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A CURA DI EDOARDO PIVA
REBEL
WITHOUT
A CAUSE
Prospettiva storica
Utili inflazionati
Prospettiva storica
La scorsa primavera, dalle pagine del suo blog Francesco Caruso rilanciava un’analisi
di Doug Short sul andamento del mercato azionario Usa nel lungo periodo.
Vista l’ampia prospettiva, non si poteva certo pretendere di trarne indicazioni
operative e del market timing, ma sta’ di fatto che a cavallo dell’estate si sono via via
levate altre voci a mettere in dubbio la sostenibilità di questo bull market.
Poi, come predetto con largo anticipo dal COT sul EURUSD future, tra la fine di
ottobre e la metà di novembre l’accelerazione al ribasso sembra essersi rafforzata, e
ora in molti (tra i quali Faber) parlano di un probabile correzione del 20% in atto dai
massimi di settembre.
Insomma, alla luce dell’attuale situazione e stante l’ampio ottimismo evidenziato tra
l’altro dagli alti livelli sui Rydex Money Market Fund Assets, mi pare doveroso
evidenziare le indicazioni date dall’analisi di lungo periodo. Indicazioni che ha suo
tempo Caruso valutava estremamente solide.
… “I grafici fin qui proposti indicano vari scenari di lungo e breve termine per il
mercato, molti dei quali – se presi come freddo studio statistico – sembrano avere
una probabilità di accadimento alta. Statisticamente, è estremamente improbabile
che i modelli matematici discussi siano semplicemente dovuti al caso. Presi come
gruppo, poi, sembrerebbe praticamente impossibile”.
Dal canto mio, come più volte ripetuto, ritengo un approccio ciclico e di lungo
periodo tra i migliori a condurre analisi in tempi caratterizzati da counter-trend ultra
decennale come quello iniziato nel 1999.
L’analisi del secondo grafico (Figura 2) evidenzia le trendlines che uniscono ogni
picco, misurate nei punti di massima varianza nel 1901, 1929 e 1965, con l’inizio del
Bull Market successivo nel 1920, 1949 e 1982. L’inclinazione di ogni trendline
misura esattamente 34 gradi. Assumendo che le trendlines potrebbero teoricamente
misurare qualunque angolo da 1 a 44 gradi (esclusi i 45 gradi verticali e lo 0 in
orizzontale), la probabilità che tutte e tre siano pari a 34 gradi è inferiore a 1 su
79.000.
Sulla base di questi dati, si potrebbe fare una ragionevole ipotesi statistica: che la
pendenza per il mercato orso secolare partito dal 2000 potrebbe anche seguire lo
stesso angolo di 34 gradi, come i precedenti tre orsi. La sovrapposizione che
degrada dal top 2000 suggerirebbe che non siamo ancora a metà del ciclo orso
attuale. Ma quanto “orso” sarebbe ancora rimasto secondo questa analisi? Per
rispondere a questa domanda, si aggiunge un’ulteriore linea verde corrispondente al
-50% di scostamento dalla tendenza (Figura 3). Tutti e tre gli orsi nel 1920, 1949 e
1982 hanno toccato la linea per poi risalire. Infatti, tutti e tre hanno effettivamente
superato il -50%: 1920 a -59%, 1949 al -57%, 1982 a -55%.
sarà grave, che il -65% è una stima realistica e che molto probabilmente potrebbe
essere ancora meno.
Questo si tradurrebbe in una situazione in cui entro il 2025 l’S&P potrebbe perdere
il 65% del suo valore del dicembre 2011. La flessione del mercato sarebbe peggiore
del 2008 – 2009, con l’attuale recessione sempre più grave, ma non così catastrofica
come la Grande depressione deflazionistica del 1930. In altre parole, una “Grande
Repressione”. Perché non ci sarebbe una ripetizione della Grande Depressione? Si
può solo supporre che il signor Bernanke (uno studente di quell’evento) o il suo
successore metterebbero sotto torchio la tipografia del Tesoro per evitare un altro
grande evento deflazionistico. Che dire del breve termine? Con un attento esame del
grafico, si può vedere che nel corso degli ultimi tre orsi secolari c’è sempre stato un
piccolo tuffo al di sotto della linea di tendenza dello S&P, con un recupero che
precede immediatamente un forte calo. Le figure da 5 a 7 illustrano quando ciò sia
avvenuto nel 1915, 1930 e 1972. A seguito di questi primi test della trendline verso il
basso ci fu una illusoria ripresa sul mercato, seguita da una caduta precipitosa. Se
rapportiamo questa sequenza all’oggi, questo fenomeno si è ripetuto dal 2008 – 2009
(test) con il rialzo ciclico 2009-2011 (Figura 8).
Notate un’altra sorprendente coincidenza: in ogni caso precedente, una volta
esaurito il rimbalzo l’S&P è sceso precipitosamente al livello di -40% della varianza
(linea blu in figura 9 sopra la linea verde). Se questa tendenza si ripetesse per la
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quarta volta, l’S&P potrebbe sperimentare un altro calo nel 2012 verso 580, un calo
del 54% del suo valore attuale.
I grafici fin qui proposti indicano vari scenari di lungo e breve termine per il
mercato, molti dei quali – se presi come freddo studio statistico – sembrano avere
una probabilità di accadimento alta. Statisticamente, è estremamente improbabile
che i modelli matematici discussi siano semplicemente dovuti al caso. Presi come
gruppo, poi, sembrerebbe praticamente impossibile. Anche se i modelli sono
matematicamente guidati e non dipendono da eventi del mondo reale è affascinante
notare come gli eventi attuali sembrano allinearsi con lo schema della realtà a breve
termine. In particolare, il declino ipotizzato nel 2012 potrebbe arrivare in
coincidenza con la non certo impossibile disintegrazione della zona euro e dell’euro.
Bene: questo brillante divertissement, estrapolato dal sito www.dshort.com, una delle
migliori fonti di dati intellettualmente anarchici sui mercati regolarmente aggiornati,
serve a far capire come l’arco temporale che viene analizzato e soprattutto sul quale
si opera è un dato fondamentale, dal quale a cascata discendono tutta una serie di
corollari e – a volte – di malintesi.
Il 2012 pareva esser stato un’ anno di reflazione come il 2003 ed il 2009 con
l’azionario che si è spinto decisamente a rialzo.
Risulta però utile guardare con maggior attenzione al messaggio dato dai prezzi in
momenti diversi.
Ma ora sembrerebbe che stia accadendo qualcosa di curioso, nonostante la FED abbia
chiarito di voler protrarre gli interventi di QE all’infinito, Il mercato ha
improvvisamente ritirato le caratteristiche reflazionistiche tenute sino a quel punto.
Le dinamiche intermarket hanno iniziato a deteriorarsi in modo tanto rapido quanto
improvviso e le forze deflazionistiche hanno fatto nuovamente capolino nel mare di
liquidità prodotta.
La reazione al QE3 indica che siamo arrivati al punto nel quale non sono più mercati
a dipendere dalle azioni delle Banche Centrali, bensì il contrario. Oggi i mercati sono
ben più “stimolativi” di qualunque azione da parte delle Banche Centrali.
Il punto è che Helicopter Ben ed i suoi colleghi nel resto del mondo se ne sono
accorti ammettendo prontamente la situazione.
Dal momento poi che la loro è una scommessa sul fatto che a tirare l’economia sia il
“Wealth Effect”, si aspettano che azionario ed immobiliare in rialzo facciano sentire
meglio la gente, ed aumentino la propensione alla spesa, il che a sua volta trascini al
rialzo gli utili aziendali, le assunzioni ed inneschi un nuovo ciclo di crescita
economica.
Con i rendimenti del Tresaury che già producono ritorni reali negativi o al massimo
prossimi allo zero, ogni rapida correzione spinge il rendimento di queste obbligazioni
ulteriormente a ribasso mentre i tassi dei dividendi azionari salgono al ridursi dei
corsi azionari.
In questo modo, ad un certo punto le azioni garantiscono un flusso cedolare migliore
del fixed income che cresce via via con le correzioni dei prezzi.
Inoltre, con i tassi corporate che spingono a ribasso, vedremo nel management la
tendenza via-vis crescente di emettere obbligazioni per ricomprarsi le azioni sul
mercato. Ciò equivale ad una scommessa da parte delle aziende nel proprio capitale,
il che limita la spinta a ribasso.
Questo è il Bear Paradox, l’ultima speranza della Fed… affinché il Wealth
Effect possa realizzarsi.
Ora, che la situazione economica non sia delle migliori e che i dividendi possano
contrarsi sono informazioni che il mercato tende a scontare con ragionevole anticipo,
il che sposta nuovamente l’attenzione sul debito, quale unico vero “sorvegliato
speciale”. Certamente le Banche Centrali andranno avanti a stampare ad ogni
avvisaglia di rallentamento monetario da tensioni sul rifinanziamento.
Non va però dimenticato che, nel distruggere moneta, il mercato è molto più potente
di quanto le Banche Centrali so siano nel stamparla.
Tassi 6m USD Tassi 6m EUR
Miracolo 4 – La Resurrezione dall’Abisso Nel 2012 sono state date per spacciate e
successivamente resuscitate (tramite enormi iniezioni di liquidità, vedi Miracoli
precedenti) numerose banche e alcune importanti nazioni europee. L’ultimo caso
eclatante è quello della Grecia: morta, risorta, rimorta, sepolta e infine ancora
resuscitata, con sgomento dei suoi cittadini che non hanno percepito questo
alternarsi di eventi fantastici ma navigano sempre piu’ sotto la linea di
galleggiamento. La stessa Italia è stata salvata, tanto che il BTP è sui massimi
dell’anno (e uno dei migliori asset del 2012), lo spread verso 300 e la borsa –
nonostante i dati economici disastrosi – naviga sopra il pari. Ma la disoccupazione
aumenta, la crisi morde tutti e un PIL negativo purtroppo PEGGIORA lo stato del
debitore. Alcuni morti, forse, sarebbe meglio lasciarli dove sono, per non finire come
in “Pet Sematary” di Stephen King.
Miracolo 5 – La Sparizione della Volatilità Preceduta dalla meno appariscente
Sparizione della Massa Monetaria USA, di cui da tempo si sono perse le tracce
anche se qualcuno sostiene che sia divenuta enorme, la Sparizione della Volatilità è
il Miracolo del momento. La volatilità non è altro che l’assicurazione intrinseca
contro il rischio pagata dai mercati su sé stessi. Quando si alza, i mercati hanno
paura. Quando è troppo alta, i mercati sono in panico ed è vicino un minimo.
Quando si abbassa, i mercati stanno riprendendo fiducia. Quando è troppo bassa,
sui mercati c’è un eccesso di confidenza. Vale per la volatilità quello che vale per
ogni altra assicurazione: se la comperate quando tutto va bene, costa poco ma vi
sembra di sbattere via i soldi. Se la comperate quando le cose vanno male, vi sembra
indispensabile ma vi costa tantissimo. Ogni volta, tutto questo viene miracolosamente
dimenticato dai mercati, che ogni volta si dimenticano degli errori appena fatti
e pensano: “Questa volta è diverso”. La volatilità è miracolosamente sparita: sulle
borse, è ai minimi degli ultimi anni, battuta solo da quella irreale del periodo 2006-
2007 (che porto’ a quello a cui porto’). Anche il rischio di credito e il rischio di
tasso, fortemente connessi, sono in via di rapida sparizione.
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In questo clima surreale, ormai prossimi alla Fine del Mondo secondo il calendario
Maya (ma il 21.12.2012 sarà anche, curiosamente, la deadline per il fiscal cliff
americano e una scadenza importantissima per le opzioni sul mercato USA…), i
mercati sembrano narcotizzati, concentrati su questo iterativo Giorno della
Marmotta, fatto di eventi, minicrisi, riunioni e via.
Nella Grande Repressione del 2012 riprendevo lo spunto di una brillante (anche se
“catastrofista”) analisi svolta su un sito americano, per toccare il tema della
disciplina sui mercati come àncora di salvezza in frangenti difficili e realmente
imprevedibili. Ora che il 2012 sta finendo, possiamo dire di essere in un clima che
definire “repressivo”, dal punto di vista degli investimenti, non è insensato. Tobin
Tax e tasse a parte, la corsa affannosa, levereggiata, inevitabile ai rendimenti sta
annullando sul reddito fisso qualunque cuscinetto in termini di rischio di credito e
rischio di tasso: e questo in una situazione di tassi incomprimibili, rendimenti reali
quasi ovunque negativi e di economie in bilico tra recessione e stagnazione! Non è
repressivo forzare l’investitore in un cul-de-sac? Silenzio quasi assoluto sul tema.
Spesso i miracoli si svelano per quello che sono: trucchi insostenibili. Chi, quanto e
quando pagherebbe in questo caso? Solo i mercati, nel loro asciutto pragmatismo,
daranno la risposta: e diranno se questa calma piatta di fine 2012 è il “new
normal”, è occasione mascherata da narcosi collettiva, oppure occhio del ciclone.
Chi ha goduto quest’anno degli ottimi andamenti dei mercati obbligazionari non si
illuda: e ragioni bene prima della prossima mossa. Repetita non semper iuvant.
Il Congresso Americano sta ora correndo la sua folle corsa verso la scadenza del 21
dicembre 2012, scadenza che la stampa ha ribattezzato “Fiscal Cliff” e dopo la quale
i tagli obbligatori a programmi militari e ad altre voci di spesa avranno effetto senza
che il Congresso ed il Presidente debbano agire per trovare un accordo sul budget del
disavanzo.
Gli uni sembrano propensi a lasciare a gli altri la prima mossa, puntando
evidentemente ad una vittoria politica che considerano più preziosa della reale
soluzione del problema.
Gli altri sembrano invece propensi a lasciare che l’auto salti dal dirupo stando a
guardare se gli effetti di tagli obbligatori ed aumenti alle tasse siano positivi.
Il che suona molto come l’idea di Jim Stark (James Dean) che sia meglio morire in
un’auto accartocciata che venir considerati dei polli.
Nel corso degli ultimi 12 mesi, le entrate Federali totali sono ammontate al 14,5% del
PIL, mentre le spese pesano il 22,7%. Una simile differenza è impressionante, c’è
l’assoluta necessità di una qualche audace iniziativa che riavvicini le due cifre.
I promotori di corposi programmi statali insistono per aumentare i ricavi (le tasse),
non volendo loro ridurre la spesa.
Dall’altro lato si sente dire che il problema non è di pochi ricavi ma di spese
eccessive.
Il grafico offre alcune riflessioni sul fatto che maggiori ricavi connessi ad una
maggiore tassazione non sembrano esser d’aiuto.
Viene qui rappresentato un confronto tra l’entrate Federali totali come percentuale
del PIL (PIL al netto della spesa pubblica) contro l’andamento del PIL reale.
Tra i due si nota una correlazione inversa piuttosto marcata, il che significa che se
aumentano le entrate Federali, la crescita del PIL si riduce.
Ciò ha portato alcuni esperti alla miope conclusione che bastasse tornare alle
politiche fiscali del mandato Clinton per rimettere tutto a posto.
Il problema di un simile approccio consiste nel fatto che le tasse del mandato Clinton
non fossero l’unico fattore rilevante per l’economia dell’epoca.
Clinton guidò infatti un impressionante boom tecnologico che non solo aumentò la
produttività economica ma portò anche molti investimenti nelle startup del settore.
Quel decennio vide anche la generazione dei baby boomers al picco della propria
esperienza imprenditoriale mentre ora, invece che dar vita a nuove imprese i più
anziani stanno scivolando verso la pensione.
Inoltre, gli effetti negativi di un eccessivo prelievo fiscale si sono fatti sentire anche
negli anni novanta, benché non comparvero nei numeri del PIL.
Il più alto numero di nuove aziende quotate al Nasdaq venne raggiunto nel 1996, più
di tre anni prima del picco nelle quotazioni.
Ciò che avvenne alla fine degli anni novanta, fu che il prelievo fiscale era così forte
da rappresentare una vera e propria zavorra per l’economia reale, soffocando
l’innovazione e gli sforzi di realizzazione di nuove iniziative in vigore durante la
prima parte del decennio.
Imporre una simile zavorra equivalse a drenare troppi soldi fuori dall’economia reale
e ciò spinse l’economia nella recessione che alla fine si manifestò a partire all’inizio
del nuovo millennio.
Tornando al grafico precedente, la correlazione inversa si innescò a partire dal 2001 e
rimane tuttora presente.
Quindi, se c’è qualcuno che propone di spostare verso l’alto il livello di entrate
fiscali, ciò produrrà una riduzione nella crescita del PIL.
Utili inflazionati
Gli interventi da parte del governo sono perlopiù finanziati dalla stampa di moneta
perpetrata dalla Fed.
Quanto a lungo potrà durare questa truffa fatta di massiccio disavanzo e stampa di
moneta è ancora da vedere.
Come detto, è molto probabile che per il momento non ci sarà nessun “fiscal cliff”
dal momento che i Democratici non hanno alcuna intenzione di tagliare la spesa in
modo significativo mentre i Repubblicani non vogliono veder vacillare il mercato
azionario.
In questo modo continueremo a sentir parlare di deficit e la stampa di moneta
continuerà in modo serio fino a quando l’intero sistema finanziario non collasserà
sotto il suo stesso peso. La domanda non è se ma quando.
Sul piano del PE (prezzo/utili) c’è anche chi sostiene che le azioni sono relativamente
a buon mercato.
Ma ciò è vero solo se si valuta l’equity basandosi sugli utili attuali che sono
pesantemente inflazionati (se il valore degli utili al denominatore aumenta rispetto al
prezzo venendo inflazionato, il rapporto PE scende).
In questo modo proprio i margini crescono ad un livello innaturale dal momento che
crescono i ricavi (Stato) e si riducono i costi (disoccupazione).
Tale assetto non è però sostenibile e mai lo è stato nella storia. Non si è mai visto che
gli utili per azione schizzassero in alto con un simile livello di disoccupazione.
Oltre che dai vari QE, il mercato azionario è stato spinto a rialzo dalla Spesa Statale
che produce utili e l’EPS crescente ha un effetto enorme sul mercato azionario.
Basta pensare a tutti i soldi spesi dallo Stato su ogni dollaro messo in circolazione per
intravvedere il margine incrementale collassare ai livelli minimi. Si tratta di un
enorme leverage sugli EPS.
Pertanto, si può tranquillamente assumere che la crescita stia rallentando anche nelle
economie emergenti (ultimamente Faber ha più volte segnalato il rischio che il picco
nell’attività economica dei paesi emergenti è già stato superato).
Ciò non può che portare ad una minor crescita negli utili aziendali (o ad un probabile
declino).
Conclusioni
Il miglior titolo del bull market 2009-1012 è stato Apple che ora ha però segnato un
crollo e questo crollo non può aver nulla a che fare ne con il fiscal cliff ne con la ri-
elezione di Obama.
Il mercato aveva percepito che gli utili di Apple non avrebbero incontrato le
aspettative degli investitori. Questa è stata la causa del crollo.
Che qualcosa non vada nell’economia è evidente anche per le recenti performance di
Wal-Mart, Tiffany, Genesco e Kohl. Quest’ultimo ha da poco annunciato che le
vendite totali di novembre si sono contratte di un 4,9% e quelle di altri negozi simili
addirittura del 5,6% YTD.
Noi tutti sappiamo quali crolli del mercato hanno seguito tali espansioni.
Per questo, anche se l’azionario dovesse riuscire a segnare nuovi massimi nel corso
dei prossimi mesi, è estremamente probabile che presto o tardi vedremo una
correzione maggiore delle precedenti.
Inoltre, vedendo con quale violenza Apple ha reagito agli utili insoddisfacente,
sembrerebbe che il rischio di assumere oggi posizioni equity, oltrepassi notevolmente
il potenziale rendimento. Sempre Faber è particolarmente negativo sul settore Tech.
Fonti: Doug Short, Tom McClellan, Marc Faber, Francesco Caruso, Michael A. Gayed.
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