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Come fraseggiare al pianoforte

ZENCHOPIN
8 MAGGIO, 2018
La tua guida sintetica e definitiva

Così come i 5 movimenti occupano nella CV P luoghi ben precisi, gli estremi (verticale statico e
frontale dinamico), la zona media (movimento laterale) e la zona penultima/base (movimento
rotatorio dinamico e centrale statico) allo stesso modo si comporterà il fraseggio. Così come in ogni
luogo della CV P agiscono i 5 movimenti vitali e intelligenti, in ogni curvatura della colonna
vertebrale, nell’asse cerebrale, nelle membra, così accadrà al fraseggio musicale.
Diventa quindi estremamente interessante per il musicista cominciare ad intuire che – a seconda
delle tendenze corporee naturali di ciascun autore – questo stesso aspetto si rifletterà
inevitabilmente nel suo modo peculiare di costruire una frase musicale, guidando con sicurezza il
pianista verso il corretto fraseggio, una sicura base d’appoggio a cui dovrete aggiungere solo la
vostra sensibilità.
Per alcuni autori il fraseggio peculiare occuperà gli “estremi” di una frase melodica, per altri la
parte “mediana”, per altri ancora la zona “penultima/base”.

Gli estremi in sentire statico


Nel caso di Bach – che conobbe il pianoforte e a cui non piacque – non si può propriamente parlare
di fraseggio, (le interpretazioni filologiche in questo senso hanno molto da insegnarci), ma nel
momento in cui definite gli estremi di ogni frase…

vedrete magicamente apparire tutta la logica architettonica. Il tema di una fuga andrebbe visto
come punto di arrivo e non punto di inizio, esattamente come la pista è ben visibile al pilota di
aeroplano prima ancora di iniziare la procedura di atterraggio. In questo senso è molto saggia la
soluzione di Glenn Gould (e molto fisiologica avendo la ossei verticale nel taiheki) di differenziare –
esclusivamente manipolando i diversi gradi di articolazione – la struttura del tema.
Rachmaninov, che scrisse il celeberrimo terzo concerto per la propria tournée americana, lo
trovava tecnicamente più semplice rispetto al secondo. Chiunque rimarrebbe sbalordito da
un’affermazione del genere, se non sapesse niente del Taiheki. Ed è proprio l’incipit del concerto ad
offrirci la stessa idea di un fraseggio bachiano: linea del medio immobile e lavoro esclusivo di
pollice e mignolo, ci si potrebbe costruire una fuga a tre voci.

Gli estremi in sentire dinamico


La musica pianistica di Franz Liszt, musicista f-e, definisce sempre gli estremi in modo dinamico e
ineccepibile. Vi basterà trovare gli estremi, tendere il vostro arco e la vostra frase musicale sarà
fraseggiata in modo automatico.
Ciò che rende bello ed estremamente pianistico questo tema “grandioso” della Sonata in Si minore,
sta proprio nel fatto che occupa solamente gli estremi.

Anche per Chopin, la “percezione” e la “conduzione” del fraseggio sono rigorosamente vincolate
agli estremi della frase, con la precisazione che ho fatto nell’articolo a lui dedicato di mantenere il
movimento passivo.
La vostra mano che cerca e definisce gli estremi della frase, si comporterà come un arco che si
tende se fraseggiate Liszt, come l’atto di scoccare la freccia invece, se fraseggiate Chopin.

Fraseggio delle zone medie


La ossei laterale nel taiheki di Schubert invece, esige che il fraseggio abiti e orbiti sempre nella
zona mediana della melodia;

I pesci in uno stagno si muovono in modo particolare: sembrano “bighellonare” di qua e di là,
muovendosi lateralmente. Ad un tratto qualcuno butta dei pezzi di pane: il movimento cambia e
tutti i pesci si muovono in modo unidirezionale… verso il cibo. Eppure, è proprio quel bighellonare
che impedisce all’animale di bruciare nell’attesa di un cibo che potrebbe non arrivare mai.
Questo è l’atteggiamento da cercare. Un’apparente superficialità, una visione laterale e mai
unidirezionale o eccessivamente approfondita, in attesa che si risvegli, si attivi e si soddisfi
l’emozione.
Quello di Brahms sempre laterale, ma introvertito, rende la zona mediana della frase melodica da
fraseggiare, una sorta di buco nero che altre tutta la materia. Allo stesso modo di una ragazza ad
una festa da ballo che, impossibilitata a farsi avanti per la timidezza, cerca però di attirare
l’attenzione.
La logica naturale è matematica e rigorosa: troverete le stesse coordinate in qualsiasi passo.

La zona penultima/base in sentire dinamico


Il film Lezione 21 di Alessandro Baricco, per quanto crudo, centra perfettamente l’essenza di
Beethoven: il suo taiheki rotatorio. La sua musica per pianoforte tende ad invecchiare e
l’interprete – senza esserne consapevole – lo ringiovanisce.
La percezione e conduzione del fraseggio sempre “conclusiva”, sempre nel QUI ED ORA. Trovate qui
una conferma alle teorie del musicologo Luca Chiantore che sostiene (e dimostra con un’infinità di
frammenti beethoveniani) l’origine improvvisata delle sue opere, cristallizzate, ahimè sulla carta
dai suoi stessi connazionali: tutta la generazione dei primi interpreti!
Il fraseggio Beethoveniano va sempre focalizzato sulle zone intermedie!
La zona penultima/base in sentire statico
Come il miglior amico del web designer è lo spazio bianco, il miglior amico del pianista che suona
Mozart, è invece il silenzio.
La percezione e conduzione del fraseggio Mozartiano è strettamente vincolata al senso di
continuità, e al “sentito” statico delle zone penultime, suonando Mozart, la coordinazione centrale
mi convince pienamente. E il silenzio,  percezione della densità dell’onda, fa parte esclusivamente
del movimento centrale. Non esistono silenzi nella musica di Schubert, il taiheki laterale ha orrore
della solitudine, ma fanno parte del tessuto nel musicista “centrale”, sono sempre in “partitura”.
Nell’incipit della K 576, per quanto gioiosa e apparentemente f-e, è impossibile definire gli
estremi della frase.

Nella K545 invece, se lo fate, trasformerete immediatamente Mozart in Haydn, che f-e lo era
veramente!

Invece il fraseggio indugia prigioniero dell’orbita delle zone penultime in sentire statico, il silenzio è
incorporato, spesso la musica sembra provenire o tuffarsi nel silenzio, il senso del tempo
concentrato o “sospeso”.
Negli esercizi avete visto che la coordinazione centrale diventa più chiara se si
utilizzano entrambe le braccia: vediamo se Mozart se ne è accorto:

Incredibile, non è vero?


Il primo silenzio integrato in partitura della storia:

La ossei centrale ha anche l’effetto di ritenere. Il bambino impara ad essere prudente e il creatore
filtra man mano il suo processo creativo. Non è il caso di Mozart, che brucerà 36 anni di vita senza
freno alcuno. Tenetelo presente.
L’effetto del fraseggio pianistico di Schumann è sempre centripeto. Con una sostanziale
precisazione: aver cura che il tempo interno e quello esterno mai coincidano.

La ossei centrale – come avete visto – è la Ossei nazionale del popolo Russo, ma anche il Taiheki di
Scriabin: chissà che cosa ne verrà fuori! Valgono le stesse coordinate viste per Mozart, ma con in
mente la ”fisica delle particelle”.
Zona penultima della frase musicale

Verso il centro – tensione

distensione
multi radiale

Musorskj, invece, un Taiheki centrale con torsione: un vulcano dalle scariche esplosive!
Riesce a creare effetti che sfidano ogni legge della fisica del pianoforte!
Handel è poco eseguito in concerto. Peccato, perché la sua musica è il portone d’ingresso per chi
non ha mai ascoltato la musica classica. Le stesse caratteristiche “centrali” sono qui orientate
verso la massima espansione e generosità possibili.
Quanto avete letto in questo capitolo è semplice, ma inedito. Non è detto che i pianisti, anche
grandi, sappiano integrare il proprio istinto con il rigore naturale richiesto da ciascun autore.
Volete un esempio? Andate ad ascoltare la famosa interpretazione della prima ballata di Chopin da
parte di Vladimir Horowitz alla Carnagie Hall. Da buon russo, senza neanche accorgersene,
fraseggerà tutto il famoso incipit orbitando e accentando nelle zone

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