglioni di
Brjusov, dove episòdi di età remote assumono una rigi­
dezza accademica da rammentare le tele di Gustave
Moreau. E gli trasfonde la storia nella vita del momento.
E cosi gli accade di proiettare le circostanze della batta­
glia di Kulikòvo (1380) nell’àmbito del proprio tempo,
facendone quasi un preannunzio di tempeste purifica­
trici, di grandi cataclismi futuri.''E lo stesso eroe'lirico,
10 stesso poeta sì identifica con un guerriero delle schiere
di Dmitrij Donskòj, che sul fiume Meprjadva attendono
11 combattimento con l’orda dei Tartari : un guerriero
cui appare in un fulgido alone la mistica Sposa, la notte
prima della battaglia.
Cantando la Russia, tuffandosi nella diserta realtà
della patria, Blok si lusinga di porre rimedio al crescere
della sua solitudine. Come Belyj, egli visse un periodo di
esasperato populism o: gli pareva che almeno il contatto w
col popolo sarebbe valso a salvarlo dal naufragio nel

61
« mondo terribile ». E d è in questo' senso caratteristica
la sua interpretazione dei fatti di Kulikòvo.
Nel saggio N ardi i intelligencija (Il popolo e Tintel-
lìghenzia)'egli paragona il dissidio fra il popolo e gli
intellettuali alla cupa avversione fra l’oste russa e l’orda
dei 'tartari schierate a battaglia. 'Come quei due eserciti
la notte 'die precedette la mischia, l’uno e gli altri si fron­
teggiano senza capirsi, divisi da un. solco profondo', si­
mile al fiume Neprjadva. N el campo tartaro regnano
rombo' e fermento, mentre quello del popolo è immerso
in un silenzio assonnato. Ma, staccata' dal popolo, l’intel­
lighenzia degenera, imbevendosi d’un desiderio di, mor­
te, mentre il popolo porta nell’intimo una fervida volontà
di vita.
■ Con una tensione spasmodica dell’udito interiore
Blok va cosi penetrando la musica sotterranea, le con­
nessioni simboliche della storia russa.

14.

Blok aveva in grande abominio i « sazi » , i borghesi,


i soddisfatti. V i sono poesie, specie nel ciclo Giambi
(1907-14), in cui egli insorge contro i filistei con una vee­
menza che ci richiama alle pagine nelle quali M ajako-
vskij deride la protervia dei « pingui ». In alcuni brani
dei diari e delle lettere la sua avversione ri costumi bor­
ghesi trapassa in un acre senso di nausea e di ripugnanza,
in ima sorta di soffocante rigurgito. Ë a tratti la ritrosia
si dilata in ribrezzo per la condizione degli uomini, per
la realtà di quell’epoca. « L a gente — egli scrive da Mi­
lano alla madre il 19 giugno 1909 — è per me abomine­
vole, la vita tutta è un orrore. L a vita europea è altret­
tanto schifosa di quella russa, in genere tutta la vita degli
uomini in tutto il mondo è, a parer m io, una pozzan­
ghera mostruosamente lurida ».

62
■ Macchina di presagi, Blok presentiva 1Ineluttabile
approssimarsi del cataclisma. E gli sapeva che il sovverti­
mento avrebbe spazzata la sua classe, m a era pronto ad
accettarne il tracollo, purché fosse distrutta Podiata con­
sorteria dei borghesi. Sapeva che la rivoluzione avrebbe
portato frangenti di sangue e di m elm a, m a tuttavia era
persuaso che non vi fosse altro scampo all’ingiustizia del
« mondo terribile ». E d è davvero ammirevole la sua
antiveggenza, se si considera che egli era cresciuto in
ur. ambiente idilliaco, in una famiglia devota alle pro­
prie origini gentilizie.
Blok accolse con gioia gli avvenimenti del 1917, e so­
prattutto le giornate di Ottobre. E gli udì interiormente
la « musica » della rivoluzione, il rovinìo tumultuoso del
vecchio mondo, il fragore assordante della fiumana che
straripava per la Russia, travolgendo decrepite istituzioni
e privilegi. E non si crucciò per l’agonia del suo ceto
né per lo scom piglio delle consuetudini. Unico suo rim­
pianto, Sachmatovo, che era stata distrutta.
M ajakovskij ricorda di averlo incontrato in quei gior­
ni dinanzi al Palazzo d’inverno. Sm ilzo, con un pastrano
soldatesco (rim astogli addosso dal tempo in cui aveva
servito nel genio, nelle paludi di Pinsk), si scaldava a un
falò, e alla domanda d i M ajakovskij se gli piacesse ciò
che era accaduto: « Bene » rispose, rammaricandosi solo
che gli avessero bruciata la biblioteca, in cam pagna1.
« Ora — scriverà più tardi in un saggio su Andreev —
di quei cari luoghi, dove ho trascorso i tempi migliori
della m ia vita, nulla è rim asto; forse soltanto i vecchi tigli
stormiscono, se non hanno scortecciato anche loro ».
A l pari d i Beivi, di Esènin e di altri poeti, egli fu
allora vicino al gruppo degli « Sciti » . i quali interpreta-

1 Vladimir Majakovskij, JJm er A le\sandr Bloì( (1921).

63
'vano 1! grande sconvolgimento come catarsi, dell’umanità
e trasfigurazione dell’orbe terracqueo, come incendio
universale che avrebbe mutato le radici dell’essere. An-
pbf lui concepiva
' ...... ------ la
. rivoluzione in termini meteorologici,
- - — .............. -■ , ■

Agguagliandola a un gigantesco uragano, a una bufera


di neve, a un turbinio irrefrenabile di forze irrazionali.
Il suo massimalismo romantico, alieno dai compromessi
e dai limiti., allargava a dimensioni cosmiche le vicende
d’Ottohre.
Da questa ubriacatura di lib e r tà r ia .questo fervore^
nacque tutto d’un fiato, nel .gennaio...1918,..it.poemetto'
Dvenòdcaf fi Dodici), dove Blok si abbandona alla furia
degli elementi come nelle stagioni in cui aveva cantato
la Volochova e la D el’mas. Le irruenti sequenze di que­
sto poemetto inquadrano in una gelida luce ventosa la
Retrogrado dei giorni della rivolta.
D alla tempesta di neve il poeta fa emergere squallide
'S 'l * » w » n ~~ w tifc « in il— » II »■ ■ ■ »"»»i» u-.lÆZ i> ■’-■ »limi

sa gome del « mondo terribile » , tratteggiate con. un ri­


salto satirico che le avvicina alle maschere sociali di
Majakovskij: un borghese dal naso tuffato nel bavero,
uno scrittore loquace""ctaTlunghi capelli, un pope pan­
ciuto, una signorina in pelliccia di caràcùl (figure tutte
Ormai indissolubilmente legate alle illustrazioni di An­
nenkov).
Alle reliquie sparute di classi in sfacelo si contrappone
l’immagine di dodici guardie rosse che mandano per
R etrogrado, lacere e insanguinate, simbolo d’una torbida
massa sospinta d a un nebbioso anèlito di giustizia. E in
^uesta-visioaa^L.mcuneaJa-aimia--trivi^|e di K at’ka.juna.
prostituta contesa fra Van’ka, e Petmcha.
Della chiusa silTseritto sino alla noia : i dodici, turba
fangosa e sbrigliata, avvezza, a saccheggi e violenze, si
trasformano infine nei dodiciapoitolL Vanno con passo
maestoso neirortìci della tormenta, e li precede Gesù in-

64
, ghirlandato di rose, con una bandiera scarlatta. In tal
modo creature reiette, spregiati ribaldi diventano porta­
tori di luce, interpreti d’un mistero liturgico, di un’azio­
v

ne allegorica. N on a caso Blok affermava a quel tempo


d i scorgere angeliche ali alle spalle d’ogni guardia rossa \
N ei versi dei Dodici i ritmi rapinosi della burrasca **
v s ;*>

coincidono con le cadenze d’una libertà intemperante e


/• sfrenata. Montaggio di piccole scene fulminee, il poe-
metto è percorso da cima a fondo da un martellante
'

contrasto di bianco e nero, di neve e di tenebre (« la ti­


fi.
r

vokzione. come tutti i grandi accadimenti, accentua


sempre la nerezza » sì legge in un saggio di Blok su
*

| p Catilina, « bolscevico romano »). L a sua scrittura, squas-


" v"

| | | sala da sincopi e schianti, da sbalzi metrici, da aspre dis­


sonanze (sibili, nodi di vento, scalpiccio, crepito di pai-
p l"::-lottole), mescola in un insolito impasto .lessicale slogans
da cartellone polìti co e formule di preghiera, costrutti da
ode solenne e ingiurie di strada, termini rozzi d’uno slang
proletario e accenti di romanze, riecheggiando a tratti
nei toni e nei simboli la canzone rivoluzionaria polacca
Warszawian\a.
i Ma quanti motivi del Blok precedente vi tornano :
? Pietroburgo che annega nell’immensità dello spazio, la
notte, le bettole, i moti di deca passione, la frenesia zin­
garesca, la fuga in carrozza nel buio, il deio nerissimo,
gii accessi di lugubre noia, la metafìsica del banale. E
persino l’arlecchinata : l’amore di Van’ka e Petrucha per
; KatTta ci rammenta ancora una volta il dissidio fra A r­
lecchino e Pierrot innamorati di Colombina.
D d Dodici furono date le spiegazioni piu strane.
£ Qualcuno volle considerarli un proclama di fede bolsce-

1 Testimonianza d i K . Culto vskij citata in. fsuà’ba Moka,


p. 220',..

65
vica, altri vi cercarono invece una parodia della rivolu­
zione. G ran parte dei letterati (e soprattutto la Gippius,
nemica acerrima del comuniSmo) si scagliò contro Blok
con rampogne e frecciate di scherno. E pochi si accor­
sero che il poema era connesso' coi presagi febbrili e le
immagini delle sue liriche anteriori.
■Al Dodici fa riscontro un altro poemetto del gennaio

m a ta rarifiuM sis M L sti> 1à Jp o a flà a


del <■. panmongolismo Convinto che i Mongoli si ap­
prestassero a invadere l'Europa. mettendo a repentaglio
la stessa esistenza deUa civika ocddentalfi, il poeta-filo­
sofo aveva esortato la Russia ad assumersi il cómpito jdi
proteggere il mondo cristiano dal contario dei gialli.
' ■ Blok muove di q u q d ä q u e ste invenzioni messiani­
che, per contrapporre con tuttp l’ardore del suo massi­
malismo la Russia-Sfinpe all’Europa borghese,
. alia rovina, il poemetto fu scritto in giomat'ein cui
si temeva un’avanzata tedesca, su Pietrogrado>. Con la
foga d’un vate-tribuno Blok lancia una sfida all’Ocd-
dente sospettoso ed ostile, ricordandogli che la Russia

mongoliche.
C om eT versi dei Giambi e molti passi dei diari, an­
che questo poemetto- è imbevuto di rancore per i filistei
intesi all’utile, di esecrazione per la meschinità borghese.
Blok vi alterna le torve minacce con l’invito a un festino
di pace, le espressioni di sdegno con improvvisi scatti
■ di iperbolico amore. E quasi in polemica coi proponi­
menti incendiari dei cubofuturisti (M ajakovskij compre­
so), pone in rilievo che gli A siatici, i barbari Sciti, sve­
gliati dalla rivoluzione, non intendono di rifiutare o .di­
struggere, ma di appropriarsi i valori piò alti della civiltà
occidentale.
I5.
Dopo 1 Dodici € Gli Sciti l’entusiasmo del poeta andò
digradando. Svaporato l’ardore dei primi mesi, Blok fu
assalito dal dubbio e dal tedio, e cessò di avvertire J ’ine-
hriante « musica » della rivolta. G li parve che una pe­
danteria burocratica fosse sopravvenuta a im brigliare la
furia degli elementi, riducendo ad anguste misure ter­
rene un sommovimento planetario, che l’esistenza tor­
nasse a stagnare e che tutto si fosse risolto in un’incre-
'dosa lotta per le razioni. Nemico dei cavilli politici, si
accorse con fosca am arezza che la rivoluzione, da lui per­
cepita come tempesta ed incendio, si era ingolfata negli
schemi di un arido razionalismo.
Lunacarskij racconta : « Blok aveva in orrore i mar-
xisti, "perché gli sembrava~che essi trattassero la vita cpasi
come un problema di matematica, di meccanica. Gli
sembrava probabilmente che i marxisti accettassero la
rivoluzione senza in effetto capirla. Durante l’unico in­
contro e il colloquio relativamente lungo che ebbi con
lui dopo le vicende d’Ottobfe, quando fu nominato di­
rettore d’un grande teatro leningradese e venne da me
per accordarsi sul programma, Blok mi disse con un
sorriso cattivo : « Voglio' sforzarmi di lavorare con voi.
A dire i l vero, se foste soltanto marxisti, sarebbe per me
straordinariamente difficile, il marxismo m i dà un senso
di freddo; m a in voi bolscevichi io sento tuttavia la no­
stra Russia, Bakünin. D i Lenin amo parecchio, m a non
il marxismo » \
Deluso dai compromessi, dai ripieghi, dalle incertez­
ze, perdette man mano lo slancio inventivo. Viveva come
sommerso in uno spettrale silenzio, senza udire alcun
suono all’intom o. A d accrescere il suo pessimismo con-1

1 A. V. Lunacarskij, M uzy\a i Revoljucija, in V mire mu-


zy\i, Mosca 1958, pp. 123-24.

67
corsero le privazioni di quegli anni m alagevoli. Scarseg­
giava la luce (era difficile procurarsi petrolio o candele),
e per riscaldare bisognava trascinarsi da soli le fascine di
legna. L a penuria di cibo, l’assçnza di servitù e di tele­
foni, le piccole brighe, le file, ì turni di vigilanza not­
turna lo irritavano, rendendolo di giorno in giorno piu
cupo. Si aggiungano le faticose adunanze e sedute nelle
istituzioni di cui Blok era entrato a far parte: dal Bol’šoj
dramatičeskij teatr alla casa editrice « L a letteratura uni­
versale » (fondata da G or’kij), dalla Libera Associazione
Filosofica all’Unione panrussa dei poeti.
U n’abulìca, plumbea stanchezza lo invase. Si fece
sempre piu fiacco il suo rapporto con la vita. Scrisse ar­
ticoli e saggi, ma pochissimi versi. Pubblicò due raccolte
di poesie giovanili : Di là d d confine dei giorni passati
e La 'grìgia mattina, che sapevano orm ai di stantio. N el
1920, in agosto, Un ultim o invaghimento fuggevole : per
la leggiadra scrittrice Larisa Rejsner, venuta da Mosca
col compito di attirarlo al partito1. M a, nei diari, di nuo­
vo ventate di gelo, come al tempo del « mondo terribile ».
L ’n febbraio 1921, in una cerimonia solenne alla
Casa dei Letterati per Yfy* anniversario della scomparsa
di Puškin, egli tenne un alato discorso sulla missione del
poeto, in qualche punto adombrando se stesso, la propria
qisperazione : « N on fu la pallottola di D Anthes ad uc-
cidere Puškin. L o uccise lFm ancanzaTTaria...7^ S T 7?-
berta. Sono necessarie al poeta, perché egli possa dišcio-
g ïie re l ’ arm o n ia . Ma è tolgono anche la pace,"ancheTa
libertà. Non la pace esteriore, m a quella creativa. Non
la libertà dei bambini o dei liberali, m a quella creativa,
la libertà segreta. E il poeta muore, perché l’aria si fa/
irrespirabile; la vita ha perduto senso ». J1

1 Cfr. M. Beketova, op. d t., p. 285.

68
Nell’aprile dello stesso anno insorsero i primi sìnto­
mi della malattia che doveva stroncarlo: una torpida
spossatezza e lancinanti trafitte .alle braccia e alle gam­
be, Le impressioni sgradevoli, e in specie i frequenti bat­
tibecchi fra la madre e la moglie, lo deprimevano pro­
fondamente. Squallido', spento manichino, reciso via
dalla vita, con gli occhi vuoti ed opachi, Blok pareva in
quei giorni prepararsi alla morte.
A maggio andò' a Mosca, per recitarvi poesie, ma il
viaggio non gli recò alcun sollievo. Di quell’estrema
esperienza si legge nelle memorie: di Čukovskij : « Stavo
con lui dietro le quinte, alla Casa della Stampa, quando
sui palcoscenico si udì uno di quegli oratori che a Mosca
sono cosi numerosi, il quale dimostrava allegramente che
Blok, come poeta, era morto : « Io vi domando, compa­
gni, c’è una dinamica in queste poesie ? Questi versi sono
vecchiume, e li ha scritti un cadavere! », Blok si chinò
su di me, mormorando: « H a ragione (benché non lo
vedessi, sentii con tutta la schiena il suo sorriso), dice la
verità: sono morto... » \
Al ritorno da Mosca, un attacco di cuore, con alta
temperatura. L a diagnosi: endocardite, psicastenia...
Vizzo, smagrito, il respiro affannoso, soffocava a ogni
minimo movimento, e d’altronde star fermo lo inner­
vosiva. Gli amici si prodigarono per ottenergli il permesso
di andare in una clinica finnica, ma era ormai troppo
tardi. Con l’apatia d ’un fantoccio, inchiodato su un
punto morto, senza chiarezza né memoria, giaceva nel
dormiveglia, fra atroci dolori, levando a tratti urli ag­
ghiaccianti.
Chiuse gli occhi, il 7 agosto, una domenica, alle 10,30
del mattino. I funerali si svolsero tre giorni dopo, era la
festa della Madre di Dio di Smolensk. Scrittori e poeti

Citato in Sud’òa BIo\a, p. 264.

69
(e fra loro anche Belyj) portarono Blok in una bara sco­
perta, mondata "di crisantemi. Splendeva un limpido sole
gioioso \

16.
L a poesia blokiana si sviluppa dunque come un. ro­
manzo' 'lirico, incentrato sulla figura reale del poeta. Un
romanzo folto di contrasti, e di antitesi, il cui eroe si tra­
sforma da cavaliere in pagliaccio, da paladino teologico
in cliente di bettole, pencolando fra il misticismo e la
perdizione. E dove ogni episodio, per quanto banale, dis­
solve in una fantasia metafisica, in un giuoco d’ombre.
Perché, come Blok scrisse di VrabeF, « ad ogni pagina
di vita si intreccia un verde stelo di leggenda » a.
Un romanzo animato da una teatralità appariscente.
Si direbbe (con B eckmann) che l’eroe blokiano viva la pro­
pria esistenza come « eine Szene im Theater der Unen- -
dlichkeit » \ E non solo vi sono nei versi, come abbiamo
già visto, riferimenti al teatro o nuclei di drammi e di
pantomime (O felia e Am leto, Colombina e Pierrot, il me­
nestrello e la Dam a), ma le poesie hanno sempre cadenza
d i lamentosi monologhi, intonazioni melodrammatiche,
e non rifuggono dagli effetti teatrali.
Blok trova spesso l’accento di quegli attori di pro­
vincia che rapivano con tirate strazianti, con tremebonde
inflessioni. E come nelle battute di codesti interpreti, nei
suoi versi ciò che piu conta è spesso la carica emotiva.
E d è per questo che in Blok non si osserva un’estrema
novità di metafore, ma le metafore piu fruste e consunte
si rinnovano nell’émpito della commozione, fl poeta non1

1 Cfr. M. Beketova, op. dt., pp. 304-05.


* Pam jati Vrubelja (1910).

3 Max Beckmann, Tagebücher 1940-1950, München 1955,


p. il.

70
schiva e non teme le frasi e le im m agini logore, anzi ri­
corre di proposito a espressioni ritrite, a form ule pronte,
che nella foga d’una scrittura appassionata acquistano
(come nel mestiere degli attori) un fascino insolito, ima
freschezza iniziale. Non a caso talora inserisce nelle sue
'finche versi di Fet, di Žukovskij, di Polonskij, come
vieta materia verbale, cui appunto quell’enfasi dà un
timbro e un sapore inconsueti.
D ’altronde Blok è talmente legato alla cultura poe­
tica dell’Ottocento, che la sua novità è spesse volte sol­
tanto rivivi scenza (in chiave simbolistica) dei moduli di
certa poesia liricheggiante delio scorso secolo. C i sembra­
no esatte le seguenti parole di M andelstam : « egli sen­
tiva con straordinario vigore lo stile come una specie, e
Iger 'questo intendeva la vita del linguaggio e della form a
letteraria, non come rottura e distruzione, m a come in­
crocio. accoppiamento di specie e nature dissim ili, e come
innesto di frutti diversi su uno stesso albero » \
Di qui la sua tendenza agli stam pi patetici, ai generi
cantabili, allé romanze zigane; di qui la sua musicalità.
Blok si abbandona passivamente alla seduzione dei suoni,
lasciando che la musica inghiotta e sommerga il segno
verbale. E cosi avviene che i vocaboli perdano la solidez­
za, il risalto semantico, sciogliendosi in una sostanza me­
lodica, il cui flusso infrenabile può compararsi al rigoglio
dell’ampio cespuglio di lilla raffigurato da Vrubel’,
amorfa massa vegetale che straripa e si spande per tutto
lo spazio del quadro.
L a m usicalità divorante di questa poesia appanna g li
oggetti e ne cancella i contorni. Toccherà poi ai cubo-
futuristi ridare agli attrezzi poetici una concretezza tan­
gibile, scrollandoli d all’abulfa della m usica; ed essi pro­
romperanno con irruenza sfrontata, tramutando la lirica
* Osip M andđ’štam, BarsuFja nera (1922), in O poezii, 1928,
e ora in Sobranie sobinenij, New York 1955, P* 3^i-

71
in una sorta di « comédie d’accessoires » (si pensi al primo
Majakovskij),
II verso canoro, morbido', eufonico di Blok (a con-
frontiTHirqüalé T ì S u ^ r i ò l m .rassomi-
gliano ai. « growls » delle 'trombe nel jazz) induce il let­
tore in uno stato di magica ipnòsi, in. un barcollio mu­
sicale. Per rafforzare il silo melodismo, Blok usa fre­
quenti iterazioni di frasi e di interi versi, agymriarKfo
le 'strofe in. intrecci di rispondenze acustiche,.
Nelle poesie della prima stagione, ad esempio, do­
mina il trucco delfepanalèssi, la costruzione ad anello:
un periodo, introdotto all’inizio, ricompare alla fine in
una, stesura conforme o ’lievemente alterata. Avvolte è
'tutta la prima quartina, che torna con spostamenti, e ri­
tocchi.. N e consegue' un’oscillazione emotiva, che accen­
tua il carattere melodrammatico dei testi.
Una singolare canorità contraddistingue. l’universo
blokiano. In lui tutto canta: gli oggetti, i concetti, le
meteore, le membra. Cantano il vento, la neve, le tene­
bre, l’acqua, la mezzanotte, le spalle, l ’a n im a , gli,occhi.
Ora, questo profluvio di musica dà spesso alle liriche
un’astrattezza svanente, im palpabile. Blok non di rado
compone orditure vocali, paesaggi fonetici, il cui det­
tato, privo di consistenza logica, si. sgretola in una ma­
liosa corrente di suoni. Ci riferiamo a poesie come La
Notte, «U n o stràscico spruzzato di stelle», « L à , nel
notturno ululante gelo », e soprattutto al ciclo Sneznaja
M as\a. In sim ili testi le parole divengono segni musicali,
spogliandosi d’ogni significazione concreta.
Ad aumentare l’indefinitezza., l’irrazionaEtà dell’arte
blokiana concorrono le misture di termini contraddit­
tori, la dovizia di ossimori e di abusioni, l’accostamento
di divergenti linee concettuali, e in specie (soprattutto
nel suo primo tempo) la fitta trama di segnalazioni ae­
ree, di gesti nel vuoto, di movimenti non oggettivi. Si
pensi al continuo balenio di segnali nei versi sulla Bel­
lissima Dama, al roteare di cerchi fiammeggianti, alFas-
tiduo ritorno di sigle cabalistiche : in breve all’arcana
geometria che stringe l’intera creazione di Blök.
. A guardar bene, gli stessi personaggi di questo ro­
manzo lirico (la Bellissima Dama, Faina, la Sconosciuta,
Carmen, Ofelia) si struggono'In caliginosi arabeschi, in
macchie iridescenti, come le sembianze irreali dei qua­
dri di Vrubel’. A questa mancanza di netti contorni, a
questa nebbiosità fa riscontro una scala di traslati che
rendono il fluire, la stanca mutevolezza dell’esistenza.
Il verbo « plyt’ » (navigare, nuotare) si ripresenta a ogni i
passo come un motivo emblematico. E barche e vascelli, ■
affliggenti simboli dell’incertezza, riappaiono con esa- j
sperata frequenza: come i talismani in Apollinaire o le
frecce e le navi in Paul Klee.
Tutto è dunque malfermo ed effimero nell’universo J
di Blok (nella sua « Spiegelwelt »). Siano di scena i fon­
dali celesti Q gli acquitrini o le bettole ö Venezia ó Var- \
sàvia, tutto-è indistinto fluire, instabilità, tremolìo. Parole
e'.metafore non hanno saldezza oggettiva, ma, mulinate
da raffiche di tormenta o dissolte nella caligine, sembrano
fluttuare sul vuoto, come veli di musica: come i Veli di
Loie Fuller, a quel tempo.
'(Quasi -parvenza incorporea, questa ballerina svento­
lava grandi d i di garza che, iridate dà fasci di luci po­
licrome, si alzavano iti nebbie violacee, in volate di fumo,
serpeggiavano a guisa di fiamme, si increspavano in onde
di neve con uša ricchezza infinita dì toni).
In ugual modo' la creazione di Blok è un turbinio di
>veìi evanescenti, 'un melodioso aleggiare, un fuggevole
''-moto dì larve dì bruma, un duttile intrico di arabeschi
^musicali, che palesano a tratti una curiosa attinenza, con
:gli ornamenti del « modem style ».

73
Anche quando riflette elementi reali e la parola vi si
fa piu concreta, la scrittura blokiana non si distoglie dalla
m agia della musica. A l melodismo confuso delle prime
raccolte si va sostituendo man mano una complessa per­
cezione musicale del cosmo. L a musica è il connettivo che
am algam a in una sola sostanza gli avvenimenti terrestri,
il tumulto del sangue, il brivido degli spazi, l’ebbrezza
smodata delle passioni, l’angoscia di vivere. Ma è anche
identità di tempesta, simbolo di rivolta, liberazione dalla
disperata grettezza del mondo borghese.

Angelo M aria Ripellino

74
Testo e traduzione
JleHHBO h thjkko njiHByT oöaaKa

JleHHBO h thhîko nauByr oßjiana


no CHHEîiy 3HOK> He6ec.
flopora Mon THatena, nanena,
B HenBHJKHOM TOMJieHHH 31ec.

Mofl hohe yxoMHncn, xpairaT noffo mhoh,


Korna-To ponHMüä npmoT? . .
A TaM, najieKO, H3-3a Hanta Jiectioft
KaKyio-TO necHio hoiot.
H KaateTcn: ecjra 6h rojioc Monnaji, .
MHe 6hjio 6h TpyjtHo HBimaTE,
h hohe 6h , xpana, Ha nopore ynaa,
h h 6h ne Mor nocKaKatb!
JleHHBO H Tfl'JKKO IHIHByT oSnana,
h aec HCTöMaeHHHtt BOKpyr.
^oporä MOH THHteaa, najieiîa,
ho necHH — moë cnyTHHK h Hpyr.

2t ÿeepa.vi 1900
Pigre e pesanti nuotano'

Pigre e pesanti nuotano le nuvole


per l’azzurra canicola dei cieli,
il mio cammino è lungo, faticoso,
.-nmobile languisce la foresta.

il mio cavallo si è stancato, sbuffa


sotto di me. Raggiungerò il mio ostello?...
Ma lontano, laggiù, dietro la folta
foresta hanno intonato una canzone.

Penso che, se la voce si tacesse,


mi sarebbe difficile il respiro,
e il cavallo, sbuffando, crollerebbe
sulla strada, e non potrei arrivare!

Pigre e pesanti nuotano le nuvole,


e la foresta languida m i attornia.
Il mio cammino è lungo, faticoso,
ma la canzone amica mi accompagna.

27 febbraio 1900
B nojiHoqïj rayxyio poHueimaa

B nonnom rnyxyio poMtneHHaa


CnyTHHKOM ßaeflHHM 36*0111,
b. TKami 36MJIH oß.ICTCHHaH,
TH eepeßpiöiacfc Baaan.

IIIen a na ceBep fieajiHCTBemïHfi,


men a b sioposHofi iibltii,
CHHmaa tboô ronoc TaHHCTBeHHuâ,
TH cepeßpimacb B®am.
B' n o m o m rayxyro poîKaeiman,
TH cepeSpiiixaei» B^ama.
Ciana nynia yrHerenHaH
^ TKaHBIO MOpOBHO'Ë. 36M.HH.

/ BnniiHH, Corn SeccoHHue,


BciaubTe b iioposHoii num i
CojiHqeM CBOHM ontHHeHHHe,
comme paaneflTe Bnami !
BmIIHHH, 3 JIJI1ÎHH C0 HHH6 ,
comae paanelTe issami!
Ciana nynia nopaMCHHaa
KOMOH XO.IOaUOÜ 3eMJIHÎ

S i Oenaßpa ISSO

80
Creata nella sorda mezzanotte

Creata nella sorda mezzanotte


dal satellite scialbo della terra,
avvolta nel tessuto della terra,
brillavi come argento in lontananza.

lo andavo verso il nord spoglio di fronde,


io andavo nella polvere del gelo,
sentivo la tua voce misteriosa,
brillavi come argento in lontananza.

Creata nella sorda mezzanotte,


brillavi come argento in lontananza.
L a m ia anim a depressa è diventata
tessuto di terra glaciale.

Elleni, numi insonni,


sorgete nella polvere del gelo !
Ebbri del vostro sole,
spandete sole nella lontananza!

Elleni, elleni assonnati,


spandete sole nella lontananza!
L ’anima stupefatta è diventata
zolla d i gelida terrai

24 dicembre 1900

81
B exep irpiraec HsnanëKa

Beiep npiniec asiajiëKa


necHH BeceHHeÄ Baue«,
frc-to cBeTuo b rnySono
Heßa oTKp'HncH kjiobok.

B 3toë. ÔeaioHHol jiaaypH,


b cyuepKax S'jihskoI bcchm
unaKaBH smmhhc ßypn,
penna: SBesnHue chm.
P oSk O, T6MHO h rayßoKO
BJiaKaJIH CTpy'HH MOB.
BeTep npHHec HananëKa
SByqHHe necHH tboh.
Il vento portò dà lontano

Il vento portò da lontano


l'accenno d ’un canto d’aprile,
chissà dove, limpido e profondo,
si apri un pezzetto di cielo.

In questa smisurata azzurrità,


tra i primi albori della primavera,
ie bufere invernali piangevano,
ri libravano sogni stellati.

Timide, cupe e profonde


le mie corde piangevano.
Il vento portò da lontano
le tue canzoni .squillanti.

29 gennaio 1901

83
Th O T xo n H in i b cyM paK am afl:

T h oTxoHMMb b cyMpaK a n a l ,
b SecKOHeiHue Kpyra.
f l nocnamaji otsbvk Marnai,
OTRaaeHHHC m ani.

B.1H3KO TH Emu naneie


aaTepaaacb b BHiiiHe?
HînaTB IIJIB HCT BHeaaiIIIOÎi BCTpeiH
B 3T0Ü BByïHôS THIIIMHC?

B THILIIIH0 BBy^aT CBJIbHee


OTHanßHHHB m am ,
TH « b. CMHKaemb., naasieHen,
ßecKoneHHBie K pyra?

«1

84
T e n e v a i nelle' ten e b re scarlatte

Te ne vai nelle tenebre scarlatte)


in cerchi senza fine.
Ho udita un’eco sottile,
un'eco di passi lontani.

Mi sei daccanto oppure in lontananza


ti sei smarrita nell’alto dei cieli ?
Devo aspettarti o non avrò improvvisi
incontri in questo sonoro silenzio?

Nel silenzio risuonano piò forte


i passi lontani,
sei tu forse che chiudi, fiammeggiando,
i cerchi senza fine?

fi marzo 1901

85
HeöecHoe yMOM He HSMepHuo

HeßecHoe yjiost He naMepuMO,


aa3ypHoe cokphto ot ywoß.
JTnnib H3 penKa npsHOCHT cepa$HMM
CBHiaeSHHÖ COH HSßpaHHHKaM MHpOB.

II MHSmaCb MHé PoccHlcKaH' Benepa, .


THHtenöK) TyHHROft' noBHTa»
ôeccTpacTHa b hhctotc, nepaiocTHa 6e3 jiepti,
b nepTax nana cnöKolHan mòto .
Ona cotona Ha seitnio He sneprabie,
ho BKpyr Hee tojihhtch b nepBbiii paa
SorarapH Be te, h hhthsh mhhc. , .
H cTpaHCH CnecK ee rayßoKHx. rnaa. . .

ZS Mtm 2901. C . maxMamoeo

86
I l celeste n o n è m isu rab ile c o n l ’in telletto

Il celeste non è misurabile con l’intelletto,


l'azzurro è occultato d io spirito.
Solo di rado i serafini portano
una sacra visione agli eletti dei mondi.

E mi è apparsa la Venere Russa,


avvolta d’una tunica pesante,
impassibile e candida, immensamente crucciata,
con un placido sogno nei lineamenti.

È scesa sulla terra non per la prim a vòlta,


ma per la prim a volta intorno a lei si affollano
non più gli eroi del m ito, m a altri paladini...
E strano è il bagliore dei suoi occhi profondi...

J&.flMggio 1901. Sacbnutova

87
OHHHOKHf, K -reöe n p a x o a c y

OaiIHOKHÜ. K Teôe npHXO/KV.


OKOHUOBaH OrHflMH jhoSbh .
T h ranaemt. — Mera ne bobh. —
a H CSM JM H3BH0 BOpOHty.
Ot TaHtenoro SpeaieiiH jict
h cnacaiiCH ohm:oë BopoHtSott,
H OHHTb BOpO/KV Hai TOÖOfi,
HO He HC6H H CMJTCH 0TB6T.
BopO/KÔOiî UOHOHeHHHe 1HII,
fl :ie;ieio ro ia, — ne bobh. , .
T ojibko cKopo «b noracuvT orra
aaKOJiioBaHHoË tgmhoM jho6bh ?1

1 timtm: 1901, C . IB o x m am o m

m
Solitario, vengo a visitarti

Solitario, vengo a visitarti,


ammaliato dai fuochi dell’amore.
T u dici la ventura. — Non chiamarmi. —
Ormai da tempo strologo io stesso.

Dal pesante carico degli anni


solo il sortilegio mi ha salvato,
e strologo di nuovo su di te,
m a confuso e non lim pido è il responso.

D al sortilegio sono avvinti i giorni,


io vezzeggio gli anni, — non chiamare... j
Forse si spegneranno presto i fuochi j
dello stregato tenebroso amore?

■1" giugno 1901. Sacbmatovo

89
Iïpo 3 pa«iHiie, nesegoMHe tchh

IIpoBpaHHHe, HeseHOMMe tchh


k Tede njiHByT, h c hhmh T h njiHBemb,
B odtHTHH Jia 3ypHBIX CHOBHHeHHH,
HeBHHTHHX H3M, Ceda T ei OTaaerab. -

Fiepen T oSoh chhciot dea rpaaxmu


Mopa, nona, h ropn, a aeca,
nepeKJiHKaiOTCH b cbo6okhoh buck m aim ,
BCTaeT TyMaa, aaeioT Hedeca.
A 3flecb, BHH3y, b mum, b yHH'mHceHbH,
y3peB Ha mht deccMepTHHe aepni,
6e3BecTHHË pad, HcnonHen BnoxnoBeHba,
Teda noex. Ero ae snaemb Th ,
ne oxa'HHH'nib ero b Tonne napoaHo#,
ne HarpaRHiiib yuadKoio ero,
Koraa bo enea Bsapaex, HecBodôHHHË,
BKycHB Ha mht deccMepibH Tßoero.

13 Im att 19ÓÌ
O m b r e tra sp aren ti, arcan e n u o tan o

Ombre trasparenti, arcane nuotano


verso d i T e, e T u navighi con loro,
fra le braccia di cerulei sogni;
incomprensibili a noi, T i abbandoni.

Dinanzi a T e s’inazzurrano senza confine .


m ari, cam pi, e montagne, e foreste,
nella libera altezza gli uccelli si chiamano,
si alza la nebbia, rosseggiano i cieli.

Ma qui, in basso, nell’onta, nella polvere,


visti un attim o i Tuoi tratti im m ortali,
l’ignoto schiavo con ispirazione
T i canta invano. T u non lo conosci,

non lo distingui fra la moltitudine,


non lo rimeriti d’un Tuo sorriso,
quando, umile, T i segue con lo sguardo
che ha gustato la Tua immortalità.

3 luglio m i
H Htny n p ii3 H B a , H iq y 'Ot b &t &'

f l stay npii3HBa, Mmy OTBeta,


HCMeeT hcGo, 3Cmjih b MoaaaHbH,
3a HtenTôË HiiBoii — naaëKô' rne-ro —
fia MHT npocayjioci» noe BoaaBaHfae.

Ha oTrofiOCKOB n;ajiefioË" pefifi,


c HOfiHorO' He6a, c iiojieË apeMOfHHX,'
BCë ZvIHHTCH TaËH'H fipfiflyifiCl BCTpeHH,
CBHSaHHË HCHHX, HO MIIMOfiCTHBIX.

H « n y — n TpeneT otteettfier hobh ë ,


Bcë fipfie Heßo, MOJinaHbe rjiynie. . .
H ohhvk) TaËHy paspyniMT c.iobo . . .
IloilH ayË, 6 û » e , HOfiHMe Rymnl

H a Mar npocHyaocfe 3a hhboë, rne-To,


aanCKHM 3XOM MOe B033BaHbe.
B cë ;«a y n p a su sa , am y otbcth,
HO CTpaHfiO HJIHTCH 3CMJIH MOJlfiaHbe. . .

7 w o.ita ï 901

92
A s p e t t o u n g r i d o , c e rc o u n a r is p o s ta

Aspetto un grido, cerco una risposta,


.1 cielo è muto, la terra in silenzio,
dietro il giallo maggese — in lontananza —
s’è destato un istante il mio richiamo.

Negli echi d ’un discorrere lontano',


dal cielo notturno, dai campi assonnati,
sento i misteri d’un futuro incontro,
di convegni sereni, ma fuggevoli.

lo aspetto — e un nuoto tremito mi invade.


l|m p re piu vivido è il cielo, piu sordo il silenzio...
Distruggerà la parola il mistero notturno...
Iddio, pietà delle notturne anime!

Dietro il m aggese si è destato un attimo


come un’eco lontana il m io richiamo.
Aspetto un grido, cerco una risposta,
ma il prolungarsi del silenzio è strano...

7 luglio m i

93
CÿuépKH, cyHepnn Bemaùe

Cyaiepiai, cyaiepiai Benmiie,


xjiagHEte bojihbi y nor,
b cepmie — HanemHH HeanemHue,

BOJiHH đervT Ha neco«.


O'TBByKH, necHH RajieKaa,
ho pasnmHTb — He story,
riaateT lyma oshhoksh
Tasi, Ha Äpyro« ßepery.
Taiina jib moh coBepmaeTca,
TH an BOBernt BHaneKe?
JlonKa HHpHeT, KanaeTCH,
HTO-TO Öe>KIIT HO pCKC.
B cepme — HaiejKHH He3nemHHe,
kto'-to HascTpeqy — 6ery. , ■.
OißaecKH, cyMiepKH Bennane»
KiiiiKii na tom öepery.

j e m egcam 1SÛ1

94
P r im a v e r ile c r e p u s c o lo

Primaverile.Crepuscolo,' -
ai piedi gelide ondate,
nel cuore speranze celesti,
Lambiscono le onde la sabbia.

Gli echi d’un canto lontano,


ma non mi è dato distinguerli.
Piange solitaria l’anima
ià, su quell’altra sponda.

Il mio mistero si compie?


Sei tu che chiami lontano?
La barca s’immerge, vacilla,
qualcosa corre nel fiume.

Nel cuore speranze celesti,


mi viene incontro qualcuno...
Barlumi di crepuscolo,
voci su quella sponda.

16 agosto MOI

95
T h ro p m iib n a n bhcokoë r o p o io

T h popiinib nan bhcokoë rop o»,


HeaocTvima b Cbocm ïepeuy.
H npm m yca BeaepHeii nopoio,
b ynoenibii Me«ny oÔh ibiv .

T h , BacjiHinas m ch h œ iajiëK a,
CboîI KocTcp pasBenentb sBeaepy,
CTaiiy, BepHHË BejiemiHM PoKa,
nocTHraTb oraeByio nrpy.

H , Korna cpemi Mpana. CHonauH


H CKpH C T a H JT Kpyat.HT.lbCa B ablMV, ---
a yjiaycb c oraesHMU Kpyraim
h HacTHray T e6a b Tepeiiy.

18 iiûtyem a 1901

96
T u r is p le n d i s o p r a u n a lto m o n te

Tu risplendi sopra un alto monte,


inaccessibile nella Tua torre.
Io accorrerò nell’ora vespertina,
per abbracciare nell’ebbrezza il sogno.

A sera, nelPudirmi di lontano,


accenderai d’un tratto il Tuo falò,
ed io mi metterò, ubbidendo al Fato,
a-decifrare il giuoco delle fiamme.

Quando cominceranno nelle tenebre


a turbinare a sciami le scintille, —
accorrendo con circoli di fuoco,
io T i raggiungerò nella T ua torre.

1S agosto 1901

1
T h — 6ojkhö neHb

T h — Ôoamiî neHb. Mon mcith —


op'jiH, Kpiraamiie b aasypii.
lion rHCB'OM CBCTMOt KpaCOTH
OHH BcenacHO b BHxpe 6ypn.

CTpejia npoH3aer idc cepnna,


OHH ueTHT b n an eH bH r h k o h . . .
Ho h b naneHbH — hct KOHqa .
xBanasi, h: Kuenory, h KpHBaul

21 sßeepaAfi ISO 2

98
T u sei il giorno limpido

T u sei il giorno limpido. I miei sogni


sono aquile gridanti nell’azzurro.
Sotto lo sdegno della tua bellezza —
vacillano fra turbini di neve.

Una ^cia.ûrâfigg£ijJbca.ÆUXui,
volano in un’ir
Ma anche nella caduta non c’è fine
oer le lodi, e lo strèpito, e le grida!

21 febbraio 1X2

99
M i r a i » M eipieHHäH lu n a . . .

HChshb MéineHHaH mua, nan cTapaa ra^anstc,


TaHHCTBeHHo uieiwa saSunrue cuoca.'
BaiH xau o hcm-to h, aero-™ 6mjio i«ajiKQ,
KaKoto-TO' mcttoë: ropena 'ronoea. '
ÖCfaHöBHCb' na nepeitpecTKe, b none,
h HaÖmoian ayòaarae neca.
Ho nasse 3flecb, non uroM qyataoft bojih,
Kaaaaocb, thjkkh 6bnm Heßeca.
H BcnoMHHji h coKpuTHe npaasH M
naenenbH nyM, nneneBbìi iohlix chji.
A T3M, Baajm — ByßaaTHe Depuram i
aeub oTxonnmHö tomho 3ojiothji. . .
BecHä, BecHal CBantu, aero arae ntajiKo?
Ka»oÄ Meatofi n ra a e i ronoBa?
TaHHCTBeHHo, KaK CTapan ranamca,
MHe üieiraeT »HSHb sa d m u e caosa.

16 .«ap/na iSOi

100
L e n t a l a v ita a n d a v a ...

Lenta la vita andava come una vecchia indovina,


bisbigliando in segreto parole dimenticate.
Sospiravo qualcosa, di qualcosa avevo pena,
di qualche sogno ardeva la mia testa.

Fermandomi nel campo, ad un crocicchio,


contemplavo ì boschi dentellati.
Ma anche qui, sotto il giogo d’un volere
film i, pesanti parevano' i cieli.

E mi sovvenne delle cause occulte.


del servaggio dei giovani pensieri.
Ma lontano le cime dentellate
languidamente il tramonto indorava...

Primavera! Di che cosa ho pena?


Di quale sogno brucia la mia testa?
In segreto, come una 'vecchia indovina,
mi bisbiglia la vita parole dimenticate.

bK -'mano 1902

101
f l, OTpO'K, saîKHraio CBean

fl, OTpoK, saænraio CBerai,


oroHb KaRHHfcHHtt 6epery.
Ona fies mhcjim h 6ea peau
Ha tom CMeeTCH 6epery.
Jlio ó a io B e a e p n e e Jio a e H b e

y ßejiot uepKBii iiaj peKoS,


n e p e jo a n a T H o e c e a e m e

h c y .M p a ii M V T H O - r o .a v o o ft.

ÜOHopHHË jiacKOBOMy BarjiHHy,


jiioôyrocb TaftHOl Kpacom,
h sa uepKOBHVK) orpaay
6poca.ro Sentie tpera.
Ilaaei TTMaimas aaBeca.
Hieniix coìrci lia ajrrapa,
H OT BepmiîH gyÔsaTHx ueca
aaSpeHtHtHT ßpamas 3apa.

7 um an 1902

102
lo, adolescente, accendo le candele

Io. adolescente, accendo le candele,


c.istodisco il fuoco del turibolo.
Senza pensare e senza favellare,
Elia ride su queiraltra riva.

Amo la preghiera vespertina


presso la bianca chiesa sopra il fiume,
:I villaggio sul fare del tramonto
o l’oscurità torbido-azzurra.

Docile allo .sguardo carezzevole,


mi perdo ad ammirare la bellezza
misteriosa, ed oltre lo .steccato
della chièsa getto fiori bianchi.

L-adrà la cortina di nebbia.


Scenderà lo sposo dall’altare.
E dalle cime a dentelli del bosco
spunterà un’aurora nuziale.

7 luglio 1902
y«aceH xenon seaepoB

y»ace:H xcuio« seaepoB,


hx Berep, Gbioiihhëch b Tpesore,
HecymecTByKjmux iiiaroB
TpCBOffiHHl IIlOpOX Ha HOpOFC,
XonoÄHaa aepia 3apn,
K8K naiiHTb (ümaKoro Heayra
H B C p H ilft 3 H a K , HTO M H B H JT p H
HepasMUKaeuoro Kpyra.

MfCWIb 1902

104
Ë terribile il freddo delle sere

È terribile il freddo delle sere,


il loro vento che batte angoscioso,
il febbrile frusciare sulla strada
di passi inesistenti.

La fredda linea del crepuscolo


è come il ricordo d’un male recente
e il segno certo che noi siamo dentro
un cerchio non aperto.

luglio 1302

105
C bct b OKoiuKe maTancH

Cbct b OKOnnte maTaaca,


b n o jijM p a K e — ohbh —
y noa^eaja menrajicfl
C TCMHOTOt ap.TCKIIH.
E h JI OKJTaHHHi MTJIOIO
öeno-KpacHwö napaa.
Hasepxy — 3a ctohok) —
myxoBCKoä .uacnapaa.
Tasi M ao JKpHBaJIH
B paSHO'UBCTHyiO JIOJKB'.
Ho b pyae ysnaBaira
HeaaSeHtHyio apoatb.
«Oh» -- MCHO.M aepeBHHHUH
Haaepran HHCBMena.
Bocxiiineiman crpaimuM. '
noTyanaaaci. « Ona ».

BocxiimeHBio ne sepa,
c Te.MHOTOio — oaiin —
y 3aayMn.MBo# asepsi
xoxoTaa apneran. 6

6 asegcma 1902

106
Barcollava la luce a una finestra

Barcollava la luce a una finestra,


nella penombra — tutto solo —
bisbigliava all’ingresso
con l’oscurità un. arjecchino. !

Era avvolto di nebbia


il suo bianco-rosso vestito1.
Di sopra — oltre il muro —
un buffonesco ballo in maschera. *

Lassù nascondevano il volto


in una menzogna policroma.
Ma dalle mani si riconosceva
l ’inevitabile 'trèmito.

a Lui y> con la spada di legno


-tracciava segni di lettere.
Rapita da tanta stranezza,
« Lei » chinava la testa.
X
Non credendo a quell’estasi,
con l’oscurità — tutto solo—
accanto alla porta pensosa b
rideva l’arlecchino. ’

■<a agosto 1902

107
Hbhjich oh Ha cTpo&HOM 6ajie

H b h jic h oh n a c rp o fin o M ö a n e
b ö a e c r a m e coM KHyTOM K p ÿ r y .
O rH H 3 Jio B e m H e M u r a m i ,
h B 3 o p o H H C H B aji n y r y .

B e » HOHB K pyjK H JIH Cfa B myM HOM TaHHO,


BCK) hohl y CTeH c jK H M ajicH K p y r .
H n a 3ape — b okohhom ram m e
ß ecm y M H H H noH BH JiCH n p y r .

O h B C T an H HOHHHJI B 3 0 p COBHHMii,
H CMOTpHT H p H C T a n b H H Ä ----OHHH,
K y a a 3 a ß n e flH o ® K o jio m ö h h o ä

ßeMCaJI 3BeHHIHHH A p jIC K H H .

A THM i— b v ray non oÖpaaaMH,


b Tonne, MSTynieÊCH ■ n ecip o ,,

épaulas HeTCKHttH r im a m i,
npo.)KHT' oöMaHVTbiö lïte p o . i

i oRinsffpn itet

108
Egli comparve a ll’arm o n io so ballo

E gli comparve all’armonioso ballo


in un cerchio serrato a meraviglia.
Luci di malaugurio sfavillavano,
mentre lo sguardo descriveva un arco.

■ Tutta la notte un tùrbine di danze,


■il cerchio si stringeva alle pareti..
E all’alba — nel brillio d’una finestra
in silenzio si presentò il suo amico.

Sorse, levando lo sguardo di gufo,


a rimirare —■ attento — tetto solo
il tùmulo Arlecchino che inseguiva
la pallida, la smorta Colombina.

E là — nell’angolo — sotto le immagini,


tra l’inquieto svariare della folla,
rotando gli occhi, di bimbo,
batte i denti Pierrot ingannato.

7 ottobre 1902

109
CßOÖOfla GMOTpHT B CHHeBy

CBO'ÖOfla CMÖTpUT B CHHeBy.


Okho oTKpHTo. B o ssy x pesoK.
3 a /KonTo-KpacHYjo jin c T sy
yxoAHT Mecaiia OTpeaoK.
Oh SyseT hohbio — cBeTHHit cepa,
CBep.Käio;iHHl na xtaroé hohe.
Ero' eaKaT, ero ymepß
b nocHeÄHHi pas nacKaer ohm.,

K hk m Torna, 3B6hht okho.


Ho roaoc moë, kek soanyx cbchchB,
nporaeji nasiio, aauojxK sasHO
nos TpÖCTHHKOM V npHÔepeÆHH.
K sk öneseH uecan b cimese,
KaK 303IOTHTCH TOHKHÖ BOJIOC. . .
Kan TaM KanaeTC« b jihctbc
3a6HTHH, ÖJieKJIblÖ, MepTBHÖ KOJIOC.

10 ORDUifipa 1902
La libertà contempla il cielo azzurro

La libertà contempla il cielo azzurro.


La finestra è dischiusa. L ’aria è ruvida,
Dietro il fogliame giallo-rosso
declina un segmento di luna.

Sarà notte la luminosa falce


che splende sulle biade della notte.
Il suo tramonto, la sua decrescenza
l’ultima volta lusingano gli occhi.

Tintinna come allora la finestra.


Ma la mia voce, come l’aria fresca,
da tempo è cessata, da tempo s’è spenta
sotto le canne lungo il litorale.

Com’è scialba la luna nell’azzurro,


come biondeggia il capello sottile...
Come vacilla laggiù tra il fogliame
la spiga obliata, pallida, morta...

IO ottobre 1902

111
fl B T6MHHC XpaMH

'B x o h ìv fl b 'TeiiH bie x p a i n a ,


coBepinaio Scannt oSpaa.
TaM: m nj h Ilpenpacitoii flambi
b MepiiaHBH KpacHux aainiaa.

B T6HH y BHCOKQË KQtflQHHH


npoHty OT cKpiina asepeìi.
A B MIÏO UH6 mflflHT, OBapeHHHS,
TonbKO oopa3, aimiB coh o Heft.
O , fl n p H B H K K 3THM p H S a »
Beaiiflasoft Beinoli JKchhI
B h c o k o ô e r j ’T n o K a p m ra aM
yjIHÖKH, CKaSKH H c u b i.

O, CBHTafl, K&K naCKOBH CBeflH,


K3K OTpaRHEl T b OH lepTKlI
MhC HC CJIHIIIHBI HH B3HOXH, HH pCHH,
ho fl Bepio : Miuiafl — T h .

SS oKmaôpx IMS
Varco la soglia degli oscuri templi

Varco la soglia degli oscuri templi,


compio una cerimonia disadorna.
Aspetto M la Bellissima Dama
Bello scintillio di rosse lampade.

N ell’ombra accanto ad un’alta colonna


trepido al cigolare delle porte.
E mi guarda nel volto, illuminata,
solo l’immagine, la Sua parvenza.

Oh. sono avvezzo alle splendenti icone


della solenne Imperitura Sposa!
Fuggono in alto per i cornicioni
sorrisi, favole e sogni.

. Come sono affettuose le candele,


come consolano le Tue fattezze!
Io non sento sospiri né loquele,
ma credo, Amata, nella Tua presenza,

2 J ottobre 1902

113
PaaropaioxcH T a lm ie . sh s k h

PaaropaioTCH Tatìu&ie 3naKii


H a r a y x o f i , n e n p o ô y a H o ii C Tene.
SonoTHC h KpacHue Marni
HanO HHOtt THrOTdOT BO CHC.

y i c p u B a r a c b b HOHHue n em ;e p H
II HC HQMHK» CypO BH X q y n e c .
H a a a p e — r o n y ö b ie X H M ep u
cMOTpHT b a e p K a n e n p ie u x H eß ec,

y ö e r a i o b n p o iiie «H iH e M u r a ,
3aKpHB,aiO' oT c r p a x a r a r a a a ,
H a j r a c r a x x o n o ^ e io m e ii K iiiir n — '
a o n o T a a neBHHbfl K o c a .

H a i e .MHoii aeßocBO Ä yw te h ji b o k ,
w p H b iii co h THroTeeT b r p y m r .
M o ä K o n e n npenna^iepTaH H BiH Öji h b o k ,
h B o i n a , h n oH cap — B iie p e m i.

ownsGab 1902
Divampano simboli arcani

Divampano simboli arcani


sai muro cieco, profondo.
Dorati e rossi papaveri
gravano sopra il mio sonno.

Mi riparo negli antri notturni,


non rammento i miracoli austeri.
A ll’alba le azzurre chimere
si specchiano in vividi cieli.

Fuggo negli attimi passati,


chiudo gli occhi dalla paura,
sui fogli d’un libro che gela —
l’aurea treccia d’una fanciulla.

Su me il firmamento è ormai basso,


nero sonno mi grava nel petto.
La fine predestinata si approssima,
e guerra e incendio mi stanno davanti

ottobre 1902
3 arJiHatycb jih a b Hora> Ha MeTeunny

3arjiHHtycb uh a b nora» uà MeTeunny,


aaropiocb — h noracHyrb HesMoub.
’I to b o 'i a x t b o i i x , K p a c n a f i n e B iiq a ,
Hamemana une chhäh hohi».
Hameaìaaacb mhc cKaaita KocuaraH,
Haraiau saKOunoBaäBufl nyr
npo 'Teßfl CHOBimeHbH Kpioiarae,
npo: tcòh,. HeyrasaHHuft npyr,
fl saBbio-cb CHéroBofl navTiiHoio,
noBBuya — hto nouMe chbì.
H y io c e p n n e i s o e n e ß e n a H o e ,
cUHiny æapKoe ceppine B e e ra i.

Haranaua' BonbÉiafl MenBejpina,


na KonnyHBH, uopoaHan h o h e ,
htq b oaax TBÒ.HX, KpacHan neBuaia,
na neue TBoeu, croma; hou».

18 WMtlSpM 1902

116
Se ammirerò di notte la tormenta

Se ammirerò di notte la tormenta,


m’infiammerò senza potermi spegnere.
A me l'azzurra notte ha bisbigliato
dò che è negli occhi tuoi, ragazza bella.

fin a fiaba vellosa ha bisbigliato


ed un prato incantato mi ha predetto
sul tuo conto parecchi sogni alati,
sul tuo conto, mia amica misteriosa.

M ’intreccerò come una ragnatela


di neve, i baci sono lunghi sogni.
Sento il tuo cuore di cigno, discemo
à r d e n te cuore della primavera.

L'Orsa Maggiore mi ha profetizzato,


e anche una strega, creatura del gelo,
:iàe dentro agli occhi 'tuoi, ragazza bella,
istilla tua fronte c’è l’azzurra notte.

12 novembre 1902

117
H Bupesaji nocox hs ayoa

H Bupesan nocox 113 nyßa


non aacKOBi.il monoT Bbiom.
On;e«HH 6enHH h rpyfîu,
O» KÜK HCHOCTOiHH ÜOÂpyTH !
Ho nafiny, h ram n i, flopory,
BHXOflH, MOp03HOe COJIHKel
1IpoôpQ/Kv sect nera, paflii 6ora,
BBenepy nocrynycb b OKOnne. . .
H oTKpoeT 6e,loi pynoio
noTaiiiiyio KBepb npeflo hhok)
HOJionan, c 30JI0T0Ö kocoio,
C HCHOÜ, OTKpHTOii flVIUOK).
Mecaii h 3B03h;h b Kocax. . .
« Bxonn, Moi napcBira npHBCTHblfi.
H 6eflHH.fi' flyôoBHil nocox
saÖJiecTHT cjiesoâ ca-Morae-nioi. . .

25 Mapma 1903

118
Un bordone di ròvere ho intagliato

Un bordone di ròvere ho intagliato


nel dolce sussurrio della tormenta.
Povere e rozze sono le mie vestì,
oh, come indegne dell’amica miai

Ma troverò, pur misero, la strada,


spunta, sole glaciale! Girellando
tutto il giorno nel nome di Dio,
busserò verso sera al finestrino...

Ed aprirà con la sua mano bianca


dinanzi a me la porta misteriosa
una giovane dalla treccia d’oro
e dall’anima schietta e luminosa.

Xelle sue trecce la luna e le stelle...


« Entra, mio zarèvic amorevole... »
Ed il bordone povero di quercia
risplenderà d’una gemmata lacrima...

2S marzo 1903
H 6h s sect b necTpux Jio c K y T b a x

f l 6hji sect b necTptrx jiocKyrbHx,


Semai, KpacHHÈ, b SesoßpaaHoö itacKe.
XoxoTan h kpmbjïhjich Ha pacnyibHX,
h paccKaaHBan myTonHue ckHbkk.

PaaBepîHBan HanmiHe cRaaaHtó ■.


Ö6CCBH3HO, H HOJirO, H 3BOHKO —
o CTâpHKax, h o CTpaaax Ses ha3b aubH,
h o ResyniKe c ruasaim peSemta.

K to-to lojiro» ßeccMHCHCHHO ciieaacfl,


H KOMy-TO CiaHOBHJIOCb ÔOJIbHO.
H «orna a BEe3anH0 cÖHBajica,
M3 Tonnw «pagam i: « ^ obojibho!»

anpeab 1903

12»
Ero tutto brandelli variopinti

Ero tutto brandelli variopinti,


-dauco, rosso, con una brutta maschera.
Ridevo e mi torcevo sui crocicchi,
e raccontavo favole scherzose.

Sgomitolavo prolisse leggende


in modo lento, slegato e sonoro
su vecchi e su contrade senza nome,
su una ragazza dagli occhi di bimba.

Qualcuno ridacchiava scioccamente,


a lungo, ma qualcuno si affliggeva.
E quando all’improvviso mi smarrivo,
dalla folla si alzava il grido: « Basta! »
Ilo ropony öeran aepHHfi aeaoBeK

Ilo ropony Öeran aepHutt tohobck.


r'acH'H oh foHapsiKK, KapaÖKancb Ha aecTHMny
MoHHeHHHt, ßeHHi noHxoiHU: 'paccBCT,
BMecTè c HenoBeKou BeSupancH Ha néCTHHpy.

T a n , r a e C iu m t h x h c , m h t k h C' Tem i
— ÄenTHC' nonoCKH Beaepmix ÿoHapeü, —
yrpeHHHe cyuepKM .nerim Ha CTynemi,
aaßpajmcb B BàHaBecKH,. b mean HBepei.
Ax, KaKQË ßaeÄHHS ropoÄ. Ha sape!
Hepubiö aenoBeaeK nm aer Ha HBope.

anpejii' ISO S

122
Per la città correva un uomo nero

Per la città correva un uomo nero.


Si arrampicava a spegnere i lampioni.

Lenta, bianca l’aurora si appressava,


salendo assieme all’uomo sulla scala.

I.à dov’erano quiete, morbide ombre


— le gialle strisce dei lampioni a sera, —

la prima, luce ha coperto i gradini,


penetra da tendine e da spiragli.

Ah, com’è scialba la città sull’alba 1


L ’omino nero piange sulla via.

a?dk 1903

1.23
M o i atecH ii b papcTBCHHOM semrre

M o i MecHii b ijapcTBesaou 36HHTe.


H ohhoë CBoßoiofl: saxjießiiycb
h ia.M — b cepeSpH H bie hhth

B HSÔUTKe CTaCTBH aasepaiycii.


H a BCTpeay crpacTiioMy ôeBBOJit®
h TOJHaKo ô y n y m eft Sape —
KiiBaio c im e jty pasnpnBio,
r a p a i o B; TeuHOM ce p eijp e ! . . .

H a HÏIOmaRHX CTOIIHIIH H'yiEHO'Â


en ern ie mop#. r o B o p a r :
— H to iiaa 3eM neio? M ap B o a jjy iiir a ìt .
Hto no« a y n o ft ? AapocTaT.
À H' — cepeôpH H oË nycTHHefl
H ecycb b H m aio m e M S p e n y ,
H B CKnaSKH piI3î>I TCMHOCMHeS
yKpBUi Jlioomiyio 3seany.

1 OKm&ôpx 1903

124
L a mia lima è in un maestoso' zenit

La mia luna è in un maestoso zènìt.


Mi inebrierò di libertà notturna
e À mi avvolgerò' in argentei fili,
in un eccesso di felicità.

Movendo incontro a un’ardente abulia


e a nient’aìtro che all’Alba futura,
annuisco all’azzurra largura
e mi tuffo nello scuro argento!...

Sulle piazze dell’afosa capitale


uomini ciechi ciangottano :
— Che c’è sopra la terra? Un pallone.
Che c’è sotto la luna? U n aeròstato.

Ed io per il deserto inargentato


corro bruciando dal delirio, e nelle
pieghe d’una pianeta azzurrocupa
ho nascosto la mia Diletta Stella.

2 ottobre I9 ft3

125
®aôpuna

B COCCHHeM HO'Me OKHa JKO.HTM.


Ilo Be^epau — no Beqepasi
CKpiinHT aajyji'iHBBie oohtm,
IIOJXXCaHT JIK'JIH K BOpOTEM.
H rjiyxo aan ep m BopoTa,
a na CTene — a na CTene
HeRBHJKHMfi K'TO-TO, H e p H H t KTO-TO
raoRCË CHiiTaei b Tinnirne.
H c.-iHiuy Bcë c Moefi Bepimmu :
OH MCRHHM FOJIOCOM 30BBT
corHyTB H3MyqeHHHe cmm&i
BHHsy coôpaBmHlcH napoa.
Ohh boI hjt h pa36penyTC.H,
naBaJiHT Ha chhhh kvhii.
H B /KOJITbIX OKHâX 3aCMCK)TCH
HTO OTIIX HHIUIIX HpOBCJIH.

2 4 HQRÔpR 1903

126
Nella casa vicina sono gialle
’.e finestre. Ogni sera — ogni sera
pensierose scricchiano le sbarre,
ii avvicinano gli uomini al portone.

E il portone massiccio è sprangato,


ma sul muro — sul muro
qualcuno immobile, nero, qualcuno
gli uomini conta in silenzio.

Io sento tutto dalla mia altitudine :


con la voce di bronzo egli sollecita
la gente che di sotto s’è raccolta
a curvare la schiena travagliata,

Essi entreranno e si disperderanno:,


caricandosi i sacelli sul dorso.
E alle gialle finestre rideranno
.d’avere abbindolato questi poveri.

Û4 novembre 1903
Ha nepeKpecTKe

Ha nepeKpecTKe,
rie «asm nocTaBH.na,
b neaantHOM bcccumi: B c ip e n a » Beciiy.

Ha seM.ie eine HteciKoi:


npoÒHBaeTCfl nepsaa TpaBKa.
II b Kpyatese Sepeara —
RaaeKo — rnySoKo —
niooBue CKàTH oBpara.

Ona BBMaHHna,
36MJIH nyCTHHHafl!

Ha sanale, pica: ot xonoia,


connine, Ka.K mbähhI urne« nonna,
oÖpaiqeHHoro jihkom neaantHHH
K mibiM ropiraoirraM,
K HHHM BpeueHau. . .

II oiHinaK — sonoToe oònano —


THHCT BBUCb GeHHMH nepbHMH
Hai lepanol npacoio
jioxm 'othI BeqepHHx MOHxf

M HtanKHe Kpanta moh


— irpwHbH BopoHtero iivrana —
nnaiieneioT, ksk conneqatil nuieu,
ot6h 6Ckom seaepa. . .
OTßjieCKOM CHaCTHH. . .

I2B
Sul crocicchio

Sul crocicchio,
dove la lontananza mi ha posto',
con afflitta gaiezza accolgo la primavera. f
I
Sulla terra ancora rigida
spunta la prima erbetta.
E fra il merletto d’una betullina
— profondi — in lontananza — [
i declivi lilla d’un burrone. *

Mi ha invogliato
la terra deserta!

A ponente rosseggia per il freddo


il sole come l’elmo di rame d’un guerriero,
che volga Fimmagine afflitta |
verso altri orizzonti, j
altri tempi...

Ed il morione — nuvola dorata —


allunga in aria le sue bianche piume
sulla proterva bellezza
dei miei brandelli serali!

E le mie misere ali I


— da spauracchio di corvi — !
come l’elmo del sole fiammeggiano
per il riflesso della sera...
per un riflesso di felicità...

1.29
H. KpecTH — h RajieKHe okhs —
h BepniHHH ayÔ'ïaxoro Jieca —
BCë HHOIHT HeHHBHM
h Gern™ pasuepoH
BecHti.

S Mcm 1904
E le finestre lontane — e le croci
e le cime del bosco dentellato —
tutto respira il pigro
e sciolto metro
della primavera.

> maggia 1904


Tw o^eiienib mchh b cepeöpo

Tw ojjeHenib mchh b cepeöpo,


a , Korsa a yMpy,
Bwfijter Mecflfl —- HeÖecHwfi Ilbepo,
BCTaneT RpacHwä n aan Ha iopy.

MepTBwö Mecflfl ÖecnoMomHO hcm,


HHKOMy HHHero He oTKpwn.
Tom .ko cnpocHT noapyry — 3a*ieM
h Korna-To ee nojnoÖHn?

B OTOT apocTHwt co h Ha flßy


OnpOKHHyCB H MepTBWM JIHflOM.
II nanu HcnyraeT cosy,
3arpe.MeB noa ropoS öyöcHHOM. . .

3Haio — CMopmeHHufi jihk ero CTap


ÖeccTwaeH b aeMHoö Harote.
h
Ho 3JiOBemnH BocxoRHT y rap —
K HeöecaM, k bhcotc, k hhctotc.

l ì M a a 190i

132
'Tu mi vestirai d’argento'

T u mi vestirai d’argento,
e alla mia morte
■ la luna spunterà — Pierrot celeste,
sorgerà il rosso pagliaccio .ai quattro venti.

La morta luna è senza scampo muta,


non ha svelato nulla a nessuno.
Chiederà soltanto alla mia amica
a che scopo un tempo io Labbia amata.

In questo sogno furioso a occhi aperti,


mi capovolgerò col viso morto.
E il pagliaccio spaventerà la civetta,
tinnendo di sonagli sotto il monte...

Lo so : vecchio è il suo aspetto grinzoso


e impudico nella nudezza terrena.
Ma si leva l'ebrietà funesta
verso i cieli, l’altura, la purezza.

14 maggio 1904
B Mac, Koraa nbHHeioT HapnnccH

B Mac, Korzta .ittaiieiGT HâpiiuccH,


h Tearp b aaKamoM orne,
b noJiyTCHb nocne^Hefi KyjiHCM
KTO-TO XOflHT B3flbIXaTb 060 MH6 . . .
ApjieKHH, 3a 6aæiÜHâ o poarn?
T h , Ho.« THxooKâH .nam»?'
BCTCpOK, JipHHQCHHÏHË C HQJIfl
ÂjHOBeHHfl jientym n aia?
H, naau;, y ßaeCTHiiqel pâMttH
B'OSHHKaiO B' OTKpHTHfl ŒOK'.
3xo — ôeajïHa cmotpht ckbosb naMUH
HeHacHTHo-HtanHHH iiayK.
H, noua nbHHCiDT fiapuMCCH,
Ä KpHB.MHIOCB, KpyTHCb H 3BCHH. . .
Ho b Tenu nocjienHefi KynacH
KTO-TO naaMeT, »aurea Mena.

H cjkhhS Hpyr c ronydiiu TyuaHOM,


yôaroitaH KaMenaio chob.
CHpOTBHBO npHHHKfflHt K paHau
jierKonepc'THHl aanax iibctôb.

se Mem SSCi. C, ZSoMsmno

m
N ell’ora in cui s’inebriano i narcisi

N ell’ora in cui s’inebriano i narcisi,


e il teatro è nella luce del tramonto,
Ie lla penombra dell’ultima quinta
viene qualcuno per me a sospirare...

Arlecchino che ha obliata la parte?


Tu, mia, dàina dagli occhi sereni?
O la brezza che porta dai campi
un leggero tributo di soffi?

Io, pagliaccio, alla splendida ribalta


affioro da una bòtola dischiusa.
;:È- il bàratro che guata Ira le lampade,
avido ragno insaziabile.

E mentre che s’inebriano i narcisi


laccio smorfie, torcendomi e tinnendo...
Ma nell’ombra dell’ultima quinta
piange qualcuno che mi compatisce.

Un soave amico dall’azzurra nebbia,


■ cullato da un’altalena di sogni.
L ’odor dei fiori che con lievi dita
si stringe mestamente alle mie piaghe.

26 maggio 1904. Sacbmatava


Topo« b «pararne npeaejiH

Fopon b « p a r a tìe npenenu


MepTBHä JIHK CBOfl ößpa'TiöI,
cepo-KaMCHHoe tcjio
KpoBbio comma o «a ra a .

Ctchh faßpHK, cTercna okoh.


rpflSHo-puHtee nanbTo,
paBBCBaiOlBEHËCH JIOKOH---
Bcë saKaTOM aanaro.

BnemyT iicKpiiCTbie rpiiBbi


30JI0TUX, KàK Htap, KOHel,
MHaTCH 6emeHHe mica
manmix oßjia.’iHHX rpyneê,

KpacHbiü KBopHH'K luiemeT sciupa,


c m>flHo-ajioK> bohoìì,
HJiHinyT oraeHHue Seapa
npOCTHTJTKH IUlOmaRHOä,

h n a óaiime kohokojibhoë
B ryjI'KHt IB1HC II »leaHHt 3 HK
KaæeT kojioboji p a sn o jib m l
OKpOBaBIieHHHt H3HK.

SS maust 1904

136
L a città verso rosse contrade

La città verso rosse contrade


ha volto il suo morto sembiante,
gol sangue del sole'ha innaffiato
;1 suo grigio corpo dì pietra.

I muri delle fabbriche ed i vetri


delle finestre, il sudicio pastrano
rossiccio ed i capelli che svolazzano :
ogni cosa è inondata dal tramonto.

Brillano le criniere sfavillanti


di cavalli dorati come bragia,
fuggono le furiose meraviglie
ielle avide mammelle delle .nuvole,

M un rosso portiere fa guazzare


le secchie con l'ubriaca acqua scarlatta,
ballano le anche infocate
d'una prostituta dozzinale,

;e sulla torre del campanile


fra baili sonanti e rimbombo' di bronzo
una campana libera e festosa
mostra la propria lingua insanguinata.

28 giugno 1904
HoHb

Mar,, npocxepr n ai MMpoat fiperat,


b MJie*inoi »erne — roxoBa.
3HaitH no3«HHx noKoaeHHl —
cxacTbe HOJibnero BoaxBa.
IloffiHHxacb creaeio mjicthoI ,
OCHHHHaA -- XXHBeT.
KpacHHfi bixcm octpokohstohS
6op03.H'HT IiedeC H H ii CBOffl.

B hxbhhom nepHOH oxexHbH,


b comie xepHEJK Koxecraq,
B ÖJeiHO-ljlOClflOpHOM CIIHIIbll--
HOTib m aiser nyreM napim.
B o i 31JHOË HepqaiOT npHHtKB
no m ua saKpHTbix pus.
Onepxacb na xxpityxb thmkhI ,
pasHoiyinHo cuoTpirr bhhb.
3 acTHJiafl s c » pasHHHy,
koch cKpHjiM nox-xexa.
Teiibio KpHJiHË — noJiQEimy
seel nojpiyHHOâ oÓHHaa.
K to 'I w, aexbHUH hoxhhuh
onoHBinan Mena?
K to T h , MeacTBeHHO-e IImh
b HHMÖe KpacEoro orna?

19 HOP.öpn 1904

138
La notte

Un mago disteso sul mondo d’argilla,


Intesta avvolta d ’una benda làttea.
I segni delle tarde generazioni
fanno felice il terrestre indovino.

S’è levata per il sentiero làtteo,


in un alone di luce veleggia.
Un elmo rosso dalle punte aguzze
solca la volta del cielo.

pon un lungo vestimento nero,


|on uno stuolo di neri carri,
con uno scialbo splendore fosforico
la notte spazia per la via delle regine.

Sotto la luna scintillano fibbie


di pianete chiuse fino al viso.
Appoggiata a un compasso pesante,
guarda in basso con indifferenza.

Offuscando tutta la pianura,


le trecce hanno nascosta mezza fronte.
H a abbracciato con l’ombra delle ali
metà di tutto il mondo sublunare.

Ohi sei T u che con filtri notturni


mi hai avvelenato?
Chi sei Tu, Nome Femminile
ha un. .nimbo di rosso fuoco ?

Î9 novembre 1904

139
B' KaÔaKax, b. nepeynKax, b aaaaB ax

B «aÔaKaXj b aepeymcax, b asBasax»


b aneKTpMecKOM' cae Haasy
a HCKaa ÖecKOHeaHO apacasux
H fîeCCMepiHO BHMÔlieHHHX B MOJIBy.
Etimi ymn.i|H nuiau ot kphkob.
E lIJIÏI COittHDta B CBep«aHBH BHTpHH.
KpaCOTSL 3TIIX HîeHCTBeHHHX 3IHKOB!
3 th ropnue B3opu Myaraaii!
3io 6hjih aapa. — ne CKiiTaribiiM!
H cnpocHÂ GTapHKa y ctchh:
« Tu yapacan ax. tohhhc nam»aH
HïeinyraMH aecHeraoft « cubi?
Tu au naji paanoiiBeTHue layôKa?
T h aaæer ax cHoaaua Jiyaeâ?
T u pacKpacHJi nyamoBue ryöaa,
CaHesame ayra ÖpoBeä ? »
Ho crapHK Haaero ae otbcthb,
otxohh 3a TonnoK» MearaTb.
H ocrrajica, TaHHCTBeHHO CBexeji,
3Ty My3HKy öaecaa snaBaTb. . .
A OHM npOXOfflHJIH BCë MHMO,
CMyrao Kamnaa b cepnae Tan,
aro6 HaBeKH, hh c kbm HecpasHHMoa,
OTjiereTb b rojiyÒHe «pan.
H MejibKajia aa napoio aapa. . .
Äffan h Gseraoro Aurora k nan,.

140
Nelle bettole,, i vicoli, le svolte

Nelle bettole, i vicoli, le svolte,


nell’elettrico sogno a occhi aperti
^cercavo le infinitamente belle,
:Ìe eterne amanti della diceria.

Erano ubriache le strade dai gridi.


. Nelle vetrine sfolgorio di soli.
Beltà di questi volti femminili!
E questi sguardi superbi degli uomini!

Costoro erano re — non vagabondi!


Io chiesi ad un vegliardo accanto a un muro:
« Sei stato tu a ingemmare le sottili
dita con perle di valore immenso?

A dar loro pellicce variopinte?


Ad infiammarle con fasci di raggi?
A tingerne le labbra rosso fuoco,
gli archi turchinicci delle ciglia? »

Ma non rispose il vecchio, e si ritrasse


dietro la moltitudine a sognare.
Ed io rimasi, arcanamente fulgido,
a bere l’armonia dello splendore...

Ed esse mi passavano davanti,


confusamente nascondendo in cuore
la brama di volare, incomparabili,
verso le azzurre contrade per sempre.

Le coppie balenavano... Aspettavo


che un. angelo radioso discendesse

141
hto6m 3flecfc, b jiiiKOBaiibii Tpoiyapa,.
oh OflHy npnoômna neöeca>i. . .

A Baepxy — na ycTyne onacHOM —


THXO CteJHHBIHHCb', KapjIHK JipHHHK,
h KasajicH na.M amMeneM KpacHuu
pacnnacTaBiHHËcH b HeSe hshk.

deKdôpb 1904

142
fra noi, nel giubilo del marciapiede, f
..per elevare una di loro ai. cieli... I

Ma in alto — su un aggetto periglioso —


raggricchiato in silenzio, un nanerottolo
ljpstrin.se, e parve una rossa bandiera
la sua lingua slun.gata.si nel cielo.

dicembre 1904
V a n ita , yjiH iia . . .

Yunna, yniaoqa. . ,
Team deBBayaHo cnemaiinix
Testo npoaaTB,
h sadseHbe kviihtb,
h oiihti* norpysHTBCH
b coHHoe osepo roposa — smiHero xojioaa. . .

Ginne. SaßyntTe enosa jiyieBapHHX..

0 , ecimß ne 6i>i;io b owiax


CBCTOB MepnaiontHx!
■ UI'TOp H nyHQOBBIX I|BeTO»IKOB!
Jinn, HaKHOHBHHBIX. H3H CKJJtHOfl' paßOTOft!

Bcë THXO.
Jly n a noiHHJiacB.
H oßjiaqHHx. n eptes p a sti
pa3:ße.JK:ajiHc& aaaeno.

HHhapb IMS

144
Una strada, una strada..

Una strada, una strada...


Le ombre di quelli che senza rumore si affrettano
a vendere il corpo,
e a comprare l’oblio,
e a tufiarsi di nuovo nel sonnolento
lago della città — del freddo invernale...,

Dormite. Obliate le parole dei raggianti.

Oh, se alle finestre non ci fossero


le luci con il loro trem olio!
Le tende e i fiorellini rosso fuoco!
I volti chinati, sul-magro lavoro!

^T utto è pace.
L a luna s’è levata.
E le file di piume delle nuvole
si sono disperse lontano.

-gjnNMio ISOJ
Bo.iommie nepmemaimu
M. Pejumoeg

H npornaji tb6 h khjtom


B nOXWeHb CKB03L K'JCTH,
HTOO «OHtÄSTfaCa SReCfc BHB06M
THXO'ft nyCTOTH.

B ot — ciiaii-M c Toßoft Ha Mxy


nocpeiH ÔojioT.
T p e m i — hcchh HaB.ep.xy —
HCKpiIBBOI CBOË pOT.

H, KâK TH, flHTH ÄJißpaB,


JE0K MOÜ TâKHîe CTCpT.
Turne bob h hhmc TpaB —
saxyKajiHfi HopT.

Ha nypaqKou Konnaice
ÖySeHCB paajijK .
3 a imeHaHH — BnajieKe —
CeTB peHHMX H3JIJK. . .

H CHRHM MH, BVpaHKH, --


HeSKHTfc, H6HOHB BO«.
BeaeiiesoT KOJinaHKii
saBOM nanepea.

SaHJMJieHHHfl COH BOH'H,


pjKaBHHHa BOJIHH. . „
Mh — aaÔHTHe caenu
HBel-TO rayÔHHH. . .

Mueaptt :<>■ }.;

146
Diavoletti palustri

Ad Aleksei Rémizov

li > ti ho incalzato con. la frusta


r.cl meriggio attraverso i cespugli,
per aspettare con te in questo luogo_
-1 placido v u o ta.

hd ecco sediamo sul muschio


in mezzo alle paludi.
L’n terzo — la luna lassù —
he scontorto la bocca.

Come te sono figlio dei querceti,


il mio sembiante è anch’esso cancellato.
È più silenzioso delle acque e pili, basso delle erbe
un diavolo decaduto.

Sul berretto da buffone


i sonagli dei distacchi...
Alle spalle — In lontananza —
una rete di. meandri fluviali...

E sediamo, noi stolti, —


spìriti 'impuri, malsama delle acque.
Verdeggiano i nostri berretti
calcati alla rovescia.

Pestilenziale sopore dell’acqua,


ruggine dell’onda...
Siamo le tracce smarrite ' .
d’un misterioso abisso...
/

;sio 190}

147
Teapu eecewiue

{Ha cuibôoMa « K indisch » T. H. runrmyc)

3 ojiothctm jiiina Kyiiaatinm.


H x CTeßejib Baamea.
3 to bBunan MoaaanBHimBi
nocTynbio santHOH
b Jiecnwe ayrnHcraie cKBajKHHbi.

T asj, rne npoTaanrnj,


MoanaTb noBeneeo,
h BecHott HenoMepHofl B3aeaeHHH
noceneaMX TystaHoß pasBaanHBi.
OnpecTiiocTH mxbmh 3aBaaenH.
BoaoCH HOHH HaTaHyTBi Tyro Ha cpy6u
H XIHH. ■
Mei b HMCTBe h b tchh
Banani HaniiHaeM BHmcaTi. b oTnaaeHHBie Tpyôu.
npn0aH®aiOTCfl HOBHc hhh.
H o nona h u orhh,
il MoanaanBo otkphth SecKpoBHHe ryôw.
Hyaal o, nynal
Thxohbko UHM
noRHHMaeTCH c npÿjja. . .
Mh eme noMoaHHM.
Y ip o cohhoü TponoE> ny erano ctpeay,
ho offHa — Ha pyne onpoKHHyroä b bhcb ,
aaflOiHM) b CTBoaHCTyio Mray —

148
Creature primaverili

(dall’album « Kindisch » di T. N. Gippius)

Dorati sono i volti dei ranuncoli.


Il loro stelo è umido.
Sono uscite con andatura grave
le monachine taciturne
dai buchi odorosi del bosco.

Nei punti già sgombri di neve


è imposto il silenzio,
e la primavera esuberante alleva ’
rovine di nebbie canute.

I dintorni traboccano di muschi.


Sono tesi i capelli della notte
sui palchi di legno e sui ceppi.
Nel fogliam e e nell’ombra cominciamo ><
a intendere i suoni di trombe lontane. ■
• . * 5
Nuovi giorni si appressano. I
Ma intanto siamo sole, ed in silenzio I
sono aperte le nostre labbra esangui. i
M iracoli! Oh, m iracoli!
I II fumo dolcemente
s’innalza dallo stagno...
Ancora un poco resteremo mute.

N el sonnacchioso viottolo il mattino ha scagliato uno strale,

I
ma una di noi — sulla mano rovesciata nell’aria,
col palmo rivolto alla nebbia dei tronchi —

149
CBeTjiHKa no,HHHJia. , . Oraaimci»:
Tne TH cKpoeiui» seaeHoro cseTa iieramo iiray?
Her, CBeriicfc,
CBeraH'IOK, MQOTajIHBOË nOHHTHHÜ
Kycoqe« csexa,
KJioTOieK paccsera. . ,

Byner Bau aeHb ßessaKaTHHi!


C HBHKQl BH HC pancini --
bot h see yniao......
H otov bh ne Htajiena —
H CT&HOBMTCH CJIHIHKOM CB6TJIO.
Eynere MaaTbca, KaaTbca,
h HycaTbCH, h aanTBCH,
b h , seaeHwe, KpeiiKiie, Manne,
TBapn Hanne, Hednsaane.
Tyniaii KayßHTca, riponociiTCH
no centra npynaia.
CKOpO KaiKUHfi HOpTHK SaiipOCHTCH
ko Cbhthm MecTau.

19 0eepa/m 1905
Ita - ■]levato una lucciola... Guardati intorno:
krt nasconderai l’ago notturno di 'questa, verde luce?
; '
sfavilla piuttosto, lucdoletta.

I
" comprensibile ad ogni taciturna!
Minuzzolo di luce,
biòccolo d’alba...

I
' £\~errà un giorno per voi senza tramonto!
U Non avevate cura della notte —

: ed ecco che tutto è svanito...


f N on avevate pietà della notte —
S ed ora la luce si fa troppo vivida.
-'Vi estenuerete, vi pentirete,
cninincerete a mordervi, a ingiuriarvi,
.voi, verdi, salde, piccole j
Creature soavi, immaginarie. ■'

La nebbia saie a nuvoli, si spande


per gli stagni canuti. j
Presto ogni diavoletto chiederà
di andare ai Luoghi Santi.

19 febbraio 190?

151
HeeuduMKa

Becerihe b hohhom KaSane.


Han roponoM chhhh nnuKa.
Hon KpacHofi sapeft snaneKe
ry a ae ? b iiorrnx HemuiiMKa.

TamiyeT Han toiïï. » So-io t ,


KoatBtoM oKpyacaiomHx: komm,
npOTEHtHO 30B6T H HOBT
na ronoc, Ha rojioc 3HaKOM.nl.

B hm cnanKo Banuxan» o jhoS bh',


cAenue, nponaatHBie iBapn ?
K to iieóo aanaHKaii b npoBii?
Kro BHBecm Kpacmtfi ÿoHapaK?

Il BOCT, nan öporaeHHHl nee,


MHyneT, K3K cnanKaH Komna,
nyHKM Benepeiomax po3
inBHpaeT ônyHHHiiaM b okohiko. .

II JIOMHTCH B HCpHMt npHTOH


BHTara Becejinx h iibhiibix,
h KaMHM.fi bo stray y.BneneH
TOJIHOl npOCTIITYTOK pyUHHUX. . .

B T6HH rpoiloBOfl ifsoiiapii,


CMOJOtaeT Han roponoM rpoxoT. .. .
H a KpacHOfi: noaocKe sap a
öe33BVHHMii KanacTcfi xoxor. . .

152
U Invisibile

Allegria nella bettola notturna.


| | l l a città un’azzurra nebbiolina.
Sotto il rosso crepuscolo nei campi
lontani la baldoria l’Invisibile.
N. ... .

Danza sulla fanghiglia dei' pantani


che ad anello circondano le case,
chiama con gridi prolungati e canta,
imitando una voce conosciuta.

È per voi delizioso sospirare


d’amore, cieche creature venali?
Chi ha imbrattato di sangue il firmamento?
Chi ha messo fuori il rosso lanternino?

Latra come una cagna abbandonata,


miagola come una dolce gattina,
scaglia mazzetti di rose che imbrunano
nel .finestrino delle meretrici...

E irrompe a forza nella nera bisca'


■ una frotta di ubriachi e bontemponi, /
ê "ciascuno è rapito nella nebbia
da sciami di vermiglie prostitute...

I lampioni in un’ombra sepolcrale,


cessa il frastuono sopra la città...
Sulla striscetta rossa del crepuscolo
barcolla una risata senza suono...
BenepBAH Hairnet. ribHiia
Haff ABepbK), OTBÔpeHHOË B JI3 B K J...
BMemajiacb b SesyMnyio Hasny
c pacn'jiemyTot Hameii bhhh
na Ssepe BarpHHOM — Mena.

I S anpe/ui 1905

154
fi--ubriaca la scritta serale
Ippra la porta aperta delia bettola...
d lla turba demente si è mischiata
con la coppa di vino traboccante
su una Bestia di Pórpora — la Sposa.

16 aprile 1903
EoAomHwü nomiK

H a seceim efi npoTârnniKe


s a BeqepneË mo.h itboio — Manem>KH&
nonHK ÔOHOTHBlt BHAHeeTCH.

B e r x a a pncita n aa kotooô
aepHeeTCH
BYTb 3 aueTHOK) TOHKQË.

H b SesôypHOCTH aopb K pacnoB arax


HC BHiaTb qepreHHT ôecnoBaTHX,
HO' BOTepHHH npenecTb
yBimâ BKpyr Hero cboh Torneate pyKH. .
IIpensaKaTHHe b b jk h ,
HcrKïiit inejiecT.

T hx ÒHBKO OH M03IHTCH,
yjiuSaercH , khohetch ,
IipimOJKHB CBOK3 m.THIIV.

H riHrytUKO XpOMOt, KOBHMHKHUet,


TpaBoii Hc:i|;ejiHH)inieË
nepeBHHteT ôojmiuyio xrany.
IlepeKpecTHT h iivctht ryanib :
« B ot, cTynaS b pomnivio r a ib .
Æyma moh pan a
B chkomv rany
H BCHKOMV .BBepro
H O BCflKOË se p e . »

II THXOHbKO MOJÏHTCfl,
npHHOHHHB CBOIO HIJIHHy,

156
U pretino■ palustre

A prim avera, nei luoghi già sgombri di neve


si scorge, intento a pregare, la sera,
un minuscolo prete di palude.

L a vecchia tònaca sopra un mucchietto


di terra nereggia
come un puntino appena distinguibile.

E nella calma dei crepuscoli rossastri


non si vedono diavoletti scatenati,
ma l’incanto della sera
lo avvince con le sue braccia sottili...
Suoni vespertini,
fruscio lieve.

Pian pianino egli prega,


sorride, si inchina,
levandosi il cappello.

E ad una zoppa ranocchia che arranca


con erba medicinale
fascia la zam pa dolorante.
Le fa un segno di croce e la licenzia :
« Vattene alla tua ripa di fascine.
L ’anima m ia si rallegra
d’ogni anfibio
e ogni bestia
e ogni credenza ».

E pian pianino egli prega,


levandosi il cappello,

15,7
sa CTeßenB, i t o k jio h iit c h ,
sa SoaBiivio sBepimyio nany
h sa pimcKoro nany

H e Solca nyqiiHH TpacKofi:


cnacex Teda nepuaa pacRa.

17 aape.ix 190 S

158
per un gambo che si piega,
per una zampa malata,
- e per il Papa di .Roma. -

Non temere l’abisso 'traballante —


ti salverà la tònaca nera.

17 aprile 1905

159
B ohoto — rn y Ö O K aH B n a jp o ia

B ojioto — rayöoKaa anaaHHa


orpoMHoro oKa Besoin.
Oh m a R a a Tan äojito,
btg b cjieaax iiaoin.io ero oko
h m xjiolt TpaBoii nopocjio.
Ho CKBQ3B TpaBW II SJiaKH
h ßeatHl nyx c.M.e®eHHHx. pecium —
xipoßeraeT aeaenaH iicnpa,
hto6h ' CHOBa noracHyn» b öo.i otc .
II Toraa roBopHT b lepeBHsx
HCII3BCCTHO OTKyfla npnnieHHiiie
KOJiayHH h Kocuam e bchbuh :
— 9 to IHVTIIT H3Ä Ba.MH Co.xoro.
--- DtO MHH.HT Bac TCMHaH CHJia,
H , Koraa ohh -ran roBopar,
CTapHKH -OCeHHlOTCH SHaMCHBCM KpeCTHHM,
HQMOIJIHe-- CMCMTCH,
a y «esynieK — hcho bhähm
3a naeraim decine kph jibh .

S im ii.* 1S0S

160
La palude è Forbita profonda

La palude è Forbita profonda


dell’occhio enorme della terra.
Pianse cosi a lungo che il suo occhio
si consumò' tutto in lacrime
e si copri di erba intristita.
Ma attraverso erbe e graminacee
c bianca lanugine di ciglia chiuse
guizza una verde scintilla,
per spegnersi nella palude.
E allora dicono nelle campagne
stregoni e irsute maliarde,
venuti chissà da dove:
- - È la palude che vi canzona.
La forza buia che vi adesca.
E quando essi si esprimono in tal modo,
i vecchi si fanno la croce,
ridono gli anziani,
e dietro gli òmeri delle ragazze
chiaramente si vedono bianche ali.

i gtugtto 190J

161
il
I
IIoTexa! PoKoaeT Tpyöa

IIoTexa ! P okohct Tpyöa,


KpHBnaiO'Tca öenue poKCn,
h BHflHT Ha ifuare npoxoamfi
orpoMHjrto iiaumicb : «. CyRiböa ».
■ IlaaaTKa. PasöpocaHH KapTti.
ranaJiKa, CMywiee aioitbCKoro æhh»
5opMOH6T, MOHCTOii 3BeHH,
CAoea taaitfe mjnoe M otfapm a.

KpyroM — BospacTamiqHft Kpirn,


CBHCTKH H HeaHCTH© pOTH,
H 'HpMapKH: ryay — aanme
b no.rrax oTsenaef aeœem hboS hhk.

B najiame bcč méiraeT h menraer,


H CKOpO CHHBaïOtCH 3 ByKH,
h ÔHCTptie CMyrjme pyKH
BnHBaioTCH Kpeme h Kpenae. . .

ranaube! MriioBenbe! Me*rra! . .


H, ÔHCrpo noptHHBnmcb, npe3 pirreiii,HMM Hccnmi
BCTpaxHyna oneatHoft Han npÔKJiHTHM MecroM,
raaaer. . . h meirryT ycïa.
H BHOBb 3 aBHBaeT Tpyöa,
H B naMHTH TTMJTbHOW BBBHBaiOTCfl pCTH,
H pyKH. . . H ffllCTtH.
H ÔMCTpafl HafldHCb: « Cyaböa »!

Mja«b 1905

962
Divertimento! Strepita la tromba

Divertimento! Strepita la tromba,


fanno smorfie bianchi m usi,
ed un viandante scorge su un vessillo
l’enorme scritta « Destino ».

Una tenda. Le carte sparpagliate.


Piu abbronzata d’un luglio, l’indovina
borbotta, tintinnando di monete,
paróle piu dolci, dei suoni di M ozart.

Dintorno un clamore crescente,


sibili e chiacchiere impure,
e al brusio della fiera risponde
nei lontani campi un verde sosia.

Nella tenda ogni cosa bisbiglia,


ed in breve sì fondono i suoni,
■.e’ le. rapide mani abbronzate
si aggrappano sempre piu strette...

Cartomanzia! Un Istante! Una chimera!


E, alzandosi pronta con gesto sprezzante,,
scrolla la veste sopra il luogo maledetto,
legge la sorte... e la bocca bisbiglia.

E la tromba riprende ad ululare,


nella memoria: polverosa, sorgono
i discorsi, e le mani... e le spalle...
e la rapida scritta « Destino » !

luglio ms

163
E a.iazam iw

B ot orapaT 5anaraH«îiK
hm BecejiMx H' caaBHBEx. flereft,
CMOTpaT «esotica h iianbaiin
Ha nasi, Koponet h nepTei.
H sbjhht1axa aacnan MysuKa,
saBHBaeT jh h jih I cmhhok.
CTpaniHHft nopx yxBaTHJi KapanysHKa,
H CTCKaer KHIQKBCHHMft COK.

MAIIMHK

Oh cnaceTCH ot qepnoro rnesa


MaHOBCHHBM ßejIOt pVKH.
HocMoxpat oroHbKH
npiiÔmiJKaioTCH cnesa. . .
B hhhhib ÿanejiH? Bimmiib rbimkh?
3 to, sepHo, casia KopojiCBa. . .

HEBO^KA

Ax, hex, saaeM th npa3HHmb siéra?


3 to — aHCKaa CBiixa, . .
KoponeBa — Ta xqjpït cpeab 6enoro hhh,
bch riip,xHHjajiH po3 uepeBiira,
h nuieË$ ee hocht, sievasm sbchh,
B3.H.Hxaioin;HX pmiapet cBHTa.
B apy r iiami neperaynca: aa pastny
h Kpiiaiix : « rioMoniTe !
H cT e K a m h k ji i o k b c h h h u c o k o m !

164
IJ piccolo baraccone

Ecco è aperto il baraccone


per i bimbi allegri e buoni,
una bambina ed un ragazzo guardano
le dame, i diavoli e i sovrani.
E risuona una musica infernale,
ulula un archetto malinconico.
Un orrido diavolo agguanta un ometto', j
e gocciola succo di rosso- .mirtillo. )

il ragazzo :

Egli si salverà dal nero sdegno


con un cenno della bianca mano.
Osserva laggiù: da sinistra
si appressa un corteo di fiammelle... ,
Vedi le fiaccole? N o scorgi, il fumo?;.
Sarà probabilmente la regina... ' \

LA BAMBINA :

Ah, no, perché vuoi stuzzicarmi?


Questa è la schiera infernale...
La regina va in giro di giorno,
tatta avvolta in ghirlande di rose,
e, tinnendo di spade, ne porta lo stràscico
un séguito di cavalieri sospirosi.

D ’un tratto un pagliaccio si sporse


dalla ribalta, gridando: «Aiutatemi!.
Io perdo sangue-succo di mirtillo!

165
SađllHTOBaH TpAHHIieft!
H a rojiOBe Moei — KaproHHuft nmeul
A b pytte — ^epcBHHHHii Meni»

•3 annaKa:ra nesoiKa h MamraK,


h aanpauic« BeeejiHt GajiaranraHK.

mOJlb 190S

166
Sono' fasciato d’un cencio!
Sulla mia testa è un elmo di cartone!
i l nella mano una spada di legno! »

Ruppero in pianto ragazzo e bambina,


e si chiuse l’allegro baraccone.

luglio 1.905

167
Ocemwsi e oasi

BiixoHcy h b ny-rb, otkphthS BSopaM,


BCTep raer ynpyrae nycra,
6 htmh KaMeEb a e r no KocoropaM,
Hteirroä rnHim CKvgHHe nnacTH.

Paaryaanacb oceHb b MOKptix gonax,


oônaïKE.ia KaagöHEia bcmüh,
ho rycm x paÔnH b npöesxtax cenax
KpacHHt HseT sapeer BaganH*

B ot oho, moc seceabe, mmnrer


H 3 BCH.HT, 3B6HHT, B KVCTaX npOEas!
II B jam i, Bgann upH3UBHO Marner
TBöfi y3opHHtt, TBoft HBexHOH pyKaB.

K tO B3M3HHa MČHH Hä HyTb 3HaKOMMH,


ycMexHyacH mhö b okbto TiopbMbi?
H jih — KaMeHHHM nyTeM bückomhä

HHHtHft, pacnesaîontHfi ncajxMH?

H er, ngy h b nyn. Hnneu ne SBaHbiß,


h 36MHH ga ßyger jme aerea!
Eyny eaÿiiiâîb roaoc Pycn HbHHGË,
oTHMxaTb nog KpmneË KaSaita.

Sano® im npo cboio ygaay,


Kau h MoaogocTb cryöaji b XMeaio. . .
Hag nenajib® heb tbohx 3annany,
TBOH npocTop HaBeKH noaioßjiio. . .

168
Libertà autunnale

" Scendo su. una strada aperta .allo sguardo,


il vento piega i flessibili arbusti,
^pietre .spezzate coprono i declivi,
sterili strati di gialla argilla,,,

S’è scatenato Fautanno nelle umide valli,


^.spogliando i cimiteri della terra,
ma nei villaggi splende di lontano
il rosso fiore dei folti, sorbi.

Eccola, la mia allegria che balla


e tintinna, perduta fra gli arbustìl
lontano fa segni di richiamo
la tua manica a colori arabescata.

Chijm Jba-^m ciusulLa-nota-strada,


chi m i hajsorriso alla finestra del carcere?
Forse, attratto dalla via di pietra,
un mendicante che cantava salm i?

N o, m i incammino senza esser chiamato


da nessuno, e la terra m i sia lieve!
Ascolterò la voce della Rus’ ubriaca,
riposerò sotto il tetto d’una bettola.

Mi metterò a cantare della m ia fortuna,


di come ho sciupata la m ia giovinezza nel bere...
Piangerò sul dolore dei tuoi campi,
mi. invaghirò per sempre dei tuoi spazi...
M h OT'O Hac --- CBOÖORHUX, KIHLIX, CTaTHHX
yjrapaeT. He jik »6 h .......
ÏIpZEOTH TBI B HaJIHX HeoBlOTHUX I
Kai-; h ?KHTb h n jiaK aib Bea Te6.a!

uro.t& 1S05, Posm e&cme mocce

170
Molti di noi — liberi, giovani, ben fatti —
muoiono senza amore...
Accoglici nelle tue sconfinate lontananze!
Come vivere e piangere senza di ter'

luglio 1905. Strada dì Rogaievo.

171
flesyniKâ. netta

ÆeBymKa nena b nepKOBHOM xope


o Bcex yeTanHX b ay?KOM Kpaio,
o Bcex KopafîttHX, yineRintix b Mope,
o Bcex» saôiHBinHX panoctb cboio.
Tau: nett ee rojioc, neT'fliiiH® b Kynott,
H nya cium ua @etto*r nneae,
h KajKRHH H3 MpaKa CMOTpett h cayman,
KaK 6ejioe nnaThe netto b ayne.
H BcéM Ka3attocb, aTo panocTb 6yneT,
aro b THXoft säsoRtt Bce Kopadna,
aro Ha nymÔHHe ycTanue jiiorh
csernyio äch3hb ceôe odpema.
II ronoc 6hji caaicoK, h nya 6hji tohok,
M TQttbKO BHCOKO» y llapcKBx BpaT,
npHaacTHHË TaiinaM, — naanan peđeHOK
O TOM, HTO HIIKTO HC FtpiIReT HaaaR.

aesgcm 190$
Una fanciulla cantava

' Una fanciulla cantava in un coro di chiesa


di tutti gli stanchi in contrade straniere,
di tutti i vascelli salpati nel mare,
di quelli che avevano obliato la gioia.

Cosi la sua voce cantava, volando alla cupola,


e un raggio splendeva sulla bianca spalla,
e ognuno dal buio guardava e ascoltava
il bianco vestito cantare nel raggio.

E a tutti pareva che fosse vicina la gioia


e in un placido golfo ancorati i vascelli,
che in terra straniera g li uomini stanchi
avessero trovato una vita luminosa.

E la voce era dolce, ed il raggio sottile,


e solo in alto, alle Porte del Regno,
ammesso ai misteri, tm bambino piangeva
nessuno sarebbe tornato. _

Ingoffo 15C'j

173':
T a « , Bi hobhqä saBBiBàionieâ cryate

T aü , b hohhoë 3aBHBaiomeH cTyace,


b none 3Be3n OTUCKaa h kojibiio .
B ot naqo B03HHKaeT H3 KpyjKCB,
B03HBKB6T H3 KpyHîeB JIHUO.

B ot njmœyT ee Bbioatmie Tpeira,


3B63BU cBeTJiMe uuiefl^oM BJiaaa,
h B3JieTaiomHâ 6y 6eH MeTejiH,
6y 6eBoaaMH npH3WBHo ôpesraa.

G JierKHM TpecKOM pacctraancH seep, —


a x , HTO BHaBHT — He nirrb h He een»!
Ho b r a a 3a x , oßpameHHHX na ceBep,
MHe xonoHHOMy -— aoynan Becn>. . .

H Han MHFOM CBHBaH nOKpOBU,


BCH OKy'TaHa 3Be3SaMH Bbior,
ynjiHBaemb th b cyiapan cHerosufi,
moë or sena BaranaHHHË npyr.

aâdÿCin 1905

174
Là, nel notturno ululante gelo

Là, nel notturno ululante gelo,


in un campo di stelle ho trovato' un anello.
Ecco il suo viso affiora dai merletti,
affiora dai merletti il suo viso.

Spaziano i suoi trilli di tormenta, '


traendo uno stràscico di fulgide stelle,
e il tamburello svolazzante della neve
am malia col tinnito dei sonagli.

Con crepito lieve s’è sparso un. ventaglio, —


ah, die vuol dire non mangiare e non bere!
Ma negli occhi rivolti a settentrione
io, freddo, scorgo un’ardente novella...

E sopra l’attimo attorcendo i veli,


avviluppata in stelle di burrasche,
nuoti via nelle tenebre nevose,
amica m ia divinata da secoli.

agosto 1305
'Cumue

Otta n;aBHO 'MCHH TOMHffl.


B paarape HeBCTBenHoi sie«nti
OHii CKyqajiH, h ne » h i b ,
M MAHH SeJIHC IÌB6TBI.

H BOT — B CT0.1 0BMX II B rOCTIÎHBIX,


Haa rpyHOË' pioMOK, aa.\i, erap y x,
Has CKÿKOft HX' 'O'ßemOB HHHHMX “
CBCT äaeKTpHTOCKMi nOTVX.

K TOMJ-tO' BHOCffT, CïâBHT CBeHH,


n a jnrqax — « e a m r e «p y rn ,
hihhht nepraneHTHBie pena,
c Tpyn;0'M uieBejiHTCH n o sm ,

Tau — H'eroHyeî seë, «ito obito,


TocKyeT CMTocTb saîKHHx qpes:
sejib onpoKHHyTO Koptrro,
BCTpesoHceH hx nporHHBiiiHä xjießl

Tenepb hm Bunan CKynHLiß jKpeÖHfi :


hx non CTOHT HeocseiqeH,
h Hcryr hx c a y x mojiböli o xne6e
H KpaCHHH Cifex «lyJKHX 3H3MeH !

IlyCTb HOJKHByT CBOft BeK npHBLIHHO---


H3M HcanB hx cHTOCTb pa3pym aTb.
JÏHHIÏ, «mCTHM UCTHM-— HenpHJIHHHO
hx CTapoft cKyne nonpaaeatb.

10 HonGpa 1905

m
I sazi

Da lungo tempo mi hanno infastidito.


Nel culmine d’un sogno verginale ,
cascavano dal tedio, senza vivere, j
e calpestavano ogni fiore bianco.

r.d ecco — in stanze da pranzo e in salotti,


su un mucchio di coppe, di dame, di vecchie,
sul tedio dei loro decenti conviti —
la luce elettrica s e spenta.

A che scopo introducono candele,


hanno sul volto dei cerchi gialli,
fischiano frasi di pergamena,
a fatica si muovono i cervelli.

Cosi s’indigna tutto ciò che è sazio,


si strugge il sussiego dei ventri satolli,
perché il truogolo è stato rovesciato,
è sconvolta lalo.ro stalla putrida!

Ora una magra sorte li ha colpiti :


la loro casa è immersa nelle tenebre,
brucia l ’udito il grido di chi ha fame
e il riso rosso delle,altrui bandiere!

Vivano dunque alla maniera solita —


distruggerne la sazietà fa pena.
Però ai ragazzi puri non si addice
scimmiottare il loro vecchio tedio.

10 novembre 1903

177
M iijim ë S p a i ! 3aBe<iepejio

Mh hhì opaT! 3a£eHepeno.


HvTb cjihihhm KonoKona.
Han paBHiiuoii noSeaeao —
coHHooKHH nponuia.

UpoDJiejia ona — n roana,


HeaasieTHaa, tvni-SKa.
H ODATI» HAM, KSK ÖHBaDO,
noma THÄtKaH aerna.

M e» hbjmh crenami 6opa


peiKHl nanacT chcjkok.
Ilepea H3MH — ccMaifiopa
aeaeneeT oroneit.

Heöo— b aapese jihjiqbom,


cbct anaoBHü na cHerax,
eaOBHO MH -- B npO-CTpaHCTBC HOBOM,
CnOBQO -- B HOBbIX BpeueHaX.

0'HHHOKO BCKpHKHeT ItTIIIia,


orpflxHjB KpHnaMH ent,
h aaebinacT na.M pecHimH
öeaocHeaiHaH MCTeai». , .

HsffajIH -- JIOKOMOTHBa
nocTynb THHacaa' cjimiiHa.
Cnopo OHHCKoro sauHBa '
. H3M OTKpoeiCH erpana.

T h noftuenib, Kan b btom uope


odaer'jaeTCH lym a.

178
Dolce fratello ! Imbrunisce

Dolce fratello! Imbrunisce.


Le campane si sentono appena.
L a pianura è già tutta bianca —
la ccchi-di-sonno è passata.

È passata solenne, fermandosi,


vicina, impercettibile.
E di nuovo per noi, come una volta,
il pesante fardello è leggero.

Tra le due pareti della selva


cade una rada neve.
Dinanzi a noi d ’un semaforo
verdeggia la fiammella.

Il cielo è avvolto d’un bagliore lilla,


una luce lilla sulle nevi,
quasi fossimo in un nuovo spazio,
quasi fossimo in epoche nuove.

Solitario griderà un uccello,


scrollando con le ali un abete,
e la bianca bufera di neve
ci coprirà di cristalli le ciglia...

D i lontano si sente la pesante


andatura d ’una locomotiva...
E del Golfo Finnico tea poco
ci si aprirà la contrada.

T u capirai come diventi lieve


l’anima in questo mare,

179
h K an n e ra c H y r so p ii
sa. rpflKOK) K aiB H in a.

B o 3BpaTflCK , yiOTHO OHHCeSH


nepei neraofi Ha i.ospe
H THXOHBKO HepeCKaffiCM
BCÖ, HTO BHHeJIH, CCCTpe. . .

K ohhhm. T hxo BCTaneT c iipecea,


H O jn a n H B a 11 C T p o ra .
CnanteT KaatioMy: « B j r ì Becca,
3 a OKHOM jieHtaT ciiera ».

13 am apM 190S

180
quali crepuscoli si spengano
dietro le canne a filari.

Al ritorno, distesi a nostro agio


su un tappeto dinanzi alla stufa,
sommessamente racconteremo
tutto ciò che s’è visto alla sorella...

Finiremo'. Si alzerà pian piano


dalla poltrona, silenziosa e austera.
A ciascuno di noi dirà : « Sii lieto.
Dietro la finestra c’è la neve ».

13 gemmo 1906
Jlaaypwo (wiejpaoä Meenii njiHJi

JIaaypHO 0neji;Hofi mcchu ihihu


H3orHyreM nepcTOM.
Y Bcex, K KOMy h npiixoniin,
Si,in astili por KpecTOM.

O'cnan ayóoB hbjish nenanL,


II 3a BeHtfOM BOJIOC
K a n a a ia c b iiepno KoimaT la n b ,

rae BJiacTBOBan xaoc.

y Htemmra B3op 6hji T y c K H II T'yn,


li caparne» 0 m ji irx Bsop:
h anari, » to cynopora ryo
OTKpHUH IIX n030p,

BTO HHjlH HO»B II SaÔKCTbe,


ho neHb iix omanim. . .
Katt capammo iiiipnoe »H a te
HJIH T e X , KTO HSMCHHa!

Mil CMyTHO nOMHBJIHCb inani,


nawp.Hwft TaöHMÄ cxpax,
il naHJiii KpacHHe Kpyrat
.B H3My^eHHux rnasax.

MeHfl CHOiMan, kek aiiett, n^saH,


IÏHTJIHBHË rOCTb--- fl SHBH,
»TO KOMIiaT ÔapXaTIIHli TVliaH
Mae nyrny oTpaBSHJi.

Ho, nyniy HeatHyio ryoa,


B- CC0H B0H3â.H HOJK,
Nel pallido azzurro la luna nuotava

Nel pallido azzurro la luna nuotava


come un dito ricurvo,
Tutti quelli dai quali mi recavo
avevano in croce la bocca scarlatta.
p p r-.
Il ghigno dei denti mostrava dolore,
e a ritmo dietro il serto dei capelli
vacillava una fuga di stanze,
dominate dal caos.

Le donne avevano uno sguardo apatico,


uno sguardo appannato e terribile:
sapevo che gli spasmi delle labbra
palesavano il loro disonore,

che bevevano notte e dormiveglia,


ma che il giorno le aveva bruciate...
Com’è orrida la placida dimora
per coloro che furono infedeli!

Ricordavano vagamente i passi,


la paura arcana delle cadute,
e cerchi rossi nuotavano
negli occhi estenuati.

Mi stringeva come una serpe il divano,


ed io sapevo, ospite curioso,
che la nebbia di velluto delle stanze
mi avvelenava l’anima.

Ma, rovinando l’anima soave,


ficcando in me la lama d’un coltello,

183
H' b M jKax ysH asaii reoa,
5aiicTare;xBHafl jiojkb!
O, san ax njia.MeHHHl B yxe»!
0 , nientecTanpri m et !
0» peau Maros n bojixbob!
ITepraxieiiT ;-i;e;rTwx KHiir !

T h , CeatHMaHHaa ! B o a x s a
HCBenoMaa noni»!
T h HäniemaJia une catm a,
CBaBanmae HOHb.

MHeapb 1906

184
fra i tormenti io ti riconoscevo,
splendida menzogna!

Oh, l’odore ardente dei profumi!


Oh, Pattino frusciarne!
Oh, i discorsi di maghi e di indovini!
L a pergamena dei gialli libri!

Tu, donna senza nome! Misteriosa


figlia di un indovino !
Mi sussurravi parole,
che fasciavano la notte,

gennaio 1906

185
Heauoea m m

Mh BtiineM b can; c Toßoro, ckpomhoë,


H ÖyneM CTpaHCTB'OBaTb OHHH.
T h ßynenib sa ipaBo® tcmhoü
HčfčaTb KynaabCKtte ormi.

H 6yny HOTäTB c rnyfiOKoi: Bepoü


lynec, HtenaeMBix Toßot:
nycTfe BcnHXHeT naflöpoTHHK cepnfr
non BCTpeneHyametCH p y n o l.

I loBb nöJiHXHCT seneHHM cbctom, —


BcnB c He® BiiecTe BcnaxHeiHB th ,
ynoeH'a b BOttmeßcT'Be stom
nBOÄHOÜ OTpaBÖf KpaCÖTHl-

f l ßyny HtnaTb, Jiwßyaeb Bratne,


ho'ihhx HieaaHHl He ßyna.
T bohx neBOTbMx OHepraHHÄ —
ne ßoicH — ne cnymy, hiith !

Ho, ecjut hohe, BcrpnxHyB bctbhmb,,


saxoner & Hede HSHeMom»,
h aarjiHHy b tc6h raasaiiH
'TyMaHHHMH,. KSK STa HOHb.

H 5yae.T Mûr,' «orna m cHnnena>


eine b HHBie Heßeca.
H b hobBix neßecax ysHniniib
3IMQIB jpe 3B63HH — Mon rnasa.

186
La notte di San Giovanni

Scenderemo' in giardino, mia modesta


amica, per girellare da soli.
Dietro l’erba scura cercherai
i fuochi di San Giovanni.

Io aspetterò con profonda fiducia


i prodigi da te desiderati :
le grigie felci divampino
sotto la tua mano che sobbalza.

L a notte brillerà di verde luce, —


e con essa anche tu risplenderai,
inebriata in questo sortilegio
dal doppio veleno della bellezza!

Io aspetterò, estasiandomi in segreto',


senza destare aneliti notturni.
I tuoi lineamenti verginali —
non temere — non spaurirò', bambina!

Ma se la notte, scrollati i rami,


vorrà illanguidire nel cielo,
io ü guarderò con le pupille
nebulose come questa notte.

Verrà un. istante in cui tu scenderai


.ancora in altri cieli.
E nei nuovi cieli scorgerai
soltanto due stelle — i miei occhi.

•187
M arl B am u HeÖe raaa ynopiiBix
TH BCH OTpaaSCHa--- CMOTpH !
H non Hasec Beisel yaopn&ix
npOHHKJIO TäHHCTBO 3 apil.

12 {ßeepcum 1906

188
In questo cielo di occhi pertinaci
guarda come sei tutta riflessa!
Sotto un tetto di rami arabescati
è penetrato il mistero dell’alba.

12 febbraio 1906
HesROKOMKa

Ilo Beaepau nan pecTopaHauH


ropfraafi Boanyx hhk h rn y x ,
0 npaBHT OKpHKSHH HbHHHMH
BeceHHHfi. il TJieTBopHBii a v x .

BaajiH , nan iïeijimq nepeynoTOot,


ean c k jk o 'I aaropoaiibix nan, .
ay rb 30HOTHTCH Kpeanejib oyjiomioii,
h paanaercH neTCKHt n aan.

H KaJKHHfi Benep, sa inaardayMaMii,


aanaiwHBaH kotcjikh ,
cpeRH KanaB ryjiHWT c aa.uaiun
acnuraHHue ocipaKH.

H an osepoM CKpmiHT ymnoaBHU,


h pasnaercH m ceckkì Biiar,
a b ließe, ko Bceaiy npsynenHiafi,
ßeecMHCJieimo kphbhtch huck ,

II KajKHMi Bcnep n pyr enHHCTBeHHHl


b Moe.M cTaKaHe orpaateH
h BJiarofi Tepmtoft ii TaHHCTseHaofi,
KaK a , CMHpen h ornyuieu.

A pHHOM y cocenmix ctohhkqb


aan en c o m u e TopaaT,
ii ubjihiiubi c raaaaMH KpomiKOB
« I n vino v e r it a s !» iipimaT.

II Kaw-tHHl Beqep., b aac HasHaneHimi,


(irab svo ToaibKO chhtch mhc?)

190
k QßtA« /W,
Oft f t i f f U*. jEïulâ.
A Ml ft Û V» «4» UL&ft
/{ Éi /0*>-C yAiÄ j r ^

IA C ^ y : ttsfefco* 3 M lo fi-w fc j’’'


d tco ^ 3*L Wlâ sAtAcyfta fiUA^".
A Ä J^>e-aa e %oy»c &c%^4CT
$4 o loft) cuA .

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c_Ai^ 'ïXt-'A Ce tU'yxtsM,
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(jštu A - ^iA tiU v


mm
L a Sconosciuta

Hl set ate sopra i ristoranti


ia infocata è selvatica e sorda,
^'governa i clamori degli ubriachi
■ spirito pernicioso della primavera.

■ ££iòntano, sulla polvere dei vicoh,


-Sul tedio delle rille suburbane,
^indora la ciambella d ’un fornaio,
%'kd echeggia un pianto di bambini.

I'-Ed ogni sera, dietro le barriere,


con il tubino sulle ventitré,
passeggiano tra i borri con le dame
-, esperti bontemponi.

Sopra il lago scricchiano gli scalmi,


1 ed echeggia uno strillo femminile,
S mentre, abituato ad ogni cosa, in cielo
I stupidamente il disco si corruga.

s ; Ed i gni sera runico mio amico ■


\ '' si n erbera nel mio bicchiere
I l i , dall’acerbo e misterioso liquido
I - è, acme me, sottomesso e stordito,

mentre daccanto, ai tavoli vicini,


sonnacchiosi lacchè stanno impalati,
e uh ubriachi dagli occhi di conigli
p. affannano'a gridare « In vino veritas"! ».

Ed ogni sera, all’ora stabilita


(oppure è questo solamente un sogno ?),

193
1
fleBOTHä CTaH, uieOTtaMH cxBaaeH H Ui,
B TyMaHHOM HBHHteXCH ÖKHC,

H MenaeHHO, npoäjxa Mem ni.aHHMH,


Bceraa dea cnyrHHKOB, oflHa,
num a ayxaMH h lyjiaHaM H,
oHa caflHTCH y oKHa.

H BetOT HpeBHHMH nOBepBHMH


ee ynpyrae melina,
h nmana c TpaypHtnua neptaMH,
h b Kontpax yaitaa pyua.

H CTpaHHOH dnH30CTM0 3aKOBaHHUft,


CMOTpio 3a TeMHyro Byana,
h BHHsy deper oaapoBaHHHfi
h oaapoBaHHyio pana.

FjiyxHe TaËHbi MHe nopyaeHH,


MHC abe-xo conHpe B p y a e H O ,
h Bceft nyniH Moett H3JiyaiiHH
npoH3Hao TepnKoe bhho.

H nepbH cTpayca cKnoHeHHBie


b MoeM KaaaiOTCH M 03ry,
h oaa CHHiie 5e3HOHHbie
pBeTyr Ha paabHeu depery.

B Moeft nyuie nemar cottpoBHipe,


h KJHoa nopyaeH xonbKO MHe!
T èi n p aso , HbHHoe aynoBam e!
f l 3HaiO : HCTHHa B BHHe.

2 i anpejw 1306. Oseptm

194
una fanciulla inguainata di seta
flf
M nella finestra nebbiosa sì muove.

Lentamente, passando fra gli ubriachi,


sempre senza compagni, sempre sola,
esalando caligine e profumi,
si va a sedere presso la finestra.
■« I
Ed effondono antiche credenze
le sue elastiche vesti di seta,
e il cappello con piume di lutto,
e la stretta mano inanellata.

Avvinto dalla vicinanza strana,


guardo di là dalla, scura veletta,
e vedo una riva incantata
ed un’incantata lontananza.
:
Cupi arcani mi sono confidati,
un estraneo sole mi è commesso,
ed il vino acerbo .ha penetrato
tutti i meandri delfanima mia.

E le piume dì struzzo inclinate


vacillano nel mio cervello,
e gli occhi azzurri senza fondo
fioriscono su una riva lontana.

Nella mia anima giace un tesoro,


la cui chiave è affidata solo a me!
Hai tutte le ragioni, mostro ubriaco!
L o so bene : la verità è nel vino.

24 aprile 1906. Ozerki

?
195
;
PÿCb

Th li bo CHC HeoßmaiHa.
Tsoefi oaeaîflH ne kochjcb.
flpe'Mji» — h sa ipeMOTot Tatua,
h b xaËHe — TH noBHenib, Pycb.

Pycb, onoHcaiia pcnaMii


h neßpHMH oRpywena,
c öonoTaMM. h HtypaBjiHHH,
H C MJTHHM BaopO'M KO.Tayiia,

rge pasHOJiHKHe Haponu


mb Kpafl b K p a l, mb aona b roji
Benyr homehc xopoBonu
non aapesoM ropanpK ceji.

I’ae BcayiiH c BopomeHHH


qapyioT bjiskm Ha nontax,
M B^nbMH T e m a T C fl c aepTHMii
B nopOHUIHX CîIOrOBblX CYO.TÔaX.

Tac ôyfiHO BaiteTaeT Bbiora


HO' KpMiim — yraoe «natte,
h nesyniKa lia aaoro npyra
h oa cueroM tohiit nessee.

Fate see nvTii h b ce pacnyibfl


HCHBOË K.TKtKOÜ II3MOHÌHC'HH ,
II BHXpb, CBHCTH1I|HË B rOJIHX npVTbHX,
noeT upenaHbH ciapaHH. , .

TaK — a ytmant b Moeit npenoTe


CTpanH poHHMOH HiimeTy,

1%
Anche nel sogno sei strana.
Non toccherò la tua veste.
Sonnecchio — e dietro il sopore è il mistero,
e nel mistero tu riposi, Rus’.

Rus’, circondata di fiumi


e avviluppata di boscaglie,
con stormi di gru e con paludi,
e con torbido sguardo di stregone,

dove popoli di vario aspetto


di paese in paese, di valle in valle
intrecciano halli notturni
sotto il bagliore di villaggi in fiam me..

Dove indovini con fattucchiere


ammaliano le graminacee sui campi,
e le maghe trescano coi diavoli
nei vortici di neve delle strade.

Dove furiosa la tormenta avvolge


sino al tetto la fragile dimora,
e la ragazza affila nella neve
contro fam ico perfido una lama.

Dove tutte le strade e i crocevia


sono estenuati, da una viva, gruccia,
e il. turbine, fischiando tra le nude
verghe, canta leggende del passato...

Cosi ho riconosciuto nel sopore


la povertà della terra natia.
h b nocKyTax ee jioxmothë
ayiim CKpHBaio nanny.
Tpony ne^antHyio, hohhjto
h ,no norocra npoToirran,
h Tau, Ha Kiian;6Hme hohvh,
noROJiry necim pacneBair.
H caM ne hohsht» ne H3Mepiui,
Kouy h iiecini nocBHTiin,
B' KaKoro iâora cTpacrao Bepnn«
Kanyio neBjniKj jïiqShji,
/K iibvìo nyniy vKaaana,
Pycb, Ha cBOtix npocropax, tu ,
h bot, oiia ne 3anHTiiaaa
nepBoiiaHariBHotì hhctoth.

JJpeujiio — h sa apc-Moioii TaiiHa,


h b Tai'me iioaiiBaei Pyct.
Olia h b eaax jieooMHaiiiia.
Ee ohcìkìih He kochvcl .

24 ceHmn&pn 19GS

198
e nascondo la nudità dell’anima
nei brandelli dei suoi stracci.

Mi sono aperto sino al camposanto


una mesta viottola notturna
e, passando' la notte ai cimitero,
per lungo tempo ho intonato canzoni.

Ed io stesso non so, non ho compreso


a chi quelle canzoni eran rivolte,
in quale Dio credevo ardentemente
e chi era la ragazza del mio amore.

Tu. hai cullato', Rus’, l’anima viva


nello spazio delle tue distese,
ed ecco — essa non ha contaminato
la sua primordiale purezza.

Sonnecchio — e dietro il sopore è il mistero,


e nel mistero riposa la R us\
Anche nei sogni essa è strana.
Non toccherò la sua veste.

24 settembre 1906

199'
0 L ie 3 $ , 3 aöpM 3 raHHHH 3Be3saMii

IHjieö$, 3a6pM3raHHHH 3Be3aaMH,


CHHHÖ, CHHHH, CHHHH B30p.
Meat 3esnxeß h HeSecaMH
BHXpeM HORHHTHH KOCTep.

}K h3hi> h CMepTï. b KpÿateHbH bcthom,


Bea — b niemtax T yrax —
TH --- nyTHM OTIfpHTa MneqHBIM,
CKpHTa b ryqax rposoBhix.

n a n a nyniHHe TyMaHH.
FacHH, racHK cbct, npoateficH M raa. . .
Th — pÿTtoïD y 3 K o tt, Genoa, erpaHHofi
éaKea-KyôoK b pyirn mhc n ana.

KyGoK-ÿaKen ôponiy b Kynon chhhô —


paciîaecHeTCH Mnerabm nyTb.
T h oSHa Bsoftnenib Han Bcefi nycraH ea
x n ae i$ Kouetu passepHyTb.

f l a t eepeSpaHHx KOCHyrbca ciîaanoK,


paBHonymmiu eepnueM 3HaTb,
Kan Mût nyTb cTpanajibHHft cnanon,
Ka:K a e re o h hcho yaiHpaTb.

C6fiMA§pb IMS

200
Uno stràscico spruzzato di stelle

tin o stràscico spruzzato di stelle,


un azzurro, un azzurro, azzurro sguardo.
Fra i d eli e la terra un falò
sollevato da un turbine.

V ita e morte in un vòrtice perenne.


In una tesa guaina di seta
ti affacd alle vie lattee, nascondendoti
fra nuvole temporalesche.

Sono cadute le opprimenti nebbie.


Spegniti, spegniti luce, dilaga foschia...
T u con la mano esigua, bianca, strana
m i hai dato in mano una fiaccola-calice.

L a scaglierò nella cupola azzurra —


traboccherà la via lattea. D a sola
tu salirai sopra il deserto a svolgere
lo' stràscico delia cometa.

Fammi: sfiorare le tue pieghe 'argentee,


conoscere col cuore indifferente
come sia dolce il mio mesto cammino,
come sia Beve e lim pido morire.

settembre 1906
Oma eo deop

Oana une ocTanact» Haaeataa:


CMOTpCTJjCH B KOXOReSb RBOpa.
CseTaer. Beneer oae;-Kna
b pacceHHHOM CBCie yrpa.

H cjiH'iny ■— CTapiimibie penn


npocHymcB raydoKO Ha rh s .
B oh T6IUIHTCH HteJITHS CBCTH,
saSbiTBie b ' HteM-TO oKiie.

PononnaH Konma, npnatanacb


y JKOJioSa yTpeHHBx Kpwm.
SanaanaTb — ohho mhs ocranocb,
h c a y m a n , kok »oapHo th cumin,.

T h cniiint», a na yatme tuxo,


h h yiiHpaio e tockh,
h a,noe, rouoiHoe H hxo
ynopHO CTyBHTCH B BIICKII. . .

3 x , MaHHË, B3FJIHHH MH6 B OKOHHe!


fla Hs t , He aaraaHeiHH — npofineini,
CoBceu fl Ha SHMHee connue.
Ha rjiynoe connpe noxoac.

OKITJSßpi. 1905
Finestre

U na sola speranza mi è rim asta:


rispecchiarmi nel pozzo del cortile.
Fa giorno. Biancheggia un vestito ..
nella luce diffusa dei mattino.

Io sento che antichi discorsi


si sono svegliati, nel fondo.,
Vi bruciano gialle candele,
obliate in qualche finestra.

Una gatta affam ata si stringe


alla gronda dei tetti, mattutini.
_Non mi è rimasto che rompere in pianto
e ascoltare il tuo" placido soan br

Tu dormi, e per strada è silenzio,


ed io m i struggo d’angoscia,
e il Male affam ato, funesto
picchia tenace alle tempie...

Ehi, ragazzo, alza g li occhi alla finestra!..


Ma no, tu passerai senza guardarm i...
D el tutto a un sole invernale,
a uno stupido sole io rassom iglio.

ottobre 1906
Tinulina ueemem

Suera» Tininraa u serei n ^ bii/kct


THHtejiHM KopaßjieM nyaiM,
h seTcp, nee iiocjiviuhbiü, Matei
sy n . nparayTHe KaMHinn.
3»era» b saBogb npaaffHyio Hcenam>e
CBOH npHBOIHT KOpaÖJIH.
H cjiaflKo THX.oe HesHante
o najiBHHX ponoTax scmuh.
S ucci. jierKMM oôpaaau h nyiian
H OTÏtaiO CTtïXII MOU,
H TOMHHM 1IX BCipCSaiOT IHJMOM
perni coraaciiue cipyn.
H., TOMHO OnyCTiSB peCHHIIH,
BBT. HeBVlIIKII, B. CTHX8X npOHH-H,
K.SK OT crpammiii no CTpainnu.i
b lant. noTHHyuH »ypasHH.

H. KSJKHHË 3BJK 6bUI BSM HaueKOM


H HeCKaaâHHbTM -- KafflMHt CTHX.
H b u moGtnm na itmpoKOM
npodope jierKHX pinfm mohx.

H KajKnaa HaBCR ystia.ra


h ne aaGynei HHKorna,
KaK oSimiiana, penoBajia,
Kan nejia Taxas sona.

OKJTMÖpt» JS101lî

2 04
Il silenzio fiorisce

Qui il silenzio' fiorisce movendo


il pesante 'vascello delTanima,
e 11 vento, cane docile, lambisce
i giunchi appena incurvati.

Qui il desiderio in un’insenatura


vuota fa attraccare i suoi vascelli.
E in questa quiete è dolce non sapere
dei murmuri. lontani della terra.

Qui a lievi immagini, allevi pensieri


io consacro i miei versi,
e con un languido fruscio li accolgono
le armoniose correnti del fiume.

Abbassando le ciglia con languore,


voi, fanciulle, nei versi avete Ietto
come le gru da una pagina all’altra
siano volate nella lontananza.

E d ogni suono era per voi allusione


e sonava ineffabile ogni verso.
E d amavate nell’am pia largura
delle mie rime scorrevoli.

E ciascuna per sempre ha conosciuto


e non potrà dimenticare mai
come baciava, come s’aw inghiava,
come cantava l’acqua silenziosa.

ottobre 1906

205
Winy ornefi — oraefi nonyTHUX

Winy orneii — orneft nouyiHbix


b tboë qepHHfi, BeaoBCKüii npemeji.
Meat TCHHWX saBonefl n mvthhx
orpoMHutt MecHu noKpacnea.
Ero hboühiik :njiHBeT nan hccom:
il cKopo ctaiieT sojiothm.
Torna — iipocTop 6 ojiothhm fiecaM,
H BORHaHM, 11 HeCOBMM.
BepTHEBMö 6ec sepxyinKot emi
IipOTKHBT HCßeCHHl 3QHOTOË,
li nojiro Syayr neri. csHpeJin,
h erano SBHKaTB sa p e K o t.- .

II naatine nyn>,. h iiecau Buine,


h 3BC3HH MepKHjrr b eepeôpe.
H THXO OSapHJIHCb K’pbllUII
b no'iHoii aepemie, Ha rope.

Hny, h xojiorciot poeti.


h cepeÖpHTCH o refie,
Bcë o Teôe. pacnaerraeft koch
Hjih npyra xafiHoro, b hs6c.

T a il Mue naxvHiix, nyniHHX senaM


H HflOU CHaHKHM SaMOpOHB,
qro6, pa3 bkjchb tbohx B e c e r a !,
HaseKH HOMHHTb 3TJ HOEb.

oraiUBfiipb 1906

206
Cerco le luci — le l u d propizie

Cerco le lu d — le lu d propizie
verso il tuo nero limite stregato.
Fra insenature tenebrose e torbide
la gigantesca luna s’è arrossata.

Il suo sosia galleggia sopra il bosco


e diverrà subitamente d’oro.
Allora — largo ai diavoli palustri,
e agli spiriti acquatili e boschivi.

Con un abete un diavolo smanioso


trafiggerà Io zecchino del cielo,
e canteranno a lungo le zam pogne,
tintinnerà la greggia dietro il fiume...

La strada seguita, piu alta è la luna,


nell’argento le stelle impallidiscono.
Lentamente s’illuminano i tetti
nel villaggio notturno, in cima al monte.

Cammino, e le rugiade si raggelano,


coprendosi d’argenteo luccichio'
al pensiero che hai sciolte le tue trecce
nell’isbà per l’amico misterioso.

Dammi filtri odorosi, soffocanti


e annebbiami con un dolce veleno,
perché, inebriato- delle tue delizie,'
io ricordi per sempre questa notte.

ottobre 1906

207
BajiasoH
Hy, raapaa «mraa, notaeM
jiOMaiB cDoero IIIeKcnupa!
M uh

H an aepHofi cjiHKOTfcio nopora


öe noHHHMaeTca TyMaa.
ße3yT, noKpaxTHBaa, nporn
Mofi noJiHHHJiBifi ÖanaraH.

JI hho jcHeBHoe ApjieKHHa


ernte ßnenHeö, neu ähk Hbepo.
H b yroJi npHaer KcuioMßHHa
JIOXMOTbH, emHTMe HBCTpO. . .

Tamirrecb, TpaypHHe kjihhhI


ÄKTepu, npaBbTe peitecno,
HTOÖH OT HCTHHM XOflHHefi
scesi CTa:io ëoabHO m e se ia o !

B TattHHK nymn npoHaioiä nneceHb,


ho Hano naanaTb, nerb, hhth,
htoÖ b p an MOHx 3aMopcKHx neceH
OTKp.HÄHCb TopiIHe HÿTH»

HOHÖpb 1 9 0 6

208
Il baraccone

Su, vecchia rozza, andiamo


a declamare il. nostro Shakespeare!
Keam

Sopra la nera mota della strada


non si solleva la nebbia.
Una carretta porta rantolando
il mio scolorito baraccone.

D i giorno il viso di Arlecchino è ancora


più smorto del sembiante di Pierrot.
E Colombina nasconde in un angolo
brandelli di rappezzi variopinti...

Trascinatevi, lugubri rozze!


Attori, eseguite il mestiere,
perché da una banale verità
abbiano tutti sofferenza e luce !

L ’intimo dell’anima è muffito,


ma occorre piangere, cantare, .andare,
perché si "aprano strade abituali
per l’èden dei miei canti oltremarini.

novembre 1906

2 09
M
T h CMOTpEtIHB B OHII HCHHM SOpflM

T h CMOTpmnb b oto hchbim sopHM,


a ropoa CTaBiir oroHbKii,
h b nepeyjntax naxiier aiopcM,
noiOT ^aôpmHHe rym sa. -
H. b cyere Heno6ennHoft
jiym a lyuaBau npeaana. . .
B ot KpacHHt iuxam» neraniH t mimo ,
bot » chckmI roaoc, KaK CTpyna.

H HOMHOIM TBOH HC CMCUM,


KaK ckh&bkh coBpeueHHHx pim. . .
H HteHiqHHH peCHHI(H-CTpejIH
Tan «iacTo onycKaioT bhhb.
Koro TH B C.KOJIB3KOM MTJie aaMßTBOI?
Hm OKHa C'B'CTHT CKB03B TVJiiail ?
3«ec& pecTopaH, nan xpami, CBeieat,
h xpan oTKpHT, KaK pecTopaH. . .

H a ôeamexoRHHe o6uaHH
nyina Hanpaeiio noHecnact:
h Bsopu ae-B h pecTopaiiBi
noracnvT Bce — b ypoanm l aac.

demßph 1906

2 10
Guardi negli occhi i limpidi crepuscoli

&
Guardi negli occhi i lim pidi crepuscoli,
H» e la città dispone le fiamm elle,
ed i vicoli odorano di mare,
cantano le sirene delle fabbriche.

E nellìndomabile trambusto
l'anim a alle nebbie è abbandonata...
Ecco un rosso mantello svolazzante,
una voce di donna come corda.

E le tue intenzioni sono timide,


come le pieghe delle vesti d’oggi...
E le donne così spesso abbassano
le loro dgliarfrecœ .

Cni hai scorto nella lubrica foschìa?


Quali finestre nella nebbia brillano?
Qui il ristorante è chiaro come i templi,
e il tempio è aperto come un ristorante...

Inutilmente l’anim a è volata


\ erso questi inganni irrim ediabili :
gli sguardi delle donne e i ristoranti
à spegneranno all’ora destinata.

dicembre 1906

211
B ot HBHjiacB. 3ac.7oim.ia

B ot HBiiaacb. 3acnoHBuia
Bcex HiapaKH'Hx, Bcex noRpyr,
H' l y n i a bioh B c x y r m n a
b npeHHaaHaTenmit e t n p y r.

H EOH 3H0HHHM CE6HCHUM CTOHOM


pacyBean neptu tboii .
TOŒfeKO TpOtKa MMHT CO 3B0H0M
B. CHeJKHO-GejXOM 'BaÔHTbïï.

T h B3Maxnyjia ßyßenuaMii,
yBjieuaa mchh b. nona. . .
Jlymniub nepHHMH menuaira,
pacnaxHvaa coôona. . .

H. o T oil n u Boa& H ûii B o n e


Berep im a n e x b h o ih » p e r n i,
H 3BCHHT, H' F aC H JT B HOJie
ßyöeHEH, na oroiibKii?

3 o« o t Q'Ë t b o ii n o a c c x a n y x ,
i ia r n o en p o M en h u k h ë B 3 o p !
IlycTb MruoiBCHba B c e o ß n a n y x ,
K a a y T b nnaM eH H H Ë n o c T e p !

T au nycKai æ e sexep ßynex


l ïe T b O'ÖMaHH, nexb inenital
Ilycxb Basen ae 3iiaioT aianu,
Kan y3i-;a tboh pvna !

212
Ecco è apparsa. H a offuscata

Ecco è apparsa. H a offuscato


tutte le amiche, tutte le eleganti,
e la m ia anima è entrata
nel cerchio a lei. assegnato dal destino.

Sotto il gèmito ardente della neve


sono fiorite le tue fattezze.
Solo la tròjka fugge tintinnando
in un bianco-nevoso assopimento.

T u hai scrollato i sonagli,


mi hai trascinato nei cam pi...
Con seta nera mi strangoli,
sbottoni lo zibellino.,*

Forse per quella libertà sbrigliata


si rammarica il vento lungo il fiume,
tintinnano e si spengono nei campi
i sonagli e le deboli fiammelle ?

È serrata la tua cintura d’oro,


sfrontatamente modesto lo sguardo selvaggio !
I m inuti ingannino ogni cosa,
svaniscano in un rogo fiam m eggiante!

Cosi il vento si metta a cantare


gli inganni, a. cantare la seta!
G li Uomini non sappiano giam m ai
com’è sottile la tua m ano! Come

213
Kau 3a tcmhok» Bjaniio
»me na Miir OTKpunacb nani». . .
KaK Hau Seaoii, c-hkkhoü jajihio
najia TeuHan ayant. . .

denaß p* 1906

214
per un attimo dietro la scura veletta
mi si è dischiusa la lontananza...
Come sopra la bianca, la nevosa
lontananza è caduta la scura veletta,...

dicembre 1906
Bmopoe Kpeufeme

O rap SD IH HBCpb' MO® MeTeJIM,


s a c T H jia r o p n i m a m o b ,
h b h q b o iï c u e r o B o ii K y n e n fi
K p e iq eH B T o p m i K pem eH beM .h ,

H b HOBHÜ i m p BCTynaa, m a® ,
HTO jiTOHH ecT b , h ccT b n e n a .
H to n y rt OTKpwr naBepiio k paro
Been, KTO liner iijthmh ana.

H Tan ycTaji ot nacK nonpyra


H a B acT H B aro m efi 3 e u n e .
H nparoii.eHHHfi « a iie a i. Bbiorii
C B ep n aeT h b h h h o ì H a n e u e .

II ro p n o c T B HOBoro K penieH bH
n e e cepn n e o ô p ax n n a b neu.
T h mhc cynmub cute MraoBeHM?
ripopolano», HTO Beam npaner?

H o nocM O Tpn, KEK c e p a u e p a n o !


3 a r p a » n e H a C H eraiiH t b c p h b .
B e e r a i n e o y n e i , h He n a n o :
K peiqeH beM ip e rb H M 6 y n e T — CM eprc».

3 .w&apsI 1907

216
Secondo battesimo

Hanno aperto il mio uscio le tormente,


è gelata la m ia cameretta, „
e in un insolito fonte đi £ e v e ^ )
io ricevo un secondo battesimo.

7/ Ed entrando in un nuovo mondo, so


che vi sono uomini e faccende.
Che la via del paradiso è aperta
a chi batte le strade del male.

Sono stanco dei vezzi dell’amica


sulla terra che sta assiderando.
E una preziosajnetta di bufera
luccica eome^hiaecig) sulla fronte.

L a fierezza del nuovo battesimo


ha trasform ato in ghiaccio il m io cuore.
T u mi prometti altri istanti?
Predici un’imminente prim avera?

M a guarda come il cuore si rallegra!


Sbarrato dalle nevi è il firmamento.
L a prim avera non verrà, e non serve :
terzo battesimo sarà la Morte.

3 gennaio 1907

217
H onxmb eneea

H onfiTB, OHHTB ciiera


saMCJiH cjiejpa. . .
H a s nycTHHeli chcjkhèix. Meer
HPCMHIOT jpae 3B63HH.

H n o m , noioT pora.
Han napalm su o i boum
BBIOra expOHT Ôejlbliî KpëCT,
paccBinaeT CHCSKUBifi upecr.
OHHHOKHË CMepa,

H Bsa.nn. Braira, Bsa:m,


Meatny Heôoia h aesraefi
secennTca cuepn».

H sa Tyaeft CHeroBoît
sanpeuanH KopaßnH —
onpoKHHyTue b TBepjQ»
CTaHH CHeæHHX MaHT.
H b noHHX ryjraer cuepib —
craeroBoS Tpyôaa. . .

H BBRHMaeT BBïora cuepa,


crpoiiT ôeaHii, ch'Okhh S «peer,
saMeiacT TBepnB. . .

PaspymaeT cnemHHfi npeci


H fîeüîHT OT CHBÎKHHX MBCT. . .
H onfitTB raamiTCH cuepTb
c ÔesaaKaTHHx sbbsh . . .

S Mmapa IM?

213
E d i nuovo le nevi

E di nuovo, di nuovo le nevi


han cancellate le impronte...

Sul deserto di luoghi nevosi


sonnecchiano due stelle.

E cantano, cantano i comi.


Sui vapori dell’acqua maligna
la tormenta costruisce una candida croce,
sparpaglia la croce nevosa
un turbine solingo.

E lontano, lontano, lontano,


fra il cielo e la terra
si dà bel tempo la morte.

E dietro una nube di neve


si sono assopiti i vascelli —
capovolti, gli alberi nevosi
V nel firmamento.

E nei campi gavazza la morte,


trombettiere di neve...

E solleva la tormenta un turbine,


costruisce una candida croce nevosa,
ingombra il firmamento...

Dirocca la croce di neve


e fogge dai luoghi nevosi...
E di nuovo si specchia la morte
dalle stelle senza tramonto...

8 gennaio 1907

219
Hod MaCKOMU

A non MacKoft 6hh.o 3Bea:iuo.


y jIH Ö ajia C B 1BH-TO IÎÛBCCTb,
K o p a r a n a c b thxo hohb.

II sanyMTOsaH cobcctb,
teso nixasaa nan ßesaHoit,
ysofflijia speMH npo'-ib.

II b p y i e a x , K o rn a -T o c r p o r u x ,
dint Sonali CTeKJiHHHMX B .i a r .
H o a b c x o j u a a H a a e p T o r ir ,
3auewiHH m ar.

II nOSBflKHBaSH METE,
h 3BeHena sn ara b eepane,
h apasHini scaenwii BaiiaiiK
b noropeBHißM xpycTaae.

A b n m a n y ip e M a m a K iiiir n .
TaM — K peBHol CTapimnoi HBepne
iipiraeniincH r o o m s jiaabHiiK
na OHHOM Kptme.

9 a m a p a 1907

2 20
Sotto le maschere

Ma c’erano stelle sotto la maschera.


Sorrideva una storia misteriosa,
scorreva sommessa la notte.

E la coscienza pensosa,
fluttuando sommessa sul bàratro,
rapiva il tempo.

Fra le mani una volta severe


era un. boccale di vitree rugiade.
L a notte discendeva sui palazzi,
rallentando il passo.

E tintinnavano gli attimi,


e tinniva nel cuore la rugiada,
ed un verde barbaglio stuzzicava
nel cristallo ormai spento.

E nell’armadio i Ebri .sonnecchiavano.


Al vecchio sportello intagliato
s’era attaccato per un’ala sola
un nudo ragazzo.

9 gennaio 1907
Cepôife npedauo Memeau

CiBepKHH, nocaeiHHH «m a,
b cuerax!

BcTaHB, orHCHHinaniaa Mraal


BaMCTH TBOiî CHCHtHHt Hpax!
Yoeit ueHH, Kan h ySua
KOrna-TO 0JIH3KHX. MHC!
fl Bcex 3a6un, «oro jho6hji»
a cepane BBiorofi aanpyTiux,
h ßpocuji eepjme c Ôenbix rop,
Oho aejKHT na hhc!

fl ca.M HHy Ha tboèî Kocrep!


CatHrai mchh!

XïpoHsaË Mena,
KpHJiaTHt B30p, ;
untolo cHencHoro orHfl!

13 mmapœ 1907

2 22
Il cuore è abbandonato alla bufera

Sfavilla, ultimo ago,


fra le nevi!

Alzati, ignivoma foschia!


Spazza la tua polvere nevosa!

Uccidimi cosi come io ho ucciso


uelli che un tempo m ’erano vicini !

Ho obliato' quelli cui volevo bene,

Y ho sollevato il mio cuore in un turbine.


Pho scagliato giu dai bianchi monti,
ora. sul fondo!

Io stesso vengo verso il tao falò!


Io stesso chiedo d’essere bruciato!

Trafiggimi,
sguardo alato,
con un ago di nevoso fuoco!

ÎJ gennaio 1907

223
Ynrna. Ho rnaipraTbi »flami

y mua. Ho ruaipiHTH »nana,


h neHB ne pa3ßyn;nii oiaia,
h b aerotHX cKnaiKax HteHCKof. ma.m
:i|Bejia MoanaH TMiiiMHa.

B KOCHX jiynax. seaepHefi m um ,


a 3H&I01» TH npaneinfc ohhtb
SnaroyxaHBeM hhjibckmx jiHoiaft
Mena nneHHTB m ohbähstb.

Mhc enaöocTB am x pyn sHaKoua,


h ara m enaynias penb,
H CTpofiHO'fi Tanni! IICTOJia,
H MâTOBOCTb lïOKaTHX HJiei •

Ho b mie an tbocm — fieaaiepHOCTb,


h psusMi cjrupaK rjiaa tbohx
raiiT smchhvio iieBepnocTB
h hobb npejairaii rpoaoBMX.

II, MH:py nojibHesiy nojpjiacTHa,


M e» Bcex — ne aiiaemb th oana,
HâKHM: pa^eabAM th npnaacTHa,
KâKQKj Bepoi: Kpeuiena.

Boiiaii, CBoeS He siiaa bo.h i ,


h, »oßpaa, b rjiaaa bstjihqh,
H TCMHEOt B30p0M OCTpoffl 6oaiI
atHBoe eepme hojiochh.

224
Se ne andò. Ma i giacinti aspettavano

Se ne andò'. Ma i giacinti aspettavano',


e il giorno non svegliò "le mie finestre,
e nelle lievi pieghe del suo scialle
il notturno silenzio fioriva.

F ra i raggi sghembi della polvere serale,


lo so, tu verrai un’altra volta
ad affascinarmi e ad ubriacarmi
col profumo dei gigli dei Nilo.

So la fragilità d i queste mani,


e questa, tua loquela sussurrante,
ed il languore'della vita snella,
l’opacità delle spalle declivi.

Ma nel nome tuo è lo spazio immenso,


e la rossiccia tenebra degli occhi
cela una serpentina infedeltà
e una notte di saghe burrascose.

Assoggettata al mondo sublunare,


soltanto tu, fra tutti, non conosci
di quali divozioni sei partecipe,
in quale fede ti, hanno battezzata.

Entra, disconoscendo il tuo volere


e, benigna, rimirami negli occhi.
Col cupo sguardo dell’acuta pena
trapassa il mio vivo cuore.

225
IS
B hoji3h ko Mue snieeft nojiayqei,
b r n y x y i o n o n H o ^ b o r n y iir a »
y c T a M ii TQMHHMii s a i a y i a M ,
K ocoK) H epH oii BafflyniH.

31 M apm a 1907

226
Striscia da me come serpe strisciante,
assordami nella sorda mezzanotte,
con le labbra languide t o r m e n t a m i ,
soffocami con la treccia nera.

31 mano 1907

227
C KäJKHöi iiecHoro

C KaacfloS BecHoio nyTH mou npyro,


MepTBCHHefi cyupaK o ï d .
C Kaatnofi BecHOK) HCHefi h nesyaei
THHHCTBa ÓC.TBIX HÖHCM.

Mecan; jiaju>io onpoKiinya b norareRHet


Marnas, — h b o t
ôaen H oâ

ctepTtic aim a h hbhhhc Gpeami. . .


K apm . . . I^HraHKa noeT.
Cmcxom BonnyeMHË aepaHM h rpouKuu,
ôbdi y iiac iua!.ieHin»m jih k .
Cbct HaSeatan. rtpoMenbKHyjiH noTeMKH.,
B ot oh: GecerpacTen h rhk.
Ban,hihi»:, h MHS iiacTymiaa Ha ropao,
nyinHT Kpacasima hohb. . .
K paciai nocaSÄHiie CMBiaa n crepjia. . .
H to j k ? Ecaii MOHtemb, iipopoHb. . .

JlatKH MOH iicy.Me.TBi h rpyôBi,


TBi me — nenmet, hcm Mai,
Hto me? IJen y t b n o M e p T B c r iB ie ryÔH.
I ïqhc rieaaaijHHii cmmail.

7 ju a a 1907

228
A d o gn i prim avera

Ad ogni primavera si fanno piu scoscese le mie strade,


pM livida l’oscurità degli occhi.
Ad ogni primavera più limpidi e canori
sono gli arcani delle notti bianche.

L a luna ha rovesciato la sua barca


nell’ultima pallida fossa, — e d’un tratto
visi cancellati, ebbre chimere...
L e carte... U na zingara canta.

D a una risata nera e fragorosa


è turbata la nostra effigie ardente.
L a luce irrompe. G uizzano le tenebre.
Eccola : impassibile e selvaggia.

Vedi, anche a me ha calpestato la gola,


mi soffoca la notte leggiadra...
H a cancellato gli ultimi colori...
Ebbene? Se puoi, profetizza...

Le mie carezze sono goffe e .ruvide, '


tu invece sei pM tenera d ’un maggio.
Ebbene?' Bacia le mie labbra smorte.
T ogliti la cintura dolorosa.

7 maggio 1907

229
Korna b. jiHCTBe ctipoft h pmafio®

K om a b jiHCTse CHpoîi H pœ aBot


Pä 6hhh saaneeT' rpoani»,. —■
Koma nana1! pyK öi koctjdîbo®
BoßbCT B JiaiOHB nOCJieHHHÖ rB'ÖSnb, ■—-

Koma Ha« P'üßblO' pCK CBBHQOBÔË,


b cupoft a cepol bhcotb,
npéi: hhkom pojpaM cyposoft
h aaKaaaioOB na KpecTe, —

Toma — npocTopHo h nanëKo


CMOTpiO CKB03B KpOBb npeflCMepTHBIX C3I63,
a BHHsy : no pene mnpoKO®
ko Mae Hauser b aenHe XpacToe.
B raa aa x — Tarare œe HaKeatiBi,
h to ftte pyôm ae Ha neu.
H marno cuorpar a s okcmah
jiaaoHb, npoßaraa rsosneM.

XpacToc! PojBaoâ npocxop neaajieH !


IÎ3HeMoraio Ha Kpecrel
H a e r a tboë — Syptei an npHBaneH
K Moefi pacnHTo® bhcotc?

3 OKimißpa 1007

230
Quando' 'tra foglie rugginose ed umide

Quando tra foglie rugginose ed umide


rosseggeranno i grappoli del sorbo, —
quando il carnefice con mano ossuta
nel palmo pianterà l’ultimo chiodo, —

quando sul plumbeo incresparsi dei filimi-,


ad una grigia ed umidiccia altezza,
dinanzi al volto della patria austera
comincerò a oscillare sulla croce, —

allora — da un’immensa lontananza,


nell’agonia, fra il sangue delle lacrime,
vedrò venire per un largo fiume
Cristo verso di me dentro una barca.

Negli occhi avrà le stesse mie speranze,


e indosso porterà gli stessi stracci.
Misero spunterà dalla sua veste
il palmo trafitto da un chiodo.

Cristo! È infelice la natia largura!


Io mi. sto consumando'sulla croce!
E la tua barca — potrà mai approdare
all’altezza in cui sono crocifisso?

.5 ottobre 1907

23!
B Te ho'to CBCTUHe, n y c m e

B Te nom cBerane, nycme,


Korna b H esy rjiHflH? mocth,
ohm BCTpeaajiMCb, k &k ayæiie,
8a6uB, to > ecTb npocToe mu.
H KaJKffbit 6hh KpaeiiB h m<hioa,
HO, OKpmiHHCb nyCTOTûâ,
oiia Tanna cTpaHHtiö xqboh
noa oaiiaa.Toii KpacoToö.

II, cepjmeu Benno crporm i laepa,


oh ne ynear, He mot jhoöiitb.
Ohh aioöioa tohbko asepsi
b HeM pasapaaHMTb — n vKpoTim>.
II aymRHl — ayntnoä Man oh pyrai,
h cesep can, enema homohb
KpaCIIBOË HeHCHOCTH M CKyKfi,
b icHb npc-Bpaman huibvio hohl.

Tan, b CBCTnoTe hohhoü nycTbmn,


b o6 t.htbh hohii
ne cueiita,
raHHeaacB b Kynoar ßjieHHO-ciifliil
hx oßpeneHHaH nynia.

10 OKmađpa 290?

23.2
In quelle notti luminose, vuote

In quelle notti luminose, 'vuote,


in cui nella Nevà guardano.! ponti,
essi si incontravano da estranei,
scordandosi che c’è il semplice tu.

E ciascuno era giovane e leggiadro,


ma, tutta infervorandosi del 'vuoto,
ella celava una freddezza strana
sotto la beltà inselvatichita.

Misurando col cuore sempre rigido,


lui non sapeva, non poteva amare.
Ella amava in lui solo stuzzicare
la belva — e di nuovo ammansirla.

Da estranei si stringevano le mani,


e il settentrione, accorrendo in aiuto
alla leggiadra soavità e alla noia,
la viva notte trasformava in giorno.

Cosi nella chiaria di quel deserto,


indugiando nel grembo della notte,
nella cupola azzurra si specchiava
la loro anima condannata.

10 ottobre 1907

233
Ch &mckoa dma

Ohs npHinna Ha ihko ® nana —


HOHHSH aO'îb HHHX BpeMCH.
E e po,RHiie He Bcrperoura,
He HpOCHHH et 'HeÖOCKHOH.

Ho G$MHKCa c BHmep'SaeHHHM jihkom


Haa iicnojiHHCKOio HeBOi
OHa BCTpenana jierKira bckpjikom
non 6 y pei Heran cueroBOË.

B a s a n o , Bbiora e t ochhct
ases^âHE nnera, rp y jb H CTan, —■
BCÊ CHHTCH e t poflHot EnineT
CKB03B TycftnHi: cèBepHHl TyjjaH.

Il Topo« moë îKeneauo-cepHË,


rm BCTep, H05KHB, h 3h 6b , h siraa,
C KaKOÖ-TO HenOHHTHOH BepOH
OHa, KaK BapcTBo, irpHHHna.

E t crajiH apaBHTbCH rpoMajpj,


ycHyBniHe b hohhoë raynra,
H B OKHaX THXHe JiaMnaHH
cjiHJiHCB c MeàTot ee nyiHH.

OHa y3Haaa 3u 6 i» h hhmm,


OrHH, H MpaKH, H flOMa--
B e c b ropon Mot HeQOCTHJKHMHË —
HenocTHHtHMaa calia.

OHa napHT MHe nepcrem Bbiora


aa to, HTO njiam moë hojioh 3Besn,

234
La vergine di neve

Venne da una selvaggia lontananza —


notturna figlia di altri tempi.
Non V’erano parenti ad incontrarla,
non rifulse per lei l’orizzonte.

Ma nella notte, sotto la tempesta,


diede un fiévole grido nello scorgere
la sfinge dal volto intaccato
sulla Nevà gigantesca.

L a bufera spargeva di stelle


le sue spalle ed il petto e la vita, —
ma lei sempre sognava l’Egitto nativo
fra la nordica nebbia sbiadita.

E la mia città ferrigna e grigia,


tutta foschìa, mareggio, e pioggia, e vento,
con una strana fede inesplicabile
ella assunse a suo regno.

Cominciò ad incantarsi delle moli \


assopite nel folto della notte, ;
e alle finestre le serene lampade
si fusero coi sogni della sua anima.

Riconobbe il fumo ed il mareggio,


i fuochi, e le case, e le tenebre —
tutta la mia città incomprensibile —
incomprensibile lei stessa.

Mi regala un anello di bufera


perché è pieno di stelle il mio mantello,

235
3SL TO, HTO H' B CT aSBH O ft KOat. TVre.
h Ha Konbayre — CTporai: KpecT.

O H a r a a g i i T sane npHMO b o h h ,
XBajiH iiepoÔKoro Bpara.
G n o j i e t e e x o h o h h o ë h o t iï
b MO® n y x B puB aiO T C fl e u e r a .

Ho e e p jm e ChchihoM ^ cbh nemo


h H H K orn a He n p m ie T M en,
h toS h peiiBHB. c T a a t n o r o n u i e u a
p y K o io CTpacTHOio p a c e e n t .

H h , K 3K Bornai. Bpa«n;e6HOË p a m ,
Bcerna saKOBaHHHË b S p o n io ,
MCHTy TOpHteCTBeHHHX odlH T H Ä
b cBHiqeHHOM T p e n e T e xp aH K >.

17 OKimtSpst 1907

236
perché io sono in un giaco d’acciaio,
e sul giaco è una croce severa.

Mi guarda diritto negli occhi,


lodando il nemico non tìmido.
Dai campi della sua gelida notte
irrompono le nevi nel mio spirito.

Ma il cuore della Vergine di Neve


è muto e mai non prenderà la spada,
per tagliare con mano appassionata
la cinghia dell’elmo d’acciaio.

E d io, sempre munito’ di corazza,


come capo di un avverso esercito,
\ con un sacro tremore custodisco
il sogno di abbracci trionfali.

17 ottobre 1907
H a npoBeji ßeayMHHfi ron

H a npoBen 6eayuH£ifl roa


y in a e tfa aepHoro. 3 a Myra,
sa HHH Tepsamifâ h HeBsron
MO0X BOJIOC KacajiHCB pyKii,
cMOTpaiH TCMHHC raasa»
Humana c h h h h rposa.

H H CMOTpiO. II CHHIÎM KpjFOM


mou rjiasa oÔBeneHH.
Oaa 30B6T neaa.TLHBiM apyroM.
Ona pacœaaHBaeT chu .
H b TeMHbifi Beaep, b Rosirai. seaep
s a oKHaMM n pyaurrca Beiep.

II otom oHa KonaaeT npacTb


h THxo cKnaRHsaeT npamy.
H nepenma sa Tpertio crpauty
MOH nepaaocTHaa cxpacTB.
CMOTpio. Ile.iyio aepubni Boaoc,
h b cepuue jibercH tcmhhm roaoc.

TaK npoBOHty a nomi, riiii


y inaeft$a aeBu, b thxoë sane.
B KaMHHe VMepaii ormi.
B oKHe fiucrpee 3annaca;m
CHeHÎHHKH Ô U C T p u e --- H BOT,
oaa B C T a e r . Ona y linei.

Ona 3aBH3U0BaeT t\ to
cBoft nepHHi menKOBHl nnaTOK,
b nocneiHiifl pas aacttaer npyra,

238
E d io h o trascorso u n an no fo lle

E d io ho trascorso un anno folle


presso uno stràscico nero. N ei crucci,
nei giorni di torture e avversità
le mani m i sfioravano i capelli,
m i guardavano gli occhi tenebrosi,
un’azzurra tempesta respirava.

Anch’io la guardo. E di un azzurro cerchio


sono segnati i miei occhi.
E lla m i chiama amico sconsolato.
Mi racconta i suoi sogni. E nella sera
tenebrosa, nella lunga sera
turbina il vento dietro le finestre.

Piu tardi ella finisce d i filare


e ripone il filato con dolcezza.
E la mìa malinconica passione
già la terza vigilia ha valicato.
•La' guardo. Bacio i suoi capelli neri,
la cupa voce mi si spande in cuore.

Cosi passo le notti., i giorni accanto'


a uno stràscico, in una muta sala.
Nel cammino le fiamme sono morte.
Alla finestra ballano piò rapidi
rapidi spruzzi di neve — quand’ecco
la fanciulla si alza. Se ne andrà.

Ella annoda stretto stretto' il nero


fazzoletto di .seta, accarezzando
il suo amico per l’ultima, volta.

239
ßpocan JiacKOfiMfl: HaMCK.
Ila e i. . . Ë e .nBHHtëHBS 'ÖucTpat,
b (wax, TycKHca, racn y i ncii-pti,

H s npMcnyiniïBaïQei. k ctvky
CTeKJIHHHOH nBepu BflajxeKe,
h k sauapaioiaeuy 3Byity
yrjieß b noTyxmeM KaMejibKe. . .
IToTOM -- OIIHTb Ôpocaiocb K flBepH,
6ery 3a neß. . . B Mopo3HOM CKBepe

B3RHxaeT no aoponutaM Hoab.


Ona raxoHbKo oraßaeT
3a KnyMÔofi KJiyMßy; OTCTynaer;
to nofloôner, to irpaneT npoat». . .
H aaJibHHß inyM noarn ne cnHinen,
h ropoa cnHT, MoposHO numeH. . .

Jlmiib b B03flyxe Mopo3HOM — ryjiKO


3B6HHT marn. H y3Haio
b HesepHou csexe nepeyjiKa
mo» upeKpacHyio 3iieK>:
oHa nonseT ns caera b c se ra ,
h BbercH m aeii$, Kan xboct kombth . .

H» HacTiiraa» c hobhm wapoM


menray efi nettunie caoBa,
onßTb KpyjKHTca rojiOBa. . .
^aneKHM 03apeH noæapoM,
a nepen He®, kok hhkhS 3sepb. . .
CxynHT 3esaioiqaH nsepb, —

H, CJIOBHO B 6e3flHy, b jioho hohh


BCTynaeM mm. . . IIonteM Ham Kpyr. . .
H Ôpen. H Mpan. Chhmt onn.

240
Lanciandogli un’affabile allusione
se ne va... Le sue mosse sono rapide,
si smorza il luccichio delle pupille.

Ed io porgo l’orecchio allo stridore


d’una porta a vetri in lon.tan.anza,
e al suono dei. tizzoni che dilegua,
nel. caminetto ormai, spento...
Poi, di nuovo lanciandomi alla porta,
le corro dietro... Nel gelido parco

sospira lungo i viottoli la notte.


Ella va pian pianino costeggiando
le aiuole ad una ad una; retrocede;
ora s’appressa ed ora scatta, via...
E il lontano brusio non si disceme,
la città dorme gelida e sfarzosa...

Ma nell’aria glaciale risonanti


echeggiano i suoi passi. Riconosco
nell’incerto barlume d’un vicolo
la mia serpe bellissima: ella striscia
da una luce all’altra, ed il suo stràscico
si attorce come coda di cometa...

E , raggiungendola, con nuovo ardore


le sussurro tenere parole,
mi prendono di nuovo le vertigini.,...
Rischiarato da un lontano incendio,
io sto dinanzi a .lei come una belva...
Sbatte la porta a. vetri spalancata, —

ed entriamo nel grembo della notte,


come in una ripida voràgine...
Delirio. E oscurità. Brillano gli occhi.

24 i
Ha iuioth BOnocH tckjt
B021H0Ö cBinma — nepiiee iipana. . .
0 , hohe MyïHTejxbHoro ÖpaKa! .......

Ma'Teæ MrnoBemifi. flpKHft con.


I IanpacHbix SemeiicTBO o 6 t»hth :1, —
TpeSBOH :
H 3B0H K H H V T p e H H m l

TOJiCHTCH anrenBCKHe paia:


aia ihiqthgI: aasecofl. oKua,
HO C Ha.MM HOHE -- ßjÄHa, XMttlbHa. • .

H a! C H3MII HOHE I II HOBO® BJiaCTblO


HHCBHaH HOHE oßECMHCT H3C,
HTOÖM MJHHTeJIEHOIO CTpäCTEK)
neiiE O'ßeccHJieHHHä norac, —
h nojirne la c u nan Haina:
Olia 8B6HBT H ßb6T KpHJiaHH. . .

II ciioBa Benep. . ,

21 OKmnôpA 1907

242
Sulle spalle fluiscono i capelli,
onda di piombò piu nera del buio...
Oh, notte di sponsali torm entosi!...

Tum ulto di attim i. Fulgido sogno.


Frenesia di abbracci inconcludenti, —
e squilli dì campane mattutine :
alla finestra gli angeli, si affollano
a schiere dietro la tenda compatta,
ma con noi è la notte — ubriaca, irniente...

Si! La notte è con noi! Quella del giorno


con un nuovo potere ora ci avvince,
perché il giorno estenuato si consumi
tutto nella passione tormentosa, —
e lunghe ore, lunghe ore su di. noi
la notte echeggia, sventolando le ali...

E di nuovo' è la sera..,

21 ottobre 1907

243
Mjieonampa

OmpHT nanonTHKVM neqajibHHft


oiHH, i p j r o l h Tperafi ros.
Toanoio hbhhqë h HaxanobHoä
cnenrau. . . B rpoöy iiapima jusex.

Olia aeiKiiT b rpoßy ctckhhhhom,


il ne Mep'TBa h ne n a ,
a jhohh mecrayT HeycTasrao
o Heft ßeceTHHHHe caoBa.

OHa pacKHHyjiacb aemiBO —


HaaeK saß en», naseK ycHyn». . .
3 hch nerico, neToponaiiBO
e t æaHHT bockobvio r p y st. . .

H eau, noaopHwt h: nposaHcmift,


c KpyrauH chhhmh y rnas,
npiimea BarjiHHyrb Ha npoÿnju» sastHiaft,
H a BOCK, OTKpHTblii HaHOKaS. . .

T c6h paccuaipEBaeT Ka«RHfi,


ho, ecaiio rpoô tboü ne ôua nycx,
h ycjiuxsui 6bi ne onHamjpH
HaHMCHHKll B&fffSX. HCTaCBHIHX y CT :

« Rasure urne. R bctw paccEtm>Te.


fl b HesanaMHTHHx seKax
Ôbiaa napmieio b Erairre.
Tenepi» — h bock. H t h c h , fl npax. » —

«Ilapim al f l naeneH toÔoxoI


fl 6hji b E m u le annib paSoH,

244
Aperto è il Panoptikum triste
da uno, da due, da tre anni.
Folla ubriaca e impudente, ci affrettiamo..
Nella bara la regina aspetta.

Ella sta in una bara di vetro,


né morta né viva,
e la gente su di lei bisbiglia
senza posa parole sfrontate.

Ella si è distesa pigramente -


scordare e assopirsi per sempre...
Lento e leggero, un serpente
le morde il petto di cera...

Io stesso, perverso e venale,


con gli occhi cerchiati di azzurro,
son venuto a guardare il profilo grave,
la cera scoperta ed esposta...

Ciascuno di noi ti contempla,


m a, se la bara tua non fosse vuota,
io sentirei piu d’una volta il fiero
sospiro delle labbra imputridite :

« Incensatemi. Spargete fiori.


In tempi immemorabili
fai regina in Egitto. Ma adesso
.sono cera. D isfacim entòrPolverW r—

« Regina!' T u mi bai affatturato!


Io ero in Egitto' soltanto' 'uno schiavo',
a hh He cyjKHCHo eyifcöoio
MHe ÖHTb ncoTOM h uapeM !

T h BimiiHib Tenepb 11.3 rpoôa,


hm
HTO PyCB, K3K PHM, llbHIia TOOOÎÏ ?
H to h h Lfesapb — SyfleM 0 6 a
b Benax paBHH nepen cyrebSoft? »

3auoHK. Chotp» . Ona He chbiuiiit.


Ho rpyjp» KortHincTCH ensa
h sa npoaparaoü raanbio hhihiit. . .
H cjmnry xiixiie esosa:

« Torna h HCToprana rpôsbi.


Tenepb HCToprHy Htrynefl Bcex
y nbHHoro noaia — cnean,
y libano! npocTHTyTKH — eues ».

16 d e n rtp a 1907

246
ed oggi la sorte mi ha destinato
d’esser poeta e sovrano!

T u vedi adesso dalla tua bara


che la Rus’, come Roma, è di te ubriaca ?
Che io e Cesare saremo entrambi
uguali nei secoli innanzi al destino? »

Ammutolisco. Guardo. Ella non sente.


Ma il petto palpita appena,
respirando nel diafano tessuto...
E mi giungono tàcite parole:

•&Allora io suscitavo. le...tempeste.


Ed ora ciò che di piu ardente io suscito
sono le lacrime d ’un poeta ubriaco
e il riso di un'ubriaca prostituta ».

16 dicembre 190?
f l MHHÖfiaH 3ÜK3 T SarpHHHË

f l MBHOBan 33K 8T ÔarpHIÏBIÎi,


p n ai.1 cT poeH H S MHHOBan,
BCTyHHJI B OÔMHIIM H T JM aH H , ---
OrHHMB MHe C B e p K H ja BO KSaJI. . .

f l c^aBJieH saBK oli HejioBeHbei,


e j p a n e o ttcchbh H a sa n . . .
H bo t — ee r jia s a h n n e™ ,
h q e p H u x iie p b e B B o n o n a n . . .

rip o x o H H T b n a c o n p e n e n e H H iiii,
aa iieio— Kaprant, nuieftÿ Biiana. . .
H h CMOTpro B o c n e n , B jiro ß n eH H H t,
Kan nneHHHË paô — Ha naararaa. . .

O lia npO'XOHHT — h n e BsritH H eT,


npeHeßpeHteHHCM n a s i n i . . .
H t o ji b k o KapnHK He ycraHCT
rJIHHCTb C yCMeiHKOË H a MeHH.

smeapb 3903

248
H o sorp assato il tram on to purpu reo

H o sorpassato il tramonto purpureo»


file di 'costruzioni ho sorpassato,
sono entrato fra inganni e foschie, —
brilla per me di luci la stazione...

Sono premuto dalla ressa umana,


e per poco non respinto indietro...
Ed ecco i suoi occhi e le spalle,
e una cascata di nere pium e...

E lla passa in un’ora stabilita,


la segue un, nano, tirando lo stràscico...
Ed io la guardo a lungo, innamorato,
come uno schiavo in, catene, il carnefice...

Passerà senza volgere le ciglia,


castigandomi col suo disprezzo...
E solo il nano non si stancherà
di fissarm i con un sogghigno.

tem u to Ì9 0 8

249
fl noMHio wiHTejifiHiae mjkii

fl noMHio jiaHTexiijHBie mvkii :


Herat Roropana aa okhom ;
ee 3anoMaeHHHe pyraa
ayn» SpeaæanH b aiyae RaesHOM.
B CH 3KH3Hb, HCHyJKHO MBHOïTaH,
um ana, ymn-Kana, æraa ;
a Tasi, K8K npaspaK Boapacian,
Rem oSosHaaHji Kvncaa ;
h non oKoniKOM yHacraraeb
npoxoHîHX SbiCTpbie inani;
h b cepi.Dc Jiyæax pacxoRiumcb
non; Kaixji'HMM rqskrh «pyra;
H VTpO ROHJIOCb, RJIHJIOCb, RJIHJIOCb. . .
h n p asH H H Ë TH roTiui B o n p o c ;
h mwero ne paapeiniiaoci.
BeceHHHM nHBHe* SypHBix caca.

i M apm a 1998

250
Io mi rammento delle lunghe pene

Io mi rammento delle lunghe pene:


la notte si spegneva alla finestra;
le sue braccia piegate rilucevano
appena appena nel raggio del giorno.

E la vita, sofferta inutilmente,


torturava, bruciava, annichiliva;
e, dilatandosi come un fantasma,
segnò il giorno i contorni delle cupole;

e si accrebbero sotto la finestra


i veloci passi dei viandanti ;
e nelle grigie pozze si spargevano
cerchi sotto le gocce della pioggia;

e la mattina durava, durava...


e ci affliggeva una vuoto domanda;
e nulla fu risolto dallo scroscio
primaverile di impetoose lacrime.

4 marzo 1908

251
H a tìoaè RyjtuKoeoM

Pena p a c K H H y jia c B . Tener, fp y c m r jic h h b o

h Moex fiepera.
H an CKyjçHoâ rjnraoH mejiToro oßpHsa
b eren a rpycTjrr CTora.

O, Pycb Moal ÎKena moh ! ß o 6 oäh


HaM Hcen nonraË n yrb!
H am nyrb — crpenoft Tarapcitoö npeBHeß Bonn
npoH3HJi HaM rpynfc.

H am n y n > — crënaoS, H am n y T b — b ToCKe ßesßpmninji.


B TB oeft TocKe, o P y cb !
M n am e MrjiH — h o h h o ë h 3apyße»moß —
H He ßOIOCb.

IîÿCTb HOHb. f l o m r a r a , 03apHM. KOCTpaMH


cxennyio nain».
B g tchh o m : n siM y ßnecHer c b h t o c 3H8 m h
h xancKoß cadrai cranb. . .

II BeHHHt ßoll lÏQKOi HaM TOJIbKO CHHTCH


CKB03E KpOBb H nbOIfa. . .
JlerHt, jieTHT CTenHaa Koßmnma
h MHer KOBbinb. . .

H HeT KOHqa! M enbitaior Bepcraf, Kpynn. . .


OCTHHOBH1
HnyT, HayT HcnyraHHiie Tyrnr,
3aKaT B KpOBHl
3aKaT b KpoBH ! II3 cepnna KpoBb erpyuTCH !
ILianb, cepnye, m iaai». . .

252
Sul Campo di K uli\òvo

Il fium e s’è disteso. Scorre, s’attrista pigro


e dilava le sponde.
Sopra la sterile argilla del giallo dirupo
nella steppa s’attristano i pagliai.

Oh, Rus’ m ia! Sposa m ia! Sino al dolore


è per noi chiaro i l lungo c a m m in o !
Il nostro cammino con la freccia tartara dell’antica liberò
ci ha trapassato il petto.

Il nostro cammino è fra le steppe, nell’angoscia sconfinata,


nella tua angoscia, o Rus’ I
E nemmeno' la nebbia — notturna e straniera —
mi spaventa.

Scenda la notte. Giungeremo. Coi falò


faremo luce alle steppe lontane.
N el fum o delle steppe splenderà il vessillo sacro
e l’acciaio della sciabola del chan...

Eterna lotta! Solo in sogno la quiete ci appare


fra il sangue e la polvere...
Fugge, fugge la giumenta delle steppe,
calpestando la stipa...

E non c’è fine! Guizzano verste, greppi...


Sforzati di fermarla)
Vanno, vanno le nubi sbigottite,
il tramonto è di sangue !

Il tramonto è di sangue! Fluisce sangue dal cuore!


Piangi, mio cuore, piangi...

253
ïïokoh Hei I CTcniiaa Kofibumiia
HeceTCfl BCKamI

7 euokh : Î9Q8

2
M h , caM-npyr, naa CTeni>K> b nomerai» ct&ji:h
ne BepHyrbCH, He BarnHHyn. Haaaa.
3 a HenpanBot Jiefienn Kproaira,
h onarb, onaib o h ii u p ro ar. . .

H a nvTii — ropioaiifi fien ai Kauern».


3 a peKOä — nora.Haa: opsa.
C sernH l crar Haa HanrasiH noxtKSum
He Bsurpaer fionbiue Hmtorna.

H, K seiine ckhqhhbhihcb roaoBoio,


roBopiiT Miie npyr : « 0 capii CBofl Men,
aro fi' He napOM 6 iit i »ch c r a r a p s o i o ,
aa cBHToe peno ueprBMU neat I »

H — ne nepBHii bohh, ae nocaeffHHft,


aonro fiyaer pontina fiomBa.
ITouhhb at 3a paHHeio ofieaneii
Mina npvra, c B c n a a m ena!»

8 m o n a 1908

B home,Koma Mauaft saner c opnoio


crenii h mocth,
b TeuHOM none-fiumi mh c Toficrao, —
pasBe roana T u ?

254
N on c’è quiete! La giumenta delle steppe
galoppa a rompicollo!

7 giugno 1908

2
N oi due sopra la steppa ci fermammo a mezzanotte
non potevamo tornare, né volgerci indietro.
D i là dalla Neprjadva i cigni gridavano,
e di nuovo, di nuovo essi gridano...

Sul cammino una bianca pietra ardente.


D i là dal fiume l ’orda pagana.
M ai più sopra dei nostri reggimenti
esulterà il luminoso stendardo.

E , piegando la testa verso terra,


dice l’amico : «^Affila la tua spada,
f per non batterti invano con'l’Orda dei 'tartari,
j. pronto a cadere per la santa causa! »
Non sonò il primo guerriero, né l ’ultimo,
sarà a lungo la patria malata.
Ricorda nella messa mattutina
il dolce amico, rifulgente sposa !

8 gugfto 1908

L a notte in cui M amàj copri con l’orda


le steppe e i ponti,
nel cupo 'campo noi eravamo insieme, —
T u lo sapevi ?
riepeil ZtOHOM TCMHÜM H SHOBeiHlHM,
cpeab HO'iHbtx. nojiett,
cnHinan h Î boë rojioc cepaneM Ben&M
b KpHKax nelïeaet.

C nojiyHôaH TyaeË B03Hocnnacb


KHaasecKaa paTb,
h BnsuiH, BjiajiH o erpesia ôanacb,
ronocana Man..
H, aepTH a p y ra , hohhhb m a n u
peana Baana.
A Haa PycbK) TBxae 3apHaau
KHH3a cTeperna.
Opnafi KJieKOT Han TaTapcKBM craHOM
yrpoatan deaoô,
a Henpaasa yßpanaeb TymaHOM,
aro KHH?Kiia <J>aTO$i.
H c TvManoM Haa H enpaaBofi cnaïaeË»
npaMo Ha w enn

tu comma, b oaeacae cbct cTpyamefi.,


ne cnyrayB kohh.

CepeSpoM bohhh fînecayna apyry


na cranbHou Mene,
ocseiKHiia iibiatnyio K oatayry
na MOCM nneae«

H Koraa Ha yrpo, Tyaett aepHofi,


aBHHynacb opaa,
6bin b iqaTe T boh aaK HepyKOTBopabiô
cseTen HaBCeraa.

14 cuoHA 1 9 0 8

256'
Dinanzi al Don funesto e tenebroso,
in mezzo ai campi notturni,
col cuore fatìdico udii la Tua voce
nei gridi dei cigni.

D a mezzanotte come nube si levò


l’esercito del principe,
e lontano', picchiando su una .staffa,
singhiozzava una madre.

Tracciando cerchi, gli uccelli notturni


spaziavano lontano.
E sulla Bus’ baleni silenziosi
proteggevano il principe.

Sopra le tende tartare un garrito


d’aquile minacciava sciagura,
la Neprjadva s’avvolse nella nebbia,
come una principessa in un velo.

E con la nebbia verso me scendesti


sulla Neprjadva dormiente,
in una veste che spandeva luce,
senza spaurire il cavallo.

Con Fargento dell’onda splendesti al tuo amico


sulla spada d ’acciaio,
rinfrescasti, il giaco polveroso
sulla mia spalla.

E quando, all’alba, come nube nera


l’orda si mosse,
nello scudo il Tuo volto imperituro
riluceva per sempre.

14 giugno 1908

257
17
4

OilHTfe C BCKO'BO» TOCKOID


npiirHv.uicb K seune kobhjih.
OOflTb 3 a TyMaHHOä pCKOlO
Th K3Ilivellili Mena i i a a a a n . . .

YMaajiHCb, nponasn 6ea Beeiii


C T cm ibix k o ô b u ih h Taß yH H ,
pa3BH3aiiH anKHe cTpacrn
non nroM ymepônoË j i j h h .

H H C BeKOBOlO TOCKOIO,
kćik BO.TO n o n ymepöHoü nyHoË,

ne anaio.. hto nenaib c coôoio,


K y n a â n e acteTb a a T o ß o ft!

fl cnvuiaio poKoiu cetili


H TpyÔHHe KpÉKH TaTap,
h BHHty Han Pycbio nane^e

in n poK H ft h T iix iiii n o œ a p .

0 6 m t h ë t o c ko io M o r y n e i,
h piamy n a SenoM K o n e . . .
BcrpeaaioTCH bojh>hei& tjhh:
BÛ MraHCTOË HOHHO'Ë BBIUIIIHC.

B a n b o iaio T C fi c B e r a u e m h c h h
b pacTepaaHHOM cepnue mocm:,
h nanaioT csercoie mhcjih,
COHOKCHHUe TCMHHM 0FH6M. . .

« flBHCb, MOB HHBHOe 3IIBO!


E htb c b c t jih m neHH H a y tffl! »

258
4

D i nuovo con angoscia secolare


si piegano a terra le stipe.
D i nuovo oltre il fiume nebbioso
T u mi chiami dalla lontananza...

Sono fuggite via, sono scomparse


le mandrie di giumente delle steppe,
e selvagge passioni si scatenano
sotto il giogo della luna scema.

Anch’io con secolare angoscia, come


un lupo sotto la lim a calante,
non so che cosa fare di me stesso,
dove volare dieta)' 'alle tue orme!

Ascolto il rombo del combattimento


ed i clamori delle trombe tartare^
vedo sopra Ja R us’ in lontananza
un largo e lento incendio.

In preda a un’angoscia possente,


mi aggiro su un bianco cavallo...
Si incrociano libere nuvole
nell’aria brumosa notturna.

Si levano chiari pensieri


nel mio cuore straziato,
e cadono chiari pensieri,
combusti da un fuoco opaco...

« Appari, mio mirabile portento!


Insegnami ad essere chiaro ! »

259
Bammaercfl KOHCKan rpima. . .
3a BerpoM BSHsaiOT Me™. . .

31 m tuu 19 0 S

5
II MTjioH) 6eA HeorpaamttDE
rpHaymnü Rem aaaojxoKJio.
B jx . C o /io ab ea

Odati» nan nojieM K jhhkobhm


Bsoinna h pacTOAAnacb urna,
h, cjioBHO oßaaKOM eypoBHM,
rpanymHË neat saBOJioKJia.

3a thiuiihoio nenpoôyjHoiî,
sa pa3aiiBaiomefâcH mtjioë
hc csihhihq rpoMa 6htbh hjrhoI ,
He BMRHQ MO.IHBH ÔOCBOf.
Ho ysHiaio Teßa, Haaaao
BHCO'KHX H MHTejKHHX .RHCll
Han BpajKBHM CTâHOM, KâK ÔHBajIO,
h naecK, h rpyÖH neßenel.

He MOHter eepime jkhtb hokocm,


hc flapoM tvhh coßpanHCb.
Joenex Tarnen, Kan nepen ßoeji.
Tenepb tboïï aac H aciaji. — M oiracb!

23 SentSjU 1903

m
Si leva una criniera di cavallo...
D i dietro al vento implorano le spade...

31 Ittđm 1903

5
■ D a n e b b ia d i sv e n to le in o p p u g n a b ili

II fiituw g io rn o fa v e la to .

V i. S olov’ev

D i nuovo sul campo di Kulikòvo


è. salita e s’è sparsa la nebbia,
e, come d ’una nuvola severa,
il giorno futuro ha velato.

Dietro il profondissimo' silenzio,


dietro il dilagare della nebbia '■
non si ode il tuono, non si vede il lampo
del prodigioso combattimento.

* M a ti riconosco, principio
di sublimi e burrascosi giorni!
Sopra le avverse tende, come un tempo,
il guazzare e le trombe dei cigni.

Il cuore non. può' vivere di quiete,


non a caso si ammucchiano le nubi.
Pesa l’usbergo innanzi la battaglia.
La tua ora è giunta. — Mettiti a pregare!

23 dicembre 1908

261
ßpyabXM

Mojnmre, nporaunue cTpyiiH :


.A . M aüKoe

JXpyr ip y r y mu la in o BpaHtneÔHU,
3a.BHCTHHBH;, rjiy X H , HY/KSbl,
a KâK 6h h îk h t b h pafioTaib,
ne 3H an nafieraol BpaHtnu)

H to H CJiaTb! B e ffb K asK ffH ü c-T ap an c a


CBOÎt C0 6 CTB6 HHUË ROM OTpaBHTb,
Bee CT6HU n p o m iT a H w hôoi.i
h H ern e m a s t i n p e K n o H irn » !

Hto n en aT & l H s B e p H s in a c b b C T a c T te ,
OT c jt e x y MH cxoffH M c y iia ,
h, n tH H b ie, c y j i m j u CMOTpHM,
«aK pyraaTCH H am a: nouai
U p e n a T c m i b hchshh h npyϙe,
n y c T H X pacTO 'îiiTe.jiii chob,
hto n ouait 1 M u iiytb pacaMiiiaeM
HJiH aaniHX laneKHX cuhob !

Korna non aaßopoii b Kpanase


HecnacTHue koctii cthihot,
K a K o l- H H Ô y ib noanHM Ë îic x o p iiK
HanHiaeT -BHymHTen&HuË rp y n . . .

B ot TOÄbKo a a H y i i r r , n p o ru iH T u fi,
HH B TOM HeilOBiïHIIblX peÔ H T
r o n a u H poH tneHbH h CM eprii
H BOpOXOM C K B e p H U X pH TaT, . .

262
A gli am ici

Tacete dunque, corde maledette!

A. Majkov

Siamo tra noi segretamente ostili,


invidiosi, sordi, estranei, e invece
come potremmo lavorare e vivere
senza questa perenne inimicizia!

Che fare, se ciascuno s’è sforzato


di appestare la propria casa, e i muri
sono tutti imbevuti di veleno,
e non c’è dove volgere la testa!

Nella felicità nessuno crede.


Che fare! Vaneggiando dalle ris